Tragedia a Salerno
Morire
di calcio
Un
treno carico di tifosi prende
fuoco in galleria. 20 feriti e 4
morti di cui tre minorenni.
Salerno, 24 maggio 1999 - Lutto
cittadino a Salerno per il rogo
divampato sul treno speciale che
riportava i tifosi della
Salernitana a casa dopo la
partita contro il Piacenza.
Quattro morti, tre minorenni e
un solo maggiorenne, e venti
feriti, di cui nove ricoverati
in ospedale in gravi condizioni.
Il vagone numero 5 del treno ha
preso fuoco nella lunga galleria
che collega Salerno con Nocera
Inferiore, tra le 6 e le 7 di
questa mattina. Il treno era
stato fermato tre volte dopo
aver passato la stazione di
Nocera perché era stato azionato
più volte il freno d'emergenza,
e sembra che un fumogeno
lanciato da un treno antistante
durante una di queste soste,
attraverso un finestrino rotto o
aperto, sia stata la causa
dell'incendio. Alcuni dei 1500
tifosi che si trovavano a bordo
del treno speciale hanno
abbandonato le carrozze
lanciandosi fuori dai finestrini
nella galleria, mentre il
macchinista procedeva lentamente
verso la stazione di Salerno
dove sono stati soccorsi. Nulla
da fare per quattro giovani che
si trovavano nel quinto vagone
del treno. Le vittime avevano
una 15 anni, due diciassette e
il solo maggiorenne era Simone
Vitale, 22 anni, portiere della
squadra di serie A2 di
pallanuoto di Salerno, figlio
del corrispondente dal capoluogo
campano della Gazzetta dello
Sport Giovanni Vitale. Scartata
l'ipotesi di una sassaiola tra
opposte tifoserie nella stazione
di Nocera. Su quanto accaduto a
Salerno è intervenuto anche il
presidente della Lega Calcio
Franco Carraro, che ha
richiamato ad una maggiore
responsabilità e collaborazione
con le forze dell'ordine per
evitare che episodi del genere
si ripetano. Galliani fa
riferimento alle responsabilità
di tutti. Anche se non c'è
collegamento tra l'incendio del
treno di Salerno con la rissa
scoppiata in campo a Piacenza e
continuata nel tunnel che porta
agli spogliatoi, le immagini di
ieri mettono in evidenza che
eccessi e mancanza di
responsabilità coinvolgono anche
quelli che per primi dovrebbero
essere da esempio. Un ferito
anche a Roma; un tifoso
romanista di 27 anni ricoverato
in ospedale per ferite da
coltello ad una coscia, al
torace e ad un braccio.
24
maggio 1999
Fonte:
2.raisport.rai.it
Rogo
sul treno per tifo scatenato,
quattro morti
Le
fiamme divampate all'uscita
dell'ultima galleria sul
convoglio che trasportava i
tifosi della Salernitana.
SALERNO
- Tifosi scatenati tra le
fiamme: potrebbe essere stato
l'ennesimo atto vandalico degli
ultras della Salernitana a
provocare l'incendio e la morte
di quattro giovani, sul treno
speciale che riportava a casa
1.500 sostenitori, dopo l'ultimo
incontro giocato ieri pomeriggio
a Piacenza, che ha decretato la
retrocessione della squadra
campana in serie B. Un viaggio
che si è concluso tragicamente.
Solo nel pomeriggio sono stati
identificati i corpi,
carbonizzati nel rogo: due delle
vittime avevano appena quindici
anni, Vincenzo Lioi e Ciro
Alfieri. Gli altri due ragazzi
sono Simone Vitale, 21 anni,
giocatore della squadra di A2 di
pallanuoto Rai Nantes Salerno,
ex vigile del fuoco e Giuseppe
Diodato, 23 anni, riconosciuto
anche lui attraverso l'esame dei
vestiti e delle scarpe.
L'incendio, di cui ancora non si
conoscono le cause, sarebbe
stato provocato dagli stessi
tifosi che viaggiavano sul treno
speciale di ritorno partito ieri
sera alle otto da Piacenza, in
prossimità della stazione di
Salerno, per evitare di essere
identificati dalla polizia al
loro arrivo. Il bilancio è
purtroppo provvisorio: le fiamme
sono divampate all'interno di
una galleria, scatenando il
panico tra i passeggeri che,
probabilmente hanno tentato la
fuga gettandosi dai finestrini
mentre il treno era in corsa. Il
treno è uscito dalla galleria in
condizioni disastrate, non solo
per le fiamme. L'intero viaggio
del treno speciale
Piacenza-Salerno, con circa
1.500 tifosi a bordo, che
sarebbe dovuto arrivare a
destinazione alle sette di
questa mattina, è stato infatti
accompagnato da disordini dei
fan della Salernitana, agitati
per la retrocessione in serie B.
Viaggiatori scatenati che hanno
provocato ritardi nel tragitto,
l'ultimo dei quali alla stazione
di Nocera Inferiore, quando
hanno tirato il freno e sono
scesi dal convoglio, cercando
invano ulteriori scontri con gli
storici rivali della Nocerina.
Dalle testimonianze di alcuni
tifosi e del personale delle
Ferrovie in servizio a Nocera
Inferiore emerge che gli atti di
vandalismo sono avvenuti
esclusivamente sul treno. Alcuni
tifosi della Salernitana hanno
divelto sediolini, rotto vetri e
hanno scagliato pietre raccolte
sulla massicciata anche contro
un treno fermo sul terzo
binario, in attesa di partire, e
nel quale vi erano viaggiatori
che si sono riparati all'interno
del convoglio per evitare danni.
Dopo essere stato fermo per
un'ora, il treno speciale è
ripartito ma, mentre percorreva
la lunghissima galleria di Santa
Lucia, ha preso fuoco.
L'incendio, secondo quanto è
stato accertato, si è sviluppato
per cause non ancora precisate,
all'interno della carrozza
numero cinque mentre il treno
imboccava il tunnel, lungo una
decina di chilometri. Dalla
carrozza sono stati estratti i
quattro corpi completamente
carbonizzati, mentre numerosi
passeggeri si sono fatti
assistere dai sanitari per
intossicazioni e ferite varie
riportate mentre cercavano di
raggiungere l'uscita della
galleria. Una ventina i feriti:
sette tifosi e due agenti di
polizia in servizio di scorta al
convoglio sono ricoverati in
ospedale, a Salerno. La maggior
parte dei feriti presenta segni
di intossicazione da ossido di
carbonio, alcune lesioni
provocate dalla caduta dal treno
dal quale si erano lanciati per
sfuggire alle fiamme ed al fumo.
Per due degli intossicati si è
resa necessaria la terapia in
camera iperbarica. Le condizioni
di uno di loro sarebbero molto
gravi. Le fiamme, stando a
quanto hanno raccontato alcuni
testimoni, si sarebbero
sviluppate proprio quando il
convoglio ha imboccato la lunga
galleria ferroviaria. Secondo
alcuni testimoni, uno dei
viaggiatori, che si trovava
nella seconda carrozza, avrebbe
azionato il segnale d'allarme e
il macchinista, per evitare che
il treno rimanesse bloccato tra
le fiamme all'interno della
galleria, avrebbe proseguito
lentamente fino all'uscita del
tunnel. Una volta fuori dalla
galleria si è riusciti a
staccare la motrice con le prime
carrozze dal resto del convoglio
che, però, è rimasto
all'interno. Il treno ha quasi
tutti i finestrini rotti: non si
sa se per atti vandalici o se
distrutti dai passeggeri in
preda al panico che hanno
tentato di raggiungere correndo,
nel fumo intenso, l'uscita del
tunnel. Alle scene di panico tra
i viaggiatori si sono aggiunte,
poi, quelle drammatiche della
disperazione dei parenti dei
tifosi giunti nella stazione di
Salerno appena si è diffusa la
notizia dell'incendio. Sul
posto, oltre ai vigili del
fuoco, si sono recati il
Prefetto e il Questore.
24
maggio 1999
Fonte:
Repubblica.it
"Ho
visto il fuoco e sono saltato
giù"
di
Mimmo Malfitano
Gli
scampati: "In quella galleria
un’orda di selvaggi ha scatenato
l’inferno". Fabio si è salvato
gettandosi dal finestrino e
spaccandosi una gamba: "Se fosse
arrivato un altro treno mi
avrebbe travolto". Luca: "Erano
impazziti, pieni di droga e di
alcool: un’orda di barbari,
volevano distruggere tutto".
Vanni Vignes, un giornalista:
"Ho visto la morte in faccia. I
poliziotti avevano paura".
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO -
All’ospedale di San Leonardo
l’emergenza scatta poco prima
delle 8,30. Il personale viene
allertato al completo: non si
conosce ancora l’entità della
tragedia. Al pronto soccorso
arrivano le prime ambulanze con
il loro carico di sventurati. Le
diagnosi non fanno temere il
peggio. "Quattro giovani sono
stati ricoverati con segni di
intossicazione da ossido di
carbonio", spiega il dottor
Pasquale Grimaldi della
Direzione Sanitaria. "Gli altri
hanno lesioni guaribili con
prognosi fino a trenta giorni".
Su una barella è disteso Fabio
De Crescenzo, 15 anni, che è
scampato alla morte per essersi
gettato dal vagone in fiamme.
Nella caduta, però, il giovane
ha riportato la frattura
scomposta di tibia e perone
della gamba destra. Nei suoi
occhi c’è il terrore e lo
sconforto per l’esperienza
vissuta. Il suo è un racconto
confuso e omertoso. "Quando
abbiamo imboccato la galleria
che porta da Nocera a Salerno,
il treno aveva già tutti i vetri
rotti. No, non ho visto come si
è verificato l’incendio. So solo
che quando ho notato le fiamme
mi sono buttato già dal
finestrino col treno ancora
all’interno della galleria. Ho
rischiato di morire lo stesso,
perché se fosse passato un altro
convoglio nella direzione
opposta, m’avrebbe schiacciato
sotto le rotaie. Ho provato a
andare avanti, lentamente,
nonostante avessi la gamba
rotta. Credo, comunque, che
mancassero poche centinaia di
metri alla fine del tunnel. Ad
un certo punto, ho sentito la
voce di una persona che mi
diceva di stare tranquillo che
l’incubo era finito. Allora ho
perso conoscenza e mi sono
risvegliato qui, in ospedale".
Il racconto di Fabio è
sconvolgente. Il ragazzo, ancora
sotto shock, non ha voluto
aggiungere altro. Dice di non
ricordare più niente: ci vorrà
del tempo per smaltire il
trauma. Le parole di Luca, un
altro giovane passeggero del
treno della morte, cadono come
macigni. Le sue accuse sono
gravissime: "Erano impazziti,
volevano distruggere tutto.
Erano riempiti di droga,
ubriachi da non poter più
controllare le loro azioni.
Insomma, un’orda di barbari che
ha seminato terrore e violenza".
In ospedale c’è anche un altro
giovanissimo. Di lui non vengono
fornite le generalità, però si
sa che ha avuto lo sfacelo
traumatico alla mano sinistra.
Tra i millecinquecento tifosi
c’era anche Vanni Vignes, un
giovane collaboratore di
Cronache del Mezzogiorno, uno
dei quotidiani di Salerno. Anche
lui è vivo per miracolo.
"Soltanto venti metri mi hanno
separato dalla morte. Quel treno
avrebbe dovuto riportare
indietro i nostri sogni, invece
è stato teatro di morte - dice.
L’amarezza per la retrocessione
ha scatenato la violenza di
questi scalmanati. Già alla
partenza c’erano stati
tafferugli con le forze
dell’ordine. Inutile
sottolineare l’inefficienza del
servizio di scorta. A ogni
fermata, raccoglievano sassi che
venivano usati per infrangere i
vetri dei treni in sosta o per
colpire i viaggiatori in attesa
nelle stazioni. Il momento più
concitato, comunque, è stato
quando siamo giunti nella
stazione di Nocera. Lì, qualcuno
ha tirato il freno d'emergenza.
Il rumore dei vetri infranti con
pietre e calci accompagnava le
proteste di quanti chiedevano
spiegazioni agli agenti di
scorta e al personale delle
FF.SS. Dalle parole si è passati
ai fatti. Gli scalmanati hanno
iniziato a distruggere le
poltrone del treno. Poi,
finalmente, dopo 30 minuti di
attesa, siamo ripartiti per
fermarci subito, bloccati ancora
una volta dal freno d’emergenza.
A quel punto alcuni agenti di
polizia - continua il suo
racconto il giovane scampato
alla morte - ci hanno invitati a
raggiungere Salerno a piedi.
Effettivamente, in molti hanno
pensato di provvedere da soli,
salendo sulla Circumsalernitana
in partenza da lì a qualche
minuto. Altri, invece,
rifiutandosi di abbandonare il
treno, hanno chiesto
spiegazioni. "Siamo in 12 - si
difendevano i poliziotti - e voi
in 2.000, abbiamo paura". Alla
fine siamo risaliti tutti sul
treno. All’ingresso in galleria
un sussulto ha scosso tutti
quanti. Mancavano un paio di
chilometri all’uscita del
tunnel, quando mi sono accorto
che da un finestrino uscivano
delle fiamme. Ho avuto paura, ho
pensato di morire. Gli occupanti
dei vagoni vicini invadevano gli
altri in cerca della salvezza.
Ho visto chiaramente che la
quinta carrozza era avvolta dal
fumo e dalle fiamme.
Contemporaneamente ho visto
anche una quindicina di ragazzi
gettarsi dai finestrini con il
treno in movimento. Poi,
finalmente la luce, ma anche la
scoperta di quella che sarà una
brutta storia che difficilmente
cancellerò dai miei ricordi".
Non riusciranno a cancellarla
nemmeno i responsabili, se
saranno individuati: per loro si
ipotizzano i reati di strage,
omicidio e danneggiamento.
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Le
vittime
Quattro
giovani vite spezzate. La
Gazzetta in lutto per Simone.
Era il figlio di Giovanni
Vitale, nostro corrispondente da
Salerno. Aveva 22 anni, giocava
a pallanuoto in A2. Il papà:
"Bisogna sconfiggere chi non ama
la vita".
SALERNO
- Quattro ragazzi morti.
Tragicamente. Uno di essi,
Simone Vitale, era uno sportivo
praticante, una delle giovani
promesse della Rari Nantes
Salerno di pallanuoto, società
nella quale era cresciuto e con
la quale aveva esordito in A1.
Quest'anno, era uno dei punti di
forza della squadra che gioca in
A2. Simone, 22 anni, era un
ragazzo pieno di vita, che amava
lo sport come null'altro. La sua
presenza all’Arechi era un
appuntamento fisso, alla
domenica. E qualche volta, si
avventurava anche lontano da
Salerno pur di seguire da vicino
la squadra del suo cuore.
L’ultima, quella di Piacenza,
gli è stata fatale. Ma Simone
era qualcosa in più per noi
della Gazzetta. Simone era il
figlio di Giovanni, il nostro
corrispondente da Salerno, che
con grande scrupolo
professionale racconta tutti i
giorni le vicende granata. "È
impensabile descrivere lo
strazio che ho provato quando ho
visto il corpo di mio figlio e
degli altri tre ragazzi ridotti
in quel modo - racconta Giovanni
tra le lacrime - se il calcio è
questo, allora è meglio
abolirlo. Ma io sono convinto
che non è questo. Spero soltanto
che queste morti servano a
cambiare qualcosa. Simone era un
ragazzo di sport, amava la vita.
Mi auguro che venga sconfitto
chi la vita non la ama". Parole
struggenti che racchiudono il
dolore di un padre a cui la
morte ha sottratto un figlio in
acerba età. E come lui, oggi
piangono anche altre tre
famiglie, quelle di Giuseppe
Diodato (15 anni), di Ciro
Alfieri (15) e di Vincenzo Lioi
(16). Quest'ultimo, giovane
calciatore del Vietri Raito, una
delle migliori società della
provincia salernitana in fatto
di calcio giovanile.
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Al
cimitero come in un incubo
di
Gennaro Bozza
Il
dolore dei parenti e degli
amici: "Sono morti proprio i più
tranquilli". Un uomo accusa: "Un
manipolo di delinquenti ha dato
fuoco al vagone per imitare la
"prodezza" già riuscita ai
tifosi della Lazio e guardate
cos'è successo". La commovente
processione di un 15enne che ha
perso il cugino.
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - Quando
entri nel cimitero e ti avvicini
alla camera mortuaria, dove ci
sono quattro bare, ti sembra di
vedere un burattino che ha perso
i fili che lo sostengono. Un
giubbotto bianco, magrissimo, il
braccio di un gigante che lo
sorregge, anzi, lo trasporta. Un
corpo senza vita, o senza più
voglia di vivere. La poliziotta
che, insieme a un collega, sta
di guardia, per non far entrare
gli estranei, si impietosisce:
"È tornato un’altra volta ? Mio
Dio, sta uscendo pazzo". È il
cugino di uno dei quattro morti,
un ragazzo di appena 15 anni. Da
un’ora entra ed esce dalla
camera dove i parenti hanno
provveduto al riconoscimento dei
cadaveri, sempre portato a
braccia da quell’omone. E ogni
volta è un pezzo di vita che se
ne va. Proprio il suo
accompagnatore racconta cosa ha
visto lì dentro: "Qualcuno di
loro non si può riconoscere, è
completamente bruciato". Si
cerca di attenuare il suo dolore
dicendogli che quei quattro
ragazzi erano già morti per
asfissia prima che le fiamme li
prendessero, ma cosa vuoi
alleviare ? I parenti arrivano,
fanno il riconoscimento e se ne
vanno, nessuno ha il coraggio di
restare. Restano gli amici,
giovani tifosi, i compagni di
Simone Vitale, che giocava a
pallanuoto, come portiere, nella
Rari Nantes. Uno di loro non
vuole crederci: "Sono venuti da
me e mi hanno detto che era
morto Simone. Li ho pregati di
non scherzare, ma loro hanno
insistito: è vero, Simone è
morto. Ma cosa significa che è
morto ? Era vivo, l’avevo visto
l’altro giorno. Non può essere
morto. Poi, l’ho saputo anch’io
che era morto". La disperazione
e la rabbia. Un uomo accusa:
"Sono morti proprio quelli che
non se lo meritavano, i più
tranquilli. Lo so cosa è
successo. Qualcuno ha voluto
fare la stessa "prodezza" dei
tifosi della Lazio, incendiare
un vagone, ma è stato un
deficiente, perché ha acceso il
fuoco quando il treno era nella
galleria, non quando stava
fermo. Ecco perché è successa
questa tragedia. E chi ha acceso
il fuoco se n'è subito scappato.
