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CIRO ESPOSITO
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Ciro Esposito 3.05.2014 Testo della Sentenza (I Grado)
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LA SENTENZA

Omicidio Ciro Esposito, fu un agguato premeditato di De Santis (e complici)

Pubblichiamo ampissimi stralci della sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Roma, presieduta dal giudice Evelina Canale, lo scorso 24 maggio che ha portato alla condanna di Daniele de Santis, omicida di Ciro Esposito, a 27 anni di carcere, dalla quale si evince che si trattò di agguato premeditato. Ringraziamo l’avvocato Damiano De Rosa per la collaborazione.

"Il Viale di Tor di Quinto è caratterizzato da una doppia carreggiata, in cui ad un certo punto sulla destra, andando verso lo stadio, c’è il poligono di tiro e subito dopo, al civico 57, una stradina parallela alla strada che porta al poligono di tiro che ha subito alla sua sinistra il Ciak Village, cioè un teatro amatoriale, e più sopra il Circolo Boreale, un circolo sportivo dove spesso si disputano partite di calcio e altri eventi sportivi, che e frequentato da ragazzi e dove appunto vive il De Santis, con funzioni di inserviente - guardiano. Il giorno dei fatti si era verificato un grande afflusso di tifosi, sia della Fiorentina che del Napoli, e quello stesso pomeriggio vi era stato in piazza Mazzini, nonostante le misure di sicurezza adottate, un primo violento contatto tra i tifosi della Fiorentina e i tifosi del Napoli, che aveva richiamato proprio in quella zona diverse pattuglie di forze dell’ordine, proprio per scongiurarne la degenerazione in eventi più gravi. Il teste responsabile dell’ ordine pubblico quel giorno, quando succedono i fatti, si trova in piazza Mazzini e si trova lì quando, appunto, Irene Di Emidio, il Vice Questore che per prima soccorre Fioretti Gennaro, raggiunto dai colpi di arma da fuoco di cui si è parlato, fa la prima comunicazione radio alla sala operativa, dicendo che c’è un ferito certamente attinto da colpi di arma da fuoco e che ci sono degli scontri su Viale Tor di Quinto. La stessa comunicazione il dottor Parente la riceve dal sostituto commissario Fratini Franco, che si trova sul cavalcavia di Tor di Quinto, il quale vede la Di Emidio soccorrere un ragazzo, chiaramente ferito, vede che subito dopo ci sono degli scontri, cioè dei tifosi che scavalcano il guardrail e si spostano sulla loro destra e capisce che sta succedendo qualcosa. E anche lui dà subito comunicazione radio di questi fatti. Il dottor Parente, appresa la gravità della situazione, si sposta subito da Piazza Mazzini al Viale di Tor di Quinto dove arriva dopo un’ora, perché ovviamente il traffico è congestionato dall’ingente afflusso di pubblico e quando arriva trova già la presenza della Polizia Scientifica, dell’ispettore Carlaccini della Digos, che è stato il primo ad arrivare sui luoghi, il primo a fare l’intervento nel Ciak Village, il primo a trovare il De Santis e a rinvenire anche la pistola. Ovviarmene da quel momento partono tutte le indagini, si individuano intanto i testimoni oculari reperibili, innanzitutto i gestori del Ciak Village, Donatella Baglivo, Ivan La Rosa e Anna Valli, si trova e si reperta la pistola, si individua il pullman che era stato preso di mira dal De Santis con le bombe carta, si identificano le persone che erano state in grado di vedere i fatti dall’interno del pullman e si sentono a sommarie informazioni. Nel contempo vengono effettuati accertamenti nei confronti del De Santis dai quali emerge che costui è un personaggio ben conosciuto alla Digos, perché è un esponente molto noto del tifo ultras romanista, di estrema destra. Si fanno le indagini anche sulle ore precedenti ai fatti vissute dal De Santis, si individuano le due prostitute con cui si era accompagnato la notte e si identifica Vincenzo Agresta, l’altro amico con cui aveva passato la notte. Si acquisiscono inoltre i diversi video, tra cui in particolare quello dell’Azzarelli, testimone presente ai fatti, che li aveva ripresi col suo telefonino, documento di eccezionale importanza per l’immediata ricostruzione degli accadimenti.

La Corte ha anche sentito il Vice Questore De Astis, dirigente della Digos, responsabile dell’ufficio che si occupa della tifoseria, che ha spiegato come i rapporti tra la tifoseria della Roma e la tifoseria del Napoli, dopo un periodo di gemellaggio, si sono interrotti nell’87, a seguito di una partita Roma-Napoli, perché un giocatore del Napoli, Bagni, fece il gesto dell’ombrello. Da quel momento i rapporti tra le due tifoserie sono diventati violenti e infatti la partita Roma- Napoli è diventata una partita altamente pericolosa, tanto che per molti anni sono state vietate le trasferte dei tifosi napoletani a Roma e viceversa. Ha poi descritto la geografia della tifoseria romanista, divisa in due grandi fazioni, quella dei Fedayn, che sono di estrema sinistra, e quella dei Boys, che sono di estrema destra. I Boys poi si sono sciolti e sono confluiti in Padroni di casa o Casa Pound, sempre di estrema destra. Ebbene, in questa galassia di Ultras il De Santis è un personaggio di spicco, si colloca prima nei Boys, che sono appunto i tifosi ultras di estrema destra della Roma e addirittura viene cacciato dai Boys perché ritenuto troppo violento. Proprio per questo fonda un proprio gruppo di tifosi, sempre di estrema destra, chiamato Gruppo Monteverde, a capo dei quali si rende protagonista di tutta una serie di violenze durante manifestazioni sportive che gli fruttano denunce, condanne e provvedimenti di divieto di assistere a manifestazioni sportive.

La Corte ha sentito l’ispettore di Polizia Alfredo Carlaccini, l’operante della Digos dislocato sul territorio a bordo di una pattuglia che, dopo aver sentito attraverso la comunicazione radio della Di Emidio che c’è un ferito da armi da sparo, arriva per primo sul posto.

La Corte ha visionato le immagini che mostrano la sua macchina dall’altra parte della carreggiata rispetto all’ingresso nel Ciak Village e lui che scende, scavalca il guardrail e vede che c’è un ragazzo privo di sensi a terra. Si tratta di Ciro Esposito. Viene addirittura aggredito dai tifosi napoletani, perché vorrebbero che lui lo caricasse sulla macchina e lo portasse in ospedale. L’ispettore ha spiegato che "cerco faticosamente di far capire loro che muovere un ferito da terra, a meno che non ci sia un medico o un infermiere, è una cosa piuttosto pericolosa. Quindi, dopo aver calmato i tifosi napoletani, cerco di capire che cosa realmente era successo. E tutti indicavano la stradina che porta al Ciak Village come praticamente il teatro degli eventi e il luogo in cui si nascondeva l’uomo che aveva sparato". Quindi chiede l’autorizzazione, in quanto in questo caso quando ci sono armi da sparo deve chiedere l’autorizzazione all’ufficio, per potere fare un sopralluogo e un’ispezione, autorizzazione che gli viene concessa, e quindi, insieme al collega che monta di pattuglia con lui, entra per primo nella stradina che va al Ciak e si rende subito conto di quello che è successo. Vede il sangue per terra, vede i bossoli, magliette, bastoni, un cappellino, vede il cancello del Ciak completamente divelto, entra e vede anche lì una situazione sintomatica di scontri violenti: il sangue per terra e il selciato tutto bagnato. Parla con i gestori, vede la Baglivo, vede Ivan La Rosa e finalmente individua il De Santis all’interno del capannone chiuso. Il De Santis, che in un primo momento si spaventa, perché essendo il Carlaccini in borghese lo confonde con un tifoso napoletano, lo tranquillizza, gli spiega che è della Polizia e cerca di farsi dire che cosa e successo. A questo punto ovviamente chiama i rinforzi, chiama l’autoambulanza e nel frattempo incomincia a raccogliere i primi elementi di prova per ricostruire i fatti. Quando il Carlaccini entra sa già che sono stati sparati colpi di arma da fuoco, lo sa perché lo dice la Di Emidio, che ha visto un ragazzo, Gennaro Fioretti, con un dito spappolato. Quindi, quando entra, per esperienza personale e per protocollo d’indagine, la prima cosa che cerca è l’arma del delitto e quando vede il De Santis, quello che lui ritiene abbia sparato, chiede allo stesso della pistola, ma questi: "mi disse inizialmente che non ce l‘aveva, che non c’era, non c’era nessuna pistola. Pero io, facendomi all’indietro e dicendo ad altri colleghi che in quel momento erano sopraggiunti, ho detto "ok ragazzi, facciamo una perquisizione, cerchiamo questa pistola". E allora mi ha sentito la signora Baglivo, la proprietaria del Ciak, dicendomi che era stata rinvenuta una pistola e che, per paura che fosse nuovamente utilizzata da altre persone, era stata messa all’interno di un secchio dell’immondizia, che era esterno al capannone, ma attiguo alla porta d’ingresso". Le indagini sono continuate sul posto, il Carlaccini ha trovato i bastoni e tutto quello che poi è stato repertato e fotografato dall’ispettore Martinelli della Polizia.

La Corte ha escusso anche il Vice Questore Irene Di Emidio, che dirigeva quel giorno il servizio al casello Roma est, era responsabile del servizio scorta ai pullman e, con la pattuglia Genova 2, aveva dato la prima comunicazione radio dell’accaduto alla sala operativa. Ella ha dichiarato che attorno alle 17:30, in prossimità del cavalcavia numero 5 di via Flaminia, una persona, con accento napoletano, con un dito della mano visibilmente squarciato, correva verso di lei urlando: "c’hanno sparato, c’hanno sparato i romanisti, ci hanno sparato, l’ambulanza, chiamate l’ambulanza". La persona è stata poi identificata per Alfonso Esposito, appunto ferito alla mano e al dito. L’ispettore Franco Fratini, in servizio al commissariato Flaminio Nuovo, che si trovava sul cavalcavia di Viale di Tor di Quinto, ben visibile nei video visionati dalla Corte, trovandosi in una posizione privilegiata, da cui vede tutto Viale di Tor di Quinto, ha raccontato nella sua deposizione di aver visto la Di Emidio Irene essere raggiunta da un tifoso napoletano visibilmente ferito, un gruppo di tifosi napoletani spostarsi e raggiungere la viuzza che conduce al Ciak village, entrare e uscire più volte, quindi di essersi subito reso conto che ci erano stati degli scontri, che era successo qualcosa di grave e di averne dato subito comunicazione anche lui alla sala operativa e alla Digos. Gli altri ufficiali di Polizia giudiziaria sentiti dalla Corte non hanno aggiunto elementi rilevanti alla ricostruzione dei fatti. Grande valenza probatoria e cognitiva ha avuto pure la ricostruzione dell’intervento della Polizia Scientifica operato dall’ispettore Martinelli, consacrato nei rilievi tecnici di cui si è avvalsa la Corte. Fondamentale è stato l’apporto probatorio di un gruppo di testimoni "privati", che hanno contribuito alla ricostruzione dei fatti in maniera assolutamente rilevante, essendosi trovati sulla scena del delitto a vario titolo e per diverse ragioni. Essi sono raggruppabili tra loro in base all’angolo visuale da loro avuto nel momento degli accadimenti. Il primo è il gruppo di testi che frequentavano il Ciak Village e il Circolo Boreale. Il secondo invece è quello dei passeggeri del pullman bersagliato dal De Santis. Poi il teste Azzarelli, che è quello che ha videoripreso materialmente il momento in cui Ciro Esposito e gli altri tifosi napoletani scavalcano il guardrail e infilano la stradina che conduce al Ciak village, nel cui filmato si sentono nitidamente gli spari in rapida successione.

