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ITALIA
15-08-1974
CAGLIARI
Anni 10
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ITALIA
20-12-1941
CAGLIARI
Anni 43
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Un dolore lungo
trent'anni
"L'Heysel mi ha tolto
tutto"
di Massimo Ledda
Nella cameretta di Andrea il
tempo si è fermato al 1985. I mobili in legno chiaro
ormai fuori moda, le automobiline sulla mensola, la
scrivania dove faceva i compiti prima di correre fuori a
giocare a calcio, la sua grande passione. Tutto è
rimasto esattamente come trent'anni fa. Sulla parete a
cui è addossato il lettino con il copricoperte beige ci
sono due foto incorniciate. Una ritrae Andrea al mare,
l'altra è un primo piano in cui indossa un paio di buffi
occhiali e dei baffi finti. Lo sguardo diventa, senza
ombre, come è normale quando si hanno 11 anni. "E' la
foto della recita scolastica scattata poche settimane
prima, la adoro perché ha la sua tipica espressione, qui
è proprio lui". Anna Passino guarda con tenerezza e
nostalgia infinite l'immagine di quel figlio volato via
quando si stava appena affacciando alla vita. Non è
tristezza la sua, piuttosto una malinconia quasi
consolatoria. "Sa la cosa più strana qual è ? Che non
riesco a immaginarmelo adulto, ogni tanto incontro un
suo amico d'infanzia che si è sposato e ha figli e
allora provo a pensare come sarebbe Andrea oggi, a 41
anni. Ma proprio non ci riesco, Andrea sarà sempre un
bambino, quello che c'è in quella foto". Via della
Pineta, Cagliari, secondo piano di un'elegante
palazzina. Qui abitava Andrea Casula, il bimbo morto il
29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles insieme
al padre Giovanni e ad altri tifosi italiani, un'ora
prima che iniziasse la finale di Coppa Campioni tra la
Juventus - la sua seconda squadra del cuore dopo il
Cagliari - e il Liverpool. Vittima innocente della
follia degli hooligans inglesi e dell'inefficienza della
polizia belga. Anna è una donna forte e molto razionale.
Ha dovuto affrontare una prova insopportabile - quella
di perdere a 39 anni il figlio e il marito, per una
partita di calcio poi - ma è riuscita a superarla, ad
andare avanti per sé e per Emanuela, la figlia più
grande che ora vive a Roma ma che sente tutti i giorni.
Con una fatica incredibile, ma ce l'hanno fatta.
Insieme. "L'ultima immagine che ho di mio figlio e di
mio marito è in aeroporto prima della loro partenza -
racconta. Andrea era felicissimo, non stava nella pelle.
Era un golosone e pure cicciottello, si è mangiato una
pasta enorme al bar. Era emozionato di andare col padre
che imitava in tutto, anche perché il giorno prima lo
hanno trascorso a Milano. Per lui era una meravigliosa
gita". Cosa chiedere di più ad undici anni ? La sera del
29 maggio Anna era seduta davanti alla tv. "Ho subito
avuto un bruttissimo presentimento e ho iniziato a
chiamare i miei cognati per chiedere se sapevano in che
settore dello stadio erano Andrea e Giovanni". Purtroppo
erano proprio nel settore Z, quello dove scoppiarono i
disordini e dove crollò il parapetto sotto il quale morì
la stragrande maggioranza delle 39 vittime, compresi
Andrea e Giovanni. "Di mio marito me l'hanno detto quasi
subito, quella stessa notte, di Andrea invece...". Il
ricordo si fa troppo doloroso. E le parole, così come le
domande, non servono più. Non hanno senso. Anna Passino
ha un carattere riservato, non ama i riflettori. Eppure
per anni, forzando la sua natura, ha combattuto tanto
proprio perché ciò che è successo ad Andrea e Giovanni
non capitasse più. Invece è ricapitato. E continua a
capitare anche oggi, quasi tutti gli anni. "Facciamo
parte dell'associazione delle vittime dell'Heysel e
crediamo nell'importanza del ricordo, io stessa sono
andata a parlare nelle scuole e ho incontrato gli
ultras, però non sono più convinta che serve a qualcosa.
