IL RICORDO -
Bernardini: "Regalai la mia maglia
a Simone poi mi
dissero che era deceduto"
Piacenza-Salernitana è
una pietra sul cuore. È il ricordo della mia
ultima partita diretta in Serie A, il 23 maggio
1999, che si associa al ricordo di una immane
tragedia. Il giorno dopo, quattro giovani tifosi
non ritornarono più a casa, a Salerno, morti nel
treno in fiamme. Roberto Bettin di Padova, ex
arbitro, smise di fischiare 21 anni fa in
massima serie (avrebbe poi concluso con
Torino-Reggina, in B) e fu scortato dai celerini
negli spogliatoi. In campo, la rissa tra
calciatori: la Salernitana era retrocessa e
invocava il secondo calcio di rigore, quello del
possibile 1-2, che mancava all'appello. Gli
errori, le sviste, la direzione di gara scadente
non potevano, non possono e non potranno mai
essere posti in rapporto di causa ed effetto con
il fumo, il fuoco, con 4 giovani corpi
carbonizzati sul treno Piacenza-Salerno,
all'alba del 24 maggio: Ciro Alfieri, Peppe
Diodato, Enzo Lioi, Simone Vitale non sarebbero
morti, se nessuno avesse appiccato l'incendio,
tirato per l'ennesima volta il freno a mano,
pure nella galleria Santa Lucia generando
l'inferno. Ventuno anni fa, proprio oggi, un
treno imbandierato, carico di entusiasmo,
pronostici, zaini e panini, partito dalla
stazione di Salerno, arrivava a Piacenza con
tanti tifosi a bordo. Poi tutto e tutti "fuori
binario", fuori controllo: il dramma al ritorno.
L'ARBITRO
- "È una cosa terribile che mi porterò dentro
per sempre - dice l'ex arbitro - Quella tragedia
ha lasciato un segno indelebile nella mia vita.
Un ricordo che mi accompagna. Non riesco ad
aggiungere altro, non ne voglio parlare mai
più". Al "Garilli", Bettin guardava nervosamente
l'orologio, dopo l'intervallo. Nell'attesa che
si diradasse il fumo dei bengala, dalla curva
intonarono "Salerno lotta col cuore": al coro si
unirono anche Ciro, 15 anni, Vincenzo, 16 anni,
Giuseppe, 23 anni, Simone, 22 anni. "Vito", che
era il diminutivo del cognome e il soprannome di
Simone alla Rari Nantes, decise che non sarebbe
andato a giocare a Catania, il 22 maggio, perché
non avrebbe fatto in tempo a raggiungere
Piacenza.
IL
GIOCATORE - Andò a tifare per Antonino
Bernardini (del quale aveva anche la maglia) e
compagni perché la Salernitana era la
Salernitana. "Ho rivisto tutto un mese fa su
YouTube - dice il professore Bernardini - Finì a
botte: Gattuso, Giacomo Tedesco, Di Michele,
Fresi si fecero sentire, toni accesi a fine
gara. Noi ci stavamo giocando la salvezza,
eravamo in lacrime, e loro ridevano. Il Piacenza
sulla carta era salvo e noi pure, se avessimo
vinto. Provammo in tutti i modi ed ero sicuro di
far gol, su calcio di punizione, perché sognavo
il gol salvezza, perché volevo fare il regalo ad
una tifoseria immensa, davvero un popolo. Fiori
parò". Il Piacenza, già salvo, era passato per
primo in vantaggio con lo "Zar" Pietro
Vierchowod: colpo di testa su calcio d'angolo di
Piovani. Poi la speranza. Atterrato Di Michele
dopo il pallone filtrante di Giampaolo,
l'arbitro Bettin indicò il dischetto, Fresi
prese il pallone sotto il braccio. "Calciò lui,
perché io non lo facevo più - ancora Antonino
Bernardini, che oggi ha investito nella
ristorazione e ha aperto un'attività in Spagna,
a Maiorca - non ne avevo mai sbagliato uno prima
di Salerno, segnai contro la Roma poi errori
contro l'Udinese e la Fiorentina. A quel punto
dissi basta... È un anno maledetto per me, non
li tiro più. Il primo era Di Vaio, poi io.
