Il cielo dell’Africa
di Walter Panero
In una stanza d’albergo
ad Eindhoven (Paesi Bassi). 28
aprile 1993, ore 18.30. Il
Capitano ed il dirigente.
L’uomo
osserva l’orologio. I suoi
compagni sono in volo e
dovrebbero essere quasi arrivati
ormai. Un viaggio lungo, più
lungo di quello che dovrà fare
lui domani per raggiungerli.
Avrebbe voluto tornare a casa
prima per volare con loro, visto
che è il Capitano della squadra.
Ma lui gioca in Europa da
diversi anni, è un
professionista, e quella di
stasera è una partita davvero
molto importante per il suo
club; per questo i suoi
dirigenti hanno deciso di
trattenerlo. Partirà domani, col
primo volo. E tutto sommato non
gli è andata male, visto che
impiegherà meno tempo lui per
raggiungere Dakar dei suoi
compagni che devono fare ben
quattro scali. Vuole bene alla
squadra per la quale gioca ormai
da quattro stagioni, fin da
quando si fece notare segnando
tre gol nientemeno che
all’Italia alle Olimpiadi di
Seul. Gli piace l’Europa, perché
lì si respira aria di grande
calcio. Ma questa non è casa
sua. E non lo sarà mai, perché
per lui casa è da un’altra
parte. Da un’altra parte c’è la
sua gente. Quella che lo
accoglie da re ogni volta che se
ne torna là. Quella che lo ferma
per strada. Quella che lo tratta
come un eroe. L’uomo ha appena
finito di preparare il borsone
per la partita di stasera. Tra
pochi minuti arriverà qualcuno,
busserà alla porta, e vorrà dire
che sarà tempo di partire col
pullman per raggiungere lo
stadio dove lui ed i suoi
compagni scenderanno in campo.
Ecco che bussano. L’uomo si
aspettava un magazziniere, e
invece è uno dei dirigenti più
importanti della squadra: una
persona di solito gioviale e
sorridente. Ma stavolta sulle
labbra e negli occhi del
dirigente non appare alcun
sorriso. I suoi occhi sono
lucidi ed ha un’espressione
sconsolata sul volto. Quasi
disperata. "Cosa succede ?"
chiede il Capitano. Il dirigente
non parla, lo abbraccia, gli
sussurra qualcosa in un
orecchio. Il Capitano lancia il
borsone sul pavimento, nella
stanza. Si butta sul letto ed
inizia a piangere come un
bambino disperato.
Libreville (Gabon). 28
aprile 1993, ore 17 circa. I
pensieri ed i sogni del
portiere.
Se è
vero che ognuno di noi ha un
grande sogno, il mio è sempre
stato quello di giocare nella
squadra che rappresenta il mio
paese. Non pensavo ad altro, fin
da quando inseguivo un pallone
di stracci nei campetti nella
township della mia città: a quei
tempi a casa non c’era molto da
mangiare, ma a noi bastava avere
un pallone da inseguire e da
calciare per essere davvero
felici. Per la verità, le cose
non sono cambiate molto da
allora: i ragazzi che adesso
stanno in strada non hanno certo
molto di più di quanto avessimo
noi ai nostri tempi. Anche loro
vivono di poco pane, di tanto
pallone e di moltissimi sogni. E
uno dei loro sogni è diventare
come noi: uno dei Chipolopolo,
la nostra Nazionale. Eh sì,
perché io alla fine ce l’ho
fatta a realizzare il mio sogno.
Gioco nei Chipolopolo da oltre
dieci anni, ormai, e quasi mi
sembra che sia diventata una
cosa normale. Ma non quando
scendo in campo. Quando calpesto
l’erba verde, vedo la gente
sugli spalti, e sento suonare il
nostro inno mi tremano le gambe
esattamente come il primo
giorno. Non sono il Capitano di
questa squadra, ma uno dei più
vecchi questo sì. Tutti quanti
mi conoscono nel nostro Paese e,
quando giro per strada, i gruppi
di ragazzi mi fermano per
chiedermi un autografo o anche
solo per farmi i complimenti. A
volte, specie quando mi trovo
con la mia famiglia, mi verrebbe
voglia di allontanarli o di dire
che non sono io. Ma poi,
guardandoli meglio e leggendo
nei loro occhi le stesse
speranze e gli stessi sogni che
avevo io alla loro età, ci
ripenso e mi fermo con loro a
firmare autografi e a farmi
fotografare fin quando non sono
loro a esserne stufi. Non sono
il Capitano, ma sono nettamente
il più anziano su questo aereo
che, dopo un volo interminabile
con ben tre scali, ci porterà
dall’altra parte del Continente
a giocare una partita
fondamentale. Mi guardo intorno
e ovunque vedo facce più giovani
di me. Ecco il giovane bomber.
Ecco il centrocampista pieno di
talento. Ecco il difensore
roccioso. Ma questo è soltanto
il modo in cui li conosce la
gente. Per me, che li osservo
dal mio mondo di solitudine che
è proprio di chi ha scelto - o
si è trovato - a svolgere il
ruolo di portiere, sono
soprattutto dei ragazzi. Ragazzi
di vent’anni o poco più. Ragazzi
con i loro pensieri, con le loro
passioni, con i loro sogni. C’è
quello che si deve sposare in
estate. C’è quello che ha appena
avuto una bimba e non parla
d’altro, mostrando a chiunque le
foto della piccola. C’è quello
che adora la musica e suona in
un gruppo. C’è quello che ama
leggere. Ci sono quelli, quasi
tutti, che sognano di andare a
giocare in Europa, come il
nostro Capitano che è impegnato
in una partita internazionale
con la sua squadra e che ci
raggiungerà a destinazione.
Sognano di diventare dei
campioni come il grande Roger
Milla; come il portiere Thomas
N’Kono, idolo dalla mia
adolescenza. Sognano di andare
in Francia, in Belgio, in
Olanda, in Germania. O
addirittura in Inghilterra o in
Italia. Posti di cui conosco
solo il nome o poco più. Ma i
giocatori che giocano in quei
campionati li conosciamo eccome:
Maradona, Matthaeus, Van Basten,
Baggio e tantissimi altri. C’è
però un sogno che ci accomuna
tutti quanti: qualificarci per i
prossimi Mondiali che si
svolgeranno nell’anno a venire
negli Stati Uniti. Sarebbe un
evento storico per il nostro
Paese. Non oso pensare a che
cosa succederebbe laggiù se
accadesse una cosa del genere.
