The Strongest in tutto e
per tutto
di Matteo Maggio
Quante storie può
raccontare il fantastico mondo
del calcio ? Quante però
realmente ne conosciamo o ne
abbiamo sentito parlare ? Quante
sono belle e quante sono brutte
?
Sono
solo 3 domande ma le cui
risposte racchiudono una miriade
infinita di personaggi, di
squadre, di episodi. Ho sempre
pensato che dal punto di vista
umano ed anche calcistico, il
Sudamerica sia il continente più
strano e più matto che c'è. I
suoi meravigliosi paesaggi fanno
contrasto spesso con lotte
interne e genocidi che hanno
purtroppo regalato alla storia
un sostanzioso numero di morti.
Purtroppo, anche il mondo del
calcio è fatto da episodi poco
piacevoli e di sicuro
sfortunati. È nella mente di
tutti la tragedia di Superga del
1949 oppure quella dello Zambia
nel 1993, con la nazione
africana che vent'anni più tardi
vince la Coppa d'Africa nel
Gabon, in quel Gabon dove cadde
l'aereo dell'aeronautica
zambiana. Nessuno (o quasi)
conosce la storia del The
Strongest, squadra boliviana
della capitale più alta al
mondo, La Paz. Il nome stesso
richiama alla potenza che hanno
le Tigri nel proprio paese. Nati
nel 1908, sono l'unica squadra a
non essere mai stata retrocessa
insieme all'Oriente Petrolero.
L'era professionale boliviana
nacque nel 1977 ma già negli
anni passati lo Strongest aveva
vinto qualche campionato in un
periodo in cui contendergli il
titolo era impresa ardua. Al
termine della stagione 1969 i
campioni boliviani vennero
invitati a Santa Cruz de la
Sierra (altra città boliviana)
per giocare un quadrangolare
amichevole. Il 26 settembre si
imbarcarono sull'aereo per
tornare a La Paz tutti i
giocatori e lo staff tecnico ad
eccezione del capitano Rolando
Vargas, del paraguaiano Luis
Gini e Marco Antonio Velasco,
tutti e tre rimasti a casa per
problemi legati ad alcuni
infortuni post-campionato. La
sfortuna era però dietro
l'angolo; dopo aver perso i
contatti con il Douglas DC-6B
alle autorità aeroportuali
giunse la notizia che l'aereo
era precipitato nella zona di
Viloco, territorio boliviano
vicino a La Paz. La notizia
ovviamente scosse tutto il
calcio boliviano e non, in pochi
secondi scomparvero 74 persone
tra giocatori, staff, equipaggio
e persone comuni che avevano
preso quello stesso aereo. Tra i
giocatori più rappresentativi di
quella spedizione c'erano il
portiere Armando Angelasio,
portiere anche della nazionale.
Diogenes Torrico, attaccante in
grado di segnare in tutte le
maniere. Oscar Guzman,
centrocampista in prestito
dall'Olympic, squadra di La Paz.
Miguel Angel Porta,
centrocampista e bandiera dello
Strongest anni 60. Julio Alberto
Diaz, terzino argentino
naturalizzato boliviano, fu
anche capitano delle Tigri.
Ernesto Villegas, altro
centrocampista che era arrivato
dagli acerrimi rivali del
Bolivar. Hector Marchetti,
fantasista argentino e
considerato come una delle
stelle della squadra. Ed infine
il director tecnico Eustaquio
Ortuno. Fu un duro colpo per il
popolo giallonero, una mazzata
terrificante da cui sarebbe
stata dura risollevarsi. Ma la
notizia non colpì solo la
squadra di La Paz. Da tutto il
continente arrivarono aiuti di
varia natura. Il presidente
della federazione calcistica
brasiliana Joao Havelange
organizzò il clasico
Fluminense-Flamengo, il cui
incasso venne devoluto alla
rifondazione della società
tigrata. Il presidente della
confederazione sudamericana
Teofilo Salinas, contribuì
donando 20.000 dollari
americani. Il Boca Juniors mandò
a giocare in Bolivia due giovani
promesse, Romerito e Bastida.
Alla rinascita contribuì
addirittura anche il Bolivar che
cedette qualche giocatore ai
rivali cittadini. Insomma, una
ricostruzione in grande stile
capitanata da una commissione
che comprendeva dirigenti
provenienti da varie zone del
Sudamerica. Nei successivi anni
lo Strongest porterà a
compimento l'intera
ricostruzione, continuando da
dove scomparve, vincendo in
patria e mantenendo la massima
categoria con un ricordo sempre
vivo a "los Martires de Viloco".
5 settembre 2014
Fonte:
Allafacciadelcalcio.blogspot.it
Tigri, lacrime e cuore:
la tragedia del "The Strongest"
Ci sono
storie che a volte non meritano
memoria ed invece,
inspiegabilmente, rimangono, non
si sa perché, nella storia e
nelle menti di tutti. Ci sono
storie meravigliose che, invece,
lentamente spariscono per poi
spegnersi come lumi sul comodino
di una nonna troppo indaffarata.
