Un papà ed una storia,
che non insegnano nulla
Il treno di Simone
di Armando Napoletano
Un
treno nella vita di ogni uomo
c’è sempre. Il viaggiatore è in
fondo un messo destinato a
scottarsi il cuore, è nel suo
destino. Non c’è pedalata o
pedata che trasmetta al mondo
visione sufficiente, perché per
chi viaggia, tutto è sempre
nuovo. Ma non nel calcio,
fabbrica di spiantati in tutti i
sensi. 300 ragazzi si sono
avventurati nella trasferta di
Salerno partendo dalla Spezia,
sono partiti come i pendolari
ogni mattina fanno, alle 6,
hanno bivaccato, si sono rosi il
fegato ed hanno portato a casa
un punto. Quando sono giunti
alla stazione di Salerno sono
scesi con i loro cori e cuori,
si sono guardati attorno, ed
hanno raggiunto i mezzi che li
avrebbero portati all’Arechi,
l’immagine del nuovo calcio a
Salerno, perché il vecchio
Vestuti era proprio al centro
della città, in una posizione,
per spiegarvi, addirittura più
centrale di quanto lo può essere
il Picco. Ai salernitani, quelli
del Cilento (che io confondo
sempre col Salento, fin da
bambino, per le ire della mia
profe di geografia che si
incazzava e faceva ondeggiare la
sua parrucca bionda), piaceva
così. Anni fa quella stessa
stazione, sempre per il calcio,
è significata morte. La più
atroce, la più cruenta, per un
giovane, che amava il calcio e
che, come i nostri tifosi, si
era mosso per la sua squadra. Si
era giocata il giorno prima
Salernitana-Piacenza, alle 8:20
di lunedì 24 maggio 1999
giungeva in quella stazione un
treno con alcune carrozze in
fiamme. Si trattava di un
convoglio straordinario, partito
alle 20:10 di domenica 23 maggio
dalla stazione di Piacenza,
riportava a Salerno 1500 persone
che avevano assistito alla
partita, una sfida che non era
valsa la salvezza per i campani.
Un treno risultato subito
inadeguato. Troppi 1500
viaggiatori ammassati in 12
carrozze. Alla stazione di
Bologna, ne furono aggiunte
altre 4, comunque insufficienti.
Ed insufficienti si sono
rivelate pure le misure di
sicurezza, così un nutrito
gruppo di balordi (si parla di
un centinaio di giovinastri) si
è sentito libero di fare quello
che voleva. Come cani. Per
l'intero
viaggio non hanno fatto
altro che distruggere l'interno
della carrozza occupata ed
all'arrivo in ogni stazione
(anche per il solo transito)
hanno lanciato pietre e pezzi
della vettura distrutta contro
altri treni o passeggeri fermi
sui marciapiedi ferroviari. I
balordi sono diventati folli
criminali quando il treno stava
per concludere il suo assurdo
viaggio. Appena entrati nella
galleria Santa Lucia, lunga 12
Km, che collega la stazione di
Nocera Inferiore a quella di
Salerno, questi imbecilli al
seguito, per mutuare un titolo
caro alla Gazzetta dello Sport,
hanno dato fuoco al treno
accendendo due focolai nella
carrozza numero 5. A Salerno il
tunnel termina a soli 200 metri
di distanza dai marciapiedi
della stazione. Appena sbucato
da lì, quel treno ha proposto
una scena apocalittica. Dai
finestrini si sono lanciate
persone avvolte dalle fiamme od
annerite dal fumo, mentre il
fuoco proseguiva nella sua
devastazione. Sconvolti,
impauriti ed anneriti tutti.