Farebbero festa per giorni
interi, un po’ com’era avvenuto
quando la nostra squadra aveva
battuto per 4 a 0 l’Italia alle
Olimpiadi di Seul. Un sogno
realizzabile, stavolta. Ma per
ottenerlo è necessario vincere
la prossima partita che si
disputerà in Senegal contro la
squadra locale. Se dovessimo
vincere, le possibilità di
farcela aumenterebbero
tantissimo. Se dovessimo vincere
! Che sogno ! Ci hanno avvisati
che stiamo per decollare. Con la
mano destra controllo che la
cintura sia ben agganciata. I
motori sono accesi. L’aereo si
muove sulla pista prima
lentamente, poi con maggiore
rapidità. Tra poco decolleremo e
io sento un fremito nelle gambe.
Una strana sensazione di timore
che mi prende sempre, fin dalla
prima volta in cui salii su un
aereo. Eppure dovrei essere
abituato a volare, dopo aver
percorso centinaia di chilometri
di volo attraversando tutto il
Continente, e anche oltre. Ecco
che il rumore aumenta. I motori
rombano. L’aereo punta verso la
pista. Si ferma. Poi parte.
Acquisisce velocità. Ancora,
ancora, ancora. Fino ad alzarsi
da terra. Rivolgo il mio sguardo
verso destra e vedo un paio di
compagni anche loro agitati. E
il Mister. E il medico. Mi
sembra tutto tranquillo. Mi
posso rilassare adesso. Dal
finestrino, anche se è quasi
sera, si intravede uno
spettacolo bellissimo: l’Oceano
che incontra la terra, fino ad
abbracciarla. La nostra terra.
La terra dei nostri padri.
L’Africa. Osservo l’enorme
distesa d’acqua sotto di noi.
Socchiudo gli occhi. Sogno di
quand’ero bambino e cercavo di
giocare all’attacco con i
ragazzi più grandi, che mi
mettevano sempre ed
inesorabilmente in porta. Sogno
il mio esordio con i
Chipolopolo. Sogno la prossima
partita. Sogno di affrontare
Maradona e Matthaeus ai
Mondiali. Sogno. Quando mi
risveglierò saremo tutti
arrivati alla nostra prossima
destinazione.
Eindhoven (Olanda) 28
aprile 1993, ore 18.30 e pochi
secondi.
"Non è
possibile ! ...Ma proprio tutti,
tutti ?…" urla il Capitano
disperato. Il dirigente non
parla, ma la sua faccia vale più
di mille risposte. Il Capitano
rimane lì sul letto. Immobile.
Ammutolito. Per lui non ci sarà
nessuna partita stasera. E
neanche nel fine settimana con
la sua Nazionale. Domani andrà
all’aeroporto e non partirà per
il Senegal, ma per casa sua.
Domani tornerà in Africa. Non
per disputare una partita, ma
per versare tutte le lacrime che
ancora gli restano.
Quasi diciannove anni
dopo. Libreville (Gabon) 12
febbraio 2012. Stadio "Omar
Bongo". In tribuna. Il
Presidente.
Il
Presidente ha quarantotto anni e
qualche chilo di sovrappeso
rispetto a quando giocava alcuni
anni fa. Ma probabilmente
stasera quei chili se ne sono
andati tutti a causa della
tensione. È stata una partita
tirata e piena di emozioni, ma
con poche occasioni da entrambe
le parti, se si esclude un
rigore sbagliato dal più forte e
famoso degli attaccanti
avversari. Alla fine, quasi
senza rendersene conto, si è
giunti ai rigori. Una soluzione
che molti ritengono ingiusta, ma
che in fondo è l’unica
percorribile. Una soluzione che
fa battere forte il cuore a
tutti i tifosi nello stadio. Una
soluzione che toglie il fiato
anche al Presidente. La prima
serie di cinque tiri si è
conclusa con cinque centri per
parte. E così si è andati avanti
ad oltranza. Ancora un gol per
parte. Quindi gli avversari
hanno sbagliato, ma anche la
squadra del Presidente ha tirato
in cielo il settimo rigore.
Ottavo tiro per gli avversari:
ancora fuori. "Ora è la volta
buona … Ora è la volta buona !"
Pensa il Presidente con la
camicia madida di sudore, come
capitava alla sua maglietta ai
tempi in cui scendeva in campo.
"Ora è la volta buona ! … Ora è
la volta buona !…" Pensano tutti
i suoi connazionali, quelli che
sono allo stadio e quelli che si
trovano in Patria davanti alla
televisione. Tutti trattengono
il fiato e guardano ciò che
succede in campo. Ma molti,
stranamente, rivolgono uno
sguardo verso il cielo.
Libreville (Gabon) 12
febbraio 2012. In campo. Il
difensore.
Anche
Stopira guarda per un attimo il
cielo. Aveva solo quattro anni
nel 1993, ma suo padre e suo
nonno gli hanno raccontato
quella storia un sacco di volte.
All’inizio quando la sentiva
sbuffava, perché quei racconti
gli sembravano lontani, noiosi e
sempre uguali. Ma poi un giorno
conobbe il suo Presidente che
gli raccontò la medesima storia,
aggiungendo però di averli
conosciuti di persona. Uno per
uno. Anche se il destino aveva
voluto che lui non fosse con
loro. Aveva conosciuto il
vecchio portiere, quello che si
doveva sposare, quello che aveva
una bambina piccola, quello che
amava la musica. E
all’improvviso quei personaggi,
che a Stopira prima sembravano
estranei alla realtà, uscirono
dai racconti dei vecchi e si
trasformarono in persone reali.
Stopira comprese, tanto da farsi
regalare un loro poster ed
appenderlo nella sua stanza.
Tanto da tenere la loro foto in
tasca, ogni volta che andava in
campo. Stopira tiene in mano il
pallone e cammina lentamente. Ha
ventidue anni, le gambe che
tremano e l’aria di chi vorrebbe
essere ovunque, tranne che nel
posto in cui si trova in questo
momento. Intorno a lui sente
tanto rumore e tanta tensione.
La stessa tensione che gli fa
battere forte il cuore e gli fa
sentire la gola secca e la
saliva che non riesce più a
scendere. Mai avrebbe pensato di
essere lì. Anche se porta il
nome di un vecchio attaccante
francese, Stopira è un
difensore. Fin da quando era
piccolo, gli hanno sempre
insegnato ad evitare che un
avversario faccia dei gol, non
certo a segnare. Non è il suo
mestiere, quello. Punto. Ma
sette dei suoi compagni hanno
già tirato, e adesso tocca
proprio a lui. Quando il Mister
lo ha chiamato dicendogli di
andare a calciare, Stopira ha
fatto finta di non sentire.
"Magari non parla con me, magari
se io non gli rispondo chiama
qualcun altro…", aveva pensato.
