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Figlio
di Roberto
Lorentini *
* Vittima allo Stadio Heysel il
29.05.1985
(Presidente Ass.
Familiari delle Vittime dal 2015) |
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"Mio padre, la
sua morte, il suo gesto unico"
di Alberto
Pierini
Lorentini
racconta: così quella sera lo ha cambiato. "Era
al sicuro, corse a salvare un bambino: ha scelto
la vita nello stadio dell’orrore".
"E’ una perdita che mi
ha cambiato la vita ma mi ha fatto anche
scoprire mio padre".
Andrea Lorentini, nostro collaboratore e
figlio di Roberto, allora aveva 3 anni: ma ha
fatto di quella serata una sua missione.
Guidi il
comitato delle vittime… "Sì, è
stato nonno Otello a volerlo e non ho voluto che
quella pagina si chiudesse".
Chi c’era
della tua famiglia all’Heysel ?
"Oltre mio padre, due cugini, Andrea e Gianni
Stazio, e nonno Otello".
Che non
tifava Juventus… "No, ma volle
andare per stare insieme a suo figlio".
Come nacque
la decisione di questo viaggio ?
"Un anno prima erano andati a Basilea per la
finale di Coppa delle Coppe: e decisero di
ripetere l’avventura".
Da quello
che poi ti hanno raccontato come vissero
l’escalation della violenza ?
"Ai primi lanci di pietre e oggetti, quello
stadio cadeva a pezzi e tutto diventava arma,
iniziarono a capire il pericolo".
Nella curva
Z… "Sì, era quella dedicata alle
famiglie e ai tifosi neutrali".
Tuo padre
era riuscito a mettersi in salvo…
"Sì, aveva trovato il modo di uscire dalla
calca".
E poi ?
"Vide un bambino di 11 anni in fin di vita e
corse ad aiutarlo".
Da medico...
"Sì, un giorno prima aveva ricevuto la lettera
di assunzione in ospedale".
E
quell’aiuto gli fu fatale… "Lo
ritrovarono morto sotto i corpi: e quel bambino
con lui".
Ne hai
conosciuto i parenti ? "Sì, si
chiamava Andrea Casula, morì insieme al padre.
La sorella Emanuela è diventata mia amica ed è
la vicepresidente dell’associazione per le
vittime".
Tuo nonno
come si salvò ? "Riuscì ad
avvicinarsi al campo da gioco, alle reti e non a
quel muro divisorio tra i due settori che poi
crollò".
Come si
accorse della morte del figlio ?
"Cominciò a cercarlo e lo trovò insieme agli
altri corpi".
Come ha
cambiato tutto questo la tua vita ?
"Molto, anche oltre quanto non avverta. Ma la
parte peggiore è toccata al nonno. Non c’è
niente di peggio che sopravvivere ad un figlio.
E poi trovarsi con la responsabilità insieme a
mia madre di due bambini piccoli, me e mio
fratello".
Somigli
molto a tuo padre… "Sì, me lo
dicono tutti e ne sono felice".
12 ottobre 2022
Fonte:
Lanazione.it
Lorentini a BN:
"Mio padre eroe dell'Heysel
La Juve poteva
fare di più, lui esempio per i giovani"
di Francesco
Guerrieri
Roberto Lorentini si
era messo in salvo. Era un medico, juventino il
giusto: "Non era un tifoso accanito, gli piaceva
farsi qualche trasferta insieme ai cugini per
vedere le città. Era stato anche a Basilea per
la finale di Coppa delle Coppe". Quel maledetto
29 maggio 1985 era a Bruxelles, stadio Heysel.
Era riuscito a sfuggire alla tragedia. Poi si
voltò, Andrea Casula, 11 anni, aveva bisogno
d'aiuto. Roberto gli corse incontro, e finirono
tutti e due sepolti dalla bolgia: "Come medico
si è sentito di dare una mano, servendo gli
altri fino all'ultimo". Il figlio Andrea aveva 3
anni, e di quel giorno non ricorda nulla. Oggi,
35 anni dopo, ha raccontato a Ilbianconero.com
quella tragedia vista dagli occhi di un adulto
che si batterà sempre per ricordare la memoria
del padre.