Lasciammo volentieri a Fresi". Che calciò
angolato alla destra di Fiori, spiazzandolo al
19' della ripresa. Poi urlò ai compagni
"giochiamo, andiamo a salvarci". Non fu
possibile: Tedesco, stretto tra due maglie rosse
del Piacenza, fu atterrato in area di rigore ma
Bettin sorvolò. Poi fu allontanato dalla Polizia
per evitare il contatto con i calciatori della
Salernitana. "Il treno sul quale viaggeremo è un
carrettone". Furono queste le ultime parole di
Simone Vitale al papà, il giornalista Giovanni,
prima di partire. Prima di lanciarsi come un
angelo, d'istinto, da vigile del fuoco
volontario, tra le fiamme del treno per salvare
tante giovani vite. Non la propria. Un gesto che
gli valse la Medaglia d'Oro al valore civile del
Presidente della Repubblica. "Mentre tornavamo
in città - conclude Bernardini - mi chiamarono
per dirmi che alla stazione ferroviaria c'era un
disastro. Mi dissero che avevano riconosciuto
Simone, il ragazzo con la mia maglia. Andai
qualche giorno dopo a trovare il papà. Il
pensiero vola alle famiglie dei quattro tifosi.
Mai più, non accada mai più: ricordiamo e
raccontiamo tutti perché i giovani continuino ad
amare solo lo sport". A Ciro, Peppe, Enzo e
Simone, la Salernitana domani intitolerà i tre
campi e la sala stampa del Mary Rosy, con una
cerimonia che, in tempi di Covid, si svolgerà in
forma ristretta, alle 12. Ci sarà l'arcivescovo
Bellandi.
24 Maggio 2020
Fonte:
Ilmattino
© Fotografia:
Salernitanastory.it
21 anni dopo
Salerno non dimentica la tragedia del treno
Il 24 maggio 1999
morirono Ciro Alfieri, 15 anni, Vincenzo Lioi,
16 anni, Giuseppe Diodato, 23 anni e Simone
Vitale, 22 anni, quasi al termine del viaggio
del treno speciale dei tifosi granata partito da
Piacenza la notte prima. L’incendio divampò in
quinta vettura imprigionando i quattro corpi che
vennero carbonizzati dalle fiamme. Salerno
ricorda oggi Ciro, Vincenzo, Giuseppe e Simone
21 anni dopo quella tragedia. A tal proposito
l’U.S. Salernitana 1919 ha deciso di intitolare
i tre campi e la Sala Stampa del C.S. "Mary
Rosy" a Ciro, Enzo, Peppe e Simone. Un piccolo
gesto per ricordare in modo permanente quanto
accadde ventuno anni fa ed onorare la memoria di
questi ragazzi che erano a Piacenza per tifare
per la loro squadra, impegnata nel tentativo di
restare in serie A, e che non fecero più ritorno
a casa. La cerimonia di intitolazione avverrà
questa mattina domenica 24 maggio alle 12:00
presso il Centro Sportivo Mary Rosy. A causa
delle vigenti restrizioni dettate dall’emergenza
Covid-19, la cerimonia si terrà in forma
ristretta e non sarà aperta al pubblico e a
tutti i tifosi. All’evento sarà presente anche
il Vescovo di Salerno Monsignor Andrea
Bellandi".
Il giornalista Fabio
Setta ricorda così quel tragico 24 maggio 1999
- Mancano pochi minuti, dobbiamo fare
un gol. Ma perché il Piacenza gioca con tanta
rabbia e cattiveria ? Tante partite a fine
stagione si sa come vanno. E invece, questa no.
