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ROBERTO LORENTINI ♥
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ITALIA   4-04-1954   AREZZO   Anni 31

Strage dell’Heysel, 29 maggio 1985: quanti morti nella finale di Coppa dei Campioni tra Juve e Liverpool, chi erano le vittime ?

La commovente storia di Andrea Casula e Roberto Lorentini

di Valentina Todaro

Ricorre oggi l’anniversario della strage accaduta dentro lo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985 che ha causato 39 morti di cui 32 italiani. Poco prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, 39 persone morirono a causa del crollo del muro che delimitava il settore Z dello stadio. Il crollo però non fu accidentale, bensì venne causato dalla fuga di alcuni tifosi italiani assaliti dagli hooligans inglesi.

STRAGE HEYSEL 1985 MORTI: COSA È SUCCESSO - Quella sera allo stadio Heysel di Bruxelles milioni di tifosi attendevano l’inizio della partita prevista per le 20.15 tra Liverpool e Juventus. Circa un’ora prima del fischio di inizio, intorno alle 19:20, i cosiddetti hooligan, ovvero i tifosi inglesi più accesi e violenti, cominciarono a spingersi verso il settore Z dello stadio sfondando le reti divisorie. Gli inglesi, dopo la strage, raccontarono di aver caricato più volte i tifosi juventini e i semplici spettatori che impauriti e senza aver ricevuto aiuto da parte delle forze dell’ordine belghe arretrarono ammassandosi contro il muro opposto al settore della curva occupato dai sostenitori del Liverpool. Nella grande calca che in pochissimo tempo si creò, alcuni di loro si lanciarono nel vuoto per evitare di rimanere schiacciati. Altri cercarono di scavalcare gli ostacoli ed entrare nel settore adiacente, altri ancora si ferirono contro le recinzioni pur di mettersi in salvo. Il muro a un certo punto però non resse più e crollò per il troppo peso e così numerose persone rimasero schiacciate, calpestate dalla folla e uccise nella corsa verso l’uscita dello stadio. Solo dopo più di mezz’ora, una squadra mobile della polizia belga, che inizialmente si trovava fuori dallo stadio giunse al suo interno per ristabilire l’ordine. La scena che si presentò davanti agli agenti fu quella del caos più totale, con spalti invasi da frange inferocite di tifoseria bianconera e persone in fuga. In tutto si contarono 39 morti e oltre 600 feriti. Le autorità e i dirigenti UEFA infatti decisero di far giocare quella stessa sera le due squadre per evitare enormi disagi pubblici e tensioni con un nuovo incontro andando anche contro il parere della società torinese. Le due squadre scesero infatti in campo intorno alle 21:40, circa un’ora e venticinque minuti dopo quello che doveva essere l’orario stabilito. La partita terminò con il risultato di 1-0 per la Juventus, che si laureò campione d’Europa per la prima volta nella sua storia.

LA STORIA DI ANDREA CASULA E ROBERTO LORENTINI - Tra le vittime di quella tragica serata del 1985 c’era anche il piccolo Andrea Casula, di 10 anni originario di Cagliari e tifoso della Juventus. Nella calca della folla il piccolo Andrea rimase schiacciato perdendo i sensi mentre le persone continuavano a spingere e correre per scappare da quello stadio. Il suo destino però ad un certo punto si incrociò con quello di Roberto Lorentini un medico originario di Arezzo che all’epoca aveva 31 anni e padre di due bambini. L’uomo era già salvo, ma vedendo il piccolo Andrea inerme a terra e in difficoltà decise di tornare indietro per cercare di salvarlo. Proprio mentre il medico effettuava un massaggio cardiaco al bambino i due vennero nuovamente calpestati. Alla fine delle indagini e delle ricostruzioni di quella terribile sera, 12 hooligan sono stati condannati al carcere per i disordini allo stadio. La federazione belga, la Uefa e il Belgio hanno risarcito le famiglie delle vittime. Parte del risarcimento arrivò dallo stato italiano e da quello inglese. Oggi, all’interno dello stadio Heysel c’è una targa che ricorda le vittime della tragedia del 29 maggio. Roberto Lorentini, invece, il medico che tentò invano di rianimare Andrea Casula prima di morire, ricevette la medaglia d’argento al valore civile. Fonte: Tag24.it © 29 maggio 2024 Fotografie: L'Unione Sarda © Famiglia Lorentini ©

35 anni fa la strage dell'Heysel: la morte

di Giuseppina e il sacrificio di Roberto

Tra i 32 italiani che persero la vita c'erano gli aretini Giuseppina Conti e il medico Roberto Lorentini.