Ci sono storie stupende, che
racchiudono in sé paure,
emozioni, solidarietà, lacrime e
sorriso, soli e lune, albe e
tramonti; storie che ovviamente
non possano che provenire dal
Sud America, il continente che
sorge su di un cuore pulsante
pieno di emozioni, dove niente è
mai banale e piatto, dove la
passione ha impregnato la terra
così tanto, che persino una
zolla di terreno apparentemente
insignificante può diventare
tema di risse e amore. Questo è
il Sudamerica. Questo è il suo
tremendo fascino. Come quel
maledetto e tremendo giorno.
Erano da poco passati venti anni
dalla indimenticata strage di
Superga, dove il Grande Torino
di Valentino Mazzola e soci andò
a schiantarsi, regalando per
sempre lacrime ai suoi tifosi ed
una storia da donare al muro
immortale del mondo del calcio.
C’era, vent’anni dopo, una
squadra boliviana di La Paz, la
capitale, che si chiamava
"Strongest". Era forte lo
"Strongest", la squadra più
forte e titolata del proprio
paese, proprio come potrebbe
essere adesso il Manchester
United in Inghilterra o il Real
Madrid in Spagna, o il Bayern
Monaco in Germania. Non per
niente aveva già vinto qualcosa
come sedici titoli nazionali
all’epoca. Era il 1969 e dentro
i propri confini nazionali non
c’era squadra che potesse
scalfire la potenza degli
aurinegri boliviani. Anche
quell’anno vinse il campionato.
Arrivò agosto, e la stagione
finì. Durante la pausa dei
campionati continentali, a
chilometri di distanza, in
Paraguay per l’esattezza, fu
organizzato un quadrangolare con
le squadre più forti in
circolazione, giusto per dare
maggior prestigio alle
amichevoli. Fu deciso di
invitare anche i campioni di La
Paz, quei campioni che facevano
il bello ed il cattivo tempo in
Bolivia. Al torneo avrebbe
partecipato anche un’altra
squadra molto forte nel proprio
paese, il Cerro Porteno, la
selecion del popolo per
moltissimi paraguaiani. Il
torneo si svolse regolarmente, e
non vi annoieremo con
statistiche o risultati fini a
sé stessi per un calcio di fine
estate che porta con sé sogni e
paure. Era il 26 settembre 1969
e le "Tigri" (così sono chiamati
in patria i giocatori dello
Strongest), salgono sull’aereo
che deve riportargli a casa. Ma
a volte la vita se ne frega se
sei il più forte nel tuo campo o
sul campo, se ne frega di chi
sei e da dove vieni. A volte la
vita arriva sul suo destriero,
saluta, saccheggia e se ne va.
Come successe quella sera,
quando il DC-6 della compagnia
boliviana Lloyd Aereo Boliviano
precipita in una regione
chiamata "La Chanca", piena di
monti ed ostacoli, vicina al
centro minerario di Viloco, a
pressappoco cento chilometri
dalla capitale boliviana La Paz.
I passeggeri che morirono erano
sessantanove, due i membri
dell’equipaggio, diciannove i
giocatori della squadra
boliviana. Shock e morte
colpirono anche dall’altra parte
del mondo. Il calcio si svegliò
la mattina seguente, e capì che
niente è immortale, niente è per
sempre. Anche i più forti
perdono. Anche chi sembra
imbattibile prima o poi
soccomberà. È la vita. Le tigri
erano state vinte. Adesso un
continente intero era in lutto,
piangeva e si disperava per quei
ragazzi di belle speranze che se
ne erano andati per sempre nel
giro di un battito di ciglia. La
Bolivia era sconvolta. Ma non
solo. Tra i giocatori che
salutarono questo mondo c’erano
anche ragazzi argentini e
paraguaiani, non solo boliviani.
Il dolore che avvolse la terra
della "Libertadores" fu così
immenso tanto che per due giorni
ininterrotti migliaia di persone
sfilano commosse verso la
Cattedrale Metropolitana di La
Paz per regalare l’ultimo
sorriso a quei martiri di una
guerra mai combattuta, e poi a
traghettare quelle giovani salme
verso il cimitero, per l’ultimo
saluto, come Caronti dei giorni
moderni. La ferita era aperta.
Ma purtroppo niente è per
sempre, e pian piano il tutto si
cicatrizzò. Il leone si leccò le
ferite causate dalla morte della
tigre, e riprese il suo cammino.
Assorbito il dolore, se mai tale
dolore si possa assorbire anche
minimamente un giorno, prima o
poi, arrivò inesorabile un
dilemma opprimente quanto
inevitabile: che fine avrebbe
fatto adesso lo "Strongest" ?