La teste Anna Valli, anziana signora che è stata sentita con una certa difficoltà per problemi inerenti alla tarda età, ha riferito: "Ci siamo affacciati fuori dal teatro, sul cortile antistante il cancello che chiude la struttura, dopo aver sentito i botti, i boati, etc. e abbiamo visto un uomo corpulento e basso, che urlava e inveiva delle frasi che non ho ben compreso, mentre passava davanti al cancello del teatro, dirigendosi verso Tor di Quinto". "Nella circostanza vedevamo sopraggiungere altre cinquanta persone…". In sostanza i testi che si trovavano nei pressi del Ciak hanno riferito che, dopo aver sentito alcuni scoppi, hanno visto il De Santis proveniente dal Circolo Boreale, attraversare il cancello del Ciak, percorrere la stradina e dirigersi, urlando e imprecando nei confronti dei tifosi napoletani, verso Viale Tor Di Quinto. Il teste Ivan La Rosa, compagno della teste Baglivo, uno dei gestori del teatro, ha raccontato che il 3 maggio del 2014 si trovavano tutti all’interno del Ciak Village, hanno sentito il rumore di petardi e sono usciti fuori. Si sono affacciati, hanno percorso la stradina che porta a Viale di Tor Di Quinto e si sono voltati verso destra, verso il cavalcavia, perché Iì hanno avvertito il maggior numero di "botti" e visto dei fumogeni, di vari colori. Ad un certo punto hanno visto un gruppo di tifosi napoletani che entrava nella stradina del Ciak Village, Ii sorpassava, e poi hanno visto che questo gruppo di tifosi stava malmenando, pestando letteralmente il De Santis, persona da loro conosciuta. Ha raccontato cosa è successo dopo, cioè il tentativo di soccorrere il De Santis, la difficoltà nel portarlo dentro, proprio vista la sua mole e viste le condizioni in cui si trovava, di aver ritrovato la pistola e di averla lanciata all’interno del cortile del Ciak, proprio per evitare che qualcuno potesse ancora utilizzarla (come detto, la pistola verrà presa poi dalla Baglivo e da lei nascosta nel contenitore dell’immondizia). La Corte ha sentito anche Donatella Baglivo, colei che gestisce il teatro Ciak Village, sito proprio in Viale di Tor di Quinto numero 57. Anche lei sente questi spari, questi botti insieme a Ivan La Rosa e alla signora Valli, i predetti escono insieme prima nel cortile antistante il teatro, poi si recano su Viale di Tor di Quinto e lei osserva i fumi prodotti dalle esplosioni. Ad un certo punto anche lei vede un gruppo tumultuoso di persone risalire il vialetto che porta al Ciak e, una volta giratasi all’indietro, preoccupata per la signora Valli e per il suo compagno, vede invece a terra il De Santis malmenato dalle persone che aveva visto imboccare la stradina. Cerca di prestare aiuto, cerca di portare il De Santis dentro, ma racconta di almeno tre ondate successive di tifosi napoletani che entravano, picchiavano il De Santis poi, temendo l’arrivo della Polizia, uscivano, quando vedevano che la Polizia non era ancora arrivata, rientravano di nuovo e pestavano di nuovo il De Santis. Ella si adopera per prestargli aiuto, per spingerlo con tutte le sue forze verso la parte coperta del teatro, nasconde la pistola ritrovata per terra nel sacchetto della spazzatura, butta l’acqua su tutto ciò che aveva preso fuoco per evitare che il teatro si incendiasse e per tentare di placare gli animi, cerca infine più volte di chiamare la Polizia. La Baglivo parla della presenza sul posto di almeno altre cinque, sei persone, evidentemente sodali del De Santis che, una volta che il De Santis viene sopraffatto dal numero imponente di tifosi napoletani, scappano verso il Circolo Boreale e poi si disperdono sulla montagnola che è delimitata dal circolo. Testualmente ha dichiarato: "quando mi sono girata io ho visto un gruppo di gente di spalle che correva in direzione dei campi sportivi, un gruppo di gente che scappava e gli altri che li inseguivano". Tra i testi privati presenti sui luoghi del Ciak Village e del Circolo Boreale, la Corte ha escusso anche Luigi Proietti, il pensionato che gestisce il bar sito all’interno del Circolo Boreale che ha dichiarato che il 3 maggio verso le tredici ha aperto il bar e dopo circa mezz’ora è arrivato il De Santis per consumare un panino e una birra e poi lo ha visto ritornare intorno alle quattordici e trenta, le quindici, riprendere un’altra birra e ancora tomare verso le sedici, allorché, avendo preso un’ulteriore birra, sentendo il rumore di petardi, ha detto: "vado a vedere che cosa sono questi botti, perché voglio un po’ sistemare questa cosa". Il Proietti è un teste importante non solo perché, appunto, assiste ai fatti, ma perché fa riferimento importante alla pistola posseduta dal De Santis. Ha detto testualmente: "posso aggiungere che alcune mamme dei bambini che giocano nella Boreale si sono lamentate il giorno successivo che un bambino ha visto il De Santis con la pistola e questo bambino è un bambino che aveva visto il De Santis impugnare una pistola e non aveva dormito per paura tutta la notte". Benedetta Mariani, che è la madre di uno dei bambini che gioca quel pomeriggio al Circolo Boreale una partita di calcio, ha riferito che la partita è finita verso le diciassette, ma è stata costretta ad aspettare fino alle sette e mezza di pomeriggio per andare via, poiché la Polizia aveva bloccato la stradina di accesso al circolo e che mentre era sulla macchina con il bambino aspettando di potere uscire, ha visto quattro, cinque persone allontanarsi dal luogo, raggiungere il muro di cinta e la rete posti tra il Circolo Boreale e la collinetta che porta alla tangenziale, e scappare attraverso un buco della rete, allontanandosi dal teatro degli eventi. Evidentemente si tratta delle stesse persone che vede la Baglivo Donatella di spalle scappare subito dopo gli scontri, subito dopo che Ciro Esposito cade per terra e subito dopo che De Santis viene aggredito dalla moltitudine di tifosi napoletani. Maria Grazia Di Fabio, teste che vive all’interno del Circolo Boreale, che era uscita ad accudire dei cani, ha raccontato: "ho visto queste persone … Anche perché, come penso sia noto anche qui ai Giudici e quant’altro, io all’epoca abitavo li, sono uscita dalla stanza per andare a prendere i cani e metterli dentro. Nel fare questo due, trecento metri dalla seconda stanza fino all’area cani che è giù in fondo, mi sono passati davanti un gruppo di persone, saranno state sei o sette persone che scappavano, c’è una piccola salita, mettendosi con le spalle all’entrata che c’è tuttora sulla destra, che poi è un pezzo di terreno sterrato, che ha l’uscita sulla tangenziale, prima dell’entrata del traforo di Corso Francia, del tunnel di Corso Francia". Evidentemente si è riferita alle stesse persone viste dalla Mariani e dalla Baglivo.

La Corte ha escusso anche una delle due donne, e ha acquisito le dichiarazioni dell’altra, risultata irreperibile, che hanno trascorso la notte precedente ai fatti nell’ abitazione dell’imputato: Andrei Ruxandra e Dumitru Irma. La prima ha raccontato che già dagli ultimi giorni del mese di aprile del 2014 viveva a casa del De Santis, al Circolo Boreale, e che aveva rapporti sessuali mercenari con lui e altri suoi due amici, Vincenzo Agresta e Luigi Capponi. Ha raccontato che il De Santis normalmente faceva uso di cocaina e che lei si era fermata fino alla notte del 2 maggio. Quella notte tuttavia aveva chiamato una sua amica, la Dumitru, in arte Natasha, perché la raggiungesse. Costei l’aveva raggiunta intorno alle due, tre nella notte tra il 2 e il 3 maggio, avevano avuto un rapporto sessuale con il De Santis, avevano consumato cocaina e si erano addormentati. La mattina dopo la Andrei si era svegliata e non aveva trovato il De Santis, che era tomato verso mezzogiorno, le aveva dato un assegno e aveva preso un oggetto non meglio identificato dal cassetto della camera da letto. Testualmente: "Verso le ore dodici è ritornato Daniele e mi ha consegnato euro quattrocento per le prestazioni, verso le ore quindici mi ha consegnato un assegno di euro duecento privo del nominativo, che dovevo tenere e riconsegnarlo al suo rientro, in quanto a suo dire doveva uscire per fare delle cose. Ho notato che Daniele in quell’ occasione era molto strano, agitato, inoltre prima di uscire Daniele ha prelevato da un cassetto di biancheria un oggetto che non sono riuscita a vedere perché io ero al computer collegata su Facebook, dicendomi che andava a comprare da mangiare, a prendermi le sigarette e a fare altre cose, senza specificarmi cosa, per poi ritornare. Alla mia domanda perché fosse così agitato, lui mi ha risposto "tesoro, stai tranquilla che è tutto a posto, devo fare una cosa e poi tomo subito". La Dumitru ha confermato le dichiarazioni dell’amica. Infine la Corte ha considerato, sia pure nella sua versione difensiva, l’ammissione del fatto da parte dell’imputato De Santis e le dichiarazioni degli altri imputati, concordemente tese ad escludere la propria partecipazione alla rissa e ad accusare il De Santis.

Tra il materiale audiovisivo, i filmati della Digos, visionati in aula, hanno offerto lo scenario globale, il contesto generale in cui si sono svolti i fatti, mentre il video girato dal teste Azzarelli riprende il momento in cui Ciro Esposito, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito scavalcano il guardrail, attirati dalle richieste di aiuto provenienti da un pullman fermo di fronte al Ciak, bersagliato da bombe-carta scagliate dall’imputato, entrano nella stradina che porta al Ciak, passano attraverso i pullman fermi in fila, scompaiono dal campo di ripresa e si sentono, dopo pochi secondi, in modo nitido, quattro esplosioni di arma da fuoco, in rapida successione. Fra i testi escussi Diego Parente, il dirigente della Polizia di Stato in servizio all’epoca dei fatti presso la Digos, ha illustrato quali erano stati i criteri adottati dalla Polizia quel giorno, il 3 maggio del 2014, per prevenire incidenti e tutelare l’ordine pubblico in occasione di un evento così importante come la finale di Coppia Italia, tra due squadre, due tifoserie certamente importanti, in quanto anche di dimensioni nutrite, e cioè quelle del Napoli e della Fiorentina. Ha spiegato che i criteri in questi casi sono consolidati: si dividono le vie di accesso allo stadio in due grandi direttrici, una nord e una sud, in modo che una tifoseria, quella della Fiorentina in questo caso, affluisca allo stadio dalla direttrice sud e quella napoletana dalla direttrice nord, proprio per evitare scontri, tafferugli e quant’altro, cioè proprio per evitare il più possibile contatti di vario tipo tra le due tifoserie. Ha spiegato che nel caso di Napoli-Fiorentina del 3 maggio del 2014, la direttrice assegnata ai tifosi napoletani era appunto quella nord, che sfocia proprio su Viale di Tor di Quinto, che quindi, dopo un breve controllo dei pullman ai caselli autostradali, i pullman venivano indirizzati sulla tangenziale che porta sul Viale Tor di Quinto, dove le auto private avevano zone di parcheggio previste e i tifosi, una volta arrivati, potevano incolonnarsi e arrivare facilmente allo stadio poco distante.