Il loro portiere - ma chi è Fiori ? - è
insuperabile. Ecco, ecco, c’è Tedesco, messo
giù: è rigore, è rigore. Ma per l’arbitro no. È
incredibile, protestiamo noi in curva, i
giocatori in campo. Ma come si fa… Mi accendo
una sigaretta, la offro a un mio amico "fumatela
è l’ultima sigaretta con la Salernitana in serie
A". Due tiri, un groppo in gola, il fischio
finale. Mi siedo, in campo c’è una rissa, non mi
interessa. Mi copro il volto con le mani, non
voglio farmi vedere in lacrime. È dura, ma non
bisogna farsi prendere dalla rabbia penso. Non
sarà così… Già prima di uscire dal Garilli la
tensione è alta. Raggiungiamo la stazione di
Piacenza dove ci aspetta il treno che ci
riporterà a casa. Siamo tanti, oltre 1500
persone, e ci ammassano nel treno 1681: "A
Bologna saranno aggiunti altri vagoni" - ci
dicono. Ma prima di arrivare a Bologna qualcuno
tira il freno d’emergenza e ne approfitta per
scendere per raccogliere pietre per un’eventuale
sassaiola. "Contro chi ?" Penso io… A Bologna
c’è chi scende e preferisce aspettare un altro
treno, anche se effettivamente al nostro vengono
aggiunti dei vagoni per rendere il viaggio, non
gradevole ma quanto meno sopportabile. È il
minimo. La prima considerazione è
l’inadeguatezza del servizio d’ordine. Saranno
una decina, qualcuno di più su un treno che
minuto dopo minuto diventa incontrollabile. Tra
frenate d’emergenza e sassaiole, vetri rotti e
cori di rabbia, si va avanti a singhiozzo. I
poliziotti hanno l’ordine di far arrivare il
treno il prima possibile, ma la tensione sale.
Sassaiola a Firenze, a Roma, poi l’arrivo a
Napoli e quella sensazione che il viaggio non
finisse più. L’ultima fermata forzata è a Nocera
Inferiore. Alcuni scendono dal treno e
aggrediscono alcune persone. Altri scendono dal
treno, cercando altri mezzi per tornare a
Salerno". Anche a piedi è meglio" - mi dice un
ragazzo. Ma la maggior parte resta sul treno.
Dopo qualche minuto, grazie all’intervento della
Polfer, si riparte. Da Nocera per arrivare a
Salerno c’è la lunghissima galleria di Santa
Lucia. In un attimo l’inferno. All’improvviso si
sente una puzza di bruciato, e poi il fumo, il
buio. Si sentono urla, rumore di vetri rotti, il
fischio del treno sui binari, un treno che
sembra andare lentissimo (qualcuno avrà azionato
di nuovo il freno d’emergenza ?) all’interno di
una galleria che non sembra finire mai. Poi si
intravede la luce, usciamo dalla galleria,
scendo di corsa verso la stazione. Ci sono
feriti, ci sono intossicati, mi giro e vedo che
dalla galleria ancora esce fumo. Ma ci sono
quattro ragazzi che da quel treno maledetto non
scenderanno mai. Ciro, Enzo, Peppe e Simone: per
non dimenticare, 24 maggio 1999.
24 Maggio 2020
Fonte:
Salernonotizie.it
Da Piacenza a
Salerno: la discesa verso l’Inferno
di Nicolò
Premoli
Se provi a cercare
qualcosa con Google non sbagli. Soprattutto da
qualche anno a questa parte quando ha iniziato
pure a suggerirti cosa digitare. Capita di
scrivere "Piacenza" e dare un colpo di barra
spaziatrice. Subito ecco uscire "Piacenza
calcio". Forse però non è il momento di leggere
storie di squadre decadute e poi risorte, non è
proprio il momento giusto. Poco più in basso
però a Piacenza si aggiunge "Salernitana" e
senza pensarci clicchi "Cerca". Quasi come fosse
una macchina del tempo Google ti riporta ad una
domenica di fine maggio. 1999. Una domenica come
tante verrebbe da pensare, soprattutto per chi
tifoso non è. Una domenica che poteva valere una
stagione per Piacenza e Salernitana. Due squadre
abituate ad inseguire, a lottare e sperare che
dall’altra parte della schedina nessuno faccia
qualche strano scherzo. Come la Reggiana con il
Milan. Piacenza-Salernitana vale la salvezza.
Certo, i biancorossi possono anche permettersi
di pareggiare e forse di perdere ma quel 24
maggio il biscotto pare decisamente indigesto.
