LA SENTENZA
Omicidio Ciro Esposito,
fu un agguato premeditato di De
Santis (e complici)
Pubblichiamo ampissimi
stralci della sentenza emessa
dalla Corte d’Assise di Roma,
presieduta dal giudice Evelina
Canale, lo scorso 24 maggio che
ha portato alla condanna di
Daniele de Santis, omicida di
Ciro Esposito, a 27 anni di
carcere, dalla quale si evince
che si trattò di agguato
premeditato. Ringraziamo
l’avvocato Damiano De Rosa per
la collaborazione.
"Il Viale di Tor di
Quinto è caratterizzato da una
doppia carreggiata, in cui ad un
certo punto sulla destra,
andando verso lo stadio, c’è il
poligono di tiro e subito dopo,
al civico 57, una stradina
parallela alla strada che porta
al poligono di tiro che ha
subito alla sua sinistra il Ciak
Village, cioè un teatro
amatoriale, e più sopra il
Circolo Boreale, un circolo
sportivo dove spesso si
disputano partite di calcio e
altri eventi sportivi, che e
frequentato da ragazzi e dove
appunto vive il De Santis, con
funzioni di inserviente -
guardiano. Il giorno dei fatti
si era verificato un grande
afflusso di tifosi, sia della
Fiorentina che del Napoli, e
quello stesso pomeriggio vi era
stato in piazza Mazzini,
nonostante le misure di
sicurezza adottate, un primo
violento contatto tra i tifosi
della Fiorentina e i tifosi del
Napoli, che aveva richiamato
proprio in quella zona diverse
pattuglie di forze dell’ordine,
proprio per scongiurarne la
degenerazione in eventi più
gravi. Il teste responsabile
dell’ ordine pubblico quel
giorno, quando succedono i
fatti, si trova in piazza
Mazzini e si trova lì quando,
appunto, Irene Di Emidio, il
Vice Questore che per prima
soccorre Fioretti Gennaro,
raggiunto dai colpi di arma da
fuoco di cui si è parlato, fa la
prima comunicazione radio alla
sala operativa, dicendo che c’è
un ferito certamente attinto da
colpi di arma da fuoco e che ci
sono degli scontri su Viale Tor
di Quinto. La stessa
comunicazione il dottor Parente
la riceve dal sostituto
commissario Fratini Franco, che
si trova sul cavalcavia di Tor
di Quinto, il quale vede la Di
Emidio soccorrere un ragazzo,
chiaramente ferito, vede che
subito dopo ci sono degli
scontri, cioè dei tifosi che
scavalcano il guardrail e si
spostano sulla loro destra e
capisce che sta succedendo
qualcosa. E anche lui dà subito
comunicazione radio di questi
fatti. Il dottor Parente,
appresa la gravità della
situazione, si sposta subito da
Piazza Mazzini al Viale di Tor
di Quinto dove arriva dopo
un’ora, perché ovviamente il
traffico è congestionato
dall’ingente afflusso di
pubblico e quando arriva trova
già la presenza della Polizia
Scientifica, dell’ispettore
Carlaccini della Digos, che è
stato il primo ad arrivare sui
luoghi, il primo a fare
l’intervento nel Ciak Village,
il primo a trovare il De Santis
e a rinvenire anche la pistola.
Ovviarmene da quel momento
partono tutte le indagini, si
individuano intanto i testimoni
oculari reperibili, innanzitutto
i gestori del Ciak Village,
Donatella Baglivo, Ivan La Rosa
e Anna Valli, si trova e si
reperta la pistola, si individua
il pullman che era stato preso
di mira dal De Santis con le
bombe carta, si identificano le
persone che erano state in grado
di vedere i fatti dall’interno
del pullman e si sentono a
sommarie informazioni. Nel
contempo vengono effettuati
accertamenti nei confronti del
De Santis dai quali emerge che
costui è un personaggio ben
conosciuto alla Digos, perché è
un esponente molto noto del tifo
ultras romanista, di estrema
destra. Si fanno le indagini
anche sulle ore precedenti ai
fatti vissute dal De Santis, si
individuano le due prostitute
con cui si era accompagnato la
notte e si identifica Vincenzo
Agresta, l’altro amico con cui
aveva passato la notte. Si
acquisiscono inoltre i diversi
video, tra cui in particolare
quello dell’Azzarelli, testimone
presente ai fatti, che li aveva
ripresi col suo telefonino,
documento di eccezionale
importanza per l’immediata
ricostruzione degli accadimenti.
La Corte ha anche
sentito il Vice Questore De
Astis, dirigente della Digos,
responsabile dell’ufficio che si
occupa della tifoseria, che ha
spiegato come i rapporti tra la
tifoseria della Roma e la
tifoseria del Napoli, dopo un
periodo di gemellaggio, si sono
interrotti nell’87, a seguito di
una partita Roma-Napoli, perché
un giocatore del Napoli, Bagni,
fece il gesto dell’ombrello. Da
quel momento i rapporti tra le
due tifoserie sono diventati
violenti e infatti la partita
Roma- Napoli è diventata una
partita altamente pericolosa,
tanto che per molti anni sono
state vietate le trasferte dei
tifosi napoletani a Roma e
viceversa. Ha poi descritto la
geografia della tifoseria
romanista, divisa in due grandi
fazioni, quella dei Fedayn, che
sono di estrema sinistra, e
quella dei Boys, che sono di
estrema destra. I Boys poi si
sono sciolti e sono confluiti in
Padroni di casa o Casa Pound,
sempre di estrema destra.
Ebbene, in questa galassia di
Ultras il De Santis è un
personaggio di spicco, si
colloca prima nei Boys, che sono
appunto i tifosi ultras di
estrema destra della Roma e
addirittura viene cacciato dai
Boys perché ritenuto troppo
violento. Proprio per questo
fonda un proprio gruppo di
tifosi, sempre di estrema
destra, chiamato Gruppo
Monteverde, a capo dei quali si
rende protagonista di tutta una
serie di violenze durante
manifestazioni sportive che gli
fruttano denunce, condanne e
provvedimenti di divieto di
assistere a manifestazioni
sportive.
La Corte ha sentito
l’ispettore di Polizia Alfredo
Carlaccini, l’operante della
Digos dislocato sul territorio a
bordo di una pattuglia che, dopo
aver sentito attraverso la
comunicazione radio della Di
Emidio che c’è un ferito da armi
da sparo, arriva per primo sul
posto.
La Corte ha visionato le
immagini che mostrano la sua
macchina dall’altra parte della
carreggiata rispetto
all’ingresso nel Ciak Village e
lui che scende, scavalca il
guardrail e vede che c’è un
ragazzo privo di sensi a terra.
Si tratta di Ciro Esposito.
Viene addirittura aggredito dai
tifosi napoletani, perché
vorrebbero che lui lo caricasse
sulla macchina e lo portasse in
ospedale. L’ispettore ha
spiegato che "cerco
faticosamente di far capire loro
che muovere un ferito da terra,
a meno che non ci sia un medico
o un infermiere, è una cosa
piuttosto pericolosa. Quindi,
dopo aver calmato i tifosi
napoletani, cerco di capire che
cosa realmente era successo. E
tutti indicavano la stradina che
porta al Ciak Village come
praticamente il teatro degli
eventi e il luogo in cui si
nascondeva l’uomo che aveva
sparato". Quindi chiede
l’autorizzazione, in quanto in
questo caso quando ci sono armi
da sparo deve chiedere
l’autorizzazione all’ufficio,
per potere fare un sopralluogo e
un’ispezione, autorizzazione che
gli viene concessa, e quindi,
insieme al collega che monta di
pattuglia con lui, entra per
primo nella stradina che va al
Ciak e si rende subito conto di
quello che è successo. Vede il
sangue per terra, vede i
bossoli, magliette, bastoni, un
cappellino, vede il cancello del
Ciak completamente divelto,
entra e vede anche lì una
situazione sintomatica di
scontri violenti: il sangue per
terra e il selciato tutto
bagnato. Parla con i gestori,
vede la Baglivo, vede Ivan La
Rosa e finalmente individua il
De Santis all’interno del
capannone chiuso. Il De Santis,
che in un primo momento si
spaventa, perché essendo il
Carlaccini in borghese lo
confonde con un tifoso
napoletano, lo tranquillizza,
gli spiega che è della Polizia e
cerca di farsi dire che cosa e
successo. A questo punto
ovviamente chiama i rinforzi,
chiama l’autoambulanza e nel
frattempo incomincia a
raccogliere i primi elementi di
prova per ricostruire i fatti.
Quando il Carlaccini entra sa
già che sono stati sparati colpi
di arma da fuoco, lo sa perché
lo dice la Di Emidio, che ha
visto un ragazzo, Gennaro
Fioretti, con un dito
spappolato. Quindi, quando
entra, per esperienza personale
e per protocollo d’indagine, la
prima cosa che cerca è l’arma
del delitto e quando vede il De
Santis, quello che lui ritiene
abbia sparato, chiede allo
stesso della pistola, ma questi:
"mi disse inizialmente che non
ce l‘aveva, che non c’era, non
c’era nessuna pistola. Pero io,
facendomi all’indietro e dicendo
ad altri colleghi che in quel
momento erano sopraggiunti, ho
detto "ok ragazzi, facciamo una
perquisizione, cerchiamo questa
pistola". E allora mi ha sentito
la signora Baglivo, la
proprietaria del Ciak, dicendomi
che era stata rinvenuta una
pistola e che, per paura che
fosse nuovamente utilizzata da
altre persone, era stata messa
all’interno di un secchio
dell’immondizia, che era esterno
al capannone, ma attiguo alla
porta d’ingresso". Le indagini
sono continuate sul posto, il
Carlaccini ha trovato i bastoni
e tutto quello che poi è stato
repertato e fotografato
dall’ispettore Martinelli della
Polizia.
La Corte ha escusso
anche il Vice Questore Irene Di
Emidio, che dirigeva quel giorno
il servizio al casello Roma est,
era responsabile del servizio
scorta ai pullman e, con la
pattuglia Genova 2, aveva dato
la prima comunicazione radio
dell’accaduto alla sala
operativa. Ella ha dichiarato
che attorno alle 17:30, in
prossimità del cavalcavia numero
5 di via Flaminia, una persona,
con accento napoletano, con un
dito della mano visibilmente
squarciato, correva verso di lei
urlando: "c’hanno sparato,
c’hanno sparato i romanisti, ci
hanno sparato, l’ambulanza,
chiamate l’ambulanza". La
persona è stata poi identificata
per Alfonso Esposito, appunto
ferito alla mano e al dito.
L’ispettore Franco Fratini, in
servizio al commissariato
Flaminio Nuovo, che si trovava
sul cavalcavia di Viale di Tor
di Quinto, ben visibile nei
video visionati dalla Corte,
trovandosi in una posizione
privilegiata, da cui vede tutto
Viale di Tor di Quinto, ha
raccontato nella sua deposizione
di aver visto la Di Emidio Irene
essere raggiunta da un tifoso
napoletano visibilmente ferito,
un gruppo di tifosi napoletani
spostarsi e raggiungere la
viuzza che conduce al Ciak
village, entrare e uscire più
volte, quindi di essersi subito
reso conto che ci erano stati
degli scontri, che era successo
qualcosa di grave e di averne
dato subito comunicazione anche
lui alla sala operativa e alla
Digos. Gli altri ufficiali di
Polizia giudiziaria sentiti
dalla Corte non hanno aggiunto
elementi rilevanti alla
ricostruzione dei fatti. Grande
valenza probatoria e cognitiva
ha avuto pure la ricostruzione
dell’intervento della Polizia
Scientifica operato
dall’ispettore Martinelli,
consacrato nei rilievi tecnici
di cui si è avvalsa la Corte.
Fondamentale è stato l’apporto
probatorio di un gruppo di
testimoni "privati", che hanno
contribuito alla ricostruzione
dei fatti in maniera
assolutamente rilevante,
essendosi trovati sulla scena
del delitto a vario titolo e per
diverse ragioni. Essi sono
raggruppabili tra loro in base
all’angolo visuale da loro avuto
nel momento degli accadimenti.
Il primo è il gruppo di testi
che frequentavano il Ciak
Village e il Circolo Boreale. Il
secondo invece è quello dei
passeggeri del pullman
bersagliato dal De Santis. Poi
il teste Azzarelli, che è quello
che ha videoripreso
materialmente il momento in cui
Ciro Esposito e gli altri tifosi
napoletani scavalcano il
guardrail e infilano la stradina
che conduce al Ciak village, nel
cui filmato si sentono
nitidamente gli spari in rapida
successione.