Motivi della decisione: La Corte, in esito all’istruttoria dibattimentale, ha acquisito un patrimonio probatorio esaustivo e completo su cui ha fondato la propria decisione. Innanzitutto si è avvalsa del materiale audiovisivo, disponibile in abbondanza, essendo stati ripresi i fatti, durante il loro accadimento, con videocamere e cellulari ed essendo state registrate le conversazioni telefoniche e le comunicazioni radio attinenti ai fatti stessi. Poi ha utilizzato le testimonianze sull’attività svolta dal personale della Polizia presente ai fatti o convenuto in seguito agli stessi, undici tra rappresentanti della Digos, della Squadra Mobile e di appartenenti ad altri uffici della Questura di Roma che, a vario titolo, sono intervenuti nel teatro degli eventi. La Corte ha altresì fruito della vasta documentazione fotografica raccolta dalla Polizia in sede di rilievi tecnici e della documentazione medica relativa alle lesioni subite dagli imputati e dalla vittima nel corso della vicenda. Ha inoltre acquisito le deposizioni di numerosi testi oculari, almeno dodici, di cm uno escusso innanzi al GIP in sede di incidente probatorio, che hanno riferito la loro percezione diretta, sebbene, ovviamente, da angoli visuali diversi, di ciò che è avvenuto e che hanno potuto raccontare e in alcuni casi addirittura video-riprendere i fatti. La Corte per di più ha avuto a disposizione più perizie e consulenze già esperite in sede di incidente probatorio e nel corso delle indagini che hanno consentito una ricostruzione dinamica, tecnico-scientifica dei fatti. Fra i testi escussi tre sono oculari, sono cioè persone che hanno visto direttamente l’odierno imputato De Santis sparare: Domenico Pinto, Raffaele Puzone e la stessa vittima dell’omicidio, Ciro Esposito che, ancora in vita, durante la sua degenza in ospedale, prima dell’esito letale della stessa, richiesto di narrare i fatti da Angela Tibullo, professionista incaricata dalla famiglia di Ciro Esposito, riconosce in Daniele De Santis, con dichiarazioni registrate dalla Tibullo e ascoltate dalla Corte, "il chiattone", (lo chiama così), che gli aveva sparato. Esauriti i testi provenienti dal Circolo Boreale e dal Ciak Village, la Corte ha sentito quelli che si trovavano sul pullman a due piani del Milano Club Partenopea, partito da Milano e oggetto dell’attacco da parte dell’imputato, a bordo del quale si trovavano anche bambini. Tali testi sono: Francesco Ferrante, Salvatore Ferrante, Aquilino Palma, Camillo Cimmino e Angelo Mancuso.

Francesco Ferrante, di professione metronotte, ha raccontato il viaggio, ha riferito che una volta arrivati a Viale di Tor di Quinto si è formata una colonna di pullman, perché alla testa c’erano i tifosi napoletani a piedi che procedevano lentamente. Il suo pullman si era fermato per una decina, quindicina di minuti proprio all’altezza della stradina che conduce al Ciak Village. Testualmente ha dichiarato: "Sì, noi eravamo incolonnati e la situazione era molto, abbastanza tranquilla. C’erano molte persone a piedi sul lato. Sulla destra io ho il teatro e alla sinistra il guardrail, con altri tifosi di fede diciamo azzurra, napoletana, che si accingevano ad andare tranquillamente a piedi allo stadio. Noi commentavamo ridendo: beati loro che stanno mangiando un panino, perché camminavano tranquilli senza incidenti e senza niente… Sì, è successo che mentre io ero in posizione proprio davanti, davanti all’autista, perché eravamo fermi, quindi mi sono alzato e stavo parlando con l’autista e con la ragazza che era al mio fianco, appunto stavamo commentando un po’ le cose sulla partita e nell’ attimo in cui mi sono girato, diciamo a tre, quattro metri da me, ho visto una persona, un individuo che ha esploso un ordigno che non era dalle dimensioni, da come è esploso… Non mi sembrava un classico petardo, ma era stato lanciato proprio verso il pullman, all’altezza diciamo… il pullman è doppio, proprio in mezzo al fascione che divide i due piani. L’esplosione è stata forte tanto da farci insomma… Sì, ci siamo spaventati in quel momento lì, e dopo che ha lanciato il primo ci siamo un po’ allarmati, perché abbiamo visto che aveva lanciato il secondo e che inveiva nei nostri confronti abbastanza diciamo… Con toni minacciosi, indicandoci a farci scendere dal pullman. Era una persona abbastanza robusta, diciamo obesa, io ero al pullman, diciamo nella posizione bassa, quindi poteva essere più o meno su un’altezza di un metro e settantacinque, un metro e ottanta, più o meno, adesso non posso dirlo con precisione. Aveva un cappellino nero, era vestito di scuro... Sì, poi ho saputo che era Daniele De Santis perché ho visto le foto. Il primo ordigno non l’ho visto lanciare, l’ho solo intuito, perché lui quando ha lanciato il primo ordigno stava già accendendo il secondo, era abbastanza gioioso di quello che aveva fatto, quasi contento, perché si girava su se stesso come per dire… Invitandoci a scendere giù dal pullman, lui voleva che noi scendessimo dal pullman, perché con i segni con la mano faceva… Voglio dire faceva questo gesto con la mano, per dire venite giù, venite giù. E poi ci urlava, sì, le frasi erano diciamo tipo vi rompo, vi spacco, ma più che altro lui, più che con le parole diceva… Ci invogliava a scendere giù dal pullman, cosa che noi stavamo facendo, perché le nostre urla… A questo punto, quando abbiamo visto il pullman che era avvolto da una nuvola di fumo, ci siamo anche spaventati. I bambini pensavano che il pullman in quel momento lì potesse prendere fuoco, quindi noi volevamo scendere. Pero l’autista non ce l’ha permesso questo, per ordine pubblico ha detto "no, io ho l’ordine di non aprire il pullman, per qualsiasi motivo, in questo caso c’è un’emergenza abbastanza grave", ma lui non ha voluto aprire il pullman". A domanda del Pubblico Ministero: "dopo la seconda bomba ?". "Sì, questo lancio l’ho visto, era semi di spalle, perché lui si era spostato, aveva lanciato anche verso il pullman. Noi istintivamente quando ha lanciato ci siamo ovviamente girati, abbiamo sentito soltanto l’esplosione diciamo del secondo boato, abbastanza forte, anche perché è esploso quasi all’altezza della seconda porta d’uscita, quindi creava più un vuoto, in modo tale che potesse rimbombare all’interno dell’abitacolo". E a domanda del Pubblico Ministero: "Sì, era in atto una terza esplosione, solo che non è riuscito diciamo nell’intento, perché le ragazze e i ragazzi che erano sopra di noi picchiavano sui vetri per chiedere aiuto a qualcuno, perché la situazione era veramente non bella e in quel momento là che c’era un po’ di agitazione sul pullman, tra lo scendere, tra il fumo che si inoltrava nell’abitacolo, a questo punto abbiamo visto diciamo dei ragazzi che si sono accorti di quello che stava succedendo e hanno cercato di fermare il De Santis e ci sono passati proprio davanti al pullman, mi sono passati tre o quattro ragazzi. Lui, il De Santis, quando ha percepito, diciamo, che ha visto delle persone che andavano verso di lui, ha cominciato a desistere dal terzo attacco, ed e andato verso l’interno del vialetto, cioè verso il Ciak, è scappato, sì, pero era uno scappare non veloce, perché… Un po’ per la sua mole, un po’ la sua non agilità di movimento, è stato fermato quasi subito. Cioè lui capendo di essere, di non farcela a scappare, a correre, si è girato su se stesso, si è girato, dal momento che si è girato saranno passati tre secondi, si è vista una nuvola di fumo, di fumogeni, non so chi li avesse tirati, non certo i tifosi del Napoli, perché non erano dentro il vialetto e da lì abbiamo sentito, almeno io personalmente avevo sentito le quattro, i quattro colpi di arma da fuoco in rapida successione. E Ciro Esposito, Ciro Esposito è stato il primo a raggiungerlo, forse perché magari più magro, più agile, più atletico, è uscito, è stato uno dei primi a cercare di fermarlo. Sì, era particolarmente agile e con un piccolo zaino a tracolla di colore beige con le bretelle arancione e riusciva a placcarlo, si, proprio a placcarlo. Sì, subito dopo praticamente come arriva il placcaggio noi non vediamo più niente, però si sentono i quattro colpi di arma da fuoco. Sì, io li distinguo i colpi d’arma da fuoco, perché sono trent’anni che ho il porto d’armi, sono trent’anni che sparo e quindi erano colpi di arma da fuoco".

Il Ferranti ha quindi ha descritto il De Santis che tira uno, due ordigni, che con toni minacciosi invita i tifosi napoletani, provocandoli, a scendere dal pullman e ad affrontarlo, insultandoli. Il teste ha pure videoripreso la scena successiva in cui si vede il Ciro Esposito uscire dalla stradina portato a braccia dagli altri tifosi napoletani ormai già privo di sensi. La stessa cosa dice Palma Aquilino che è sempre sul pullman di cui prima. Palma Aquilino è il Presidente del club Napoli Partenopea. Anche lui racconta appunto del viaggio, dell’incolonnamento a Viale Tor di Quinto e del fatto che era seduto anche lui sul lato destro del pullman e che quindi riesce a vedere in maniera nitida, in maniera chiara questo soggetto grasso, certamente robusto, che con vari gesti li incitava a venire giù, ad uscire dal pullman e a raggiungerlo. Ad un certo punto anche lui si preoccupa, sente i ragazzi e i bambini che si spaventano, che battono i vetri, vede un gruppetto di tifosi napoletani che si stacca dalla colonna, che attraversa il guardrail, che passa davanti al pullman e che raggiunge il De Santis e poi anche lui, non riuscendo a vedere nient’altro, sente però anche lui con certezza assoluta i quattro colpi in rapida successione. Il Cimmino, altro appartenente al club Milano Partenopea, anche lui sul pullman, ha riferito che si trovava nella parte superiore del pullman insieme al figlio, un bambino di otto anni, e che ad un certo punto, essendo seduto sulla destra nella parte superiore, si era accorto, sporgendosi, che un uomo piuttosto robusto tirava un ordigno contro il pullman, poi ne tirava un secondo, il bambino si metteva a piangere, spaventato e il pullman si riempiva di fumo. Preoccupato e agitato, vedeva un gruppetto di tifosi napoletani che si staccava dalla colonna, che attraversava la strada scavalcando il guardrail, raggiungeva il De Santis che si dirigeva correndo verso il Ciak Village e anche lui sentiva quattro colpi dal rumore diverso da quello dei petardi. Anche il Mancuso, passeggero del pullman iscritto al club Milano Partenopea, ha raccontato dell’incolonnamento e di aver visto il De Santis scappare ed essere raggiunto. Poi non ha visto altro, tranne il fumo delle esplosioni provenienti dal Ciak Village, ha sentito, dopo di esse, gli spari in rapida successione e, dopo, ha visto Ciro Esposito portato fuori ormai privo di sensi. Questi quattro testi, dunque, hanno visto tutti un uomo corpulento che ha inveito prima contro gli occupanti del pullman, ha lanciato un primo ordigno, ha continuato ad inveire e a minacciare invitandoli a scendere, e nel farlo ha acceso un secondo ordigno, che è esploso contro il pullman, poi l’uomo è fuggito, rientrando nella stradina da cui era sbucato, nel mentre, attirati dalle urla e dalle richieste di aiuto provenienti dal pullman, sono accorsi Ciro Esposito e gli altri, scavalcando di corsa il guardrail, passando davanti al pullman, ben visibili ai passeggeri, e infine dirigendosi contro il De Santis. A quel punto il De Santis è scappato, rallentato dalla sua mole di persona obesa e dall’età non più giovanissima, ma è stato raggiunto e placcato da Ciro Esposito, più agile e più veloce di tutti e, subito dopo il placcaggio, dopo tre, forse quattro secondi, si sono sentiti i quattro colpi in rapida successione.