Viviamo in un mondo di sopraffazione e anche negli stadi
si continuano a ripetere gli errori del passato, non
cambia nulla. Quando vedo i giocatori che vanno a
parlamentare con questi capi ultras e prendono ordini da
loro rimango senza parole. E' proprio quello che non si
dovrebbe fare, perché così si finisce per dargli
importanza agli occhi di tanti ragazzi". Un giudizio
severo che coinvolge anche le società di calcio: "Perché
accettano tutto ? In Inghilterra hanno cacciato dagli
stadi i violenti, quindi si può fare. Io non sono
nessuno per dire certe cose, ma credo che le società
debbano agevolare la tifoseria sana, fare in modo che a
vedere le partite vadano le famiglie coi bambini, ma
forse ci sono troppi interessi in ballo o forse ormai
sono troppo vecchia per credere che le cose cambino". Il
6 giugno, 30 anni dopo, la Juventus giocherà un'altra
finale di Coppa Campioni, che ora per ragioni di
business si chiama Champions. Anna però non guarderà la
partita: "Da quel giorno non ho più seguito il calcio,
non ci riesco". Le chiediamo un'ultima cortesia, il
permesso di pubblicare la foto di Andrea il giorno della
recita. "Preferisco tenerla solo per me, mi capisca". Sì
che la capiamo, signora Anna.
Fonte: L'Unione
Sarda © 29 maggio 2015
Fotografia: Manifestosardo.org ©
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L’Heysel ogni giorno
sul posto di lavoro
di Marco Sanfelici
Le coincidenze non sono
soltanto presenti nelle stazioni ferroviarie, ma
accompagnano lo svolgersi delle nostre vite, tra
casualità e causalità. Kattia Palmas, piccola grande
donna sarda, di fede juventina radicata, si trova a
lavorare in una famiglia duramente colpita dalla
tragedia dell’Heysel; anzi, colpita nell’affetto più
tenero e dal dolore più lancinante: un bambino, con
tutto il suo bagaglio di futuro, spezzato in una notte
di festa. Rispondendo ad un mio articolo comparso su
Orgoglio Bianconero ieri sera, Kattia espone la sua
esperienza, talmente pregnante e gravida di emozioni, da
suscitare la mia immediata richiesta di pubblicazione
sul blog. Siamo ormai amici, lei ed io, dopo una serata
gioviale pre-festa scudetto ed il ritrovo in via Po il
giorno dopo: perciò senza difficoltà mi dà il permesso
di pubblicazione, ciò che faccio al volo: "Nella mia
vita per quanto la Juve sia dentro di me mai avrei
immaginato di finire a lavorare da tre anni a questa
parte nella famiglia del fratello di Giovanni e dunque
zio di Andrea Casula… Quando lo seppi, beh… Pensai io
Gobba tra tante famiglie a Cagliari se sono arrivata a
questa non è un caso… È l’ennesima conferma che la
Juventus fa parte in tutto e per tutto di me… Quando poi
questa famiglia ha saputo che amo il calcio e che seguo
la Juve… C’è stato un po’ di, come dire, quasi di
silenzio misto a stupore… Forse anche per loro è stato
dopo tanto distacco rivivere il calcio dopo anni in cui
questo sport, da loro è stato accantonato… Ogni 29
maggio lo vivo da quando lavoro in questa famiglia
ancora più intensamente, non parliamo quasi mai di
quella finale… Rispetto ciò che il mio "capo" prova… Lui
che mi ha sempre detto di non aver mai voluto rilasciare
interviste al riguardo malgrado negli anni più volte lo
abbiano contattato... Rispetto perché so che per lui
parlarne sarebbe scavare nuovamente in una ferita che
non potrà mai chiudersi… Le poche volte nelle quali si è
parlato di quella notte maledetta con tanto di emozione
un giorno gli dissi che il popolo gobbo non dimentica e
rende onore ai suoi Angeli… Il suo volto fu come dire
colpito e sorpreso… A sua moglie quest' anno ho mostrato
con orgoglio ed emozione la foto dello striscione che la
sud ha esposto per l’ultima di campionato… Le ho pure
detto che tutto lo Stadium si è alzato in piedi ed ha
applaudito… Lei ha apprezzato un gesto semplice ma
sentito davvero ! Perché la Juve Siamo noi… Noi tutti e
questo dobbiamo ricordarcelo sempre… La Juve Siamo noi…
E noi non dimentichiamo… Mai… In ogni coro, in ogni
nostro gol, in ogni nostra sconfitta, in ogni nostro
Record ci sono tutti i tifosi Juve sia fisicamente che
spiritualmente, questo è il nostro orgoglio, questa è la
nostra forza… Sempre sarà così… Fino alla fine !!!".