La teste Anna Valli,
anziana signora che è stata
sentita con una certa difficoltà
per problemi inerenti alla tarda
età, ha riferito: "Ci siamo
affacciati fuori dal teatro, sul
cortile antistante il cancello
che chiude la struttura, dopo
aver sentito i botti, i boati,
etc. e abbiamo visto un uomo
corpulento e basso, che urlava e
inveiva delle frasi che non ho
ben compreso, mentre passava
davanti al cancello del teatro,
dirigendosi verso Tor di
Quinto". "Nella circostanza
vedevamo sopraggiungere altre
cinquanta persone…". In sostanza
i testi che si trovavano nei
pressi del Ciak hanno riferito
che, dopo aver sentito alcuni
scoppi, hanno visto il De Santis
proveniente dal Circolo Boreale,
attraversare il cancello del
Ciak, percorrere la stradina e
dirigersi, urlando e imprecando
nei confronti dei tifosi
napoletani, verso Viale Tor Di
Quinto. Il teste Ivan La Rosa,
compagno della teste Baglivo,
uno dei gestori del teatro, ha
raccontato che il 3 maggio del
2014 si trovavano tutti
all’interno del Ciak Village,
hanno sentito il rumore di
petardi e sono usciti fuori. Si
sono affacciati, hanno percorso
la stradina che porta a Viale di
Tor Di Quinto e si sono voltati
verso destra, verso il
cavalcavia, perché Iì hanno
avvertito il maggior numero di "botti" e visto dei fumogeni, di
vari colori. Ad un certo punto
hanno visto un gruppo di tifosi
napoletani che entrava nella
stradina del Ciak Village, Ii
sorpassava, e poi hanno visto
che questo gruppo di tifosi
stava malmenando, pestando
letteralmente il De Santis,
persona da loro conosciuta. Ha
raccontato cosa è successo dopo,
cioè il tentativo di soccorrere
il De Santis, la difficoltà nel
portarlo dentro, proprio vista
la sua mole e viste le
condizioni in cui si trovava, di
aver ritrovato la pistola e di
averla lanciata all’interno del
cortile del Ciak, proprio per
evitare che qualcuno potesse
ancora utilizzarla (come detto,
la pistola verrà presa poi dalla
Baglivo e da lei nascosta nel
contenitore dell’immondizia). La
Corte ha sentito anche Donatella
Baglivo, colei che gestisce il
teatro Ciak Village, sito
proprio in Viale di Tor di
Quinto numero 57. Anche lei
sente questi spari, questi botti
insieme a Ivan La Rosa e alla
signora Valli, i predetti escono
insieme prima nel cortile
antistante il teatro, poi si
recano su Viale di Tor di Quinto
e lei osserva i fumi prodotti
dalle esplosioni. Ad un certo
punto anche lei vede un gruppo
tumultuoso di persone risalire
il vialetto che porta al Ciak e,
una volta giratasi all’indietro,
preoccupata per la signora Valli
e per il suo compagno, vede
invece a terra il De Santis
malmenato dalle persone che
aveva visto imboccare la
stradina. Cerca di prestare
aiuto, cerca di portare il De
Santis dentro, ma racconta di
almeno tre ondate successive di
tifosi napoletani che entravano,
picchiavano il De Santis poi,
temendo l’arrivo della Polizia,
uscivano, quando vedevano che la
Polizia non era ancora arrivata,
rientravano di nuovo e pestavano
di nuovo il De Santis. Ella si
adopera per prestargli aiuto,
per spingerlo con tutte le sue
forze verso la parte coperta del
teatro, nasconde la pistola
ritrovata per terra nel
sacchetto della spazzatura,
butta l’acqua su tutto ciò che
aveva preso fuoco per evitare
che il teatro si incendiasse e
per tentare di placare gli
animi, cerca infine più volte di
chiamare la Polizia. La Baglivo
parla della presenza sul posto
di almeno altre cinque, sei
persone, evidentemente sodali
del De Santis che, una volta che
il De Santis viene sopraffatto
dal numero imponente di tifosi
napoletani, scappano verso il
Circolo Boreale e poi si
disperdono sulla montagnola che
è delimitata dal circolo.
Testualmente ha dichiarato: "quando mi sono girata io ho
visto un gruppo di gente di
spalle che correva in direzione
dei campi sportivi, un gruppo di
gente che scappava e gli altri
che li inseguivano". Tra i testi
privati presenti sui luoghi del
Ciak Village e del Circolo
Boreale, la Corte ha escusso
anche Luigi Proietti, il
pensionato che gestisce il bar
sito all’interno del Circolo
Boreale che ha dichiarato che il
3 maggio verso le tredici ha
aperto il bar e dopo circa
mezz’ora è arrivato il De Santis
per consumare un panino e una
birra e poi lo ha visto
ritornare intorno alle
quattordici e trenta, le
quindici, riprendere un’altra
birra e ancora tomare verso le
sedici, allorché, avendo preso
un’ulteriore birra, sentendo il
rumore di petardi, ha detto: "vado a vedere che cosa sono
questi botti, perché voglio un
po’ sistemare questa cosa". Il
Proietti è un teste importante
non solo perché, appunto,
assiste ai fatti, ma perché fa
riferimento importante alla
pistola posseduta dal De Santis.
Ha detto testualmente: "posso
aggiungere che alcune mamme dei
bambini che giocano nella
Boreale si sono lamentate il
giorno successivo che un bambino
ha visto il De Santis con la
pistola e questo bambino è un
bambino che aveva visto il De
Santis impugnare una pistola e
non aveva dormito per paura
tutta la notte". Benedetta
Mariani, che è la madre di uno
dei bambini che gioca quel
pomeriggio al Circolo Boreale
una partita di calcio, ha
riferito che la partita è finita
verso le diciassette, ma è stata
costretta ad aspettare fino alle
sette e mezza di pomeriggio per
andare via, poiché la Polizia
aveva bloccato la stradina di
accesso al circolo e che mentre
era sulla macchina con il
bambino aspettando di potere
uscire, ha visto quattro, cinque
persone allontanarsi dal luogo,
raggiungere il muro di cinta e
la rete posti tra il Circolo
Boreale e la collinetta che
porta alla tangenziale, e
scappare attraverso un buco
della rete, allontanandosi dal
teatro degli eventi.
Evidentemente si tratta delle
stesse persone che vede la
Baglivo Donatella di spalle
scappare subito dopo gli
scontri, subito dopo che Ciro
Esposito cade per terra e subito
dopo che De Santis viene
aggredito dalla moltitudine di
tifosi napoletani. Maria Grazia
Di Fabio, teste che vive
all’interno del Circolo Boreale,
che era uscita ad accudire dei
cani, ha raccontato: "ho visto
queste persone … Anche perché,
come penso sia noto anche qui ai
Giudici e quant’altro, io
all’epoca abitavo li, sono
uscita dalla stanza per andare a
prendere i cani e metterli
dentro. Nel fare questo due,
trecento metri dalla seconda
stanza fino all’area cani che è
giù in fondo, mi sono passati
davanti un gruppo di persone,
saranno state sei o sette
persone che scappavano, c’è una
piccola salita, mettendosi con
le spalle all’entrata che c’è
tuttora sulla destra, che poi è
un pezzo di terreno sterrato,
che ha l’uscita sulla
tangenziale, prima dell’entrata
del traforo di Corso Francia,
del tunnel di Corso Francia".
Evidentemente si è riferita alle
stesse persone viste dalla
Mariani e dalla Baglivo.
La Corte ha escusso
anche una delle due donne, e ha
acquisito le dichiarazioni
dell’altra, risultata
irreperibile, che hanno
trascorso la notte precedente ai
fatti nell’ abitazione
dell’imputato: Andrei Ruxandra e
Dumitru Irma. La prima ha
raccontato che già dagli ultimi
giorni del mese di aprile del
2014 viveva a casa del De
Santis, al Circolo Boreale, e
che aveva rapporti sessuali
mercenari con lui e altri suoi
due amici, Vincenzo Agresta e
Luigi Capponi. Ha raccontato che
il De Santis normalmente faceva
uso di cocaina e che lei si era
fermata fino alla notte del 2
maggio. Quella notte tuttavia
aveva chiamato una sua amica, la
Dumitru, in arte Natasha, perché
la raggiungesse. Costei l’aveva
raggiunta intorno alle due, tre
nella notte tra il 2 e il 3
maggio, avevano avuto un
rapporto sessuale con il De
Santis, avevano consumato
cocaina e si erano addormentati.
La mattina dopo la Andrei si era
svegliata e non aveva trovato il
De Santis, che era tomato verso
mezzogiorno, le aveva dato un
assegno e aveva preso un oggetto
non meglio identificato dal
cassetto della camera da letto.
Testualmente: "Verso le ore
dodici è ritornato Daniele e mi
ha consegnato euro quattrocento
per le prestazioni, verso le ore
quindici mi ha consegnato un
assegno di euro duecento privo
del nominativo, che dovevo
tenere e riconsegnarlo al suo
rientro, in quanto a suo dire
doveva uscire per fare delle
cose. Ho notato che Daniele in
quell’ occasione era molto
strano, agitato, inoltre prima
di uscire Daniele ha prelevato
da un cassetto di biancheria un
oggetto che non sono riuscita a
vedere perché io ero al computer
collegata su Facebook, dicendomi
che andava a comprare da
mangiare, a prendermi le
sigarette e a fare altre cose,
senza specificarmi cosa, per poi
ritornare. Alla mia domanda
perché fosse così agitato, lui
mi ha risposto "tesoro, stai
tranquilla che è tutto a posto,
devo fare una cosa e poi tomo
subito". La Dumitru ha
confermato le dichiarazioni
dell’amica. Infine la Corte ha
considerato, sia pure nella sua
versione difensiva, l’ammissione
del fatto da parte dell’imputato
De Santis e le dichiarazioni
degli altri imputati,
concordemente tese ad escludere
la propria partecipazione alla
rissa e ad accusare il De
Santis.
Tra il materiale
audiovisivo, i filmati della
Digos, visionati in aula, hanno
offerto lo scenario globale, il
contesto generale in cui si sono
svolti i fatti, mentre il video
girato dal teste Azzarelli
riprende il momento in cui Ciro
Esposito, Gennaro Fioretti e
Alfonso Esposito scavalcano il
guardrail, attirati dalle
richieste di aiuto provenienti
da un pullman fermo di fronte al
Ciak, bersagliato da bombe-carta
scagliate dall’imputato, entrano
nella stradina che porta al
Ciak, passano attraverso i
pullman fermi in fila,
scompaiono dal campo di ripresa
e si sentono, dopo pochi
secondi, in modo nitido, quattro
esplosioni di arma da fuoco, in
rapida successione. Fra i testi
escussi Diego Parente, il
dirigente della Polizia di Stato
in servizio all’epoca dei fatti
presso la Digos, ha illustrato
quali erano stati i criteri
adottati dalla Polizia quel
giorno, il 3 maggio del 2014,
per prevenire incidenti e
tutelare l’ordine pubblico in
occasione di un evento così
importante come la finale di
Coppia Italia, tra due squadre,
due tifoserie certamente
importanti, in quanto anche di
dimensioni nutrite, e cioè
quelle del Napoli e della
Fiorentina. Ha spiegato che i
criteri in questi casi sono
consolidati: si dividono le vie
di accesso allo stadio in due
grandi direttrici, una nord e
una sud, in modo che una
tifoseria, quella della
Fiorentina in questo caso,
affluisca allo stadio dalla
direttrice sud e quella
napoletana dalla direttrice
nord, proprio per evitare
scontri, tafferugli e
quant’altro, cioè proprio per
evitare il più possibile
contatti di vario tipo tra le
due tifoserie. Ha spiegato che
nel caso di Napoli-Fiorentina
del 3 maggio del 2014, la
direttrice assegnata ai tifosi
napoletani era appunto quella
nord, che sfocia proprio su
Viale di Tor di Quinto, che
quindi, dopo un breve controllo
dei pullman ai caselli
autostradali, i pullman venivano
indirizzati sulla tangenziale
che porta sul Viale Tor di
Quinto, dove le auto private
avevano zone di parcheggio
previste e i tifosi, una volta
arrivati, potevano incolonnarsi
e arrivare facilmente allo
stadio poco distante.
Motivi della decisione:
La Corte, in esito
all’istruttoria dibattimentale,
ha acquisito un patrimonio
probatorio esaustivo e completo
su cui ha fondato la propria
decisione. Innanzitutto si è
avvalsa del materiale
audiovisivo, disponibile in
abbondanza, essendo stati
ripresi i fatti, durante il loro
accadimento, con videocamere e
cellulari ed essendo state
registrate le conversazioni
telefoniche e le comunicazioni
radio attinenti ai fatti stessi.
