Tragedie
Aeree
del Calcio 1871-2023 |
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2.08.1931 |
Tragedia Aerea
Calciatore |
Lago del Garda,
Inabissamento |
(Prove Tecniche
di Velocità in Volo) |
Giovanni Monti
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Giovanni Monti, nato a Fratta
Polesine il 16 gennaio 1900, fu
una gloriosa bandiera del Padova
per 11 stagioni nel ruolo di
attaccante (dal 1919 al 1930) ma
anche aviatore di valore
nazionale, militante nella Regia
Aeronautica e appartenente al 1°
gruppo di piloti scelti del
Reparto Sperimentale di Alta
Velocità con base a Desenzano
del Garda dal 1928. Nato in una
famiglia benestante per il
periodo, storicamente radicata
ai moti della carboneria
anti-austriaca, visse per
tradizione all’insegna del
patriottismo che lo portò ad
arruolarsi nel 1918 come
volontario durante la prima
guerra mondiale, conseguendo il
brevetto di pilota e in breve
tempo il grado di capitano. Fin
dalla giovane età Giovanni aveva
praticato diverse discipline
sportive, particolarmente il
ciclismo, ma trovò proprio nel
calcio la sua massima
realizzazione come atleta,
disputando con i biancoscudati
del Padova 176 partite e
segnando 51 reti. A lui sarà
intitolato il velodromo in via
Carducci, l’antico campo di
calcio comunale prima del
passaggio allo Stadio "Appiani".
Aveva altri 2 fratelli, entrambi
calciatori: il maggiore
Alessandro (Monti I) ed uno più
piccolo, Feliciano (Monti III).
Per le cronache del tempo,
infatti, Giovanni era conosciuto
come Monti II. Il 2 agosto 1931
durante un volo tecnico alla
ricerca del potenziamento della
velocità sopra il lago di Garda,
virando di quasi 90° con il suo
aereo toccò l'acqua con un’ala,
compromettendo "il sistema
coassiale delle due eliche
controrotanti" e tragicamente si
inabissò. La sua scomparsa turbò
non soltanto gli ambienti
militari, ma tutta la nazione.
Al suo funerale, oltre alla
doverosa partecipazione delle
autorità militari della Regia
Aeronautica e del Regio
Esercito, quella di moltissimi
civili e rappresentanti del
mondo della cultura.
(Fonti: Wikipedia -
Saladellamemoriaheysel.it) |
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20.04.1941 |
Tragedia Aerea
Calciatore |
Canale di
Sicilia, Inabissamento |
(Missione di
Guerra nel Mediterraneo) |
Luigi Barbesino
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Luigi Barbesino, nato a Casale
Monferrato il 1 maggio 1894,
lega al suo paese natio la più
grande soddisfazione sportiva
della sua carriera di
calciatore, conquistando il
titolo di campione d’Italia
nella stagione 1913-1914 proprio
con il Casale. Altra squadra di
appartenenza il Legnano prima di
condurlo come allenatore dal
1929 al 1931, ottenendo nel 1°
anno una storica promozione
nella massima serie. A seguire,
sulla panchina di Roma e
Venezia, sempre con talentuose
capacità, tanto da sfiorare con
la squadra capitolina lo
scudetto nella stagione
1935-1936. Nel ruolo di
centrocampista si era anche
fregiato della convocazione
nella Nazionale di Vittorio
Pozzo per le Olimpiadi di
Stoccolma nel 1912, debuttando
in maglia azzurra all’età di 18
anni contro la Svezia. Cinque le
presenze ed un goal in
amichevole contro la Svizzera.
Il destino di sportivo scambiò
il solco in quello del militare,
facendogli abbandonare il mondo
del calcio per arruolarsi
volontario nella Regia
Aeronautica come ufficiale. Allo
scoppio della seconda guerra
mondiale, conseguito il brevetto
di osservatore d'aeroplano, fu
assegnato alla 194esima
Squadriglia del 30º Stormo da
ricognizione e bombardamento che
operava in Sicilia. Partecipò a
diverse operazioni belliche
decollando dalla sua base di
Sciacca su trimotori
Savoia-Marchetti S.M.79. Dal
1940 al 1941 questi apparecchi
si districarono in missioni di
ricognizione sorvolando la
Tunisia e Malta, bombardando
navi inglesi nel Mediterraneo
centrale o scortando convogli
navali italiani. Numerosi gli
aviatori abbattuti da caccia
britannici, di lunga ben più
agili nei cieli nel duello
aereo. Diventa maggiore e il 20
aprile 1941 in una delle
consuete missioni di
ricognizione su Malta va
incontro a pessime condizioni
meteorologiche. Nella
squadriglia, composta da 2
velivoli, il gregario rientra in
anticipo alla base mentre
l’aereo di Barbesino, con altri
5 componenti in equipaggio,
verrà dato per disperso. Fra i
nostri valorosi caduti è
insignito della medaglia di
bronzo al valor militare con la
seguente motivazione:
"Partecipava in qualità di
osservatore a vari ed importanti
voli di guerra, dimostrando
elevati doti di coraggio e
contribuendo con la sua opera al
buon esito delle missioni. Cielo
del Mediterraneo Centrale,
giugno-settembre 1941".
(Fonti: Wikipedia -
Saladellamemoriaheysel.it) |
ALTRE FONTI:
Giocopulito.it
-
Uomonelpallone.it
-
Ilnobilecalcio.it
-
Ilprimatonazionale.it |
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4.05.1949 |
Tragedia Aerea
del Grande Torino
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Superga,
Muraglione della Basilica |
(Benfica -
Torino) |
31 Vittime |
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"Sono
le diciassette di una brutta
giornata d’inizio maggio.
Torino, così come buona
parte dell’Italia del Nord,
è avvolta in una
straordinaria cappa di
maltempo. Il muratore
Amilcare Rocco, che abita a
un tiro di schioppo dalla
cima di Superga, sente un
rombo divenire via via
sempre più forte fino a
farsi assordante. Il fragore
che gli passa in un lampo
sopra la testa si trasforma
subito dopo in un tonfo
sinistro. L’uomo esce di
casa, solcando la cortina di
nebbia. Sulla strada
incrocia alcuni contadini
della zona, tutti usciti per
lo stesso motivo. Correndo
sgomenti verso la basilica
che domina il colle, gli
uomini scorgono sempre più
nitido il profilo scomposto
di una carlinga, sormontata
da una colonna di fumo nero.
Il cappellano, don Tancredi
Ricca, è già lì che si
aggira tra miseri resti di
corpi umani, sparsi tra
lamiere arroventate e
focolai di incendio. Capisce
ben presto che per quelle
povere anime non si può che
pregare. Il giardino che
sorge ai piedi della
basilica è delimitato da un
poderoso bastione: proprio
contro di esso si era
schiantato l’aereo, un Fiat
G 212, provocando un foro
circolare di quattro metri
di diametro e proiettandosi
poi sulla spianata. Nel
frattempo, poco distante, al
campo dell’Aeritalia, ci si
comincia a preoccupare:
perché ancora non si sente
il rumore del G 212 ? E
perché dalla radio del
velivolo nessuno risponde
più ? L’ultimo contatto è
avvenuto qualche minuto
prima: "Visibilità zero –
aveva scandito in Morse il
radiotelegrafista del campo
– se volete atterrare dovete
volare alla cieca". In quel
momento l’aereo era già in
vista di Torino. In vista si
fa per dire, perché in
realtà viaggiava sballottato
fra nubi nerissime e
raffiche di vento. Ma dopo
qualche attimo di silenzio,
la risposta proveniente
dall’aria aveva sciolto ogni
dubbio sulle intenzioni del
comandante: "Quota duemila,
tagliamo su Superga". Il
volo sopra il colle era un
fatto abituale per chi si
preparava all’atterraggio.
Erano le 16,58: di lì a poco
si sarebbe compreso il
tragico errore, causato
forse da un guasto delle
apparecchiature di bordo:
credendosi a duemila metri
di altezza, il pilota
viaggiava invece a poco più
di duecento. Non stava
sorvolando la collina di
Superga, stava per colpirla
in pieno. Contrariamente
agli addetti dell’Aeritalia,
i clienti del ristorante di
Superga hanno invece già
percepito i contorni del
dramma. Anche loro hanno
sentito il rombo e il tonfo,
e dopo pochissimo un uomo
proveniente in automobile
dal luogo della sciagura li
ha messi al corrente
dell’accaduto. Una decina di
minuti dopo le diciassette
la notizia corre via
telefono dal ristorante a
Torino, da dove partono
tredici ambulanze, vigili
del fuoco e polizia. Sul
colle, attorno alle salme,
si continua a rovistare.
Alcuni dei corpi sono quasi
completamente svestiti per
l’urto. Alcuni non hanno più
volto. Valigie e pacchi
regalo sono sparsi
d’intorno. A un tratto
qualcuno scorge due maglie
di colore granata con lo
scudetto tricolore e la
verità passa davanti alle
menti in un baleno: "E’ il
Torino ! E’ l’aereo del
Torino che tornava da
Lisbona !". La stessa verità
che viene urlata di lì a
poco in tutta Italia. E da
tutta Italia risponde un
mare di telefonate a
giornali, vigili del fuoco,
Aeronautica: "Ma è proprio
vero ? Sono loro ? Sono
morti proprio tutti ?". I
quotidiani della sera,
usciti poco dopo in edizione
straordinaria, vengono
letteralmente strappati di
mano agli strilloni. Già: al
cospetto della Basilica di
Superga, quella sera del 4
maggio 1949, si era immolata
una squadra leggendaria,
capace di dominare il calcio
italiano come mai più
sarebbe accaduto. Una
squadra e una società
assurti a modello assoluto e
intoccabile. E proprio il
grande prestigio
internazionale sarebbe stato
indiretto motivo della
rovina.
La scintilla era
scoccata nel febbraio
precedente, quando l’Italia
marcata Torino vinse facile,
4 a 1, con il Portogallo.
Era quella la prima
esperienza del dopo-Pozzo:
il ciclo del vecchio alpino,
straordinario artefice dei
massimi successi, era giunto
al tramonto. La Nazionale
era stata affidata a una
commissione tecnica federale
presieduta da Ferruccio
Novo, vale a dire il
presidente del Torino.
Proprio in quell’occasione,
il capitano del Portogallo,
Ferreira, in cerca di un
grande partner per la sua
partita d’addio, convinse
Valentino Mazzola a portare
il Torino a Lisbona, per
giocare contro il suo
Benfica nel maggio
successivo. Novo si era
subito mostrato in
disaccordo con la promessa
fatta dal suo capitano. La
trasferta lusitana si
incrociava infatti con il
finale di campionato e,
anche se il Toro era in
testa per l’ennesimo anno,
gli avversari incalzavano e
le distrazioni potevano
risultare pericolose. "Va
bene - aveva detto Mazzola -
facciamo così: se a San Siro
contro l’Inter non
perderemo, andremo in
Portogallo". Novo aveva
accettato: del resto non
perdere a Milano avrebbe
significato scudetto
pressoché sicuro, con i
nerazzurri tenuti a cinque
punti con sole quattro
partite da giocare. Non
erano più di primo pelo le
colonne storiche di quella
macchina micidiale. Mazzola,
Loik, Menti e Grezar avevano
toccato la sponda dei
trent’anni, Gabetto era già
sui trentatré. Gli altri
erano più giovani ma sulle
loro spalle pesavano quattro
campionati consecutivi a far
da lepri irraggiungibili.
Sicché la minaccia di
quell’Inter, che dopo la
guerra aveva smesso di
chiamarsi "autarchicamente"
Ambrosiana per
riappropriarsi del suo
vecchio nome, era parsa
quanto mai fondata. San Siro
traboccava per la partita
più importante del
campionato. Finalmente c’era
la possibilità di mettere
paura a quegli undici
marziani, che l’anno prima
avevano vinto il campionato
con sedici punti di
vantaggio sulla seconda.
L’Inter calava il suo tris
d’attacco, formato da Nyers,
Amadei e Lorenzi (in tre
andarono a segno quell’anno
65 volte). Una trazione
anteriore formidabile. Il
Toro doveva lasciare in
tribuna un febbricitante
Mazzola e non era certo una
prospettiva gradevole fare a
meno del superuomo,
dell’atleta capace di
dispensare saggezza, potenza
e meraviglie tecniche in
ogni parte del campo. Ma
alla fine, la missione fu
compiuta: 0 a 0, con qualche
patema. La strada era ormai
in discesa fino alla fine.
"Nell’ora del pericolo -
scrisse quel giorno il
direttore di Tuttosport,
Renato Casalbore - la
squadra granata ha svelato
una potente freschezza
atletica e anche questi sono
segni della classe di una
squadra; voglio dire: saper
essere tempestivamente al
momento giusto, sempre
aderenti alla situazione. Ed
era una situazione difficile
per il Torino. Domani i
campioni partono per
Lisbona".