"Grazie, Kattia ! Da
tanto tempo vado combattendo per un unico sentito
messaggio: siamo un popolo, in tutto e per tutto ! Con
semplicità e decisione hai in poche righe riassunto il
concetto a me tanto caro. Un popolo si stringe nei
momenti del dolore, si ricompatta sotto i colpi del
destino, si manifesta temprato dalle esperienze comuni.
Nella quotidianità, come fai tu nella famiglia Casula,
giorno dopo giorno. Grazie, Kattia ! Dai un forte
abbraccio ai tuoi datori di lavoro e dì loro che è
l’abbraccio di uno juventino solo, ma che ha dietro di
sé altri milioni di abbracci, uno per uno, tutti per
loro !". Marco
Sanfelici
Fonte: Marcosanfelici.ilbombarolo.it
© 1 giugno 2014
Fotografia: Nucleo 1985 ©
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I ricordi della
cagliaritana che nel crollo perse marito e figlio
"L'Heysel mi ha rubato
la famiglia"
di Paolo Carta
"Allo stadio Heysel per vedere
la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool
dovevamo andarci tutti insieme: io, mio marito Cicci e i
nostri due figli, Andrea ed Emanuela. Il nostro
programma era quello di abbinare la passione per lo
sport con una vacanza, e proseguire dal Belgio sino a
Parigi per festeggiare il 6 giugno il nostro
anniversario di matrimonio. Due giorni prima della
partenza decisi di no, che saremo rimaste a casa, io e
la bambina: Emanuela doveva sostenere l'esame di licenza
media, preferii rimanere a Cagliari per aiutarla a
studiare ed evitare distrazioni. Alla fine partirono
solo gli uomini di famiglia. Questo pensiero mi
accompagna da vent'anni: se avessi preso prima la
decisione di non partire con loro, forse Cicci e Andrea
avrebbero potuto prenotare prima il viaggio e trovare
posti migliori in quello stadio. Invece no, finirono nel
settore Z. Insieme agli hooligans inglesi. In quella
sera del 29 maggio 1985 la nostra famiglia fu spezzata".
Trentanove morti per il crollo della tribuna che non ha
retto all'avanzata dei tifosi inglesi contro quelli
italiani. Tra le vittime anche due cagliaritani,
Giovanni Cicci Casula, dirigente della Cosmin,
appassionato di calcio e tennista per hobby, e suo
figlio di undici anni, Andrea. Anna Passino oggi ha 55
anni, è un'elegante signora che abita nella stessa casa,
a Monte Urpinu. Vent'anni dopo "il tempo ha attutito il
dolore, perché la vita va comunque avanti e ho dovuto
trovare dentro di me la forza per allevare l'altra mia
figlia, che ora è laureata e vive a Roma. Dentro di me,
soprattutto quando ripenso a mio figlio, il dolore è
sempre lo stesso, straziante. Andrea è presente ancora
in ogni istante della mia giornata. Immagino cosa
farebbe adesso. Avrebbe 30 anni, magari sarebbe
laureato, gli piacevano tantissimo le materie
scientifiche. Da bambino aveva realizzato un campanello
elettrico alimentato dalla pila, per poter entrare nella
sua stanza chiunque doveva suonarlo. E sapeva usare
benissimo il suo computer, un Vic 20: se fosse stato
promosso agli esami di quinta elementare, se la Juve
avesse vinto la Coppa e se il Cagliari si fosse salvato
dalla retrocessione in serie B, il padre gli avrebbe
regalato il Commodore 64". Quel bambino è rimasto
bambino, un angelo volato via da quel prato con la mano
stretta a suo padre nel tentativo di scappare dalla
furia della violenza. Quella giornata è diventata una
delle pagine più tristi della storia del calcio
italiano, forse più della tragedia di Superga,
l'incidente aereo in cui morì il Grande Torino di
Valentino Mazzola nel 1949. Perché era una evitabile se
fosse stato scelto uno stadio più sicuro; se la polizia
belga fosse stata più preparata; se l'Uefa avesse saputo
prevenire i più annunciati degli incidenti; se non
fossero stati sistemati insieme nelle tribune, fianco a
fianco, i tifosi inglesi ubriachi e i padri di famiglia
italiani con i loro bambini. "Certo, venerdì quando in
tv ho visto che la Juventus dovrà incontrare di nuovo il
Liverpool in Coppa dei Campioni, il pensiero è tornato
indietro a quei giorni, a come sarebbe stata la mia vita
se non avessi perso mio marito e il mio bambino.
Probabilmente sarebbero andati insieme a vedere anche la
prossima partita. Padre e figlio. Forse con me ed
Emanuela. La famiglia intera. Unita e felice".