Poi ha utilizzato le
testimonianze sull’attività
svolta dal personale della
Polizia presente ai fatti o
convenuto in seguito agli
stessi, undici tra
rappresentanti della Digos,
della Squadra Mobile e di
appartenenti ad altri uffici
della Questura di Roma che, a
vario titolo, sono intervenuti
nel teatro degli eventi. La
Corte ha altresì fruito della
vasta documentazione fotografica
raccolta dalla Polizia in sede
di rilievi tecnici e della
documentazione medica relativa
alle lesioni subite dagli
imputati e dalla vittima nel
corso della vicenda. Ha inoltre
acquisito le deposizioni di
numerosi testi oculari, almeno
dodici, di cm uno escusso
innanzi al GIP in sede di
incidente probatorio, che hanno
riferito la loro percezione
diretta, sebbene, ovviamente, da
angoli visuali diversi, di ciò
che è avvenuto e che hanno
potuto raccontare e in alcuni
casi addirittura
video-riprendere i fatti. La
Corte per di più ha avuto a
disposizione più perizie e
consulenze già esperite in sede
di incidente probatorio e nel
corso delle indagini che hanno
consentito una ricostruzione
dinamica, tecnico-scientifica
dei fatti. Fra i testi escussi
tre sono oculari, sono cioè
persone che hanno visto
direttamente l’odierno imputato
De Santis sparare: Domenico
Pinto, Raffaele Puzone e la
stessa vittima dell’omicidio,
Ciro Esposito che, ancora in
vita, durante la sua degenza in
ospedale, prima dell’esito
letale della stessa, richiesto
di narrare i fatti da Angela
Tibullo, professionista
incaricata dalla famiglia di
Ciro Esposito, riconosce in
Daniele De Santis, con
dichiarazioni registrate dalla
Tibullo e ascoltate dalla Corte,
"il chiattone", (lo chiama
così), che gli aveva sparato.
Esauriti i testi provenienti dal
Circolo Boreale e dal Ciak
Village, la Corte ha sentito
quelli che si trovavano sul
pullman a due piani del Milano
Club Partenopea, partito da
Milano e oggetto dell’attacco da
parte dell’imputato, a bordo del
quale si trovavano anche
bambini. Tali testi sono:
Francesco Ferrante, Salvatore
Ferrante, Aquilino Palma,
Camillo Cimmino e Angelo
Mancuso.
Francesco Ferrante, di
professione metronotte, ha
raccontato il viaggio, ha
riferito che una volta arrivati
a Viale di Tor di Quinto si è
formata una colonna di pullman,
perché alla testa c’erano i
tifosi napoletani a piedi che
procedevano lentamente. Il suo
pullman si era fermato per una
decina, quindicina di minuti
proprio all’altezza della
stradina che conduce al Ciak
Village. Testualmente ha
dichiarato: "Sì, noi eravamo
incolonnati e la situazione era
molto, abbastanza tranquilla.
C’erano molte persone a piedi
sul lato. Sulla destra io ho il
teatro e alla sinistra il
guardrail, con altri tifosi di
fede diciamo azzurra,
napoletana, che si accingevano
ad andare tranquillamente a
piedi allo stadio. Noi
commentavamo ridendo: beati loro
che stanno mangiando un panino,
perché camminavano tranquilli
senza incidenti e senza niente…
Sì, è successo che mentre io ero
in posizione proprio davanti,
davanti all’autista, perché
eravamo fermi, quindi mi sono
alzato e stavo parlando con
l’autista e con la ragazza che
era al mio fianco, appunto
stavamo commentando un po’ le
cose sulla partita e nell’
attimo in cui mi sono girato,
diciamo a tre, quattro metri da
me, ho visto una persona, un
individuo che ha esploso un
ordigno che non era dalle
dimensioni, da come è esploso…
Non mi sembrava un classico
petardo, ma era stato lanciato
proprio verso il pullman,
all’altezza diciamo… il pullman
è doppio, proprio in mezzo al
fascione che divide i due piani.
L’esplosione è stata forte tanto
da farci insomma… Sì, ci siamo
spaventati in quel momento lì, e
dopo che ha lanciato il primo ci
siamo un po’ allarmati, perché
abbiamo visto che aveva lanciato
il secondo e che inveiva nei
nostri confronti abbastanza
diciamo… Con toni minacciosi,
indicandoci a farci scendere dal
pullman. Era una persona
abbastanza robusta, diciamo
obesa, io ero al pullman,
diciamo nella posizione bassa,
quindi poteva essere più o meno
su un’altezza di un metro e
settantacinque, un metro e
ottanta, più o meno, adesso non
posso dirlo con precisione.
Aveva un cappellino nero, era
vestito di scuro... Sì, poi ho
saputo che era Daniele De Santis
perché ho visto le foto. Il
primo ordigno non l’ho visto
lanciare, l’ho solo intuito,
perché lui quando ha lanciato il
primo ordigno stava già
accendendo il secondo, era
abbastanza gioioso di quello che
aveva fatto, quasi contento,
perché si girava su se stesso
come per dire… Invitandoci a
scendere giù dal pullman, lui
voleva che noi scendessimo dal
pullman, perché con i segni con
la mano faceva… Voglio dire
faceva questo gesto con la mano,
per dire venite giù, venite giù.
E poi ci urlava, sì, le frasi
erano diciamo tipo vi rompo, vi
spacco, ma più che altro lui,
più che con le parole diceva… Ci
invogliava a scendere giù dal
pullman, cosa che noi stavamo
facendo, perché le nostre urla…
A questo punto, quando abbiamo
visto il pullman che era avvolto
da una nuvola di fumo, ci siamo
anche spaventati. I bambini
pensavano che il pullman in quel
momento lì potesse prendere
fuoco, quindi noi volevamo
scendere. Pero l’autista non ce
l’ha permesso questo, per ordine
pubblico ha detto "no, io ho
l’ordine di non aprire il
pullman, per qualsiasi motivo,
in questo caso c’è un’emergenza
abbastanza grave", ma lui non ha
voluto aprire il pullman". A
domanda del Pubblico Ministero:
"dopo la seconda bomba ?". "Sì,
questo lancio l’ho visto, era
semi di spalle, perché lui si
era spostato, aveva lanciato
anche verso il pullman. Noi
istintivamente quando ha
lanciato ci siamo ovviamente
girati, abbiamo sentito soltanto
l’esplosione diciamo del secondo
boato, abbastanza forte, anche
perché è esploso quasi
all’altezza della seconda porta
d’uscita, quindi creava più un
vuoto, in modo tale che potesse
rimbombare all’interno
dell’abitacolo". E a domanda del
Pubblico Ministero: "Sì, era in
atto una terza esplosione, solo
che non è riuscito diciamo
nell’intento, perché le ragazze
e i ragazzi che erano sopra di
noi picchiavano sui vetri per
chiedere aiuto a qualcuno,
perché la situazione era
veramente non bella e in quel
momento là che c’era un po’ di
agitazione sul pullman, tra lo
scendere, tra il fumo che si
inoltrava nell’abitacolo, a
questo punto abbiamo visto
diciamo dei ragazzi che si sono
accorti di quello che stava
succedendo e hanno cercato di
fermare il De Santis e ci sono
passati proprio davanti al
pullman, mi sono passati tre o
quattro ragazzi. Lui, il De
Santis, quando ha percepito,
diciamo, che ha visto delle
persone che andavano verso di
lui, ha cominciato a desistere
dal terzo attacco, ed e andato
verso l’interno del vialetto,
cioè verso il Ciak, è scappato,
sì, pero era uno scappare non
veloce, perché… Un po’ per la
sua mole, un po’ la sua non
agilità di movimento, è stato
fermato quasi subito. Cioè lui
capendo di essere, di non
farcela a scappare, a correre,
si è girato su se stesso, si è
girato, dal momento che si è
girato saranno passati tre
secondi, si è vista una nuvola
di fumo, di fumogeni, non so chi
li avesse tirati, non certo i
tifosi del Napoli, perché non
erano dentro il vialetto e da lì
abbiamo sentito, almeno io
personalmente avevo sentito le
quattro, i quattro colpi di arma
da fuoco in rapida successione.
E Ciro Esposito, Ciro Esposito è
stato il primo a raggiungerlo,
forse perché magari più magro,
più agile, più atletico, è
uscito, è stato uno dei primi a
cercare di fermarlo. Sì, era
particolarmente agile e con un
piccolo zaino a tracolla di
colore beige con le bretelle
arancione e riusciva a
placcarlo, si, proprio a
placcarlo. Sì, subito dopo
praticamente come arriva il
placcaggio noi non vediamo più
niente, però si sentono i
quattro colpi di arma da fuoco.
Sì, io li distinguo i colpi
d’arma da fuoco, perché sono
trent’anni che ho il porto
d’armi, sono trent’anni che
sparo e quindi erano colpi di
arma da fuoco".
Il Ferranti ha quindi ha
descritto il De Santis che tira
uno, due ordigni, che con toni
minacciosi invita i tifosi
napoletani, provocandoli, a
scendere dal pullman e ad
affrontarlo, insultandoli. Il
teste ha pure videoripreso la
scena successiva in cui si vede
il Ciro Esposito uscire dalla
stradina portato a braccia dagli
altri tifosi napoletani ormai
già privo di sensi. La stessa
cosa dice Palma Aquilino che è
sempre sul pullman di cui prima.
Palma Aquilino è il Presidente
del club Napoli Partenopea.
Anche lui racconta appunto del
viaggio, dell’incolonnamento a
Viale Tor di Quinto e del fatto
che era seduto anche lui sul
lato destro del pullman e che
quindi riesce a vedere in
maniera nitida, in maniera
chiara questo soggetto grasso,
certamente robusto, che con vari
gesti li incitava a venire giù,
ad uscire dal pullman e a
raggiungerlo. Ad un certo punto
anche lui si preoccupa, sente i
ragazzi e i bambini che si
spaventano, che battono i vetri,
vede un gruppetto di tifosi
napoletani che si stacca dalla
colonna, che attraversa il
guardrail, che passa davanti al
pullman e che raggiunge il De
Santis e poi anche lui, non
riuscendo a vedere nient’altro,
sente però anche lui con
certezza assoluta i quattro
colpi in rapida successione. Il
Cimmino, altro appartenente al
club Milano Partenopea, anche
lui sul pullman, ha riferito che
si trovava nella parte superiore
del pullman insieme al figlio,
un bambino di otto anni, e che
ad un certo punto, essendo
seduto sulla destra nella parte
superiore, si era accorto,
sporgendosi, che un uomo
piuttosto robusto tirava un
ordigno contro il pullman, poi
ne tirava un secondo, il bambino
si metteva a piangere,
spaventato e il pullman si
riempiva di fumo. Preoccupato e
agitato, vedeva un gruppetto di
tifosi napoletani che si
staccava dalla colonna, che
attraversava la strada
scavalcando il guardrail,
raggiungeva il De Santis che si
dirigeva correndo verso il Ciak
Village e anche lui sentiva
quattro colpi dal rumore diverso
da quello dei petardi. Anche il
Mancuso, passeggero del pullman
iscritto al club Milano
Partenopea, ha raccontato
dell’incolonnamento e di aver
visto il De Santis scappare ed
essere raggiunto. Poi non ha
visto altro, tranne il fumo
delle esplosioni provenienti dal
Ciak Village, ha sentito, dopo
di esse, gli spari in rapida
successione e, dopo, ha visto
Ciro Esposito portato fuori
ormai privo di sensi. Questi
quattro testi, dunque, hanno
visto tutti un uomo corpulento
che ha inveito prima contro gli
occupanti del pullman, ha
lanciato un primo ordigno, ha
continuato ad inveire e a
minacciare invitandoli a
scendere, e nel farlo ha acceso
un secondo ordigno, che è
esploso contro il pullman, poi
l’uomo è fuggito, rientrando
nella stradina da cui era
sbucato, nel mentre, attirati
dalle urla e dalle richieste di
aiuto provenienti dal pullman,
sono accorsi Ciro Esposito e gli
altri, scavalcando di corsa il
guardrail, passando davanti al
pullman, ben visibili ai
passeggeri, e infine dirigendosi
contro il De Santis. A quel
punto il De Santis è scappato,
rallentato dalla sua mole di
persona obesa e dall’età non più
giovanissima, ma è stato
raggiunto e placcato da Ciro
Esposito, più agile e più veloce
di tutti e, subito dopo il
placcaggio, dopo tre, forse
quattro secondi, si sono sentiti
i quattro colpi in rapida
successione.
Dal punto di vista di
Ciro Esposito e del gruppetto di
tifosi che, con Ciro Esposito,
allarmati dalle esplosioni
provocate dal De Santis e dalle
richieste di aiuto provenienti
dai passeggeri del pullman
bersagliato, hanno scavalcato il
guardrail e inseguito il De
Santis, la Corte ha acquisito
nozione di quanto è accaduto nel
momento successivo ai fatti
narrati nella testimonianza del
Ferrante, (cioè, in sostanza, su
chi ha sparato), dal Cimmino e
dal Mancuso, dall’audizione
della fonoregistrazione delle
dichiarazioni convergenti rese
alla Tibullo prima del decesso
da Ciro Esposito e dalle
dichiarazioni del teste Domenico
Pinto, che seguiva il gruppetto
capeggiato da Ciro Esposito.