Proprio lui sapeva che si
correva il rischio di morire.
Quelli che sono morti, non
sapevano niente di cosa stava
accadendo". E un altro aggiunge:
"Qualcuno di loro addirittura
stava dormendo, non è possibile
che non avesse la forza e la
prontezza di scappare". Poco
alla volta, tutti escono dal
cimitero. La cancellata
dell’ingresso viene chiusa
lentamente. La tensione dei
primi momenti lascia il posto al
dolore. Quando, nella tarda
mattinata, in città si era
sparsa la voce dei quattro
morti, un centinaio di persone è
subito corsa al cimitero, per
cercare di capire se qualche
figlio, parente o semplice
conoscente era tra le vittime.
La polizia ha impedito
l’ingresso a chi cercava
notizie, è volata qualche parola
di troppo. Per entrare al
cimitero occorreva aspettare il
magistrato per espletare le
formalità del caso, ma la
tensione è salita alle stelle.
C’è voluto l’intervento del
direttore del cimitero Massimo
Romanelli, che ha chiamato il
magistrato, ricevendo l’ordine
di far entrare solo genitori e
fratelli delle vittime. Da quel
momento la rabbia ha lasciato il
posto alla rassegnazione, alle
lacrime. Adesso odi l’ultimo
rumore metallico e credi che lo
strazio sia finito, almeno lì.
Ti accorgi subito che non è
così. Vedi allontanarsi quel
giovane-burattino che ti ha
colpito all’inizio. Stavolta
cammina da solo, sembra che si
sia ripreso. Ma un suo amico
stravolge tutto con una frase:
"Adesso, deve pensare ad
avvisare i genitori". I genitori
? "Sì, non sanno ancora che il
loro figlio di 15 anni è morto.
Nessuno ha avuto il coraggio di
dirglielo". E lo stanno ancora
aspettando ? "Lo stanno ancora
aspettando". E pensi a due
figure curve, come se il dolore
le avesse già colpite, vecchie,
come se la vita fosse già
finita, che, di sera, si
ostinano ad aspettare il figlio,
a rinviare una tragedia che si è
già insinuata nei loro cuori.
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
La
rabbia della folla al cimitero:
Fateci vedere i nostri ragazzi
di
Ottavio Ragone
SALERNO
- "Che la morte di mio figlio
sia un monito per chi vuole
trasformare lo sport in
barbarie...". Il dolore ha due
facce, nella città tramortita.
La sofferenza dignitosa del
padre di Simone Vitale, il
campione di pallanuoto, il
giovane portiere della Rari
Nantes di Salerno, e l’ira dei
familiari di Ciro Alfieri,
Vincenzo Lioi e Giuseppe
Diodato, gli altri ragazzi morti
nel vagone incendiato. Due di
essi, Ciro e Vincenzo, garzone
di macelleria, avevano appena
quindici anni, abitavano nel
centro storico, nei quartieri
poveri. Giuseppe, il più grande,
ne aveva 23. I parenti al
cimitero forzano il cordone di
poliziotti, entrano nella
cappella in cui sono composti i
resti delle vittime e urlano,
piangono, imprecano, qualcuno
per sfogarsi prende a schiaffi
un infermiere della croce rossa
che voleva solo soccorrere una
donna, una madre svenuta sulle
scale della chiesa, schiantata,
inerme. "Figlio mio, figlio
mio", "Vincenzino perché il
Signore ti ha chiamato", "Ciro,
Ciruzzo, eri il mio migliore
amico e adesso non ti riconosco
più, di te non resta più
niente". Duecento persone si
accalcano davanti al cimitero,
molti sono ultrà della
Salernitana, con i capelli
rasati, le magliette granata,
gli occhi lucidi di pianto.
Insultano gli agenti che cercano
di trattenerli, non vogliono
aspettare l’autorizzazione del
magistrato per vedere per
l’ultima volta i ragazzi.
"Maledetti, fateci entrare,
adesso siete qui, ma sul treno
non c’eravate", grida un uomo,
minaccioso, agli agenti.
Accorrono altre volanti di
rinforzo, le ambulanze. Poi,
d’improvviso, torna la calma.
Mentre in municipio il sindaco,
Vincenzo De Luca, si dice
"attonito, sconvolto con
l’intera cittadinanza, per
questa gravissima tragedia". Sul
suo volto si leggono delusione,
sbigottimento. Da quando la
Salernitana è stata promossa in
A, sembra che una sorte malefica
si sia accanita contro la città
che adesso si chiude in una
giornata di lutto. Simone Vitale
aveva 22 anni, il corpo alto e
slanciato di un atleta,
l’entusiasmo di uno che amava lo
sport non solo da tifoso. Da
quando era ragazzino giocava con
la Rari Nantes, prima nelle
giovanili, fino all’esordio in
A1, come secondo portiere. In
piscina trascorreva gran parte
della giornata. Dal padre
Giovanni, giornalista sportivo,
Gazzetta dello Sport, aveva
ereditato la passione per la
Salernitana. Seguiva tutte le
partite in casa, qualche volta
andava in trasferta, con gli
amici. Anche sabato scorso, a
Piacenza. "Avevo cercato fino
all’ultimo di convincerlo a
saltare quella maledetta
partita", racconta il padre.
"Sentivo una premonizione, ma di
fronte alla gioia e alla
serenità di mio figlio non ho
saputo dire di no. Mi
rassicurava dicendomi che si
sarebbe allontanato dai più
facinorosi, che avrebbe badato a
stare lontano dagli incidenti.
L’ultima volta l’ho sentito al
telefono di sera, abbiamo
parlato della partita sfortunata
della Salernitana, ho tratto un
sospiro di sollievo. Tutto era
andato bene, aspettavo il
ritorno di Simone. Invece il
destino ha voluto che morisse a
pochi metri da casa". Giovanni
Vitale abita in un palazzo a
poca distanza dalla ferrovia.
"Stavo uscendo quando ho visto
una nuvola di fumo. Ho capito
che era successo qualcosa e mi
sono diretto verso i binari. Ho
atteso per cinque ore con il
cuore in tumulto. Poi ho
riconosciuto il corpo senza vita
di mio figlio e il mondo mi è
crollato addosso. Nel mio cuore
c’è solo distruzione". Giovanni
Vitale raccoglie le forze,
lancia un appello: "Non può
essere questo il vero volto del
calcio. E se lo sport deve
essere sinonimo di brutalità,
allora è meglio cancellarlo. Mio
figlio se n’è andato via senza
una ragione, la sua morte
dev'essere un esempio per chi
vuole trasformare lo sport in
violenza". Davanti al cimitero
gli ultrà gridano: "Fateci
vedere i ragazzi, per l’ultima
volta". Dopo, il silenzio.
25
maggio 1999
Fonte:
Repubblica.it
Vittime
della follia
di
Mimmo Malfitano
Salerno
piange i quattro ragazzi morti
carbonizzati sul treno dei
tifosi. La tragedia è avvenuta
nel tunnel che da Nocera
Inferiore porta a Salerno. Un
gruppo di tifosi, probabilmente
con l’intenzione di distrarre
polizia e carabinieri che li
attendevano alla stazione di
Salerno, ha appiccato il fuoco
nella quinta carrozza del treno.
L’incendio si è sviluppato
rapidamente e solo la prontezza
del macchinista ha impedito che
le vittime fossero di più. Scene
di panico all’arrivo, immediati
i soccorsi. Ma per quattro
giovani era ormai tardi. Nove i
feriti.
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - Questa
volta conta i morti, Salerno. Il
bilancio dell’ultima follia è
tremendo: quattro le vite
spezzate dalla violenza. Sono
quelle di Simone Vitale (22
anni), Giuseppe Diodato (15),
Vincenzo Lioi (16) e Ciro
Alfieri (15), ragazzi poco più
che adolescenti, con in comune
un’unica passione: la
Salernitana. Hanno pagato il
prezzo più alto sul treno della
morte: li hanno estratti
carbonizzati, irriconoscibili,
da quelle lamiere roventi,
annerite dal fumo dell’incendio
che un gruppo di criminali ha
appiccato a pochi chilometri
dalla fine della corsa. Salerno
è in ginocchio, distrutta da
quest'ennesimo episodio di
violenza che ha chiuso una
stagione che spesso l’ha vista
protagonista in negativo. Questa
volta, però, tutto è andato
oltre, fino alla morte.
Spietata. La cronaca di questa
notte inquietante è un insieme
di tormenti. Domenica sera, ore
20. Il treno della morte è fermo
nella stazione di Piacenza. Da
un’ora circa, continuano ad
affluire i tifosi della
Salernitana. L’atmosfera è
grigia. Il pareggio rimediato
contro gli emiliani non è
servito a evitare la
retrocessione. I criminali sono
in agguato, compiono qualche
atto di vandalismo, ma non vanno
oltre. Sono 13 le carrozze
quando il treno si mette in
movimento. La gente è stipata
alla meno peggio. Quel convoglio
predisposto per 800 viaggiatori
ne conta, invece, 1.500, quasi
il doppio. Molte persone trovano
alloggiamento sulle grate
porta-bagagli. Poco meno di
un’ora di viaggio e il treno
entra nella stazione di Bologna.
C’è caos, una ventina di
scalmanati approfitta della
sosta per assaltare il bar.
Possono ben poco i 12 agenti di
scorta sistemati sul convoglio
dalla Questura di Piacenza, tra
cui 6 donne. È qui che iniziano
le prime sassaiole. Un
delinquente viene bloccato dalle
forze dell’ordine: lo arrestano
per oltraggio e violenza. Prima
di riprendere il viaggio, altri
tre vagoni vengono aggiunti ai
13 partiti da Piacenza. Ma non
bastano per assicurare un posto
a tutti i passeggeri. Dormire è
quasi impossibile, c'è troppa
confusione. Qualcuno confesserà
dopo che in quei vagoni sono
girati alcool e droga, a
volontà. In piena notte, tra
Prato e Firenze, alcuni
passeggeri lanciano un estintore
verso un treno che procede in
direzione opposta: il bersaglio
non viene centrato. Si va avanti
tra tensioni e paure. I più
pacati colgono negli occhi degli
esagitati una voglia di
violenza, di distruzione. A Roma
Tiburtina il convoglio
si ferma
per uno scalo tecnico. Ripartono
le sassaiole al punto che il
treno viene fatto ripartire
subito. È inquietante come
questi criminali distribuiscano
violenza senza che nessuna delle
Questure interessate dal
passaggio del convoglio sia
intervenuta per fermare lo
scempio. Sono quasi le 7, quando
una brusca frenata blocca il
treno a pochi metri dalla
stazione di Nocera Inferiore,
centro a 15 chilometri da
Salerno. Qualcuno ha tirato il
freno d’emergenza. Il sospetto
che si stia preparando un
assalto agli odiati "cugini"
diventa realtà quando dai
convogli parte un’altra fitta
sassaiola verso i pendolari che
sono in attesa del diretto
proveniente da Sapri e in
proseguimento per Napoli. La
gente scappa, mentre il treno
che trasporta i 1.500 tifosi
della Salernitana è del tutto
devastato. Suppellettili
distrutte, vetri rotti, sedili
divelti. A fatica si riesce a
riportare l’ordine. I tifosi
scesi dal treno prendono sassi
dalla massicciata, li tirano
contro gli appartamenti dei
palazzi di via Grimaldi,
rompendo i vetri di sei di essi
e di due auto. Una signora di 64
anni viene colpita da una sbarra
di ferro al gomito destro
(prognosi 5 giorni). Una ragazza
di 16 anni, molestata, resiste e
riceve un calcio all’inguine (10
giorni di prognosi). Dopo
l’intervento di polizia e
carabinieri i tifosi risalgono
sul treno, che riparte alle 8
circa per percorrere gli ultimi
13 chilometri, di cui 12 in
galleria. Il treno, tuttavia,
riesce a percorrere pochi metri:
il freno d’emergenza viene
nuovamente attivato. A questo
punto, secondo il racconto degli
inquirenti, un gruppo di
criminali appicca il fuoco nella
quinta carrozza di testa,
utilizzando rotoli di carta
igienica. Il loro è un disegno
ben studiato. Sanno bene che una
volta arrivati a Salerno
troveranno le forze dell’ordine
ad attenderli per identificarli.
E decidono per l’incendio in
modo da spostare la loro
attenzione su altro. Le fiamme,
tuttavia, avvolgono in fretta
anche il quarto e il sesto
vagone. E qui entrano in gioco
il coraggio e la prontezza del
capo macchinista, Mauro Argenti,
di Roma-San Lorenzo, che
nonostante il freno d’emergenza
azionato continua la sua corsa
fino a portare il treno fuori
dalla galleria e, quindi, nella
stazione di Salerno. I soccorsi
partono immediati. Tutto intorno
al convoglio è il caos. Ragazzi
che si gettano dai finestrini,
altri che vengono feriti nella
calca. Le ambulanze iniziano la
spola tra la stazione e il
vicino ospedale di San Leonardo.
L’intervento dei vigili del
fuoco è rapido, l’incendio viene
domato in una ventina di minuti.
Non tutti gli occupanti della
quinta carrozza, comunque,
riescono a fuggire. Restano
intrappolati in quattro. Nel
giro di un’ora arriva il
magistrato, Vincenzo De Florio.
Dopo i primi accertamenti, il pm
è già in grado di dare un
giudizio: "Di sicuro non si può
parlare di un incendio
accidentale". Sul posto arrivano
anche il presidente dell’Ente
Ferrovie, Giancarlo Cimoli, e il
sottosegretario ai Trasporti,
Stefano Angelini. Prima delle 13
viene comunicato il bilancio
definitivo: 4 morti e 9 feriti,
di cui due tra le forze
dell’ordine che verranno dimessi
in serata. I ragazzi ricoverati
sono tutti al di sotto dei
trent'anni: Antonio Di Domenico
(19), Stefano Etere (19), Fabio
De Crescenzo (15), che ha
riportato la frattura scomposta
di tibia e perone, Andrea De
Marino (27), Gianluca Aliberti
(23), Dante Palmieri (21),
Oreste Pacifico (20). Le
prognosi vanno dai 10 ai 20
giorni. Le indagini, subito
avviate, non hanno dato finora
alcun esito. Per tutta la
giornata, il pm Vincenzo Di
Florio ha ascoltato circa 200
persone che hanno viaggiato sul
treno della morte. Ma sulle
deposizioni c’è il più stretto
riserbo. Intanto, stamattina
verrà effettuata l’autopsia
sulle quattro vittime, dopo di
che il magistrato darà
l’autorizzazione per lo
svolgimento dei funerali, in
programma oggi stesso, alle 16,
nel Duomo di Salerno. Ma fin
dalle 12 le salme dei quattro
ragazzi saranno esposte nella
cattedrale.
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
A
NOCERA
di
Gennaro Bozza
"Volevano incendiare il treno ma
il flusso d’aria li ha traditi".
Il vicequestore di Nocera,
Tedesco: "In galleria le fiamme
si sviluppano rapidamente. Quei
ragazzi sono morti asfissiati".
Il racconto dei momenti di
terrore alla stazione.
DAL
NOSTRO INVIATO NOCERA INFERIORE
- "L’ipotesi più probabile è che
volessero incendiare il treno.
Non si aspettavano che il fuoco
si espandesse così rapidamente".
Il vicequestore Vincenzo
Tedesco, responsabile del
Commissariato di Nocera
Inferiore, presenta lo scenario
più verosimile della tragedia.
Nessun provocatore, solo la
totale stupidità. L’evoluzione
degli incidenti spiega anche il
finale. "Sono andato a vedere i
binari prima della galleria -
dice Tedesco: era stato gettato
di tutto, seggiolini, estintori,
plafoniere. Insomma, stavano
cercando di distruggere la
carrozza, fino a incendiarla.
Non credo si sia trattato di un
fumogeno a scatenare l’incendio.
Penso che, come è accaduto altre
volte per questi treni speciali
dei tifosi, abbiano accumulato
tutte le carte trovate nelle
toilette e abbiano appiccato il
fuoco. Non hanno tenuto conto,
però, che si trovavano dentro la
galleria. Il flusso d’aria è più
veloce e violento, c’è maggiore
ossigenazione: succede che non
solo le fiamme si sviluppano con
rapidità incredibile, ma si crea
anche una cappa di fumo molto
denso, che è una specie di
"muro". E in quel momento c’è
stata la tragedia". La
ricostruzione di quello che è
accaduto, da parte del dottor
Tedesco, si basa su una
esperienza personale. "Una
volta, dovetti salire su un
treno in fiamme, per tentare di
salvare una persona. Per un
attimo, aspirai il fumo, stavo
per svenire. Quei poveri ragazzi
che sono morti, quasi
sicuramente sono rimasti
storditi dal fumo e hanno perso
i sensi entro 30 secondi al
massimo. Poi sono morti per
asfissia. Quando sono arrivate
le fiamme, già non c’era più
niente da fare". A Nocera,
insomma, c’è stato il prologo
fin troppo chiaro di quello che
sarebbe successo. Il fatto
stesso che siano stati rotti i
vetri di sei appartamenti nei
palazzi vicino alla stazione, di
due auto e di una carrozza di un
altro treno, che ci sia stato un
clima di terrore per circa
un’ora, fa capire che si è
trattato della bravata di un
centinaio di delinquenti. Il
capostazione di Nocera, Ciro De
Martino, li descrive così:
"Aggredivano tutti, erano
impazziti, avevano in mano
spranghe di ferro e pezzi di
legno divelti dalla carrozza
ferroviaria". Uno studente di 19
anni, Alfonso De Caro, in attesa
del treno per andare a scuola, è
un altro testimone: "Hanno
cominciato a insultare tutti e a
spintonarli. C’erano quattro
celerini che cercavano di
soccorrere la gente".
