Una morte di terza
categoria
di Luca Cardinalini
Sette
minuti. Tutto è racchiuso e
tutto si consuma in quei sette
minuti. Alle 16.33 l’arbitro
fischia la fine della partita,
alle 16.40 Ermanno Licursi è già
morto, steso sulle fredde
piastrelle blu degli spogliatoi
dello stadio di Luzzi. È un
dirigente accompagnatore della
Sammartinese, squadra del
piccolo comune di San Martino di
Finita (Cosenza), quasi 3000
abitanti nel 1960, quasi 300
oggi. Il club esiste e resiste
grazie agli sforzi e ai
sacrifici di alcuni, per tigna e
per dare un’occasione di svago
ai ragazzi del posto.
Volontariato puro. Sempre
militato in terza categoria,
l’ultima sopra il nulla. I tempi
d’oro, a volerli trovare,
risalgono a una decina di anni
fa, quando "lottammo per andare
in seconda", racconta il dottor
Fedele Guzzo, medico condotto e
storico presidente, per assoluta
assenza di rivali. Questo per
dire: zero aspirazioni e nessun
progetto da realizzare,
all’infuori di quello di
mettersi in mutande e correr
dietro a un pallone. E vada come
vada. Licursi ha 41 anni, una
moglie - Marcella - e due figli
adolescenti, Ilary e Goffredo.
Animatore di tutte le feste
civili e religiose - che nei
piccoli paesi spesso coincidono
- dell’Estate sammartinese,
autore di murales e di presepi
artistici, pittore, illustratore
e vignettista del giornalino
locale Il fulmine, uomo
tranquillo, proprietario del
piccolo e unico negozio di
alimentari, la bottega dove
trovi un po’ di tutto, compresa
qualche chiacchiera da
scambiare. E la passione per il
calcio, prima da calciatore e
poi da dirigente, ogni anno
pensa di smettere e il minuto
dopo ricomincia, sacrificando
tempo, energie, affetti. Quel
sabato la Sammartinese è
impegnata in trasferta contro la
Cancellese, squadra di Rende.
Nella classifica del girone D,
sono distanziate da un paio di
punti, entrambe lontano dal
vertice. Si gioca a Luzzi,
trenta chilometri più in là, in
campo neutro, visto che la
Cancellese ha il suo
squalificato chissà per quali
intemperanze. Terreno in
pozzolana, il gesso delle linee
che se ne va per il vento o una
mischia, una ventina di
spettatori, tra parenti,
fidanzate e amici. Nessuna forza
dell’ordine, "non essendo stata
richiesta la presenza". Scenario
molto all’italiana, in un
rosario di stranezze e piccole
irregolarità, di cui si saprà
solo dopo. Come ad esempio il
fatto che sulla panchina della
Sammartinese sedeva tal GI,
senza averne titolo, essendo un
tesserato di un’altra società,
il Lattarico. Sull’altra
panchina sedeva, in qualità di
dirigente accompagnatore, tal
AC, anch’egli senza averne
titolo, essendo tesserato con
una società di calcio a 5 di
Cosenza, e sotto falso nome: SU,
rimasto a casa. E non aveva
titolo nemmeno l’allenatore
della Cancellese, (Omissis), che
dirigeva dalla tribuna, pur
essendo anche lui tesserato per
il Cosentia calcio a 5, eppure
iscritto nella distinta ogni
domenica, squalificato più volte
per questo, ma nessun arbitro
aveva mai verificato
l’irregolarità. Durante la
partita c’è qualche ruggine,
insulti, entrate dure, qualche
spinta, alla fine vince la
Sammartinese per 2-1. Al
triplice fischio, LS,
calciatore della Sammartinese e
GL, portiere
avversario, iniziano a prendersi
a pugni. Un’offesa ai defunti,
con bestemmia, sembra sia stata
la scintilla che ha dato il via
alla tragedia. Di versioni sui
fatti, ce n’è una decina.