Domenico Pinto è un tifoso
napoletano, amico e cugino di
Ciro Esposito. È arrivato a Tor
di Quinto in auto, perché quelli
del suo gruppo si erano dati
appuntamento proprio nei
parcheggi limitrofi a Viale Tor
di Quinto, dove pensavano di
lasciare la macchina per poi
fare ritorno a piedi dopo la
partita. Arrivati quasi
contemporaneamente, si sono
incolonnati insieme agli altri
tifosi sulla carreggiata opposta
al Ciak Village, in direzione
dello stadio. Giunti all’altezza
del negozio di ceramiche gestito
dal teste Azzarelli, autore del
video visionato dalla Corte,
hanno sentito delle forti
esplosioni e hanno notato
ragazzi e adulti che
cominciavano a battere sui vetri
di un pullman a due piani
incolonnato davanti a una
stradina che conduce al Ciak
Village. Hanno visto una persona
obesa, riconosciuta
successivamente nel De Santis,
dapprima incitare loro stessi a
raggiungerlo e poi iniziare a
fuggire verso il Ciak Village.
Il teste non è entrato nella
stradina, ma ha visto da appena
fuori quello che vi accadeva.
Appena il De Santis è entrato
nella stradina, dopo qualche
metro, Ciro Esposito lo ha
raggiunto, c’è stata una
brevissima colluttazione, forse
Ciro Esposito è riuscito a
dargli uno schiaffo, forse un
pugno, comunque c’è stata una
brevissima colluttazione e,
subito dopo, il De Santis ha
estratto la pistola e ha
sparato. Il teste Pinto,
letteralmente, ha dichiarato:
"Sì, sì, lui ci vede e ci
chiama, ci indica di andare
verso di lui e il signor
Esposito lo rincorre e lo
prende, no lui scappa verso il
vivaio, il cancello, lui scappa,
cioè prima ci dice di venire e
poi… E poi sì, sì, si mette a
scappare, si volta, si volta con
le spalle e corre via e corre.
Quando... Esposito lo prese per
le spalle, lo acchiappò, loro
ebbero una breve colluttazione,
lui si girò ed ebbero una breve
colluttazione, ma una frazione
di secondi, cioè una manciata di
secondi, si spinsero, il signor
Esposito, se non ricordo male,
perché adesso… Forse gli diede
un pugno, uno schiaffo e lui
prese la pistola e sparò. Loro,
quando lui prese la pistola, il
signor Esposito si girò per
scappare. Poi ci siamo voltati e
abbiamo visto il signor Esposito
a terra, siamo rientrati per
soccorrere lui, cioè il signor
Esposito Ciro, ma il signor De
Santis impugnava ancora l’arma.
No, puntò l’arma verso di noi,
perché noi stavamo soccorrendo
il signor Esposito, lo stavamo
prendendo per portarlo fuori e
lui aveva ancora l’arma in pugno
e tentò di sparare, però si
inceppò, finirono i colpi, non
lo so questo, questo non lo so,
non lo so dire, però è stato
fortunato, la pistola non ha
esploso più, però da dietro i
cespugli ci arrivavano fumogeni,
bombe, di tutto, pietre,
bulloni, di tutto. Sì, sì, io ho
personalmente, ho visto tre o
quattro persone ma tutti
incappucciati con caschi
integrali, tutti, erano sette,
otto metri più indietro e loro
poi iniziarono a scappare verso
la vallata e non li ho più
visti". Coerenti con questa
deposizione sono le
dichiarazioni rese da Ciro
Esposito alla criminologa
Tibullo incaricato dalla
famiglia di sentirlo per cercare
di raccogliere elementi di prova
per ricostruire i fatti. Dall’
ascolto della registrazione
fatta in ospedale dalla Tibullo
durante il decorso
postoperatorio di Ciro Esposito,
un giorno in cui il ragazzo
stava particolarmente bene, il
venticinque maggio del 2014, si
desume che costei, insieme agli
avvocati della famiglia, lo
aveva interrogato, prima
parlando in generale, per vedere
se era in grado di rispondere e
di capire le domande, e poi
addentrandosi sui fatti
specifici oggetto del processo.
E allora aveva rivolto una
domanda precisa a Esposito Ciro,
cioè esattamente gli aveva
chiesto chi gli avesse sparato:
"Lui ci raccontò perfettamente
che era andato con quattro suoi
amici a vedere la partita Napoli
- Fiorentina, perché dice che
lui amava il pallone e avevano
parcheggiato vicino, a pochi
chilometri dallo stadio. Mentre
si recavano per andare nella
direzione dello stadio, ad un
certo punto sentono urlare delle
persone, però non capiva che
cos’era, che cosa stava
succedendo e immediatamente lui
con questi suoi amici dice che
si trovava nella carreggiata
opposta dell’autobus, si è messo
a correre. Lui diciamo ha
scavalcato il guardrail e
immediatamente si è ritrovato
una persona che lui definisce "u
chiattone" che era pelato e che
mi descriveva avere dei guanti.
Ma me lo ha descritto molto
bene, vestito di scuro, me l’ha
descritto molto bene". A quel
punto la Tibullo ha mostrato al
giovane la fotografia del De
Santis, che ovviamente ormai era
nota perché pubblicata sui
giornali, e dice… "La persona
ritratta in foto è quella di cui
mi stai parlando ?" E il De
Santis: "E’ questo, è questo il
"chiattone" che mi ha sparato".
La Corte, poi, ha avuto
a disposizione le perizie,
esperite con incidente
probatorio, e le consulenze
tecniche. Le perizie sono varie,
sui diversi aspetti
tecnico-scientifici dei fatti
oggetto di accertamento: il GIP
ha espletato una perizia sulla
dinamica delittuosa svolta dal
tenente colonnello Fratini, una
perizia biologica svolta dal
dottor D’Errico, una perizia
balistica svolta dal generale
Cerati, sull’arma e sui
proiettili, e una perizia
microscopica svolta dalla
dottoressa Salis e dal dottor
Scatamacchia sulle tracce
biologiche. La Corte si è
avvalsa anche della consulenza
disposta dal Pubblico Ministero
in sede di indagini preliminari
e affidata al professore
Ciallella Costantino, consulenza
medico legale che il professor
Ciallella ha svolto in un primo
momento sulla persona di Ciro
Esposito e poi sul suo cadavere,
e poi anche sugli altri feriti,
cioè sulle persone che hanno
riportato lesioni a vario titolo
a seguito dei fatti delittuosi,
che sono appunto il De Santis,
Alfonso Esposito e Fioretti. Il
professore Ciallella ha
riferito, per quanto riguarda il
De Santis, che lo stesso ha
subito sostanzialmente quattro
tipi di lesioni. Ha ricevuto
intanto una serie di traumatismi
pluri-distrettuali di tipo
contusivo con ecchimosi ed
ematomi che sono stati arrecati
sicuramente con mezzi contusivi
e corpi contundenti; ha ricevuto
anche una serie di lesioni
superficiali, di natura diversa,
tali da non essere state
rilevate al momento del ricovero
in ospedale, in corrispondenza
della coscia e del fianco di
destra e di sinistra, che sono
sicuramente frutto di ferite
penetranti prodotte da arma
bianca; poi ha avuto una ferita
lacero-contusa a carico della
regione frontale, che può essere
sicuramente qualificata come
sfregio ed è attualmente affetto
da una osteomielite cronica in
esito a un focolaio fratturativo
riportato a carico della gamba
destra, che sicuramente
provocherà una malattia
certamente o probabilmente
insanabile, con indebolimento
significativo della funzione
deambulatoria. La deposizione
del professore Ciallella è stata
importante in ordine alla
ricostruzione dei fatti con
particolare riferimento alla
chiusura del cancello che
delimita Viale Tor di Quinto con
il vialetto che porta poi al
Ciak e al Circolo Boreale. Il
Ciallella su questo punto,
sollecitato dal Pubblico
Ministero, ha dato una sua
precisa spiegazione della
dinamica. Questo cancello,
secondo le dichiarazioni rese
dal De Santis, era aperto e lui,
durante la fuga, aveva cercato
di chiuderlo, per evitare
ovviamente di essere raggiunto,
ma nel tentativo di chiuderlo si
era procurato la frattura al
piede che poi avrebbe avuto
ulteriori conseguenze a causa
del pestaggio dei tifosi
napoletani. Ma il consulente
Ciallella ha prospettato una
ricostruzione diversa della
dinamica: "la frattura del piede
riportata dal De Santis, ha
comunque un momento cinetico
relativo al corpo, quindi io
quello che… Anche
nell’esperienza traumatologica
comune, per questo tipo di
frattura, queste diciamo legate
al corpo in movimento in genere,
e la caduta il momento
fondamentale, lo schiacciamento
non sarebbe stato sufficiente".
Il consulente Ciallella ha
smentito, quindi, la tesi del De
Santis, secondo cui egli nello
scappare avrebbe cercato di
chiudere il cancello e si
sarebbe schiacciato il piede in
questo tentativo, poiché la
frattura riportata avrebbe
invece più plausibilmente una
natura di tipo cinetico, sarebbe
stata causata cioè da una caduta
con tutto il peso del corpo
piuttosto che dalla compressione
provocata da un cancello,
ancorché pesante. Il dottor
Ciallella ha visitato anche
Alfonso Esposito, ferito al
primo dito della mano destra. A
domanda del Pubblico Ministero,
su dove si trovava Alfonso
Esposito quando è stato attinto
dallo sparo, se cioè era vicino
al De Santis, il consulente ha
risposto: "la estrema vicinanza
degli spari deve essere supposta
anche da parte di Esposito
Alfonso, il cui sangue è
addirittura presente sulla parte
inferiore della pistola... E la
cui giacca antipioggia è
risultata nettamente positiva ai
residui dello sparo". Quanto a
Gennaro Fioretti, essendo stato
attinto da due proiettili, egli
ha riportato due ferite di
maggiore entità, descritte nel
relativo capo di imputazione,
una al braccio e una al polso.
Circa la posizione del Fioretti
rispetto agli altri corrissanti
e in particolare rispetto al De
Santis e a Ciro Esposito, alla
domanda del PM: "ci può dire se
la dinamica dello sparo implica
il fatto che Fioretti Gennaro
fosse comunque vicino all’area
di fuoco ?", la risposta del
consulente è stata: "sì, questo
lo posso confermare senz’altro,
tenendo conto di tutti gli
elementi, anche diciamo di
quelli extra biologici e
comunque in prossimità, tenendo
conto che sono anche due colpi
in rapida successione, perché di
fatto sinistra-destra sono due
colpi e tenendo anche presente
che le traiettorie balistiche
extra terminali tendono comunque
alla divergenza. Quindi per
essere stato attinto da due
proiettili in due segmenti cosi
ravvicinati, la vicinanza è da
assumere come il dato
caratterizzante ". Piu complesso
il quadro per Ciro Esposito.
Dalla consulenza esperita prima
sulla persona e poi sul suo
cadavere, è emerso che il
predetto è morto il venticinque
giugno, a seguito di un decorso
post-operatorio lungo e
purtroppo inutile, che è stato
colpito non da uno, ma da due
colpi, di cui uno, mortale,
quello all’emitorace destro,
l’altro alla mano sinistra, che
è stato classificato come un
proiettile di striscio, avendone
l’aspetto tipico, detto del
"semicanale", che si è formato
nel punto in cui il proiettile
ha sfiorato la mano. Richiesto
su dove si trovasse Ciro
Esposito nel momento in cui è
stato attinto dai due colpi di
arma da fuoco, il consulente
Ciallella ha risposto che
sicuramente si trovava in una
posizione compresa tra i trenta
e i cinquanta centimetri di
distanza dal soggetto che ha
sparato, come dimostrato dalle
caratteristiche del foro di
entrata al torace e dal tipo di
ferita alla mano. Alla domanda
se lo sparatore si trovasse allo
stesso livello della vittima o
se per caso fosse a terra, la
risposta è stata: "le due
persone erano più o meno allo
stesso livello, in stazione
eretta entrambi". Cioè entrambi
erano in piedi, quindi a
conferma della dinamica
descritta dai testi oculari, tra
i quali e da annoverare anche
Raffaele Puzone, che è stato
sentito dal GIP, con incidente
probatorio nell’udienza del 6
giugno 2014, (e le cui
dichiarazioni sono pienamente
utilizzabili non risultando lo
stesso essere stato mai
indagato).
Puzone è persona che è
presente ai fatti, seppur in una
posizione arretrata rispetto al
gruppo di tifosi napoletani che
ha raggiunto il De Santis, di
cui non faceva parte, anche se
li conosceva di vista. È stato
lui, assieme ad altre due
persone, a prestare soccorso a
Ciro Esposito e a portarlo a
braccia fuori dal vialetto,
scena ripresa dal filmato
visionato dalla Corte. Secondo
la sua deposizione egli,
all’inizio della vicenda, stava
percorrendo lo stesso cammino
del gruppo di Ciro Esposito,
leggermente indietro rispetto a
loro di qualche decina di metri.