Dal punto di vista di Ciro Esposito e del gruppetto di tifosi che, con Ciro Esposito, allarmati dalle esplosioni provocate dal De Santis e dalle richieste di aiuto provenienti dai passeggeri del pullman bersagliato, hanno scavalcato il guardrail e inseguito il De Santis, la Corte ha acquisito nozione di quanto è accaduto nel momento successivo ai fatti narrati nella testimonianza del Ferrante, (cioè, in sostanza, su chi ha sparato), dal Cimmino e dal Mancuso, dall’audizione della fonoregistrazione delle dichiarazioni convergenti rese alla Tibullo prima del decesso da Ciro Esposito e dalle dichiarazioni del teste Domenico Pinto, che seguiva il gruppetto capeggiato da Ciro Esposito. Domenico Pinto è un tifoso napoletano, amico e cugino di Ciro Esposito. È arrivato a Tor di Quinto in auto, perché quelli del suo gruppo si erano dati appuntamento proprio nei parcheggi limitrofi a Viale Tor di Quinto, dove pensavano di lasciare la macchina per poi fare ritorno a piedi dopo la partita. Arrivati quasi contemporaneamente, si sono incolonnati insieme agli altri tifosi sulla carreggiata opposta al Ciak Village, in direzione dello stadio. Giunti all’altezza del negozio di ceramiche gestito dal teste Azzarelli, autore del video visionato dalla Corte, hanno sentito delle forti esplosioni e hanno notato ragazzi e adulti che cominciavano a battere sui vetri di un pullman a due piani incolonnato davanti a una stradina che conduce al Ciak Village. Hanno visto una persona obesa, riconosciuta successivamente nel De Santis, dapprima incitare loro stessi a raggiungerlo e poi iniziare a fuggire verso il Ciak Village. Il teste non è entrato nella stradina, ma ha visto da appena fuori quello che vi accadeva. Appena il De Santis è entrato nella stradina, dopo qualche metro, Ciro Esposito lo ha raggiunto, c’è stata una brevissima colluttazione, forse Ciro Esposito è riuscito a dargli uno schiaffo, forse un pugno, comunque c’è stata una brevissima colluttazione e, subito dopo, il De Santis ha estratto la pistola e ha sparato. Il teste Pinto, letteralmente, ha dichiarato: "Sì, sì, lui ci vede e ci chiama, ci indica di andare verso di lui e il signor Esposito lo rincorre e lo prende, no lui scappa verso il vivaio, il cancello, lui scappa, cioè prima ci dice di venire e poi… E poi sì, sì, si mette a scappare, si volta, si volta con le spalle e corre via e corre. Quando... Esposito lo prese per le spalle, lo acchiappò, loro ebbero una breve colluttazione, lui si girò ed ebbero una breve colluttazione, ma una frazione di secondi, cioè una manciata di secondi, si spinsero, il signor Esposito, se non ricordo male, perché adesso… Forse gli diede un pugno, uno schiaffo e lui prese la pistola e sparò. Loro, quando lui prese la pistola, il signor Esposito si girò per scappare. Poi ci siamo voltati e abbiamo visto il signor Esposito a terra, siamo rientrati per soccorrere lui, cioè il signor Esposito Ciro, ma il signor De Santis impugnava ancora l’arma. No, puntò l’arma verso di noi, perché noi stavamo soccorrendo il signor Esposito, lo stavamo prendendo per portarlo fuori e lui aveva ancora l’arma in pugno e tentò di sparare, però si inceppò, finirono i colpi, non lo so questo, questo non lo so, non lo so dire, però è stato fortunato, la pistola non ha esploso più, però da dietro i cespugli ci arrivavano fumogeni, bombe, di tutto, pietre, bulloni, di tutto. Sì, sì, io ho personalmente, ho visto tre o quattro persone ma tutti incappucciati con caschi integrali, tutti, erano sette, otto metri più indietro e loro poi iniziarono a scappare verso la vallata e non li ho più visti". Coerenti con questa deposizione sono le dichiarazioni rese da Ciro Esposito alla criminologa Tibullo incaricato dalla famiglia di sentirlo per cercare di raccogliere elementi di prova per ricostruire i fatti. Dall’ ascolto della registrazione fatta in ospedale dalla Tibullo durante il decorso postoperatorio di Ciro Esposito, un giorno in cui il ragazzo stava particolarmente bene, il venticinque maggio del 2014, si desume che costei, insieme agli avvocati della famiglia, lo aveva interrogato, prima parlando in generale, per vedere se era in grado di rispondere e di capire le domande, e poi addentrandosi sui fatti specifici oggetto del processo. E allora aveva rivolto una domanda precisa a Esposito Ciro, cioè esattamente gli aveva chiesto chi gli avesse sparato: "Lui ci raccontò perfettamente che era andato con quattro suoi amici a vedere la partita Napoli - Fiorentina, perché dice che lui amava il pallone e avevano parcheggiato vicino, a pochi chilometri dallo stadio. Mentre si recavano per andare nella direzione dello stadio, ad un certo punto sentono urlare delle persone, però non capiva che cos’era, che cosa stava succedendo e immediatamente lui con questi suoi amici dice che si trovava nella carreggiata opposta dell’autobus, si è messo a correre. Lui diciamo ha scavalcato il guardrail e immediatamente si è ritrovato una persona che lui definisce "u chiattone" che era pelato e che mi descriveva avere dei guanti. Ma me lo ha descritto molto bene, vestito di scuro, me l’ha descritto molto bene". A quel punto la Tibullo ha mostrato al giovane la fotografia del De Santis, che ovviamente ormai era nota perché pubblicata sui giornali, e dice… "La persona ritratta in foto è quella di cui mi stai parlando ?" E il De Santis: "E’ questo, è questo il "chiattone" che mi ha sparato".

La Corte, poi, ha avuto a disposizione le perizie, esperite con incidente probatorio, e le consulenze tecniche. Le perizie sono varie, sui diversi aspetti tecnico-scientifici dei fatti oggetto di accertamento: il GIP ha espletato una perizia sulla dinamica delittuosa svolta dal tenente colonnello Fratini, una perizia biologica svolta dal dottor D’Errico, una perizia balistica svolta dal generale Cerati, sull’arma e sui proiettili, e una perizia microscopica svolta dalla dottoressa Salis e dal dottor Scatamacchia sulle tracce biologiche. La Corte si è avvalsa anche della consulenza disposta dal Pubblico Ministero in sede di indagini preliminari e affidata al professore Ciallella Costantino, consulenza medico legale che il professor Ciallella ha svolto in un primo momento sulla persona di Ciro Esposito e poi sul suo cadavere, e poi anche sugli altri feriti, cioè sulle persone che hanno riportato lesioni a vario titolo a seguito dei fatti delittuosi, che sono appunto il De Santis, Alfonso Esposito e Fioretti. Il professore Ciallella ha riferito, per quanto riguarda il De Santis, che lo stesso ha subito sostanzialmente quattro tipi di lesioni. Ha ricevuto intanto una serie di traumatismi pluri-distrettuali di tipo contusivo con ecchimosi ed ematomi che sono stati arrecati sicuramente con mezzi contusivi e corpi contundenti; ha ricevuto anche una serie di lesioni superficiali, di natura diversa, tali da non essere state rilevate al momento del ricovero in ospedale, in corrispondenza della coscia e del fianco di destra e di sinistra, che sono sicuramente frutto di ferite penetranti prodotte da arma bianca; poi ha avuto una ferita lacero-contusa a carico della regione frontale, che può essere sicuramente qualificata come sfregio ed è attualmente affetto da una osteomielite cronica in esito a un focolaio fratturativo riportato a carico della gamba destra, che sicuramente provocherà una malattia certamente o probabilmente insanabile, con indebolimento significativo della funzione deambulatoria. La deposizione del professore Ciallella è stata importante in ordine alla ricostruzione dei fatti con particolare riferimento alla chiusura del cancello che delimita Viale Tor di Quinto con il vialetto che porta poi al Ciak e al Circolo Boreale. Il Ciallella su questo punto, sollecitato dal Pubblico Ministero, ha dato una sua precisa spiegazione della dinamica. Questo cancello, secondo le dichiarazioni rese dal De Santis, era aperto e lui, durante la fuga, aveva cercato di chiuderlo, per evitare ovviamente di essere raggiunto, ma nel tentativo di chiuderlo si era procurato la frattura al piede che poi avrebbe avuto ulteriori conseguenze a causa del pestaggio dei tifosi napoletani. Ma il consulente Ciallella ha prospettato una ricostruzione diversa della dinamica: "la frattura del piede riportata dal De Santis, ha comunque un momento cinetico relativo al corpo, quindi io quello che… Anche nell’esperienza traumatologica comune, per questo tipo di frattura, queste diciamo legate al corpo in movimento in genere, e la caduta il momento fondamentale, lo schiacciamento non sarebbe stato sufficiente". Il consulente Ciallella ha smentito, quindi, la tesi del De Santis, secondo cui egli nello scappare avrebbe cercato di chiudere il cancello e si sarebbe schiacciato il piede in questo tentativo, poiché la frattura riportata avrebbe invece più plausibilmente una natura di tipo cinetico, sarebbe stata causata cioè da una caduta con tutto il peso del corpo piuttosto che dalla compressione provocata da un cancello, ancorché pesante. Il dottor Ciallella ha visitato anche Alfonso Esposito, ferito al primo dito della mano destra. A domanda del Pubblico Ministero, su dove si trovava Alfonso Esposito quando è stato attinto dallo sparo, se cioè era vicino al De Santis, il consulente ha risposto: "la estrema vicinanza degli spari deve essere supposta anche da parte di Esposito Alfonso, il cui sangue è addirittura presente sulla parte inferiore della pistola... E la cui giacca antipioggia è risultata nettamente positiva ai residui dello sparo". Quanto a Gennaro Fioretti, essendo stato attinto da due proiettili, egli ha riportato due ferite di maggiore entità, descritte nel relativo capo di imputazione, una al braccio e una al polso. Circa la posizione del Fioretti rispetto agli altri corrissanti e in particolare rispetto al De Santis e a Ciro Esposito, alla domanda del PM: "ci può dire se la dinamica dello sparo implica il fatto che Fioretti Gennaro fosse comunque vicino all’area di fuoco ?", la risposta del consulente è stata: "sì, questo lo posso confermare senz’altro, tenendo conto di tutti gli elementi, anche diciamo di quelli extra biologici e comunque in prossimità, tenendo conto che sono anche due colpi in rapida successione, perché di fatto sinistra-destra sono due colpi e tenendo anche presente che le traiettorie balistiche extra terminali tendono comunque alla divergenza. Quindi per essere stato attinto da due proiettili in due segmenti cosi ravvicinati, la vicinanza è da assumere come il dato caratterizzante ". Piu complesso il quadro per Ciro Esposito. Dalla consulenza esperita prima sulla persona e poi sul suo cadavere, è emerso che il predetto è morto il venticinque giugno, a seguito di un decorso post-operatorio lungo e purtroppo inutile, che è stato colpito non da uno, ma da due colpi, di cui uno, mortale, quello all’emitorace destro, l’altro alla mano sinistra, che è stato classificato come un proiettile di striscio, avendone l’aspetto tipico, detto del "semicanale", che si è formato nel punto in cui il proiettile ha sfiorato la mano. Richiesto su dove si trovasse Ciro Esposito nel momento in cui è stato attinto dai due colpi di arma da fuoco, il consulente Ciallella ha risposto che sicuramente si trovava in una posizione compresa tra i trenta e i cinquanta centimetri di distanza dal soggetto che ha sparato, come dimostrato dalle caratteristiche del foro di entrata al torace e dal tipo di ferita alla mano. Alla domanda se lo sparatore si trovasse allo stesso livello della vittima o se per caso fosse a terra, la risposta è stata: "le due persone erano più o meno allo stesso livello, in stazione eretta entrambi". Cioè entrambi erano in piedi, quindi a conferma della dinamica descritta dai testi oculari, tra i quali e da annoverare anche Raffaele Puzone, che è stato sentito dal GIP, con incidente probatorio nell’udienza del 6 giugno 2014, (e le cui dichiarazioni sono pienamente utilizzabili non risultando lo stesso essere stato mai indagato).