Sulla carrozza numero 5 sono
rimasti 4 corpi di ragazzi senza
vita: Ciro Alfieri 15 anni,
Giuseppe Diodato 21 anni,
Vincenzo Lioi 16 anni, Simone
Vitale 23 anni. L'autopsia ha
accertato che la loro morte è
stata provocata da asfissia dopo
un improvviso aumento della
coltre di fumo venefico. Pochi
secondi per passare dalla vita
alla morte, senza neanche
rendersene conto. I giovani
stavano cercando di arrivare
all'uscita quando sono stati
investiti dal fumo. Simone
Vitale, invece, è stato trovato
spalle all'uscita nel tentativo
di salvare i restanti tre
occupanti della carrozza, come
prima aveva fatto con altri
passeggeri. Simone, Simone e
Giovanni. Sabato pomeriggio io
ho parlato con Giovanni Vitale;
è un collega, scrive da anni
anche per la Gazzetta. È la
memoria storica della
Salernitana; ci siamo
confrontati sui precedenti,
raccontato aneddoti da una parte
e dall’altra, parlato di Mario
Valitutti, quello che
presiedette la commissione che
ci diede il titolo onorifico del
1944. Abbiamo anche riso
insieme. In tutte le telefonate
non ho mai avuto il coraggio di
chiedergli come sta, non ce la
faccio. Lui, un uomo che del
calcio sa tutto, al quale il
calcio ha tolto tutto, un
figlio. Lui che va a vedere i
tifosi che arrivano in quella
stazione ogni domenica, lui che
non ha mai scritto di pallanuoto
prima che Simone morisse, e che
ora lo trovi sul telefonino
quasi solo in piscina. Ma può il
calcio ed un treno, rubare la
vita a chi il calcio ama ?
Borges diceva che ogni volta che
un bambino per strada calcia una
pietra, lì ricomincia la storia
del calcio. Ma la storia di un
figlio perso non può
ricominciare, e se te la porta
via il calcio ? Giusto dire che
lì muoia ogni volta. Simone lo
hanno chiamato il "gigante
buono" e lo "sportivo
silenzioso". Modi sintetici e
significativi per tratteggiare
la vita di un ragazzone di 23
anni dai sani principi morali,
pronto ad aiutare persone in
difficoltà. Gigante buono avendo
completato la disponibilità al
senso del dovere ed al
sacrificio per aiutare il
prossimo, quando ha prestato
servizio militare nel corpo dei
Vigili del Fuoco. Sportivo,
essendo stato per 14 anni un
pallanuotista: portiere della
Rari Nantes Salerno. Io non l’ho
conosciuto, me ne hanno parlato
colleghi di Giovanni; ma ognuno
serba un ricordo bellissimo di
questo gigante buono che ha
smesso di allungare le sue
braccia per aiutare gente in
difficoltà, ma è diventato un
esempio di altruismo. Da tifoso.
Questo per dirvi che chi ama il
football deve ricordarsi dei
luoghi che vede, non solo delle
rovesciate e degli stadi che
vede, ma anche dei posti e delle
storie, a futura memoria. Quando
ieri sera sono andato a chiudere
la giornata da cronista,
pensando alla stazione di
Salerno, a quel collega che come
me era lì a scrivere ancora di
calcio, nonostante tutto, ed a
quel transito innocuo dei nostri
tifosi, non ho potuto far altro
che scuotere la testa. Leggendo
le notizie di agenzia, che si
accoppiavano a quelle dei
giornali della mattina. Se basta
un gruppo di pazzi che da
Catania vanno a Brescia per
mettere in ginocchio l’Italia,
se basta che tifosi della Lazio
e del Napoli si incontrino
casualmente sull’autostrada per
mettere le macchine di traverso
bloccando il paese per menarsi,
beh, allora è meglio Sky ed il
Megacine. Se almeno certe morti
servissero, il calcio
riacquisterebbe la sua storia,
oggi scritta solo da imbecilli.
Di razza pura.