Si trovava all’uscita di un
parcheggio in terra battuta, che
è situato qualche decina di
metri prima del punto dove poi
Ciro Esposito e gli altri hanno
attraversano la strada, come
raffigurato da una foto
visionata dalla Corte, che
mostra un gruppo di tifosi, tra
cui anche Ciro Esposito,
riconoscibile da un vistoso
zainetto in spalla. il Puzone
quindi si trovava all’uscita di
quel parcheggio e il gruppo di
Ciro Esposito e gli altri,
invece, a una decina di metri
circa più avanti. Egli era
situato in modo da poter vedere
attraverso il varco tra il
pullman oggetto dell’attacco del
De Santis e il mezzo che lo
precedeva immediatamente nella
colonna formatasi e quindi aveva
una visuale diretta sul campo di
azione del De Santis,
successivamente campo d’azione
di Ciro Esposito e degli altri.
Ha potuto vedere, cioè, quello
che nel video visionato dalla
Corte, non è visibile, dopo
l’ingresso di Ciro Esposito e
degli altri nella stradina.
Infatti, dopo che era passato il
primo gruppo di tifosi
napoletani che aveva scavalcato
il guardrail, tra i quali c’era
anche Ciro Esposito, lui li
aveva seguiti, posizionandosi
indietro rispetto agli altri,
più o meno tra i due pullman, e
da lì aveva assistito alla fase
finale della scena. Egli,
sostanzialmente, attratto come
gli altri dall’esplosione dei
fumogeni, ha sentito le urla del
De Santis che offendeva e
invitava le persone che stavano
sul pullman a scendere,
minacciandole di ammazzarle,
quindi, dopo il fragore delle
esplosioni, dopo le urla e le
minacce del De Santis, ha visto
il gruppo dei tifosi, tra i
quali anche Ciro Esposito,
accorrere e si è avvicinato alla
stradina che conduce al Ciak
Village, senza inoltrarvisi.
Quando, diradatosi il fumo dei
petardi, ha recuperate la
visibilità, ha notato la sagoma
del De Santis, descritto quale
persona corpulenta, che già si
era avviata, correndo, seppur
non a velocita eccessiva, verso
l’interno, ha visto gli altri
che lo inseguivano, ha visto che
stavano per raggiungerlo e, ad
un certo punto, ha visto che il
De Santis perdeva l’equilibrio,
si rialzava e nel rialzarsi
estraeva direttamente la
pistola. Alla vista della
pistola, come tutti gli altri,
secondo quanto raccontato anche
dal Pinto, si è riparato dietro
la sagoma del pullman, perché si
trovava appunto tra il pullman e
un furgone, ha sentito i quattro
spari e quando gli spari sono
cessati si è riaffacciato
vedendo, a questo punto, una
situazione di quiete, ovvero un
corpo a terra che altre due
persone vicine non riuscivano da
sole a sollevare, si era quindi
avvicinato anche lui, e
avvedendosi che si trattava
della persona che lui conosceva
di vista, ovvero Ciro Esposito,
ha aiutato gli altri a tirarlo
su e insieme a loro lo ha
trascinato, (come rappresentato
nel filmato visionato dalla
Corte), fino al centro della
carreggiata, dove tutti insieme
hanno atteso l’arrivo
dell’ambulanza.
In sede di incidente
probatorio, come detto, sono
state esperite quattro perizie.
Innanzitutto la perizia
balistica che ampiamente
riferisce circa le
caratteristiche della pistola,
il fatto che recasse matricola
abrasa, il fatto che
effettivamente aveva esploso
quattro colpi, come comprovato
dal rinvenimento a terra dei
relativi bossoli, oltre a una
pallottola inesplosa. Tutti
questi reperti vengono indicati
come univocamente riferibili
alla pistola successivamente
rinvenuta. Nell’esame innanzi al
GIP il perito ha dato ampi
riscontri anche delle modalità
con le quali è stata rinvenuta
l’arma: come risulta anche dalle
fotografie scattate dal teste
Martinelli, la pistola viene
rinvenuta scarrellata, cioè con
tutto il carrello portato
indietro e la canna nuda esposta
in avanti. Il perito ha spiegato
che questa è la posizione che
assume la pistola quando sono
stati esplosi tutti quanti i
colpi in quanto a quel punto c’è
un meccanismo che blocca l’arma
in fase di quiete. Per quanto
riguarda il proiettile inesploso
trovato a terra, ha riferito
chiaramente lo stesso perito che
per cadere a terra inesploso,
deve essere stato, come si dice
in gergo, "scarrellato", cioè in
qualche modo l’utilizzatore
dell’arma ha portato indietro il
carrello mentre già c’era un
colpo in canna e il proiettile è
stato espulso. Nella
ricostruzione del perito tale
espulsione, stante le
caratteristiche di funzionamento
di una pistola semiautomatica,
deve essere avvenuta o prima di
esplodere il primo colpo o dopo
aver esploso l’ultimo, dal
momento che si è trattato di
quattro spari consecutivi
esplosi senza soluzione di
continuità. La prima ipotesi
consiste nell’ azione dello
sparatore che, dimentico di aver
già spinto il colpo in canna,
tirando indietro il carrello per
azionare la pistola, forse data
la concitazione del momento, con
gesto automatico e irriflesso "scarrella" nuovamente
provocando, così, l’espulsione
del colpo in canna che rimane
inesploso. L’altra ipotesi è che
l’arma si sia inceppata al
momento di esplodere il quinto e
ultimo colpo e che lo sparatore,
per disincepparla, abbia
azionato il carrello, espellendo
così il colpo in canna. In
questa ipotesi il proiettile
fuoriesce, non ce n’è però uno
successivo e quindi la pistola
rimane bloccata con il carrello
tirato indietro, nella posizione
in cui poi è stata rinvenuta,
posizione che assume, comunque
quando non ci sono più colpi nel
caricatore. Stando alla
deposizione del teste Pinto,
questa sarebbe la ricostruzione
più accreditabile.
È stata svolta poi dal
GIP la perizia biologica, cioè
la perizia sui DNA estratti
dalle tracce biologiche presenti
sugli oggetti rinvenuti sulla
scena del crimine. Essa ha
accertato che le varie macchie
di sangue che sono state
rinvenute, (in particolare un
esteso imbrattamento, cosi
descritto dalla Polizia
scientifica che lo ha
fotografato) rilevate per terra
in prossimità del luogo dove
sono stati trovati i bossoli e
altri reperti, dove
verosimilmente il De Santis ha
stazionato più a lungo, perché
lì si sono svolte un paio delle
quattro o cinque ondate di
aggressione nei suoi confronti,
probabilmente proprio quelle più
violente; dette tracce ematiche
sono riferibili al De Santis. Il
perito ha acclarato la presenza
di tracce del DNA del De Santis
in una serie di reperti, per
esempio c’è un collo di
bottiglia che viene rinvenuto
all’interno del giardino del
Ciak Village che reca tracce di
sangue di De Santis; c’è un
coltello che viene ritrovato
successivamente all’esterno
perché qualcuno evidentemente
l’aveva preso, portato via con
sé e poi se n’è disfatto andando
verso lo stadio, che reca degli
aloni di sangue di De Santis. Ci
sono dei bastoni recuperati
all’interno del Ciak Village nel
giardino e un manico di una
scopa in alluminio, che recano
tutti quanti tracce ematiche di
De Santis. Poi c’è un berretto
marca Atlantis che viene trovato
nei pressi del luogo dove sono
stati esplosi e rinvenuti i
bossoli, alle spalle del punto
dove, con elevato grado di
credibilità, si trovava il De
Santis quando ha sparato,
berretto che pure è a lui
attribuibile perché reca
all’interno delle tracce di
sudore e di epidermide nelle
quali e stato riscontrato il suo
DNA. All’interno del Ciak
Village sono stati rinvenuti
anche due guanti neri di pelle;
uno dei due, il guanto sinistro,
reca all’interno tracce di
sudore e di epidermide
riferibile a De Santis, si
tratta delle normali tracce che
rimangono sugli indumenti dopo
averli indossati. Entrambi i
guanti non recano tracce
ematiche, né all’interno, né
all’esterno. È risultato dalla
perizia biologica che la pistola
presenta due gruppi di tracce
ematiche. La parte posteriore,
quindi il calcio, la zona che
copre il grilletto, il
grilletto, la parte zigrinata
che sta in fondo al carrello,
recano tracce di sangue
riferibili al De Santis. Sulla
parte anteriore della pistola
invece sono presenti tracce di
sangue di Esposito Alfonso, sia
su quella parte di canna che
rimane nuda per effetto
dell’arretramento del carrello,
sia sulla parte anteriore del
carrello. Ancora, altre tracce
di sudore da cui è stato
estratto il DNA di Ciro
Esposito, sono state rinvenute
all’interno del cappello marca
Y3, che è, quindi, quello
calzato da Ciro Esposito che
però reca poi sulla visiera una
traccia di sangue appartenente a
De Santis. Si tratta, questo è
stato chiarito bene anche dal
consulente della difesa del De
Santis, di un alone di sangue,
di una strisciatura di sangue,
quindi non è una macchia, non è
uno schizzo, non è una goccia, è
un alone di sangue, come se il
cappello avesse lambito una
qualche superficie dove si
trovava del sangue di De Santis.
Il cappello Franklin Marshall,
rinvenuto anche questo in
prossimità del punto dove sono
stati esplosi i colpi d’arma da
fuoco, reca all’interno tracce
di sudore da cui è stato
estrapolato il DNA di Gennaro
Fioretti. E poi, tra i reperti,
c’è una giacca a vento,
imbrattata del sangue di Alfonso
Esposito, riconosciuta come
propria da lui stesso.
In incidente probatorio
è stata esperita anche una
perizia di microscopia
elettronica, che serve per
rilevare le tracce
caratteristiche dello sparo, che
consente, cioè di rilevare sulle
mani delle persone sottoposte a
stub, metodo di prelievo delle
particelle-spia dalle mani delle
persone o su indumenti, se c’è
stata o no esposizione a polvere
da sparo. In tale perizia,
eseguita da appartenenti al RIS
dei Carabinieri, si distinguono
due tipi di possibili risultati:
il rilievo di particelle di
metallo, solamente compatibili
con detta esposizione, o il
rilievo di particelle
caratteristiche, univocamente
riferibili all’esposizione alla
nube gassosa provocata da uno
sparo di arma da fuoco. Sono
caratteristiche quelle che
contengono il piombo, il bario e
l’antimonio, sono solo
compatibili quelle che
contengono solo due di questi
tre elementi. Dalla perizia
microscopica è risultato che
dallo stub sulle mani del De
Santis sono state rilevate circa
cento particelle, tutte quante
compatibili, ma non univocamente
riferibili a uno sparo di arma
da fuoco, mentre particelle
caratteristiche, univocamente
riferibili allo sparo di arma da
fuoco sono state rilevate sui
suoi guanti, la coppia di guanti
rinvenuta all’interno del Ciak
Village e repertati. Sono
l’unico indumento del De Santis
che riporta tracce univoche di
sparo di arma da fuoco, tracce
caratteristiche non rinvenute né
sulle mani, né sulla felpa, né
sul passamontagna, né sul
berretto del De Santis, su cui
sono state rilevate solo
particelle compatibili. Un altro
indumento che ha particelle
univoche, riferibili
esclusivamente allo sparo di
arma da fuoco, è la giacca di
Alfonso Esposito, così come il
berretto Y3 che aveva in testa
Ciro Esposito su cui sono state
rilevate dieci particelle
univoche. Sul berretto Franklin
e Marshall del Fioretti e sulle
sue mani invece sono state
rilevate dieci particelle
soltanto compatibili, così come
sulle mani e sugli indumenti
della Baglivo. Sulle mani del De
Rosa, che ha dichiarato di aver
maneggiato la pistola, perché ad
un certo punto l’ha raccolta da
terra, è stata rilevata una
particella univoca e cinque
particelle compatibili, mentre
sui suoi abiti sono state
rilevate particelle soltanto
compatibili.