29 maggio 1985 / La strage dell'Heysel - Doveva essere solo una partita di calcio. Una finale di Coppa dei Campioni, non ancora Champions League. Quel 29 maggio del 1985 a Bruxelles, nello stadio Heysel, si sarebbero affrontate la Juventus di Platini e il Liverpool di Ian Rush. Dall'Italia era arrivata la maggior parte dei tifosi che si assiepò sugli spalti. Da un lato le curve M-N-O, cuore dei gruppi organizzati bianconeri, e dall'altra i settori Y-X-Z dove oltre ai tifosi de Liverpool, già noti per la loro violenza, erano presenti (settore Z) gruppi di tifosi bianconeri, ma non dei gruppi organizzati. Erano ragazzi e ragazzi, famiglie, che avevano deciso di volare a Bruxelles per sognare la vittoria di una Coppa dei Campioni che si macchiò con il sangue di 39 vittime, di queste 32 erano italiani. Tra loro c'era anche Giuseppina Conti, di soli 17 anni, che abitava con la propria famiglia alle porte di Arezzo, a Rigutino. Rimase uccisa quando la carica dei reds, che sfondarono la rete di recinzione per occupare anche il settore Z, travolse i supporter bianconeri. Alle 19:20 si consumò la tragedia. Come mostrano le immagini dell'epoca oltre a chi perse la vita almeno 600 persone rimasero ferite, schiacciate dalle transenne, parti metalliche dello stadio, altri si ferirono cadendo dai parapetti della curva. C'è chi saltò nel vuoto spinto dalla carica e dalla ressa, altri per cercare la salvezza. Quella sera allo stadio Heysel era presente anche Roberto Lorentini. Un giovane medico aretino di 31 anni. Era scampato alla carica, ma anziché restare in luogo sicuro tornò indietro per praticare la respirazione artificiale ad un bambino. "Perse la propria vita per aiutare gli altri" ricorda ogni anno il presidente del Santa Firmina Piero Bacci che da 24 anni porta avanti il memorial intitolato a Roberto. Quella finale è passata alla storia come la "partita maledetta". Una partita che non doveva essere giocata, con Bruno Pizzul che raccontò in diretta (seppur con il video a nero) i fatti del prepartita, promettendo poi al pubblico che avrebbe "commentato con il tono più asettico possibile l'incontro". Un match che accese poi ulteriori polemiche per le esultanze dei calciatori bianconeri al gol e a fine partita per la vittoria. La famiglia Lorentini, a partire da Otello (padre di Roberto), si è sempre impegnata per fare chiarezza su quanto accaduto, chiedendo giustizia. Per questo motivo nel 1987 fondò l'Associazione fra i Familiari delle Vittime dell'Heysel che ha sciolto al termine del processo di cassazione nel 1991. Suo nipote, Andrea, nel gennaio 2015 l'ha ricostituita al fine di "allenare la memoria" dei fatti e difenderne in ogni ambito le verità storiche e processuali. Fonte: Arezzonotizie.it © 29 maggio 2020 Fotografie: Famiglia Conti © Famiglia Lorentini ©

 

30 anni fa l'Heysel: quei 5 toscani morti di calcio

di Stefano Taglione

29 maggio 1985. Il ricordo dei parenti, l’angoscia in tv. Riccardo Balli, pratese: "Mio fratello era stato spostato per caso nel settore Z". Andrea Lorentini, di Arezzo, da anni lotta per avere giustizia.