Niente da fare. "Ehi Stopira…Sei
diventato sordo ? Ho detto che
tocca a te !…" gli ha ripetuto
il Mister. E lui, come un
automa, si è alzato, ha dato una
pacca sulla spalla a uno dei
suoi compagni (lo stesso che
aveva sbagliato in precedenza),
ed ha iniziato a camminare
lentamente verso il centro del
campo.
Il rigore decisivo.
Quante
volte gli è capitato di vederne,
di rigori decisivi. Ma sugli
spalti o in televisione è tutto
diverso. Vedi gli altri morire
di tensione e te ne stai
rilassato e tranquillo sulla tua
sedia, mentre scherzi con gli
amici della tensione che vedi
dipinta sul volto di chi calcia.
Come qualche anno prima, ai
Mondiali di Germania, quando
Trezeguet sbagliò facendo
piangere un intero paese, e
Grosso segnò mandandone in
delirio un anno. Stopira aveva
diciassette anni, allora. Ed era
solo una giovane promessa del
calcio del suo Paese. Se ne
stava al bar con gli amici
simpatizzando un pochino per gli
Italiani, perché da difensore
apprezzava più gli anticipi di
Cannavaro che le serpentine di
Zidane ed Henry, anche se il suo
idolo da bambino era Basile
Boli, un Francese con sangue
africano nelle vene. Ma adesso
in campo non ci sono i suoi
idoli d’infanzia e di
adolescenza. Adesso il
protagonista è lui. Adesso sono
affidate a lui le speranze di un
intero Paese. Se Stopira
sbaglia, come il compagno che lo
ha preceduto, si va avanti a
tirare. Ma se dovesse segnare….
Beh… Se dovesse segnare, un
intero paese esploderebbe di
gioia irrefrenabile… La gente
scenderebbe nelle piazze… I
ragazzi nelle strade
festeggerebbero per giorni e
giorni… E per anni, forse per
decenni, in tutto il Continente
non si parlerebbe d’altro…
Il rigore decisivo.
In
pochi attimi è contenuta tutta
la storia sportiva, e non, di un
Paese. E Stopira questo lo sa
bene, perché mentre cammina
sente sulle sue spalle, pesante
come un macigno, tutta la
responsabilità di quello che sta
per accadere. Stopira si volta
verso la panchina. Il Mister
cerca di apparire tranquillo e
gli alza il pollice come per
dire: "stai sereno, va tutto
bene". Sì… Va tutto bene per te
che te ne stai lì a guardarmi,
pensa il difensore, ma per me un
po’ meno. Accanto al Mister, i
compagni della panchina sono
tutti inginocchiati a terra,
come raccolti in preghiera.
Mentre i ragazzi che sono scesi
in campo in questa interminabile
partita se ne stanno in piedi e
abbracciati nel cerchio di
centrocampo. Qualcuno è fermo,
come paralizzato. qualcun altro
rivolge le braccia e le mani
verso il cielo come ad invocare
qualcosa o qualcuno. Stopira
posa il pallone sul dischetto.
Arretra di qualche passo.
Rivolge un rapido sguardo al
portiere avversario che lo fissa
negli occhi. "Lui… Lui sì che
non ha niente da perdere…" pensa
Stopira adesso. "…Per lui le
cose andranno bene comunque… Se
dovessi segnare, nessuno dirà
mai che è colpa sua… Ma se
invece dovesse respingere il mio
tiro diventerà l’idolo di
un’intera Nazione… Se rinasco
un’altra volta faccio il
portiere, altro che…". Stopira
borbotta qualcosa tra sé e sé.
E, prima di avanzare verso il
pallone, rivolge ancora uno
sguardo verso il cielo. Uno,
due, tre passi. "Lo tiro forte
alla sinistra del portiere ! …"
Pensa Stopira. E il suo cervello
dà questo impulso al pallone.
Stopira calcia con potenza e…
"Maledizione ! Sono scivolato !"
pensa tra sé e sé mentre sente
che il piede sinistro scivola
sull’erba bagnata. Ma
nell’istante in cui appoggia le
mani per rialzarsi prontamente,
sente l’urlo dei suoi compagni.
E il boato della sua gente. La
palla è finita in rete, non
esattamente dove lui avrebbe
voluto calciarla, ma comunque in
rete ! Stopira si alza. E urla.
E corre. I suoi compagni cercano
di inseguirlo per abbracciarlo.
Ma lui corre. Ancora. Ancora.
Come un pazzo. E dietro di lui,
insieme a lui, corre un intero
paese. Poi si ferma e i suoi
compagni, col Mister, riescono a
raggiungerlo, ad abbracciarlo, a
portarlo al centro del campo. Un
uomo in giacca e cravatta gli
corre incontro tutto sudato e
trafelato. Stopira lo riconosce:
è il Presidente. In campo i
ragazzi che hanno vinto la
partita si abbracciano festanti.
Anche il Presidente e Stopira si
abbracciano. Insieme rivolgono
lo sguardo verso il cielo. E dai
loro occhi iniziano a scendere
lacrime.
Da qualche parte. In
qualche momento. I pensieri del
portiere.
Dal
posto in cui siamo possiamo
vedere tutto ciò che accade in
campo. Osserviamo quei ragazzi e
vediamo che hanno le nostre
stesse facce, indossano le
nostre stesse maglie, pensano le
stesse cose che pensavamo noi.
C’è quello che si deve sposare.
C’è quello che ha avuto una
bambina da poco. C’è quello che
ama la musica. C’è quello a cui
piace leggere. Ci sono quelli
che sognano di andare a giocare
in Europa. Tante passioni. Tanti
sogni. Ma uno è il più grande di
tutti: vincere qualcosa di
veramente importante. Ed è
quello che è accaduto oggi. Dopo
tanta attesa, e tanti tentativi
andati male. Com’è strana la
vita: con tutti i posti che ci
sono nel mondo proprio là.
Proprio nello stesso luogo in
cui noi… Beh… In cui noi siamo
rimasti giovani per sempre. Li
vediamo correre per il campo,
con i sorrisi che si mescolano
alle lacrime. Vediamo il
Presidente con loro che
impazzisce di gioia e di
commozione. Lo conosciamo bene,
visto che lui altri non è che il
nostro Capitano. Anche noi non
riusciamo a trattenere le
lacrime. Siamo rimasti qui ad
aspettare e a sperare per
tantissimo tempo che arrivasse
questo momento. Stasera siamo
scesi in campo anche noi ed è
per questo che nessuno oggi
avrebbe mai potuto battere quei
ragazzi. E noi con loro.
Finalmente ce l’abbiamo fatta a
vincere ! Finalmente, tutti
insieme, siamo riusciti a
coronare il nostro grande sogno
!