Dalla perizia balistica,
da raccordare con la consulenza
medico-legale del professor
Ciallella, di cui si è già
parlato, si è rilevata la
presenza di cinque proiettili
sulla scena del crimine: quattro
sono stati esplosi, uno e
inesploso, quindi l’imputato ha
sparato quattro colpi, che
coincidono con le quattro
esplosioni avvertite dai testi e
dalla Corte stessa visionando il
video Azzarelli. Quattro
esplosioni di colpi che hanno
provocato in totale cinque
ferite, perché verosimilmente lo
stesso proiettile ha causato due
ferite al Fioretti, una al
braccio destro, che lo ha
trapassato dall’interno verso
l’esterno e l’altra al polso
sinistro. Il medico legale ha
spiegato che è plausibile che
sia stato attinto prima il polso
della mano protesa a difendersi,
e poi il braccio. Alfonso
Esposito, invece, ha riportato
una ferita di striscio al primo
dito della mano destra con la
caratteristica scanalatura
all’incavo tra il pollice e
l’indice. Anche Ciro Esposito è
stato attinto da due colpi di
arma da fuoco, uno al torace e
uno alla mano sinistra. Il
medico legale ha riferito, a
proposito della traiettoria di
questo proiettile, che è stato
sparato ad altezza d’uomo da
soggetto che si trovava in piedi
di fronte a Ciro Esposito, in
piedi a sua volta. Il fatto poi
che Ciro Esposito sia stato
attinto non frontalmente ma nel
lato destro del torace e
riconducibile all’istintivo
gesto di rotazione su sé stesso
da destra verso sinistra
compiuto per sottrarsi al tiro
della pistola che era puntata
contro di lui che lo ha esposto
in modo leggermente laterale
rispetto al colpo che ha subito.
Infine con incidente
probatorio un esperto in scienze
criminalistiche, facente parte
del R.A.C.I.S. dei Carabinieri,
il tenente colonnello Paolo
Fratini, è stato incaricato di
operare, sulla base dei dati
tecnici acquisiti, la
ricostruzione della dinamica dei
fatti. Premesso che, pur
potendosi avvalere di tutti gli
apporti scientifici che ritenga
utili, la ricostruzione ultima
dei fatti compete al Giudice e
non ad altri e che il Giudice e
il "peritus peritorum" , deve
cioè sottoporre sempre a vaglio
critico-logico le risultanze
dell’attività peritale, la Corte
osserva che in realtà detto
perito non ha solo utilizzato le
altre perizie teste illustrate
per la sua ricostruzione, ma
anche tutto il materiale
probatorio rinvenuto nel
fascicolo degli atti di indagine
compiuti fino allora, trasmesso
al GIP per svolgere gli
incidenti probatori, ivi
comprese le sommarie
informazioni testimoniali e la
documentazione sanitaria, da lui
visionata però solo in parte
perché quella completa era nel
frattempo nella disponibilità
del consulente Ciallella. Egli
aveva a disposizione soltanto i
certificati medici per cui nella
sua relazione lamenta la
lacunosità di detta
documentazione tanto da avere
avuto notizia solo dal difensore
del De Santis delle "gravi
ferite da arma da taglio"
riportate dallo stesso nell’
occorso. Quindi ha analizzato i
dati scientifici, prove
documentali incomplete e alcune
prove dichiarative, ancora
parziali, che lo hanno portato a
concludere, per esempio, che ci
siano state solo due ondate di
aggressione nei confronti del De
Santis dopo che lo stesso aveva
sparato, mentre la teste Baglivo
e il De Rosa hanno riferito che
in realtà le ondate sono state
almeno quattro. Ciononostante la
perizia Fratini per diversi
passaggi è attendibile, sebbene,
non conoscendo elementi
testimoniali che in quel momento
non erano confluiti nel
fascicolo a sua disposizione,
esclude che il De Santis potesse
indossare i guanti al momento in
cui maneggia la pistola mentre
il teste Domenico Pinto, ha
riferito in dibattimento,
all’udienza del 26 gennaio 2016,
proprio che il De Santis al
momento in cui maneggiava la
pistola utilizzava i guanti. Dà
quindi una serie di spiegazioni,
basate su questo presupposto,
con riferimento alle tracce di
sangue del De Santis rinvenute
sul calcio della pistola. Il
perito afferma che il De Santis
lascia tracce del proprio sangue
sulla pistola perché, nel
momento in cui la estrae ha, in
qualche modo, la mano sporca di
sangue, il che vuol dire che non
indossa guanti e che è stato
ferito prima di estrarre la
pistola. C’è da dire però che,
seppure i guanti ritrovati
all’interno del Ciak Village
sicuramente appartengono a De
Santis perché dentro ci sono le
tracce del suo sudore e della
sua epidermide da cui si è
estratto il suo DNA, detti
guanti ad un certo punto gli
devono essere caduti per terra
dopo che lui stesso o un
soccorritore glieli ha sfilati.
I guanti, come illustrato dalle
foto della Polizia scientifica,
vengono rinvenuti distanti tra
loro e all’interno del Ciak
Village, all’interno del
giardino, non sul luogo in cui
sono stati sparati i colpi. Poi
la forma in cui vengono
rinvenuti poggiati a terra e
quella di guanti strappati
frettolosamente dalle mani,
sfilati senza neanche tirarli
per le punta delle dita, come
normalmente si fa, ma facendoli
scorrere partendo dal collo del
guanto verso il polso. Infatti
sono rattrappiti, ripiegati su
sé stessi e in parte con le dita
rientrate all’interno della
parte che ricopre il palmo della
mano, che è la forma tipica che
assume il guanto quando viene
sfilato di fretta. La
circostanza che ha riferito il
teste Pinto, e cioè che i guanti
erano indossati dal De Santis al
momento in cui maneggiava la
pistola, deve ritenersi quindi
attendibile non solo perché
confermata dal reperimento dei
guanti nelle condizioni
descritte, ma anche perché sono
l’unico indumento del De Santis
che presenta le tracce
caratteristiche di sparo di arma
da fuoco. Le uniche tracce
univoche, esclusivamente
riferibili allo sparo si trovano
proprio sulla parte esterna di
detti guanti. Questi dati
divergono dalla corrispondente
ricostruzione del perito Fratini
e del consulente della difesa,
anch’egli sentito dalla Corte,
secondo cui i guanti erano
invece da qualche parte, in
qualche tasca dei vestiti di De
Santis, prima di cadere per
terra, ma ciò è altamente
improbabile perché negli
indumenti del De Santis, e in
particolare nelle tasche, dove
pure è stato reperito un
passamontagna, tracce univoche
di residui di sparo non ce ne
sono, mentre ce ne sono soltanto
sui guanti, sulla parte esterna,
più esposta ai residui di sparo:
se ne deve desumere che erano
calzati dallo sparatore. Allora
però, accertato che lo sparatore
indossava i guanti, si dimostra
sbagliata l’altra parte della
ricostruzione peritale perché se
indossando i guanti il De Santis
fosse stato ferito, il sangue
sarebbe stato trovato non solo
sul calcio della pistola, ma
anche sui guanti, mentre sui
guanti non c’è traccia di sangue
alcuna, né del De Santis, né di
altri. Evidentemente il perito
ritiene che il de Santis sia
stato ferito, si sia toccata la
ferita, avvertendo il colpo, si
sia sporcata la mano di sangue,
abbia estratto la pistola e
abbia trasferito il sangue dalla
ferita al calcio della pistola.
Ma è evidente che non può essere
andata così una volta accertato
che indossava i guanti, perché,
altrimenti, si sarebbero dovute
trovare sui guanti, oltre alle
tracce della polvere da sparo,
anche tracce di sangue che
invece sono assenti. Il sangue
rinvenuto sul calcio della
pistola e viceversa
giustificabile secondo un’altra
dinamica, che in parte è stata
in qualche modo indicata da De
Santis stesso
nell’interrogatorio reso. Va
rimarcato che sono state
rilevate sulla pistola,
precisamente sul calcio, non
solo le tracce del sangue del De
Santis, ma altresì sulla canna
dell’arma anche le tracce del
sangue di Alfonso Esposito.
Allora l’unica ricostruzione dei
fatti che consente una logica e
coerente collocazione dinamica
dei dati acquisiti è che il De
Santis è stato ferito
successivamente all’esplosione
dei colpi, cioè che Alfonso
Esposito, ferito alla mano
destra tra il pollice e l’indice
per effetto di un colpo di
pistola di striscio, ha
afferrato con la mano
insanguinata la canna della
pistola, la ha tolta dalle mani
del De Santis e lo ha colpito in
fronte con il calcio dell’arma,
come del resto ha dichiarato lo
stesso De Santis. Questo è il
motivo per cui sul calcio della
pistola, su tutta la parte
posteriore sono state rinvenute
le tracce del sangue del De
Santis. Infatti la fronte, come
illustrato dal consulente
Ciallella è una zona
particolarmente irrorata da vasi
sanguigni e una ferita del tipo
di quella riportata dal De
Santis, che tra l’altro ha la
forma tipica di una virgola
quasi chiusa, risulta
compatibile con un corpo
contundente di forma
corrispondente al calcio di una
pistola e deve necessariamente
aver prodotto un’immediata e
consistente perdita di sangue,
tale da lasciare tracce sulla
parte posteriore della pistola.
L’altro dato per cui appare
certo che Alfonso Esposito ha
afferrato la pistola dopo che la
stessa ha sparato e che l’arma è
stata rinvenuta scarrellata,
cioè con il carrello tratto
tutto indietro e con la canna
nuda, in posizione di quiete,
dopo che si erano esauriti i
colpi e il caricatore era stato
svuotato. Tracce del sangue di
Alfonso Esposito sono state
rinvenute sulla canna nuda e
anche sulla parte anteriore del
carrello: l’unico modo per
giustificare la presenza di
sangue sulla canna nuda e
ritenere che la pistola sia
stata già in quella posizione
nel momento in cui Alfonso
Esposito l’ha presa, altrimenti
ci sarebbero state tracce di
sangue sul carrello, ma non
sulla canna nuda. Il fatto che
ci siano su entrambe vuol dire
inequivocabilmente che la
pistola era già in quella
posizione, quando Alfonso
Esposito la ha afferrata dopo
che il De Santis aveva esaurito
i colpi.
Tutte queste
considerazioni, quindi, portano
a escludere che vi sia stato un
qualche tipo di ferimento del De
Santis prima che egli estraesse
la pistola. Infatti non è
seriamente prospettabile
l’ipotesi che il De Santis e la
sua difesa hanno cercato di
accreditare secondo cui le
ferite da punta sulle natiche
del De Santis, (le
"puncicature", nel gergo degli
ultras) gli siano state inferte
prima che sparasse, perché i
testimoni oculari al momento del
contatto col De Santis non hanno
visto alcun tipo di movimento di
Ciro Esposito e dei suoi sodali
riferibile ad un
accoltellamento, mentre tutti,
concordemente, hanno percepito
il repentino gesto del De Santis
di girarsi e contemporaneamente
di tirare fuori la pistola e
sparare. E poi quelle ferite
sono superficiali, nemmeno sono
state rilevate e refertate al
pronto soccorso e quando sono
state rilevate e refertate, cioè
a sera tardi, al reparto di
degenza, non sono state trattate
chirurgicamente, come riferito
dal medico legale. Essendo
superficiali e inferte nello
spesso tessuto adiposo di un
individuo obeso, e praticate in
una parte del corpo coperta dai
vestiti, esse non avrebbero mai
potuto produrre un sanguinamento
tale da sporcare di sangue la
mano dell’accoltellatore. Quindi
anche quelle ferite da coltello
verosimilmente si collocano in
una fase successiva, e cioè nel
corso delle varie aggressioni di
cui è stato oggetto De Santis
che si trovava riverso in terra
dopo la caduta e ha sicuramente
offerto il fianco e la schiena
agli aggressori nel tentativo di
trascinarsi arrancando con le
mani per terra, per allontanarsi
sempre di più dai suoi
aggressori e guadagnare la
salvezza. Del resto i testi che
più da vicino e con più
completezza hanno ricostruito la
vicenda, insieme anche al video
di Azzarelli, non consentono di
inserire nella tempistica
dell’aggressione, cioè nella
dinamica del contatto che c’è
tra Ciro Esposito, il Fioretti e
Alfonso Esposito, un qualche
tipo di colluttazione grave che
possa aver prodotto un
sanguinamento del De Santis.
Mentre gli altri testi sul punto
non hanno riferito alcunché,
solo il Pinto ha detto che ad un
certo punto Ciro Esposito ha
raggiunto il De Santis, forse
gli ha dato uno schiaffo, forse
un pugno, ma niente che possa
aver provocato un sanguinamento
tale da trasferirsi in più
passaggi successivi, prima sulle
mani del De Santis, peraltro
guantate, e poi sul calcio della
pistola. lnfatti, visionando il
video girato dal teste
Azzarelli, ci si rende conto che
i tempi sono particolarmente
ristretti.
Un consulente di una
parte civile ha misurato il
tempo che intercorre tra quando
Ciro Esposito scavalca il
guardrail e quando si sente il
primo dei quattro spari. Questo
tempo è stato calcolato in 7
secondi e 69 centesimi, mentre
la distanza percorsa prima del
contatto è di 50 metri e 98
centimetri, fino al punto in cui
sono stati rinvenuti i bossoli.