L’assessore comunale allo sport
Pietro Paolo De Prisco fa una
precisazione: "Nessun tifoso
nocerino era presente, non
criminalizziamo la città". E il
presidente della Nocerina, Mario
Gambardella, ha espresso al
sindaco di Salerno e al
presidente della Salernitana
Aliberti il cordoglio del suo
sodalizio, chiedendo inoltre che
si accertino al più presto le
responsabilità, condannando però
le strumentalizzazioni che sono
fiorite intorno all’evento.
Incidenti previsti ? È ancora il
dottor Tedesco a chiarire:
"Anche se non era previsto che
il treno si fermasse, abbiamo
mandato alcuni poliziotti e
carabinieri a controllare. Ma ce
ne volevano almeno 150 per
fermare quei tifosi".
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Brucia
treno degli ultrà: 4 morti
di Enzo
D’Errico
Ubriachi hanno dato fuoco ai
vagoni in galleria. A bordo solo
dodici poliziotti. Volevano far
arrivare il convoglio in fiamme
dentro la stazione.
Hanno
attraversato l’Italia per una
notte intera, devastando
stazioni e bersagliando tutto
quel che capitava a tiro. Ma
nessuno li ha fermati. Sul treno
maledetto, che da Piacenza
riportava a casa 1500 tifosi
della Salernitana imbestialiti
per la retrocessione in B della
loro squadra, c'era soltanto una
"scorta tecnica": vale a dire
dodici poliziotti emiliani, sei
uomini e sei donne, che avevano
il compito di segnalare
eventuali problemi. L’hanno
fatto, ma senza alcun risultato.
E così, alle 8.27 di ieri
mattina, la tragedia annunciata
per ore ed ore s'è consumata
nella galleria Santa Lucia, un
tunnel lungo più di dieci
chilometri che collega Nocera
Inferiore a Salerno. La quinta
carrozza di testa del convoglio
speciale, organizzato dalle
Ferrovie dello Stato, s'è
incendiata all'improvviso.
Qualcuno dall’interno ha
appiccato il fuoco. Il bilancio
della sciagura fa accapponare la
pelle. Quattro giovani tifosi
sono morti nel rogo ed altre
nove persone (fra loro due
poliziotti intossicati dal fumo)
sono rimaste ferite: una di
queste è in gravi condizioni.
Hanno perso la vita per asfissia
Vincenzo Lioi e Ciro Alfieri,
due cugini di 15 anni: li hanno
ritrovati stretti l'uno
all’altro sul pavimento. Quando
i soccorritori sono riusciti ad
entrare nello scompartimento, i
telefonini che i due ragazzi
avevano in tasca squillavano
all'impazzata. Erano i genitori
che cercavano notizie dei loro
figli. Ed è toccato ai
poliziotti rispondere. I
cadaveri delle altre due
vittime, Simone Vitale e
Giuseppe Diodato, entrambi
ventitreenni, erano invece
completamente carbonizzati. Cosa
è accaduto ? Sarebbe più facile
raccontare cosa "non" è accaduto
sulle 16 carrozze che, dalle 20
di domenica fino alle 8.27 di
ieri mattina, hanno seminato il
terrore lungo la dorsale
ferroviaria che corre fra
Piacenza e Salerno. Ubriachi,
con la mente annebbiata dal fumo
degli spinelli, cento e più
balordi si sono praticamente
impadroniti del convoglio
riducendolo a una carcassa. La
sequenza degli incidenti è
scandita dalle stazioni in cui
il treno s’è fermato o è stato
costretto a fermarsi: Bologna,
Prato, Firenze, Roma, Napoli,
Nocera e infine Salerno. Dove,
però, i 1500 tifosi sono stati
avvolti da una nuvola di fumo e
fiamme. L’ipotesi più probabile
è che la banda di teppisti abbia
appiccato il fuoco per far
arrivare il treno in fiamme in
stazione, sperando così di farla
franca. Sapevano, infatti, che
ad attenderli sulle banchine ci
sarebbero state le forze
dell’ordine e che difficilmente
sarebbero riusciti a scappare.
Per questo, una volta imboccata
la lunga galleria che collega
gli scali di Nocera e Salerno,
avrebbero scatenato l’inferno.
Forse incendiando le tendine
degli scompartimenti, forse
lanciando un paio di fumogeni
nei corridoi. Non immaginavano,
però, che il tunnel avrebbe
innescato "l'effetto camino",
facendo propagare in un attimo
le fiamme. Ci sono state scene
di panico e terrore: molti hanno
mandato in frantumi i finestrini
e si sono lanciati sulla
massicciata, altri si sono
scaraventati dal convoglio
forzando le serrature dei
portelli. Il bilancio della
tragedia, però, sarebbe stato
ancora più pesante se i due
macchinisti non avessero
trascinato metà del treno fuori
dalla galleria, forzando il
blocco imposto dal freno
d'emergenza. "Ho ridotto la
manopola che ferma le ruote -
racconta Mauro Argenti - e il
convoglio è andato avanti per
inerzia. Se fossimo rimasti
imprigionati lì dentro, adesso
parleremmo d'una strage". Gli
investigatori, dopo aver
ascoltato decine e decine di
testimoni, avrebbero già messo a
punto una lista di sospetti. Ma
quel che regna oggi a Salerno è
il dolore. Mescolato a una
rabbia che allunga ombre
inquietanti sui giorni a venire.
25
maggio 1999
Fonte:
Il Corriere della Sera
A fuoco
i vagoni dei tifosi salernitani:
4 morti
di
Angelo Di Marino
Da
Piacenza un viaggio di dieci ore
tra violenze e vandalismi,
numerosi feriti.
SALERNO
- Uccisi dai loro compagni.
Quattro ragazzi salernitani sono
le ultime vittime della follia
che accompagna il calcio. Una
notte di orrore, snodatasi lungo
tutta l'Italia e culminata con
una strage, firmata nel cuore di
una galleria che per molti è
rimasta senza uscita. Si è
conclusa così l'avventura
tragica della Salernitana in
serie A: un anno fa era stata
promossa mentre a Sarno si
contavano le vittime
dell'alluvione, ora retrocede
tra i cadaveri bruciati di
quattro ragazzi. Il viaggio dei
1500 forzati del pallone ha
inizio domenica sera, poco dopo
le 20. Probabilmente nelle menti
di qualcuno c'è già un orrido
piano: incendiare tutto il treno
a pochi metri dalla stazione di
Salerno, per emulare i teppisti
romani, autori di un simile
attentato una settimana fa. Alla
stazione di Piacenza c'è ressa.
La polizia riesce a dirottare
duecento esagitati su un treno
verso il Sud, gli altri però
restano sui marciapiedi. Viene
allestito un treno speciale con
undici vagoni. A bordo salgono
tutti, nessuno ha il biglietto.
Fa caldo, c'è chi spinge e cerca
di sedersi. In molti sono
costretti a viaggiare nel
corridoio, pressati dagli altri.
Si parte con una dozzina di
poliziotti a fare da scorta
armata. Dagli zaini iniziano a
spuntare pietre, razzi, qualche
spinello. È la dotazione di chi
va in trasferta per trasgredire,
prima ancora che per tifare.
L'età media è sui diciotto anni,
ma c'è chi non raggiunge i
sedici. Tra i teppisti, però, ci
sono molti studenti ed anche
qualcuno che lavora già.
Sgranano gli occhi quando
capiscono le intenzioni della
maggioranza. È per questo che
iniziano a dormire, anzi a far
finta di dormire. A Bologna ci
si ferma per venti minuti,
vengono aggiunti altri cinque
vagoni per evitare il
sovraffollamento. Poi il
viaggio, il convoglio si tuffa
verso il Sud seminando terrore
in quasi tutte le stazioni.
Pietre contro i treni in
transito, stazioni (come quelle
di Firenze e Prato) devastate
dai teppisti. Ad ogni fermata
scattano i controlli della
Polfer, ma si continua così per
tutta la notte. All'alba si
contano i danni e si arriva in
Campania. Ancora scaramucce a
Napoli, nella stazione dei Campi
Flegrei, e quindi a Torre
Annunziata. Poi l'arrivo a
Nocera Inferiore, intorno alle
6,50. Qui succede di tutto, con
due donne che vengono ferite
mentre si trovano a bordo delle
proprie auto, ferme ad un
passaggio a livello. Volano
pietre, bottiglie e anche
qualche sciacquone, divelto dai
wc delle carrozze. I poliziotti
tentano di far scendere dal
treno i più facinorosi per
identificarli. Vengono
"protetti" dai compagni e ogni
tentativo di stanarli diventa
impossibile. Dopo un'ora di
nuovo tutti a bordo, si entra
nel tunnel della morte. Dalla
quinta carrozza si sprigiona una
fiamma. Il fumo acre avvolge
tutto il convoglio, c'è chi tira
il freno d'emergenza. Il
macchinista capisce il dramma e
riesce a portare il treno fuori
dalla galleria. Ma per Simone
Vitale, di 21 anni, giocatore
della squadra di A2 di
pallanuoto Rari Nantes Salerno,
Vincenzo Lioi di 15 anni,
Giuseppe Diodato, di 23 anni, e
Ciro Alfieri, 16 anni, è già
troppo tardi. I loro corpi sono
già carbonizzati, li ha
soffocati il fumo mentre
dormivano rannicchiati in uno
scompartimento zeppo di gente.
Scatta l'allarme lungo tutta la
linea, le fiamme sono alte
cinque metri: le lingue di fuoco
avvolgono i 1500 ragazzi che
fuggono, arrancando tra i
binari. Ora è caccia ai
responsabili: l'accusa è di
omicidio.
25
maggio 1999
Fonte:
Il Tirreno
Una
città nel dolore
Salerno
e la paura di restare soli
di
Massimo Cecchini
La
solidarietà verso le famiglie
delle vittime e l’appello alle
istituzioni.
Il
Comune di Salerno chiede l’aiuto
del Coni e del ministero
dell’Interno per cercare di
arginare i fenomeni di violenza.
La lettera di scuse a Nocera.
Oggi i funerali. Deciso il lutto
cittadino. Il sindaco De Luca:
"Ora dovremo difenderci dalla
criminalizzazione. Per far
ragionare i giovani si fermino i
campionati".
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - La
morte bussa forte e la città si
ferma ad ascoltare. Chi parla
per tutti è il sindaco. Vincenzo
De Luca ha il passo rapido e
l’aria cupa di chi si sente
ferito dalla sorte. Per questo,
forse, le frasi sono un conto
aperto col destino. Cerchi in un
lago in cui affogano spesso i
buoni propositi. "Da domani
saremo più soli - afferma
guardando lontano - rimarremo in
trincea a difendere le buone
ragioni di una Salerno che, per
pochi delinquenti, corre il
rischio di essere
criminalizzata. Spero che alla
tragedia non si aggiunga
l’ingiustizia". La solidarietà
delle istituzioni, al di là
della forma, lo conforta
relativamente. "Voglio decisioni
- tuona nell’aula del palazzo
comunale. Federazioni, Coni,
società sportive, ministero
dell’Interno: tutti coloro
preposti alle iniziative hanno
il dovere di muoversi. Le forme
non sta a me deciderle. Potrebbe
essere utile, per far
riflettere, interrompere i
campionati, perché lo sport non
serve a nulla se deve essere a
rischio la vita di giovani.
Potrebbe essere un modo per
ritrovare responsabilità. In
ogni caso spero che sia una
tragica fatalità e non un
assassinio - scandisce con
enfasi - e poiché è certo vi
siano delle colpe, confido che
qualcuno finisca per pagare. Per
parte nostra viviamo dolore,
sconcerto, trauma. I quattro
morti sono figli nostri e quello
che è successo spero serva per
una crescita collettiva della
città. Dobbiamo essere chiamati
a dare alle cose il valore più
giusto. Lo sport non può essere
confrontato con delle vite
stroncate. Basta parlare di
complotti, arbitri, destino -
con chiaro riferimento alla
retrocessione della Salernitana
- facciamo tutti autocritica,
sperando che questi morti non
siano inutili e magari
cancellino le asprezze assurde
che esistono nella nostra
società. E per questo voglio
esprimere rispetto e amicizia
alla comunità di Nocera, che le
prime voci accusavano
ingiustamente". Il sasso nel
lago, comunque, fa cerchi
larghi. "Non si dimentichi -
continua De Luca - che tragedie
come quelle di oggi sono state
sfiorate più volte in questa
stagione a Roma, Bologna,
Firenze, Milano.
L’irresponsabile follia omicida
non ha niente a che fare con i
giovani che vivono il fenomeno
sportivo. Ma la delinquenza
sempre più si accompagna con la
tifoseria organizzata e gli atti
prescindono persino dai
risultati sportivi. Basta,
perciò, con l’ambiguità, la
connivenza, la tolleranza. È un
dovere rispetto ai morti. Tocca
allo Stato muoversi: i
delinquenti devono essere messi
in condizione di non nuocere.
Tanti bravi ragazzi sono messi a
contatto, forse anche in questa
occasione, con persone che non
avevano il controllo di sé a
causa di droga e alcool". Poi
parlando quasi da solo. "Non
voglio fare polemiche, non so se
si poteva fare di più -
lasciando intendere una risposta
affermativa. Le dimissioni del
Questore (Marazzita, ndr.) ? Non
voglio rispondere. Mi stringo
solo alle famiglie". I funerali
si terranno oggi, e nei casi in
cui le famiglie acconsentiranno,
le spese saranno a carico del
Comune. Il sindaco ha poi
concluso: "Sarà una giornata di
lutto cittadino. Niente lacrime
né uffici chiusi. Magari sarebbe
bello fare un paio d’ore di
riflessioni nelle scuole, perché
il futuro va costruito adesso".
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Lasciati soli tra i teppisti
scatenati
SALERNO
- "E’ stato come quel film,
Cassandra Crossing, quel treno
precipitava da un ponte con i
passeggeri. Ci hanno
abbandonato: 12 agenti di
polizia a fronteggiare 1500
belve scatenate". All’esterno
degli uffici della Polfer della
stazione di Salerno,
chiacchierano tra di loro per
darsi forza i
dodici-poliziotti-dodici (4
donne), che dalle 20 di domenica
a Piacenza alle 8.30 di ieri
mattina hanno scortato da
ostaggi i tifosi della
Salernitana che tornavano
dall’Emilia. "Abbiamo segnalato
incidenti a Bologna, a Prato, a
Firenze, anche a Roma. Non è
venuto nessuno a darci una
mano...", dicono quasi a cercare
conferma di aver fatto il
possibile. Poi ricordano il
viaggio. "Qualcuno di noi ha
vissuto la tragedia del
Pendolino alla stazione di
Piacenza il 12 gennaio di due
anni fa. Non c’è paragone.
Dicono che alla stazione di
Nocera il treno sia stato
aggredito da tifosi locali: è
falso. Alle 7 del mattino
c’erano solo i pendolari, una
ventina, sulla pensilina",
aggiungono. "Hanno azionato il
freno d’emergenza e quando il
treno si è fermato si è
scatenata la sassaiola contro
tutto quello che era intero
sulla stazione. Compreso
pendolari in attesa e personale
della Polfer. Da Piacenza, ad
ogni stazione, hanno bersagliato
vetri, passeggeri in attesa.
Hanno letteralmente devastato i
vagoni, sedili, posacenere e
impianti elettrici, tutto quello
che è capitato a tiro". E tra i
poliziotti c’è chi ha visto
subito il fuoco. "C’è stato
prima il fumo, poi il fuggi
fuggi. Abbiamo incrociato un
altro convoglio; lo spostamento
d’aria ha alimentato il fuoco e
c’è stata una grande fiammata.
Un inferno".
25
maggio 1999
Fonte:
La Repubblica
I
tifosi granata negano ogni
responsabilità
"Su
quel treno sono saliti 200
delinquenti"
di
Massimo Cecchini
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO -
Salvatore Orilia muove le mani
tagliando aria e parole. Il
responsabile del Centro
Coordinamento dei tifosi della
Salernitana ha fretta di
cancellare qualsiasi
responsabilità con la tragedia.
"Noi non abbiamo organizzato
nessun treno. La trasferta di
Piacenza è stata preparata solo
con 56 pullman e tanti pullmini
- racconta. Su quel convoglio
c’erano 100-200 delinquenti che
chi viene sempre con noi fuori
casa ha raccontato di non avere
mai visto. Gente
dell’entroterra, che con Salerno
non ha niente in comune". Le
responsabilità secondo Orilia,
che trova comprensione presso il
sindaco De Luca, sono anche
della gestione del viaggio fatta
dalla polizia. "I tifosi che
erano su quel treno all’andata
si erano mossi per loro conto,
con normali viaggi di linea. Al
ritorno, invece, sono state
aggregate altre carrozze (a
Bologna, ndr.) che hanno
trasformato il tutto in un
convoglio ingestibile da parte
dei pochi poliziotti a bordo.
Millecinquecento persone non
potevano viaggiare in quelle
condizioni. Per fare un treno
speciale occorre organizzazione,
senza improvvisare così su due
piedi. Per questo quei bastardi
delinquenti - conclude - hanno
potuto causare una simile
tragedia". E si capisce che gli
piacerebbe averli fra le mani.