Puzone è persona che è presente ai fatti, seppur in una posizione arretrata rispetto al gruppo di tifosi napoletani che ha raggiunto il De Santis, di cui non faceva parte, anche se li conosceva di vista. È stato lui, assieme ad altre due persone, a prestare soccorso a Ciro Esposito e a portarlo a braccia fuori dal vialetto, scena ripresa dal filmato visionato dalla Corte. Secondo la sua deposizione egli, all’inizio della vicenda, stava percorrendo lo stesso cammino del gruppo di Ciro Esposito, leggermente indietro rispetto a loro di qualche decina di metri. Si trovava all’uscita di un parcheggio in terra battuta, che è situato qualche decina di metri prima del punto dove poi Ciro Esposito e gli altri hanno attraversano la strada, come raffigurato da una foto visionata dalla Corte, che mostra un gruppo di tifosi, tra cui anche Ciro Esposito, riconoscibile da un vistoso zainetto in spalla. il Puzone quindi si trovava all’uscita di quel parcheggio e il gruppo di Ciro Esposito e gli altri, invece, a una decina di metri circa più avanti. Egli era situato in modo da poter vedere attraverso il varco tra il pullman oggetto dell’attacco del De Santis e il mezzo che lo precedeva immediatamente nella colonna formatasi e quindi aveva una visuale diretta sul campo di azione del De Santis, successivamente campo d’azione di Ciro Esposito e degli altri. Ha potuto vedere, cioè, quello che nel video visionato dalla Corte, non è visibile, dopo l’ingresso di Ciro Esposito e degli altri nella stradina. Infatti, dopo che era passato il primo gruppo di tifosi napoletani che aveva scavalcato il guardrail, tra i quali c’era anche Ciro Esposito, lui li aveva seguiti, posizionandosi indietro rispetto agli altri, più o meno tra i due pullman, e da lì aveva assistito alla fase finale della scena. Egli, sostanzialmente, attratto come gli altri dall’esplosione dei fumogeni, ha sentito le urla del De Santis che offendeva e invitava le persone che stavano sul pullman a scendere, minacciandole di ammazzarle, quindi, dopo il fragore delle esplosioni, dopo le urla e le minacce del De Santis, ha visto il gruppo dei tifosi, tra i quali anche Ciro Esposito, accorrere e si è avvicinato alla stradina che conduce al Ciak Village, senza inoltrarvisi. Quando, diradatosi il fumo dei petardi, ha recuperate la visibilità, ha notato la sagoma del De Santis, descritto quale persona corpulenta, che già si era avviata, correndo, seppur non a velocita eccessiva, verso l’interno, ha visto gli altri che lo inseguivano, ha visto che stavano per raggiungerlo e, ad un certo punto, ha visto che il De Santis perdeva l’equilibrio, si rialzava e nel rialzarsi estraeva direttamente la pistola. Alla vista della pistola, come tutti gli altri, secondo quanto raccontato anche dal Pinto, si è riparato dietro la sagoma del pullman, perché si trovava appunto tra il pullman e un furgone, ha sentito i quattro spari e quando gli spari sono cessati si è riaffacciato vedendo, a questo punto, una situazione di quiete, ovvero un corpo a terra che altre due persone vicine non riuscivano da sole a sollevare, si era quindi avvicinato anche lui, e avvedendosi che si trattava della persona che lui conosceva di vista, ovvero Ciro Esposito, ha aiutato gli altri a tirarlo su e insieme a loro lo ha trascinato, (come rappresentato nel filmato visionato dalla Corte), fino al centro della carreggiata, dove tutti insieme hanno atteso l’arrivo dell’ambulanza.

In sede di incidente probatorio, come detto, sono state esperite quattro perizie. Innanzitutto la perizia balistica che ampiamente riferisce circa le caratteristiche della pistola, il fatto che recasse matricola abrasa, il fatto che effettivamente aveva esploso quattro colpi, come comprovato dal rinvenimento a terra dei relativi bossoli, oltre a una pallottola inesplosa. Tutti questi reperti vengono indicati come univocamente riferibili alla pistola successivamente rinvenuta. Nell’esame innanzi al GIP il perito ha dato ampi riscontri anche delle modalità con le quali è stata rinvenuta l’arma: come risulta anche dalle fotografie scattate dal teste Martinelli, la pistola viene rinvenuta scarrellata, cioè con tutto il carrello portato indietro e la canna nuda esposta in avanti. Il perito ha spiegato che questa è la posizione che assume la pistola quando sono stati esplosi tutti quanti i colpi in quanto a quel punto c’è un meccanismo che blocca l’arma in fase di quiete. Per quanto riguarda il proiettile inesploso trovato a terra, ha riferito chiaramente lo stesso perito che per cadere a terra inesploso, deve essere stato, come si dice in gergo, "scarrellato", cioè in qualche modo l’utilizzatore dell’arma ha portato indietro il carrello mentre già c’era un colpo in canna e il proiettile è stato espulso. Nella ricostruzione del perito tale espulsione, stante le caratteristiche di funzionamento di una pistola semiautomatica, deve essere avvenuta o prima di esplodere il primo colpo o dopo aver esploso l’ultimo, dal momento che si è trattato di quattro spari consecutivi esplosi senza soluzione di continuità. La prima ipotesi consiste nell’ azione dello sparatore che, dimentico di aver già spinto il colpo in canna, tirando indietro il carrello per azionare la pistola, forse data la concitazione del momento, con gesto automatico e irriflesso "scarrella" nuovamente provocando, così, l’espulsione del colpo in canna che rimane inesploso. L’altra ipotesi è che l’arma si sia inceppata al momento di esplodere il quinto e ultimo colpo e che lo sparatore, per disincepparla, abbia azionato il carrello, espellendo così il colpo in canna. In questa ipotesi il proiettile fuoriesce, non ce n’è però uno successivo e quindi la pistola rimane bloccata con il carrello tirato indietro, nella posizione in cui poi è stata rinvenuta, posizione che assume, comunque quando non ci sono più colpi nel caricatore. Stando alla deposizione del teste Pinto, questa sarebbe la ricostruzione più accreditabile.

È stata svolta poi dal GIP la perizia biologica, cioè la perizia sui DNA estratti dalle tracce biologiche presenti sugli oggetti rinvenuti sulla scena del crimine. Essa ha accertato che le varie macchie di sangue che sono state rinvenute, (in particolare un esteso imbrattamento, cosi descritto dalla Polizia scientifica che lo ha fotografato) rilevate per terra in prossimità del luogo dove sono stati trovati i bossoli e altri reperti, dove verosimilmente il De Santis ha stazionato più a lungo, perché lì si sono svolte un paio delle quattro o cinque ondate di aggressione nei suoi confronti, probabilmente proprio quelle più violente; dette tracce ematiche sono riferibili al De Santis. Il perito ha acclarato la presenza di tracce del DNA del De Santis in una serie di reperti, per esempio c’è un collo di bottiglia che viene rinvenuto all’interno del giardino del Ciak Village che reca tracce di sangue di De Santis; c’è un coltello che viene ritrovato successivamente all’esterno perché qualcuno evidentemente l’aveva preso, portato via con sé e poi se n’è disfatto andando verso lo stadio, che reca degli aloni di sangue di De Santis. Ci sono dei bastoni recuperati all’interno del Ciak Village nel giardino e un manico di una scopa in alluminio, che recano tutti quanti tracce ematiche di De Santis. Poi c’è un berretto marca Atlantis che viene trovato nei pressi del luogo dove sono stati esplosi e rinvenuti i bossoli, alle spalle del punto dove, con elevato grado di credibilità, si trovava il De Santis quando ha sparato, berretto che pure è a lui attribuibile perché reca all’interno delle tracce di sudore e di epidermide nelle quali e stato riscontrato il suo DNA. All’interno del Ciak Village sono stati rinvenuti anche due guanti neri di pelle; uno dei due, il guanto sinistro, reca all’interno tracce di sudore e di epidermide riferibile a De Santis, si tratta delle normali tracce che rimangono sugli indumenti dopo averli indossati. Entrambi i guanti non recano tracce ematiche, né all’interno, né all’esterno. È risultato dalla perizia biologica che la pistola presenta due gruppi di tracce ematiche. La parte posteriore, quindi il calcio, la zona che copre il grilletto, il grilletto, la parte zigrinata che sta in fondo al carrello, recano tracce di sangue riferibili al De Santis. Sulla parte anteriore della pistola invece sono presenti tracce di sangue di Esposito Alfonso, sia su quella parte di canna che rimane nuda per effetto dell’arretramento del carrello, sia sulla parte anteriore del carrello. Ancora, altre tracce di sudore da cui è stato estratto il DNA di Ciro Esposito, sono state rinvenute all’interno del cappello marca Y3, che è, quindi, quello calzato da Ciro Esposito che però reca poi sulla visiera una traccia di sangue appartenente a De Santis. Si tratta, questo è stato chiarito bene anche dal consulente della difesa del De Santis, di un alone di sangue, di una strisciatura di sangue, quindi non è una macchia, non è uno schizzo, non è una goccia, è un alone di sangue, come se il cappello avesse lambito una qualche superficie dove si trovava del sangue di De Santis. Il cappello Franklin Marshall, rinvenuto anche questo in prossimità del punto dove sono stati esplosi i colpi d’arma da fuoco, reca all’interno tracce di sudore da cui è stato estrapolato il DNA di Gennaro Fioretti. E poi, tra i reperti, c’è una giacca a vento, imbrattata del sangue di Alfonso Esposito, riconosciuta come propria da lui stesso.

In incidente probatorio è stata esperita anche una perizia di microscopia elettronica, che serve per rilevare le tracce caratteristiche dello sparo, che consente, cioè di rilevare sulle mani delle persone sottoposte a stub, metodo di prelievo delle particelle-spia dalle mani delle persone o su indumenti, se c’è stata o no esposizione a polvere da sparo. In tale perizia, eseguita da appartenenti al RIS dei Carabinieri, si distinguono due tipi di possibili risultati: il rilievo di particelle di metallo, solamente compatibili con detta esposizione, o il rilievo di particelle caratteristiche, univocamente riferibili all’esposizione alla nube gassosa provocata da uno sparo di arma da fuoco. Sono caratteristiche quelle che contengono il piombo, il bario e l’antimonio, sono solo compatibili quelle che contengono solo due di questi tre elementi. Dalla perizia microscopica è risultato che dallo stub sulle mani del De Santis sono state rilevate circa cento particelle, tutte quante compatibili, ma non univocamente riferibili a uno sparo di arma da fuoco, mentre particelle caratteristiche, univocamente riferibili allo sparo di arma da fuoco sono state rilevate sui suoi guanti, la coppia di guanti rinvenuta all’interno del Ciak Village e repertati. Sono l’unico indumento del De Santis che riporta tracce univoche di sparo di arma da fuoco, tracce caratteristiche non rinvenute né sulle mani, né sulla felpa, né sul passamontagna, né sul berretto del De Santis, su cui sono state rilevate solo particelle compatibili. Un altro indumento che ha particelle univoche, riferibili esclusivamente allo sparo di arma da fuoco, è la giacca di Alfonso Esposito, così come il berretto Y3 che aveva in testa Ciro Esposito su cui sono state rilevate dieci particelle univoche. Sul berretto Franklin e Marshall del Fioretti e sulle sue mani invece sono state rilevate dieci particelle soltanto compatibili, così come sulle mani e sugli indumenti della Baglivo. Sulle mani del De Rosa, che ha dichiarato di aver maneggiato la pistola, perché ad un certo punto l’ha raccolta da terra, è stata rilevata una particella univoca e cinque particelle compatibili, mentre sui suoi abiti sono state rilevate particelle soltanto compatibili.