Partono, annotò
Casalbore. In realtà avrebbe
dovuto scrivere "partiamo",
perché sull’aereo dei
granata, il 2 maggio, stava
per imbarcarsi anche lui.
Intorno a quell’aereo, a
dire il vero, si svolse una
singolare danza di
appuntamenti mancati o
centrati in extremis: il
giovane granata Giuliano,
per esempio, che già da un
po’ bazzicava la comitiva
dei "grandi", fu bloccato da
problemi di passaporto e
lasciò il posto proprio a
Casalbore. A terra rimase
anche Gandolfi, il portiere
di riserva che presentatosi
all’aeroporto scoprì con
dispetto che al suo posto
era stato convocato Dino
Ballarin, fratello minore di
Aldo. Così come restarono in
Italia Nicolò Carosio e
Ferruccio Novo: la "voce"
del calcio italiano era
inizialmente della partita,
ma la prima Comunione del
figlio lo convinse a
rinunciare in favore di
Renato Tosatti, della
Gazzetta del Popolo. Novo,
invece, era a letto malato.
E infine, non partì uno dei
rincalzi, Sauro Toma:
qualche giorno prima,
vittima di una distorsione,
si era fatto visitare
insieme con Maroso. Per
Lisbona il medico bloccò
Toma e diede via libera a
Maroso. Peraltro, il fine
terzino sinistro, che ad
appena 24 anni aveva già le
stimmate del fuoriclasse,
sarebbe partito solo per
ingrossare la schiera dei
rincalzi. Neanche Mazzola
era ancora del tutto guarito
dalla sua influenza, ma come
poteva rinunciare a quella
trasferta che proprio lui
aveva organizzato ? Invano
un altro grande giornalista
e disegnatore di Tuttosport,
Carlin Bergoglio, aveva
cercato di persuaderlo: "Non
andare, sei ancora malato".
"I campioni e lo sport vanno
onorati degnamente",
sosteneva capitan Valentino.
La partita non aveva tradito
le attese del pubblico. Del
resto, se il Torino era un
punto di riferimento
internazionale, anche il
prestigio del Benfica era
molto alto. I granata
avevano perduto di misura,
anche perché la fatica di
San Siro non poteva essere
svanita in tre giorni, ma lo
spettacolo offerto sul campo
era stato divertente e di
buon livello. Il giorno
dopo, sulla Stampa Sera,
Luigi Cavallero, che con
Casalbore e Tosatti
componeva il terzetto di
giornalisti al seguito del
Toro, aveva scritto:
"Stamane i granata si sono
alzati presto per prepararsi
al ritorno. Tra poche ore
l’aereo, che ha trasportato
a Lisbona dirigenti,
giocatori e giornalisti,
spiccherà il volo per
atterrare all’Aeronautica di
Torino, tempo permettendo,
verso le 17. Che le nubi ed
i venti ci siano propizi e
non facciano troppo
ballare…". La mattina del 4,
erano infatti giunte
dall’Italia notizie poco
rassicuranti. Pioveva a
catini, il Po era gonfio
come mai negli ultimi 50
anni e tracimava
rovinosamente sulla piana.
In migliaia abbandonavano le
loro case. Il Fiat G 212,
velivolo ad elica fabbricato
solo due anni prima, era
decollato in direzione
Milano Malpensa, dove i
giocatori avrebbero trovato
il celebre "Conte Rosso", il
pullman che sempre li
accompagnava in trasferta. A
Barcellona, dove aveva fatto
scalo per il rifornimento,
il comandante Meroni era
stato avvertito delle
critiche condizioni
meteorologiche di Torino.
Eppure, chissà perché, aveva
deciso di ignorare il
previsto arrivo a Milano per
atterrare proprio nel
capoluogo piemontese. Su
questa decisione fioriranno
poi sospetti romanzeschi.
Nell’aeroporto catalano i
granata avevano incrociato i
giocatori del Milan, diretti
a Madrid per affrontare il
Real: "Loro erano stravolti
- ricorderà il milanista
Carapellese - avevano già
avuto un brutto
trasferimento da Lisbona a
Barcellona. Parlammo di cose
comuni, della loro partita
con il Benfica, della nostra
con il Real Madrid, della
rabbia che certamente gli
spagnoli avrebbero avuto per
vendicare il 3-1 che
l’Italia aveva inflitto
proprio a Madrid alla Spagna
qualche tempo prima.
Parlammo pochi minuti poi
ciascuno si diresse verso il
proprio aereo".
A Montecitorio, la
notizia della sciagura
arriva mentre è in atto una
discussione animata.
Immediatamente i lavori
vengono sospesi in segno di
lutto. Il presidente del
Consiglio De Gasperi è in
Sardegna. Al posto suo, per
Torino parte il
sottosegretario Andreotti.
Intanto, la strada per
Superga è ormai preda di un
gigantesco ingorgo:
centinaia di automobili,
migliaia di ciclisti, gente
che a piedi sfida la
pioggia. Tutti vogliono
constatare di persona, ma
tutti, compresi i familiari
delle vittime, vengono
bloccati ai cancelli della
Basilica. I vigili del fuoco
hanno ormai spento gli
ultimi, flebili focolai. E’
arrivato anche Vittorio
Pozzo. Antica anima granata,
conosce e ama quella squadra
che anche lui ha contribuito
a formare e che ha
trasferito in azzurro quasi
in blocco nell’ultima parte
della sua epopea azzurra.
Dal Torino il vecchio
maestro si è distaccato a
causa di un dissidio
personale con Novo, proprio
l’uomo che lo ha sostituito
alla guida della Nazionale.
Ma i ragazzi no, non
c’entrano, per lui sono come
figli.
Pozzo avanza con
passo eretto fra i rottami,
incrociando gente che corre,
che grida, che piange. "Su
un lato del terrazzo -
ricorderà dieci anni dopo -
spazzando i rottami,
qualcuno aveva già disposto
quattro o cinque cadaveri.
Erano i corpi, non
martoriati, di Loik, di
Ballarin, di Castigliano… Li
riconobbi, e li nominai,
sentendo uno dei presenti
che aveva dato
un’indicazione errata. Li
conoscevo, oltre che dal
viso, dagli abiti, dalle
cravatte, da tutto. Fu
allora che mi accorsi di un
maresciallo dei carabinieri,
che mi seguiva e prendeva
nota di quanto dicevo.
"Nessuno meglio di lei…",
sussurrò, mettendosi
sull’attenti. Fu allora,
mentre rovistavo fra i resti
di un po’ di tutto che
giacevano al suolo, che un
uomo più alto di me ed
avvolto in un impermeabile,
mi mise una mano sulla
spalla e mi disse in
inglese: "Your boys", i suoi
ragazzi. Era John Hansen
della Juventus, accorso fin
lassù. Non so se piangessi,
in quel momento. Dopo sì".
Pioggia, nebbia e vento,
compagni maledetti di quella
giornata, non danno tregua:
i morti vengono via via
raggruppati sul piccolo
piazzale dietro la canonica
e coperti da un grande
telone impermeabile. Quattro
di essi sono stati scagliati
molto lontano dal luogo
dell’impatto. Ai piedi di
Renato Tosatti viene trovata
una foto del Torino edizione
’46-47. E’ appena
bruciacchiata ai margini,
solo il viso di Castigliano
è stato mangiato. Dopo tre
ore l’opera di
ricomposizione è compiuta:
si decide di trasferire il
riconoscimento ufficiale al
cimitero di Torino, dove il
tragico corteo arriva alle
21. E’ ancora Pozzo, assieme
ad altre due persone e a due
medici, a farsi carico del
triste compito. L’ex
commissario azzurro ha un
paio di cedimenti, ma
procede
nell’identificazione. In
molti casi si deve
riconoscere la salma da un
anello, da un documento, da
qualche oggetto personale.
Martelli e Maroso,
riconosciuti solo per
eliminazione, mettono a dura
prova l’animo e la scorza di
Pozzo. Quella sera, in una
casa di Torino, il piccolo
Sandro nota uno strano via
vai di gente. In quella casa
vive con una donna che non è
sua madre, mentre sua madre
è a Cassano d’Adda con il
fratellino Ferruccio. A
Sandrino nessuno dice quella
sera che suo padre, il
grande, generoso, infedele
Mazzola, non tornerà mai
più. Il figlio di Ossola,
invece, non può avere di
questi problemi, visto che è
stato appena concepito. E
pensare che suo padre,
appresa la lieta novella,
era così eccitato che per
farlo partire per Lisbona
avevano
dovuto faticare. A
poche ore dall’incidente,
l’Italia è già in lutto: il
Grande Torino era da tempo
al di sopra del tifo di
parte e delle beghe di
campanile. Era l’orgoglio di
tutti; un simbolo della
rinascita italiana dopo le
piaghe di guerra; un inno
alla gioventù, alla forza,
alla lealtà. In un attimo
era finito tutto, per un
guasto, un errore o chissà
che altro. L’aereo sembrava
ora un’invenzione perversa: Carapellese e Lorenzi,
compagni in azzurro dei
granata, non vorranno più
salirci, per tutta la vita.
Boniperti ricorderà le
parole che un giorno gli
disse Loik, durante una
trasferta della Nazionale:
"Questa - e si riferiva
all’aereo - sarà la nostra
bara". Il trauma sarà così
forte che un anno più tardi
l’Italia partirà per i
mondiali brasiliani in nave
anziché in aereo. Risultato:
durante il viaggio tutti i
palloni d’allenamento
finiranno in mare e tutti
gli atleti arriveranno
sballottati e fuori forma.
Già, i mondiali: sarebbe
stata forse quella la
consacrazione del Grande
Torino, chiamato a difendere
in azzurro il titolo
conquistato da Meazza e
compagni nell’ormai lontana
ultima edizione del 1938.
Giocatori che in tempi
normali avrebbero
partecipato a due o tre
edizioni del torneo più
prestigioso, non fecero in
tempo a viverne una. Prima
la guerra, poi la morte.
Proprio in Brasile, nel
1947, i granata in tournée
avevano lasciato negli occhi
della "torcida" riflessi
entusiasmanti. Tanto che
anni dopo il giovane talento
Altafini venne
soprannominato "Mazzola".
Anche in occasione della
trasferta brasiliana,
peraltro, l’aereo che
portava il Torino a Rio
volteggiò pericolosamente
per tre ore su un cielo in
burrasca alla ricerca
dell’atterraggio. Il giorno
del funerale, Torino è una
città distrutta: al
passaggio delle salme in
molti si inginocchiano
singhiozzando, come se in
quelle bare ognuno avesse
lasciato un pezzo della
propria giovinezza. Carlin,
su Tuttosport, riferisce il
toccante discorso del
presidente federale Barassi:
"Egli aveva parlato agli
atleti racchiusi
tutt’intorno (sorridevano i
loro ritratti sulle bare)
come se sentissero, e ci era
parso veramente che
sentissero. Aveva assegnato
ad essi, ufficialmente, il
quinto scudetto consecutivo,
li aveva premiati
simbolicamente per nome, uno
per uno, chiamando anche i
giornalisti, i dirigenti,
gli uomini dell’equipaggio,
infine aveva ancora chiamato
Mazzola: "La vedi questa
bella Coppa ? (e disegnava
con le braccia aperte una
gran coppa nell’aria). La
vedi com’è bella ? E’ per
te, è per voi. E’ molto
grande, è più grande di
questa stanza, è grande come
il mondo: e dentro ci sono i
nostri cuori". Una vicino
all’altra, le bare di
Bacigalupo, Martelli e
Rigamonti, quelli del "trio
Nizza", com’erano chiamati
dalla via in cui abitavano.
"Noi tre dobbiamo morire
insieme - diceva Rigamonti -
perché siamo troppo amici; e
tu Martelli, che sei
piccolo, ti porteremo in
tasca dal Signore Iddio".
"Siamo vecchi torinesi -
annota ancora Carlin - ma
non ricordiamo di aver mai
visto nulla di simile, una
unanimità così commossa, una
vibrazione così profonda".
Salutato il Grande Torino,
il calcio italiano non
ritroverà più per anni un
modello di squadra così
compatta e vincente. Anzi,
di lì in poi salirà alla
ribalta un ben diverso
stereotipo di calciatore
italico: il bambino viziato,
superpagato, isterico,
individualista, refrattario
al sacrificio. La gente
conserverà la passione per
il calcio, ma perderà in
buona misura la stima del
calciatore. La Nazionale,
infarcita di oriundi poco
interessati alla causa,
passerà da una delusione
all’altra. Ci vorrà l’Inter
di Moratti ed Herrera per
riportare il nostro calcio
alla gloria. E nella notte
di Vienna, 27 maggio 1964, i
nerazzurri vinceranno la
loro prima Coppa dei
Campioni ai danni del
leggendario Real Madrid con
due reti di Sandro Mazzola.