Il Garilli è pieno, un’immagine che fatica a
rivedersi di questi tempi. Ma questa è tutta
un’altra storia. La Salernitana deve vincere.
Deve. Senza nessuna "X" che la può salvare dal
baratro della retrocessione. 3 punti o Serie B.
La partita è di quelle nervose, tese e l’arbitro
ci mette pure del suo. Passa avanti il Piacenza
ma la Salernitana pareggia con un rigore di
Fresi. Fuori dal campo però la tensione è anche
più forte. La Curva Sud dei campani canta,
incita e manda a quel paese gli avversari. Si
scalda e si anima. 1500 tifosi fanno tremare i
tubi Innocenti. Non basta il pari e lo sanno
bene anche loro che si sono fatti tutta l’Italia
per essere lì, proprio quel pomeriggio. Si sono
fatti tutta Italia perché credono nell’impresa.
Ci credono fino alla fine, quando in campo
scoppia la rissa. Vierchowod che spinge, la
calca e poi il triplice fischio con l’arbitro
che viene allontanato dal campo scortato da due
poliziotti. Chi non è tifoso non può certo
capire cosa possano provare quei tifosi sotto il
sole di fine maggio. Non è nemmeno possibile
trovare un sentimento capace di descrivere
quella rabbia che monta mista ad una delusione
feroce, bestiale. La Salernitana sprofonda in B
e la Curva Sud inizia la sua lenta discesa verso
l’Inferno. Quando qualcosa va a finire male si
prova il desiderio di spaccare qualcosa. Può
capitare di essere in casa da soli e scagliare
un cellulare contro il muro. O può accadere di
trovarsi immersi nella bolgia di uno stadio. E
allora quel cellulare diventa improvvisamente il
lavandino del bagno. Lo si tira in cinque, si
stacca dai tubi e si getta per terra. Mille
pezzi che diventano armi. Proiettili da lanciare
per sfogare quella rabbia. Rabbia verso
Piacenza, verso quella città che per i
salernitani non sarà più la stessa. Inizia il
viaggio verso la stazione su quei pullman dove
grate di ferro prendono il posto dei finestrini.
Piacenza è piccola, una di quelle città che
all’estero nemmeno conoscono. E nemmeno a
Salerno, almeno fino a quella domenica. Lo
stadio non è troppo distante dalla stazione ma
per quei 1500 il viaggio sembra non finire mai.
Ore 20: c’è un treno ad aspettare i tifosi
salernitani. Un treno come tanti altri, un
convoglio che dovrà fare il viaggio opposto,
scendere nel profondo dello stivale. Un treno
che poteva significare gioia ma che dopo quel
risultato rappresenta semplicemente qualcosa da
spaccare. Come i lavandini dello stadio poco
prima. La rabbia non può che aumentare in quegli
scompartimenti stretti, troppo stretti per
contenere tifosi e delusione. Buttati dentro
come bestie in carrozze dove non si respira
ossigeno ma pura tensione. Quel treno non farà
soste: dritti verso Salerno senza appello, come
la sconfitta bruciante del Garilli. Più di
settecento chilometri in un solo colpo. A
Bologna qualcuno pensa allora di tirare il freno
di emergenza. Di bloccare quella fuga verso il
Mezzogiorno. 21:35. Qualcuno scende e le pietre
anonime della massicciata si trasformano in
altre armi. Come le schegge di ceramica allo
stadio. La rabbia si trasforma in sassaiola
verso un bar, un locale come tanti che diventa
preda di pietre e bottiglie. Quelle bottiglie di
birra bevute tra un coro e l’altro. In coda si
aggiungono altre carrozze ma la furia non si
divide. Si moltiplica. Fa caldo in quel treno
che si ferma anche a Prato e Firenze: non sono
più tifosi granata ma bestie stipate in un carro
bestiame. Troppo stretti anche per potersi
disperare dopo quella caduta, dopo una A
inseguita per cinquant’anni e svanita sotto il
sole del Nord. A Napoli qualcuno prova anche a
scendere e buttarsi su qualche pullman di
passaggio. Ma c’è poco da fare: quel treno era
partito da Piacenza e doveva arrivare a Salerno.