Quanto le fa
male ricordare ogni anno questa tragedia ?
"E' una ferita che non
si rimarginerà mai. Ogni anno, quando si arriva
a questa ricorrenza, è sempre un momento di
sofferenza particolare. Io e gli altri familiari
delle vittime dell'Heysel cerchiamo di dare un
senso in una situazione nella quale è difficile
trovarlo. Non accetterò mai di aver perso una
persona cara per una partita di calcio: sarebbe
dovuto essere un momento ludico, è diventata una
strage. Cerchiamo di tenere viva la loro memoria
attraverso alcune iniziative".
Lei è
presidente dell'associazione vittime Heysel…
È stata fondata da mio
nonno pochi mesi dopo la tragedia, con
l'obiettivo di riunire i familiari delle vittime
italiane per avere giustizia e affrontare il
processo tutti insieme. È un'associazione nata
per fare squadra. La Uefa viene condannata come
responsabile di quanto accaduto, e da quel
momento in poi sarebbe diventata responsabile
degli eventi che avrebbe organizzato. Prima non
lo era mai stata. Dopo il processo
l'associazione si sciolse, mio nonno venne a
mancare nel 2014 ma io decisi di ricostituirla
per portare avanti la sua lotta contro la
violenza fisica nello sport. Lui si è sempre
battuto in questo, e io sono cresciuto con il
suo esempio. Nel 2016 abbiamo portato avanti un
progetto chiamato "Un pallone per la memoria"
coinvolgendo le scuole superiori di Arezzo (dove
ha base l'associazione, ndr), Bruxelles e
Torino. Sono stati organizzati tornei di basket,
calcio, pallavolo e seminari e incontri con i
ragazzi".
L'orgoglio per
il gesto di suo padre supera il dolore per la
sua perdita ?
"Io sono sempre stato
orgoglioso di lui, è un esempio positivo per
tutti. Quando con la nostra associazione andiamo
nelle scuole racconto la sua storia spiegando
che in un momento in cui è venuto a mancare il
rispetto per l'altro, il gesto di mio padre
serve per capire i veri valori della vita.
L'orgoglio per quello che ha fatto prevale sul
dolore".
Ha mai
incontrato la famiglia di quel bambino ?
"Secondo le
ricostruzioni, Andrea Casula è stata la vittima
più giovane della tragedia. Ho contatti continui
con la sorella Emanuela, che è la vicepresidente
dell'associazione".
È riuscito
negli anni a capire bene cos'è successo ?
"Ci sono state delle
testimonianze, ma io per filo e per segno non so
ancora cosa sia accaduto dettagliatamente. Mio
padre però è stato insignito della medaglia
d'argento al valor civile: per avere delle
onorificenze di questo tipo servono delle prove,
quindi ci sono stati testimoni oculari che hanno
raccontato i fatti".
Cinque anni fa
disse che la Juve aveva fatto poco per ricordare
suo padre e le altre vittime, oggi la situazione
è cambiata ?
"Fino all'avvento di
Andrea Agnelli la società ha sempre tenuto nel
dimenticatoio questa vicenda, forse perché c'era
una coppa da preservare e la Juve ha sempre
voluto riconoscersi quel trofeo. Il club avrebbe
potuto fare di più, ci aspettavamo un'attenzione
maggiore. Dall'arrivo di Agnelli c'è stata più
sensibilità: a breve dovrebbe essere costruito
un monumento alla Continassa in ricordo delle
vittime; era in programma in primavera, ma con
questa pandemia potrebbe volerci più tempo".
Ha visto la
foto dei tifosi del Torino che a Superga hanno
reso omaggio alle vittime dell'Heysel ?
"Sì, ma secondo me la
morte non ha colori. Non è una morte juventina,
perché hanno perso la vita anche tre
simpatizzanti interisti e sette cittadini
europei. È una tragedia umana, non calcistica.