Al termine della gara, un
ormai invecchiato Puskas,
che da ragazzino, in
un’Italia-Ungheria del 1947,
aveva incrociato la sua
rotta con gli uomini del
Grande Torino, si sfilerà la
maglia a la donerà a
Sandrino: "Ho conosciuto tuo
padre - gli dirà - e oggi ho
capito che tu sei degno di
lui". La sciagura di
Superga, nell’immaginazione
popolare, rese eroi
immortali i componenti di
quella squadra. Si seppe poi
che Novo, notando degli
scricchiolii nella macchina
perfetta che aveva
costruito, aveva in mente
dei ritocchi sostanziali.
Esistevano già trattative
per il milanista Annovazzi e
per uno scambio fra
Castigliano e il
centrocampista dell’Inter
Campatelli. Inoltre, si
ipotizzava un futuro
rimpiazzo di Loik, apparso
fra i più logori, e
dell’anziano Gabetto. Ma
chissà con quale rammarico
il presidentissimo si
sarebbe separato dai suoi
ragazzi. Raccontano che da
quando il fato glieli
strappò d’un colpo, Novo si
perse nel dolore. Aveva
azzeccato tutto prima,
sbagliò tutto dopo. Come se
ai piedi della Basilica
fosse rimasta anche la sua
anima…".
Fonte:
Storiedicalcio.altervista.org
("Un urto nella nebbia e il
grande Torino non c’è più"
di Marco Filacchione)
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26.01.1953 |
Tragedia Aerea
Arbitri Nazionali |
Cagliari, Monti
del Sinnai |
(Cagliari-Fanfulla) |
Ermanno Silvano
- Renato Gianni |
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Ermanno Silvano, nato a Garessio
(CN) il 24.10.1906, è stato un
arbitro federale italiano di
Serie A nella sezione di Torino
dal 1942 al 1953. Nel 1934,
preso il patentino, incomincia
una carriera apprezzabile come
direttore di gara nazionale ed
internazionale, durata l’arco di
11 stagioni. Al termine della
stagione calcistica 1945-1946
vince il Premio "Giovanni Mauro"
assegnato annualmente al miglior
arbitro della stagione. Debuttò
nella massima serie il 5 marzo
1942 a Milano, arbitrando il
recupero della 17ª giornata
Milan-Napoli (3-1). Ha
collezionato in tutto 550
presenze, di cui 109 partite di
Serie A e 100 di Serie B,
arbitrando spesso anche
all’estero: Brasile, Portogallo,
Spagna e Svizzera, ma
soprattutto in Turchia. Il 26
gennaio 1953 si era recato a
Cagliari per arbitrare in serie
B l’incontro fra i padroni di
casa e il Fanfulla. Nel rientro
a casa, pochi minuti dopo il
decollo, Il velivolo sul quale
viaggiava si schiantò nella zona
montuosa di Sinnai. Un’autentica
beffa del destino: nel 1948
aveva rinunciato per ragioni di
lavoro all’invito del "Grande
Torino" caduto a Superga. Perse
la vita insieme ad altre 18
persone, fra queste anche un
altro arbitro italiano: Renato
Gianni, inviato nel capoluogo
sardo dalla federazione come
osservatore tecnico. Questi,
nato a Pisa il 5 Agosto 1898,
era stato un autentico sportivo
"di razza", prima dedicandosi
all’atletica leggera, poi
militando nel calcio fra le fila
del Pisa dal 1922 al 1925 e
contemporaneamente praticando
altre discipline olimpiche:
nuoto, canottaggio, scherma. Si
ritira dallo sport praticato nel
1925 sposando l’attività
arbitrale dove eccelle
qualitativamente per
preparazione tecnica, equilibrio
e coraggio. La sua spiccata
competenza ed imparzialità lo
conducono all’incarico di
Commissario Speciale per il
quale giudica le prestazioni
degli altri Arbitri sul campo, a
partire dalla Serie "C". La sua
scomparsa è una grave perdita
per l’intera classe arbitrale.
In sua memoria vengono
intitolati una sezione federale
dell’A.I.A e un Premio nazionale
destinato a un dirigente
nazionale di categoria che si è
particolarmente distinto nella
stagione.
(Fonti: Wikipedia -
Saladellamemoriaheysel.it) |
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6.02.1958 |
Tragedia Aerea
del Manchester
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Monaco di
Baviera, Aeroporto
"Riem" |
(Stella
Rossa Belgrado
– Manchester United) |
23 Vittime |
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Il 6 febbraio 1958 è una data
funesta per il calcio inglese,
colpito da una gravissima
Tragedia Aerea, molto simile a
quella di Superga, di una decina
di anni prima, dove perì il
Grande Torino. Il Manchester
United, guidato dal famoso Matt
Busby, è di ritorno da Belgrado,
dove ha pareggiato (3-3) contro
la Stella Rossa, nella gara di
ritorno della Coppa dei
Campioni, superando così il
turno. L’aereo è un Elizabethan
del tipo ex British European
Airways rinominato Airspeed
Ambassador, può trasportare
sessanta passeggeri ed ha due
motori per ala. Sta riportando
in patria giocatori ed
accompagnatori dei "Red Devils"
e fa scalo all’aeroporto Riem di
Monaco di Baviera per fare
rifornimento; una formalità se,
nel frattempo, non fosse
cominciato a nevicare. Terminate
le operazioni di rifornimento,
l’aereo compie due vani
tentativi di decollo ed entrambe
le volte i passeggeri vengono
fatti scendere per far
ispezionare il mezzo dai
tecnici. Al terzo tentativo
l’apparecchio si stacca dal
suolo senza tuttavia prendere
decisamente quota; i motori,
probabilmente, non raggiungono
la potenza necessaria, sia per
le cattive condizioni
atmosferiche sia per la pista
coperta di neve e così, dopo
aver sfiorato la cima degli
alberi alla fine della pista, il
bimotore della B.E.A. scoperchia
la casa di un sobborgo di Monaco
precipitando sul fianco di un
capannone adibito a deposito di
benzina e di olio.
Immediatamente si sprigionano
fiamme altissime, l’incendio si
propaga sulla carcassa
dell’aereo, le cui ali si sono
staccate, facendo esplodere uno
dei motori. La fusoliera, per
fortuna, non prende fuoco e
molti membri dell’equipaggio
tornano fra le macerie per
soccorrere i feriti. Al momento
dell’incidente stava nevicando e
la visibilità era intorno ai due
chilometri. Le autorità
tedesche, dopo breve
investigazione, attribuiscono la
causa scatenante dell’incidente,
alla presenza di ghiaccio sulle
ali ed al pilota, responsabile
delle ali stesse, piuttosto che
alla gestione dell’aeroporto,
responsabile a sua volta delle
condizioni della pista. Ci
vollero dieci anni prima che le
reali cause dell’incidente
venissero accertate. Come per la
maggior parte dei velivoli "High
Wing", la fusoliera è vicina a
terra ed il fatto che la neve
sciolta venga lanciata in aria
dalle ruote, la rende
particolarmente vulnerabile. Le
indagini iniziali sembra abbiano
ignorato prove vitali; a quel
tempo non si conosceva molto
riguardo alla neve sciolta sulla
pista ed ai suoi effetti
ritardanti per il velivolo. La
pista di Riem non era ben
drenata e vi si potevano formare
larghe pozze. Le indagini furono
ostacolate da quattro pollici di
neve caduta fra il momento
dell’incidente e l’arrivo della
squadra investigativa, ci fu
anche confusione a causa di
problemi minori ai motori
causati dai due precedenti
tentativi di decollo, poi
abbandonati. A bordo dell’aereo,
compresi i sei membri
dell’equipaggio, vi erano 44
persone, 23 delle quali
scampate; tra i superstiti, lo
stesso Matt Busby, costretto
comunque a molti mesi di degenza
in clinica, prima di poter
riprendere il ruolo di grande
manager del Manchester United.
La sciagura di Monaco determina,
oltre a una grande commozione
per le vittime, un bilancio
crudamente negativo per il
calcio inglese.
Sette
giocatori morirono sul colpo: il
capitano Roger Byrne, titolare
in Nazionale da quattro anni; il
centravanti Tommy Taylor, il
migliore che allora vantasse
l’Inghilterra; il giovanissimo
mediano Eddie Colman, a ventuno
anni già tra i più rinomati
d’Europa nel suo ruolo; l’ala
sinistra (anche della Nazionale)
David Pegg; Billy Whelan,
cervello offensivo della
Nazionale irlandese; il
gigantesco stopper Mark Jones.
Il terzino di riserva Geoff
Bent. Oltre ai giocatori,
perirono l’allenatore Tom Curry,
il preparatore fisico Bert
Whalley ed il segretario Walter
Crickmer, nonché i giornalisti
Archie Ledbrooke, del "Daily
Mirror", e Frank Swift, l’ex
grande portiere del Manchester e
della Nazionale inglese,
diventato cronista dopo aver
abbandonato il calcio. Quanto al
tecnico Matt Busby, il creatore
di quella giovane squadra
lanciata verso i vertici (li
chiamavano i Busby Babes),
rimase gravemente ferito ed a
lungo rimase sospeso tra la vita
e la morte; solo dopo alcune
settimane, fu dichiarato fuori
pericolo. Uno dei ragazzi più
promettenti, Bobby Charlton,
rimediò alcuni giorni di
ospedale, ma ebbe salva la vita;
attorno a lui, faticosamente,
Busby avrebbe ripreso la
costruzione di un grande
Manchester, ma la vittoria in
Coppa dei Campioni sarebbe
arrivata solo nel 1968, dieci
anni dopo la tragica notte di
Monaco di Baviera. Brian
Glanville, storico commentatore
inglese, così scriveva pochi
giorni dopo l’accaduto, il 13
febbraio 1958: "Perché mai, in
nome della ragione e del buon
senso, doveva il Manchester
United caricare tutta la sua
squadra su un aeroplano invece
di noleggiarne due ? Il
terribile disastro di Superga,
nove anni fa, scosse il mondo ed
il Torino non si è più ripreso
anzi, si può sostenere che tutto
il calcio italiano non si è più
ripreso. In Inghilterra,
l’Arsenal reagì rifiutandosi di
viaggiare per aria, a meno che i
suoi giocatori potessero usare
due aeroplani. Come società, il
Manchester United merita sincera
simpatia, ma i suoi dirigenti
devono essere aspramente
censurati per la pazzia che è
costata a loro, ed al calcio
britannico, così cara".
Glanville si felicitava, più
avanti, che la sciagura avesse
risparmiato "il grande Duncan
Edwards, lo splendido laterale
sinistro della Nazionale inglese
(ma si teme che quelle sue gambe
possenti, capaci di spaccare un
palo della porta con un tiro,
non saranno più quelle di
prima)". Purtroppo, il
leggendario, ancora giovanissimo
(ventuno anni) Edwards, sarebbe
morto qualche giorno più tardi,
per le terribili ferite. Il
sopravvissuto Bill Foulkes
disse: "Ci fu un impatto
tremendo. Guardai giù e sotto i
miei piedi l’aereo si spezzò in
due. Uscimmo velocemente facemmo
ciò che potemmo per aiutare le
persone che erano state ferite".
Un altro sopravvissuto, che ebbe
il cranio fratturato, rimase in
coma per cinque giorni. "Quando
mi sono svegliato, ero in una
corsia di ospedale con altri
cinque della squadra. Ho
cominciato a chiedermi dove
fossero tutti gli altri e lo
chiesi ad un prete, che mi
rispose: Ciò che vedi è tutto,
non c’è nessun altro, sono tutti
morti". La costernazione e la
commozione, non soltanto in
Inghilterra ma nel mondo intero,
è grandissima. La Regina stessa,
dice di essere profondamente
scioccata ed invia un messaggio
di cordoglio al Sindaco di
Manchester ed al Ministro dei
Trasporti e dell’Aviazione
Civile. La nuova tragedia, che
ha gettato nel lutto lo sport
mondiale, ricorda quella del
Grande Torino. Infatti, è facile
vedere l’analogia fra le due
società: entrambe in una fase di
fulgore e di universali consensi
dopo un periodo oscuro. Il
Manchester United, infatti, nel
1945 militava in seconda
divisione lottando per non
retrocedere; privo di fondi,
alla ricerca di giocatori di
valore, la società scelse di
puntare su Busby, per la
riscossa. E, sulla spinta di
questo scozzese dal grande fiuto
per i giovani talenti, il
Manchester riprese quota; nel
1948, dopo aver acquistato Tommy
Taylor per 50 milioni dal
Barnsley, la società si
aggiudicava la prestigiosa Coppa
d’Inghilterra. Squadra di
giovani, ma anche di elementi
cresciuti ad una scuola di
grande affidabilità e
risolutezza, il Manchester
United nel 1952, nel 1956 e nel
1957 conquistava il titolo
inglese. Anche in Coppa dei
Campioni l’undici di Busby si
era messo in luce l’anno
precedente pur perdendo, in
semifinale, contro il
grandissimo Real Madrid mentre,
sul campo della Stella Rossa,
due giorni prima della tragedia,
si era qualificato per le
semifinali della Coppa dei
Campioni. Ma, mentre alcuni
sopravvissuti alla tragedia di
Monaco, come Bobby Charlton,
ebbero carriere sfolgoranti,
altri si sentirono come
dimenticati. Albert Scanlon, che
attualmente vive grazie ad una
piccola pensione nella sua casa
a Salford, dice: "La sola
ricompensa che ricevemmo, fu
qualche centinaio di sterline
dalla B.E.A. La squadra ci pagò
gli stipendi mentre eravamo
feriti, ma a parte questo non ci
diedero niente altro. Ai giorni
nostri, devo persino pagare,
come qualunque altro, per veder
giocare lo United". Il primo
portiere Ray Wood, che vive
nell’East Sussex con una
pensione minima anch’egli, dice:
"Sarebbe stato bello avere
qualche riconoscimento dalla
squadra, come giocatori che
l’hanno fatta diventare ciò che
è oggi". Il presidente del Club,
Martin Edwards, ha detto:
"Esisteva ai tempi un fondo per
i disastri, ma le somme
accantonate dai giocatori erano
ridicole per gli standard
moderni. Oggi è tempo di fare
qualcosa di più per loro".
