Heysel, 30
anni dopo: a Liverpool
la strage è tabù, la
città sceglie il silenzio
di Paolo
Avanti
Pioggia di
celebrazioni su Sheffield, per Bruxelles prevale
l’imbarazzo. Come spiega Keith, assiduo
frequentatore della Kop: "Fui trattato come un
criminale anche se non ero responsabile di
nulla. Non ne parlo da allora e non ne voglio
più parlare".
Sono passati
trent’anni ma a Liverpool la ferita dell’Heysel
non è ancora cicatrizzata. È un trauma di cui si
parla poco, sperando che l’oblio serva a
curarlo. Mentre la tragedia dell’Hillsborough
del 1989 (96 tifosi Reds morti schiacciati in
curva prima della semifinale di FA Cup con il
Nottingham Forest) è stato un lutto ampiamente
elaborato con cerimonie da pelle d’oca e una
(sacrosanta) battaglia legale ("Justice for 96")
per ristabilire la verità su quella strage
(all'Hillsborough gli hooligan non c’entravano),
sull’Heysel è calata una cappa di silenzio.
Comprensibile: se a Sheffield i tifosi del
Liverpool erano le vittime, quattro anni prima a
Bruxelles furono i carnefici, seppure con
un’enorme dose di corresponsabilità della
gendarmeria belga e della Uefa. TABU’ - Nei pub
e nei luoghi di ritrovo della tifoseria Reds, in
una città completamente cambiata rispetto a
quella del 1985, si preferisce evitare
l’argomento. "Non ne parlo da allora e non
voglio mai più parlarne – racconta Keith,
assiduo frequentatore della Kop, presente
all'Heysel –. Fu uno shock terribile che mi ha
cambiato la vita. Fui trattato come un criminale
anche se non ero responsabile di nulla". È il
refrain che si sente un po’ dappertutto in una
città irriconoscibile rispetto a quella di 30
anni fa: là dove c’erano fabbriche vuote,
tensioni sociali e disoccupazione alle stelle
(in alcuni quartieri quella giovanile sfiorava
il 90%), oggi c’è un vivace centro meta del
turismo beatlesiano e di quello calcistico. E
mentre trent'anni fa gli hooligan imperversavano
dovunque andassero a giocare le squadre inglesi,
oggi il calcio d’Oltremanica è un esempio di
sicurezza e i problemi con la violenza dei
tifosi sono più frequenti alle nostre
latitudini.
ORGOGLIO E COLPA -
Tutto è cambiato,
ma la tragedia di Bruxelles resta. Quanto
accadde nel 1985 fu una mazzata per una città
già in profonda crisi. Sintomatica la reazione
di una ragazza intervistata pochi giorni dopo il
dramma: "È stato disgustoso. Dovunque andremo
porteremo per sempre con noi la vergogna e la
colpa per tutto questo". Liverpool pianse quei
morti, scrissero Andrew Ward e John Williams in
Football Nation, "ma pianse anche per la ferita
inflitta all’orgoglio della città, perché il
Liverpool Football Club era una delle ultime
cose di cui andare fieri in quegli anni". Nel
decennio '80 i tifosi inglesi erano sinonimo di
violenza. Liverpool, invece, si sentiva un’isola
felice: mai i tifosi Reds erano stati coinvolti
in gravi incidenti. Bruxelles fu anche per
questo uno choc che sconvolse la città, un pugno
in faccia difficile da incassare. L'illusione di
essere diversi morì nella curva Z, insieme ai 39
tifosi juventini. Aveva probabilmente ragione
Nick Hornby quando disse che l’Heysel fu
l’approdo inevitabile di una cultura, quella
degli hooligan, Reds compresi, fatta di piccole
e grandi sopraffazioni, gesti e riti violenti
che non poteva che portare, prima o poi, a una
tragedia simile.
Fonte:
Gazzetta.it © 29 maggio 2015
Fotografie: Liverpoolecho.co.uk ©
Gazzetta.it ©
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