Il 27
aprile 1993, l’aereo "De
Havilland Canada DHC 5 Buffalo"
dell’aeronautica militare
zambiana che trasportava la
Nazionale dello Zambia da Lusaka
a Dakar, dove la squadra avrebbe
dovuto affrontare la
rappresentativa senegalese, si
inabissò nell’Oceano Atlantico
poco dopo uno scalo tecnico a
Libreville, capitale del Gabon.
Morirono trenta persone, tra le
quali i 18 giocatori della
Nazionale, i tecnici, i
dirigenti e cinque membri
dell’equipaggio. Il Capitano
della Nazionale Khalusha Bwalya,
essendo impegnato in una partita
col PSV di Eindhoven, squadra
nella quale militava da qualche
anno, decise di raggiungere il
Senegal autonomamente e per
questo si salvò la vita. Circa
diciannove anni dopo, proprio a
Libreville, la Nazionale dello
Zambia si è laureata campione
d’Africa battendo ai rigori la
Costa d’Avorio di Drogba, grazie
al penalty decisivo del
difensore Stopira Sunzu. I
principali protagonisti di
questa storia sono: Il portiere:
David Chabala - Il Capitano:
Khalusha Bwalya - Il Presidente:
Khalusha Bwalya, diciannove anni
dopo. - Il difensore ed ultimo
rigorista: Stopira Sunzu - I
loro sogni inseguiti e
finalmente realizzati.
28 gennaio 2018
Fonte:
Storiemaledette.com
Zambia 1993: una storia
triste
Storia della nazionale
dello Zambia e del disastro
aereo del ’93 che distrusse una
generazione di talenti.
LO
ZAMBIA DOV’E’ -
Nell’Italia che nel 1988
affrontò lo Zambia alle
Olimpiadi di Seul molto
probabilmente erano in pochi a
sapere dove fosse realmente
questo Zambia. In Africa, e
questo bastava. Ancora il calcio
mondiale non aveva saggiato le
qualità dei giocatori africani -
sarebbe accaduto solo due anni
più tardi proprio nel Bel Paese
per i mondiali del 1990 - e
quindi gli azzurri scesero in
campo sottovalutando in tutto e
per tutto gli avversari. Novanta
minuti dopo il risultato
recitava Zambia 4 Italia 0, la
più grande batosta morale e
sportiva degli azzurri, per di
più in Corea del Sud, perché
nelle disfatte calcistiche
italiane la Corea lo zampino lo
mette sempre. In molti ricordano
quella partita giocata malissimo
degli uomini di Rocca, in pochi
invece quel diavolo di Kalusha
Bwalya, punta all’epoca 25enne
che avrebbe fatto le fortune del
calcio zambiano. Sì, quella
nazionale lì era destinata a
fare grandi cose negli anni a
venire. I giornali locali nel
1988 parlarono di favola quando
i Chipolopolo arrivarono ai
quarti dei Giochi Olimpici e
vennero battuti dalla Germania
Ovest di Klinsmann. Una favola
che però cinque anni dopo si
concluse con uno dei finali più
tragici della storia del calcio
moderno.
KALUSHA -
Il meccanismo delle
qualificazioni ai Mondiali di
calcio del 1994 è piuttosto
semplice per quanto riguarda le
nazionali africane. C’è un primo
turno eliminatorio e poi le nove
migliori squadre si affrontano
in sfide di andata e ritorno in
gironi da tre compagini
ciascuno. Allo Zambia di Godfrey
Ucar Chitalu toccano in dote il
Senegal e il Marocco: i
senegalesi non sembrano un osso
duro, i marocchini invece sì
perché il movimento calcistico
dei Leoni dell’Atlante è in
espansione in quegli anni e
storicamente le nazionali
nordafricane vengono considerate
più esperte rispetto a quelle
dell’Africa Nera. Fatto sta che
il primo incontro fissato per il
18 aprile 1993 va secondo le
previsioni. A Casablanca i
padroni di casa del Marocco
fanno il loro dovere e con un
po’ più di difficoltà di quanto
preventivato fanno fuori il
Senegal per uno a zero. I Lions
de la Teranga possono comunque
aver modo di rifarsi solo dieci
giorni più tardi, quando a Dakar
devono incontrare tra le mura
amiche lo Zambia. Sono in molti
a credere che la generazione
d’oro dei proiettili di rame,
vale a dire i Chipolopolo perché
non esistono nazionali africane
senza un soprannome particolare,
sia ormai al suo massimo
compimento. Il leader di quella
squadra senza ombra di dubbio è
Kalusha Bwalya, che ai tempi
della tripletta all’Italia
giocava nel Cercle Burges ma
impressionò così tanto il PSV
Eindhoven che ormai da cinque
anni gioca stabilmente in
Eredivisie. Bwalya è impegnato
proprio col PSV e quindi non
andrà a Lusaka assieme ai
compagni, li incontrerà
solamente a Dakar, per una
questione meramente logistica e
nulla più.
BUFFALO -
I compagni di squadra infatti
giocano praticamente tutti in
patria e partiranno alla volta
del Senegal dal Lusaka
International Airport,
l’aeroporto della Capitale. Il
volo è targato Zambian Air Force
e la FAZ - Football Association
of Zambia - ha organizzato tutto
al meglio perché i giocatori e
lo staff tecnico, oltre a
qualche importante dirigente,
possano stare in tranquillità e
sicurezza prima dell’importante
match per le qualificazioni ai
mondiali. Di solito quando si
vola non interessa
particolarmente sapere qual è il
nome dell’aereo e che tipo è, in
questo caso però è bene
precisare: è un de Havilland
Canada DHC-5 Buffalo in uso
all’aeronautica militare
zambiana ma prodotto in Canada.
Il portiere David Chabala ad
esempio non si cura troppo della
tipologia di aeroplano sul quale
è comodamente seduto, anche se
su un aereo simile volò alla
volta di Buenos Aires nel 1991,
salvo poi tornare un anno più
tardi con zero presenze nella
sua esperienza all’Argentinos
Juniors. Non sembrano
preoccuparsene troppo nemmeno
Moses Chikwalakwala, Winter
Mumba o Wisdom Mumba Chansa, che
nel 1988 c’erano quando lo
Zambia sfasciò l’Italia. Su quel
volo ci sono proprio tutti:
troviamo Derby Makinka, un altro
dei pochi a giocare all’estero -
nel "vicino" campionato arabo -
e da molti considerato l’uomo di
fantasia a centrocampo, c’è il
presidente della FAZ Michael
Mwape, c’è il giornalista Joseph
Bwalya Salim e c’è anche l’ex
bomber e adesso stimato ct
Godfrey Chitalu, che si dice
abbia segnato più di 100 gol in
un anno solare, meglio di Gerd
Muller. Quando il 27 aprile
l’aereo parte dallo Zambia per
raggiungere Dakar dopo tre scali
fissati in Congo a Brazzaville,
in Gabon a Libreville e in Costa
d’Avorio ad Abidjian, a bordo
del velivolo sono presenti
cinque membri dell’equipaggio,
diciotto calciatori e sette
uomini tra staff tecnico e
amministrativo. Mancano
l’infortunato Charlie Musonda e
la stella Bwalya. Saranno gli
unici a salvarsi.