Ancora oggi si strumentalizza questa vicenda,
pensando che quelle 39 persone sono lo scalpo da
mostrare contro il "nemico" juventino. Forse chi
fa così non sa che, mio nonno, fondatore
dell'associazione in ricordo delle vittime, era
tifoso della Fiorentina. Il calcio deve rimanere
nello sfottò, non bisogna andare oltre".
Lei è mai
entrato in uno stadio ?
"Per forza, devo farlo
per lavoro. Sono un giornalista, seguo l'Arezzo
in Lega Pro. È la squadra della mia città e
quella per la quale faccio il tifo, anche se fin
da ragazzo sono simpatizzante dell'Inter grazie
a Lothar Matthaus".
29 maggio 2020
Fonte:
Ilbianconero.com
La violenza nel
calcio non è stata debellata
di Giuliano
Giulianini
Andrea
Lorentini, presidente dell'Associazione
Familiari Vittime dell'Heysel, racconta i
progetti di educazione sportiva per le scuole e
l'idea di una giornata nazionale contro la
violenza nello sport.
Secondo i dati del
Ministero dell'Interno durante la stagione
calcistica 2018/2019 gli episodi di violenza o
inciviltà legati alle partite di calcio
professionistico sono stati 120, in aumento
rispetto all'anno precedente. Il bilancio dei
feriti è stato di 46 persone tra i civili, 58
tra le forze dell'ordine, 17 tra gli addetti
alla sicurezza negli stadi. In tutto ci sono
stati 72 arresti e 1023 persone denunciate. La
violenza nello sport è un fenomeno tanto attuale
quanto paradossale, visto che riguarda un
aspetto della vita civile, lo sport appunto, che
dovrebbe rappresentare i valori dell'impegno,
della collaborazione e del rispetto per tutti.
Il 25 aprile, al Villaggio per la Terra di Villa
Borghese a Roma, campioni, esperti, giornalisti
e rappresentanti delle istituzioni sportive, si
confronteranno con il pubblico in un talk dal
titolo "Peace - Metti in campo lo sport !". Tra
gli ospiti Andrea Lorentini, giornalista di Tele
Etruria e presidente dell'Associazione Familiari
Vittime dell'Heysel. Lorentini è figlio di una
delle 39 vittime della strage di tifosi, in gran
parte italiani, avvenuta prima della finale di
Coppa dei Campioni del 1985. Oggi è attivo
nell'educazione dei ragazzi al rispetto
reciproco, contro gli eccessi dell'odio tra
tifoserie. L'intervista è stata trasmessa nel
programma "Ecosistema", rubrica radiofonica di
EarthDay.it, in onda ogni martedì su Radio
Vaticana Italia.
Andrea, dagli
anni ottanta è cambiato il mondo del calcio
rispetto alla violenza ? Purtroppo, dalle
cronache sembrerebbe di no, con episodi di
violenza più o meno gravi. In effetti sembrano
episodi meno frequenti che in passato, e
soprattutto meno organizzati, ma è realmente
così ?
"La violenza nel calcio
non è stata debellata. Un episodio come quello
dell'Heysel non si è più verificato, però, anche
in Italia, negli anni abbiamo avuto comunque
delle vittime della violenza legata al mondo del
calcio. Ricordiamo Paparelli, ricordiamo
Spagnolo, solo per citarne alcuni. È un problema
di cultura, oltre che di sicurezza degli stadi,
perché l'avversario viene visto come un nemico,
quindi spesso le tifoserie tendono a vivere il
momento della partita come una guerra alle
squadre rivali. Non ci si limita al tifo o
magari allo sfottò ironico, che può essere anche
divertente, ma si va oltre: spesso si cerca lo
scontro fisico, come a voler delimitare un
territorio. Purtroppo è un problema di cultura
al quale ancora non si è trovato un rimedio.
Come associazione, nel nostro piccolo, cerchiamo
di promuovere progetti di educazione
civico-sportiva per cercare di incidere sulle
giovani generazioni".