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Un
processo - previsto per gli
inizi di febbraio - cercherà di
avvicinarsi il più possibile
alla verità. Uno solo degli
indagati per omicidio
preterintenzionale e rissa
aggravata, ha già patteggiato la
pena (4 anni e mezzo) ed è
fuori, ammettendo di fatto la
ricostruzione. Si chiama
(Omissis), è un calciatore della
Cancellese, il primo sospettato
e arrestato in questa storia. Quel giorno era in tribuna, in
quanto squalificato. Ai primi
accenni della rissa si precipita
in campo, passando per il
cancello rimasto colpevolmente
aperto. È il più riconoscibile,
vestito in borghese, pantaloni
arancio, giacca beige, orecchino
al lobo. (Omissis) e (Omissis)
infieriscono su (Omissis).
Quando Licursi accorre dalla
panchina, tentando di fermare in
qualche modo, la rissa è oramai
estesa a macchia d’olio. Prende
dei pugni, cade a terra. Nel
cerchio di centrocampo, come un
pallone sgonfio, viene preso a
calci: al volto, al torace,
ovunque. Secondo la
testimonianza di un calciatore,
AB, Licursi sarebbe stato prima
schiaffeggiato dal presidente
della Cancellese, (Omissis), riconoscibile per i
baffi, un giubbotto con
pelliccia sul bavero e i capelli
brizzolati, poi avrebbe ricevuto
i calci violenti e mortali di
(Omissis) e dello stesso
(Omissis). Un altro calciatore
della Sammartinese, (Omissis), per cercare di
sottrarre Licursi da quella
follia, colpisce (Omissis) che
inizia a inseguirlo, con una
pietra in mano, fin fuori lo
stadio, urlando "ti ammazzo". Il
dottor Guzzo: "E’ successo in
pochi secondi. Avevo la borsa da
medico in disordine e stavo
mettendo in ordine il tutto, ho
sentito le urla, mi sono girato
ed era un campo di battaglia.
Botte, botte, botte". Poi la
furia si placa, da sola. Licursi
si rialza in piedi, sporco, il
naso che sanguina. Raccoglie gli
occhiali, ormai rotti e dice a
chi gli è vicino di andare a
prendere (Omissis) e gli altri
ragazzi. Si spazzola i vestiti,
si tocca il volto, poi si avvia
verso gli spogliatoi, e
pronuncia quelle che saranno le
sue ultime parole: "Non ci posso
credere, guarda quante botte ho
preso per mettere pace". Arriva
nello spogliatoio, si sentono
ancora urla, porte che sbattono,
minacce, insulti. Licursi ha un
malore e si accascia al suolo.
Ancora Guzzo: "Ha fatto due
grossi respiri, poi il nulla".
Il dottore prova con la
respirazione bocca a bocca, con
tutto quello che può. Quando
l’ambulanza arriva, circa dieci
minuti dopo, Licursi è già
morto. L’autopsia stabilirà che
le lesioni prodotte
traumaticamente non hanno avuto
un ruolo di causa diretta per il
decesso, ma di concausa,
considerata una patologia
cardiaca preesistente, che ha
provocato una fatale aritmia. La
difesa ha chiesto anche un esame
tossicologico, ipotizzando una
possibile alterazione dovuta ad
alcool o quant’altro: negativo.
Appena Ermanno chiude gli occhi,
lo stadio si svuota, un fuggi
fuggi generale, i carabinieri
dovranno andare a casa dei
giocatori coinvolti per
ascoltarli, ottenendo scarsa
collaborazione. Che poi sarà
anche la linea guida della
difesa: sì, c’è stata una zuffa
generale, ma nessuno di noi ha
ucciso Licursi. La giustizia
sportiva ha squalificato per 5
anni - l’equivalente
dell’ergastolo - (Omissis). La settimana
seguente il mondo del pallone si
fermò un minuto per ricordare
Ermanno, alla memoria. Corta, se
è vero che a Catania, quella
stessa sera, a morire toccò
all’ispettore Filippo Raciti.
Per Ermanno Licursi nessun
funerale in diretta, nessuna
sottoscrizione dei tg nazionali,
nessuna misura drastica decisa
dal governo del calcio, nessun
tornello obbligatorio e stadi da
mettere a norma, nessun
dibattito sul calcio da salvare.
Una morte di terza categoria,
appunto.
30 gennaio 2008
Fonte: Il Manifesto
© Fotografie:
Quicosenza.it -
Lasammartinese.altervista.org
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