LIBREVILLE -
A dire il vero non è che i
controlli a bordo del DHC-5
Buffalo fossero stati
scrupolosissimi. A un’occhiata
più approfondita qualcuno si
accorse che il motore
dell’aeroplano non stava
lavorando al meglio, ma ormai
era troppo tardi e quindi si
decise di partire ugualmente.
L’aereo è difatti l’ultimo dei
problemi se di fronte hai la
possibilità di far conoscere lo
Zambia nel mondo, per di più
negli USA per i mondiali di
calcio. Il primo scalo di
Brazzaville mette in allarme i
passeggeri: nel motore c’è
qualcosa che non va, bisogna
fare attenzione. Il pilota il
giorno prima era tornato dalle
Mauritius con la squadra che a
Port Luis si era preparata alla
sfida di Dakar: chi era stato
accanto a lui racconta di averlo
visto in pessima forma, troppo
stanco per riuscire a sopportare
un altro volo faticoso con
addirittura tre scali. Nessuno
se ne cura, anche se un briciolo
di preoccupazione comincia a
serpeggiare all’arrivo a
Libreville in Gabon. I giocatori
notano che non sta filando tutto
liscio e chiedono informazioni,
ma nessuno nello staff
dirigenziale sa di preciso cosa
sta succedendo. Quando sembra
rientrata la calma il DHC-5
riparte per Abidjian, ma il
motore avariato va in fiamme.
Scoppia il panico. Il pilota
forse si fa prendere dall’ansia
e prende una decisione che si
rivelerà tragica: subito dopo il
decollo da Libreville sceglie di
staccare il motore destro e
quindi fa perdere potenza
all’aereo. Libreville si trova
sul mare e il velivolo ormai ha
preso il volo sull’Oceano
Atlantico, quando il pilota
compie la sua scelta scellerata
ormai siamo lontani dalla costa.
Il DHC-5 cade in mare, per colpa
dei tre piloti dirà poi nel 2003
un report dello stato del Gabon,
e non c’è nessun sopravvissuto.
A DISTANZA DI ANNI -
Trenta morti,
un’intera generazione calcistica
distrutta in un istante al largo
delle coste gabonesi. Gran parte
degli eroi di Seul, una delle
migliori selezioni dell’Africa
del Centro e dell’Est
tragicamente distrutta in mare
prima di una delle sfide più
importanti della sua storia.
Bwalya nelle interviste
successive dirà di sentirsi un
miracolato e anche lui andrà a
piangere davanti al Cimitero
degli Eroi, poco distante dallo
stadio più grande di Lusaka, il
luogo dove sono stati sepolti i
membri della nazionale defunti.
Poco più di un mese dopo lo
Zambia deve però fare i conti
con il destino e affrontare la
prima partita: in casa col
Marocco un gruppo di giocatori
assemblati in pochissimo tempo
vince due a uno e il miracolo
della qualificazione ai mondiali
pare possibile. Nell’ottobre del
1993 però arriva la mazzata.
Ultima giornata delle
qualificazioni, si gioca Marocco
- Zambia e a Bwalya e soci serve
un pari. Perdono uno a zero e
non andranno ai Mondiali che
finora non hanno mai disputato.
Si rifaranno nel 1994 con una
vera e propria impresa sportiva
in Coppa d’Africa quando per
poco non batteranno la Nigeria,
così irrispettosa verso i
miracoli da ribaltare uno 0-1 in
finale e vincere la Coppa. Gli
zambiani verranno accolti come
eroi, ma il bello arriverà sotto
la guida di Hervè Renard nel
2012 in una finale di Coppa
d’Africa vinta al termine di una
sequenza di rigori infinita
contro la Costa D’Avorio in
Gabon. Nel luogo dove morirono
18 giocatori, contro la nazione
che avrebbero dovuto raggiungere
di lì a poco per l’ennesimo
scalo. Tutto questo mentre il
popolo zambiano e i familiari
delle vittime continuano da anni
a chiedersi come mai quel DHC-5
partì da Lusaka in condizioni
così instabili. Ancora nessuno
ha dato una risposta esauriente.
14 gennaio 2015
Fonte: Calcionews24.com
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Calcio: Nazionale Zambia
distrutta sull'aereo
Lusaka, 28 apr.
(adnkronos/dpa) - L'aereo
dell'aeronautica dello Zambia
con a bordo l'intera nazionale
di calcio, in viaggio per un
impegno internazionale, è
precipitato in mare poco dopo il
decollo dall'aeroporto di
Libreville nel Gabon, dove aveva
fatto scalo, e tutti i 25
passeggeri e le cinque persone
d'equipaggio sono morte uccise.
La notizia, data dalla radio
dello Zambia, il cui presidente
ha proclamato il lutto
nazionale, dice che l'incidente
è avvenuto poco dopo la
mezzanotte e che la squadra era
diretta in Senegal per un
incontro di qualificazione della
coppa del mondo. Non si
conoscono ancora i nomi della
comitiva, ma della nazionale
dello Zambia fanno parte almeno
tre giocatori professionisti
provenienti dall'Europa.
Tragedie del genere non sono
insolite nella storia dello
sport. Quella dello Zambia è
avvenuta proprio a sei giorni
appena dal 44mo anniversario
della tragedia di Superga che
provocò la morte di tutti i
giocatori e i tecnici del Grande
Torino, il 4 maggio del 1949.
28 aprile 1993
Fonte: Adnkronos
Calcio: Nazionale Zambia
distrutta - i nomi
Questo l'elenco -
diramato dal ministero dello
sport dello Zambia - dei
giocatori della nazionale di
calcio dello Zambia che sono
morti nell'incidente aereo (fra
parentesi la squadra di
provenienza): John Soko, Eston
Mulenga, Timothy Mwiitwa, Numba
Mlila e Kenan Simambe dei
''diavoli rossi'' Nkana); Samuel
Chomba, Robert Watiyakeni e
Wisdom Chansa del ''dynamos''
del Sudafrica; Derby Mankinka e
Kelvin Mutale del ''el ettifaq''
dell'Arabia Saudita; Moses
Chikwalakwala (Chambishi), Moses
Masuwa (Kabwe Pnfsirs), Godfrey
Kangwa (Olympic Casablanca,
Marocco), Patrick Banda (Profund
United), Efford Chabala (gli
''Avventurieri'' Mufulira) e
Whiteson Changwe (i
''Guerrieri'' Kabwe). Da
sottolineare che a bordo
dell'aereo non c'erano i
giocatori tesserati con club
europei, come i fratelli Kalisha
Bwalya (Psv Eindhoven, Olanda) e
Johnson Bwalya (FC Bulle,
Svizzera) e Charl (Anderlecht,
Belgio).