... (NdR: omissis) La tragedia dell’Heysel ha segnato profondamente anche la Toscana, fra le regioni che in Italia ha pagato il prezzo più alto. Cinque sono state le vittime, a Capannori, Arezzo (due), Prato e Ponsacco: Bruno Balli, Giuseppina Conto, Giancarlo Gonnelli, Giovacchino Landini e Roberto Lorentini. Il padre di quest’ultimo, Otello, immediatamente dopo la tragedia ha costituto l’associazione dei parenti delle vittime. Lavoro che sta portando avanti il nipote Andrea - Otello è morto l’anno scorso - organizzando incontri nelle scuole e nelle università per promuovere progetti di cultura sportiva. Andrea ha 33 anni, è un giornalista, vive ad Arezzo. Il padre era paramedico. Proprio per perseguire la difesa della vita - come prevede il giuramento di Ippocrate - Roberto ha perso la sua. Si era appena messo in salvo insieme al padre Otello e a due cugini, con lui all’Heysel per assistere a Juventus-Liverpool, quando alla vista di un bambino riverso a terra sugli spalti non ci ha pensato due volte e ha tentato di rianimarlo. Ma proprio in quel momento una seconda carica degli hooligans se lo è portato via. Motivo per il quale è stato insignito con la medaglia d’argento al valor civile. "Un gesto che poteva valere un’onorificenza ancora più importante - afferma il figlio Andrea - e che secondo me non fu concessa in quanto la medaglia d’oro comportava un risarcimento economico, del quale comunque non mi interessa". Il nonno di Andrea, Otello, in nome del figlio ha portato avanti e vinto la battaglia in tribunale contro l’Uefa e le autorità belghe. "La stessa Juventus, per 25 anni, non ha fatto quasi niente per ricordare la tragedia - sottolinea Andrea Lorentini - e solo ultimamente ha cambiato passo. Venerdì, in occasione del trentennale, a Torino verrà celebrata una messa. Noi ci saremo. Vorremmo giungere a una verità condivisa, perché da quel giorno sono passati 30 anni. Più avanti chiederemo anche alla Regione Toscana di commemorare le vittime". Fonte: Il Tirreno © 27 maggio 2015 (Testo © Video)

Roberto Lorentini, eroe per sempre

(specie per chi ama lo sport)

di Gianluca Barni

Medico aretino di 31 anni, sposato e con due figli piccoli, era presente allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985, per tifare Juventus in occasione della finale di Coppa dei Campioni con il Liverpool.

PISTOIA - Ci sono storie, tragiche, che non possono, che non debbono essere dimenticate. Ci sono storie che il pallone tende a far cadere nell’oblio, vergognandosi che il proprio business le abbia generate, ma che è giusto spolverare e conservare quale preziosa reliquia. Un ricordo da cui imparare. Sempre. Abbiamo avuto la fortuna e l’onore di conoscere nel corso della nostra esistenza dapprima Francesco Caremani, giornalista/scrittore aretino autore di "L’Heysel. Le verità di una strage annunciata" (Bradipolibri) e poi Andrea Lorentini, giornalista di Arezzo, uno dei figli di Roberto Lorentini (nella foto), un eroe, medaglia d’argento al valor civile. Spesso usiamo, storditi di retorica, la parola eroe, affibbiandola anche a chi non lo è (specie a qualche calciatore per enfatizzarne le gesta sul campo, salvo poi arrossire per quelle, poco edificanti, viste fuori dal rettangolo verde). Roberto Lorentini, invece, lo è. Medico aretino di 31 anni, sposato e con due figli piccoli, era presente allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985, per tifare Juventus in occasione della finale di Coppa dei Campioni con il Liverpool. Il giovane dottore si era posto in salvo dopo la prima carica omicida degli hooligans inglesi, ma ritornò indietro, sugli spalti, per soccorrere un bambino ferito, secondo alcune testimonianze il sardo Andrea Casula, poi deceduto. Morì, tragicamente, travolto da una seconda carica di ubriachi e feroci delinquenti, mentre era chinato a praticargli la respirazione artificiale. Suo padre, Otello Lorentini, il nonno di Andrea, fondò nel 1987 ad Arezzo l’associazione "Fra i familiari delle vittime dell’Heysel".  Grazie alla sua tenacia, al suo coraggio, alla sua voglia di rammentare quel figlio eroe e tutti gli altri 38 caduti, l’Uefa venne infine condannata e da quel momento il calcio cambiò (miglior organizzazione delle manifestazioni calcistiche, maggior sicurezza degli stadi). In questi giorni, venerdì 4 aprile, ricorreva il compleanno di Roberto Lorentini e Andrea, con un gesto tenerissimo, l’ha rammentato sul social network Facebook, facendogli gli auguri: avrebbe compiuto 60 anni. Gli eroi, si dice cari agli Dei che li rapiscono nel fior fiore degli anni per circondarsene e godere delle loro intelligenze, delle loro sensibilità, muoiono giovani. Roberto Lorentini è divenuto stella, che illumina il cammino dei suoi cari e di chi nel cuore ha un posticino per i gesti nobili. Ma grazie al ricordo, senz’altro più vivo di molti di noi, morti sul nascere, per assenza di principi e valori. Fonte: Lineefuture.it © 5 aprile 2014 Fotografia: La Nazione ©