Risponde Bill Foulkes: "È un
pochino tardi, ma meglio che
mai". Il 18 maggio 1948 Frank
Swift aveva stretto la mano, al
centro del campo, a Valentino
Mazzola, prima di
Italia-Inghilterra a Torino. Non
potevano certamente immaginare
che un tragico destino si
apprestava a rapirli entrambi.
Fonte:
Ilpalloneracconta.blogspot.it
16.07.2013 ("Lo schianto di
Monaco" di Stefano Bedeschi
16.07.2013)
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16.07.1960 |
Tragedia Aerea
della Danimarca
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Copenaghen, Aeroporto
di "Kastrup" |
(Incontro
di Selezione Olimpica a
Herning) |
8 Vittime |
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Una sciagura che ricorda,
purtroppo, quelle del Grande
Torino e del Manchester United:
nel primo pomeriggio, vicino
all’aeroporto di Kastrup a
Copenaghen, nella fase di
decollo cade e s’inabissa in
mare un piccolo aereo noleggiato
da una comitiva di calciatori
della Nazionale Olimpica della
Danimarca. Era diretto a Herning,
nella penisola dello Jutland,
per far disputare loro una gara
di selezione in vista del
prossimo torneo calcistico delle
Olimpiadi. Perdono la vita tutti
gli 8 sportivi che erano a
bordo.
Unico
superstite, gravemente ferito,
il pilota.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
"Dopo poche
centinaia di metri - secondo le
prime risultanze delle indagini
della polizia - un motore si era
spento. Vindeloev
(NDR: il
pilota) aveva virato di bordo,
tentando con una disperata
manovra di rientrare alla base.
I presenti hanno visto l'aereo
perdere gradatamente quota, ma
hanno avuto l'impressione che
esso riuscisse a posarsi sulla
terra che degrada verso il mare.
Invece a una quarantina di metri
dalla riva l'aereo precipitava
nell'acqua. Il fondale in quel
punto è assai basso, forse meno
di due metri, ma l'urto è stato
violento. Agli uomini delle
lance di soccorso, subito
portatesi sul luogo si è
presentato un orribile
spettacolo".
Fonte: La Stampa |
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3.04.1961 |
Tragedia Aerea
del Green Cross
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Monte Lástima,
Nevados de Longaví |
(Provincial
Osorno – Green Cross) |
24 Vittime |
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"Partito da Temuco, a Osorno si
imbarcarono i giocatori del
Green Cross, reduci
dall'incontro
(NDR: terminato
1-1) con il Provincial Osorno,
valevole per la Copa Chile.
Poiché la rosa era troppo
numerosa, la squadra venne
divisa in due gruppi e imbarcati
su due aerei differenti.
(NDR:
per il viaggio l'allenatore
della squadra aveva diviso gli
atleti scegliendoli gettando in
aria una monetina) La maggior
parte dei componenti del Green
Cross scelse il secondo aereo,
dato che il primo effettuava
troppi scali prima di giungere a
Santiago.
Il volo aveva una durata
prevista di due ore e trenta
minuti. Circa un'ora e un quarto
dopo il decollo, l'equipaggio
aveva chiesto il permesso di
volare ad una altitudine minore,
a causa del ghiaccio. Il
permesso fu però negato, a causa
della possibile sovrapposizione
con la rotta di un altro volo.
Istruzioni successive della
torre di controllo di Santiago
indicarono un percorso
alternativo all'aereo. Ad esse
non seguì più alcun contatto
radio.
Alle ore 23:57 il Douglas
DC-3 della compagnia aerea LAN
siglato CC-CLD si schiantò
contro il monte Lástima. Come
probabili cause furono avanzate
diverse ipotesi tra le quali il
danneggiamento di un motore.
Oltre ai 4 membri
dell'equipaggio perirono
nell'incidente 8 calciatori,
l'allenatore ed il medico della
squadra, la terna arbitrale, due
dirigenti della federazione
calcistica cilena e altri cinque
passeggeri. I resti dell'aereo
furono ritrovati da un gruppo di
alpinisti ad oltre 3000 metri di
altitudine nel febbraio 2015".
Fonte: Wikipedia.org |
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26.09.1969 |
Tragedia Aerea del "The Strongest"
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Ande, Viloco loc. "La Chanca" |
(Real Santa Cruz - Strongest) |
74 Vittime |
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"E'
la sera del 26 settembre 1969:
sono trascorsi vent’anni e poche
settimane dalla sciagura che
cancellò il Grande Toro. Un DC-6
della compagnia Lloyd Aéreo
Boliviano precipita in una
regione montuosa denominata "La
Chanca", vicino al centro
minerario di Viloco, a un
centinaio di chilometri dalla
capitale La Paz. A bordo del
velivolo si trova quasi al
completo la rosa dello Strongest
di La Paz, uno dei club più
blasonati del Paese (16 titoli
nazionali). La squadra era al
rientro da una trasferta a Santa
Cruz, dove ha giocato
un'amichevole. Muoiono
nell'impatto 69 passeggeri, tra
cui 19 "Tigri di La Paz" (questo
il soprannome che viene dato ai
calciatori in casacca
giallonera). In tutto il Paese è
dolore immenso. Tra i giocatori
scomparsi nella tragedia di "La
Chanca" ci sono alcuni argentini
e paraguaiani, e ciò
contribuisce a creare ondate di
commozione anche oltre i confini
della Bolivia. Una grande folla
sfila per due giorni verso la
Cattedrale Metropolitana di La
Paz, dove si tiene la veglia
funebre, e migliaia di persone
accompagnano al cimitero le
salme dei giocatori,
dell'allenatore e degli
assistenti tecnici. Essendo la
rosa dello Strongest praticamente radiata, si pensa
che, con il disastro, per la società sia giunta la fine. Ma
Rafael Mendoza, uno dei
dirigenti che fortunatamente non
aveva partecipato al viaggio,
decide di far risorgere lo
Strongest e, insieme a un gruppo
di amici attaccatissimi ai
colori del club, inizia l'opera
di ricostruzione. L'attestato di
solidarietà certamente più
significativo arriva dai rivali
storici del Bolivar. Ma si
mettono in moto anche la FIFA,
la federazione boliviana e
alcune società di calcio estere
(soprattutto argentine: River
Plate e Boca Juniors). Alberto
J. Armando, presidente del Boca
Juniors, organizza una partita
di beneficenza a Buenos Aires e
dà in prestito a Mendoza alcuni
giocatori del suo vivaio. Così
può risorgere The Strongest, che
fu ed è tra i più importanti
porta vessilli dello sport
boliviano. Sotto la guida di
"Don Rafo", The Strongest tornò
a trionfare nel campionato
nazionale e, dopo che in tempi
non lontani è stato costruito il
nuovo stadio e un moderno centro
per lo sport e il tempo libero,
il club delle "Tigras" di La Paz
è più vivo e prosperoso che
mai".
Fonte: Francobrain.com
(La "Superga" Boliviana) |
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11.08.1979 |
Tragedia Aerea del
Pakhtakor
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Ucraina,
Dniprodzeržyns'k |
(Dinamo Minsk -
Pakhtakor) |
178
Vittime |
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L'11
agosto 1979 vicino
Dniprodzeržyns'k nei cieli di
Ucraina si scontrano a oltre
seimila metri due Tupolev Tu-134
della compagnia Aeroflot: tra le
178 vittime dei due velivoli
anche i 17 calciatori e lo staff
tecnico del PFK Pakhtakor di
Tashkent, squadra uzbeka della
Vyssaja Liga, la massima serie
di calcio sovietica del tempo,
diretto verso una trasferta del
campionato, a Minsk in
Bielorussia, contro la Dinamo.
Alcuni giocatori si salvarono
poichè rimasero a Tashkent
infortunati, anche l’allenatore
Oleg Bazilevič evitò la tragedia
grazie ad un permesso per motivi
familiari, si trovava in Crimea. "Un controllore di volo aveva
segnalato che i due aerei erano
in rotta di collisione e aveva
ordinato al 65735 di salire a
9000 metri. Il controllore
ricevette una risposta smorzata
e pensò che fosse una risposta
affermativa da parte del 65735,
ma in realtà quella
comunicazione proveniva da un
altro aereo, e i due aerei si
scontrarono in uno scenario
nuvoloso". La formazione viene "ricostruita" grazie al prestito
gratuito di un giocatore da parte di ogni
squadra del campionato (Tra
questi Andrei Yakubik, della
Dinamo Mosca, il quale, dopo un
breve ritorno a Mosca nel 1980,
terminerà la carriera di nuovo
nella squadra di Tashkent, dove
realizzerà ben 58 gol in 105
partite e guiderà la squadra
allo storico sesto posto del
1982). I clubs chiesero anche
alla Federazione il blocco della
retrocessione della squadra per
tre anni. E’ una delle tragedie
peggiori della storia del calcio
sovietico.
Fonti:
Saladellamemoriaheysel.it – Wikipedia.org |
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5.12.1987 |
Tragedia Aerea
Presidente Fiorentina |
Loc. Montagnassa,
Piossasco (TO) |
Pres. Pier Cesare
Baretti |
Cap.
Oreste Puglisi
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Il
Presidente della Fiorentina,
Pier Cesare Baretti, muore
sabato 5 dicembre 1987 all'età
di 48 anni, in un tragico
incidente aereo mentre pilota un
"Cessna 172" sorvolando le
montagne del Pinerolese. Poiché
non volava da diverso tempo e
gli era scaduto il brevetto,
aveva deciso di macinare alcune
ore di volo per rinnovarlo. Per
questo aveva voluto al suo
fianco, in qualità di esperto
co-pilota, un suo vecchio amico,
il Comandante Oreste Puglisi, 71
anni, che in carriera aveva
fatto parte anche dello stormo
della pattuglia acrobatica. Dopo
le 11 il decollo dall’Aeroclub
di via Briglia al campo Edoardo
Agnelli degli stabilimenti
Aeritalia. E’ previsto un volo
breve intorno a Torino, ma il
tempo è molto cattivo, piove a
dirotto e ci sono a tratti dei
banchi di nebbia. Il veivolo
resta sugli schermi radar dell'aeroporto soltanto mezz' ora.
Alle 11.34 Baretti avverte via
radio la centrale di controllo
di trovarsi "sopra None", che "la visibilità è scarsa" e che
sta "tornando indietro". "Dirigo
per Rivoli, fra due minuti vi do
le nuove coordinate". Poi il
silenzio. Alle 11.38 dall'Aeroclub viene segnalata la
scomparsa e si teme una
sciagura: l’aereo, infatti, è
precipitato ad una ventina di
chilometri da Torino sulla
dorsale prealpina, schiantandosi
su un costone immerso nella
nebbia, in località Montagnassa,
a circa 800 metri di altitudine
sulle colline di Piossasco. La
tremenda notizia sconvolge la
Comunità del Calcio. Baretti è
stato un ottimo giornalista e
direttore di Tuttosport, ma
soprattutto un valente dirigente
sportivo nazionale. E’ un lutto
sentito ed una gravissima
perdita per tutto lo Sport
Italiano. Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it |
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8.12.1987 |
Tragedia Aerea
dell'Alianza Lima
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Sud Oceano Pacifico (A
largo di Callao) |
(Deportivo
Pucallpa - Alianza Lima) |
43 Vittime |
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Il 7
dicembre 1987 l'Alianza Lima,
soprannominata Los Potrillos e
considerata una delle migliori
squadre di calcio del Perù in
quel periodo, giunge a Pucallpa
per giocare una partita di
campionato contro il Deportivo.