Tu
lavori in un contesto provinciale, ad Arezzo, in
Toscana, una storicamente regione "calda" da
questo punto di vista. Percepisci una differenza
fra il tifo intorno al calcio professionistico,
di altissimo livello, e quello dilettantistico o
giovanile ? C'è una diversa maturità, o comunque
un diverso controllo, un diverso grado di
violenza fra questi due mondi ?
"A livello
professionistico può fare più notizia. In
Toscana ci sono molte sfide di campanile, se
così le vogliamo definire, tra le squadre dei
vari capoluoghi della regione, soprattutto in
categorie come la Serie B e C, e anche a livello
giovanile. Io faccio il giornalista sportivo e
devo dire che anche nella provincia di Arezzo
abbiamo avuto alcuni episodi di violenza, non
solo nelle categorie dilettantistiche ma anche
nelle giovanili: aggressioni agli arbitri
piuttosto che episodi di violenza verbale,
magari in tribuna tra i genitori. Credo che la
violenza nel calcio esista a tutti i livelli
proprio perché non si riesce a vedere l'altro
semplicemente come un avversario. Ciò che
spaventa maggiormente, sul quale bisogna
lavorare, è che accadono spesso episodi nei
campionati giovanili, dove i ragazzi dovrebbero
invece vivere quei momenti soltanto come una
crescita personale".
L'Associazione
Familiari delle Vittime dell'Heysel incontra i
bambini delle scuole, proprio perché i problemi
culturali vanno risolti principalmente a scuola.
Come approcciate i bambini e i ragazzi ? Che
risposte ne ricevete ?
"Sviluppiamo progetti
legati principalmente all'educazione
civico-sportiva. Per esempio in questi anni
abbiamo promosso il progetto "Un pallone per la
memoria" e coinvolto varie scuole con iniziative
pratiche e ludiche, con i ragazzi che si
confrontano in tornei di calcio, pallavolo,
basket, anche di realtà differenti. In un nostro
progetto, ad esempio, abbiamo coinvolto un liceo
di Bruxelles con due licei italiani, anche per
mettere in correlazione ragazzi di lingue e
culture in parte differenti. Allo stesso tempo
sviluppiamo attività anche attraverso la nostra
testimonianza. All'Heysel ho perso mio padre,
che è stato insignito della medaglia d'argento
al valore civile. Spesso indipendentemente dal
fatto che sia mio padre, porto lui come esempio,
perché in un momento così drammatico, in cui tra
le persone era prevalso l'odio e non c'è stato
rispetto per la vita umana, in un momento così
buio, il suo è stato un esempio di altruismo.
Era un medico. Si era già salvato dalle prime
cariche dei tifosi inglesi. È tornato indietro
ed è stato travolto da una nuova carica mentre
prestava soccorso a dei tifosi. In particolare
ad un bambino che era rimasto ferito sugli
spalti. Cerco sempre di far capire ai ragazzi
che lo sport, il calcio, non è quello che è
accaduto all'Heysel, che anche in quei momenti
ci possono essere esempi per far capire loro
dove stanno il bene e il male. Io stesso ho
praticato lo sport e il calcio, nonostante il
calcio mi abbia privato di un genitore: uno dei
drammi peggiori che può provare una persona
nella propria esistenza. Ho vissuto lo sport
come momento di crescita, di socializzazione e
di sviluppo di relazioni che poi mi sono portato
avanti nel tempo. Ci sono ragazzi che a
tutt'oggi sono miei amici. Attraverso la mia
esperienza, e quella di altri associati,
cerchiamo di far capire ai ragazzi che lo sport
è qualcosa di positivo mettendoli insieme,
facendogli condividere delle giornate proprio
per sviluppare questo rispetto. Ci possono
essere agonismo e competizione, ma ci deve
essere sempre rispetto".
Come reagiscono
i bambini ?
"Devo dire che c'è
grande interesse e che le risposte sono sempre
positive. Di solito, siccome l'argomento Heysel
è abbastanza delicato, cerchiamo di prepararli,
facendo magari delle riunioni preliminari con
gli insegnanti, soprattutto se ci troviamo a
parlare con ragazzi più piccoli, delle scuole
elementari. Anche se di solito privilegiamo
scuole medie e scuole superiori, perché comunque
è un argomento abbastanza delicato. Vediamo che
i ragazzi sono attenti, ed è soprattutto la
nostra testimonianza a fare molta breccia.