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
La
reazione della squadra
di
Gennaro Bozza
Oddo:
"Tutti noi dobbiamo essere più
responsabili". L’allenatore:
"Dobbiamo ricordarci di dare il
buon esempio ai giovani, anche
nella sconfitta". La condanna
del presidente Aliberti: "Sono
personaggi da galera".
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO -
Pensavano che il "dramma" fosse
solo sportivo, che si dovesse
piangere per la retrocessione in
B. Presidente, allenatore e
giocatori della Salernitana si
sono ritrovati storditi e
increduli in un attimo, il tempo
di sapere che quattro tifosi
sono morti. Il presidente Nello
Aliberti, in Francia per lavoro,
non riesce a farsene una
ragione: "È assurdo il contrasto
fra quello che è accaduto e la
calma che c’era stata fra i
tifosi dopo la retrocessione.
Qualche incidente c’era stato
prima della gara, ma, alla fine,
dopo la retrocessione, nessun
problema. Magari, in campo,
capita che si ecceda, perché c’è
l’agonismo, ma fuori deve
restare la serenità. Poi,
invece, si trovano 3-4
personaggi che provocano queste
tragedie. Bisogna metterli in
galera: il governo emani delle
leggi speciali". Riguardo alla
rissa scoppiata alla fine della
partita di Piacenza, Aliberti ha
poi detto che "se verrà
accertata la responsabilità dei
giocatori salernitani, questi
ultimi verranno multati perché
il loro comportamento è stato
antisportivo". Il tecnico
Francesco Oddo, che ha
annunciato domenica sera il suo
addio alla Salernitana, è
scioccato: "Pensavo che ci fosse
stato un epilogo amaro del
nostro campionato, ma non c’è
assolutamente paragone con
quello che è accaduto dopo.
Tutto questo mi lascia sgomento,
sbigottito. Provo a immaginare i
genitori di quei poveri ragazzi
e mi immedesimo in loro: vederli
partire per una partita di
calcio e non vederli tornare. È
terribile". Oddo fa una
riflessione sulle responsabilità
di tutti, non solo dei tifosi.
"Questa tragedia fa pensare -
mette in evidenza. Tutti noi
addetti ai lavori dobbiamo avere
più responsabilità, fare le cose
con maggiore discrezione.
Ricordiamoci che siamo un
esempio per i giovani, che
possiamo contribuire a dare loro
un’educazione sportiva che oggi,
in alcuni gruppi di tifosi, non
c’è. Ricordiamoci che bisogna
accettare la vittoria e la
sconfitta nella stessa maniera".
Tra le voci dei giocatori,
spicca quella di capitan Breda,
che ricorda anche Simone Vitale,
figlio del nostro collega
Giovanni: "Mi viene da piangere.
Sono tragedie così grandi che
non riesco a esprimere cosa
provo. Magari, finirei per usare
i termini sbagliati. Sono padre
anch’io e mi vengono i brividi a
immaginare a quello che stanno
passando le famiglie dei ragazzi
morti. Vorrei rivolgere un
pensiero a Simone Vitale. Lo
conoscevo. Tutte le estati, suo
padre era con noi in ritiro e
Simone lo accompagnava.
Passavamo le sere a parlare. In
quei momenti, ho imparato ad
apprezzare l’educazione, la
riservatezza e la timidezza di
Simone. Lui e suo padre sono
entrambi amanti dello sport
pulito, sincero. Non riesco a
esprimere la tristezza che provo
in questo momento"... (Omissis)
25
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
IL
RACCONTO Uno dei fan della
Salernitana: "Fare i nomi degli
incendiari ? Non servirebbe a
resuscitare i morti".
"Il mio
viaggio nella notte d'inferno"
di
Fulvio Milone
Uno dei
superstiti: la guerriglia è
cominciata a Bologna.
Inviato
a SALERNO - Anche lui è in
divisa: pantaloni larghi di
stoffa militare, maglietta
bianca che fascia i muscoli bene
allenati, capelli "scolpiti" con
il gel e occhiali da sole di
quelli cattivi, con le lenti
nere e sottili che nascondono lo
sguardo al mondo nemico. Come
gli altri, proprio come tutti
gli altri ragazzi dalla faccia
incattivita che in questo
pomeriggio afoso assediano il
cimitero di Salerno e premono
contro il cancello presidiato
dalla polizia per salutare per
l'ultima volta "e cumpagne
nuosto", "i nostri compagni
morti". Giovanni, 20 anni, nome
di battaglia Maraglione, cioè
mare in tempesta, si agita come
un'onda impazzita fra la folla
che sgomita. Anche lui era sul
treno della morte, e come gli
altri 1500 tifosi che stipavano
il convoglio partito domenica
sera da Piacenza è un "cane
sciolto", uno che non ha mai
aderito ai club dei supporter
della Salernitana né ai gruppi
degli ultras più anziani. "Vuoi
sapere che cosa è successo nel
treno ? Te lo dico, ma voglio
mettere in chiaro una cosa: io
non c'entro niente con i casini
che hanno combinato quei
bastardi che hanno incendiato il
treno. Conoscevo i ragazzi che
sono morti, mi dispiace molto
per loro. Erano bravi guaglioni:
Simone Vitale giocava in una
squadra di pallanuoto, era
figlio di un giornalista
sportivo. Uno dei ragazzini,
Vincenzino Lioi, campava facendo
il garzone. L'altro quindicenne,
Ciro Alfieri, era suo cugino.
Sono morti come cani, a 15 anni.
Ti rendi conto ? "Torniamo su
quel fottutissimo treno. Eravamo
poco meno di duemila, a
Piacenza. Molti di noi erano
incazzati. Anch'io, non lo nego:
ce l'avevo con l'arbitro che in
un secondo ci ha ricacciato in
gola la gioia di poter vedere la
squadra in A. La rabbia in corpo
gioca brutti scherzi,
soprattutto quando si mescola
con la birra e con le canne, gli
spinelli. E di roba, come di
alcol, ce n’era quanta ne
volevi, sul treno. Quei bastardi
hanno cominciato subito a
scassare i sedili e i vetri. Se
qualcuno si metteva in mezzo e
tentava di portare un po’ di
calma in tutto quel casino,
rischiava grosso: quelli erano
come pazzi, pazzi di rabbia, di
birra e di canne. Ho visto uno
di loro prendere un estintore e
spruzzare la schiuma
tutt'intorno nello
scompartimento. Poi ha guardato
l'estintore vuoto e l'ha
lanciato fuori dal finestrino
proprio mentre incrociavamo un
altro treno. Come si fa a
ragionare con un tipo così ? I
guai seri sono cominciati a
Bologna. Qualcuno ha bloccato i
vagoni con il freno di
emergenza, e siamo saltati giù.
Ti dico la verità, per un
momento mi sono detto: Maragliò,
è meglio se ti togli dai guai e
te ne torni a Salerno con un
altro treno, che qui finisce
male. Ma in tasca non avevo più
una lira, e senza danari non
potevo muovere un passo. Così mi
sono infilato di nuovo sul
treno, mentre gli altri andavano
a gruppetti a lanciare sassi
contro le vetrate della
stazione. Poi sono tornati tutti
negli scompartimenti. Ho tentato
di calmarli, ma quelli mi hanno
risposto: "Maragliò", chi se ne
fotte di te e di tutto il mondo
? Ci hanno mandato in B e devono
pagare per quello che ci hanno
fatto". Credimi, quelli ce
l'avevano davvero con tutto il
mondo. Non li avrebbe fermati
neanche un esercito di soldati
armati, figuriamoci una dozzina
di sbirri che parlavano con
l'accento emiliano.
|
E poi di
divise io non ne ho viste nei
vagoni dove si trovavano quei
pazzi. Ad un certo punto, mi
pare poco prima di Prato, un
gruppo si è messo a cantare
mentre le bottiglie di birra e
gli spinelli passavano di mano.
Uno si è alzato e ha gridato:
"Voglio pazzià col freno a
mano". Da allora ci siamo
fermati a ogni stazione che
abbiamo incontrato. "Prato,
Firenze, Roma... Sempre la
stessa storia, con il treno che
doveva fermarsi e i sassi che
volavano contro vetrate e
macchine parcheggiate, mentre i
passanti scappavano. A un certo
punto ho visto Giovannino
rannicchiato in un sedile: era
pallido, aveva paura e non
sapeva che fare. Io ho fatto
marcia indietro e me ne sono
andato verso la testa del treno,
per evitare guai. "Il peggio è
successo a Nocera Inferiore.
Devi sapere che per noi i tifosi
della Nocerina sono peggio della
merda. Ci odiamo da sempre. Devo
dire che non esistono bastardi
più bastardi degli ultras della
Nocerina: ce l'hanno a morte con
noi perché siamo andati in A,
mentre loro sono in C. Quando ci
siamo fermati loro non c'erano,
ma sono comunque volate mazze,
sedili tolti dagli
scompartimenti e pietre. Un
gruppo è sceso da un vagone e ha
cominciato a tirare sassi contro
un altro treno in partenza: ho
visto i viaggiatori morti di
paura, che si tenevano lontano
dai finestrini. E poi... E poi
siamo entrati in galleria, prima
della stazione di Salerno. Ho
visto il fumo, ho sentito la
puzza di plastica bruciata e le
urla di chi è rimasto nel quinto
vagone. Me la sono cavata perché
sono scappato nel primo vagone,
che era già fuori dal tunnel. La
polizia dice che l'incendio è
doloso ? Può anche darsi che
qualcuno con troppa birra in
corpo abbia voluto fare una
bravata. Se so chi è stato ?
Vuoi scherzare ? Non lo so e
anche se lo sapessi non lo direi
né a te né alla polizia. Non
sono un infame, io. Parlare non
servirebbe a risuscitare i
morti".
25
maggio 1999
Fonte:
La Stampa
Quei 13
chilometri di paura
di
Emanuela Audisio
Salerno
la vera fine del campionato è
qua, in questo binario morto
dove giace il bruciatissimo
treno speciale 1837. Il treno
della follia che con
millecinquecento persone ha
fatto nella notte ottocento
chilometri da ubriaco prima di
suicidarsi con il fuoco sotto
una galleria che è diventata
un’agonia. Tredici chilometri di
buio, di paura, di fumo che non
ti faceva respirare, che ti
tappava la bocca, di asfissia,
terribili invocazioni: "Ciro,
buttiamoci dal finestrino". I
quattro tronchi umani anneriti,
deformati, raggomitolati sono
qui, dopo la galleria che porta
a Salerno. Italy, non Belgrado.
Si somiglia tutta la carne
bruciata, i cadaveri sembrano
pezzi di cose, anche se fino a
ieri avevano sedici anni, anche
se erano tuo figlio a cui per
sicurezza avevi dato il
telefonino, anche se non ti
aspetti che dal finestrino
tirano giù a fatica proprio il
suo corpo. Il giornalista
Giovanni Vitale non lo sapeva
che quello era proprio di
Simone, 22 anni, un ragazzone
che giocava a pallanuoto nella
Rari Nantes e che faceva anche
il volontario nei vigili del
fuoco. Ma se ne è accorto
subito. Ha detto: "è Simone". E
a chi gli offriva una sedia per
ripararsi dall’emozione ha
risposto con dignità "Non
facciamo sceneggiate". Ha solo
avuto una reazione quando lo
hanno allontanato dalla bara per
impedirgli di vedere cosa
facevano a quei resti umani che
nella loro rigidità non ne
volevano sapere di entrare nelle
casse. "Voi non capite che per
me ogni particolare è
importante", ha urlato, e allora
tutti si sono pietosamente
tirati indietro. Nemmeno la zia
di Vincenzo Lioi e Ciro Alfieri,
due cugini di sedici anni,
sapeva che i ragazzi erano
cadaveri uno sopra l’altro, e
che i loro corpi avevano
protetto il cellulare che si è
messo a suonare proprio mentre
il medico legale faceva il suo
triste lavoro. Ha risposto un
poliziotto e così la zia e
Salerno hanno saputo i nomi di
quei due figli minorenni, morti
abbracciati, non per salvare una
patria, ma per una trasferta di
campionato. L’ultimo è stato
identificato dalle scarpe da
ginnastica, bianche e nere. Le
ha riconosciute il fratello,
nell’obitorio del cimitero.
Tutti e tre venivano dai
quartieri popolari. La strage è
qui, nei resti di una domenica
bestiale che riporta da Piacenza
a Salerno millecinquecento
tifosi, ultrà e ragazzi normali,
tutti mescolati, e controllati
solo da una scorta di dodici
agenti che non hanno potuto fare
niente. Né far pagare il
biglietto, né controllare
documenti, né fermare il
vandalismo che è iniziato subito
e si è esercitato ad ogni
fermata: Bologna, Firenze, Roma
Tiburtina, Napoli piazza
Garibaldi, con due ore di stop,
Nocera Inferiore, con lancio di
pietre sui pendolari che
andavano a lavorare.
|
Ci
sembrava di essere sul treno del
film Cassandra Crossing. Soli e
abbandonati. Abbiamo chiesto
rinforzi e aiuto ad ogni
stazione per tutta la notte.
Nessuno si è degnato di
aiutarci", dichiarano ora gli
agenti. Già, vorrai mica
prendere sul serio un treno,
anzi un carro bestiame di
dannati, di scoppiati, di
frustrati da serie B che torna a
casa ubriaco di birra, di sonno,
di spinelli, di pasticche (il
solito immancabile Roipnol), di
vino, di pocket-whisky, di tutto
quello che si può tracannare
quando sono 48 ore che fai la
bestia nervosa in gabbia, pronta
ad azzannare chiunque ti capiti
a tiro, così tanto per far
pagare a qualcuno la tua
disperazione. Inutile guardare i
documentari su come è incenerita
e smozzicata la Jugoslavia,
guardate qui, da questa parte,
la carrozza numero cinque,
questa Moby Prince su rotaia,
con le ganasce dei freni che
ancora fumano perché il
divertimento delle belve è stato
quello non solo di spaccare
tutto, ma anche di tirare il
freno d’emergenza cinque volte,
così per scherzo, e se non ci
fosse stata la bravura del
macchinista, Carmelo Amico, che
ha deciso di tirare fuori il
treno dal tunnel e di percorrere
anche lentamente quei quattro
chilometri che mancavano alla
luce, ora il macello sarebbe più
tremendo e più grave. C’erano
più di cento persone assiepate
in quella carrozza, ora a parte
i quattro morti ci sono dieci
feriti con fratture, bruciature,
tagli ovunque, botte in testa.
Si sono calpestati, tagliati,
ustionati. Sono stati portati
via con la carta argentata, come
polli allo spiedo. Ma loro
almeno si sono salvati. Bella
maniera di festeggiare
l’anniversario. Dieci anni fa,
il 18 giugno '89, il treno
speciale 1594 che portava i
tifosi del Bologna a Firenze si
fermò alla stazione di Rifredi.
L’accoglienza fu speciale: un
agguato a base di sassate e di
bombe molotov. Bruciarono due
vagoni. Ivan Dall’Olio, 14 anni,
sfegatato del Bologna, si prende
la bottiglia incendiaria in
faccia, è il più grave dei dieci
ustionati. Il settanta per cento
del suo corpo non c’è più. Il
ragazzo viene coperto di bende,
operato e rioperato, è
orribilmente ustionato, si sente
un mostro, non esce più di casa,
dorme tutto il giorno e sta
sveglio di notte, quando il buio
nasconde tutto, anche la sua
faccia. Tra parentesi al ritorno
sullo stesso treno capitano
altri incidenti, sono raid
punitivi di rivincita. Ivan oggi
ha 23 anni, gioca a pallone, e
continua a fare il tifoso, a
seguire il Bologna in curva,
anche se dice che essere
scortati come bestie è brutto.
Se gli chiedete che cosa prova
davanti a queste nuove morti,
con la voce devastata e parlando
a monosillabi vi risponderà che
è assurdo. "Assurdo che ne siano
morti altri". I suoi tre
aggressori, hanno evitato
l’accusa di strage. Due sono
liberi, uno soprannominato
"Pitone" è morto di Aids. Quando
Ivan l’ha saputo il suo commento
è stato: "Giusto, lo trovo
giusto". Dieci anni dopo siamo
ancora a cercare di spegnere con
le nostre inutili e giuste
lacrime le fiamme dei treni
speciali. Salerno è in lutto
cittadino, le autorità stanno
interrogando i feriti e i
sopravvissuti, l’accusa non sarà
comunque di strage, ma di
omicidio plurimo. Sotto accusa è
soprattutto una banda di dieci
terribili balordi. Il sindaco
Vincenzo De Luca ha parlato dei
quattro morti come figli delle
nostre famiglie, ha negato che
il treno della follia sia stato
attaccato dagli ultrà della
Nocerina, tradizionale nemica
della Salernitana, e ha detto
che se il prezzo dello sport è
questo è meglio non pagarlo. E
non giocare più. Tutto giusto,
tutto vero, ma il treno speciale
1837 strafatto di droga, di
sfinimento, di violenza
ordinaria, ha corso per
ottocento chilometri mentre i
viaggiatori si scannavano e
violentavano la notte. E mentre
la gloriosa scorta di dodici
poliziotti chiamava aiuto
all’Italia e pregava di chiamare
assassini quelli che vogliono
così bene alla squadra..
25
maggio 1999
Fonte:
La Repubblica
Due
avevano 15 e 16 anni, la
sciagura nel tunnel a poche
centinaia di metri dalla
stazione di Salerno.
Morte
sul treno incendiato dagli ultrà
di
Fulvio Milone
Rogo
per distrarre la polizia,
quattro vittime e nove feriti.