Nel volo di ritorno, il giorno
dopo, la squadra peruviana sale
a bordo di un fokker F27 della
Marina Militare, affittato dalla
società per l’occasione. L'aereo
era in cattive condizioni di
manutenzione e registrava vari
malfunzionamenti nella
strumentazione di bordo. Alle
20.05 i piloti contattano la
torre di controllo
dell'Aeroporto Internazionale
"Jorge Chávez" di Lima per
chiedere
l'autorizzazione ad
atterrare: permesso accordato
nonostante i problemi con il
sistema d’illuminazione della
pista. Un guasto a bordo getta
nel panico i due piloti,
Edilberto Villar e il vice César
Morales, i quali sbagliano a
consultare il manuale per le
situazioni d’emergenza e,
durante una manovra per tornare
in linea con la pista,
colpiscono il mare con l’ala
destra. L’aereo si inabissa nel
Pacifico, al largo di Callao.
Il bilancio è tragico: su 44
passeggeri si salva solamente
uno dei piloti, il tenente
Villar. Gli altri,
invece, muoiono tutti: i 16
giocatori dell'Alianza Lima, i
componenti dello staff tecnico,
l'altro pilota con l’equipaggio del veivolo, la
terna arbitrale della partita
disputata ed alcuni giornalisti
e tifosi al seguito della
squadra. L’unico sopravvissuto
fu il tenente Edilberto Villar,
protetto in seguito dalla Marina
peruviana che non ha mai
divulgato informazioni
sull’incidente e mai permesso
indagini federali o private.
Ascoltando fonti vicine ai
vertici militari dell'epoca,
molti anni dopo si stabilì per
certo che la tragedia fu
determinata dalla scarsa
esperienza di volo notturno dei
piloti e dalle condizioni del
mezzo che presentava alcuni
problemi meccanici già prima del
decollo.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it |
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7.06.1989 |
Tragedia Aerea del
Colourful 11
|
Paramaribo, Volo Surinam
Airways 764 |
(Tournee in
Suriname) |
176
Vittime |
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La
squadra dell’Het Kleurrijk 11
("l’undici di colore") fu
fondata nel 1986 da un
assistente sociale di Amsterdam,
Sonny Hasnoe, che lavorava da
anni nel ghetto di Bijlmermeer e
condivideva le difficoltà
sociali dell’enorme quartiere.
Credeva al calcio come ad una
possibilità di allontanare i
ragazzi dalla strada, dalla
droga e dalla violenza. Il "Colourful
11" era composto da una
selezione di calciatori
professionisti surinamesi con un
duplice fine: offrire un esempio
positivo alla comunità giovanile
di Bijlmermeer ed una raccolta
di fondi per sviluppare il
calcio surinamese, rimasto ad un
livello amatoriale. L’iniziativa
entusiasmò sia i giocatori che
l’opinione pubblica di Olanda e
Suriname. Tre anni dopo si
organizzò una tournée in
Suriname. Ai calciatori di
origine surinamese più celebri
delle grandi formazioni europee,
Gullit, Rijkaard, Winter, Roy,
Blinker e Gorré, venne impedita
la partecipazione dai rispettivi
club. Alle ore 4.27 del 7 giugno
1989 l’aereo che conduceva il
team ed altri passeggeri
iniziava la sua discesa verso
l’aeroporto di Paramaribo-Zanderij.
La nebbia ed un errore di
manovra del pilota combinarono
l’impatto violento di un’ala
contro un albero: l’apparecchio
capovolgendosi si schiantò al
suolo, spezzandosi e prendendo
fuoco. Dei 187 a bordo, tra
equipaggio e passeggeri, si
salvarono appena 11 persone. Tra
queste i 3 calciatori: Sigi
Lens, Edu Nandlal e Radjin de
Haan.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it |
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27.04.1993 |
Tragedia Aerea dello
Zambia
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Oceano Atlantico, a
largo di Libreville |
(Senegal-Zambia) |
30 Vittime |
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"Nel mondo dello sport tante
sono state le tragedie
legate ai disastri aerei.
Basti pensare alla strage di
Superga che coinvolse il
Grande Torino o, più
recentemente, quella legata
alla squadra di hockey russa
della Lokomotiv Yaroslav,
nel 2011. La più grande
tragedia in questo senso
dello sport africano, è
sicuramente quella che
coinvolse la nazionale di
calcio dello Zambia, il 27
aprile 1993. Partita da
Lusaka, la capitale del
paese, con un volo allestito
dall’aeronautica militare,
la squadra non giunse mai a
destinazione, a Dakar, in
Senegal, per giocare una
gara di qualificazione alla
Coppa del Mondo 1994. Lo
Zambia è una delle nazionali
emergenti del calcio
africano in quegli anni. Ha
fatto un’ottima figura ai
Giochi Olimpici di Seul 1988
venendo eliminata dalla
Germania ai quarti di
finale. Nel girone però
persino l’Italia ne ha fatto
le spese, risultato finale:
4-0 per gli africani.
Davanti gioca un ragazzo
nato il 16 agosto 1963 a
Mufulira, nella Copperbelt
(la regione del rame), al
confine con lo Zaire. Gioca
in Belgio, nel Cercle Brugge
(ma a settembre 1988 vestirà
la maglia del PSV Eindhoven,
fresco campione d’Europa),
si chiama Kalusha Bwalya e
quel giorno contro gli
azzurri segnerà tre gol. I
buoni risultati ottenuti a
Seul si notano anche in
campo continentale. Lo
Zambia arriva terzo
all’edizione 1990 della
Coppa d’Africa ed esce ai
quarti due anni dopo contro
la Costa d’Avorio. Ad
allenare quella nazionale
c’è il miglior marcatore di
tutti i tempi dei
Chipolopolo, i proiettili di
rame (così è soprannominata
la squadra), Godfrey
Chitalu. L’aereo aveva in
programma tre soste previste
per il rifornimento, una a
Brazzaville, in Congo, una a
Libreville, in Gabon e
un’ultima ad Abidjan, in
Costa d’Avorio. Durante il
primo scalo a Brazzaville
viene trovato un problema al
motore. Nonostante questo il
volo continua e dopo pochi
minuti dall’essere ripartito
dal secondo scalo di
Libreville, il motore
sinistro prende fuoco. Il
pilota spegne quindi il
motore destro, causando la
totale perdita di potenza
dell’aereo durante il
decollo dall’aeroporto di
Libreville e la conseguente
caduta in mare a 500 metri
dalla costa. Un rapporto
gabonese sull’accaduto,
rilasciato nel 2003, afferma
che l’errore del pilota è
avvenuto a causa di una luce
d’emergenza difettosa e alla
stanchezza del pilota
stesso. Per tutti i 25
passeggeri e i 5 membri
dell’equipaggio non c’è
nulla da fare. Per il paese
è una tragedia. 18 sono i
giocatori sull’aereo, 5 i
membri dello staff tecnico,
compreso il ct Chitalu,
oltre a loro anche un
giornalista, un dipendente e
persino il presidente della
federazione, Michael Mwape.
All’appello mancano Kalusha
Bwalya, suo cugino Johnson
Bwalya, che gioca in
Svizzera e Charly Musonda,
centrocampista
dell’Anderlecht, non
convocato perché
infortunato. I due cugini
avrebbero invece raggiunto
la squadra con voli in
partenza dall’Europa e in
direzione Dakar, ecco il
perché non erano sull’aereo.
I corpi vengono riportati in
patria e i membri della
nazionale sepolti subito
fuori l’Independence Stadium
di Lusaka, nel cosiddetto
"Cimitero degli eroi". Non
c’è però troppo tempo per
piangere. Lo Zambia ricrea
una nuova squadra e la
affida subito a King Kalu
(come viene chiamato
Bwalya). Nel giro di un anno
si ritrova in finale di
Coppa d’Africa a Tunisi,
contro la Nigeria. Bwalya
trascina la nuova nazionale
a suon di gol, ma non basta.
La Nigeria vince 2-1. I
Chipolopolo tornano a Lusaka
come degli eroi. Cercheranno
di ripetersi in Sudafrica
due anni dopo, ma non
riusciranno nel loro intento
di diventare campioni
d’Africa. Ottengono comunque
un dignitosissimo terzo
posto. Nelle cinque edizioni
successive del torneo
continentale, la nazionale
non riesce mai a superare la
fase a gironi (nel 2004
neppure si qualifica).
Bwalya nel 2003 diviene
allenatore-giocatore,
appende gli scarpini al
chiodo l’anno successivo, ma
resta in carica come ct fino
alla Coppa d’Africa del
2006. Dopo l’uscita al primo
turno, rassegna le sue
dimissioni. Nel 2008 diviene
presidente della
federazione. Da lì le cose
iniziano a cambiare. Nuovo
allenatore è il francese
Hervè Renard, che nel 2010
guida lo Zambia sino ai
quarti di finale, dove viene
eliminato solo ai rigori
dalla Nigeria. Renard pare
l’uomo giusto, ma
nell’aprile 2010, a due mesi
dalla scadenza del
contratto, lascia la carica
di ct. Il nuovo allenatore è
l’italiano Dario Bonetti,
che viene però rilasciato
due giorni dopo aver
centrato la qualificazione
alla Coppa d’Africa del
2012. A questo punto viene
richiamato Renard. La
competizione si gioca,
guarda caso, in Gabon
(Guinea Equatoriale). Lo
Zambia vince il proprio
girone e nel suo percorso
elimina Sudan (ai quarti) e
Ghana (in semifinale). In
finale lo aspetta la
fortissima Costa d’Avorio.
Lo Zambia però è troppo
determinato, la finale si
gioca a Libreville, proprio
dove 19 anni prima successe
quel drammatico incidente
che cambiò la storia del
paese. Guidato dal portiere
Kennedy Mweene, dai fratelli
Chris e Felix Katongo, dal
giovane centravanti Emmanuel
Mayuka e dalla rivelazione
Rainford Kalaba, lo Zambia
se la gioca. Dopo 120’ il
risultato è 0-0, si va ai
rigori. I primi 14 sono
tutti gol. Quando però Kolo
Tourè sbaglia, Kalaba sciupa
la possibilità della
vittoria, ma lo Zambia ha
un’altra chance. Per gli
ivoriani sbaglia anche
Gervinho. Il difensore
Stoppila Sunzu non si fa
sfuggire l’occasione di
diventare l’eroe del paese.
Lo Zambia è campione
d’Africa per la prima volta
nella sua storia, proprio
nel luogo dove quasi 20 anni
prima precipitava l’aereo
della nazionale. I giocatori
rivolgono lo sguardo in
cielo, la dedica della
vittoria è per quegli eroi
scomparsi, dedica che avrà
rivolto anche Kalusha
Bwalya, quando ha sollevato
la coppa come presidente
della federazione".
(Fonte:
Sportsophia.wordpress.com:
Storie di un altro calcio:
Zambia, crollo e
resurrezione di Andrea
Gariboldi 5 agosto 2015)
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22.10.1996 |
Tragedia Aerea
Vice-Presidente
Chelsea |
Middlewich, Caduta
Elicottero |
(Bolton
Wanderers - Chelsea) |
Matthew Charles
Harding
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Cap.
Mick Goss - John Bauldie - Tony
Burridge - Ray Deane |
La sera del 22 ottobre 1996,
quando è ormai archiviato il
pareggio del Chelsea in Coppa di
Lega nella trasferta a Burnden
Park contro il Bolton Wanderers,
il Vice-Presidente del Club
Londinese, Sir Matthew Charles
Harding, sta rientrando a casa
in elicottero. Originario del
Sussex è un uomo della Finanza
di grande successo. Padre di 3
figli, separato dalla moglie
Ruth Harding, ha una nuova
giovane compagna, Vicky
Jaramillo (26 anni), ma è il
calcio la sua passione più
travolgente. Da sempre accanito
sostenitore dei "Blues" il
42enne magnate dell’economia
britannica nel 1994 era stato
invitato dal Presidente del
Club, Ken Bates, ad entrare come
dirigente nel consiglio di
amministrazione del Chelsea ed a
finanziare con milioni di
sterline la ristrutturazione
dell’impianto di Stamford
Bridge, nonché il rafforzamento
della rosa dei calciatori. A
bordo sta volando insieme all’ex
pilota dell’Esercito Michael
Goss (38 anni), agli uomini
d'affari Tony Burridge (39 anni)
e Raymond Deane (43 anni) e al
giornalista John Bauldie (47
anni). È notte mentre sorvolano
il Cheshire, vicino a
Middlewich, il tempo,
inclemente, sta peggiorando
visibilmente e la strumentazione
dell’aeromobile non è dotata del
pilota automatico o dispositivi
di stabilizzazione. Il
conducente, in grave difficoltà,
è andato fuori rotta per la
scarsa visibilità, quindi chiede
ai controllori del traffico
aereo di salire a 3000 piedi e
successivamente il contatto con
l’Aeroporto di Manchester.