28 aprile 1993
Fonte: Adnkronos
Trenta le vittime, il
velivolo si è inabissato subito
dopo il decollo da Libreville.
Erano diretti in Senegal.
Precipita l'aereo dei
goleador
Morti i "nazionali"
dello Zambia
LIBREVILLE (Gabon) -
Sciagura nel mondo del calcio.
Un aereo militare dello Zambia
con a bordo la nazionale di
football zambiana è precipitato
in mare attorno alla mezzanotte
tra martedì e ieri, poco dopo il
decollo dall'aeroporto di
Libreville, nel Gabon, dove
aveva fatto scalo tecnico. Nella
disgrazia sono periti tutti i 25
passeggeri e i 5 membri
d'equipaggio. L'aereo, un
"Buffalo" CT-15, si è inabissato
due chilometri al largo della
costa. Unità militari del Gabon
hanno recuperato resti umani e
rottami del velivolo. La notizia
è stata data dalla radio dello
Zambia, il cui Presidente ha
proclamato il lutto nazionale. È
una tragedia che ne evoca altre,
prima fra tutte lo schianto del
Grande Torino contro la collina
di Superga, in una sera di
nebbia del maggio 1949. L'aereo
era decollato da Port Louis,
capitale dell'isola di
Mauritius, dove la nazionale
zambiana aveva battuto quella
locale nelle eliminatorie della
Coppa africana delle nazioni:
una tappa sulla rotta tra Lusaka
e Abidjan (in Costa d'Avorio),
dove i giocatori dovevano
passare la notte in attesa di
recarsi in Senegal per la
partita contro la nazionale di
casa in vista di Usa '94. Ma
nell'hotel di Abidjan dove era
attesa, la nazionale dello
Zambia non è mai arrivata.
Nessuno dei calciatori che
giocano in squadre europee era a
bordo del velivolo. Il Psv
Eindhoven ha fatto sapere che il
suo straniero, Kalusha Bwalya,
30 anni, doveva raggiungere la
squadra in Senegal dall'Olanda.
Il centrocampista Charles
Musonda, che gioca per squadra
belga dell'Anderlecht, non era
stato convocato perché
infortunato. Mancava anche
Johnson Bwalya, tesserato nel
Bulle, in Svizzera. A bordo
dell'aereo vi erano 17 giocatori
oltre agli accompagnatori e ai
responsabili della Federazione
zambiana. Cinque atleti
giocavano in altre nazioni
asiatiche e africane: Kelvin
Mutale e Derby Makinka (Arabia
Saudita), Robert Watiyakeni e
Samuel Chomba (Sud Africa),
Godfrey Kangwa (Marocco). Gli
altri componenti della
nazionale, rimasti uccisi
nell'incidente, erano: Efford
Chabala, John Soko, Eston
Mulenga, Moses Chikwalakwala,
Wisdom Chahsa, Timothy Mwitwa,
Numba Mwila, Reuben Mwanza,
Winter Mumba, Patrick Banda,
Kenan Simambe e Moses Masuwa.
Nel disastro sono rimasti uccisi
anche Michael Mwape (presidente
della Federazione calcio dello
Zambia, Faz), Godfrey Chitalu
(allenatore), Alex Chola
(allenatore in seconda) e Wilson
Sakala (funzionario Faz). La
Federcalcio dello Zambia,
fondata nel 1929, ha 8000
tesserati, 240 club e si è
affiliata alla Fifa nel 1964.
L'aereo precipitato è un
biturbina realizzato dalla
canadese De Havilland per il
trasporto militare con il nome
di "Buffalo" e la sigla Dhc-5.
Il "Buffalo" è un robusto cargo
a decollo corto che può
trasportare 41 soldati
equipaggiati, oppure veicoli
leggeri caricati attraverso il
portellone posteriore. Viene
utilizzato anche per il
pattugliamento marittimo. Del
"Buffalo" esiste anche una
versione civile con il nome di
"Transporter" e con una capacità
di 44 passeggeri. (r. cri.)
29 aprile 1993
Fonte: La Stampa
Superga d'Africa: addio
allo Zambia
LIBREVILLE - La Superga
del calcio africano è a due
chilometri dalla costa del
Gabon. In quelle acque, un
bimotore delle forze armate
dello Zambia si è inabissato con
una delle nazionali più forti e
amate del continente. A bordo
del CT-15 Buffalo c'erano 25
passeggeri, tra i quali 17
giocatori e 5 rappresentanti
della federazione. Nessun
sopravvissuto. Lo Zambia di
Kalusha Bwalya e Musonda non
esiste più, anche se i due
campioni più conosciuti si sono
salvati. Loro un contratto in
Europa lo avevano trovato, e
potevano raggiungere il ritiro
un giorno più tardi. Sei gli
scomparsi della squadra che alle
Olimpiadi di Seul batté
l'Italia: Makinka, Chabala,
Chomba, Chansa, Mulenga e il
portiere di riserva Mwanza. La
nazionale dello Zambia stava
viaggiando verso il Senegal,
dove domenica avrebbe giocato la
prima partita del secondo turno
delle qualificazioni alla Coppa
del mondo '94. Se per gli ultimi
Mondiali lo Zambia non era
riuscito a qualificarsi, negli
Stati Uniti la squadra allenata
da Godfrey Chitalu aveva molte
possibilità di andare. I
giocatori avevano battuto
domenica scorsa per 3-0 le
Mauritius nelle qualificazioni
della Coppa d’Africa. Il
bimotore che li doveva portare
da Lusaka in Senegal aveva fatto
scalo tecnico a Libreville, in
Gabon, ed era decollato da pochi
minuti in direzione Dakar. Sul
mare, la tragedia. Unità della
marina del Gabon hanno
setacciato a lungo la zona alla
ricerca dei corpi. Nello Zambia
sono stati cancellati per lutto
tutti gli avvenimenti sportivi,
il presidente Chiluba ha
annunciato il suo improvviso
ritorno dal Burundi. Dal Senegal
è partita una delegazione del
governo: sospesa ovviamente
"fino a nuovo avviso" la partita
tra le due nazionali. Per il
calcio africano, una giornata
tragica: oltre al dramma dello
Zambia, in Nigeria è morto
Mohammed Dauda, tecnico dell’El
Kanemi, pestato selvaggiamente
durante una partita.