Tempi così ristretti bastano
solo per percorrere la distanza
e nel momento in cui gli
inseguitori hanno raggiunto il
fuggitivo, nel momento in cui
Ciro Esposito che era il primo
ha forse messo le mani addosso a
De Santis, o placcandolo, come
riferito dal Ferrante, o
dandogli uno schiaffo, come
riferito dal Pinto, niente di
più di questo può essere
accaduto. Il teste Ferrante,
nella sua deposizione ha
riferito che dal momento in cui
ha visto Ciro Esposito che in
qualche modo arrivava a toccare
il De Santis, mettendo le mani
sulle sue spalle afferrandolo da
dietro, a quando aveva perso di
vista la scena, perché subito
dopo i fumogeni esplosi avevano
oscurato la visuale e aveva
sentito gli spari, ha calcolato
il tempo intercorso in tre,
quattro secondi. Questa è un
lasso di tempo insufficiente
perché possa essere accaduto
tutto quello che ha riferito il
De Santis, che cioè un
energumeno, quindi non Alfonso
Esposito, le cui caratteristiche
fisiche non corrispondono a tale
descrizione, ha tirato fuori una
pistola, gliela ha sbattuta in
testa, dopodiché c’è stata una
colluttazione, a seguito della
quale è riuscito a
strappargliela di mano e a
sparare. Tra l’altro i tempi si
restringerebbero anche di più se
lo scarrellamento che ha fatto
perdere il quinto proiettile
inesploso fosse avvenuto
all’inizio piuttosto che alla
fine della sparatoria e il teste
Pinto ha dichiarato che il De
Santis ha provato a sparare
ancora dopo che si era inceppata
la pistola. Peraltro, a smentire
le dichiarazioni del De Santis,
c’è da considerare che chiunque
porti con sé una pistola e ne
abbia quindi qualche
dimestichezza, mai la
brandirebbe per la canna carica
e col colpo in canna per colpire
qualcuno, essendo elevatissimo
il rischio che così facendo
faccia partire un colpo diretto
proprio contro di sé. Del resto
dette dichiarazioni risultano
contraddette da quelle rese ad
Angela Tibullo da Ciro Esposito
che lo riconosce come colui che
l’ha attinto con due colpi
d’arma da fuoco, da quelle di
Domenico Pinto, che è testimone
a pochi metri dai fatti, lo vede
sparare, gli vede puntare l’arma
e sparare non alla cieca, ma
mirando al corpo di Ciro. È
falso pure quanta dichiarato
dall’imputato a proposito della
pistola, che cioè non fosse sua.
Non è vero, perché quando
l’ispettore Carlaccini, che è il
primo poliziotto a intervenire
sul teatro dei fatti, lo ha
interrogato sull’arma, il De
Santis ha detto di ignorare la
presenza di una pistola. Ebbene,
se la pistola non fosse stata
sua avrebbe avuto tutto
l’interesse a dire esattamente
il contrario e a raccontare
quanta invece dichiarato alla
Corte e cioè che c’era una
pistola, con cui qualcuno lo
aveva colpito in testa, che si
era difeso, aveva dovuto
prenderla, strapparla di mano
all’aggressore e difendersi
sparando. Invece tutto ciò non è
stato detto al Carlaccini che ha
dovuto fare una perquisizione
per trovarla, finché la Baglivo
non gliela ha indicata. Altra
menzogna è quella relativa al
cancello che delimita la
stradina con Viale Tor di
Quinto, che il De Santis avrebbe
cercato di chiudere e sotto cui
si sarebbe schiacciato il piede,
secondo la sua versione dei
fatti. A giudizio della Corte,
si tratta di una ricostruzione
di comodo volta a dimostrare che
egli cercava di difendersi da
aggressori così violenti da
rompere il cancello, entrare e
aggredirlo mentre lui cercava
solo di difendersi, ma non è
vera. Infatti il professore
Ciallella ha accertato, in base
alle sue competenze tecnico
scientifiche, che la frattura al
piede del De Santis non è stata
provocata da schiacciamento,
bensì da una rovinosa caduta, a
cui ovviamente poi si sono
aggiunti colpi violenti durante
il pestaggio subito da parte dei
tifosi napoletani sopravvenuti
quando sono cessati gli spari e
i feriti sono stati allontanati.
Lo svolgimento dei fatti,
ricostruito al di là di ogni
ragionevole dubbio dalla Corte
in base alle prove documentali,
testimoniali e scientifiche
acquisite è diverso. La presenza
di uomini nascosti nella
stradina che conduce al Ciak
Village che attendono i tifosi
napoletani che inseguono il De
Santis lanciando contro di loro
bombe carta e ogni sorta di
sassi e oggetti vari è certa
perché testimoniata dalle
deposizioni di più persone,
anche da punti di osservazione
diversi. Essi non sono stati
identificati perché
allontanatisi dal teatro degli
accadimenti prima
dell’intervento della Polizia,
subito dopo gli spari, così come
non sono stati identificati i
tifosi napoletani che, in più
ondate, hanno infierito sul De
Santis una volta disarmato, a
terra e inerme,
nell’impossibilita di muoversi a
causa della frattura. È
altrettanto certo che i soggetti
nascosti alla vista della
tifoseria napoletana fossero
ultras romanisti, essendo la
tifoseria romanista ostile a
quella napoletana per fatti
risalenti nel tempo, con atti
anche violenti di animosità
reciproca protrattisi negli
anni. È del pari certo che
costoro non potevano trovarsi
casualmente in quel posto
appartato, conosciuto e
familiare solo al De Santis e
purtroppo lasciato privo di
qualsiasi presidio da parte
della Polizia (benché fosse noto
alla stessa che si trattava
della "tana" di un pericoloso e
facinoroso ultras), proprio nel
momento in cui vasti
raggruppamenti della tifoseria
napoletana gli passavano davanti
per raggiungere lo Stadio
Olimpico. È certo, quindi, che
detti "supporters" romanisti
erano stati convocati da lui,
per organizzare un vero e
proprio agguato contro l’invisa
tifoseria partenopea, agguato
cessato immediatamente quando,
al termine della sparatoria, i
tifosi napoletani accorrevano in
numero soverchiante. Come e
quando si sia organizzato
l’agguato non è dato sapere alla
Corte, ma in realtà, si tratta
di circostanza che non rileva.
In ogni caso la Corte conosce i
prodomi degli accadimenti,
risalenti alla notte "brava"
precedente in cui il De Santis
risulta, tra l’altro, aver
assunto abbondantemente cocaina.
È fatto notorio che detto
narcotico produce nell’assuntore
un senso di onnipotenza
associato a una correlativa
incapacità critica di razionale
valutazione di fatti, azioni e
circostanze.
Entrambi questi fattori
hanno, con tutta evidenza,
indotto l’imputato, nella sua
azione di provocazione, a
sottovalutare il grave pericolo
scaturente dalla reazione voluta
e sollecitata dei napoletani
presenti in numero esorbitante
in viale di Tor di Quinto e a
sopravvalutare la sua capacità
fisica di sottrarsi
all’inseguimento, ma hanno al
contempo influenzato la sua
scellerata scelta di operare la
provocazione con una pistola in
tasca carica e con il colpo in
canna. Chi si presenta a queste
condizioni ad un evento con le
caratteristiche di quello in
esame prevede e accetta
l’eventualità di usarla con
conseguenze anche letali. E con
scelta altrettanto scellerata,
intraprende la sua azione di
provocazione, che non si limita
ad aggressioni verbali e gesti
di sfida, ma si realizza con una
forma di aggressione fisica nei
confronti dell’odiata tifoseria
consistente nell’esplosione di
due bombe carta e nel tentativo
di lanciarne un’altra contro un
pullman di tifosi tanto pacifici
da recarsi ad assistere alla
partita perfino con bambini,
adolescenti e un disabile al
seguito. Inutilmente nel suo
interrogatorio l’imputato ha
cercato di accreditare la
versione secondo cui egli
sarebbe sceso a chiudere il
cancello per evitare che i
tifosi napoletani potessero
introdursi nel Circolo Boreale.
Tutta la serie delle deposizioni
dei testimoni esaminati, il
Ferrante, il Mancuso, Aquilino
Palma, Camillo Cimmino
riferiscono senza esitazioni che
egli li apostrofava: "Venite
giù, venite, venite, venite" e
intanto esplodeva gli ordigni, "venite giù, venite"; detta
circostanza appalesa
inequivocabilmente che, invece,
De Santis aveva elaborato un
piano preordinato che prevedeva
la provocazione contro un
pullman di tifosi napoletani
inermi. Quando Ciro Esposito e
altri tifosi napoletani sentono
le urla dei passeggeri del
pullman, avvertono il pericolo,
scavalcano il guardrail, la
provocazione contro gli
occupanti del pullman ha termine
e prosegue invece contro di
loro. Domenico Pinto dice che ad
un certo punto, prima ancora di
scappare, il De Santis si
rivolge ai tifosi napoletani,
cioè a Ciro Esposito,
incitandoli a raggiungerlo,
evidentemente per realizzare il
piano già predisposto che, nel
suo progetto folle, doveva
concludersi con il pestaggio dei
tifosi napoletani che erano
corsi ad inseguirlo dentro il
vialetto, là dove sarebbe stato
spalleggiato da almeno sei
individui non identificati che
ovviamente, alla vista della
moltitudine dei tifosi
napoletani accorrenti, non hanno
potuto fare altro che scappare.
Quindi la ricostruzione dei
fatti e che il De Santis lancia
le bombe carta contro il
pullman, si avvede dell’arrivo
dei napoletani che stavano
affluendo nella stradina, cerca
di attrarli nell’ agguato,
percorre alla velocità che gli è
consentita dalla sua mole un
tratto della stradina, i suoi
spalleggiatori cominciano il
lancio di bombe carta ed altri
oggetti ma, resisi conto che i
tifosi del Napoli, inizialmente
nascosti alla loro vista dal
pullman, si stavano riversando
in numero soverchiante e
minacciosi in direzione della
stradina, si defilano. A quel
punto il De Santis, raggiunto da
Ciro Esposito e dagli altri,
rimane solo, estrae la pistola e
spara quattro colpi ad altezza
d’uomo e, come è dimostrato
dalla posizione di quiete in cui
è stata rinvenuta la pistola,
smette di sparare soltanto
quando questa ha esaurito i
colpi nel caricatore. Quando
spara ha di fronte a sé un
gruppo di inseguitori, che gli
sono addosso; il consulente
Ciallella ha valutato tra i
trenta e i cinquanta centimetri
la distanza a cui si trovava il
più vicino che è sicuramente
Ciro Esposito, ma gli altri si
trovavano comunque molto vicini
e verosimilmente formavano tra
di loro un fronte compatto. È
evidente che, se con quattro
colpi il De Santis coglie cinque
volte il bersaglio, considerando
che uno dei colpi di striscio,
verosimilmente quello che ha
attinto la mano di Alfonso
Esposito, ha proseguito la sua
corsa e ha ferito qualcun altro,
la sagoma degli aggressori
doveva essere abbastanza
compatta e ristretta di fronte a
lui. Quindi spara nel mucchio ad
altezza d’uomo, sempre
all’altezza di organi vitali,
perché Alfonso Esposito viene
attinto alla mano, Ciro Esposito
alla mano e al torace e il
Fioretti viene attinto al polso
e al braccio. Il Fioretti in
particolare viene colto in una
posizione aggressiva, mentre
stava inseguendo il De Santis,
verosimilmente brandendo un’asta
di bandiera o qualche oggetto
del genere di quelli poi
rinvenuti dalla Polizia, con il
braccio alzato per vibrare un
colpo. La diversa,
inattendibile, ricostruzione dei
fatti della perizia Fratini,
secondo cui il De Santis sarebbe
stato in qualche modo ferito a
sangue prima di esplodere i
colpi d’arma da fuoco, fatta
propria nelle sue tardive
dichiarazioni rese in
dibattimento dall’imputato, (in
sede di udienza di convalida si
era avvalso della facoltà di non
rispondere), mira a posporre la
sua reazione armata rispetto
alla reazione aggressiva dei
napoletani seguita alla sua
provocazione, per attenuare la
sua responsabilità. In realtà il
sangue del De Santis è
cominciato a scorrere solo dopo
gli spari, o dalla frattura
esposta della gamba, riportata
in esito alla caduta, avvenuta
sicuramente in prossimità del
posto dove sono stati rinvenuti
i bossoli, dopo gli spari o più
probabilmente, dalla fronte,
zona assai irrorata, dando luogo
a quello che la Polizia
scientifica correttamente
descrive come imbrattamento di
sangue sul terreno e il perito
Frattini enfaticamente, ma
impropriamente, descrive come
pozza di sangue. I fatti
susseguenti agli spari, al colpo
inferto alla fronte del De
Santis con la sua stessa arma
ormai scarica, sono consistiti
nel tentativo di questi di
sottrarsi alla rappresaglia dei
tifosi napoletani che a più
ondate si sono riversati nella
stradina infierendo
selvaggiamente, anche con le
cosiddette "puncicate" (di cui
alla documentazione sanitaria)
su lui, ormai inerme e steso al
suolo dopo la caduta. Né può
essere condivisa la
prospettazione difensiva secondo
cui nell’aggressione di Ciro
Esposito e degli altri accorsi
per primi contro il De Santis
per punirlo di quanto aveva
fatto, sarebbe ravvisabile un
arresto in flagranza di reato da
parte dei privati previsto
dall’art. 383 C.P.P. 11 soccorso
della Baglivo e degli altri al
De Santis e l’imminente arrivo
della Polizia hanno concluso la
vicenda, vicenda che con lo
scambio reciproco di violenze
tra gruppi di tifosi romanisti e
napoletani innescato dalla
provocazione dell’imputato
integrano viceversa gli elementi
costitutivi del delitto di rissa
contestato.