Risulterà del tutto inutile: le
proibitive condizioni
atmosferiche sono fatali per il
Twin Squirrel che impatta
schiantandosi su un terreno
agricolo e prende subito fuoco,
non lasciando alcun
sopravvissuto. La tragica
scomparsa di Harding suscita un
grande dolore nel mondo del
Calcio e della Finanza, in
particolare fra i tifosi del
Chelsea che lo ricorderanno come
una leggenda della propria
storia sportiva. Non molto tempo
dopo inizieranno a festeggiare i
primi allori per buona parte
merito degli investimenti e
della competenza di Sir Matthew.
Il Club ne onorerà la memoria
intitolandogli una tribuna dello
Stadio ("Matthew Harding Stand")
dove il suo nome è ancora oggi
cantato in un coro.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it |
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2.05.2007 |
Tragedia Aerea
Vice-Presidente Chelsea |
Wansford, Caduta
Elicottero |
(Liverpool -
Chelsea) |
Philip Carter |
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Cap.
Stephen Holdich - Andrew Carter
- Jonathan Waller |
"Londra - Le squadre di ricerca
britanniche hanno ritrovato il
relitto dell’elicottero che
trasportava Philipp Carter,
milionario e vice presidente
onorario del Chelsea che era
partito da Liverpool dopo aver
assistito alla semifinale di
ritorno della Champions League.
Il velivolo, uno Squirrel
bimotore, era scomparso dai
radar dopo il decollo nella
notte dall’aeroporto "John
Lennon" ed è precipitato.
L’imprenditore, 44 anni, ha un
patrimonio stimato in 92 milioni
di sterline ed è la 770esima
persona più ricca del Regno
Unito secondo la classifica
stilata dal "Sunday Times". A
bordo dell’elicottero, diretto
verso una pista di atterraggio
privata vicino Peterborough
(Cambridgeshire), c’erano
quattro persone. I rottami sono
stati trovati nei boschi vicini
al Cambridgeshire, non distanti
dall’abitazione di Carter a
Thornhaugh. A pilotarlo c’era
Stephen Holdich, comproprietario
della compagnia Atlas
Helicopters. Uno degli altri
passeggeri si chiamava Jonathan
Waller. Sua madre Shirely ha
dichiarato che i soccorritori le
hanno comunicato che il velivolo
è stato ritrovato intatto. Il
Chelsea, che ieri sera è stato
sconfitto ai rigori e non
parteciperà dunque alla finale
di Atene, ha otto vice
presidenti onorari. Le prime
informazioni avevano ipotizzato
la presenza di dirigenti a
bordo. Carter è fondatore e
amministratore delegato della
"Carter & Carter", una società
di formazione in grande
espansione. È stata un’esponente
della compagnia, Faye Adkin, a
riferire che l’elicottero
trasportava Carter, insieme con
il pilota e due o tre
passeggeri, quando è scomparso
dai radar. Nell’ottobre 1996, il
vice presidente dei Blues
Matthew Harding e altre quattro
persone persero la vita nel
viaggio di ritorno dopo una gara
contro il Bolton Wanderers di
Coppa di Lega inglese.
Viaggiavano su uno Squirrel
bimotore, che precipitò in un
terreno agricolo vicino
Middlewich (Cheshire)".
Fonte: Ilgiornale.it -
2.05.2007 ("Londra, trovati i
resti dell'elicottero scomparso:
a bordo vicepresidente Chelsea") |
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3.06.2007 |
Tragedia Aerea dei Dirigenti
del Togo |
Sierra Leone, Freetown -
Lungi |
(Sierra Leone -
Togo) |
22
Vittime |
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E’
il 3 giugno 2007 e si è appena
disputata la partita del girone
di qualificazione alla Coppa
d'Africa di Ghana 2008, vinta
1-0 dal Togo in trasferta contro
la Sierra Leone. Alcuni tifosi e
funzionari della delegazione
sportiva togolese, tra cui il
Ministro della Gioventù e dello
Sport, Richard Attipoé, salgono
su un elicottero-navetta Mi-8
della compagnia Paramount
Airlines, utilizzato per il
trasporto dei passeggeri
sorvolando un braccio di mare
che divide Freetown, capitale
della Sierra Leone,
dall’aeroporto internazionale di
Lungi. Nella fase di atterraggio
l'elicottero prende fuoco e
precipita. Sopravvive al
disastro soltanto il pilota di
nazionalità russo, ma ferito e
ricoverato in gravissime
condizioni. Fra le vittime
spicca la presenza della
giornalista Olive Messan Amouzou,
la prima donna ad aver diretto
una radio in Togo.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
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20.06.2011 |
Tragedia Aerea,
Arbitro FIFA |
Petrozavodsk
(Russia), Caduta Jet |
(Dinamo
Mosca - Rubin Kazan) |
Vladimir
Leonidovich Pettay |
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20 giugno 2011 (Ore 23:40
locale): drammatico incidente in
Russia durante il volo di linea
della RusAir 9605 tra gli
aeroporti di Mosca Domodedovo e
di Petrozavodsk. Un jet (Tupolev
TU-134A marche RA-65691)
precipita in fase di atterraggio
schiantandosi sull’autostrada
A133, a 1.200 metri
dall’aeroporto di Petrozavodsk
in Carelia, causando 47 morti e
5 feriti gravi. Ne resta
coinvolto anche l’arbitro
internazionale Vladimir Pettay,
nato a Pudozh l’8 maggio 1973.
Dal 1992 calciatore di futsal in
Petrozavodsk, ha incominciato la
sua lunga carriera di arbitro
della Federazione Calcistica
Russa nel 1996, laureandosi
direttore di gara della FIFA nel
2010. Sposato con 2 figli,
rientrava a casa dopo aver
diretto il match del campionato
di massima serie Dinamo Mosca -
Rubin Kazan. Il presidente della
Fifa, Joseph Blatter, ha inviato
una lettera di condoglianze alla
Federazione Russa e alla
famiglia per la sua scomparsa.
L’aereo ospitava 43 passeggeri e
9 membri dell'equipaggio. per
un totale di 52 persone. In 47
perdono la vita mentre 5
riportano ferite molto gravi e
vengono trasportati per
l’assistenza medica
specialistica a Mosca. Soltanto
una fra le hostess è riuscita a
salvarsi. Diverse le ipotesi sul
disastro, causato molto
probabilmente da un errore umano
in fase di approccio alla pista.
Probabilmente la fitta nebbia
può aver fatto scambiare
all’equipaggio le luci
dell'autostrada per quelle della
pista di atterraggio. Dai
rilevamenti dell’Agenzia
d’investigazione, peraltro,
viene accertato che il velivolo
volava fuori rotta di circa 200
metri e prima di urtare un
grosso pino alto 15 metri non
aveva incendi in atto a bordo.
Dall’esame delle scatole nere
recuperate fra i rottami si è
evinto come i piloti avessero
perso il contatto radio con la
torre di controllo pochi istanti
prima dello schianto. La
combinazione di condizioni
meteorologiche avverse
(visibilità resa inferiore alla
minima consentita per
l'atterraggio) e la scelta di
affidarsi ad un sistema di
navigazione satellitare (non
approvato per il Turpolev) in
luogo della rotta tracciata dal
primo ufficiale, quasi
certamente hanno causato la
sciagura.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it |
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28.11.2016 |
Tragedia
Aerea della
Chapecoense
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Medellìn, Finale "Copa Sudamericana" |
(Atletico
Nacional - Chapecoense) |
71 Vittime |
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Il 28 novembre 2016 la
squadra brasiliana della
Chapecoense è diretta in
Colombia a Medellin dove
il giorno dopo dovrà
disputare l'andata della
finale della "Copa
Sudamericana" contro
l'Atletico Nacional. A
bordo del volo "LaMia
Airlines 2933" ci sono
77 passeggeri fra
calciatori, dirigenti e
membri dello staff
tecnico, invitati
speciali della squadra,
giornalisti e membri
dell'equipaggio.
Viaggiano sul
quadrimotore Avro RJ85,
utilizzato come charter
della compagnia LaMia
fra l'aeroporto
Internazionale Viru Viru
in Bolivia e quello di
Rionegro-José María
Córdova in Colombia.
L’aereo era decollato
alle 18.18 con quasi
un'ora di ritardo
rispetto al piano di
volo che prevedeva uno
scalo tecnico
all'Aeroporto di Cobija
per un rifornimento di
carburante. Il
comandante, invece,
punta direttamente alla
destinazione perché
aggiungendo il tempo
della sosta avrebbe
trovato chiuso
l'aeroporto di Rionegro.
Alle ore 22.00 mancano
poche decine di Km alla
meta e il velivolo
incomincia la discesa,
segnalando ai
controllori di volo
dell'aeroporto di
Medellin di avere dei
problemi all’impianto
elettrico e scarso
rifornimento. La torre,
però, li mette in
circuito di attesa,
dando priorità ad un
altro volo con sospetta
perdita di carburante.
Dopo due giri l’aereo
comincia a perdere quota
notevolmente e scompare
dai radar: è precipitato
sul fianco di una
montagna in zona "Cerro Gordo" nella
municipalità di La Unión.
I soccorritori
cominciavano a
scandagliare l'area
intorno alla zona
sorvolata durante
l'ultimo contatto radio
con i piloti. Le
condizioni di visibilità
sono molto precarie a
causa di una fitta
nebbia e s’imbattono nel
relitto soltanto dopo
due ore dall’incidente.
Lo scenario è veramente
spettrale, i particolari
si possono immaginare
senza bisogno di crude
descrizioni, ma dai
rottami del velivolo si
riescono ad estrarre
alcuni sopravvissuti.
Fra loro anche il
portiere della squadra
Danilo Helio Neto che
morirà, purtroppo, nel
tragitto verso
l’ospedale. Fra gli
altri calciatori feriti,
Alan Luciano Ruschel
viene operato
d'urgenza per traumi
multipli e una frattura
alla colonna vertebrale
mentre l’altro portiere,
Jackson Ragnar Follman,
è in prognosi riservata
e gli viene amputata una
gamba. Per ultimo
recuperato il difensore
Hélio Hermito Zampier
Neto che nonostante le
escoriazioni e le tante
ferite se la caverà. Al
risveglio dalla
sedazione gli
comunicheranno
dell’incidente e lui
dirà alla psicologa al
suo capezzale di averlo
sognato la notte
precedente e che la
moglie lo sapeva.
L'assistente di volo
Ximena Suárez resta
sotto osservazione
mentre il giornalista
Rafael Henzel ha un
trauma al torace e una
frattura alla gamba
sinistra.
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Le reazioni in tutto il
mondo sono di grande
cordoglio per la
formazione brasiliana.
In Italia fra tutti
spicca il messaggio di
"fraterna" vicinanza del
Torino Football Club che
fu segnato nella sua
gloriosa storia dalla
tragedia di Superga del
4 maggio 1949. In
Brasile è proclamato dal
Presidente Michel Temer
per tre giorni il lutto
nazionale e la bandiera
viene issata a mezz'asta
sul Palazzo del
Congresso Nazionale di
Brasília. La
Confederación
sudamericana de Fútbol e
la CBF comunicano il
rinvio di tutte le
attività sportive in
calendario. La squadra
colombiana dell'Atlético
Nacional, avversaria
della finale di
Medellin, presenta una
richiesta ufficiale alla
CONMEBOL di assegnazione
ad honorem della Coppa
Sudamericana alla
Chapecoense in memoria
delle vittime
dell'incidente. Toccante
la cerimonia dei
funerali solenni per 50
delle 62 vittime alla
presenza di 100.000
spettatori il 3 dicembre
2016 sotto una pioggia
incessante e a cielo
aperto nell’Arena "Condà"
di Chapecò, località
dello stato di Santa
Catarina. I feretri
ricevono gli onori
militari, davanti al
Presidente della
Repubblica Temer,
portati a spalla da
soldati dell’Esercito
attraversando il campo
tra due ali di lancieri
con le insegne della
squadra bianco-verde.
Straziante l’immagine
del figlio di un
calciatore seduto a
terra davanti alla bara
del padre con le spalle
coperte dalla bandiera
della squadra e la sua
foto tenuta stretta al
petto. Al termine
dell’estremo saluto il
rimpatrio dei corpi nei
paesi di origine.