E a Salerno mancano ormai pochissimi chilometri.
Soltanto poche traversine. Manca la Galleria
Santa Lucia. Nell’oscurità illuminata a tratti
qualcuno sente puzza di fumo. Un odore acre,
anche più di quel sudore che puzza d’alcol. Un
fuoco acceso in una carrozza. Un incendio. C’è
chi come Simone prova a spegnere le fiamme. C’è
chi come Simone da quel treno non scenderà vivo.
Ciro, Enzo e Giuseppe si perderanno a loro volta
in quel fuoco maledetto. Quattro vite spazzate
via mentre il treno esce dalla galleria. Quando
gli idratanti hanno finito il loro compito c’è
ormai poco da fare. La discesa verso l’Inferno
si è conclusa. Dopo settecento chilometri,
sassi, fiamme. E quattro morti.
29 maggio 2017
Fonte:
Soccerillustrated.it
24 Maggio 1999:
Ricordare affinché non debba mai più accadere
ll treno della
tristezza e dell’immane tragedia che
ideologicamente transita a grande velocità da 18
anni a questa parte sulla tratta
Piacenza-Salerno lasciando un senso di vuoto e
tristezza infinita.
Le urla, gli strepiti, il dolore che
hanno accompagnato quella bara rovente dalla
galleria di Santa Lucia alla stazione centrale
di Salerno rappresentano una sentenza di
condanna incontrovertibile per una sciagura che
avrebbe potuta essere evitata se solo non si
fosse consentito a quel treno di assunto
incredibilmente ad una comitiva "bestiame" la
partenza dalla stazione emiliana.
D’altronde, si sa, è difficile andare via
quando si prova a scendere da un treno mentre
va, per sottrarsi ad una fine sicura dettata
dalle esalazioni e dalle fiamme di un vagone (il
famoso vagone 5) appiccato per divertimento o
per eludere - chissà - i controlli delle forze
dell’ordine nel momento dell’arrivo al capolinea
non più ferroviario ma della vita di quattro
giovani ragazzi: Enzo, Giuseppe, Ciro e Simone.
Quest’ultimo morto per salvare la vita di chi
come lui si era trovato soltanto nel posto
sbagliato nel momento sbagliato. Da allora quel
treno della disgrazia ogni anno il 24 Maggio
transita per Salerno trascinando con sé le
vittime ed i ricordi indelebili di una tragedia
evitabile. Come ogni anno di questi tempi,
Salerno non dimentica la sciagura di quel giorno
ove la retrocessione dalla massima serie della
Salernitana passò in secondo piano per la
perdita del bene della vita di quattro giovani
tifosi granata. Da allora, il treno della
vergogna, le carovane di tifosi assiepati come
bestie in vagoni assunti a vere e proprie gabbie
di persone che finiscono per tramutarsi in belve
inferocite, sono stati soppressi per ragioni di
ordine pubblico, allorquando il danno
irreparabile era già stato perpetuato. Dal 24
Maggio del 1998, quello della coscienza, viaggia
parallelamente a Salerno nella ferma convinzione
che quanto accaduto, costituisca una pagina nera
da ricordare e mai più fomentare perché lo sport
è fatto per accendere la vita, ardere il fuoco
della passione non quello della tragedia, dello
sgomento e della rassegnazione. È il vagone
della lotta e non della desolazione. Il treno ad
alta velocità per ricordarsi di ricordare
affinché il domani non sia più ieri.
24 maggio 2017
Fonte:
Vocesport.com
Mai più un
24/05/1999: riflettere per non
dimenticare
Ciro, Enzo, Peppe e Simone
di Maurizio
Iuliano
Nella vita di ogni uomo
ci sono delle date la cui innocua formulazione a
base di freddi numeri non può minimamente
rendere l’idea del dolore che esse hanno
impresso per sempre nel cuore e nella mente di
chi con loro è costretto a convivere. Perché
certe date non si cancellano, non si riesce a
segregarle nello scompartimento riservato
all’oblio degli eventi insignificanti, non è
possibile renderle meno devastanti rivisitandole
e plasmandole con il metro consolatorio della
speranza in un disegno divino che sfugge ad ogni
logica. Il 24 maggio del 1999 è una di queste.
