Quei 13 chilometri di paura
di Emanuela
Audisio
Salerno la vera fine
del campionato è qua, in questo binario morto
dove giace il bruciatissimo treno speciale 1837.
Il treno della follia che con millecinquecento
persone ha fatto nella notte ottocento
chilometri da ubriaco prima di suicidarsi con il
fuoco sotto una galleria che è diventata
un’agonia. Tredici chilometri di buio, di paura,
di fumo che non ti faceva respirare, che ti
tappava la bocca, di asfissia, terribili
invocazioni: "Ciro, buttiamoci dal finestrino".
I quattro tronchi umani anneriti, deformati,
raggomitolati sono qui, dopo la galleria che
porta a Salerno. Italy, non Belgrado. Si
somiglia tutta la carne bruciata, i cadaveri
sembrano pezzi di cose, anche se fino a ieri
avevano sedici anni, anche se erano tuo figlio a
cui per sicurezza avevi dato il telefonino,
anche se non ti aspetti che dal finestrino
tirano giù a fatica proprio il suo corpo. Il
giornalista Giovanni Vitale non lo sapeva che
quello era proprio di Simone, 22 anni, un
ragazzone che giocava a pallanuoto nella Rari
Nantes e che faceva anche il volontario nei
vigili del fuoco. Ma se ne è accorto subito. Ha
detto: "è Simone". E a chi gli offriva una sedia
per ripararsi dall’emozione ha risposto con
dignità "Non facciamo sceneggiate". Ha solo
avuto una reazione quando lo hanno allontanato
dalla bara per impedirgli di vedere cosa
facevano a quei resti umani che nella loro
rigidità non ne volevano sapere di entrare nelle
casse. "Voi non capite che per me ogni
particolare è importante", ha urlato, e allora
tutti si sono pietosamente tirati indietro.
Nemmeno la zia di Vincenzo Lioi e Ciro Alfieri,
due cugini di sedici anni, sapeva che i ragazzi
erano cadaveri uno sopra l’altro, e che i loro
corpi avevano protetto il cellulare che si è
messo a suonare proprio mentre il medico legale
faceva il suo triste lavoro. Ha risposto un
poliziotto e così la zia e Salerno hanno saputo
i nomi di quei due figli minorenni, morti
abbracciati, non per salvare una patria, ma per
una trasferta di campionato. L’ultimo è stato
identificato dalle scarpe da ginnastica, bianche
e nere. Le ha riconosciute il fratello,
nell’obitorio del cimitero. Tutti e tre venivano
dai quartieri popolari. La strage è qui, nei
resti di una domenica bestiale che riporta da
Piacenza a Salerno millecinquecento tifosi,
ultrà e ragazzi normali, tutti mescolati, e
controllati solo da una scorta di dodici agenti
che non hanno potuto fare niente. Né far pagare
il biglietto, né controllare documenti, né
fermare il vandalismo che è iniziato subito e si
è esercitato ad ogni fermata: Bologna, Firenze,
Roma Tiburtina, Napoli piazza Garibaldi, con due
ore di stop, Nocera Inferiore, con lancio di
pietre sui pendolari che andavano a lavorare.
"Ci sembrava di essere sul treno del film
Cassandra Crossing. Soli e abbandonati. Abbiamo
chiesto rinforzi e aiuto ad ogni stazione per
tutta la notte. Nessuno si è degnato di
aiutarci", dichiarano ora gli agenti. Già,
vorrai mica prendere sul serio un treno, anzi un
carro bestiame di dannati, di scoppiati, di
frustrati da serie B che torna a casa ubriaco di
birra, di sonno, di spinelli, di pasticche (il
solito immancabile Roipnol), di vino, di
pocket-whisky, di tutto quello che si può
tracannare quando sono 48 ore che fai la bestia
nervosa in gabbia, pronta ad azzannare chiunque
ti capiti a tiro, così tanto per far pagare a
qualcuno la tua disperazione. Inutile guardare i
documentari su come è incenerita e smozzicata la
Jugoslavia, guardate qui, da questa parte, la
carrozza numero cinque, questa Moby Prince su
rotaia, con le ganasce dei freni che ancora
fumano perché il divertimento delle belve è
stato quello non solo di spaccare tutto, ma
anche di tirare il freno d’emergenza cinque
volte, così per scherzo, e se non ci fosse stata
la bravura del macchinista, Carmelo Amico, che
ha deciso di tirare fuori il treno dal tunnel e
di percorrere anche lentamente quei quattro
chilometri che mancavano alla luce, ora il
macello sarebbe più tremendo e più grave.
C’erano più di cento persone assiepate in quella
carrozza, ora a parte i quattro morti ci sono
dieci feriti con fratture, bruciature, tagli
ovunque, botte in testa.