Sull’incidente indaga
l'Aviazione Civile
Colombiana che già la
mattina seguente ha
periziato il luogo del
disastro aereo non
trovandovi tracce di
combustibile e
recuperando le scatole
nere in buone
condizioni. Sembra
prevalere da subito fra
le varie ipotesi
dell’investigazione la
tesi della mancanza di
carburante come causa
principale della caduta,
in base anche alla
testimonianza
dell'assistente di volo
sopravvissuta. Una volta
chiuse le indagini
sull’incidente
riferiscono non di un
"problema tecnico", ma
soltanto di "errori
umani": oltre al
carburante non
sufficiente l’aereo
viaggiava con un peso
eccessivo. Nell’audio
registrazione della
cabina i due piloti
parlano di uno scalo per
rifornimento, ma alla
fine decidono di non
deviare la rotta e in un
altro messaggio audio si
sente distintamente la
voce del pilota che
chiede di atterrare per
mancanza di carburante e
un "black out
elettrico". Fra l’altro,
la non esplosione al
momento dell'impatto che
causa la morte di 71
persone e il ferimento
dei 6 sopravvissuti
conferma proprio la
carenza di carburante a
bordo. Gravissime le
conseguenze per la
compagnia aerea LaMia,
cui viene sospeso il 2
dicembre 2017 il
certificato di operatore
aereo dal ministero dei
servizi pubblici
boliviani. Il governo
boliviano sospende anche
Cesar Varela (Direttore
dell'autorità per
l'aviazione civile
boliviana), Tito
Gandarillas (Presidente
dell'AASANA, equivalente
boliviano dell'ENAV) e
Gustavo Vargas Villegas
(Responsabile del
registro aereo della
DGAC, e figlio di uno
dei fondatori della
compagnia aerea). Dopo
quasi 2 mesi dalla
tragedia Vágner Mancini
subentra a Luis Carlos
Saroli, perito nel
disastro aereo, come
nuovo allenatore. I
giocatori superstiti
assieme ai nuovi
calciatori della squadra
tornano in campo per
un'amichevole contro il
Palmeiras. Prima del
fischio d'inizio, la
Chapecoense riceve in
premio la Coppa
Sudamericana ed al 71'
del secondo tempo la
partita viene fermata
per la commemorazione
delle 71 vittime.
Fonti:
Saladellamemoriaheysel.it
- Wikipedia.org
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27.10.2018 |
Tragedia Aerea
Presidente Leicester |
Leicester, "King
Power Stadium" |
(Leicester -
West Ham) |
Vichai
Srivaddhanaprabha
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Eizabela Roza Lechowicz
-
Kaveporn Punpare
-
Nursara Suknamai
-
Eric Swaffer |
Al "King Power
Stadium" da un’ora si è
conclusa in parità (1-1)
la sfida casalinga del
club contro il West-Ham.
Al centro del campo di
gioco è pronto il
maestoso Augusta
Westland 169 blu e
bianco, griffato con la
Volpe in coda, simbolo
del club, l’elicottero
privato che veicola gli
spostamenti del
miliardario Presidente
del Leicester Vichai
Srivaddhanaprabha. A
bordo, oltre al 1°
pilota Eric Swaffer ed
alla sua compagna,
Izabela Roza Lechowicz,
co-pilota, assieme al
magnate del King Power
(la più grande catena di
negozi duty free della
Thailandia) altre 2
persone: la giovane
Nusara Suknamai ed un
membro dello staff,
Kaveporn Punpare. Alle
20.17 l’elicottero
decolla, sbuffando con
una fumata bianca ed
elevandosi lentamente di
alcune decine di metri
da terra, ma un problema
improvviso al rotore di
coda lo fa avvitare su
sé stesso e precipitare.
Solo l’eroismo del
pilota o forse un caso
evitano di farlo cadere
sopra lo stadio,
dirottato, invece, sul
parcheggio auto dello
staff, fortunatamente
vuoto, dove si schianta
con un boato in una
palla di fuoco.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
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21.01.2019 |
Tragedia Aerea
di Emiliano Sala |
Guernsey, Canale della
Manica |
(Trasferimento
del Calciatore al
Cardiff) |
Emiliano Sala -
Cap.David Ibbotson
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Lunedì 21.01.2019 Emiliano
Sala si trova alla
Jonelière, il centro di
allenamento del Nantes, dove
si è recato a prendere le
sue ultime cose ed a
salutare gli ex compagni di
squadra prima di imbarcarsi
verso Cardiff, dove ha
firmato pochi giorni prima,
per la cifra record di 17
milioni di euro, un
trasferimento al club
gallese del Cardiff. Nel
messaggio vocale inviato ad
un suo amico su WhatsApp
l'attaccante argentino
esprime qualche
preoccupazione per le
condizioni del Piper Malibu
affittato privatamente che
dovrà portarlo in
Inghilterra nel pomeriggio,
attraversando il canale
della Manica. Nell’ultimo
audio dirà quasi
scherzosamente: "Sono qui a
bordo dell'aereo che sembra
andare in pezzi, e vado a
Cardiff. Se tra un'ora e
mezza non hanno nessuna mia
notizia, non so se
manderanno qualcuno a
cercarmi perché non mi
troveranno. Papà ! Che paura
che ho". Come per un triste
presagio senza nessuna
chiamata di soccorso Il
velivolo scompare dai radar
al largo della costa bretone
sul Canale della Manica (a
Nord dell'isola di Alderney,
a Ovest del faro di
Casquets, 12 chilometri a
nord dell'isola di
Guernsey), interrompendo le
comunicazioni. La polizia in
un primo momento non esclude
il salvataggio, ma di ora in
ora i ricercatori non
ripongono più speranze di
trovarlo vivo perché le
possibilità di sopravvivenza
"sono estremamente remote" e
vengono sospese le ricerche
dei naufraghi al buio.
Avendolo allenato una
stagione al Nantes,
l’allenatore romano Claudio
Ranieri commenta: "È un
fantastico giocatore che ha
sempre dato il suo meglio
quando abbiamo lavorato
assieme in Francia. Come
tutti sono rimasto sconvolto
dalla notizia che Emiliano
era su quell'aereo. Emiliano
è una bellissima persona, un
guerriero in campo. Prego
per lui e per la sua
famiglia". Intanto, si spera
ancora… Magari che siano
atterrati altrove e che non
abbiano stabilito i contatti
o che siano stati recuperati
da una imbarcazione o
ammarati usando la zattera
di salvataggio in dotazione
al velivolo. Certamente
l'aereo si deve essere
spezzato al contatto in
mare. Nella ricerca sono
impegnati per 80 ore, 3
aerei, 5 elicotteri e 2
imbarcazioni che setacciano
la distanza con l’ausilio
delle immagini satellitari e
dei dati telefonici
cellulari. Vengono anche
avvistati alcuni oggetti nel
tratto di mare battuto ma la
Capitaneria di Porto e gli
organi di Polizia di
Guernsey dichiarano che "non
si può stabilire con
certezza se essi siano
associabili all'areo
scomparso". La notizia della
scomparsa piomba sui due
club attori nella
compravendita del calciatore
come una mannaia. Per prima
cosa sono rinviate due
partite consecutive del
Nantes. Oltre David
Ibbotson, 60enne pilota
inglese, padre di tre figli,
al comando dell’aereo, si
pensava fosse a bordo anche
David Henderson, il quale,
invece, conferma di essere
vivo con un messaggio sui
social e viene ascoltato
dagli inquirenti. La
fidanzata del giovane
attaccante, Berenice
Schakir, lancia pesanti
accuse e sospetti sui
social, denunciando
l’interruzione delle
ricerche dei dispersi
all’avvistamento dei primi
detriti come prova fondata
che l’incidente fosse stato
architettato dalla "mafia
del calcio". Un teorema
allucinante… Il padre di
Emiliano, Horacio Sala, non
perdendo le speranze,
racconta al canale C5N della
televisione argentina
l’incubo nel quale sta
vivendo con la sua famiglia
che non si arrende e si
adopererà per continuare le
operazioni di ricerca in
forma privata. Al loro
fianco si mobilitano alcuni
big del calcio, fra i quali
Balotelli, Dybala e Messi. A
Progreso, paese natio
dell'attaccante, va in scena
una manifestazione di
solidarietà. Da più parti
s’invoca di riprendere
immediatamente le ricerche
di Emiliano nella Manica con
le barche e i sommozzatori.
La mamma, Mercedes Karina e
altri amici del ragazzo,
partono per l'Europa mentre
la sorella Romina è già a
Cardiff per seguire da
vicino le notizie. Visitando
l'esterno dello stadio del
Cardiff, dove i tifosi hanno
lasciato sciarpe, bandiere,
fiori, messaggi di speranza
e d'affetto, dichiara
commossa alla stampa:
"Ovviamente sono ancora in
stato di shock, ma tutta
questa dimostrazione
d’affetto dei tifosi non può
che darmi qualche speranza
in più, anche perché noi
siamo convinti che Emiliano
e il pilota siano ancora
vivi. La reazione delle
persone sui social è stata
incredibile e ci è stata di
grande conforto, ma vogliamo
continuare a cercarlo, anche
di persona. L’unica cosa che
voglio dire è un grazie a
tutti quelli che sono
coinvolti in questa storia e
ai giocatori in particolare.
Siamo veramente grati per il
supporto ricevuto in questi
ultimi giorni. Siamo venuti
qui per trovare Emiliano,
noi siamo sicuri che lui sia
da qualche parte e andremo a
cercarlo. Voglio trovare mio
fratello. Sono sicura che ci
riuscirò. Emiliano è un
guerriero. Ha iniziato a
giocare a calcio quando era
molto piccolo, la sua
carriera è stata dura perché
ha dovuto viaggiare molto
già a partire dai 15 anni. È
un uomo davvero umile, un
ragazzo di famiglia. Gli
piaceva scherzare. Quando
Emiliano tornerà, sarà
felice nel vedere tutto
l'appoggio e l'affetto che
la gente gli ha riservato".
Su Change.org una petizione
raccoglie decine di migliaia
di firme in poche ore. Le
due società calcistiche,
Nantes e Cardiff,
indecentemente, mentre
ancora non si conosce la
sorte del 28enne calciatore
argentino, sortiscono un
indegno braccio di ferro
mediatico sulla questione
della validità del contratto
e sugli eventuali
indennizzi.
Il Nantes si tutela
dichiarando per bocca del
suo presidente Waldemar Kita
che non era più un loro
giocatore. Il Cardiff, per
contro, non è intenzionato a
pagare l’ingente cifra del
trasferimento. Rincarando la
dose, il presidente del club
gallese, Mehmet Dalman, ai
microfoni di Sky Sports
scarica addirittura tutte le
responsabilità dell’accaduto
sul giocatore, sostenendo
che la società aveva
previsto ufficialmente per
lui un viaggio in treno da
Nantes a Parigi e poi da
Parigi a Heathrow, ma che
rifiutandolo "Emiliano aveva
preferito organizzarsi per
conto suo". Sul caso
economico avrà certamente un
ruolo decisivo la Fifa. Intanto,
consultando i registri della
Federal Aviation
Administration, si scopre
che il pilota David
Ibbotson, originario di
Crowle, aveva superate le
visite mediche di idoneità
lo scorso novembre ed era in
possesso di una licenza
privata, ma che secondo le
leggi USA non avrebbe potuto
trasportare passeggeri.
Nell’indagine emerge pure
una conversazione in cui
confessava candidamente ad
un amico di sentirsi un po’
"arrugginito" con le
procedure strumentali nella
fase di atterraggio. Per
certo quel Piper Malibu, un
monomotore registrato negli
Stati Uniti, era il velivolo
meno adatto ad un viaggio di
notte, in pieno inverno ed
in mare aperto, anche con un
solo passeggero a bordo.
Scavalcando lo stallo ai
soccorsi delle autorità
britanniche, la solidarietà
di una raccolta fondi
mobilita oltre 1.600 persone
e in poche ore sono raccolti
192mila euro. La famiglia
utilizza queste offerte
ingaggiando privatamente
un'unità specialistica di
naufragi della società Blue
Water Recoverie guidata
dall'oceanografo
angloamericano David Mearns.
Due imbarcazioni partono
dalla costa inglese verso la
zona delle acque a Nord di
Guernesey. Alla nave FPV
Morven composta da sette
persone che opererà 24 ore
su 24 si affianca la Air
Accidents Investigation
Branch, struttura
investigativa britannica.
Quest’ultima comunica
di essere stata informata
dai colleghi francesi del
ritrovamento su una spiaggia
vicino Surainville, nella
penisola Cotentin, dei resti
di due sedili di un
velivolo. Si crede "molto
probabile che siano
dell'aereo disperso su cui
era l'argentino". Nella nota
diramata dall’ufficio
investigativo si annuncia la
ricerca subacquea del
relitto dell'aereo
scandagliando a mezzo sonar
una superficie di circa 13
km quadrati. Il 4 febbraio,
a due settimane
dall’incidente aereo, il
corpo di una persona viene
fotografato da un robot
subacqueo all'interno del
relitto di una fusoliera
aerea localizzata sul
fondale marino dall’AAIB. La
notizia prepara tragicamente
al peggio le famiglie delle
due vittime.