(Fonte: Il Secolo XIX)
15 gennaio 2006
Fonte:
Cittadellaspezia.com
Medaglia al merito per
Simone Vitale
ROMA -
Il Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi ha
conferito la medaglia d'oro al
merito civile alla memoria a
Simone Vitale per aver dato la
vita il 24 maggio 1999 nel
tentativo di salvare ragazzi in
difficoltà durante l'incendio
che divampò sulla carrozza
numero 5 del treno che riportava
a Salerno i tifosi della
Salernitana al rientro dalla
trasferta di Piacenza dove un
pareggio decretò la
retrocessione in serie B della
squadra granata. Portiere della
Rari Nantes Salerno, squadra di
pallanuoto di A2, Simone Vitale
era anche Vigile del Fuoco
ausiliario. Era consapevole dei
rischi che correva e pur potendo
mettersi in salvo decise di
risalire su quel treno per
salvare altre vite umane
perdendo la propria.
10 marzo 2005
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Morire per altruismo
di Massimo Cecchini
Simone era riuscito a
salvarsi ma ha voluto aiutare
gli altri. Racconta chi c’era
che il giovane pallanuotista
aveva già lasciato il treno: è
risalito per soccorrere i
compagni e non è più sceso.
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - Il
dolore ha un volto solo, che non
ammette sfumature. Eppure negli
occhi di Giovanni Vitale, il
nostro corrispondente da
Salerno, c’era una luce diversa,
che pareva quasi voler dare un
senso all’assurdo rappresentato
dalla morte di un figlio. Non
c’era bisogno che il padre
raccontasse nulla, perché le
notizie, riportate da testimoni
e verificate nell’autopsia,
correvano di bocca in bocca.
Simone Vitale, 22 anni, era
morto com'era vissuto:
generosamente. Il giovane
portiere della Rari Nantes
Salerno (A-2 maschile di
pallanuoto), forte anche della
sua esperienza come ausiliare
dei Vigili del Fuoco, è morto
aiutando altri a uscire
dall’inferno che era divenuto il
suo vagone. Simone, hanno
raccontato in diversi, era
riuscito già a scendere dal
treno incolume. Poi alcune
invocazioni d’aiuto lo hanno
distratto mentre stava per
allontanarsi ed è tornato
indietro, risalendo su quella
carrozza piena di fumo. Era la
sua parata più difficile: un
tuffo senza ritorno. "È morto da
eroe - conferma Salvatore
Orilia, presidente del Centro
Coordinamento dei tifosi della
Salernitana. Ho due ragazzi che
erano con lui sul treno che mi
hanno confermato quello che
hanno detto anche i medici: ha
provato ad aiutare gli altri a
scappare". Un amore davvero
fatale quello per la sua
squadra, da parte di Simone. Il
portiere, infatti, aveva
rinunciato ad andare in
trasferta a Catania con la Rari
pur di non perdere la partita
decisiva dei granata a Piacenza.
Il rimpianto di molti dirigenti,
ieri, era quello di non averlo
costretto al viaggio in Sicilia.
La sua bara ieri era coperta dal
drappo granata e da quello
giallorosso della Rari, che
aveva anche affidato lo
stendardo ufficiale a un
compagno di squadra. Qualcuno si
avvicinava e deponeva sopra il
legno tiepido un costume da
bagno ed una calottina. Non era
finita: i Vigili del Fuoco
donavano un berretto da
ausiliario ad accompagnare le
insegne dei suoi grandi amori
sportivi. Simone, ne siamo
certi, sarebbe stato contento di
uscire di scena con una parata
così bella.
26 maggio 1999
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Vincenzo, eroe di bontà
Si è sacrificato per non
lasciare solo il cugino malato
d'asma.
di Enzo La Penna
SALERNO
- "Ti prego, ho paura, non
abbandonarmi", mormora Ciro che
soffre di asma e ha ormai i
polmoni pieni di fumo. E
Vincenzo, che potrebbe mettersi
in salvo, non se la sente di
lasciarlo solo e torna sui suoi
passi. Li troveranno abbracciati
sul treno della morte. La fine
di Ciro Alfieri e Vincenzo Lioi,
di 15 e 16 anni, le più giovani
vittime dell'incendio che ha
devastato il treno dei tifosi
salernitani, nel racconto dei
loro amici più cari si
trasfigura in un esempio unico
di amicizia e altruismo. Gli
ultimi istanti dei due ragazzi
sono descritti da Diego e
Alessandro, gli amici del cuore.