Come hanno purtroppo imparato sulla loro pelle
familiari, parenti ed amici di Vincenzo, Ciro,
Simone e Giuseppe, i quattro sfortunati figli
della nostra città che persero la vita,
quattordici anni fa, nell’assurdo rogo divampato
sul treno Piacenza-Salerno. Quattro esistenze
nel pieno del vigore fisico, prima ancora che
giovanissimi tifosi del cavalluccio, appena
affacciatesi entusiaste sullo sconfinato
assortimento di opportunità ed esperienze che la
vita aveva iniziato civettuolamente a mostrare.
Un piccolo frammento di quel dolore, in una
sorta di tenero (e forse infruttuoso) tentativo
di popolo di alleviare la sofferenza delle
famiglie coinvolte, è passato e continua a
transitare di spalla in spalla, da tifoso a
tifoso, di anno in anno. E non è un artifizio
retorico, una patetica rappresentazione
strappalacrime da inserire nella triste
ricorrenza. È molto di più, perché la città di
Salerno, quella legata visceralmente alle sorti
della sua squadra di calcio, ma anche la sua
componente più verace che nutre semplicemente il
rimpianto di non aver visto quattro suoi
rampolli diventare uomini e mettersi al servizio
della comunità, vive con grandissimo
coinvolgimento emotivo il ricordo delle giovani
vite falciate da un destino indicibilmente
crudele. Ed infatti, anche di recente, in
occasione del bagno di folla e della splendida
coreografia che ha dato il via ai festeggiamenti
per il ritorno della Salernitana in Prima
Divisione, il popolo granata, nel generoso e
sincero tentativo di conferire materialità a
qualcosa che purtroppo esiste ormai solo nel
ricordo di chi è rimasto, ha emozionato i
diecimila dell’Arechi facendo rivivere
nostalgicamente le sagome dei quattro sfortunati
virgulti , quasi a voler riaffermare una volta
di più la volontà di renderli ugualmente
partecipi a tutte le gioie sportive negate loro
dal fato. Ed a rendere il tutto più emozionante
ed intenso si stagliava in alto la figura
massiccia e protettiva di Carmine Rinaldi, il
"Siberiano", che undici anni più tardi (2010),
con la sua improvvisa scomparsa, aveva allargato
ancora di più i lembi di una ferita che stentava
a rimarginarsi. Sembrava quasi volesse
tranquillizzare tutti i presenti, Carminuccio,
con una sorta di messaggio subliminale: ci sono
io a vegliare, non state in pena per loro. In
quel tripudio agrodolce di colori e bandiere,
cori ed applausi, è stato assai struggente
soffermare lo sguardo sui volti dei presenti e
registrare il tumulto emotivo interiore che
nobilitava ogni singola espressione facciale,
ogni intimo dolore. Se fosse stato possibile
raccogliere in salvifici recipienti tutte le
lacrime versate al cospetto di quella
magniloquente rievocazione sentimentale, la
spietata torcia, scatenatasi sul treno che
riportava in città la mestizia per la
retrocessione immediata dalla massima serie, non
avrebbe avuto scampo, non sarebbe mai riuscita
ad avviluppare in un ferale abbraccio i corpi
vitali ed energici di Ciro, Simone, Giuseppe e
Vincenzo. Dopo quattordici anni, la città, in
tutta la sua interezza, ancora una volta si
stringe affettuosamente al fianco delle famiglie
Lioi, Alfieri, Vitale e Diodato. Perché solo
provando a condividere emotivamente un dramma
così difficile da metabolizzare, si può sperare
di alleggerire il fardello doloroso che curva le
spalle di chi ha perso per sempre un figlio, un
fratello e un carissimo amico.
COMUNICATO UFFICIALE US
SALERNITANA. In mattinata anche il sodalizio di
Via Allende ricorda la ricorrenza della
scomparsa di Peppe, Enzo, Ciro e Simone con uno
scarno dispaccio pubblicato sul portale
ufficiale: "L’U.S. Salernitana 1919 ricorda i
tifosi Simone Vitale, Ciro Alfieri, Vincenzo
Lioi e Giuseppe Diodato, tragicamente scomparsi
nel rogo del treno di ritorno da Piacenza il 24
maggio di quattordici anni fa".