Inviato
a SALERNO - I telefonini che
continuavano a squillare, in
tasca a quei due ragazzini morti
asfissiati. Quando hanno trovato
i cadaveri i poliziotti hanno
dovuto rispondere alle chiamate.
Erano le mamme di Vincenzo Lioi
e Ciro Alfieri, 15 e 16 anni. Da
ore cercavano notizie dei figli.
Gli agenti hanno risposto "Ci
dispiace, signora. C'è stato un
incidente". Vincenzo e Ciro sono
morti tra il fumo, le fiamme, le
urla, le crisi di tosse, mentre
il treno proseguiva verso la
luce, fuori dalla galleria della
morte: un tunnel lungo dieci
chilometri trasformato in una
camera a gas. Sono le ultime
immagini del lungo film del
terrore durato una notte intera,
con millecinquecento ultras
della Salernitana scatenati come
furie in un treno che ha
attraversato buona parte della
penisola seminando panico e
violenza nelle stazioni che
incontrava. Paura e morte,
perché il fuoco divampato alla
fine di quel viaggio allucinante
ha ucciso quattro ragazzi. Oltre
a Vincenzo e Ciro, Giuseppe
Diodato e Simone Vitale, di 23
anni. Nove i feriti ricoverati,
due sono agenti intossicati dal
fumo. Decine i contusi che non
si sono rivolti al pronto
soccorso per evitare grane con
la polizia. Gli inquirenti hanno
un sospetto: probabilmente
l'incendio era doloso, chi l'ha
appiccato voleva creare un
diversivo per distogliere
l'attenzione di polizia e
carabinieri che nello scalo di
Salerno aspettavano i tifosi più
violenti per arrestarli. Rimane
in piedi un'altra ipotesi, anche
se meno accreditata della prima:
il fuoco potrebbe essere stato
innescato da un fumogeno
lanciato nel vagone da un tifoso
ubriaco. Comunque dai primi
interrogatori del pm Di Florio
si è arrivati ad una rosa di
nomi di possibili responsabili
dell'incendio. Gli agenti di
scorta sul convoglio speciale
partito ieri sera alle 20.04 da
Piacenza hanno dovuto assistere
impotenti alle scene da incubo
che si sono ripetute per tutta
la notte. Erano solo dodici, sei
donne e altrettanti uomini
contro millecinquecento ultras
stipati in sedici carrozze e
infuriati per la retrocessione
in B della Salernitana, che a
Piacenza ha strappato un inutile
pareggio. "Durante il viaggio
abbiamo dato l'allarme via radio
- ha detto un agente. Speravamo
che mandassero rinforzi o che
facessero sgomberare il treno in
una stazione intermedia, invece
ci è stato detto che il
convoglio doveva proseguire il
suo viaggio fino a
destinazione". Ma vediamolo, il
film di questa folle corsa sui
binari lunga mezza Italia.
Comincia alle 20.04, quando dopo
oltre un'ora di tensione e
scaramucce con la polizia i
tifosi vengono fatti salire sul
treno speciale in attesa nella
stazione di Piacenza. Quando i
vagoni cominciano a muoversi,
negli scompartimenti si scatena
il caos, con gli ultras
inferociti per il pareggio che
gridano slogan contro l'arbitro
e fracassano suppellettili,
strappano l'imbottitura dei
sedili, fracassano i vetri dei
finestrini. Si divertono
afferrando gli estintori,
vuotandoli negli scompartimenti
e poi lanciandoli contro altri
treni. Comincia così, sotto gli
occhi dei dodici poliziotti che
nulla possono fare, una
guerriglia che finirà solo dopo
dodici ore, alle 8.30 del
mattino, con la morte di quattro
ragazzi. Gruppi di teppisti
azionano il freno a mano ad ogni
stazione che incontrano,
costringendo il treno a
fermarsi. Scendono a Bologna,
dove fanno rifornimento di sassi
che scagliano contro le vetrine,
e la scena si ripete sempre
uguale a Grisana Morandi, a
Prato, a Firenze Campo di Marte,
a Roma, a Napoli. Il convoglio,
nella sua folle corsa notturna,
lascia dietro di sé devastazioni
e paura. L'ultimo atto ha come
scenario Nocera Inferiore, a una
decina di chilometri da Salerno.
Gli ultras azionano per
l'ennesima volta il freno a mano
e lanciano sassi contro le
vetrate e le auto. Il treno
riparte e imbocca la Galleria
Santa Lucia lunga dieci
chilometri. È qui che scoppia
l'incendio, appiccato nella
quinta carrozza. Chi ha dato
fuoco alle tendine e ai sedili è
probabilmente convinto che le
fiamme divamperanno solo
all'uscita del tunnel, e che ci
sarà tutto il tempo per mettersi
in salvo. Ma non è così: il
vagone è avvolto subito in un
rogo alimentato dall' "effetto
camino" provocato dalla volta
della galleria. Qualcuno tira il
freno a mano, ma uno dei due
macchinisti, Mauro Argenti, ha
la prontezza di spingere al
massimo il motore per guadagnare
qualche metro: "La speranza era
di uscire da quella maledetta
galleria prima di morire tutti
asfissiati - racconterà. Ci
siamo riusciti solo in parte".
Il treno è solo per metà fuori
dal tunnel che termina a poche
centinaia di metri dalla
stazione di Salerno. La carrozza
in fiamme è rimasta dentro, e i
vigili del fuoco faticano a
domare l'incendio. Quando
entrano nel vagone trovano i
corpi di Giuseppe Diodato e
Simone Vitale completamente
carbonizzati. Vincenzo Lioi e
Ciro Alfieri, stretti in un
abbraccio, come per farsi
coraggio. L'ira degli agenti:
"In 20 contro 1500 Abbiamo
chiesto rinforzi, ci hanno detto
di proseguire".
25
maggio 1999
Fonte:
La Stampa
Salerno, tornavano da Piacenza
dopo un viaggio segnato da
violenze. Il Coni: basta
trasferte per seguire le
squadre.
Morte
fra le fiamme sul treno dei
tifosi
Le
vittime sono 4 ragazzi, il rogo
appiccato dagli ultrà.
SALERNO
- Il fumo, le fiamme, le urla
seguite da crisi di tosse
convulsa, mentre il treno
prosegue nella sua corsa verso
la luce, fuori dalla galleria
della morte: un lunghissimo
tunnel di 10 chilometri
trasformato in una camera a gas.
Sono le ultime immagini del film
del terrore durato una notte,
con 1500 ultras della
Salernitana scatenati come furie
in un treno che ha attraversato
buona parte della penisola
seminando panico e violenza
nelle stazioni che incontrava.
Paura e morte, perché il fuoco
divampato alla fine di quel
viaggio ha ucciso quattro
ragazzi. Due, Giuseppe Diodato e
Simone Vitale, avevano 23 anni;
gli altri, Vincenzo Lioi e Ciro
Alfieri, di 15, e 16 anni, erano
poco più che bambini. I feriti
ricoverati in ospedale sono
nove, fra cui due agenti della
questura intossicati dal fumo.
Si contano però a decine i
contusi che non si sono rivolti
ai medici del pronto soccorso
per evitare grane con la
polizia. Gli inquirenti hanno un
sospetto: probabilmente
l'incendio era doloso, chi l'ha
appiccato voleva creare un
diversivo per distogliere
l'attenzione di polizia e
carabinieri che nello scalo di
Salerno aspettavano i tifosi più
violenti per arrestarli. Rimane
in piedi un'altra ipotesi, anche
se meno accreditata della prima:
il fuoco potrebbe essere stato
innescato da un fumogeno
lanciato nel vagone da un tifoso
ubriaco.
25
maggio 1999
Fonte:
La Stampa
Momenti
di tensione durante la cerimonia
nel Duomo di Salerno. Intanto
proseguono le indagini.
Incendio treno, i funerali dei
quattro giovani
SALERNO
- Centinaia di tifosi hanno
partecipato oggi pomeriggio ai
funerali dei quattro giovani, i
15enni Vincenzo Lioi e Ciro
Alfieri, il 21enne Simone Vitale
e il 23enne Giuseppe Donadio,
morti sul treno speciale che
ieri riportava a casa i
supporter della Salernitana da
Piacenza, dove si era giocata
l'ultima giornata di campionato.
In una giornata che il sindaco
di Salerno, Vincenzo de Luca, ha
dichiarato di lutto cittadino,
non sono mancati momenti di
tensione. Poco prima della
celebrazione del rito funebre la
polizia ha rimosso uno
striscione appoggiato sul muro
del Duomo dai sostenitori della
squadra, dove erano state
dipinte quattro croci nere
accompagnate dalla scritta:
"Vergogna, solo 12 poliziotti
per 1.500 tifosi". Malgrado la
rimozione, i tifosi presenti
hanno ripreso lo striscione e lo
hanno di nuovo esposto,
tenendolo stretto tra le mani.
Inoltre, durante il rito
religioso, la tifoseria ha
insultato operatori televisivi e
fotografi. Mentre proseguono i
dibattiti sulle trasferte, sui
treni speciali e sul
comportamento di alcuni tifosi,
si cercano le cause che hanno
provocato la tragedia. Per tutta
la notte sono proseguiti gli
interrogatori di gran parte dei
1.500 tifosi che viaggiavano sul
convoglio speciale. Gli
investigatori, che già nella
giornata di ieri avevano
ascoltato il capotreno e i due
macchinisti, stanno mettendo
assieme tutti gli elementi per
capire se l'incendio sia stato
innanzitutto commesso per
"depistare" le forze dell'ordine
dagli autori degli atti di
teppismo avvenuti in varie
stazioni da Piacenza a Salerno
o, invece, si sia trattato di
una bravata che si è poi
trasformata in una tragedia". Ma
gli inquirenti denunciano una
situazione di omertà tra i
tifosi. "Allo stato non c'è
alcun fermo né abbiamo
identificato nessuno. Purtroppo
le indagini sono difficili
perché non abbiamo trovato la
minima collaborazione. Nessuno
di coloro che viaggiavano sul
treno sostiene ha visto niente e
non è possibile che davanti a
quattro morti tutti tacciano" -
ha dichiarato il procuratore
Gelsomino Cornetta, capo della
Procura di Salerno che con il
sostituto Vincenzo Di Florio, è
titolare dell'inchiesta del rogo
sul Piacenza-Salerno. "Abbiamo
bisogno che qualcuno ci aiuti"
ha aggiunto il procuratore
"parlando o offrendo una
collaborazione fattiva alle
indagini. Se qualche persona ha
degli elementi, una fotografia,
una videocassetta, li faccia
pervenire agli inquirenti. I
padri, i genitori spingano i
figli a parlare e a rompere il
clima di omertà". Le imputazioni
di cui dovranno rispondere gli
ignoti responsabili sono
omicidio plurimo colposo,
disastro ferroviario e incendio.
Ma il pm Di Florio ha dichiarato
di non sapere neanche quanti
fossero i tifosi che viaggiavano
sul treno. L'ipotesi era che
ognuno dei 16 vagoni potesse
ospitare cento passeggeri, ma
visto che nessuno ha pagato il
biglietto, la cifra non è
definitiva. Sono stati ascoltati
ieri anche i feriti ricoverati
nell'ospedale San Leonardo, ma
senza successo. Si cerca di
capire se le fiamme nel quinto
vagone si siano propagate in
seguito all'incendio di carta
nei bagni o nella carrozza,
oppure se sia stato fatto
esplodere un candelotto fumogeno
o un petardo. A tale proposito
sono in corso i rilievi, da
parte della scientifica, sulla
carrozza devastata dalle fiamme,
parcheggiata su un binario morto
della stazione di Salerno. Al
momento, si è potuto apprendere
che oltre all'incendio
principale, i vigili del fuoco
si dono dovuti occupare di altri
tre piccoli focolai scoppiati in
varie parti del treno e subito
domati. In mattinata il medico
legale ha eseguito l'autopsia
delle quattro salme
nell'obitorio del cimitero di
Brignano, nel cui responso si
riferisce di morte sopravvenuta
in seguito ad inalazione di
ossido di carbonio e di altri
gas venefici, non per ustioni.
Intanto sono in costante
miglioramento le condizioni dei
giovani feriti. La direzione
sanitaria dell'ospedale "San
Giovanni di Dio" ha reso noto
che sei persone sono ancora
ricoverate, delle nove giunte
ieri. Sono stati dimessi i due
agenti e uno dei tifosi, mentre
altri cinque dovrebbero fare
ritorno a casa in serata, dopo
il trattamento in camera
iperbarica. È invece stato
operato alla gamba destra il
14enne Fabio De Crescenzo, che
per sfuggire alle fiamme si è
lanciato dal treno in corsa,
rischiando di finire travolto da
un altro convoglio proveniente
in direzione opposta.
25
maggio 1999
Fonte:
Repubblica.it
Salerno
tra rabbia e dolore
di
Mimmo Malfitano
La
città si stringe attorno alle
famiglie dei ragazzi morti nel
treno. Tutta la squadra ai
funerali. Cinquemila persone
hanno salutato per l’ultima
volta Simone, Giuseppe, Vincenzo
e Ciro. Tensione in chiesa per
la distribuzione dei posti,
sfiorato lo scontro tra tifosi e
celerini per uno striscione.
C’era anche Song, venuto da
Liverpool per abbracciare
Giovanni Vitale. Non sono
mancati i momenti di tensione
alle esequie delle giovani
vittime della strage di lunedì.
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - Uno
strazio quelle quattro bare
allineate sul sagrato del Duomo.
Rappresentano la tragedia.
Salerno è in lacrime, piange
quattro giovani innocenti,
vittime di un disegno criminale.
Cinquemila persone hanno
partecipato ai loro funerali,
mentre un’intera città si è
chiusa nel proprio dolore. Da
ieri, Simone Vitale, Giuseppe
Diodato, Vincenzo Lioi e Ciro
Alfieri riposano nel cimitero di
Brignano, dopo aver pagato con
la vita la passione per la
Salernitana. La giornata si
annuncia ricca di tensione.
Salerno è illuminata da un sole
caldo, estivo. Sui muri della
città si contano centinaia di
manifesti listati a lutto che
ricordano il sacrificio dei
quattro ragazzi. Il programma
prevede il trasferimento delle
bare, dall’obitorio al Duomo,
entro mezzogiorno. A quell’ora,
all’esterno della chiesa si sono
già radunate 200 persone, per lo
più ragazzi tra i 15 e i 20
anni. Dei carri funebri,
comunque, non si vede nemmeno
l’ombra. C’è qualcosa che ne
ritarda l’arrivo. Fuori
dall’obitorio, infatti, si
vivono momenti di grande
tensione. I parenti delle
vittime sono impazienti,
vogliono che l’autorità
giudiziaria restituisca loro
quei corpi martoriati. Si va
avanti per qualche ora (sui
corpi deve essere effettuata
l’autopsia). E alle 15, le
quattro bare varcano il portone
del Duomo. Le scene sono
strazianti. Piangono tutti,
parenti, amici, semplici
cittadini che nemmeno
conoscevano i morti. Ma
l’atmosfera di dolore è troppo
coinvolgente per non farsi
sopraffare dall’emozione. A due
ore dall’inizio della
celebrazione, un migliaio di
persone è già sistemato dentro e
fuori la chiesa. La tensione
sale altissima quando per motivi
di sistemazione nei banchi, una
semplice discussione si
trasforma in una rissa che
coinvolge gli stessi parenti
delle vittime. Il caos è totale,
il Duomo diventa teatro di
contesa. C’è chi urla, mentre
volano le sedie. Qualche signora
sviene, soccorsa immediatamente
dal servizio predisposto dalla
Croce Rossa. Lo spettacolo è
inquietante, alcuni fotoreporter
vengono spintonati e invitati
con decisione a non far scattare
i loro flash. C’è bisogno
dell’intervento dei celerini per
rimettere a posto le cose,
mentre la chiesa è quasi
gremita. All’esterno, le forze
dell’ordine sono predisposte in
maniera da evitare ulteriori
situazioni di tensione.
Sono le
16 quando arrivano i giocatori
della Salernitana con in testa
Francesco Oddo, l’allenatore.
Tra essi c’è anche Rigobert
Song, l’ex salernitano,
attualmente al Liverpool, amico
di Giovanni Vitale, il papà di
Simone. Il camerunense ha voluto
stargli vicino in questo momento
di grande strazio. Vengono
sistemati alla destra
dell’altare, dove ha preso posto
anche il sindaco, Vincenzo De
Luca. Sono sconvolti, i granata.
Luca Fusco è il giovane
difensore nato nel quartiere di
Mariconda, tra quelli più ad
alta tensione in fatto di tifo.
È l’unico che esce dal gruppo e
sosta dinanzi alle bare, mentre
le lacrime gli rigano il volto.
Prima che diventasse un
protagonista delle domeniche
calcistiche, Luca era uno di
loro, che tifava in curva sud.
Qualcosa, però, scuote ancora
una volta questo pomeriggio di
lutto e pianti. Fuori dal Duomo
una frangia del tifo organizzato
piazza uno striscione
provocatorio per le forze
dell’ordine: "Vergogna, 10
poliziotti per 1.500 tifosi". Il
riferimento è alla presenza
degli agenti di polizia sul
treno della morte. Un dirigente
della Questura ordina la
rimozione immediata di quel
drappo bianco. Ma la reazione
dei tifosi è istantanea. Sono
circa 300 quelli che si lanciano
contro i celerini costringendoli
alla ritirata. Sono momenti di
paura. Poi, il buonsenso prevale
e lo striscione viene riesposto
dov'era. L’Arcivescovo di
Salerno Gerardo Pierro inizia la
celebrazione della messa. La sua
omelia si limita a un discorso
di fede. "Questa è una tragedia
che si è abbattuta su tutta la
città e che ci fa stringere
costernati e amareggiati intorno
a queste quattro bare. Le vite
spezzate di questi ragazzi
dovranno essere un monito per
tutti", dice Pierro. Si saprà,
dopo, che i toni morbidi gli
erano stati consigliati dal
Prefetto, Efisio Orrù,
preoccupato che eventuali
riferimenti alla violenza e alle
responsabilità altrui avrebbero
potuto riscaldare ulteriormente
gli animi già provati dei
parenti e dei tifosi. Nel
settore destinato alla
Salernitana trova posto anche
una rappresentanza di
sostenitori del Bari e del
Barletta, mentre da Brescia sono
arrivati un fascio di fiori e
una sciarpa. Il Napoli è
presente col suo direttore
sportivo, Franco Grillo, e con
tre ragazzi del settore
giovanile. La benedizione delle
bare chiude una giornata di
lacrime e sofferenza. Un
lunghissimo applauso saluta
l’ultimo viaggio di Simone,
Giuseppe, Vincenzo e Ciro,
mentre la città si ferma in
segno di cordoglio. Quattro
morti che Salerno non potrà
lasciare impuniti. Le loro vite
spezzate da un gesto criminale
chiedono giustizia.