Si sono calpestati,
tagliati, ustionati. Sono stati portati via con
la carta argentata, come polli allo spiedo. Ma
loro almeno si sono salvati. Bella maniera di
festeggiare l’anniversario. Dieci anni fa, il 18
giugno '89, il treno speciale 1594 che portava i
tifosi del Bologna a Firenze si fermò alla
stazione di Rifredi. L’accoglienza fu speciale:
un agguato a base di sassate e di bombe molotov.
Bruciarono due vagoni. Ivan Dall’Olio, 14 anni,
sfegatato del Bologna, si prende la bottiglia
incendiaria in faccia, è il più grave dei dieci
ustionati. Il settanta per cento del suo corpo
non c’è più. Il ragazzo viene coperto di bende,
operato e rioperato, è orribilmente ustionato,
si sente un mostro, non esce più di casa, dorme
tutto il giorno e sta sveglio di notte, quando
il buio nasconde tutto, anche la sua faccia. Tra
parentesi al ritorno sullo stesso treno capitano
altri incidenti, sono raid punitivi di
rivincita. Ivan oggi ha 23 anni, gioca a
pallone, e continua a fare il tifoso, a seguire
il Bologna in curva, anche se dice che essere
scortati come bestie è brutto. Se gli chiedete
che cosa prova davanti a queste nuove morti, con
la voce devastata e parlando a monosillabi vi
risponderà che è assurdo. "Assurdo che ne siano
morti altri". I suoi tre aggressori, hanno
evitato l’accusa di strage. Due sono liberi, uno
soprannominato "Pitone" è morto di Aids. Quando
Ivan l’ha saputo il suo commento è stato:
"Giusto, lo trovo giusto". Dieci anni dopo siamo
ancora a cercare di spegnere con le nostre
inutili e giuste lacrime le fiamme dei treni
speciali. Salerno è in lutto cittadino, le
autorità stanno interrogando i feriti e i
sopravvissuti, l’accusa non sarà comunque di
strage, ma di omicidio plurimo. Sotto accusa è
soprattutto una banda di dieci terribili
balordi. Il sindaco Vincenzo De Luca ha parlato
dei quattro morti come figli delle nostre
famiglie, ha negato che il treno della follia
sia stato attaccato dagli ultrà della Nocerina,
tradizionale nemica della Salernitana, e ha
detto che se il prezzo dello sport è questo è
meglio non pagarlo. E non giocare più. Tutto
giusto, tutto vero, ma il treno speciale 1837
strafatto di droga, di sfinimento, di violenza
ordinaria, ha corso per ottocento chilometri
mentre i viaggiatori si scannavano e
violentavano la notte. E mentre la gloriosa
scorta di dodici poliziotti chiamava aiuto
all’Italia e pregava di chiamare assassini
quelli che vogliono così bene alla squadra.
25 maggio 1999
Fonte: La
Repubblica
"Io, tifoso
della Salernitana, vi racconto il mio viaggio
infernale"
Diario da
Piacenza a Salerno
"A Bologna
sassaiola su un bar Poi il lancio di un
estintore contro un altro treno, e il tiro al
bersaglio di Firenze".
DA UNO DEI
NOSTRI INVIATI SALERNO - Nicola
è uno spilungone di colorito olivastro. Ha
lineamenti saraceni e una cresta di capelli
corvini, scolpita come roccia da un intero
tubetto di gel, che sormonta il cranio velato
appena da un’ombra di peluria. Ha 19 anni e a
scuola non va più da un pezzo: s'arrangia,
quando capita, con qualche lavoretto saltuario.
Adesso è un po’ che gli gira bene: fa
l’apprendista in un’officina meccanica. Smonta e
rimonta qualche pezzo, rimette ordine sul
bancone degli attrezzi e cerca d’imparare il
mestiere. Ma, per una partita della Salernitana,
sarebbe pronto a gettar via anche quel pizzico
di fortuna che la vita gli ha regalato. Uno come
lui, e come tanti altri in questa città, non
avrebbe perso per nulla al mondo il "match" di
Piacenza, pure a costo d’infilarsi in un vagone
bestiame per viaggiare da clandestino. "Si
decideva il nostro futuro", mormora appoggiato a
un vespino nei pressi del cimitero. Pensava, al
pari degli altri ragazzi che ora premono alle
porte del camposanto per dare l’ultimo saluto
alle vittime, che non ci fosse inferno peggiore
d’una retrocessione in serie B. Adesso sa che
non è così. L'inferno, quello vero, ha divorato
quattro esistenze appena sbocciate. E se la
sorte non gli fosse stata amica, sarebbe toccata
a lui. O ad un altro qualunque dei 1500 tifosi
stipati sul treno maledetto. Questo, insomma, è
il diario di un sopravvissuto, la voce di uno
scampato alla lunga notte di follia consumata
nei vagoni di un convoglio che correva
imbizzarrito sulla spina dorsale dell’Italia.