Al Comunale di Arezzo, vent’anni dopo la tragedia dell’Heysel, si è rigiocata Juventus-Liverpool

Che i giovani siano un seme di speranza…

di Andrea Lorentini

Il 12 ottobre scorso si è disputata allo stadio "Comunale" di Arezzo l’amichevole fra le formazioni Primavera" di Juventus e Liverpool organizzata dal Comitato permanente contro la violenza nello sport "R. Lorentini - G. Conti" in ricordo delle 39 vittime della tragedia avvenuta allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985. Un evento storico per la città del Saracino, come hanno tenuto a sottolineare le autorità cittadine, che ha chiuso un cerchio, e messo la parola fine a 20 anni di imbarazzi, reticenze e diffidenze nei confronti di chi ha lottato per ottenere giustizia. Otello Lorentini, che a Bruxelles perse il figlio Roberto, è colui a cui va il ringraziamento più sentito per aver regalato alla gente di Arezzo un pomeriggio nel quale a trionfare sono stati i veri valori dello sport: sano agonismo, rispetto per l’avversario e l’entusiasmo di centinaia di ragazzini giunti da ogni parte della provincia per ammirare gli idoli di domani. Giovani come loro ai quali la società affida il futuro. Leali e corretti in campo per esserlo altrettanto nella vita. Una partita che ha incarnato un forte messaggio contro la violenza nello sport, un sentimento che rimanga memoria scolpita nel tempo delle generazioni future. A far da prologo alla gara l’esibizione degli sbandieratori fra gli applausi generali, poi il momento più commovente quando, in un "Comunale" ammutolito sono risuonate con le note del "silenzio" mentre dall’altoparlante venivano scanditi ad uno ad uno i nomi di chi a Bruxelles era andato per una festa e invece là incontrò la morte più assurda e per questo più crudele. I brividi più intensi quando fra gli altri sono stati ricordati prima Giuseppina Conti, la studentessa di Rigutino, poi Roberto Lorentini, il medico medaglia d’argento al valor civile. Quella sera di venti anni fa Arezzo li pianse, oggi a distanza di tanto tempo il loro ricordo è più vivo che mai. Alla fine ha vinto la Juventus 2-1, ma al triplice fischio di Paolo Bertini premi e riconoscimenti per tutti quanti nel segno di un valore che al giorno d’oggi sembra essere merce sempre più rara: l’amicizia. Juventus-Liverpool ad Arezzo ha rappresentato non solo un momento di sport vero e proprio, ma un’occasione di scambio culturale, nella quale la città ha accolto le due società in un abbraccio fraterno dimostrando una volta di più il fair play che la contraddistingue. Uniti in un sentimento di profonda ammirazione per l’operato del Comitato permanente sia Roberto Bettega, vicepresidente della società bianconera, che Rick Parry, general manager dei "Reds". Entrambi hanno presenziato alla cena di benvenuto offerta dalle autorità e alla messa celebrata in Duomo in suffragio dei caduti. "Era un evento a cui tenevamo molto" - si è affrettato a spiegare Bettega - "c’era la volontà di mandare un messaggio positivo e siamo orgogliosi di aver fatto disputare ai nostri giovani atleti una partita dal così alto valore simbolico". "Esprimo a nome di tutta la città di Liverpool il ringraziamento più sincero alla città di Arezzo, in particolare a Otello Lorentini, un uomo straordinario che combatte da venti anni una battaglia giusta" - gli fa eco Parry. Juventus - Liverpool ad Arezzo è stato un seme di speranza come ha ribadito al termine dell’omelia Bill Bygroves, dirigente e cappellano del club inglese. Un seme di speranza gettato nel campo della vita. Fonte: Bobonero.it © 1 Ottobre 2005 Fotografie: Wikipedia.org © Arezzonotizie.it © Lfc.com © Juventus.com ©

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