Che non erano sul treno perché a
loro il calcio non interessa. Ma
hanno saputo com'è andata da
Fabio, un sedicenne che si è
salvato lanciandosi dal
finestrino e trascinandosi, con
una gamba fratturata, lungo la
galleria. "Ciro - raccontano -
era un tipo che aveva paura
anche della sua ombra. Se si
faceva un taglietto ad un dito
era una tragedia. Soffriva di
asma, poverino. Così, quando il
fumo ha invaso lo
scompartimento, è restato
paralizzato, in preda
all'asfissia. Ha implorato
Vincenzo di non lasciarlo solo a
morire. E sono morti
insieme...". Diego e Alessandro
replicano con durezza a chiunque
avanzi l'ipotesi che i loro
amici possano avere avuto
qualche responsabilità negli
incidenti sfociati nell'incendio
del treno. "Quella di Piacenza -
affermano - era la seconda
trasferta. Prima erano stati
soltanto a Milano. Ma non erano
tifosi sfegatati. Di sicuro
andavano allo stadio per vedere
la partita e tifare Salernitana
ma mai per fare a botte".
Un'altra amichetta di Vincenzo
Lioi, Sara, piange in silenzio
seduta sulla scalinata della
cattedrale. "Vincenzo - ricorda
- era un ragazzo fantastico. Lo
chiamavano tutti Tette, non ho
mai capito per quale motivo.
Negli ultimi tempi avevamo un
po’ litigato per un motivo assai
banale in una sala giochi sul
lungomare di Salerno. E da
allora quasi non ci salutavamo
più. "Poi, venerdì scorso, lo
incontro a un distributore di
benzina: lui mi sorride come per
dire "Dai non tenermi il
broncio", e sgrana i suoi occhi
verdi. È l'ultimo ricordo che mi
resta di lui". Anche Simone
Vitale, il pallanuotista di
ventuno anni della Rari Nantes
di Salerno, è morto per avere
tentato di aiutare i ragazzi che
erano in difficoltà. "Lunedì
mattina si trovava nella quinta
carrozza, quella in cui è
divampato l'incendio - racconta
Paolo, un suo amico. Ci siamo
chiesti come mai lui, un ragazzo
così prestante e agile, non sia
riuscito a buttarsi fuori dal
finestrino e salvarsi come hanno
fatto tanti altri. La risposta è
semplice: Simone ha aiutato
molti ragazzi terrorizzati a
salvarsi uscendo dal vagone.
Troppo tardi ha pensato a sé
stesso. Quando il più era fatto
è rimasto intrappolato nello
scompartimento trasformato in
una camera a gas: il fumo lo ha
ucciso".
26 maggio 1999
Fonte: La Stampa
Anche Enzo ha soccorso
il cugino Ciro
"Non lasciarmi", e sono
morti abbracciati
di Gennaro Bozza
Soffrivano entrambi di
asma. Enzo stava scappando
quando si è sentito chiamare da
Ciro. È tornato indietro per
aiutarlo, sono caduti insieme
nel corridoio.
DAL
NOSTRO INVIATO SALERNO - Era
"Maradona" per gli amici che
giocavano con lui a calcio,
anche se i capelli erano quasi
biondi. "Sì, ma anche ricci,
quando lui era piccolo. E poi,
faceva i giochetti proprio come
Diego". I compagni di strada
ricordano così Vincenzo Lioi,
uno dei quattro giovani morti
nel treno dei tifosi. Aveva
appena 16 anni e, insieme a lui,
cugino e compagno di giochi,
c’era Ciro Alfieri, 15 anni,
chiamato "ò puorco" per affetto,
a causa della sua stazza fisica,
e non per dileggio. Due ragazzi
che avevano già cominciato ad
affrontare la vita: Enzo
lavorava in un chiosco di
gelati, dove era stato prima di
lui Ciro, poi diventato
apprendista idraulico. Una vita
insieme, una morte abbracciati.