PIACENZA
20.01 - "La partita s'è appena
conclusa. E la rabbia calpesta subito i
rimpianti. Un gruppetto si stacca e sguscia nei
bagni della curva sud, dove fa a pezzi i cessi e
i lavandini. Le schegge più pesanti vengono
utilizzate nel primo assalto contro le auto e i
pullman parcheggiati accanto allo stadio. Tira
una brutta aria, ma per il momento anch’io mi do
da fare urlando come un pazzo e minacciando
chiunque mi capiti davanti. Ci caricano sul
treno un’ora dopo, ma si capisce subito che
siamo in troppi per stare lì dentro. Io salgo su
una delle prime carrozze: negli scompartimenti
di centro, però, la guerra è già cominciata. Un
paio di estintori vengono divelti e scaricati
all’interno dei vagoni. I cori ormai sono
assordanti e si mischiano alle imprecazioni che
piovono da ogni parte. Alle 20.01 il treno
lascia la stazione. Ci accompagnano dodici
poliziotti di Piacenza, sei uomini e sei donne.
Dicono che a Bologna aggiungeranno altre
carrozze per farci stare più comodi ed evitare
guai".
BOLOGNA
21.35 - "Siamo quasi arrivati in
stazione. Ma all’improvviso il treno si blocca.
Qualcuno ha azionato il freno d’emergenza:
capiterà non so quante altre volte durante tutta
la notte. Sento ridere, urlare e mi sporgo dal
finestrino per vedere cosa sta accadendo. Una
cinquantina di ragazzi si precipita sui binari e
raccoglie sassi dalla massicciata. Fanno scorta
di proiettili. Poco più in là, devastano un bar
che deve aver chiuso da poco. I poliziotti non
ce la fanno a trattenerli. Mezz’ora dopo,
comunque, si riparte. Hanno aggiunto cinque
vagoni in coda. L’eccitazione è alle stelle: il
fumo delle "canne" si mescola all’odore
dell’alcol che impregna i sedili e il pavimento.
A Grizzana Morandi, un paesino emiliano, un
estintore viene lanciato contro un treno che
arriva dalla direzione opposta. Comincio ad aver
paura. Ma faccio finta di nulla".
PRATO /
FIRENZE 23.45 - "Tirano di nuovo
il freno d’emergenza per scendere a raccogliere
altre pietre. Il treno ormai è una bolgia. La
banda degli scalmanati bersaglia tutto ciò che
gli capita a tiro: vetrine, macchine, lampioni.
Nelle carrozze hanno divelto poltrone,
posacenere, portabagagli. Gli agenti non
riescono a fermarli. Restiamo fermi a Prato un
bel po’. Ma nella stazione Campo di Marte, a
Firenze, la scena si ripete uguale: un estintore
vola in strada, vengono fracassati i vetri degli
scompartimenti. Sento i poliziotti di scorta che
parlano fra loro: dicono di aver ricevuto
l’ordine di far arrivare il convoglio a
destinazione prima possibile. Di rinforzi, però,
nemmeno l’ombra. La tensione sale. Andiamo
avanti a singhiozzo fino a Roma Tiburtina, con
il treno che si ferma e riparte continuamente.
Ogni stazione diventa una tappa della
guerriglia. Torneremo mai a casa ?".
NOCERA
INFERIORE 7.03 - "Da Napoli a
qui è stato un calvario. Saranno cento, forse
anche di più, quelli che dettano legge. Sono
"fumati" fino al midollo e hanno le bocche
impastate di birra. Ma per fortuna manca poco
all’arrivo. Immaginavo che a Nocera sarebbe
stata ancora più "tosta" che altrove. Non così,
però. Sono scene da incubo. Dal treno, ridotto
ad una carcassa che si trascina sui binari,
sbuca un commando che devasta la stazione e
aggredisce i passeggeri degli altri convogli.
Provano a trasferirci su dei pullman, ma non ci
riescono. Qualcuno grida: "Restiamo qui, così
poi riusciamo a scappare". Ripartiamo ma,
qualche attimo dopo, sotto la galleria Santa
Lucia scoppia l’inferno. All’improvviso, una
puzza di bruciato invade gli scompartimenti. Il
fumo avvolge tutto: nel buio, sento soltanto la
gente che urla e invoca aiuto. Poi il rumore dei
finestrini rotti, lo stridio delle rotaie sui
binari... E il respiro che va via, gli strepiti,
i pianti, l’onda di calore che si propaga...
Poi, d’un tratto, la luce del giorno. Mi
scaravento giù col cuore in gola, il tunnel
sembra un enorme sigaro che vomita fumo. Corro
verso la stazione, anzi sono le gambe che mi
trascinano lontano. Mi guardo di nuovo alle
spalle. Sono a casa, sono salvo. Ma gli altri
?". (Ultrà
Salerno)
24 maggio 2008
Fonte:
Salernitanafans.forumfree.it
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