24 maggio 2013
Fonte:
Solosalerno.it
ACCADDE OGGI
Il rogo del
treno Piacenza - Salerno
dove morirono 4
tifosi della Salernitana
di miki58
MEMORIA VIVA. Dopo 14
anni nessuno ha dimenticato Ciro Alfieri, Enzo
Lioi, Peppe Diodato e Simone Vitale. Quante
dediche nel loro ricordo Il loro ricordo ha
sempre accompagnato la Salernitana. Da quel
maledetto 24 maggio 1999, le società che si sono
alternate negli anni e soprattutto i tifosi non
hanno mai smesso di onorare la memoria di Enzo,
Peppe, Ciro e Simone. Dalla dedica di Lombardi
per la promozione in B del 2008 alla splendida
scenografia di un mese fa per celebrare il
ritorno dei granata in C1. Domani, all’Arechi,
la Salernitana alzerà (salvo clamorose sorprese)
il primo trofeo della sua storia. Quale migliore
occasione per ricordarli… L’incubo cominciò al
risveglio. Perché non era un brutto sogno. Era
tutto vero. Accadde oggi, il 24 maggio del 1999.
Era un lunedì. Il cielo su Salerno era terso,
eppure non splendente come al solito a cavallo
tra il tramonto d’una primavera e l’alba d’una
nuova estate. Per chi aveva visto Piacenza-Salernitana, ultima giornata di quel campionato
di serie A, s’annunciava una giornata triste,
perché la squadra granata era retrocessa e
quella delusione sportiva pareva un macigno dal
peso insostenibile per portarselo addosso in una
settimana che stava per cominciare. C’erano
stati 10mila tifosi del cavalluccio marino in
Emilia. Chi aveva viaggiato in auto e pullman
aveva fatto rientro a casa nel cuore della
notte. Un tragitto di ritorno infinito. Dilatato
dalla delusione, dallo sconforto per quel
pareggio del Garilli (che all’epoca chiamavano
ancora Galleana) che aveva condannato la
formazione di Oddo alla B. Una carovana
silenziosa s’era rimessa in marcia lungo l’A1 in
direzione Sud. Ricordo l’autogrill di
Pontecorvo, quei bagni sporchi da fare schifo e
un tifoso sulla trentina con la faccia rivolta
al muro e lo sguardo fisso verso un punto
indefinito del vuoto. Aspettavo il mio turno,
quando mi accorsi che non era lì per "fare la
pipì", semplicemente piangeva, e s’asciugava le
lacrime con una sciarpa in lana della Gsf,
strofinandosi sugli occhi il simbolo ricamato di
Popeye.
Quell’immagine resta, però diventa nulla
a confronto di quel che di lì a qualche ora
sarebbe accaduto. Il mattino del 24 maggio, dopo
un’odissea che persino chi c’era fece fatica a
raccontare sino in fondo, il treno speciale
Piacenza- Salerno, che trasportava oltre un
migliaio di supporters granata (troppi) di
ritorno dalla trasferta, fu dato alle fiamme a
pochi chilometri dalla stazione del capoluogo.
Una follia, l’ultima, d’un viaggio infernale. Il
vagone numero cinque di quel convoglio di
passione, che sarebbe poi diventato di morte,
venne avvolto dalle fiamme. Fu una corsa per
saltar giù e salvarsi la vita. In quattro non ci
riuscirono. Ciro Alfieri, Enzo Lioi, Peppe
Diodato e Simone Vitale rimasero carbonizzati
nel rogo. A quest’ultimo la storia riconobbe il
sacrificio d’aver aiutato altri ragazzi a
scappare, lui ch’era - oltre che pallanuotista -
un vigile del fuoco. Erano tutti giovanissimi,
da quel giorno sarebbero diventati gli "angeli
granata", vittime d’una tragedia senza senso,
che li strappò alla vita nel fiore degli anni. A
rivederle ancora oggi, le immagini di quel
giorno di quattordici anni fa, la gola s’annoda,
lo stomaco si blocca, il cuore va da sé ed
accelera i suoi battiti: la mente riporta
indietro, magari alla galleria di Santa Lucia,
se non ci fosse stata… O a quello stop che il
treno fece a Nocera, se da lì non fosse mai
ripartito… E questi assillanti e ormai effimeri
interrogativi svaniscono nella nuvola di fumo
che avvolgeva la stazione di Salerno, dalla
quale uno ad uno venivano fuori i ragazzi che
avevano seguito la Salernitana a Piacenza. Chi
veniva trasportato in ambulanza, perché ce
l’aveva fatta a salvarsi la pelle, e chi come
Ciro, Enzo, Peppe e Simone aveva trovato il
prematuro capolinea della propria esistenza.