Dopo alcuni
tentativi, un
minisommergibile in
dotazione alla nave oceanica
"Geo Ocean III" riesce a
recuperare pietosamente il
cadavere incastrato nei
rottami del Piper Malibu
adagiato ad una settantina
di metri di profondità, ma
non vi è traccia alcuna
dell’altro corpo sul fondo
della Manica. Si ritiene
possa essere stato portato
via dalle correnti dopo
l'affondamento.
Proseguiranno per giorni le
sue ricerche, finanziate da
una generosa raccolta fondi.
Grazie al Dna fornito dai
familiari
all'anatomopatologo legale
di Portland Port viene
identificato il corpo
ripescato: è quello di
Emiliano Sala, lo riferisce
ufficialmente la polizia di
Dorset. Fatali le ferite
alla testa e al torace nel
decesso secondo l’esame
autoptico. Il lutto atroce
scuote l’Argentina, in
particolare Progreso, il
piccolo villaggio agricolo
della Pampa di cui Sala era
originario. Gli inquirenti
accertano fra le cause
dell'incidente avvenuto al
Piper PA-46 Malibu due
errori del pilota, di cui
uno molto grave che potrebbe
spiegare la tragedia. Il
primo di tipo burocratico
nella fase di registrazione
del volo: il pilota ha
comunicato un numero
identificativo del volo
sbagliato, o meglio, ha
invertito due cifre del
codice, riportandolo in
maniera erronea su alcuni
documenti. Il secondo,
probabilmente decisivo, che
può aver determinato il
tragico finale: una modalità
di volo non consona alle
condizioni meteorologiche in
essere già al decollo.
Invece di utilizzare l’IFR,
un sistema di regole
strumentali in condizioni di
scarsa visibilità, Ibbotson
si sarebbe affidato
fatalmente al solo utilizzo
della propria vista. Nel
primo report dell’AAIB
sull’incidente risulta
accertato che il pilota non
era in possesso di una
licenza regolare per
trasportare passeggeri e che
il Piper Malibu era
sprovvisto
dell’autorizzazione al volo.
A distanza di qualche mese
dall’incidente sua madre non
riesce a darsi pace,
recriminando: "Provo
tristezza e dolore, ma anche
ira. Avevo parlato con
Emiliano prima che salisse
in aereo e gli dissi che
l’avrei richiamato una volta
arrivato in hotel a Cardiff.
Un paio d’ore dopo ho
tentato di raggiungerlo, ma
non rispondeva. Ho riprovato
mezzora più tardi, niente.
Allora ho chiamato l’agente
che mi ha detto che l’aereo
era disperso. Non si sono
presi cura di lui, nel modo
in cui si deve fare per un
giocatore da 17 milioni. Ci
aspettiamo di capire perché
e come Emiliano sia morto,
se è colpa di una negligenza
dell’aeroporto, del pilota,
dell’intermediario. Il
Cardiff ? Nessuno ci ha
chiamato, posso capire
vogliano avere tutte le
informazioni, ma ad un certo
punto bisognerà darci una
risposta perché non si può
cancellare una firma. Oggi
siamo in preda alla collera
ma anche della tristezza che
durerà per tutta la vita".La Bbc nel mese di marzo
rivela, secondo alcune sue
fonti investigative private,
che il pilota David Ibbotson
non avesse l'autorizzazione
al volo notturno poiché
affetto da daltonismo
(difetto della vista che non
fa distinguere tra luci
rosse e verdi al buio). Nel
mese di aprile 2019 la
famiglia Sala piange un
altro gravissimo lutto: tre
mesi dopo la morte di
Emiliano, un infarto stronca
la vita del padre Horacio
all’età di 58 anni. E come
se non bastasse nei giorni a
seguire si apprende la
notizia di un uomo e di una
donna (62 e 48 anni)
arrestati già dal 18
febbraio dalla polizia del
Wiltshire con l’accusa di
aver diffuso su Twitter le
foto scattate all'obitorio
della Holly Tree Lodge in
Bournemouth dei resti della
salma del giovane calciatore
dopo il recupero in mare.
Nelle indagini sul caso nel
mese di giugno viene fermato
e poi rilasciato David
Henderson, l’uomo di 64 anni
che avrebbe dovuto pilotare
l’aereo da Nantes a Cardiff
e che in un primo momento
era stato dato per disperso
prima che fosse lui stesso a
smentirlo su facebook. Nel
mese di agosto 2019
l'agenzia investigativa
dell'Air Accidents
Investigation Branch
Britannico (AAIB) rivela il
contenuto delle analisi
tossitologiche effettuate
sul corpo di Emiliano Sala
secondo le quali risulta
aver inalato una quantità
letale di monossido di
carbonio. "L'alta
concentrazione di monossido
- cita il rapporto -
potrebbe essere stata
causata dal motore a
pistoni, operante in un
sistema esausto. Anziché
essere espulso attraverso il
sistema di scarico, il
monossido è penetrato nel
sistema di ventilazione e da
qui nella cabina, che non è
separata dall'abitacolo".
Quindi, anche il pilota,
David Ibbotson, a causa del
gas sarebbe svenuto alla
guida del Piper e non
avrebbe potuto evitare la
caduta in mare. In seguito
agli aggiornamenti del caso
la famiglia del calciatore
chiederà il ripescaggio dei
rottami del velivolo.
Mentre Nantes e
Cardiff continuano a
litigare sul pagamento dei
17 milioni di euro per il
trasferimento del
calciatore, siglato nel
contratto solo 2 giorni
prima dell'incidente aereo,
nonostante un primo
tentativo di mediazione
della FIFA, Sherry Bray e
Christopher Ashford sono
condannati a 14 e 5 mesi di
reclusione per aver scattato
delle immagini del video
dell'autopsia del calciatore
senza autorizzazione. La
donna, titolare della
società fornitrice delle
telecamere di sorveglianza
dell’obitorio e l’uomo, un
suo dipendente, secondo i
giudici avrebbero agito per
"morbosa curiosità". Il 31
ottobre 2019 sarebbe stato
il 29° compleanno di
Emiliano. In sua memoria il
club calcistico di San
Martín de Progreso gli
intitola lo stadio mentre
nella sua città natale viene
realizzato un murales con le
immagini dei suoi goals in
Ligue 1. La Fifa rende note
in un comunicato le
motivazioni del verdetto sul
contenzioso fra i club per
il pagamento del
trasferimento del
calciatore: il Cardiff dovrà
corrispondere al Nantes
entro 45 giorni la prima
rata da 6 milioni, poiché
ritiene valida a tutti gli
effetti la compravendita di
calciomercato. Il club
gallese ricorre al Tas di
Losanna. All’inizio del
2020, ad un anno
dall’incidente mortale, la
controversia
economico-legale è
tutt’altro che archiviata.
Il Cardiff, secondo una
inchiesta del giornale
L’Equipe: "avrebbe fatto
causa verso ignoti
ipotizzando uno stato di
colpevolezza da parte del
club francese e del suo
presidente". Anche il
Guardian, rincarando la
dose, sostiene che nel caso
essi fossero stati a
conoscenza dello spostamento
del calciatore potrebbero
incorrere nell’accusa di
omicidio colposo.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
(© Fotografie: Ilmattino.it -
Nst.sky.it - Lagoleada.it)
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24.01.2021 |
Tragedia Aerea
del Palmas |
Luzimangues
(Puerto Nacional) |
(Vila
Nova - Palmas) |
Pres. Lucas Meira
-
Cap. Wagner |
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Lucas Praxedes (23) -
Guilherme Noé (28) - Ranule (27)
- Marcus Molinari (23) |
Gennaio 2021, ancora
una squadra di football
brasiliana, a poco tempo
dalla tragedia della
Chapecoense che il 28
novembre 2016 perse 19
membri del suo staff in
Colombia, piange la
scomparsa di alcuni
calciatori del suo team.
Si tratta del Palmas
Futebol e Regatas,
formazione carioca
fondata nel 1997 nella
omonima capitale statale
del Brasile (228mila
abitanti, la più
piccola, fondata nel
1990 quando da una
regione del Goioas venne
formato il nuovo Stato
di Tocatins nel Brasile
settentrionale) che
milita nel campionato di
quarta divisione
nazionale. Un gruppo
distaccato di 4 atleti,
data la positività al
Covid-19 di 3 fra loro
che già avevano saltato
la partita precedente
contro il Real Noroeste,
era in attesa di
espletare nuovi
controlli sanitari
sottoponendosi al
tampone naso-faringeo.
Successivamente
avrebbero potuto
raggiungere su un
piccolo velivolo il
resto della squadra in
trasferta a Goiânia, 820
chilometri a sud nel
Centro-Ovest del
Brasile, in occasione di
un incontro valevole per
la "Coppa Verde" contro
i locali del Vila Nova,
programmato per il
giorno successivo alle
ore 16 nello stadio Oba.
Questa manifestazione
sportiva permette ai
vincitori di accedere
alla terza fase della
Coppa del Brasile. Un
aereo noleggiato dal
club li attende a Porto
Nacional (un comune a
circa 60 km a sud di
Palmas, conosciuto anche
col nome di Puerto das
Balsas) sulla pista
dell’aeroporto privato
nel distretto di
Luzimangues, sede
dell’Associação
Tocantinense de Aviação.
A bordo salgono i 4
calciatori: il terzino
sinistro Lucas Praxedes
(23 anni), il difensore
Guilherme Noé (28 anni),
il portiere Ranule (27
anni), la mezzala Marcus
Molinari (23 anni,
figlio dell’ex giocatore
dell’Atlético Mineiro
Marinho). Assieme a loro
il presidente del club
Lucas Meira (32 anni) e
il pilota dell’aereo, il
comandante Wagner. Alle
ore 8.15, a pochi metri
dal decollo, per cause
non bene accertate,
l’aereo Beechcraft
95-B55 Baron (marche
PT-LYG) precipita in un
boschetto limitrofo alla
pista, schiantandosi al
suolo e non lasciando
superstiti nel rogo.
Sgomento nel piccolo
club dilettantistico che
sui social network
condivide le immagini
dell'ultimo allenamento
ed emette scioccata
questa breve nota: "Il
Palmas Futebol e Regatas
informa che intorno alle
8:15 di questa domenica
24, c’è stato un
incidente aereo che ha
coinvolto il presidente
del club Lucas Meira,
mentre stava decollando
verso Goiânia per la
partita tra Vila Nova vs
Palmas di lunedì 25,
valida per la Green Cup.
Sull’aereo, Lucas era
con il Comandante Wagner
e gli atleti Lucas
Praxedes, Guilherme Noé,
Ranule e Marcus
Molinari. Il velivolo è
decollato e si è
schiantato alla fine
della pista
dell’Associazione
dell’aviazione
Tocantins, non ci sono
sopravvissuti. In questo
momento di dolore e
sgomento, il club chiede
preghiere per i parenti
ai quali fornirà il
necessario supporto, e
sottolinea che al
momento opportuno
verranno forniti
ulteriori dettagli".
Solidarietà tempestiva
della squadra avversaria
del Vila Nova che oltre
al rinvio della partita
si mette a disposizione
del Palmas "per
qualunque genere di
aiuto".
Il presidente
Meira, fra le vittime,
era un industriale del
posto appassionato di
calcio che aveva guidato
alla vittoria di alcuni
campionati regionali
questa formazione.
Nell’albo d’oro del club
sette campionati dello
Stato del Tocantins e
nel 2004 la
qualificazione ai quarti
di finale della Copa do
Brasil. La nazione
sudamericana è
nuovamente ferita e la
notizia in brevissimo
tempo compie il giro del
mondo. Sono i club
colpiti dalla stessa
sciagura proprio i più
sensibili, in
particolare giunge il
messaggio di cordoglio
via twitter della
Chapecoense: "È con
profonda tristezza che
abbiamo ricevuto la
notizia dello schianto
dell'aereo in cui sono
morti gli atleti e il
presidente. Purtroppo
sappiamo com'è questo
momento di dolore
insormontabile per
perdite irreparabili e
vorremmo che nessun
altro dovesse provare lo
stesso. Di fronte a
questo esprimiamo il
nostro sentimento di
forza e la nostra totale
solidarietà con
familiari, amici,
compagni di squadra e
tifosi. Non sarete mai
da soli. #ForçaPalmas".
In Italia, primo per
sensibilità, il Torino
che nel 1949 aveva visto
annientare la sua
leggenda sportiva sul
colle di Superga:
"profondamente commosso,
si stringe con affetto
al Palmas e partecipa al
dolore delle famiglie
colpite dalla tragedia
aerea. Vi siamo
fraternamente vicini.
#ForçaPalmas".
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
(© Fotografie:
Br.pinterest.com - S2.glbimg -
Messaggero.it -
Gazzetta.it)
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