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IL PALLONE di ANDREA
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MEMORIAL PISA 2016
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+39
RESPECT |
COMITATO
HEYSEL
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Heysel, 29 maggio 1985:
Andrea aveva 11 anni
di Francesco Alessandrella
Andrea ha 11 anni e non sta più
nella pelle. Suo padre gli ha trovato il biglietto della
partita più importante dell’anno e potrà vedere da vicino
tutti i suoi campioni più amati. Certo, il viaggio è un
po’ lungo, da Cagliari al Belgio, ma ne varrà certamente
la pena. Francesco di anni ne ha 15 e vive in provincia
di Napoli. È tifoso della Juventus da quando ne aveva 10,
ma forse anche prima. Lui dice che a 10 anni per la prima
volta non ha dormito una notte a causa della eliminazione
della sua squadra al 90° dalla Coppa delle Coppe e che,
poi, la cosa si è ripetuta qualche anno dopo, nell’83, nella
finale di Atene. Ma stavolta è certo che le cose andranno
meglio. Andrea è arrivato a Bruxelles, il viaggio è stato
stancante, ma adesso ha addosso tutta l’adrenalina del pre-partita.
Suo padre Giovanni sta provando a fargli mangiare qualcosa,
prima di entrare allo stadio, ma la sua attenzione è tutta
rivolta verso quello che gli sta intorno. C’è gente, tanta
gente con le sciarpe bianconere. Andrea domanda al padre
se si conoscono già le formazioni, se Tardelli giocherà,
pare che abbia un problema muscolare, forse parte dalla
panchina... Francesco è arrivato a casa di Alfio, un amico
del liceo, dove vedrà la partita insieme ad altri compagni
di scuola. Mentre entra nel cancello, incontra il padre
di Alfio che sta prendendo la macchina per andare a comprare
le pizze. "Sono già tutti sopra", gli urla. Francesco sale
le scale che lo separano dal secondo piano a due a due.
Non fa altro che pensare a quella partita da una settimana,
anche le ultime interrogazioni di greco sono andate un po’
così, ma la promozione dovrebbe essere cosa fatta. È che
proprio non è riuscito a trovare la giusta concentrazione.
Ma ormai ci siamo! Andrea è entrato nello stadio. La prima
cosa che ha notato è che lo stadio è piccolo, più piccolo
di quanto si era immaginato. Piccolo e vecchio, pensa Andrea.
Ma è un momento, poi ritorna a guardarsi intorno, affascinato
da quell’atmosfera della finale. Prova a tenere dentro di
sé ogni singola immagine, quando tornerà a casa dovrà raccontare
tutto alla madre e ai suoi compagni di classe. Sul campo,
poco fa, c’erano i giocatori. Suo padre gli ha indicato
Platini, il suo preferito, quello del poster nella sua cameretta.
Tardelli giocherà, in panchina ci va Briaschi. Francesco
si è portato dietro un suo portafortuna: un pupazzetto bianconero.
Lo aveva con sé all’andata delle semifinali contro il Bordeaux
ma non al ritorno e la Juventus aveva rischiato l’eliminazione.
Ci crede a queste cose e, a rischio di essere preso in giro
dai compagni, lo ha portato. Fosse stato per lui, avrebbe
portato anche il poster di Platini che aveva attaccato sul
suo letto, ma la madre lo ha convinto a non toglierlo. Tornando
a casa, pensa, lo avrebbe abbellito con una fotografia della
Coppa dei Campioni che aveva ritagliato la mattina dal giornale
del padre.
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Quando entra in casa di Alfio,
chiede subito se si conosce già la formazione e se Tardelli
avrebbe giocato. Nessuno gli risponde. Andrea adesso guarda
preoccupato il padre che sta fissando alla sua sinistra.
Non riesce a rendersi conto di quello che sta succedendo.
Sa solo che quell’atmosfera di festa che fino a qualche
minuto prima stava vivendo, non c’è più. Intorno c’è, adesso,
uno strano silenzio, un silenzio ovattato, irreale per essere
in uno stadio. Prova a guardare anche lui e quello che riesce
a vedere è una specie di onda fatta di persone vestite di
rosso che si allontana dalle reti di "protezione" del suo
settore e, poi, con lucida follia, vi si scaglia contro
cercando di farle cedere. Andrea guarda il padre e si accorge
che in quello sguardo non c’è quella espressione che tante
volte, nella sua vita, lo aveva rassicurato. Non prova nemmeno
a chiedere che cosa stia succedendo, sa che il padre non
ha una risposta per quella domanda. Non avrebbe mai immaginato
che potesse esserci una domanda alla quale un adulto, un
padre, non sapesse dare una riposta, ma adesso sa che è
proprio così. Ed è una delle ultime cose che imparerà. Francesco
è seduto davanti al televisore. Sul tavolo c’è la pizza
ma nessuno ha voglia di mangiarla. C’è Scirea che parla
al microfono, ma lui non sta sentendo. Sta pensando alle
volte che in questo mese ha chiesto al padre di andare a
vedere la partita e si sente sollevato a pensare che non
è riuscito a convincerlo. Guarda le immagini, Francesco,
e pensa che in quel momento sta morendo una parte di sé,
che in quel preciso istante sta perdendo quella spensieratezza
che aveva riguardo al mondo dello sport. Sa che ci vorrà
del tempo per mettere in ordine dentro di sé quello che
sta accadendo a migliaia di chilometri di distanza ma che
la televisione sta scagliando con prepotenza in quella stanza
tra una pizza fredda e un pupazzetto bianconero, in un silenzio
irreale. Francesco sono io e Andrea è la più giovane delle
39 vittime cadute all’Heysel. Oggi, io ho l’età del padre
di Andrea, anch’egli vittima della follia degli hooligans,
e mio figlio Lorenzo è poco più piccolo di Andrea. Ogni
volta che penso di portare mio figlio allo stadio, mi torna
in mente la storia di Andrea. Qualche volta ho anche provato
a raccontargliela, sfidando il rischio di sentirmi fare
qualche domanda alla quale non saprei rispondere. Perché
ora lo so anche io: ci sono domande alle quali anche un
padre non sa rispondere. La sera dell’Heysel è una ferita
che sanguina dentro ogni uomo che l’ha vissuta, allo stadio
o seduto davanti al televisore. Nella notte dell’Heysel
non sono morte solo 39 persone. Sono morti, dentro, tutti
quelli che amavano il calcio. Niente e nessuno è stato uguale
a prima dell’Heysel. Quella notte ha cambiato, per sempre,
il modo di intendere lo sport. Andrea e Francesco. Due giovani
tifosi bianconeri che, in quella sera, hanno avuto due destini
diversi. Andrea è rimasto schiacciato sotto la furia omicida
di gente che con il calcio e lo sport non hanno nulla in
comune. Francesco, da quella sera, sa di avere un compito:
raccontare a Lorenzo, e a quanta più gente è possibile,
la storia di un bambino, partito da Cagliari per assistere
ad una festa, e mai più tornato per poterla raccontare.
Perché non accada mai più.
Fonte: Juventinovero.com
©
29 maggio 2012
Fotografie:
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