Mi chiamavo, Ermanno
Licursi
di Riccardo Venturi
Salve, salve a tutti. Scusate se
non so esprimermi troppo bene,
scusate se vi sembrerò goffo. Mi
chiamo, anzi mi chiamavo,
Ermanno Licursi: dico mi
chiamavo, perché sono morto.
Sono morto per una partita di
calcio, sapete. Facevo il
dirigente di una squadretta di
terza categoria dilettanti, la
Sammartinese, con sede a San
Martino di Finita (Cosenza). Per
favore, abbiate rispetto verso
un morto e non datemi ad
intendere che sapete dov’è, San
Martino di Finita. Vi vedo
smanettare su Google Earth, San
Martino di Finita, Italy. Così
come, di sicuro, ignorate dove
sia Luzzi. A Luzzi ci ero andato
ad accompagnare la Sammartinese
che giocava con la Cancellese.
Terza Categoria, girone D
calabrese. Sono morto a botte.
Al termine della partita. Dicono
per un calcio al collo tiratomi
da qualcuno della Cancellese, ma
che ne so io, non è compito mio
stabilire come sono morto. Ci
penseranno le autorità, a
quello. Io so soltanto che avevo
41 anni, un lavoro, una
famiglia, e che per passione
seguivo ’sta squadretta di
paese. Per questo sono morto.
Per questo i miei figli non
hanno più un padre. Per questo
mia moglie non ha più un marito.
Sono qui a scrivervi questa cosa
perché, devo dirvelo, sono
incazzato nero. Non solo perché
mi è toccato morire a 41 anni in
questo modo idiota, per di più
mentre cercavo di mettere pace
in mezzo a una rissa scoppiata
per una partita di calcio del
girone D di terza categoria. No,
non solo per questo. Sono
incazzato nero anche perché mi
sembra d’essere a me, di terza
categoria, girone quel che
volete. Del girone dei Nessuno,
sono. Del girone dei
Noncontiuncazzo. Sono sempre
stato una persona tranquilla,
non ho mai fatto del male a
nessuno; e allora mi sarà
permesso, almeno da morto,
d’incazzarmi come una jena e di
scriverlo. Il fatto è che, pochi
giorni dopo il mio assassinio, è
accaduto un altro gravissimo
fatto. A Catania. Durante il
"derby" fra Catania e Palermo,
in serie A, anticipato al
venerdì perché in quella città
doveva cominciare la festa della
santa patrona, Sant’Agata (nome
che, in greco, vuol dire
"buona"). Intendiamoci, di
rivalità di paese me ne intendo;
mi è toccato morire in questo
modo cretino perché dalle mie
parti sono tutti "derby", di
quelle ferocissime sfide di
paese che non vi immaginate
neppure. Calcio sano
dilettantistico ? Sano sport di
provincia ? Ma lasciatevi dire,
signore e signori, che davvero
non ci capite niente, voi là
sotto. Qui, di sano, non c’è più
niente. Ve ne potrei dire, di
cose. Vi potrei dire che,
oramai, per un rigore non dato,
per un’espulsione di un
giocatore, persino per un angolo
o una punizione, si rischia la
guerra tra le 57 persone che
sono a vedere la partita e i 22
che sono in campo con le
magliette sponsorizzate dalla
Prosciutti Caruso o dalla Lux
Elettrodomestici di San Pantaleo
Su Pe’ Monti. Ma vi dicevo di
Catania. Ecco, prima della
partita di Catania mi sono
riservato un piccolo momento di
orgoglio, spero che mi capirete.
Un minuto di raccoglimento tutto
per me. In serie A. Io, Ermanno
Licursi, di cui nessuno aveva
mai sentito parlare, di cui
nessuno avrebbe ragionevolmente,
e seguendo il corso naturale
delle cose, sentito parlare se
non mi avessero massacrato a
calci e pugni allo stadio di
Luzzi. Ora, d’accordo che
durante questo minuto di
raccoglimento si sentivano urla
del tipo "Palermo Palermo
vaffanculo", oppure "Palermitani
bastardi, dovete morire", segno
- giustappunto - del più civile
e sentito raccoglimento per la
mia morte; ma mica potevo
pretendere più di tanto. Mi
stavo dunque disponendo a
seguire la partita in
collegamento su Sky (qui ci
siamo direttamente nello sky e
il decoder è gratuito), quando
mi sono accorto che fuori dallo
stadio stava accadendo il
finimondo. Una
Cancellese-Sammartinese
moltiplicata cento, mille volte.
Scontri armati. Ma che dico,
scontri armati, la guerra ! Alla
fine chi la guardava più la
partita. Dopo un po’, quassù, è
arrivata un’altra persona. Poco
più giovane di me, un ragazzo di
trentott’anni. Un ispettore di
polizia, stavolta. Tale Raciti.