Chiaramente sono delle piccole gocce in un
grande mare. Però, laddove siamo riusciti a
sviluppare la nostra testimonianza anche con
progetti concreti, poi abbiamo avuto una
risposta positiva, confermata successivamente
dagli insegnanti".
Secondo te c'è
modo di recuperare situazioni già compromesse ?
Per esempio i ragazzi che fanno sport, e calcio
in particolare, a livello agonistico ? Dove le
pressioni dell'ambiente, della squadra, della
società e anche dei genitori sono ancora
maggiori perché c'è la prospettiva di una
carriera e di un guadagno ? Si può ancora
intervenire per far capire che l'avversario è un
competitor e non un nemico ?
"Credo che sia più
complicato. Noi per questo abbiamo scelto un
target diverso, cercando proprio di intervenire
alla radice, quando ancora il ragazzo può essere
"modellato", detto in senso buono ovviamente,
rispetto a dei valori positivi. Quando poi lo
sport diventa business, e spesso ci sono di
mezzo il denaro e l'ambizione, allora farlo
coincidere con l'etica è più complicato. Anche i
genitori sono un tasto per certi versi dolente:
spesso sono loro che mettono pressione al
ragazzo, lo influenzano. Magari ribaltano nel
ragazzo quella che è la loro ambizione. Quindi
se lo ha messo in panchina l'allenatore diventa
incapace, o una persona che non lo sa
valorizzare. Parlando spesso con gli istruttori
ci rendiamo conto che per loro non è facile
gestire le regole in uno spogliatoio, in una
convivenza, quando il ragazzo è influenzato dal
genitore a casa, o anche durante la partita.
Questo è un vulnus che difficilmente si può
colmare. Ecco perché secondo me è necessario
intervenire a monte".
Invece per
intervenire a valle, con le istituzioni, state
proponendo una giornata di sensibilizzazione
nazionale su questo tema.
"Abbiamo avviato dei
contatti con l'attuale Governo. L'idea ambiziosa
è di istituzionalizzare una giornata nazionale
contro la violenza nello sport, che ogni anno
sia un momento di riflessione, ma legato anche a
progetti concreti. Vedremo quello che poi
riusciremo a concretizzare. "Un pallone per la
memoria" è un progetto che abbiamo sviluppato
con varie scuole in questi anni. Lo abbiamo
proposto anche all'attenzione del Governo, in
particolare del sottosegretario Giorgetti che in
questo momento ha la delega allo sport, come
spunto sul quale lavorare per creare ogni anno
un momento che sia di riflessione ma anche un
momento concreto in cui i ragazzi si possano
confrontare a livello sportivo, seguendo
determinati valori. Vedremo quale sarà
l'evoluzione".
9 aprile 2019
Fonte: Eearthday.it
Lorentini: "Ok
la piazza per l’Heysel,
ma la Juve può
ricordare di più i 39 morti"
di Valerio
Barretta
Se un pallone è rosso,
si può comunque giocare a calcio. Se è rosso
sangue, meglio di no. Il pallone della finale di
Coppa dei Campioni del 29 maggio 1985 tra
Juventus e Liverpool di sangue ne era intriso.
Poco prima della partita i tifosi inglesi
caricarono il settore Z dello stadio Heysel di
Bruxelles. Quella fetta di cemento era destinata
ai bianconeri. Questi ultimi, impauriti, si
accalcarono verso un muricciolo che crollò sotto
il loro peso. I morti furono 39, 32 italiani.