Per quanto riguarda
l’ipotizzabilità della legittima
difesa, ancorché putativa,
invocata dalla difesa, la Corte
osserva che gli orientamenti
dominanti, ormai consolidati
della giurisprudenza di
legittimità sul rapporto tra il
delitto di rissa e la
scriminante della legittima
difesa esclude sempre e comunque
che in caso di rissa la
scriminante possa ricorrere,
perché nella rissa le parti
accettano la situazione di
pericolo nella quale loro stesse
si sono poste (Cass. 5° sez.
9/1/2008, 2/2/2009, ex plurimis,
da ultimo la Sez. 1° della
Suprema Corte, con sentenza
n.12740 del 20/12/2011: "l’uso
della parola "necessita" nella
formulazione legislativa della
legittima difesa di cui
all’art.52 C.P. ha una portata
perentoria che esclude, dal suo
rigoroso orizzonte applicativo,
qualsiasi caso di volontaria
determinazione di una situazione
di pericolo, ivi compreso quello
in cui l’agente abbia
contribuito ad innescare una
sorta di duello o sfida contro
il suo avversario o attuato una
spedizione punitiva nei sui
confronti". Nel caso di specie
l’accettazione della situazione
di pericolo in cui i corrissanti
incorrono e sicuramente certa
per il De Santis, che ne è tanto
consapevole da munirsi di
pistola carica e con il colpo in
canna per affrontarla, ben
determinato di andare a
provocarla. Ma l’accettazione
della situazione di pericolo
rispetto alla quale poi non si
può invocare la legittima difesa
avviene anche da parte degli
altri soggetti rissanti che
aggrediscono il De Santis. Il
loro comportamento è legittimo e
addirittura commendevole fino a
che mettono in fuga il De
Santis, ma il successivo
inseguimento non ha più nessuna
funzione di protezione del
pullman e dei sui passeggeri,
esposti fino allora
all’aggressione, che viene meno
con il loro solo comparire sulla
scena che già ottiene la
cessazione dell’aggressione del
De Santis, con l’interruzione
del lancio delle bombe carta e
il suo allontanamento
precipitoso. Da quel momento in
poi la protrazione dell’azione
consistente nell’inseguimento e
in quanto ne è scaturito non ha
più nessuna funzione difensiva
nei confronti di terzi, ma è
solo un’aggressione punitiva nei
confronti del De Santis,
rispetto alla quale non può in
nessun modo invocarsi la
scriminante. Tra l’altro se la
Cassazione afferma che
tendenzialmente nella rissa non
è mai configurabile l’esimente
della legittima difesa, tranne
in casi eccezionali, perché in
essa tutti i soggetti coinvolti
danno causa, con il proprio
comportamento, alla situazione
di pericolo, dice pure che nelle
rare situazioni in cui, in
astratto, la scriminante si
potrebbe configurare, occorre
che la reazione del soggetto che
la invoca sia delimitata dai
requisiti di proporzionalità e
adeguatezza fissati
dall’articolo 52 C.P. La
reazione del De Santis nei
confronti dei soggetti che lo
inseguono a mani nude o, al
massimo, brandendo delle aste di
bandiera, consistendo
nell’estrarre una pistola e fare
fuoco all’impazzata ad altezza
d’uomo fino a esaurire il
caricatore sicuramente non è
riconducibile ai parametri di
adeguatezza e di proporzionalità
dettati dall’articolo 52 C.P.
L’unico margine di legittima
difesa che la Cassazione ammette
è l’ipotesi che nel corso di una
rissa, a rissa già avviata, vi
sia un’azione assolutamente
imprevedibile e sproporzionata,
diversa e più grave di quella
accettata, assolutamente
spropositata ed esorbitante
rispetto a quella messa in atto
dai corissanti (Cass. Sez. 1°
14/12/1992, 26/1/1993, ex
plurimis). Essa non può
applicarsi nemmeno in favore
degli altri imputati poiché la
loro azione aggressiva è
iniziata prima che il De Santis
sparasse.
La Corte non può non
rilevare, tenuto conto della
enunciata ricostruzione dei
fatti, come nelle cronache degli
scontri fra tifosi avvenuti in
patria, la tragica vicenda per
cui è processo sia stata un
unicum, prima inaudito. In altri
episodi mai si è fatto uso di
armi da fuoco, giungendo al
massimo all’uso del coltello, ma
mai usato per uccidere, bensì
sempre e solo con l’intenzione
di procurare ferite
superficiali, come quelle subite
dall’imputato, appunto le
"puncicate". Ed è indubitabile
che l’intensità del dolo
dimostrato dal De Santis fino a
lambire le forme della
premeditazione, sia massima.
Egli, secondo la dinamica dei
fatti ritenuta dalla Corte,
preordina, in concorso con altri
soggetti, un vero e proprio
agguato e non solo si premunisce
di bombe carta, ma anche di una
pistola che porta appresso
carica e con il colpo in canna,
perché lo sviluppo e la
progressione dell’agguato
progettato e tale per cui egli
prevede che possa determinarsi
una situazione per cui debba
sparare. Quanto alla condotta
degli altri imputati, per
Alfonso Esposito è indubitabile
che è stato lui a produrre la
grave ferita alla fronte
procurata al De Santis. Egli,
dopo che sono finiti i colpi di
pistola, mentre alcuni dei suoi
compagni e altri che
sopraggiungevano prestavano le
prime cure a Ciro Esposito
riverso in terra, ha intrapreso,
assieme ad altri ancora, la
prima grave aggressione nei
confronti di De Santis quando
era inerme, usando la sua
pistola scarica, impugnata per
la canna come corpo contundente,
colpendo in modo molto violento
almeno una volta. Quindi questa
lesione è univocamente e
esclusivamente attribuibile ad
Alfonso Esposito e questo
consente di ritenerne la
responsabilità piena sia per il
delitto di rissa, in cui tutti
quanti concorrono, sia per le
lesioni subite dal De Santis.
Per quanto riguarda il Fioretti
è provata la sua presenza
minacciosa nella fase
dell’inseguimento con il corpo
atteggiato a vibrare un colpo, a
brevissima distanza dal
fuggitivo, come dimostrato dal
fatto che egli è stato investito
dalla "nube" dello sparo e dalla
gravità delle lesioni riportate.
Questi fatti asseverano la sua
piena partecipazione alla rissa.
Ritiene, quindi, la Corte che
sussista, oltre ogni ragionevole
dubbio, la penale responsabilità
di tutti gli imputati in ordine
a tutti i reati loro
rispettivamente ascritti,
eccezion fatta per le lesioni
inferte al De Santis diverse
dalla ferita lacero contusa con
ematoma frontale con esito di
sfregio permanente attribuibili,
con grande probabilità ad altri
rissanti rimasti ignoti,
intervenuti dopo gli Esposito e
il Fioretti. Passando ora al
trattamento sanzionatorio, al De
Santis possono essere
riconosciute le attenuanti
generiche, da ritenere
equivalenti alle aggravanti
contestate, esclusivamente in
considerazione delle gravissime
e invalidanti lesioni riportate
nell’ occorso. I delitti a lui
ascritti risultano avvinti da
evidente unicità di disegno
criminoso e, tenuto conto dei
criteri di cui all’art. 133 C.P,
in specie la scelleratezza della
condotta e la forte intensità
del dolo, pena equa da
infliggergli è quella di anni 26
di reclusione (p.b. per il
delitto di omicidio: anni 23 +
mesi 2 per il capo A) + mesi 4
per il capo C) + anni 1 per il
capo D) + mesi 6 per il capo F)
+ anni 1 per il capo E), cui
segue la condanna al pagamento
delle spese processuali e di
custodia cautelare. Anche
l’Esposito e il Fioretti sono
meritevoli di attenuanti
generiche (da dichiarare
equivalenti alle contestate
aggravanti di cui ricorrono i
presupposti oggettivi e
soggettivi), in considerazione
sia della loro incensuratezza
sia del fatto di aver subito una
provocazione che, sebbene non
riconoscibile come attenuante
specifica per chi partecipa a
una rissa (Cass. Sez. 5°
17/10/2005, 30/11/2005 n.
43382), può essere presa in
considerazione sotto il profilo
delle attenuanti generiche.
Anche i delitti loro ascritti
risultano avvinti da evidente
unicità di disegno criminoso e,
tenuto conto dei criteri di cui
all’art. 133 Codice Penale, (non
può tacersi la gravita del
fatto, commesso in occasione di
una competizione sportiva che
dovrebbe essere ispirata a ben
altri valori), pena equa da
infliggere a ciascuno è quella
di mesi otto di reclusione,
(p.b. per il delitto di lesioni:
mesi 6 + cont.), cui segue la
condanna al pagamento delle
spese processuali e di custodia
cautelare. Sussistono i
presupposti per l’applicazione
ad entrambi gli imputati di
entrambi i benefici di legge. Ai
sensi degli artt. 29 e 30 cp, il
De Santis va dichiarato
interdetto in perpetuo dai
pubblici uffici e legalmente
interdetto durante la pena. Ai
sensi degli artt. 538 e 539 cpp,
lo stesso va altresì condannato
al risarcimento dei danni da
liquidarsi in separata sede nei
confronti delle parti civili
familiari di Esposito Ciro, di
Esposito Alfonso e di Fioretti
Gennaro ed inoltre al pagamento
di una provvisionale
immediatamente esecutiva in
favore di Leardi Antonella e
Esposito Giovanni ammontante ad
€ 50.000,00 ciascuno; in favore
di Esposito Michele e Esposito
Pasquale ammontante a €
20.000,00 ciascuno, ritenendosi
per tali importi già raggiunta
la prova del danno. Il De Santis
va infine condannato alla
rifusione delle spese di
costituzione e difesa delle
citate parti civili che, tenuto
conto dell’impegno professionale
che il presente procedimento ha
richiesto si stima congruo
liquidare in € 6.300,00
complessivi per Leardi
Antonella; in € 7.500,00 per
Esposito Giovanni e Esposito
Michele; in € 6.300,00 per
Esposito Pasquale. Il De Santis
va pure condannato al
risarcimento dei danni da
liquidarsi in separata sede nei
confronti del comune di Napoli
nonché alle spese di
costituzione e difesa che
liquida in € 6.300,00. Esposito
Alfonso e Fioretti Gennaro vanno
condannati al risarcimento del
danno, da liquidarsi in separata
sede, in favore di De Santis,
nonché alla rifusione delle
spese di costituzione e difesa
che liquida nella misura di €
6.300,00 complessivi.
Trattandosi di cose pertinenti a
reato, va disposta la confisca e
distruzione degli oggetti in
sequestro, ad eccezione
dell’arma da sparo, di cui va
disposta la sola confisca. Ai
sensi dell’art. 544 III co cpp,
attesa la complessità della
motivazione, si indica in giorni
sessanta il termine per il
deposito della sentenza
P.Q.M.
Visti gli articoli 533 e
535 c.p.p.
dichiara
De Santis Daniele
colpevole dei reati a lui
ascritti unificati nella
continuazione e con attenuanti
di generiche equivalenti alle
contestate aggravanti, lo
condanna alla pena di anni 26 di
reclusione, oltre al pagamento
delle spese processuali e di
custodia cautelare;
dichiara
il De Santis interdetto
in perpetuo dai pubblici uffici
e legalmente interdetto durante
la pena;
condanna il predetto al
risarcimento dei danni da
liquidarsi in separata sede nei
confronti delle parti civili
familiari di Esposito Ciro,
Esposito Alfonso e Fioretti
Gennaro ed inoltre al pagamento
di una provvisionale
immediatamente esecutiva in
favore di Leardi Antonella e
Esposito Giovanni ammontante ad
€ 50.000,00 ciascuno, in favore
di Esposito Michele e Esposito
Pasquale ammontante a € 20.000
,00 ciascuno;
condanna
De Santis alla rifusione
delle spese di costituzione e
difesa che liquida in € 6.300,00
complessivi per Leardi
Antonella, in € 7.500,00 per
Esposito Giovanni e Esposito
Michele, in € 6.300,00 per
Esposito Pasquale;
condanna l’imputato al
risarcimento dei danni da
liquidarsi in separata sede nei
confronti del comune di Napoli
nonché alle spese di
costituzione e difesa che
liquida in € 6.300,00".
25 luglio 2016
Fonte:
Identitainsorgenti.com
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