Ma porca della miseria cane e
ladra, un’altra partita di
pallone e un altro morto. I
nostri sguardi si sono
incrociati per un attimo, ma
l’ho lasciato stare.
Si vede, poveretto, che gli
giravano le scatole, e non poco.
Come non capirlo. Aveste dovuto
vedere me i primi momenti dopo
che ero arrivato quassù. Non mi
si stava intorno. Ma nei
prossimi giorni, spero di poter
parlare due secondi con lui; sì,
lo spero proprio, ci tengo. Non
è mica colpa di quel povero
ragazzo, anzi. Ci mancherebbe
solo questo. Quando si sarà un
po’ ripreso, quando si sarà
fatto - volente o nolente - una
ragione d’esser morto, e morto
in questo modo, avrò sicuramente
la voglia di abbracciarlo,
magari ce ne andiamo a bere un
caffè insieme (non Lavazza
perché non la sopporto più
quella pubblicità imbecille
ambientata da queste parti).
Sono incazzato con quegli altri,
quelli che sono rimasti laggiù.
Con i politicanti, con i
giornalisti, con quella
razzumaglia d’ogni risma. Per
me, Ermanno Licursi, dirigente
di una squadretta di serie zeta
ammazzato negli spogliatoi al
termine d’una partita, non si
sospende nessun campionato.
Nessuna legge speciale. Nessun
articolo del grande giornalista;
solo qualche servizio relegato
per pochi giorni nei tg, solo
articoli che dopo due o tre
giorni son diventati trafiletti
di poche righe. Ma questo
sarebbe ancora niente. Questo lo
potrei anche capire, non sono un
presuntuoso e so stare al mio
posto. Per me, no, nessun
funerale in diretta televisiva.
Nessun arcivescovo che si è
scomodato per dirmi il funerale.
E, soprattutto, nessun bel
discorso su come "salvare il
calcio", nessuna ricetta magica,
nessun modello inglese, nessuna
sfilata di siti internet di
mezzo mondo con la notizia in
prima pagina. Niente di niente.
Nessuna sottoscrizione del TG5.
Nessuna borsa di studio per i
miei figli. Tie’, Locurso,
Licursi o come cazzo ti chiami,
beccati ’sto minuto di
raccoglimento e taci, e
ringrazia pure. Come si dice ?
De sciò mas go on. Se quei
disgraziati non avessero spedito
quassù anche quel poveraccio di
poliziotto, a quest’ora altro
che campionati sospesi. A
quest’ora, gran commenti
sull’Inter schiacciasassi, su
Ronaldo, su chissà cosa. Altro
che partite a porte chiuse,
altro che stadi a norma, altro
che tornelli, altro che scritte
sui muri di Livorno, di Piacenza
o di San Diosagrato de’ Volsci.
Nulla. Nada. Nix. Ora, certo,
forse sto esagerando. Anzi, no.
Del resto, è l’ultima occasione
che mi resta per dire
qualcosina; altre non me ne
saranno date; e lasciatemi
sfogare. Di tutte ne ho sentite
in questi giorni. C’era di mezzo
un poliziotto, e allora giù a
ritirare fuori quell’altro
poveraccio, come si chiamava,
Giuliani, le scritte sui muri,
gli strepiti, e io che di
Giuliani al massimo conoscevo
l’amaro medicinale. Ma che
cavolo c’entra ? O forse
c’entra, e sono io che non
capisco niente. Ma, del resto,
sono solo un Ermanno Licursi
qualsiasi, dirigente della
Sammartinese. Il mio nome, fra
due giorni, non dirà più niente.
Come, purtroppo, non dirà più
niente quello di Raciti. Come
non dicono assolutamente più
niente quelli di Paparelli, di
Spagnolo, di Fonghessi, di
Furlan, di Filippini, di De
Falchi. Come non dicono più
niente quelli di trentanove
persone morte calpestate in uno
stadio belga. O quelli di
quattro ragazzi morti
carbonizzati in un vagone
ferroviario, la stessa fine che
rischiò di fare un ragazzino di
quattordici anni a Firenze, tale
Ivan Dall’Olio.
E questi qui parlano di
"tolleranza zero". La tolleranza
zero, mi permetto di dire e poi
torno nel mio nulla eterno,
dovrebbe essere verso di loro.
Verso il potere. Ma tanto mica
c’è niente da fare; de sciò mas
go on, e ci goerà on, cavolo se
ci goerà on. Con qualche
abbaiata del potente di turno,
con qualche legge, con qualche
repressione che colpirà da ogni
parte tranne dove dovrebbe
realmente colpire. E così vi
saluto. Ero un uomo tranquillo.
Tornerò, non abbiate timore, ad
essere tranquillissimo. Per
sempre.
6 febbraio 2007
Fonte: Fiorentina.it
© Fotografie: Gli amici di
Ermanno "ciao bello" (Gruppo
Facebook) - Ilgiornale.it
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"Beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati figli di
Dio"
(Vangelo Matteo 5,9)
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