Mi chiamo
Vincenzo Paparelli…
di Massimiliano
Governi
Mi chiamo
Vincenzo Paparelli, e sono morto il 28
ottobre del 1979. Forse qualcuno si
ricorda ancora di me. Ero un uomo di
trentatré anni che un giorno fu ucciso
allo stadio Olimpico da un razzo a
paracadute di tipo nautico sparato da un
tifoso ultrà della Roma. Quando sono
stato colpito stavo mangiando un panino
con la frittata. Mia moglie Vanda cercò
di estrarmi quel tubo di ferro
dall'occhio sinistro, ma siccome il
razzo bruciava ancora, finì per
ustionarsi una mano. Il medico che mi ha
prestato i primi soccorsi, dichiarò che
nemmeno in guerra aveva visto una
lesione così grave. Il giorno dopo tutti
i giornali mostrarono una fotografia
scattata qualche mese prima, che mi
ritraeva in un ristorante insieme a mia
moglie. Soltanto il quotidiano Il Tempo
pubblicò l'immagine di me, riverso per
terra, con la faccia insanguinata e
l'orbita dell'occhio sinistro vuota.
Sono stato la seconda vittima del tifo
calcistico in Italia, la prima era un
tifoso della Salernitana che nel 1963
morì in seguito a degli scontri
scoppiati in tribuna con dei tifosi del
Potenza. Tra le personalità del mondo
sportivo il primo ad accorrere
all'ospedale Santo Spirito, dove sono
giunto ormai morto, è stato il
Presidente del Coni Franco Carraro. Mio
cognato quando ha sentito alla radio il
mio nome ha pensato a un caso di
omonimia. Mio fratello quando ha saputo
della disgrazia, ha avuto un forte senso
di colpa perché mi aveva prestato la
tessera e quel giorno allo stadio al mio
posto doveva esserci lui. Mia moglie,
che era accanto a me nell’ambulanza, per
tutto il tempo mi ha pregato di non
morire e mi ha tenuto stretta la mano.
Dopo aver sbrigato tutte le formalità in
questura e aver ritirato i documenti e i
miei oggetti personali, ha avuto una
crisi e ha cominciato a urlare. Sulle
foto apparse sui giornali i giorni
seguenti viene ritratta insieme a sua
madre che cerca di consolarla e le tiene
un braccio sulla spalla. Ha la faccia
stanca e scavata, e nei suoi occhi c'è
qualcosa di terribile. Il mio nome e
quello dei miei familiari sono comparsi
sui quotidiani per tutta la settimana
dopo l'omicidio e anche quella
successiva, ma sempre con minore
risalto. Io sono stato definito
unanimemente un uomo normale e
tranquillo, con un'unica passione,
quella per la Lazio. Alcuni quotidiani
hanno sottolineato più volte che avevo
un'officina meccanica in società con mio
fratello e vivevo in una moderna borgata
romana chiamata Mazzalupo. Qualcuno ha
scritto che avevo comprato il televisore
a colori con le cambiali, e il mio unico
lusso era un Bmw di seconda mano che
tenevo in garage e lucidavo come uno
specchio. Dopo la mia morte, il capitano
della Lazio Pino Wilson ha telefonato a
mia moglie per farle le condoglianze.
Anche il sindaco di Roma Petroselli ha
telefonato, e si è offerto di pagare le
spese del mio funerale e ha messo a
disposizione della mia famiglia un
assistente sociale. Il giocatore
Lionello Manfredonia è andato a far
visita ai miei familiari regalando a mio
figlio più piccolo la sua maglietta con
il numero cinque. Al mio funerale c'era
tutta la squadra della Lazio, insieme
all'allenatore Bob Lovati e al
presidente Lenzini. I giocatori della
Roma invece non hanno partecipato perché
impegnati con la trasferta di Coppa
Italia a Potenza, al loro posto la
società ha inviato i ragazzi della
Primavera. Alla cerimonia funebre hanno
assistito migliaia di persone e per quel
giorno è stato proclamato il lutto
cittadino. La Fondazione Luciano Re
Cecconi ha devoluto un milione in
beneficenza alla mia famiglia. La giunta
regionale del Lazio ha stanziato la
somma di cinque milioni come segno di
solidarietà. La AS Roma ha fatto
affiggere una targa in Curva Nord per
ricordare la mia persona. Mio fratello
Angelo ha proposto alle due società
romane una partita Lazio-Roma mista cioè
con i giocatori laziali e romanisti
mescolati nelle due formazioni, ma alla
fine non se n'è fatto niente*
. Per
alcuni giorni sono stato oggetto di un
acceso dibattito sulla violenza negli
stadi. Il sindaco di Roma ha detto che
bisognava meditare su questa tragedia e
discuterne in tutti i club sportivi e
nelle scuole. Qualcuno ha proposto che
venissero installati negli stadi degli
impianti di televisione a circuito
chiuso per individuare i tifosi
violenti. Il capo degli arbitri, Giulio
Campanati, ha chiesto l'abolizione della
moviola in Tv. Per alcuni mesi sono
state prese drastiche misure repressive:
è stato proibito l'ingresso allo stadio
di aste di bandiera, tamburi e persino
di striscioni dai nomi bellicosi, e
anche di spillette e toppe che potessero
risultare offensive. Il pubblico doveva
incitare la propria squadra solo con la
voce e con le mani.