26
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Morire
per altruismo
di
Massimo Cecchini
Simone
era riuscito a salvarsi ma ha
voluto aiutare gli altri.
Racconta chi c’era che il
giovane pallanuotista aveva già
lasciato il treno: è risalito
per soccorrere i compagni e non
è più sceso.
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - Il
dolore ha un volto solo, che non
ammette sfumature. Eppure negli
occhi di Giovanni Vitale, il
nostro corrispondente da
Salerno, c’era una luce diversa,
che pareva quasi voler dare un
senso all’assurdo rappresentato
dalla morte di un figlio. Non
c’era bisogno che il padre
raccontasse nulla, perché le
notizie, riportate da testimoni
e verificate nell’autopsia,
correvano di bocca in bocca.
Simone Vitale, 22 anni, era
morto com'era vissuto:
generosamente. Il giovane
portiere della Rari Nantes
Salerno (A-2 maschile di
pallanuoto), forte anche della
sua esperienza come ausiliare
dei Vigili del Fuoco, è morto
aiutando altri a uscire
dall’inferno che era divenuto il
suo vagone. Simone, hanno
raccontato in diversi, era
riuscito già a scendere dal
treno incolume. Poi alcune
invocazioni d’aiuto lo hanno
distratto mentre stava per
allontanarsi ed è tornato
indietro, risalendo su quella
carrozza piena di fumo. Era la
sua parata più difficile: un
tuffo senza ritorno. "È morto da
eroe - conferma Salvatore
Orilia, presidente del Centro
Coordinamento dei tifosi della
Salernitana. Ho due ragazzi che
erano con lui sul treno che mi
hanno confermato quello che
hanno detto anche i medici: ha
provato ad aiutare gli altri a
scappare". Un amore davvero
fatale quello per la sua
squadra, da parte di Simone. Il
portiere, infatti, aveva
rinunciato ad andare in
trasferta a Catania con la Rari
pur di non perdere la partita
decisiva dei granata a Piacenza.
Il rimpianto di molti dirigenti,
ieri, era quello di non averlo
costretto al viaggio in Sicilia.
La sua bara ieri era coperta dal
drappo granata e da quello
giallorosso della Rari, che
aveva anche affidato lo
stendardo ufficiale a un
compagno di squadra. Qualcuno si
avvicinava e deponeva sopra il
legno tiepido un costume da
bagno ed una calottina. Non era
finita: i Vigili del Fuoco
donavano un berretto da
ausiliario ad accompagnare le
insegne dei suoi grandi amori
sportivi. Simone, ne siamo
certi, sarebbe stato contento di
uscire di scena con una parata
così bella.
26
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Anche
Enzo ha soccorso il cugino Ciro
"Non
lasciarmi", e sono morti
abbracciati
di
Gennaro Bozza
Soffrivano entrambi di asma.
Enzo stava scappando quando si è
sentito chiamare da Ciro. È
tornato indietro per aiutarlo,
sono caduti insieme nel
corridoio.
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - Era
"Maradona" per gli amici che
giocavano con lui a calcio,
anche se i capelli erano quasi
biondi. "Si', ma anche ricci,
quando lui era piccolo. E poi,
faceva i giochetti proprio come
Diego". I compagni di strada
ricordano così Vincenzo Lioi,
uno dei quattro giovani morti
nel treno dei tifosi. Aveva
appena 16 anni e, insieme a lui,
cugino e compagno di giochi,
c’era Ciro Alfieri, 15 anni,
chiamato "ò puorco" per affetto,
a causa della sua stazza fisica,
e non per dileggio. Due ragazzi
che avevano già cominciato ad
affrontare la vita: Enzo
lavorava in un chiosco di
gelati, dove era stato prima di
lui Ciro, poi diventato
apprendista idraulico. Una vita
insieme, una morte abbracciati.
Con particolari che lasciano
sgomenti. Tutti e due soffrivano
di asma. Enzo stava riuscendo a
scappare dal treno maledetto,
quando si è sentito chiamare da
Ciro. "Non lasciarmi, non ce la
faccio". È tornato indietro per
aiutarlo, sono caduti insieme
nel corridoio. E, come se non
bastasse, un’altra beffa. Ciro
non doveva andare a Piacenza
perché i genitori lo avevano
messo in punizione. "Ci aveva
pregato di convincerli a farlo
andare, siamo andati e, alla
fine, loro hanno permesso che
andasse a seguire la
Salernitana". Il viaggio insieme
a un amico, Franco Finizio, che
racconta: "All’andata, eravamo
insieme. Al ritorno, a Bologna,
quando hanno attaccato quattro
carrozze, mi sono spostato lì
per trovare un posto e li ho
lasciati. Così mi sono salvato e
loro sono morti". Entusiasti
della vita. "Ciro era nu' bravo
guaglione" - racconta Franko
("col kappa, mi raccomando",
dice), 16 anni - "Gli piaceva fà
burdello". Che è come dire: il
tipo che scherza, non quello
cattivo. E anche lui giocava a
calcio, attaccante. Non bravo
come Enzo, però, che ha giocato
in tante squadre, dalla Nuova
Salerno al Vietri Raito. Gli
amici lo conoscevano come Enzo
Tettella. "Non sappiamo nemmeno
noi perché. Quando abbiamo
sentito che era morto Vincenzo
Lioi, non ci siamo preoccupati.
Poi, abbiamo saputo che era
lui". Anche lui, un tipo
allegro, con una specialità: i
pernacchi. Attenzione, non le
pernacchie, proprio come
spiegava Eduardo De Filippo nel
film "L’oro di Napoli". Faceva i
pernacchi lui ? "Molto meglio,
Eduardo non era niente al
confronto. Enzo era un vero
artista".
26
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Il
macchinista del treno: "Ma non
chiamatemi eroe"
Con la
sua prontezza Mauro Argenti ha
evitato altre vittime: "Era il
mio dovere".
NAPOLI
- Si schermisce, dice che ha
fatto solo il suo dovere e che
non si sente affatto un eroe. Ma
resta il fatto che Mauro
Argenti, 48 anni, macchinista
del treno della tragedia, lunedì
mattina con la sua prontezza ha
salvato centinaia di persone. Ed
è lui stesso ad ammetterlo: "Se
non portavo fuori quel treno ci
restavano 800 persone là dentro,
in quella galleria". Argenti, in
ferrovia dall’età di 19 anni e
macchinista dalla tempra di
Pietro Germi ne "Il Ferroviere",
"non ama la pubblicità": "Ma
quale eroe, non ho fatto nulla
di speciale, d’altronde in
ferrovia dobbiamo essere
abituati a certe cose". Ieri il
macchinista ha partecipato a una
riunione tecnica con i dirigenti
del compartimento di Roma,
convocata proprio per la
tragedia di Salerno. Lunedì è
stato interrogato dal
magistrato, al quale ha
raccontato quel viaggio da
incubo da Piacenza a Salerno,
quella via crucis culminata
nella tragedia. "Ci siamo
accorti del fumo e del fuoco in
galleria, quando quel tunnel lo
avevamo percorso per oltre due
terzi - dice Argenti -. Si
sentivano rumori fortissimi e ho
pensato che fosse necessario
portare il treno fuori,
altrimenti ci sarebbero state
altre vittime. Lì era veramente
rischioso".
26
maggio 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
I
funerali della vergogna
di
Emanuela Audisio
SALERNO
- Nessuno ha voluto guardare più
in là. Nessuno ha cercato
veramente di capire. Non è stato
un funerale di ragazzi per
ragazzi questo dei quattro morti
del treno speciale, ma solo una
grande, enorme rimozione
collettiva. Sono arrivati in
duemila al Duomo di Salerno per
il primo baby funerale del
calcio, quasi tutti adolescenti
diversi e uguali nei tatuaggi
irrinunciabili della loro
generazione, come se anche
quella fosse una trasferta di
tifosi dove fare casino. Brache
corte, al ginocchio,
lunghissime, scarpe da
ginnastica, scarponi, scarpe con
la zeppa, occhiali neri,
anellini al naso, alle orecchie,
sulle sopracciglia, tute da
ginnastica, capelli arancioni,
gialli, verdi, straunti di gel,
di erezione da lacca, molti che
si tenevano sottobraccio, in
formazioni da clan. E subito
hanno delirato. Si sono messi a
litigare, a piangere, a
maledire. Si sono accapigliati,
come bestie che non sanno fare
altro. Hanno urlato: "Anna
appiccià tutti i poliziotti",
devono bruciare tutti i
poliziotti. Hanno esibito uno
striscione polemico che diceva:
"Vergogna. Dieci agenti per
1.500 tifosi". E poi si sono
messi a dare spintoni alle forze
dell’ordine. Proprio fuori dal
Duomo. Dentro invece si sono
sdraiati a terra, sono montati
coi piedi sul tavolo che serviva
alla celebrazione, hanno fatto
una scenata per un posto, hanno
picchiato teatralmente con i
pugni sui muri e sull’altare. E
al cimitero hanno nuovamente
acceso una rissa, con spinte e
cazzotti, tanto che ci sono
stati due fermati. Come se il
funerale fosse per la
Salernitana che era andata in B
e non per dei loro compagni
carbonizzati da una scemenza
violenta e bestiale. Quattro
morti che insieme fanno una vita
di 76 anni meritavano altro. E
avevano diritto a qualcosa di
più, che non c’è stato. Ciro,
Giuseppe, Vincenzo e Simone sono
stati più disonorati che
onorati. I loro compagni, quelli
che stavano sul treno con loro,
quelli che erano andati a tifare
con loro, almeno davanti alle
bare avrebbero dovuto un po’
riflettere e provare a crescere.
Il Duomo invece è stato invaso
da un branco, pronto a ripartire
per un’altra trasferta, a
invocare l’omertà, pronto a
chiedere vendetta. Ma contro chi
se è stato proprio qualcuno del
branco a devastare e ad
appicciare il fuoco al vagone ?
Ci sarebbe voluta una sana,
energica presa di coscienza.
Un’ammissione magari anche
tacita e simbolica dei propri
peccati. E invece si è fatto
finta che i cattivi e il male
fossero altrove. Ma chi ha
ucciso era lì, vicinissimo,
seduto tra i banchi, appollaiato
su qualche colonna, pronto a
porgere le condoglianze, a
piangere per delle vittime a cui
aveva appena dato fuoco. È vero,
Salerno per i suoi figli ha
generosamente abbassato le
saracinesche in segno di lutto.
Anche se non tutti erano suoi
figli prediletti: tre ragazzi
avevano solo la licenza media,
non andavano più a scuola, si
arrangiavano con dei lavoretti e
provenivano dai quartieri delle
case popolari. Uno, Vincenzo, ha
il padre in carcere e lo zio
agli arresti domiciliari per
spaccio di droga. È vero, la
squadra della Salernitana con
l’allenatore Oddo, ma senza il
presidente Aliberti, era
presente. È vero, Luca Fusco,
l’unico giocatore di Salerno, ha
deposto con commozione la maglia
granata sulle bare. È vero, lo
sport della città con la Rari
Nantes ha dato il suo tributo. È
vero, la tensione era così
insopportabile, anche perché
alle famiglie non è stato
permesso vedere i cadaveri,
molti genitori e parenti sono
svenuti. È vero, il corteo che
ha accompagnato le bare sul
lungomare è stato lunghissimo,
sincero e molto sentito e tutti
hanno seguito sullo schermo la
diretta della cerimonia
trasmessa da Telediocesi,
l’emittente della curia. Il
fratello più grande, il Napoli
calcio aveva mandato con
sensibilità un dirigente e
alcuni atleti della squadra
giovanile, e c’erano anche dei
rappresentanti della Nocerina.
Ma per il resto tutto è servito
a rimuovere. È mancata anche
qualsiasi autorità morale.
L’arcivescovo Gerardo Pierro
nella sua omelia dopo il
preludio della Traviata ha
parlato di "fiori recisi" e non
ha mai minimamente accennato
alle responsabilità individuali
e collettive. Il grande calcio
era assente. Nessuno si è
sentito in dovere di mandare un
rappresentante conosciuto. Lega
e federazione non erano
presenti. Forse perché questi
erano morti retrocessi, di serie
B. E con la sfortuna di bruciare
il giorno dopo l’ultima giornata
di campionato, quando tutti
hanno la testa da altre parti.
L’unico calciatore che si
aggirava angosciato nel Duomo
senza parole era Song, del
Camerun, paese che noi
giudichiamo terzo mondo, ma che
ha più cuore di altri quando si
tratta di piangere i morti. Song
che ora gioca in Inghilterra nel
Liverpool, ma che aveva iniziato
la stagione con la Salernitana,
ha sentito il bisogno di
esprimere la sua solidarietà. I
giocatori del campionato più
bello del mondo invece no. E
alla fine del funerale non ha
fatto paura l’insensatezza dei
quattro morti, ma quella di
molte vite.
26
maggio 1999
Fonte:
La Repubblica
Esequie
con tensione a Salerno. Migliaia
di supporters, clima da stadio
Ai
funerali esplode la rabbia degli
ultrà
di
Fulvio Milone
Urla e
spintoni anche in cattedrale,
interviene la polizia.
SALERNO
- Il rosso granata dei drappi e
delle magliette della
Salernitana spicca sul mogano
delle quattro bare allineate nel
Duomo. Invade anche le navate,
dove i ragazzi con le sciarpe
colorate sfilano a centinaia per
salutare ancora una volta
Vincenzo Lioi, Ciro Alfieri,
Simone Vitali e Giuseppe
Diodato, ridotti come tizzoni da
un branco di hooligans che
lunedì mattina hanno incendiato
un treno. E così, più che in una
chiesa, sembra di essere in uno
stadio, con i poliziotti (pochi)
che oppongono una debole
resistenza agli ultras (molti)
lasciati liberi di sciamare
ovunque e perfino di
arrampicarsi accanto all'altare
prima che cominci la messa
funebre. La tensione e il clima
di violenza sono palpabili
nell'aria resa torrida e
irrespirabile da un migliaio di
corpi che si agitano senza
sosta, come presi da
un'inspiegabile frenesia. A
muoverli è il dolore per la
morte di quei quattro ragazzi.
Ma è un dolore che non serve a
nulla, che non insegna niente:
non scalfisce il silenzio
omertoso di chi sicuramente
conosce nomi e cognomi degli
assassini ed è venuto qui a
piangere pur sapendo che mai e
poi mai darà una mano alla
polizia; non provoca vergogna
fra i supporter incapaci di
riflettere su quello che è
successo, e di isolare i
teppisti. E poi, su questi
morti, incombe come
un'ossessione il rosso di una
tifoseria che non si ferma
neanche davanti al pianto delle
madri vestite di nero. Ha perso
il senso della misura ed è
accecato dalla fede granata
perfino Antonio Guariglia, il
titolare dell'impresa di pompe
funebri: ha voluto mettersi al
volante della prima delle
quattro Mercedes che portano le
bare, e quando è arrivato
davanti alla cattedrale non ha
resistito alla tentazione di
sventolare la sciarpa con le
insegne della squadra. E i
ragazzi e le ragazze che l'hanno
visto si sono messi ad
applaudire, come se fosse
normale alzare pugni contro il
cielo e scandire slogan da
stadio ad un funerale. Poco
prima che cominci la messa un
silenzio carico di rispetto cala
fra le navate. Sono arrivati i
calciatori, eleganti nei loro
blazer. Uno di loro, Luca Fusco,
unico salernitano della squadra,
depone una maglia granata su
ciascuna bara e torna fra i
compagni senza trattenere le
lacrime. Intanto, dalla strada,
giunge l'eco delle urla degli
ultras. Poco lontano dal sagrato
gli agenti della questura e un
gruppetto di tifosi si stanno
affrontando a muso duro: i primi
vogliono srotolare uno
striscione di protesta contro la
polizia accusata di non aver
saputo evitare le violenze sul
treno, gli altri vogliono
sequestrarlo. Volano calci e
pugni, anche un fotografo viene
aggredito fino a quando i
poliziotti, circondati da un
migliaio di scalmanati, decidono
di arretrare. Ma prima del rito
funebre la tensione supera i
livelli di guardia anche dentro
la cattedrale, fra i parenti
delle vittime che non riescono a
trovare posto davanti alle bare.
Scoppia una rissa breve ma
violenta fra un uomo e una donna
che vogliono occupare la stessa
sedia, mentre le urla dei vigili
urbani che intervengono nel
riportare la calma rimbombano
fra le navate e eccitano ancora
di più gli animi. Un sacerdote
si precipita al microfono
invitando alla preghiera e
intona una litania, mentre gli
altoparlanti diffondono le note
della marcia funebre di Chopin.