29 aprile 1993
Fonte: La Repubblica
L'aereo è caduto in mare
subito dopo il decollo dal
Gabon, trenta vittime
Si inabissa la Nazionale
dello Zambia
Morti i calciatori che
sconfissero l'Italia a Seul
di Carlo Coscia
LIBREVILLE - Sciagura
nel mondo del calcio: un aereo
militare dello Zambia con a
bordo la nazionale di football
zambiana è precipitato in mare
attorno alla mezzanotte tra
martedì e ieri, poco dopo il
decollo dall'aeroporto di
Libreville, nel Gabon. L'aereo
era diretto in Senegal, dove lo
Zambia avrebbe dovuto incontrare
la squadra dei padroni di casa
per le qualificazioni a Usa '94
e aveva fatto uno scalo tecnico.
Nella disgrazia sono periti
tutti i 25 passeggeri e i 5
membri d'equipaggio. Fra le
vittime vi sono anche sei
calciatori della squadra che
alle Olimpiadi di Seul inflisse
un umiliante 4 a 0 alla
Nazionale olimpica guidata da
Francesco Rocca. Si sono invece
salvati tre giocatori che
militano in club europei, fra i
quali Kalusha Bwalya (del Psv
Eindhoven), che in quella
partita segnò tre reti a
Tacconi.
29 aprile 1993
Fonte: La Stampa
In morte dei fratelli
poveri
Riposate in pace,
ragazzi dello Zambia. Sognavate
Usa '94 e facevate bene a
sognare. Un volo di notte, un
aereo militare, tenuto assieme
chissà come, sono i pedaggi del
calcio povero. Una tomba
d’acqua. Come il Torino nella
nebbia, il Manchester, il
Suriname, il cielo non sa
leggere. Noi leggiamo le notizie
d’agenzia, i nomi: Chabala il
portiere anziano, Mumba il
centrale, Chomba e Makinka i
centrocampisti, Chansa l’aiuto
regista, che per poco di testa
non segnava pure lui a Tacconi.
Le nostre strade si sono
incrociate una volta sola, in un
posto per tutti lontanissimo da
casa: Kwangju, Corea del sud,
olimpiadi, 19 settembre 1988.
Tutte le squadre dormivano nello
stesso albergo, trasformato in
un bunker. Era l'Italia olimpica
di Tassotti e Tacconi, Virdis e
Cravero, Carnevale e De
Agostini. Zambia 4, Italia 0,
tutto regolare. Tre gol di
Kalusha Bwalya, che Tassotti non
vide mai. Lui, Psv, e Johnson
Bwalya, Bulle, si sono salvati
come il regista Musonda,
Anderlecht. Si sono salvati
perché bloccati in Europa da
società più organizzate, si sono
salvati perché protetti da
clausole. I colleghi tesserati
fuori Zambia ma in Africa, per
quanto è lunga, hanno risposto
presente alla convocazione a
Lusaka e alla morte: Mutale, tre
gol appena domenica scorsa a
Mauritius, e Makinka giocavano
in Arabia Saudita, altri due in
Sudafrica, uno in Marocco. Un
professionismo povero, ma sempre
meglio che stare nei Warriors
Kabwa o nei Red Devils di Nkana.
Le nostre strade non si
incroceranno più. E resta il
ricordo di quel giorno a
Kwangju, di una lezione di gioco
impartita lealmente. Lezione
pesante, paragonata a una
seconda Corea (Middlesbrough).
Alcuni giornali uscirono con
cartine e spiegazioni: dov' è lo
Zambia, quanti sono, come
campano. Qualcuno, fortunato, fu
inviato fino a Mufulira, città
natale di Kalusha. Chissà,
scrissi da Kwangju, se a Lusaka
i giornali spiegano dov' è
l’Italia, quanti siamo, oppure
gli basta aver battuto gli
esponenti del calcio più famoso,
ricco e invidiato. Ricordo la
bellezza del vostro gioco e le
divise arancio e turchese, un
radiocronista zambiano con una
camicia a leoni stampati che
urlava per dodici, ma sul campo
fu tenera, quasi incredula ma
composta, la vostra allegria.
Che dovevate fare di più, per
conquistare un posto al sole nel
mondo del pallone ? Non lo so, e
non conta più. Per ognuno di voi
ho sperato si aprisse una strada
più larga e piana, dove poter
rincorrere i sogni fino in
fondo. Questo meritavate. g m
29 aprile 1993
Fonte: La Repubblica
Avevano umiliato gli
azzurri
A Seul sconfissero
l'Italia per 4 a 0
di Carlo Coscia
C'era il sole a Kwangju,
quel lunedì pomeriggio, e i
tifosi coreani sembravano
improvvisamente impazziti,
applaudivano e gridavano,
battevano i piedi in segno di
gioia, se non proprio di
scherno, mentre sul campo
verdissimo un certo Kalusha
Bwalya, 25 anni, che fino a
pochi mesi prima si rompeva la
schiena in una miniera di rame,
prima di essere acquistato per
35 milioni dalla squadra belga
del Cercles Bruges, stava
facendo la festa ai signorini
azzurri segnando tre dei quattro
gol con i quali lo Zambia umiliò
l'Italia di Rocca. Un
telecronista africano, tanto si
agitava, per poco non cadde
dalla tribuna. Fu un'altra
Corea, una pagina buia per il
nostro calcio dorato. Era il 19
settembre 1988, alle Olimpiadi
di Seul: l'immagine che ci
resta, dopo quattro anni e
mezzo, è quella di una
bellissima ragnatela verde e
nera dentro la quale, come
mosche infelici, annaspavano
impotenti i nostri pallidissimi
eroi. Kalusha Bwalya è stato
fortunato, non era sull'aereo
della morte. Oggi, con qualche
anno e qualche dollaro in più,
gioca in Olanda, nel Psv
Eindhoven. Nel 1988 ha vinto il
Pallone d'Oro d'Africa, è il più
grande calciatore che lo Zambia
abbia mai avuto. Kalusha doveva
raggiungere i compagni
direttamente in Senegal, dopo
un'amichevole a Valencia, e
questo gli ha salvato la vita.
Anche Jonhson Bwyala, che milita
nella squadra svizzera del
Bulle, aveva appuntamento per
oggi. Charles Musonda, il terzo
dei nazionali dello Zambia che
gioca in Europa (Anderlecht) ha
invece evitato la convocazione a
causa di un infortunio. Tutti e
tre facevano parte della squadra
che in quel pomeriggio luminoso
di settembre scrisse la pagina
più bella nella storia del
calcio dello Zambia. Altri sei,
invece, sono morti nell'aereo
precipitato in mare dopo il
decollo. Efford Chabala, oltre
60 partite in nazionale, era il
portiere. Un gatto, respingeva i
palloni volando da un palo
all'altro. E poi c'erano Mlila
Mumba, difensore, Samuele Chomba
e Derby Makinka, centrocampisti,
Wisdom Chansa, un folletto, e
Moses Chikvalaklava che entrò in
campo nel finale giusto in tempo
per seppellire sotto un
abbraccio il grande Kalusha,
autore del quarto gol al
novantesimo, l'ultima stilettata
nel cuore degli azzurri. Quelli
dello Zambia erano tutti bravi,
se ricordiamo bene. Veloci e
leggeri, inafferrabili.