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Il mio nome è
stato, a seconda dei casi, inneggiato e
sbeffeggiato dai tifosi della Lazio e
della Roma. Sui muri della città ancora
oggi campeggiano scritte che dicono
"Paparelli, sarai vendicato", o
"Paparelli non ti dimenticheremo", o
anche "10, 100, 1000 Paparelli" o
ancora, "Paparelli ti sei perso i tempi
belli". In questi ultimi anni i giornali
hanno parlato di me, soltanto
all'indomani di un nuovo delitto
avvenuto allo stadio. Nel 5°
anniversario della mia scomparsa, i
tifosi mi hanno ricordato prima di una
partita con la Cremonese. Sul tartan,
all'altezza della Tribuna Tevere hanno
spiegato uno striscione con scritto
"Vincenzo vive", mentre la curva
intonava "28 ottobre Lutto Nazionale".
Nel 10° anniversario è stato inaugurato
il "Lazio Club Nuovo Monte Spaccato,
Vincenzo Paparelli". L'anniversario
della mia morte è stato commemorato dai
tifosi laziali della Curva Nord per
oltre quindici anni, poi da qualche
tempo è calato il silenzio. Il torneo di
calcio Vincenzo Paparelli è arrivato
soltanto alla terza edizione, poi si è
fermato per mancanza di finanziamenti. I
lavori per le ristrutturazioni dello
stadio Olimpico di "Italia '90" hanno
cancellato per sempre le curve di un
tempo, e con loro la targa di marmo che
mi ricordava. Il mio assassino si
chiamava Giovanni Fiorillo, aveva
diciotto anni ed era un pittore edile
disoccupato. Subito dopo l'omicidio ha
fatto sparire le sue tracce e si è dato
alla latitanza. Qualcuno diceva di
averlo avvistato a Pescara, qualcun
altro a Brescia, qualcun altro ancora a
Frosinone, che chiedeva informazioni per
comprare le sigarette. Dopo quattordici
mesi di clandestinità, si è costituito.
Nel 1987 è stato condannato in
Cassazione per omicidio
preterintenzionale: sei anni e dieci
mesi a lui che aveva lanciato il razzo,
quattro anni e sei mesi agli altri due
complici che lo avevano aiutato a
introdurre nello stadio l'ordigno e a
utilizzarlo. Durante quel girovagare per
l'Italia e per la Svizzera ha telefonato
quasi tutti i giorni a mio fratello
Angelo, chiedendo scusa e giurando che
non voleva uccidere quel giorno allo
stadio. Era un ragazzo come tanti,
abitava a Piazza Vittorio, era patito
della Roma. Sua madre lavorava al
mercato, suo padre aggiustatore
meccanico. Era gente del popolo, come
me. L'articolo sul giornale diceva che
Giovanni Fiorillo è morto il 24 marzo
del 1993: forse per overdose, forse
consumato da un brutto male. Mio
fratello Angelo l'ha perdonato, così
come l'hanno perdonato mia moglie e
anche i miei figli. Una cosa è certa,
quel ragazzo è stato sfortunato, così
come lo sono stato io. Mi chiamavo
Vincenzo Paparelli. Sono morto il 28
ottobre del 1979. Forse qualcuno si
ricorda ancora di me.
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*
NDR: In realtà questa partita a
ranghi mischiati si disputò in data 18
novembre 1979 allo Stadio "Olimpico" di
Roma davanti a 19.000 spettatori.
L’incontro fu intitolato "Derby
dell’amicizia" e l’incasso fu
interamente devoluto alla famiglia
Paparelli dalle due società capitoline.
"Agli ingressi dello stadio furono
distribuiti migliaia di garofani con un
cartellino che riportava una scritta:
"Se proprio vuoi, lancia un fiore". I
giocatori si divisero nella squadra dei
romani e del resto d’Italia allenate
rispettivamente dai tecnici Lovati e
Liedholm e con i simboli dell’aquila e
del lupetto stilizzato cuciti nella
stessa divisa. La gara terminò 2-1 con
doppietta di Pruzzo ma ai circa 19.000
spettatori presenti del risultato
importò poco o niente"
(Fonte: Iogiocopulito.it)
28 ottobre 1999
Fonte: La
Gazzetta dello Sport
© Fotografie: Avvenire.it -
Sport.sky.it -
Roma.corriere.it
"... Non ho mai chiesto
niente a nessuno da
quando mi venne tolto
Vincenzo. Tutto quello
che abbiamo ricevuto, in
termini di aiuti
concreti, è sempre stato
il frutto della
solidarietà spontanea
della gente..."
Vanda Del Pinto (Moglie di Vincenzo)
"...Se potessi in
un'altra vita stare vicino al tifoso
della Roma intento a far partire quel
razzo maledetto, gli direi che sta
rovinando due famiglie. La mia e la sua,
che sta per uccidere un uomo e che sta
per uccidere anche sé stesso..."
Gabriele
Paparelli (Figlio di Vincenzo) |
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"... Fu una giornata
assurda, la morte di Paparelli
ha segnato il primo passo di una
violenza che si è accentuata con
il tempo. Fu un fatto
gravissimo, noi giocammo per
motivi di ordine pubblico ma
nessuno si sentiva di farlo.
Ricordo i volti della gente
quando andai sotto la Nord, tra
la rabbia e la paura. Fu un
momento orribile..."
Giuseppe Wilson (Difensore
e Capitano S.S. Lazio 1979-80)
"… Ricordo
quella domenica molto strana,
prima della partita c’era
qualcosa che non funzionava, ho
tanta confusione, si è
verificato un fatto
straordinario. Ci siamo messi
poi d’accordo perché la sfida
finisse con un risultato di
parità per provare a
tranquillizzare un po’ gli
animi. Fu qualcosa di assurdo, a
prescindere dal fatto che capitò
ad un tifoso biancoceleste..."
Renzo Garlaschelli (Attaccante S.S. Lazio 1979-80) |
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