Dalla perizia balistica, da raccordare con la consulenza medico-legale del professor Ciallella, di cui si è già parlato, si è rilevata la presenza di cinque proiettili sulla scena del crimine: quattro sono stati esplosi, uno e inesploso, quindi l’imputato ha sparato quattro colpi, che coincidono con le quattro esplosioni avvertite dai testi e dalla Corte stessa visionando il video Azzarelli. Quattro esplosioni di colpi che hanno provocato in totale cinque ferite, perché verosimilmente lo stesso proiettile ha causato due ferite al Fioretti, una al braccio destro, che lo ha trapassato dall’interno verso l’esterno e l’altra al polso sinistro. Il medico legale ha spiegato che è plausibile che sia stato attinto prima il polso della mano protesa a difendersi, e poi il braccio. Alfonso Esposito, invece, ha riportato una ferita di striscio al primo dito della mano destra con la caratteristica scanalatura all’incavo tra il pollice e l’indice. Anche Ciro Esposito è stato attinto da due colpi di arma da fuoco, uno al torace e uno alla mano sinistra. Il medico legale ha riferito, a proposito della traiettoria di questo proiettile, che è stato sparato ad altezza d’uomo da soggetto che si trovava in piedi di fronte a Ciro Esposito, in piedi a sua volta. Il fatto poi che Ciro Esposito sia stato attinto non frontalmente ma nel lato destro del torace e riconducibile all’istintivo gesto di rotazione su sé stesso da destra verso sinistra compiuto per sottrarsi al tiro della pistola che era puntata contro di lui che lo ha esposto in modo leggermente laterale rispetto al colpo che ha subito.

Infine con incidente probatorio un esperto in scienze criminalistiche, facente parte del R.A.C.I.S. dei Carabinieri, il tenente colonnello Paolo Fratini, è stato incaricato di operare, sulla base dei dati tecnici acquisiti, la ricostruzione della dinamica dei fatti. Premesso che, pur potendosi avvalere di tutti gli apporti scientifici che ritenga utili, la ricostruzione ultima dei fatti compete al Giudice e non ad altri e che il Giudice e il "peritus peritorum" , deve cioè sottoporre sempre a vaglio critico-logico le risultanze dell’attività peritale, la Corte osserva che in realtà detto perito non ha solo utilizzato le altre perizie teste illustrate per la sua ricostruzione, ma anche tutto il materiale probatorio rinvenuto nel fascicolo degli atti di indagine compiuti fino allora, trasmesso al GIP per svolgere gli incidenti probatori, ivi comprese le sommarie informazioni testimoniali e la documentazione sanitaria, da lui visionata però solo in parte perché quella completa era nel frattempo nella disponibilità del consulente Ciallella. Egli aveva a disposizione soltanto i certificati medici per cui nella sua relazione lamenta la lacunosità di detta documentazione tanto da avere avuto notizia solo dal difensore del De Santis delle "gravi ferite da arma da taglio" riportate dallo stesso nell’ occorso. Quindi ha analizzato i dati scientifici, prove documentali incomplete e alcune prove dichiarative, ancora parziali, che lo hanno portato a concludere, per esempio, che ci siano state solo due ondate di aggressione nei confronti del De Santis dopo che lo stesso aveva sparato, mentre la teste Baglivo e il De Rosa hanno riferito che in realtà le ondate sono state almeno quattro. Ciononostante la perizia Fratini per diversi passaggi è attendibile, sebbene, non conoscendo elementi testimoniali che in quel momento non erano confluiti nel fascicolo a sua disposizione, esclude che il De Santis potesse indossare i guanti al momento in cui maneggia la pistola mentre il teste Domenico Pinto, ha riferito in dibattimento, all’udienza del 26 gennaio 2016, proprio che il De Santis al momento in cui maneggiava la pistola utilizzava i guanti. Dà quindi una serie di spiegazioni, basate su questo presupposto, con riferimento alle tracce di sangue del De Santis rinvenute sul calcio della pistola. Il perito afferma che il De Santis lascia tracce del proprio sangue sulla pistola perché, nel momento in cui la estrae ha, in qualche modo, la mano sporca di sangue, il che vuol dire che non indossa guanti e che è stato ferito prima di estrarre la pistola. C’è da dire però che, seppure i guanti ritrovati all’interno del Ciak Village sicuramente appartengono a De Santis perché dentro ci sono le tracce del suo sudore e della sua epidermide da cui si è estratto il suo DNA, detti guanti ad un certo punto gli devono essere caduti per terra dopo che lui stesso o un soccorritore glieli ha sfilati. I guanti, come illustrato dalle foto della Polizia scientifica, vengono rinvenuti distanti tra loro e all’interno del Ciak Village, all’interno del giardino, non sul luogo in cui sono stati sparati i colpi. Poi la forma in cui vengono rinvenuti poggiati a terra e quella di guanti strappati frettolosamente dalle mani, sfilati senza neanche tirarli per le punta delle dita, come normalmente si fa, ma facendoli scorrere partendo dal collo del guanto verso il polso. Infatti sono rattrappiti, ripiegati su sé stessi e in parte con le dita rientrate all’interno della parte che ricopre il palmo della mano, che è la forma tipica che assume il guanto quando viene sfilato di fretta. La circostanza che ha riferito il teste Pinto, e cioè che i guanti erano indossati dal De Santis al momento in cui maneggiava la pistola, deve ritenersi quindi attendibile non solo perché confermata dal reperimento dei guanti nelle condizioni descritte, ma anche perché sono l’unico indumento del De Santis che presenta le tracce caratteristiche di sparo di arma da fuoco. Le uniche tracce univoche, esclusivamente riferibili allo sparo si trovano proprio sulla parte esterna di detti guanti. Questi dati divergono dalla corrispondente ricostruzione del perito Fratini e del consulente della difesa, anch’egli sentito dalla Corte, secondo cui i guanti erano invece da qualche parte, in qualche tasca dei vestiti di De Santis, prima di cadere per terra, ma ciò è altamente improbabile perché negli indumenti del De Santis, e in particolare nelle tasche, dove pure è stato reperito un passamontagna, tracce univoche di residui di sparo non ce ne sono, mentre ce ne sono soltanto sui guanti, sulla parte esterna, più esposta ai residui di sparo: se ne deve desumere che erano calzati dallo sparatore. Allora però, accertato che lo sparatore indossava i guanti, si dimostra sbagliata l’altra parte della ricostruzione peritale perché se indossando i guanti il De Santis fosse stato ferito, il sangue sarebbe stato trovato non solo sul calcio della pistola, ma anche sui guanti, mentre sui guanti non c’è traccia di sangue alcuna, né del De Santis, né di altri. Evidentemente il perito ritiene che il de Santis sia stato ferito, si sia toccata la ferita, avvertendo il colpo, si sia sporcata la mano di sangue, abbia estratto la pistola e abbia trasferito il sangue dalla ferita al calcio della pistola. Ma è evidente che non può essere andata così una volta accertato che indossava i guanti, perché, altrimenti, si sarebbero dovute trovare sui guanti, oltre alle tracce della polvere da sparo, anche tracce di sangue che invece sono assenti. Il sangue rinvenuto sul calcio della pistola e viceversa giustificabile secondo un’altra dinamica, che in parte è stata in qualche modo indicata da De Santis stesso nell’interrogatorio reso. Va rimarcato che sono state rilevate sulla pistola, precisamente sul calcio, non solo le tracce del sangue del De Santis, ma altresì sulla canna dell’arma anche le tracce del sangue di Alfonso Esposito. Allora l’unica ricostruzione dei fatti che consente una logica e coerente collocazione dinamica dei dati acquisiti è che il De Santis è stato ferito successivamente all’esplosione dei colpi, cioè che Alfonso Esposito, ferito alla mano destra tra il pollice e l’indice per effetto di un colpo di pistola di striscio, ha afferrato con la mano insanguinata la canna della pistola, la ha tolta dalle mani del De Santis e lo ha colpito in fronte con il calcio dell’arma, come del resto ha dichiarato lo stesso De Santis. Questo è il motivo per cui sul calcio della pistola, su tutta la parte posteriore sono state rinvenute le tracce del sangue del De Santis. Infatti la fronte, come illustrato dal consulente Ciallella è una zona particolarmente irrorata da vasi sanguigni e una ferita del tipo di quella riportata dal De Santis, che tra l’altro ha la forma tipica di una virgola quasi chiusa, risulta compatibile con un corpo contundente di forma corrispondente al calcio di una pistola e deve necessariamente aver prodotto un’immediata e consistente perdita di sangue, tale da lasciare tracce sulla parte posteriore della pistola. L’altro dato per cui appare certo che Alfonso Esposito ha afferrato la pistola dopo che la stessa ha sparato e che l’arma è stata rinvenuta scarrellata, cioè con il carrello tratto tutto indietro e con la canna nuda, in posizione di quiete, dopo che si erano esauriti i colpi e il caricatore era stato svuotato. Tracce del sangue di Alfonso Esposito sono state rinvenute sulla canna nuda e anche sulla parte anteriore del carrello: l’unico modo per giustificare la presenza di sangue sulla canna nuda e ritenere che la pistola sia stata già in quella posizione nel momento in cui Alfonso Esposito l’ha presa, altrimenti ci sarebbero state tracce di sangue sul carrello, ma non sulla canna nuda. Il fatto che ci siano su entrambe vuol dire inequivocabilmente che la pistola era già in quella posizione, quando Alfonso Esposito la ha afferrata dopo che il De Santis aveva esaurito i colpi.

Tutte queste considerazioni, quindi, portano a escludere che vi sia stato un qualche tipo di ferimento del De Santis prima che egli estraesse la pistola. Infatti non è seriamente prospettabile l’ipotesi che il De Santis e la sua difesa hanno cercato di accreditare secondo cui le ferite da punta sulle natiche del De Santis, (le "puncicature", nel gergo degli ultras) gli siano state inferte prima che sparasse, perché i testimoni oculari al momento del contatto col De Santis non hanno visto alcun tipo di movimento di Ciro Esposito e dei suoi sodali riferibile ad un accoltellamento, mentre tutti, concordemente, hanno percepito il repentino gesto del De Santis di girarsi e contemporaneamente di tirare fuori la pistola e sparare. E poi quelle ferite sono superficiali, nemmeno sono state rilevate e refertate al pronto soccorso e quando sono state rilevate e refertate, cioè a sera tardi, al reparto di degenza, non sono state trattate chirurgicamente, come riferito dal medico legale. Essendo superficiali e inferte nello spesso tessuto adiposo di un individuo obeso, e praticate in una parte del corpo coperta dai vestiti, esse non avrebbero mai potuto produrre un sanguinamento tale da sporcare di sangue la mano dell’accoltellatore. Quindi anche quelle ferite da coltello verosimilmente si collocano in una fase successiva, e cioè nel corso delle varie aggressioni di cui è stato oggetto De Santis che si trovava riverso in terra dopo la caduta e ha sicuramente offerto il fianco e la schiena agli aggressori nel tentativo di trascinarsi arrancando con le mani per terra, per allontanarsi sempre di più dai suoi aggressori e guadagnare la salvezza. Del resto i testi che più da vicino e con più completezza hanno ricostruito la vicenda, insieme anche al video di Azzarelli, non consentono di inserire nella tempistica dell’aggressione, cioè nella dinamica del contatto che c’è tra Ciro Esposito, il Fioretti e Alfonso Esposito, un qualche tipo di colluttazione grave che possa aver prodotto un sanguinamento del De Santis. Mentre gli altri testi sul punto non hanno riferito alcunché, solo il Pinto ha detto che ad un certo punto Ciro Esposito ha raggiunto il De Santis, forse gli ha dato uno schiaffo, forse un pugno, ma niente che possa aver provocato un sanguinamento tale da trasferirsi in più passaggi successivi, prima sulle mani del De Santis, peraltro guantate, e poi sul calcio della pistola. lnfatti, visionando il video girato dal teste Azzarelli, ci si rende conto che i tempi sono particolarmente ristretti.