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Anna Passino ricorda ogni
istante di quella serata. "Di pomeriggio uscii per
qualche commissione, rientrai verso le 20 e mi misi a
preparare la cena per me ed Emanuela. In sottofondo la
televisione era accesa e dava notizie sugli scontri tra
tifosi. Immediatamente mi preoccupai tantissimo, ma sino
a un certo punto: non sapevo con esattezza in quale
settore dello stadio i miei avevano trovato il
biglietto. E poi, quando vidi che la partita era
iniziata ugualmente, pensai che forse la situazione non
doveva essere così grave. Le notizie erano poco
approfondite e molto vaghe. Soltanto alla fine della
partita ci rendemmo tutti conto di quel che era
successo. Vennero a casa i miei cognati, ci mettemmo in
contatto con il Ministero degli Esteri. In un primo
momento ci dissero che il bambino era soltanto ferito,
poi la verità. Un ragazzo torinese
(NdR: aretino),
Roberto Lorentini, cercò di rianimare mio figlio e anche
lui perse la vita: adesso il padre, Otello Lorentini, è
il presidente dell'associazione dei familiari delle
vittime. Non rivendichiamo niente, soltanto la verità".
I processi a 13 hooligans, al capitano della gendarmeria
belga, al presidente della Federcalcio belga, al
segretario generale dell'Uefa si conclusero con
condanne-burla: un massimo di cinque anni, rigorosamente
con la condizionale. L'Heysel venne demolito, rifatto e
dedicato al Re Baldovino. Ci ha giocato anche l'Italia,
negli europei del 2000. "Ma io - dice Anna Passino - il
calcio non lo seguo più da quel giorno maledetto.
Eravamo abituati ad andare all'Amsicora prima e al
Sant'Elia poi tutti insieme. Era una festa. Forse Cicci
e Andrea erano abituati al Sant'Elia, non erano
preparati a quel che trovarono all'Heysel". Quella sera
di maggio di vent'anni fa ci fu anche una partita, un
rigore regalato ai bianconeri, una coppa sollevata, un
giro di campo in festa. Tra le barelle, i feriti,
praticamente tra i corpi senza vita. "La Juventus -
dichiara Anna Fassino - ha fatto poco per le vittime di
quella sera, ma non è che ci aspettassimo qualcosa. Se è
vero che per questioni di ordine pubblico le squadre
furono obbligate a scendere in campo, è altrettanto vero
che sportivamente non sarebbe stato giusto assegnare il
titolo europeo dopo quella tragedia: la società
bianconera avrebbe dovuto restituire quella Coppa dei
Campioni, per rispetto dei suoi tifosi morti". In quei
momenti, quando si perdono le persone care, si entra
quasi in trance. "Volevo soprattutto l'impossibile:
dimenticare. Giorno dopo giorno mi sono resa conto che è
impossibile, e che la vita va comunque avanti. Nei primi
tempi avevo trasformato la stanza di mio figlio in una
sorta di museo: fu mia figlia a rimproverarmi, a farmi
capire che non era giusto farla vivere in tutto quel
dolore. Emanuela probabilmente ha realizzato quel che è
successo soltanto dopo. E ha sofferto tremendamente da
adolescente. Per anni non abbiamo apparecchiato il
tavolo da pranzo: sarebbe stato troppo difficile
mangiare davanti a quei due posti vuoti. Prendevamo
qualcosa e la mettevamo su un vassoio, poi sedute sul
divano davanti alla televisione. Fortunatamente non
abbiamo avuto problemi economici, abbiamo continuato a
vivere tra Monte Urpinu e la casa al mare a Costa Rei.
La casa delle vacanze ci ha aiutato psicologicamente:
tra parenti e amici di Emanuela e di Andrea non siamo
mai rimaste sole. Ma lo strazio ci accompagnerà per
sempre". Anche adesso che Anna Passino ha un nuovo
compagno conosciuto sulla spiaggia di Monte Nai ("un
affetto importante"). Ogni trentenne che incontra per
strada potrebbe essere suo figlio. Quello che gli è
stato portato via per una partita di calcio. "Liverpool
e Juventus forse giocheranno tra quindici giorni con il
lutto al braccio ? Sarebbe un bel gesto, certo, ma
nessuno mi potrà restituire Cicci, mio figlio Andrea, la
mia vita".
Fonte: L'Unione Sarda © 20 marzo 2010
Fotografie: L'Unione Sarda © Viaggi.corriere.it
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