Trascorrono pochi minuti prima
che il vescovo di Salerno,
Gerardo Pierro, si avvii verso
l'altare per la messa. C'è molta
attesa per la sua omelia, ma si
illude chi spera che il presule
inviti alla mobilitazione delle
coscienze, ad isolare i
violenti, a riflettere sulle
cause della morte di quei
quattro ragazzi. Monsignor
Pierro definisce "inopinata" la
tragedia di lunedì scorso,
invita i parenti delle vittime a
trovare sostegno nella fede e
dice che la città "sta reagendo
con compostezza e dignità".
"Salerno - dice ancora il
vescovo Pierro - risplende per
queste manifestazioni di pura
solidarietà". I ragazzi arsi
vivi nel treno della morte sono,
secondo il prelato, "quattro
fiori recisi dal Signore e da
Lui trasferiti nel giardino dei
cieli". Fuori dalla cattedrale,
sul sagrato e nella piazza
gremita, duemila ragazzi
aspettano che la messa finisca e
le bare vengano portate fuori. E
quando compare la prima cassa di
mogano coperta di fiori scoppia
un applauso prolungato. Ma sono
pochi coloro che gridano contro
gli assassini, "quei pazzi che
hanno sporcato di sangue
Salerno". Un gruppo di ultras
vuole portare i feretri in
corteo nei vicoli del centro
storico, ma la polizia non ha
alcuna intenzione di innescare
altra tensione, e impone che le
bare vengano caricate sui
furgoni che stentano ad avanzare
fra la folla. Sulla strada che
porta al cimitero le quattro
Mercedes nere dell'impresa di
pompe funebri sono seguite da
una scia di motorini e di
ragazzi che scandiscono gli
slogan della tifoseria più
estrema. Sono gli stessi che più
tardi, davanti al camposanto,
tenteranno inutilmente di
impedire agli agenti della
questura di chiudere il cancello
d'accesso ai viali: "Vogliamo
vegliare i nostri compagni",
grideranno. E forse, fra loro,
c’è anche chi conosce i nomi
degli assassini. Rissa tra i
parenti di due ragazzi morti.
Pochi agenti cercano di fermare
i tifosi vicino all'altare. Ma
il vescovo: la città sta
reagendo con compostezza e
manifestazioni di solidarietà.
26
maggio 1999
Fonte:
La Stampa
Scontri
e cori da stadio per l’ultimo
addio ai 4 ragazzi della curva
di Enzo
D'Errico
Rissa
in chiesa per un posto in prima
fila. Un fotografo inseguito e
picchiato.
L’addio
è un applauso da stadio, un coro
da curva, un pianto di sconfitti
in cerca di rivincite. Perfino
nel dolore, che straccia l’anima
e inumidisce gli occhi, puoi
riconoscere il virus di una
passione cieca, con le maglie
granata adagiate sulle bare
vicino ai gagliardetti, le
sciarpe, gli stendardi e la
gente che urla, piange, alza i
pugni al cielo e impreca, stende
striscioni sulle gradinate e
lotta con la polizia per
difenderli. Eppure quei quattro
ragazzi, imprigionati per sempre
nelle casse di rovere, non sono
morti in nome della Salernitana:
li hanno uccisi. E non serve
trasformarli in martiri per
tenere lontana la verità e
fabbricare nuovi nemici. Anche
se è questo che vuole il copione
allestito dagli ultrà fra le
navate del Duomo per una
cerimonia funebre che sa di
rabbia e rimpianti, di violenza
e mestizia. Dove nessuno,
compreso il vescovo Gerardo
Pierro, fa cenno agli assassini.
E dove tutti, invece, maledicono
il nulla, come se Ciro Alfieri,
Vincenzo Lioi, Giuseppe Diodato
e Simone Vitale fossero
scomparsi nel buio per un arcano
maleficio. Le corone di orchidee
bianche e margherite che fanno
da cornice sul sagrato della
cattedrale sono l’unica nota
d’innocenza in un funerale che,
a tratti, muta in bolgia o
addirittura in rissa. Come
quando nella basilica, per uno
scranno di prima fila, volano
schiaffi e spintoni fra i
parenti delle vittime. O come
capita fuori, in piazza, appena
le forze dell’ordine provano a
togliere uno striscione con su
scritto: "Vergogna, 10
poliziotti per 1.500 tifosi".
Nel giro di qualche istante, si
scatena il putiferio: un
commando di hooligans si lancia
contro gli agenti,
costringendoli a mollare la
preda. Poi tocca a un fotografo,
che ha ripreso la scena,
trasformarsi in un animale
braccato nelle stradine del
centro storico. Su di lui
piovono calci, pugni e insulti,
finché la banda non
s'impadronisce del rullino. I
singhiozzi disperati delle
famiglie, le lacrime infinite
degli amici, le urla convulse
delle donne, scandiscono
l’estenuante attesa della
cerimonia. Per quasi tre ore,
migliaia di persone
s’ammucchiano sui feretri
allineati dinanzi all’altare, li
sfiorano, li accarezzano, li
abbracciano. E sono per lo più
ragazzi, una marea di
adolescenti vestiti tutti allo
stesso modo, con lo stesso
taglio di capelli, gli stessi
occhi venati di pianto. Scorgi
qualche maglietta della
Salernitana, qualche sciarpa
granata annodata al collo, un
paio di bandiere. Col passare
dei minuti, i ragazzi si
disperdono nel Duomo
accucciandosi dove capita: nei
confessionali, dentro le
cappelle delle navate laterali,
sul pavimento, nel loggione che
circonda il sagrato. Sembrano
quel che rimane d’una curva di
tifosi dopo una terribile
sconfitta. I parenti di Simone
Vitale, il portierone della Rari
Nantes, sono gli unici a
starsene in disparte, rapiti da
un dolore che non ha bisogno di
strepiti per torturare il cuore.
Alle cinque in punto i furgoni
con le quattro bare fendono la
folla assiepata dinanzi alla
basilica. Nella macchina che
guida il corteo c’è Antonio
Guariglia, il titolare
dell’impresa di pompe funebri.
Accanto al suo nome, sull’elenco
telefonico, c’è scritto: tifoso
della Salernitana. E infatti
sventola un drappo granata che
accende il primo applauso. Gli
ultrà s’accalcano per
trasportare a spalla i feretri,
soltanto quello di Simone Vitale
viene affidato ai compagni della
Rari Nantes. In chiesa, alla
destra dell’altare, sono
schierati i giocatori della
Salernitana. Luca Fusco, l’unico
della squadra che qui è nato e
cresciuto, ripone sulle casse
quattro maglie granata. Ha gli
occhi inondati di pianto per
quella che, poco dopo, il
vescovo Pierro definirà "una
tragedia inopinata", senza
accennare una sola volta alla
violenza che "ha reciso questi
quattro fiori trapiantandoli nel
giardino dei cieli". Eppure
Ciro, Vincenzo, Giuseppe e
Simone non sono morti per un
accidente del destino. Li hanno
uccisi. Come sanno bene i
ragazzi che, confusi nella
folla, hanno un braccio o un
polso ingabbiato dentro una
doccia di gesso immacolata. Con
loro la sorte è stata amica:
sono riusciti a fuggire dal
treno maledetto e a riportare a
casa la vita. Non basterà, però,
un applauso e un altro ancora a
mascherare il silenzio dietro il
quale si sono rifugiati. Tifando
per gli assassini.
26
maggio 1999
Fonte:
Corriere della Sera
Vincenzo, eroe di bontà
Si è
sacrificato per non lasciare
solo il cugino malato d'asma.
di Enzo
La Penna
SALERNO
- "Ti prego, ho paura, non
abbandonarmi", mormora Ciro che
soffre di asma e ha ormai i
polmoni pieni di fumo. E
Vincenzo, che potrebbe mettersi
in salvo, non se la sente di
lasciarlo solo e torna sui suoi
passi. Li troveranno abbracciati
sul treno della morte. La fine
di Ciro Alfieri e Vincenzo Lioi,
di 15 e 16 anni, le più giovani
vittime dell'incendio che ha
devastato il treno dei tifosi
salernitani, nel racconto dei
loro amici più cari si
trasfigura in un esempio unico
di amicizia e altruismo. Gli
ultimi istanti dei due ragazzi
sono descritti da Diego e
Alessandro, gli amici del cuore.
Che non erano sul treno perché a
loro il calcio non interessa. Ma
hanno saputo com'è andata da
Fabio, un sedicenne che si è
salvato lanciandosi dal
finestrino e trascinandosi, con
una gamba fratturata, lungo la
galleria. "Ciro - raccontano -
era un tipo che aveva paura
anche della sua ombra. Se si
faceva un taglietto ad un dito
era una tragedia. Soffriva di
asma, poverino. Così, quando il
fumo ha invaso lo
scompartimento, è restato
paralizzato, in preda
all'asfissia. Ha implorato
Vincenzo di non lasciarlo solo a
morire. E sono morti
insieme...". Diego e Alessandro
replicano con durezza a chiunque
avanzi l'ipotesi che i loro
amici possano avere avuto
qualche responsabilità negli
incidenti sfociati nell'incendio
del treno. "Quella di Piacenza -
affermano - era la seconda
trasferta. Prima erano stati
soltanto a Milano. Ma non erano
tifosi sfegatati. Di sicuro
andavano allo stadio per vedere
la partita e tifare Salernitana
ma mai per fare a botte".
Un'altra amichetta di Vincenzo
Lioi, Sara, piange in silenzio
seduta sulla scalinata della
cattedrale. "Vincenzo - ricorda
- era un ragazzo fantastico. Lo
chiamavano tutti Tette, non ho
mai capito per quale motivo.
Negli ultimi tempi avevamo un
po’ litigato per un motivo assai
banale in una sala giochi sul
lungomare di Salerno. E da
allora quasi non ci salutavamo
più. "Poi, venerdì scorso, lo
incontro a un distributore di
benzina: lui mi sorride come per
dire "Dai non tenermi il
broncio", e sgrana i suoi occhi
verdi. È l'ultimo ricordo che mi
resta di lui". Anche Simone
Vitale, il pallanuotista di
ventuno anni della Rari Nantes
di Salerno, è morto per avere
tentato di aiutare i ragazzi che
erano in difficoltà. "Lunedì
mattina si trovava nella quinta
carrozza, quella in cui è
divampato l'incendio - racconta
Paolo, un suo amico. Ci siamo
chiesti come mai lui, un ragazzo
così prestante e agile, non sia
riuscito a buttarsi fuori dal
finestrino e salvarsi come hanno
fatto tanti altri. La risposta è
semplice: Simone ha aiutato
molti ragazzi terrorizzati a
salvarsi uscendo dal vagone.
Troppo tardi ha pensato a sé
stesso. Quando il più era fatto
è rimasto intrappolato nello
scompartimento trasformato in
una camera a gas: il fumo lo ha
ucciso".
26
maggio 1999
Fonte:
La Stampa
Incendio treno, i funerali dei
quattro giovani
Momenti
di tensione durante la cerimonia
nel Duomo di Salerno. Intanto
proseguono le indagini.
SALERNO
- Centinaia di tifosi hanno
partecipato oggi pomeriggio ai
funerali dei quattro giovani, i
15enni Vincenzo Lioi e Ciro
Alfieri, il 21enne Simone Vitale
e il 23enne Giuseppe Donadio,
morti sul treno speciale che
ieri riportava a casa i
supporter della Salernitana da
Piacenza, dove si era giocata
l'ultima giornata di campionato.
In una giornata che il sindaco
di Salerno, Vincenzo de Luca, ha
dichiarato di lutto cittadino,
non sono mancati momenti di
tensione. Poco prima della
celebrazione del rito funebre la
polizia ha rimosso uno
striscione appoggiato sul muro
del Duomo dai sostenitori della
squadra, dove erano state
dipinte quattro croci nere
accompagnate dalla scritta:
"Vergogna, solo 12 poliziotti
per 1.500 tifosi". Malgrado la
rimozione, i tifosi presenti
hanno ripreso lo striscione e lo
hanno di nuovo esposto,
tenendolo stretto tra le mani.
Inoltre, durante il rito
religioso, la tifoseria ha
insultato operatori televisivi e
fotografi. Mentre proseguono i
dibattiti sulle trasferte, sui
treni speciali e sul
comportamento di alcuni tifosi,
si cercano le cause che hanno
provocato la tragedia. Per tutta
la notte sono proseguiti gli
interrogatori di gran parte dei
1.500 tifosi che viaggiavano sul
convoglio speciale. Gli
investigatori, che già nella
giornata di ieri avevano
ascoltato il capotreno e i due
macchinisti, stanno mettendo
assieme tutti gli elementi per
capire se l'incendio sia stato
innanzitutto commesso per
"depistare" le forze dell'ordine
dagli autori degli atti di
teppismo avvenuti in varie
stazioni da Piacenza a Salerno
o, invece, si sia trattato di
una bravata che si è poi
trasformata in una tragedia". Ma
gli inquirenti denunciano una
situazione di omertà tra i
tifosi. "Allo stato non c'è
alcun fermo né abbiamo
identificato nessuno. Purtroppo
le indagini sono difficili
perché non abbiamo trovato la
minima collaborazione. Nessuno
di coloro che viaggiavano sul
treno sostiene ha visto niente e
non è possibile che davanti a
quattro morti tutti tacciano" ha
dichiarato il procuratore
Gelsomino Cornetta, capo della
Procura di Salerno che con il
sostituto Vincenzo Di Florio, è
titolare dell'inchiesta del rogo
sul Piacenza-Salerno. "Abbiamo
bisogno che qualcuno ci aiuti"
ha aggiunto il procuratore
"parlando o offrendo una
collaborazione fattiva alle
indagini. Se qualche persona ha
degli elementi, una fotografia,
una videocassetta, li faccia
pervenire agli inquirenti. I
padri, i genitori spingano i
figli a parlare e a rompere il
clima di omertà". Le imputazioni
di cui dovranno rispondere gli
ignoti responsabili sono
omicidio plurimo colposo,
disastro ferroviario e incendio.
Ma il pm Di Florio ha dichiarato
di non sapere neanche quanti
fossero i tifosi che viaggiavano
sul treno. L'ipotesi era che
ognuno dei 16 vagoni potesse
ospitare cento passeggeri, ma
visto che nessuno ha pagato il
biglietto, la cifra non è
definitiva. Sono stati ascoltati
ieri anche i feriti ricoverati
nell'ospedale San Leonardo, ma
senza successo. Si cerca di
capire se le fiamme nel quinto
vagone si siano propagate in
seguito all'incendio di carta
nei bagni o nella carrozza,
oppure se sia stato fatto
esplodere un candelotto fumogeno
o un petardo. A tale proposito
sono in corso i rilievi, da
parte della scientifica, sulla
carrozza devastata dalle fiamme,
parcheggiata su un binario morto
della stazione di Salerno. Al
momento, si è potuto apprendere
che oltre all'incendio
principale, i vigili del fuoco
si sono dovuti occupare di altri
tre piccoli focolai scoppiati in
varie parti del treno e subito
domati. In mattinata il medico
legale ha eseguito l'autopsia
delle quattro salme
nell'obitorio del cimitero di
Brignano, nel cui responso si
riferisce di morte sopravvenuta
in seguito ad inalazione di
ossido di carbonio e di altri
gas venefici, non per ustioni.
Intanto sono in costante
miglioramento le condizioni dei
giovani feriti. La direzione
sanitaria dell'ospedale "San
Giovanni di Dio", ha reso noto
che sei persone sono ancora
ricoverate, delle nove giunte
ieri. Sono stati dimessi i due
agenti e uno dei tifosi, mentre
altri cinque dovrebbero fare
ritorno a casa in serata, dopo
il trattamento in camera
iperbarica. È invece stato
operato alla gamba destra il
14enne Fabio De Crescenzo, che
per sfuggire alle fiamme si è
lanciato dal treno in corsa,
rischiando di finire travolto da
un altro convoglio proveniente
in direzione opposta.
26
maggio 1999
Fonte:
Repubblica.it
LE
VITTIME / Tra i morti un giovane
campione di pallanuoto, figlio
di un giornalista sportivo, e un
pescatore ventitreenne.
Ciro e
Vincenzo, i due cugini di
quindici anni uniti anche
nell’ultimo abbraccio
di
Fabrizio Roncone
La
mamma di Ciro dice che devono
cercare meglio. "È impossibile
che mio figlio sia morto
bruciato". Poi sviene. La fanno
sdraiare sul letto. È un
appartamento piccolo e ordinato.
Ci sono molte donne che
piangono, c’è fumo di sigarette.
La camera di Ciro è la prima a
sinistra. A quindici anni, la
stanza gli piaceva arredata
così: con il poster di Delio
Rossi, l’ex allenatore della
Salernitana, dietro la porta.
Con una sciarpa granata appesa a
un chiodo. Poi l’armadio e il
tavolo con sopra vecchi giornali
sportivi. Sul comodino, una
foto: lui e Vincenzo, il
cuginetto coetaneo. Stavano
sempre insieme. Si volevano
bene. Stanno abbracciati. Li
hanno trovati così anche sul
treno. Dalla finestra si vede
piazza San Martino, rione
Pastena. Palazzine popolari di 3
piani. Sui muri scrostati,
enormi murales raffigurano i
calciatori della Salernitana.
"Qui siamo tutti tifosi", spiega
il padre di Ciro, Matteo
Alfieri, che fa il manovale giù
al porto. Parla e tiene per mano
i due figli che gli restano,
Andrea di 12 anni e Lucia di 7.
"La trasferta di Piacenza, per
Ciro, era un premio". Superati
gli esami di terza media, Ciro
si era messo a lavorare. Prima
al bar "Messico", poi al
"Giamaica". Da tre settimane
aveva però deciso di diventare
idraulico. Così, la mattina
entrava nella bottega che sta in
fondo al corso, mentre il
pomeriggio si metteva dietro il
bancone del chiosco che sta di
fronte al "Giamaica". Lo
conoscevano tutti. La gente del
rione sale in pellegrinaggio le
scalette che portano a questa
piazza. Chi stringe i pugni e
guarda a terra. Chi bestemmia.