Un consulente di una parte civile ha misurato il tempo che intercorre tra quando Ciro Esposito scavalca il guardrail e quando si sente il primo dei quattro spari. Questo tempo è stato calcolato in 7 secondi e 69 centesimi, mentre la distanza percorsa prima del contatto è di 50 metri e 98 centimetri, fino al punto in cui sono stati rinvenuti i bossoli. Tempi così ristretti bastano solo per percorrere la distanza e nel momento in cui gli inseguitori hanno raggiunto il fuggitivo, nel momento in cui Ciro Esposito che era il primo ha forse messo le mani addosso a De Santis, o placcandolo, come riferito dal Ferrante, o dandogli uno schiaffo, come riferito dal Pinto, niente di più di questo può essere accaduto. Il teste Ferrante, nella sua deposizione ha riferito che dal momento in cui ha visto Ciro Esposito che in qualche modo arrivava a toccare il De Santis, mettendo le mani sulle sue spalle afferrandolo da dietro, a quando aveva perso di vista la scena, perché subito dopo i fumogeni esplosi avevano oscurato la visuale e aveva sentito gli spari, ha calcolato il tempo intercorso in tre, quattro secondi. Questa è un lasso di tempo insufficiente perché possa essere accaduto tutto quello che ha riferito il De Santis, che cioè un energumeno, quindi non Alfonso Esposito, le cui caratteristiche fisiche non corrispondono a tale descrizione, ha tirato fuori una pistola, gliela ha sbattuta in testa, dopodiché c’è stata una colluttazione, a seguito della quale è riuscito a strappargliela di mano e a sparare. Tra l’altro i tempi si restringerebbero anche di più se lo scarrellamento che ha fatto perdere il quinto proiettile inesploso fosse avvenuto all’inizio piuttosto che alla fine della sparatoria e il teste Pinto ha dichiarato che il De Santis ha provato a sparare ancora dopo che si era inceppata la pistola. Peraltro, a smentire le dichiarazioni del De Santis, c’è da considerare che chiunque porti con sé una pistola e ne abbia quindi qualche dimestichezza, mai la brandirebbe per la canna carica e col colpo in canna per colpire qualcuno, essendo elevatissimo il rischio che così facendo faccia partire un colpo diretto proprio contro di sé. Del resto dette dichiarazioni risultano contraddette da quelle rese ad Angela Tibullo da Ciro Esposito che lo riconosce come colui che l’ha attinto con due colpi d’arma da fuoco, da quelle di Domenico Pinto, che è testimone a pochi metri dai fatti, lo vede sparare, gli vede puntare l’arma e sparare non alla cieca, ma mirando al corpo di Ciro. È falso pure quanta dichiarato dall’imputato a proposito della pistola, che cioè non fosse sua. Non è vero, perché quando l’ispettore Carlaccini, che è il primo poliziotto a intervenire sul teatro dei fatti, lo ha interrogato sull’arma, il De Santis ha detto di ignorare la presenza di una pistola. Ebbene, se la pistola non fosse stata sua avrebbe avuto tutto l’interesse a dire esattamente il contrario e a raccontare quanta invece dichiarato alla Corte e cioè che c’era una pistola, con cui qualcuno lo aveva colpito in testa, che si era difeso, aveva dovuto prenderla, strapparla di mano all’aggressore e difendersi sparando. Invece tutto ciò non è stato detto al Carlaccini che ha dovuto fare una perquisizione per trovarla, finché la Baglivo non gliela ha indicata. Altra menzogna è quella relativa al cancello che delimita la stradina con Viale Tor di Quinto, che il De Santis avrebbe cercato di chiudere e sotto cui si sarebbe schiacciato il piede, secondo la sua versione dei fatti. A giudizio della Corte, si tratta di una ricostruzione di comodo volta a dimostrare che egli cercava di difendersi da aggressori così violenti da rompere il cancello, entrare e aggredirlo mentre lui cercava solo di difendersi, ma non è vera. Infatti il professore Ciallella ha accertato, in base alle sue competenze tecnico­ scientifiche, che la frattura al piede del De Santis non è stata provocata da schiacciamento, bensì da una rovinosa caduta, a cui ovviamente poi si sono aggiunti colpi violenti durante il pestaggio subito da parte dei tifosi napoletani sopravvenuti quando sono cessati gli spari e i feriti sono stati allontanati. Lo svolgimento dei fatti, ricostruito al di là di ogni ragionevole dubbio dalla Corte in base alle prove documentali, testimoniali e scientifiche acquisite è diverso. La presenza di uomini nascosti nella stradina che conduce al Ciak Village che attendono i tifosi napoletani che inseguono il De Santis lanciando contro di loro bombe carta e ogni sorta di sassi e oggetti vari è certa perché testimoniata dalle deposizioni di più persone, anche da punti di osservazione diversi. Essi non sono stati identificati perché allontanatisi dal teatro degli accadimenti prima dell’intervento della Polizia, subito dopo gli spari, così come non sono stati identificati i tifosi napoletani che, in più ondate, hanno infierito sul De Santis una volta disarmato, a terra e inerme, nell’impossibilita di muoversi a causa della frattura. È altrettanto certo che i soggetti nascosti alla vista della tifoseria napoletana fossero ultras romanisti, essendo la tifoseria romanista ostile a quella napoletana per fatti risalenti nel tempo, con atti anche violenti di animosità reciproca protrattisi negli anni. È del pari certo che costoro non potevano trovarsi casualmente in quel posto appartato, conosciuto e familiare solo al De Santis e purtroppo lasciato privo di qualsiasi presidio da parte della Polizia (benché fosse noto alla stessa che si trattava della "tana" di un pericoloso e facinoroso ultras), proprio nel momento in cui vasti raggruppamenti della tifoseria napoletana gli passavano davanti per raggiungere lo Stadio Olimpico. È certo, quindi, che detti "supporters" romanisti erano stati convocati da lui, per organizzare un vero e proprio agguato contro l’invisa tifoseria partenopea, agguato cessato immediatamente quando, al termine della sparatoria, i tifosi napoletani accorrevano in numero soverchiante. Come e quando si sia organizzato l’agguato non è dato sapere alla Corte, ma in realtà, si tratta di circostanza che non rileva. In ogni caso la Corte conosce i prodomi degli accadimenti, risalenti alla notte "brava" precedente in cui il De Santis risulta, tra l’altro, aver assunto abbondantemente cocaina. È fatto notorio che detto narcotico produce nell’assuntore un senso di onnipotenza associato a una correlativa incapacità critica di razionale valutazione di fatti, azioni e circostanze.

Entrambi questi fattori hanno, con tutta evidenza, indotto l’imputato, nella sua azione di provocazione, a sottovalutare il grave pericolo scaturente dalla reazione voluta e sollecitata dei napoletani presenti in numero esorbitante in viale di Tor di Quinto e a sopravvalutare la sua capacità fisica di sottrarsi all’inseguimento, ma hanno al contempo influenzato la sua scellerata scelta di operare la provocazione con una pistola in tasca carica e con il colpo in canna. Chi si presenta a queste condizioni ad un evento con le caratteristiche di quello in esame prevede e accetta l’eventualità di usarla con conseguenze anche letali. E con scelta altrettanto scellerata, intraprende la sua azione di provocazione, che non si limita ad aggressioni verbali e gesti di sfida, ma si realizza con una forma di aggressione fisica nei confronti dell’odiata tifoseria consistente nell’esplosione di due bombe carta e nel tentativo di lanciarne un’altra contro un pullman di tifosi tanto pacifici da recarsi ad assistere alla partita perfino con bambini, adolescenti e un disabile al seguito. Inutilmente nel suo interrogatorio l’imputato ha cercato di accreditare la versione secondo cui egli sarebbe sceso a chiudere il cancello per evitare che i tifosi napoletani potessero introdursi nel Circolo Boreale. Tutta la serie delle deposizioni dei testimoni esaminati, il Ferrante, il Mancuso, Aquilino Palma, Camillo Cimmino riferiscono senza esitazioni che egli li apostrofava: "Venite giù, venite, venite, venite" e intanto esplodeva gli ordigni, "venite giù, venite"; detta circostanza appalesa inequivocabilmente che, invece, De Santis aveva elaborato un piano preordinato che prevedeva la provocazione contro un pullman di tifosi napoletani inermi. Quando Ciro Esposito e altri tifosi napoletani sentono le urla dei passeggeri del pullman, avvertono il pericolo, scavalcano il guardrail, la provocazione contro gli occupanti del pullman ha termine e prosegue invece contro di loro. Domenico Pinto dice che ad un certo punto, prima ancora di scappare, il De Santis si rivolge ai tifosi napoletani, cioè a Ciro Esposito, incitandoli a raggiungerlo, evidentemente per realizzare il piano già predisposto che, nel suo progetto folle, doveva concludersi con il pestaggio dei tifosi napoletani che erano corsi ad inseguirlo dentro il vialetto, là dove sarebbe stato spalleggiato da almeno sei individui non identificati che ovviamente, alla vista della moltitudine dei tifosi napoletani accorrenti, non hanno potuto fare altro che scappare. Quindi la ricostruzione dei fatti e che il De Santis lancia le bombe carta contro il pullman, si avvede dell’arrivo dei napoletani che stavano affluendo nella stradina, cerca di attrarli nell’ agguato, percorre alla velocità che gli è consentita dalla sua mole un tratto della stradina, i suoi spalleggiatori cominciano il lancio di bombe carta ed altri oggetti ma, resisi conto che i tifosi del Napoli, inizialmente nascosti alla loro vista dal pullman, si stavano riversando in numero soverchiante e minacciosi in direzione della stradina, si defilano. A quel punto il De Santis, raggiunto da Ciro Esposito e dagli altri, rimane solo, estrae la pistola e spara quattro colpi ad altezza d’uomo e, come è dimostrato dalla posizione di quiete in cui è stata rinvenuta la pistola, smette di sparare soltanto quando questa ha esaurito i colpi nel caricatore. Quando spara ha di fronte a sé un gruppo di inseguitori, che gli sono addosso; il consulente Ciallella ha valutato tra i trenta e i cinquanta centimetri la distanza a cui si trovava il più vicino che è sicuramente Ciro Esposito, ma gli altri si trovavano comunque molto vicini e verosimilmente formavano tra di loro un fronte compatto. È evidente che, se con quattro colpi il De Santis coglie cinque volte il bersaglio, considerando che uno dei colpi di striscio, verosimilmente quello che ha attinto la mano di Alfonso Esposito, ha proseguito la sua corsa e ha ferito qualcun altro, la sagoma degli aggressori doveva essere abbastanza compatta e ristretta di fronte a lui. Quindi spara nel mucchio ad altezza d’uomo, sempre all’altezza di organi vitali, perché Alfonso Esposito viene attinto alla mano, Ciro Esposito alla mano e al torace e il Fioretti viene attinto al polso e al braccio. Il Fioretti in particolare viene colto in una posizione aggressiva, mentre stava inseguendo il De Santis, verosimilmente brandendo un’asta di bandiera o qualche oggetto del genere di quelli poi rinvenuti dalla Polizia, con il braccio alzato per vibrare un colpo. La diversa, inattendibile, ricostruzione dei fatti della perizia Fratini, secondo cui il De Santis sarebbe stato in qualche modo ferito a sangue prima di esplodere i colpi d’arma da fuoco, fatta propria nelle sue tardive dichiarazioni rese in dibattimento dall’imputato, (in sede di udienza di convalida si era avvalso della facoltà di non rispondere), mira a posporre la sua reazione armata rispetto alla reazione aggressiva dei napoletani seguita alla sua provocazione, per attenuare la sua responsabilità. In realtà il sangue del De Santis è cominciato a scorrere solo dopo gli spari, o dalla frattura esposta della gamba, riportata in esito alla caduta, avvenuta sicuramente in prossimità del posto dove sono stati rinvenuti i bossoli, dopo gli spari o più probabilmente, dalla fronte, zona assai irrorata, dando luogo a quello che la Polizia scientifica correttamente descrive come imbrattamento di sangue sul terreno e il perito Frattini enfaticamente, ma impropriamente, descrive come pozza di sangue. I fatti susseguenti agli spari, al colpo inferto alla fronte del De Santis con la sua stessa arma ormai scarica, sono consistiti nel tentativo di questi di sottrarsi alla rappresaglia dei tifosi napoletani che a più ondate si sono riversati nella stradina infierendo selvaggiamente, anche con le cosiddette "puncicate" (di cui alla documentazione sanitaria) su lui, ormai inerme e steso al suolo dopo la caduta. Né può essere condivisa la prospettazione difensiva secondo cui nell’aggressione di Ciro Esposito e degli altri accorsi per primi contro il De Santis per punirlo di quanto aveva fatto, sarebbe ravvisabile un arresto in flagranza di reato da parte dei privati previsto dall’art. 383 C.P.P. 11 soccorso della Baglivo e degli altri al De Santis e l’imminente arrivo della Polizia hanno concluso la vicenda, vicenda che con lo scambio reciproco di violenze tra gruppi di tifosi romanisti e napoletani innescato dalla provocazione dell’imputato integrano viceversa gli elementi costitutivi del delitto di rissa contestato.