Adesso che la rosa dei
pluricampioni boliviani è stata
praticamente rasa al suolo, a
parte il miracoloso caso di tre
giocatori che per infortunio non
poterono partecipare alla
tournée paraguaiana, che ne sarà
del club ? Adesso che non c’è
più niente da piangere, e la
vita presenta il suo conto
salato, salato come le milioni
di lacrime versate nei giorni
precedenti su macerie e lapidi,
adesso, proprio adesso, che la
folla se ne è ritornata a casa e
le altre squadre hanno finito
con messaggi di condoglianze e
solidarietà, adesso che fine
farà quella maglia giallo e nera
? Tutte queste risposte, così
pesanti e quasi impossibili
anche solo minimamente da
ipotizzare, erano invece ben
stampate nella testa di Rafael
Mendoza, un dirigente che per
motivi personali non poté
partecipare al viaggio
continentale, che decise di
rimboccarsi le maniche e andare
contro il destino, contro la
sfortuna, contro la morte e
tutto ciò che aveva distrutto i
sogni di un popolo. Lo
"Strongest" non era ancora morto
del tutto. Non ancora. Fu così
che quello stupendo continente
che è appunto il Sudamerica,
mostrò l’altra sua faccia, non
più quella fatta da pistole o
cinghiate, urla e minacce,
tatuaggi e birra. No, adesso il
Sudamerica commosso mostra quel
lato emotivo che non ti aspetti,
ma che sai che c’è, silenzioso,
magari addormentato per anni, ma
pronto a svegliarsi se
necessario, se il mondo, che ha
tolto a simili come te, lo
richiede. Fu così che molti club
decisero di aiutare Mendoza e lo
"Strongest", o almeno ciò che ne
rimaneva. La FIFA e la
federazione calcistica boliviana
si misero in moto per aiutare,
con i mezzi a disposizione,
quelle tigri ferite. Gli
acerrimi nemici del Bolivar
decisero di prestare giocatori e
soldi a quei cugini sfortunati,
per far sì che quella fenice che
ardeva sotto le ceneri tornasse
a volare, più alta delle
sciagure, più alta di qualsiasi
maledetto aereo che fa i
capricci. Alta. Su nelle stelle,
vicina a quelle anime che da
lassù sicuramente proteggeranno
per sempre quei colori. L’odio
per una volta fu messo da parte,
per l’onore, per la tenerezza e
per ritrovarsi presto sul campo
e vincerla là la battaglia, là
dove il calcio deve stare, senza
sciagure a spianare la strada a
trionfi che non sarebbero tali.
Si ha bisogno dei nemici per
essere grandi. Molti attestati e
donazioni arrivarono anche
dall’Argentina, patria come
abbiamo detto di alcuni dei
giocatori scomparsi: Boca
Juniors e River Plate (e chi se
non loro), anche qua la fecero
da padrona; ma stavolta senza
scannarsi o litigare, ma
prendendosi per mano: dai due
mostri sacri argentini
arrivarono molti giocatori,
giovani e non, per completare
quella rosa che piano piano si
stava ricomponendo, con fatica,
paura e speranza. Piano, ma
stava ritornando. Lo Strongest
era più vivo che mai. Come se
non bastasse, il Boca Juniors,
nello specifico nella persona
del grandissimo presidente
Alberto J. Armando, organizzò
una partita amichevole, incassò
il tutto è lo spedì in Bolivia a
Mendoza. Il Sudamerica, si
squarciò il petto e mostrò a
tutti il suo cuore. Malato,
casinista, povero. Ma leale.
Vivo. Vero. Le tigri
ricominciarono a correre sul
quel prato verde, tornarono a
far sognare quel popolo che ne
aveva un bisogno immenso, e ben
presto tornarono a vincere come
sapevano fare. Arrivò poi il
periodo di "Don Rafo", e lo
Strongest ritornò
definitivamente ai fasti
passati. Senza dimenticare chi
ringraziare. Quel giorno, quel
maledetto 16 settembre del 1969,
morirono settantuno persone, ma
proprio mentre queste perivano
per mano del vile destino,
nacque immediatamente una
coscienza comune che avrebbe
fatto invidia anche a continenti
che si reputano più
industrializzati e civili.
Questa altro non è che la storia
di un popolo, quello giallo e
nero, che si credeva immortale,
si svegliò bruscamente con uno
schiaffo, fu legato per
assistere alla fine, ma ben
presto reagì e tornò in
Paradiso. È la storia di un
continente che molto dà e molto
toglie. È la storia di una
cultura che non è fatta solo di
risse o coltelli, ma anche di
lacrime e fratellanza. È la
storia di due nemici, Bolivar e
Strongest, che di fronte ad una
tragedia si sono abbracciati
come due amici che non si
parlavano da un po’, due amici
che capiscano ben presto che le
cose davvero gravi, al mondo,
sono altre. Due amici che
vogliano ritornare a suonarsele,
ma solo su di un maledetto campo
da calcio. Lo Strongest e le sue
tigri ritornarono a vivere e
correre, grazie alle costole di
persone che troppo spesso
etichettiamo come "mostri" e
senza cuore. Senza pensare che
forse i mostri sono altri, ed i
cuori di pietra sono i nostri.
31 ottobre 2013
Fonte:
Diotifaboca.wordpress.com
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