Toccavano il pallone di fino,
correvano come gazzelle,
ubriacavano di finte e di
dribbling: quel giorno
sembravano tanti Pelé. Oggi il
calcio dello Zambia, ad
eccezione dei tre "europei", non
esiste più. Era un buon calcio,
tutto sommato, anche se non era
mai riuscito a qualificarsi per
la fase finale dei Mondiali e a
vincere una Coppa d'Africa. Nel
1974, al Cairo, la squadra,
chiamata Kke (Kennet Kaunda
eleven, dal nome dell'ex
presidente dello Zambia, grande
appassionato di calcio), ha
ottenuto il suo miglior
risultato disputando (e
perdendo) la finale di Coppa
d'Africa contro lo Zaire. Lo
Zambia inoltre si è classificato
terzo nella competizione
continentale nel 1982 e nel
1990. Nell'ultima edizione della
Coppa, nel gennaio 1992 in
Senegal, la formazione guidata
da Kalusha Bwalya era stata
eliminata nei quarti
di finale
dalla Costa d'Avorio che poi
vinse il torneo. A livello di
club, una sola squadra dello
Zambia, il Power Dynamos, è
riuscita a vincere, nel '91, una
Coppa delle Coppe africana. I
suoi migliori club (Nkana Red
Devils, Red Arrows, Mufulira
Wanderers, Kabwe Warriors) si
sono in ogni caso ben comportati
nelle ultime edizioni delle
varie competizioni continentali.
La nazionale scomparsa nella
sciagura aerea era reduce da una
vittoria per 3-0 contro le Isole
Mauritius domenica scorsa a
Curepipe, partita valida per la
Coppa d'Africa, gruppo 5, dove
lo Zaire era al comando a pari
punti con lo Zimbabwe. Ma il suo
principale obiettivo era la
qualificazione a Usa '94. Dopo
aver vinto il gruppo H che
comprendeva anche Tanzania,
Madagascar e Namibia, domenica
doveva affrontare nelle
eliminatorie il Senegal a Dakar.
La partita è stata sospesa dalla
Fifa fino a nuovo avviso.
29 aprile 1993
Fonte: La Stampa
"Mio Zambia scomparso"
LUSAKA - Lo Zambia
piange i suoi campioni,
scomparsi nel mare del Gabon in
un incidente aereo. Il
presidente Frederick Chiluba,
tornato immediatamente da una
visita nel Rwanda, è apparso in
tv per annunciare sette giorni
di lutto nazionale. "Chiedo alla
nazione di rimanere calma,
composta ed equilibrata" ha
detto ad un paese in cui le
strade si sono riempite di gente
in lacrime. Il calcio è vissuto
con amore nello Zambia, e con
amore i giocatori scomparsi si
esprimevano sul campo. Ora non è
escluso che la nazionale si
ritiri dalle qualificazioni per
i Mondiali '94. "E' un disastro
per una nazione che non vive per
altro che per il calcio" piange
Charlie Musonda, che su quel
bimotore canadese non c’era.
Gioca nell’Anderlecht, in
Belgio, ed è pure infortunato.
"Io in particolar modo conoscevo
da anni gran parte dei morti
nell' incidente: erano amici
veri dall' infanzia, si può dire
che sono cresciuto con loro.
Anche se l’ho scampata, in
questo momento provo solo un
immenso dolore". Dall' Olanda è
arrivata la testimonianza di un
altro dei sopravvissuti, Kalusha
Bwalya, capitano della nazionale
e ala del Psv Eindhoven. "Ho
telefonato subito ai miei
genitori: mio padre è un tifoso
sfegatato, di solito viaggia
sull' aereo della nazionale ma
stavolta aveva rinunciato alla
trasferta". Anche lui ricorda il
passato con i compagni
scomparsi: "Qualcuno lo
conoscevo dall' infanzia. Sì,
dobbiamo cercare di superare
tutti questo choc". La notizia
della tragedia dello Zambia ha
raggiunto tutti gli angoli del
mondo del calcio: già mercoledì
sera, un minuto di silenzio è
stato osservato sui campi delle
qualificazioni mondiali. Anche
la Figc ha chiesto un minuto di
raccoglimento domani prima di
Svizzera-Italia. In attesa del
funerale di Stato, due ministri
dello Zambia hanno raggiunto il
Gabon per occuparsi del rientro
delle salme. Sull' incidente,
nessuna versione è stata
accreditata ufficialmente. Una
stilista francese che possiede
una casa a nord di Libreville, a
pochi chilometri dal luogo della
tragedia, ha parlato di
un’esplosione: "Abbiamo visto un
grande chiarore, era come il
sole". Un agente della compagnia
che si occupa della sicurezza
dei trasporti aerei in Africa ha
rivelato che un motore del
Buffalo CT 15 aveva già
manifestato problemi: durante lo
scalo si è cercato di rimediare.
Un intervento inutile.
30 aprile 1993
Fonte: La Repubblica
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Vittime
Tragedia Aerea di Libreville
27.04.1993
Calciatori:
Patrick Banda (1974)
- David Chabala -
Whiteson Changwe
(1964) - Moses Chikwalakwala
(1969) - Samuel Chomba
(1964) - Godfrey Kangwa
- Derby Makinka
(1965) - Moses Masuwa
(1971) - Eston Mulenga
(1961) - Winter Mumba
- Wisdom Mumba Chansa
(1964) - Kelvin Mutale
(1969) - Richard Mwanza
(1959) - Numba Mwila
(1972) - Timothy Mwitwa
(1968) - Kenan Simambe
- John Soko (1968) -
Robert Watiyakeni
Staff Tecnico:
Godfrey Chitalu (1947
Commissario Tecnico Nazionale) -
Alex Chola (1956 Vice
Allenatore) - Wilson Mtonga
(Medico) - Wilson
Sakala
Equipaggio:
Fenton Mhone
(Colonnello, Pilota) -
Victor Mubanga (Colonnello, Pilota) -
James Sachika
(Colonnello, Pilota) -
Edward Nambote (Maresciallo, Montatore) -
Tomson Sakala
(Caporale, Steward)
Altri Passeggeri:
Michael Mwape
(Presidente FAZ) - Nelson
Zimba (Dipendente Pubblico) -
Joseph Bwalya Salim
(Giornalista)
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