Quel giorno cambiò molto, e non solo nella vita
di quattro famiglie che non rividero più i
propri cari. Cambiò la percezione - almeno in
una larga parte del popolo salernitano - d’una
sensazione, di gioia o dolore, figlia d’un
evento sportivo. Già, perché le lacrime di quel
tifoso nel motel di Pontecorvo, seppur sincere e
genuine, diventano nulla al cospetto di quelle
d’una madre e d’un padre che piangono il loro
figlio. Perché tutto ciò ? Quattordici anni dopo
nessuno ha dato risposta, perché risposta non
c’è. Resta solo il ricordo, quello sì, sempre
vivo, come dimostra la commovente scenografia
con cui la Curva Sud dell’Arechi un mese fa ha
salutato il ritorno della Salernitana in C1.
Gocce di memoria per non prosciugare una
speranza, affinché quel 24 maggio del 1999 sia
una lezione da tramandare alle nuove
generazioni. Non è la solita e sterile retorica
post-tragedia, è che per chi ha vissuto quel
giorno, adesso, nulla è più come prima. Né mai
lo sarà.
24 maggio 2013
Fonte:
Metropolisweb
24 Maggio 1999:
Mai più
Brucia ancora la nostra
pelle proprio come avvenne in quell’infausto
giorno del 24 maggio del 1999, quando più mani
assassine incendiarono quel treno che stava
riportando a Salerno i tifosi dei granata al
rientro dall’amara trasferta di Piacenza che
sancì la retrocessione in serie cadetta della
nostra Salernitana. Quattro angeli, Ciro, Enzo,
Peppe e Simone, perirono in quel rogo che fece
inorridire tutto il Paese e che ha cambiato per
sempre la vita non solo delle quattro famiglie
ma di tutti noi. Il 24 maggio del 1999
rappresenta la Caporetto granata, la fine di una
vita e l’avvio di un nuovo cammino. Solamente un
anno prima l’Italia applaudì Salerno e i suoi
tifosi perché distintisi quale pubblico maturo e
civile, capace di festeggiare una storica
promozione in massima serie, che a Salerno
mancava da cinquant’anni, solamente all’interno
dello stadio perché qualche giorno prima
un’alluvione colpì Sarno e altri paesi causando
la morte di 160 persone. L’Italia intera
applaudì quel religioso silenzio con il quale
tutti i tifosi lasciarono lo stadio per fare
rientro a casa. Solamente un anno dopo quel
punto di vista cambiò, Salerno era diventata il
centro del male, la città e la tifoseria da
processare. A quattordici anni da quei
drammatici fatti, abbiamo l’obbligo di
interrogarci per capire dove abbiamo fallito. Ma
non dobbiamo però relegare il nostro 24 maggio
al solito giorno della memoria, al giorno del
solo ricordo. Dobbiamo raccontare i nostri
errori ai più giovani affinché tutto questo non
si ripeta mai più. Lo sport e il calcio in
particolare, nonostante abbia perso quel
romanticismo che ci ha fatto innamorare, non può
diventare un momento dove si mette a repentaglio
la propria vita proprio come se ci si trovasse
in un luogo di guerra. Lo sport è un momento di
crescita, che permette non solo di far nascere
atleti ma di far crescere uomini. 24 maggio
1999, lavoriamo insieme per poter dire: Mai più.
22 maggio 2013
Fonte:
Lacittadisalerno.it
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