Chi maledice il Piacenza, la
retrocessione e le ingiustizie
arbitrali. Tre ragazzini
arrivano con una grande bandiera
granata e cominciano a
sventolarla. Vincenzo Lioi, il
cuginetto di Ciro, è meno
conosciuto. Abita con la madre
in via Tasso, centro storico. Un
tipo tranquillo, educato, sempre
il primo a dire buongiorno, "che
ricordo bene quando, da
bimbetto, veniva, con Ciro a
lezioni di judo". L’insegnante
di judo si chiama Lucia
Criscuoli: adesso però collabora
con la locale redazione del
quotidiano Il Mattino di Napoli,
e hanno incaricato proprio lei
di scrivere, di raccontare chi
erano quei due piccoli tifosi.
Nella storia di questa tragedia
si sommano strane, struggenti
coincidenze. Il corrispondente
della Gazzetta dello Sport da
Salerno, Giovanni Vitale, è
infatti il padre di Simone, 23
anni, la terza vittima del
treno. È penoso per i cronisti
andare a intervistare un
collega. Ma lui è un uomo forte
e dice: "Simone amava la vita.
Spero che il suo sacrificio
serva da esempio. Lui era solo
un appassionato di calcio che
tifava per la Salernitana. Non
si può morire per una squadra di
calcio". Simone aveva fatto il
vigile del fuoco e poi era
diventato un bravo giocatore di
pallanuoto: giocava in porta,
con la Rari Nantes, serie A2.
Giocava in porta perché era
forte fisicamente, "alto e
bello", come dice la sorella
Sara. La ragazza singhiozza con
compostezza. "Mio fratello un
ultras ? No. Era un grande
tifoso. Questa non era nemmeno
la prima trasferta. Era stato a
Bari, a Roma, a Milano, ed era
sempre tornato". Anche Giuseppe
Diodato, pure lui 23enne, aveva
seguito la Salernitana a Bari, a
Roma e a Milano. "Per ragioni
diverse, sono un po’ trasferte
mitiche, per noi del Sud",
spiegano nel rione Europa. I
ragazzi che trascorrono il
pomeriggio seduti sul motorino
parlano del calcio di rigore non
concesso a Piacenza, mica del
treno in fiamme. Giuseppe faceva
il pescatore. Viveva con i
genitori, aveva due fratelli e
tre sorelle. La più giovane sono
costretti a trasportarla al
pronto soccorso dell’ospedale.
Stava cercando di spiegare alla
madre cosa le hanno fatto
vedere, all’obitorio.
28
maggio 1999
Fonte:
Il Corriere della Sera
Poveri,
ignoranti, emarginati ? Eppure
Ultrà,
il treno dei desideri
di
Luciano Gallino
Notte
tra il 23 e il 24 maggio.
Millecinquecento tifosi della
Salernitana viaggiano in treno
da Piacenza verso casa, stipati
in 14 vagoni che solo dopo
qualche ora diventeranno venti.
Sono amareggiati perché la loro
squadra è retrocessa in serie B;
retrocessione forse immeritata,
scriverà qualcuno. A Prato buon
numero di loro fanno un carico
di pietre che stivano nelle
toilette. Verso Roma le pietre
cominciano a volare nelle
stazioni, spazzando segnali e
vetrate. Dopo Napoli comincia
nella maggior parte dei vagoni
la distruzione sistematica di
quanto, unendo esuberanti forze
giovanili, si può spaccare,
svellere o fracassare: cioè
quasi tutto. Tra Nocera e
Salerno vengono attivati focolai
d'incendio in diversi vagoni. In
uno di essi le fiamme divampano,
forse al di là dell'intento
degli incendiari, e quattro
ragazzi perdono la vita. Impresa
di bande di ragazzini imberbi,
come si è letto ? Opera d'una
trentina di giovanissimi tra i
15 e i 20 anni ? Se davvero
fossero stati così pochi, non
sarebbero riusciti a
vandalizzare buona parte del
treno: ci vogliono forze ingenti
e ben coordinate per strappare
dalle loro sedi lavandini e
tazzoni dei wc, rastrelliere
portabagagli e porte di
scompartimento. Né avrebbero
potuto appiccare simultaneamente
il fuoco in diversi punti del
treno, sotto lo sguardo
indifferente di 1470 compagni.
Senza contare che la dozzina di
poliziotti presenti sul treno
avrebbero avuto facilmente
ragione di simili gruppetti - a
meno che qualche centinaio di
altri ragazzi non avessero fatto
scudo a quelli di loro dotati di
maggior spirito di iniziativa.
Premesso, come d'obbligo, che
tra i 1500 vi erano sicuramente
anche molti bravi ragazzi, è
quindi giocoforza concludere che
si è trattato d'un movimento di
massa nel quale con diversi
gradi di intenzionalità e
partecipazione sono rimasti
coinvolti, in forza degli
infernali meccanismi della
psicologia delle folle, la
maggior parte dei passeggeri di
quel treno letale. Ma se tanti
erano, la psicologia delle folle
può bastare per spiegare le
ultime 13 ore di attività della
massa, non il modo in cui questa
si è formata attraverso diversi
rivoli nelle settimane e mesi
precedenti. È chiaro che nelle
ultime ore gli ingredienti utili
per far perdere il controllo di
sé a buona parte dei
partecipanti c'erano tutti:
frustrazione, affollamento
eccessivo, stanchezza, la
spirale della reciproca
eccitazione, infine la presenza
inadeguata delle forze
dell'ordine - poiché ci saranno
pur voluti tempo e attività ben
visibili per portare a bordo
parecchi miria di pietre. Ma
quegli stessi ingredienti non
sarebbero stati sufficienti se
la composizione di quella massa
fosse stata diversa, se non
avesse recato entro di sé le
disposizioni per trasformarsi in
violenza a fronte d'un innesco
appropriato. Constatazione in
fondo formulata, con differenti
parole, da vari commentatori.
Molti dei quali hanno scorto
nell'accaduto una prova del
disagio sociale del Meridione,
degli effetti nocivi del
permanente sottosviluppo di
questa parte del Paese.
L'inconveniente è che, almeno
nel caso di Salerno, tale
diagnosi non ha basi su cui
fondarsi. Il disagio giovanile
non dovrebbe forse tradursi in
un tasso particolarmente alto di
minorenni che hanno guai con la
giustizia ? Ora, stando a dati
dell'Istat (rielaborati e
pubblicati pochi mesi fa da Il
sole - 24 Ore), i minorenni
oggetto di denuncia giudiziaria
per 100.000 abitanti sono a
Salerno e provincia il 50% in
meno rispetto a Piacenza, la
metà rispetto a Venezia, un
terzo rispetto a Lucca. I
borseggi e gli scippi denunciati
sono a Salerno la metà di quelli
denunciati a Varese, e giusto un
quarto (dicesi un quarto) a
confronto di Lucca. Ci sono meno
rapinatori in servizio attivo a
Salerno che non a Brescia, Forlì
o Padova, per non parlare di
Milano o di Torino. Anche i
suicidi - indicatore
preferenziale di disagio sociale
- vedono Salerno in posizione
assai migliore che non Ancona,
Verona, o Alessandria.
|
Indicatori sociali a parte, si
sa che Salerno e dintorni sono
sede di impianti
agro-industriali di tutto
rispetto. Nella provincia, la
produttività delle colture
agricole batte quella di molte
altre regioni italiane. Vi sono
fabbriche di elettronica e
aziende di informatica, moderne
imprese chimiche e tessili.
Esiste un'Università articolata
in molte Facoltà e un'attività
culturale che poggia su gran
numero di associazioni; un
numero non inferiore a quello di
Milano, tanto per dire, sempre
in rapporto alla popolazione.
Nonché sulla memoria d'uno
straordinario retaggio:
nell'11-12 secolo la Scuola
salernitana era considerata il
più importante centro di cultura
medica dell'Occidente, e da essa
sarebbe più tardi gemmata
l'Università locale, per secoli
in sofferta competizione con
quella di Napoli, istituita nel
1224 da Federico II. Siamo
dunque dinnanzi, guardando a
Salerno senza occhiali
stereotipici, a un contesto
urbano spiccatamente moderno e
ricco di caratteri civili,
assimilabile a quello di molte
altre cittadine italiane di
analoghe dimensioni, nel Sud,
nel Centro e nel Nord. Non
sembra neppure lontanamente un
contesto dal quale un brutto
giorno affiorano, tutti insieme,
parecchie centinaia di
giovanissimi impegnati a
trasformare una gita sportiva in
un incubo - perfino per molti di
loro. Nondimeno è proprio questo
ciò che è successo. Il che porta
ad alcune provvisorie quanto
sgradevoli inferenze. La prima è
che le truppe di tifosi
predisposti alla violenza - oggi
tifosi di calcio, domani chissà
- potrebbero essere non il
prodotto di situazioni
d'arretratezza economica e di
ritardo culturale, bensì la
figliazione dello sviluppo
economico e della
modernizzazione dei costumi
quali sono attualmente in corso.
L'una e l'altra tendono a
generare forme inedite di
disuguaglianza, di divaricazione
entro il tessuto sociale. Non è
tanto, o non solo, questione di
reddito relativo o assoluto. È
questione della formazione d'una
città di professioni, di codici
di comportamento, di meccanismi
di compenso e di privazioni, la
quale è naturale come l'aria per
chi arriva a starvi dentro, ma è
incomprensibile e ostile per chi
vi sta fuori, come le muraglie
d'una fortezza neo-medievale
quali sono descritte in film
tipo 2019 - Fuga da New York o
nei racconti di Robert
Silverberg. (Incipit: "Le mura
che circondano Los Angeles sono
spesse fra i 30 e i 50
metri..."). L'inferenza numero due avverte
che se la predisposizione alla
violenza non è un frutto
dell'arretratezza o di un
mancato incivilimento, bensì un
prodotto endemico della tarda
modernità, una forma di
controcultura che prende stimolo
specifico dallo sport per
esprimere il proprio
generalizzato antagonismo,
allora dobbiamo attenderci che
si avverino, dovunque nel Paese,
altri scenari tipo il treno
straordinario Piacenza-Salerno
del 23 maggio scorso. Purtroppo
costruire una modernità che non
appaia ai giovani chiudersi
entro muraglie materiali e
simboliche, dove le seconde sono
forse più spesse e robuste delle
prime, è compito più arduo che
non regolamentare i viaggi delle
tifoserie. Poscritto. Nel
pomeriggio di sabato 29 maggio,
a Torino, una cinquantina di
ultrà devastano allo stadio la
sala stampa della Juventus.
Giornalisti e giocatori fuggono.
Gli agenti arrivano a cose
fatte. Non si sa se i
protagonisti del raid siano
arrivati o ripartiti in treno.
3
giugno 1999
Fonte:
La Stampa
A
Salerno messa per ricordare i
tifosi morti a Maggio
Un
migliaio di persone ha assistito
ieri mattina alla messa in
memoria dei quattro giovani
tifosi morti nel rogo del treno
Piacenza-Salerno del 24 maggio
scorso. Al rito, celebrato nel
cimitero cittadino da don Enzo
Rizzo, parroco della chiesa di
S. Agostino, erano presenti i
familiari di Vincenzo Lioi, Ciro
Alfieri, Giuseppe Diodato e
Simone Vitale, che hanno voluto
lanciare - in concomitanza con
la prima partita casalinga della
Salernitana - un messaggio
contro la violenza nello sport e
nella società. La rappresentanza
della Salernitana era guidata
dal calciatore Luca Fusco, che
non figura tra i convocati della
gara con il Cesena perché'
infortunato. Don Rizzo ha
rivolto un nuovo appello ai
responsabili, ancora
sconosciuti, del rogo affinché'
si facciano avanti: "Se qualcuno
conosce gli autori ancora senza
volto e senza nome del gesto si
avvicini a questi fratelli e li
aiuti a trovare un momento di
sincero pentimento, che li
induca ad assumersi le proprie
responsabilità davanti a Dio e
agli uomini".
6
settembre 1999
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Salerno
ha ricordato il tragico rogo di
un anno fa
SALERNO
- Un anno fa, il 24 maggio 1999,
quattro ragazzi perdevano la
vita nel rogo di una carrozza
ferroviaria. Vincenzo Lioi,
Simone Vitale, Ciro Alfieri e
Giuseppe Diodato tornavano da
Piacenza, dove la Salernitana
era stata sconfitta in un
drammatico spareggio salvezza.
Per ricordare quella tragedia
assurda, sulla quale pende una
richiesta di rinvio a giudizio
avanzata dalla Procura di
Salerno a carico di un gruppo di
tifosi accusati dell’incendio
del treno e di alcuni poliziotti
cui viene imputata negligenza
nei controlli, il Comune di
Salerno, in collaborazione con
l’Ussi, ha organizzato la
giornata del ricordo.
"Testimonianze" il tema del
confronto a più voci svoltosi
nel teatro Augusteo di Salerno.
"Nessuno di noi - ha detto il
sindaco di Salerno, Vincenzo De
Luca - ha vissuto più lo sport
come prima di quel tragico
rogo".
23
maggio 2000
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Fiori e
silenzio un anno dopo
di
Franco Esposito
SALERNO
- Ieri i tifosi salernitani
hanno voluto ricordare Ciro
Alfieri, Giuseppe Diodato,
Vincenzo Lioi e Simone Vitale, i
quattro ragazzi morti un anno fa
nel rogo del treno
Piacenza-Salerno. Una delle
pagine più tragico dello sport
salernitano e italiano. Prima
della partita è stato osservato
un minuto di raccoglimento. Il
match si è poi svolto nel
silenzio totale (sugli spalti
c'erano almeno dodicimila
spettatori) e in tribuna sono
stati esposti solo striscioni
che si riferivano al tragico
episodio. Niente polemiche, e
tifo molto moderato. Per una
volta il mondo del calcio si è
quasi fermato per ricordare quei
ragazzi uccisi dalla stupidità.
Al termine dell'incontro, prima
di rientrare negli spogliatoi,
tutti i giocatori della
Salernitana hanno voluto rendere
omaggio ai quattro giovani
scomparsi baciando un drappo di
tela su cui erano scritti i loro
nomi. Gesto salutato da un lungo
applauso.
22
maggio 2000
Fonte:
La Repubblica
Salerno
e quel treno maledetto: un
ricordo che non si cancella
di
Davide Tondi
Ciro,
Giuseppe, Simone, Vincenzo: nomi
che non dimenticheremo più.
Quattro segni indelebili di una
follia. Quattro giovani martiri
di una partita di pallone.
Quattro vittime di un incendio.
Quasi due anni dopo torna
Piacenza-Salernitana e non c' è
bisogno di pensare a quel 24
maggio del ' 99 per farci
prendere dall' angoscia del
dolore. Quelle storie, quelle
immagini, quelle morti ripassano
nella mente di chi ha vissuto da
vicino una terribile vicenda
come fotogrammi proiettati a
velocità pazzesca dalla nostra
memoria. La notizia ci assalì di
prima mattina. Un treno di
tifosi, un incendio, alcuni
feriti, quattro dispersi. In
quest' ultima parola che
dovrebbe offrire una speranza a
chi aspetta di sapere era
nascosta la verità più
agghiacciante. Noi fummo avvolti
da quella speranza e per saperne
di più, per svolgere il nostro
lavoro, chiamammo il
corrispondente di Salerno della
"Gazzetta", Giovanni Vitale. E
scoprimmo che lui, più di noi,
più di tutti, si aggrappava
proprio in quei momenti a quella
fatidica parola: "Disperso". Suo
figlio, Simone era disperso. Suo
figlio Simone, poco dopo, apparì
nell' elenco ufficiale delle
vittime insieme con altri tre
giovani tifosi della
Salernitana. Apprendemmo poi che
proprio Simone fece di tutto per
salvare la vita ai suoi amici ma
che fu vinto dalle fiamme. Quel
treno maledetto aveva annientato
quattro giovani vite. Simone,
con i suoi 22 anni, era il più
grande; Vincenzo Lioi di anni ne
aveva 16, Giuseppe Diodato e
Ciro Alfieri 15. Quattro
ragazzi, un’unica passione: la
Salernitana. Il treno avrebbe
dovuto accompagnare la
realizzazione di un sogno, la
permanenza in serie A della
squadra granata. Il pareggio di
Piacenza annullò ogni speranza.
Non rimaneva altro che tornare a
casa, con la tristezza e la
delusione nella valigia.
Millecinquecento tifosi, per lo
più ragazzi, ripresero quel
treno per il viaggio di ritorno;
assieme a loro un gruppo di
teppisti (e non potevano essere
tenuti a bada da pochissimi
poliziotti) che a pochi
chilometri da Salerno chissà
perché appiccarono il fuoco:
secondo gli inquirenti fu il
tentativo di spostare
l’attenzione dalle loro barbarie
e potersi dileguare restando
impuniti. Polizia e carabinieri
erano già pronti ad accogliere
quei delinquenti per
identificarli. Fu l’ultima
azione di una notte di violenze
e deliri, coincisi con gli
ultimi sospiri di Ciro,
Giuseppe, Vincenzo e Simone. Il
fuoco, la morte, il silenzio. E
poi le lacrime, i cortei
funebri, le indagini, il
processo che proprio in questi
giorni viene documentato in tv.
Gli imputati sono dieci giovani
salernitani. Quattro, fra cui un
reo confesso, sono accusati di
strage, gli altri sei di
concorso. Imputati anche due
funzionari di polizia. Il
processo è lungo e difficile e
continuerà a lungo. Quel treno
invece si è fermato. E
Piacenza-Salernitana no, non può
essere una partita come tante. È
nel nostro cuore per sempre. Ma
ne avremmo fatto volentieri a
meno.
24
marzo 2001
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
|