Con particolari che lasciano
sgomenti. Tutti e due soffrivano
di asma. Enzo stava riuscendo a
scappare dal treno maledetto,
quando si è sentito chiamare da
Ciro. "Non lasciarmi, non ce la
faccio". È tornato indietro per
aiutarlo, sono caduti insieme
nel corridoio. E, come se non
bastasse, un’altra beffa. Ciro
non doveva andare a Piacenza
perché i genitori lo avevano
messo in punizione. "Ci aveva
pregato di convincerli a farlo
andare, siamo andati e, alla
fine, loro hanno permesso che
andasse a seguire la
Salernitana". Il viaggio insieme
a un amico, Franco Finizio, che
racconta: "All’andata, eravamo
insieme. Al ritorno, a Bologna,
quando hanno attaccato quattro
carrozze, mi sono spostato lì
per trovare un posto e li ho
lasciati. Così mi sono salvato e
loro sono morti". Entusiasti
della vita. "Ciro era nu' bravo
guaglione - racconta Franko
("col kappa, mi raccomando",
dice), 16 anni. Gli piaceva fà
burdello". Che è come dire: il
tipo che scherza, non quello
cattivo. E anche lui giocava a
calcio, attaccante. Non bravo
come Enzo, però, che ha giocato
in tante squadre, dalla Nuova
Salerno al Vietri Raito. Gli
amici lo conoscevano come Enzo
Tettella. "Non sappiamo nemmeno
noi perché. Quando abbiamo
sentito che era morto Vincenzo
Lioi, non ci siamo preoccupati.
Poi, abbiamo saputo che era
lui". Anche lui, un tipo
allegro, con una specialità: i
pernacchi. Attenzione, non le
pernacchie, proprio come
spiegava Eduardo De Filippo nel
film "L’oro di Napoli". Faceva i
pernacchi lui ? "Molto meglio,
Eduardo non era niente al
confronto. Enzo era un vero
artista".
26 maggio 1999
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Il macchinista del
treno: "Ma non chiamatemi eroe"
Con la sua prontezza
Mauro Argenti ha evitato altre
vittime: "Era il mio dovere".
NAPOLI
- Si schermisce, dice che ha
fatto solo il suo dovere e che
non si sente affatto un eroe. Ma
resta il fatto che Mauro
Argenti, 48 anni, macchinista
del treno della tragedia, lunedì
mattina con la sua prontezza ha
salvato centinaia di persone. Ed
è lui stesso ad "ammetterlo":
"Se non portavo fuori quel treno
ci restavano 800 persone là
dentro, in quella galleria".
Argenti, in ferrovia dall’età di
19 anni e macchinista dalla
tempra di Pietro Germi ne "Il
Ferroviere", "non ama la
pubblicità ": "Ma quale eroe,
non ho fatto nulla di speciale,
d’altronde in ferrovia dobbiamo
essere abituati a certe cose".
Ieri il macchinista ha
partecipato a una riunione
tecnica con i dirigenti del
compartimento di Roma, convocata
proprio per la tragedia di
Salerno. Lunedì è stato
interrogato dal magistrato, al
quale ha raccontato quel viaggio
da incubo da Piacenza a Salerno,
quella via crucis culminata
nella tragedia. "Ci siamo
accorti del fumo e del fuoco in
galleria, quando quel tunnel lo
avevamo percorso per oltre due
terzi - dice Argenti. Si
sentivano rumori fortissimi e ho
pensato che fosse necessario
portare il treno fuori,
altrimenti ci sarebbero state
altre vittime. Lì era veramente
rischioso".
26 maggio 1999
Fonte: La Gazzetta dello Sport
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