Per quanto riguarda l’ipotizzabilità della legittima difesa, ancorché putativa, invocata dalla difesa, la Corte osserva che gli orientamenti dominanti, ormai consolidati della giurisprudenza di legittimità sul rapporto tra il delitto di rissa e la scriminante della legittima difesa esclude sempre e comunque che in caso di rissa la scriminante possa ricorrere, perché nella rissa le parti accettano la situazione di pericolo nella quale loro stesse si sono poste (Cass. 5° sez. 9/1/2008, 2/2/2009, ex plurimis, da ultimo la Sez. 1° della Suprema Corte, con sentenza n.12740 del 20/12/2011: "l’uso della parola "necessita" nella formulazione legislativa della legittima difesa di cui all’art.52 C.P. ha una portata perentoria che esclude, dal suo rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo, ivi compreso quello in cui l’agente abbia contribuito ad innescare una sorta di duello o sfida contro il suo avversario o attuato una spedizione punitiva nei sui confronti". Nel caso di specie l’accettazione della situazione di pericolo in cui i corrissanti incorrono e sicuramente certa per il De Santis, che ne è tanto consapevole da munirsi di pistola carica e con il colpo in canna per affrontarla, ben determinato di andare a provocarla. Ma l’accettazione della situazione di pericolo rispetto alla quale poi non si può invocare la legittima difesa avviene anche da parte degli altri soggetti rissanti che aggrediscono il De Santis. Il loro comportamento è legittimo e addirittura commendevole fino a che mettono in fuga il De Santis, ma il successivo inseguimento non ha più nessuna funzione di protezione del pullman e dei sui passeggeri, esposti fino allora all’aggressione, che viene meno con il loro solo comparire sulla scena che già ottiene la cessazione dell’aggressione del De Santis, con l’interruzione del lancio delle bombe carta e il suo allontanamento precipitoso. Da quel momento in poi la protrazione dell’azione consistente nell’inseguimento e in quanto ne è scaturito non ha più nessuna funzione difensiva nei confronti di terzi, ma è solo un’aggressione punitiva nei confronti del De Santis, rispetto alla quale non può in nessun modo invocarsi la scriminante. Tra l’altro se la Cassazione afferma che tendenzialmente nella rissa non è mai configurabile l’esimente della legittima difesa, tranne in casi eccezionali, perché in essa tutti i soggetti coinvolti danno causa, con il proprio comportamento, alla situazione di pericolo, dice pure che nelle rare situazioni in cui, in astratto, la scriminante si potrebbe configurare, occorre che la reazione del soggetto che la invoca sia delimitata dai requisiti di proporzionalità e adeguatezza fissati dall’articolo 52 C.P. La reazione del De Santis nei confronti dei soggetti che lo inseguono a mani nude o, al massimo, brandendo delle aste di bandiera, consistendo nell’estrarre una pistola e fare fuoco all’impazzata ad altezza d’uomo fino a esaurire il caricatore sicuramente non è riconducibile ai parametri di adeguatezza e di proporzionalità dettati dall’articolo 52 C.P. L’unico margine di legittima difesa che la Cassazione ammette è l’ipotesi che nel corso di una rissa, a rissa già avviata, vi sia un’azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, diversa e più grave di quella accettata, assolutamente spropositata ed esorbitante rispetto a quella messa in atto dai corissanti (Cass. Sez. 1° 14/12/1992, 26/1/1993, ex plurimis). Essa non può applicarsi nemmeno in favore degli altri imputati poiché la loro azione aggressiva è iniziata prima che il De Santis sparasse.

La Corte non può non rilevare, tenuto conto della enunciata ricostruzione dei fatti, come nelle cronache degli scontri fra tifosi avvenuti in patria, la tragica vicenda per cui è processo sia stata un unicum, prima inaudito. In altri episodi mai si è fatto uso di armi da fuoco, giungendo al massimo all’uso del coltello, ma mai usato per uccidere, bensì sempre e solo con l’intenzione di procurare ferite superficiali, come quelle subite dall’imputato, appunto le "puncicate". Ed è indubitabile che l’intensità del dolo dimostrato dal De Santis fino a lambire le forme della premeditazione, sia massima. Egli, secondo la dinamica dei fatti ritenuta dalla Corte, preordina, in concorso con altri soggetti, un vero e proprio agguato e non solo si premunisce di bombe carta, ma anche di una pistola che porta appresso carica e con il colpo in canna, perché lo sviluppo e la progressione dell’agguato progettato e tale per cui egli prevede che possa determinarsi una situazione per cui debba sparare. Quanto alla condotta degli altri imputati, per Alfonso Esposito è indubitabile che è stato lui a produrre la grave ferita alla fronte procurata al De Santis. Egli, dopo che sono finiti i colpi di pistola, mentre alcuni dei suoi compagni e altri che sopraggiungevano prestavano le prime cure a Ciro Esposito riverso in terra, ha intrapreso, assieme ad altri ancora, la prima grave aggressione nei confronti di De Santis quando era inerme, usando la sua pistola scarica, impugnata per la canna come corpo contundente, colpendo in modo molto violento almeno una volta. Quindi questa lesione è univocamente e esclusivamente attribuibile ad Alfonso Esposito e questo consente di ritenerne la responsabilità piena sia per il delitto di rissa, in cui tutti quanti concorrono, sia per le lesioni subite dal De Santis. Per quanto riguarda il Fioretti è provata la sua presenza minacciosa nella fase dell’inseguimento con il corpo atteggiato a vibrare un colpo, a brevissima distanza dal fuggitivo, come dimostrato dal fatto che egli è stato investito dalla "nube" dello sparo e dalla gravità delle lesioni riportate. Questi fatti asseverano la sua piena partecipazione alla rissa. Ritiene, quindi, la Corte che sussista, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di tutti gli imputati in ordine a tutti i reati loro rispettivamente ascritti, eccezion fatta per le lesioni inferte al De Santis diverse dalla ferita lacero contusa con ematoma frontale con esito di sfregio permanente attribuibili, con grande probabilità ad altri rissanti rimasti ignoti, intervenuti dopo gli Esposito e il Fioretti. Passando ora al trattamento sanzionatorio, al De Santis possono essere riconosciute le attenuanti generiche, da ritenere equivalenti alle aggravanti contestate, esclusivamente in considerazione delle gravissime e invalidanti lesioni riportate nell’ occorso. I delitti a lui ascritti risultano avvinti da evidente unicità di disegno criminoso e, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 C.P, in specie la scelleratezza della condotta e la forte intensità del dolo, pena equa da infliggergli è quella di anni 26 di reclusione (p.b. per il delitto di omicidio: anni 23 + mesi 2 per il capo A) + mesi 4 per il capo C) + anni 1 per il capo D) + mesi 6 per il capo F) + anni 1 per il capo E), cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Anche l’Esposito e il Fioretti sono meritevoli di attenuanti generiche (da dichiarare equivalenti alle contestate aggravanti di cui ricorrono i presupposti oggettivi e soggettivi), in considerazione sia della loro incensuratezza sia del fatto di aver subito una provocazione che, sebbene non riconoscibile come attenuante specifica per chi partecipa a una rissa (Cass. Sez. 5° 17/10/2005, 30/11/2005 n. 43382), può essere presa in considerazione sotto il profilo delle attenuanti generiche. Anche i delitti loro ascritti risultano avvinti da evidente unicità di disegno criminoso e, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 Codice Penale, (non può tacersi la gravita del fatto, commesso in occasione di una competizione sportiva che dovrebbe essere ispirata a ben altri valori), pena equa da infliggere a ciascuno è quella di mesi otto di reclusione, (p.b. per il delitto di lesioni: mesi 6 + cont.), cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Sussistono i presupposti per l’applicazione ad entrambi gli imputati di entrambi i benefici di legge. Ai sensi degli artt. 29 e 30 cp, il De Santis va dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e legalmente interdetto durante la pena. Ai sensi degli artt. 538 e 539 cpp, lo stesso va altresì condannato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede nei confronti delle parti civili familiari di Esposito Ciro, di Esposito Alfonso e di Fioretti Gennaro ed inoltre al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in favore di Leardi Antonella e Esposito Giovanni ammontante ad € 50.000,00 ciascuno; in favore di Esposito Michele e Esposito Pasquale ammontante a € 20.000,00 ciascuno, ritenendosi per tali importi già raggiunta la prova del danno. Il De Santis va infine condannato alla rifusione delle spese di costituzione e difesa delle citate parti civili che, tenuto conto dell’impegno professionale che il presente procedimento ha richiesto si stima congruo liquidare in € 6.300,00 complessivi per Leardi Antonella; in € 7.500,00 per Esposito Giovanni e Esposito Michele; in € 6.300,00 per Esposito Pasquale. Il De Santis va pure condannato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede nei confronti del comune di Napoli nonché alle spese di costituzione e difesa che liquida in € 6.300,00. Esposito Alfonso e Fioretti Gennaro vanno condannati al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore di De Santis, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e difesa che liquida nella misura di € 6.300,00 complessivi. Trattandosi di cose pertinenti a reato, va disposta la confisca e distruzione degli oggetti in sequestro, ad eccezione dell’arma da sparo, di cui va disposta la sola confisca. Ai sensi dell’art. 544 III co cpp, attesa la complessità della motivazione, si indica in giorni sessanta il termine per il deposito della sentenza

P.Q.M.

Visti gli articoli 533 e 535 c.p.p.

dichiara

De Santis Daniele colpevole dei reati a lui ascritti unificati nella continuazione e con attenuanti di generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di anni 26 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare;

dichiara

il De Santis interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e legalmente interdetto durante la pena;

condanna il predetto al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede nei confronti delle parti civili familiari di Esposito Ciro, Esposito Alfonso e Fioretti Gennaro ed inoltre al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in favore di Leardi Antonella e Esposito Giovanni ammontante ad € 50.000,00 ciascuno, in favore di Esposito Michele e Esposito Pasquale ammontante a € 20.000 ,00 ciascuno;

condanna

De Santis alla rifusione delle spese di costituzione e difesa che liquida in € 6.300,00 complessivi per Leardi Antonella, in € 7.500,00 per Esposito Giovanni e Esposito Michele, in € 6.300,00 per Esposito Pasquale;

condanna l’imputato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede nei confronti del comune di Napoli nonché alle spese di costituzione e difesa che liquida in € 6.300,00".

25 luglio 2016

Fonte: Identitainsorgenti.com
 
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