Oggi 29 maggio, a 33 anni di distanza, il Comune
di Torino li ha voluti ricordare intitolando
loro una piazzetta compresa tra lungo Dora
Agrigento e strada del Fortino. La cerimonia si
è tenuta presso la biblioteca civica "Italo
Calvino". Oltre ai familiari delle vittime e ai
superstiti della tragedia, erano presenti anche
la sindaca Chiara Appendino e il presidente del
Consiglio comunale Fabio Versaci. C’era anche il
presidente della Associazione familiari vittime
Heysel, Andrea Lorentini. Andrea è figlio di
Roberto, un medico aretino che morì nello stadio
belga. Roberto era sopravvissuto alla prima
carica dei tifosi del Liverpool, ma tornò
indietro per soccorrere un ragazzo calpestato
dalla folla. Il secondo assalto degli hooligans
gli fu fatale.
Andrea,
l’intitolazione di una piazza torinese alle
vittime dell’Heysel arriva 33 anni dopo la
strage: secondo lei perché c’è voluto così tanto
tempo ?
Perché si è sempre
cercato di dimenticare l’Heysel. Questa è una
vicenda strumentalizzata ancora oggi e su cui
non si è mai fatto memoria nella maniera giusta.
Mi fa comunque piacere che il Comune sia
arrivato a questo passo. Questa piazza
rappresenterà un momento di riflessione per
tutti coloro che vi passeranno.
Che opinione ha
dell’atteggiamento della società Juventus a
riguardo ?
Prima della presidenza
di Andrea Agnelli il ricordo dell’Heysel è stato
zero. Da quando è arrivato (nel 2010, ndr), sono
state celebrate due messe: un po’ poco. Dopo 33
anni non c’è una memoria condivisa tra la
Juventus e i familiari delle vittime. Se la
Juventus vorrà impegnarsi a commemorarle, che lo
faccia in maniera sentita e spontanea. Infatti
non chiediamo niente alla società: lavoriamo per
conto nostro affinché quel dramma non venga
dimenticato.
Il ricordo
dell’Heysel è uno degli obiettivi della vostra
associazione.
Sì, noi familiari
cerchiamo di tenerlo vivo. A fatica, perché - lo
ripeto - si è sempre voluto mettere una pietra
sopra alla tragedia. La nostra associazione
parte dalla memoria della strage per poi
sviluppare una serie di progetti di cultura
civica e sportiva lavorando con le scuole e
cercando di promuovere un modo sano di vivere lo
sport, che è condivisione e non odio.
Già, l’odio. I
39 morti sono stati più volte oggetto di cori e
striscioni infamanti da parte delle tifoserie
anti-juventine. Secondo lei il dolore
dell’Heysel è partigiano ?
Purtroppo viene
percepito come tale, ma non dovrebbe esserlo.
Non si tratta di una tragedia juventina, bensì
italiana ed europea. È una tragedia di tutti:
questo è il messaggio che la nostra associazione
cerca di veicolare. Poi, è inconfutabile che i
tifosi della Juventus facciano molto per
ricordare le vittime: ma lo fanno anche in
risposta a certe curve che si lasciano andare a
comportamenti vergognosi.
Quando sente i
cori offensivi, è più arrabbiato o frustrato
perché non può evitarli ?
Direi entrambe le cose
sullo stesso piano. Da un lato c’è l’amarezza
nel rendersi conto che l’Italia è a un livello
imbarazzante di cultura sportiva. Dall’altro, ho
la conferma che l’attività della nostra
associazione sia importante: siamo una piccola
goccia in un mare, e la battaglia per promuovere
una visione più sana dello sport non dipende
certo da noi. Ma far riflettere negli incontri
un centinaio di ragazzi può essere importante.
Su di loro si può intervenire, sugli adulti
assolutamente no.
Che punizione
darebbe a chi oltraggia la memoria della
tragedia ?
Non mi viene in mente
nessuna sanzione specifica. Quello che serve è
la certezza della pena, e che siano condanne
severe. Servirebbe anche da parte delle società
una presa di distanza importante dalle
tifoserie, cosa che però non avviene mai, perché
le dirigenze preferiscono mantenere dei rapporti
buoni con le curve.
Non ha mai
conosciuto suo padre. Come vorrebbe che fosse
ricordato ?
Come un esempio, perché
è morto aiutando gli altri. Un esempio dal quale
ripartire, da prendere come punto di
riferimento. E sono certamente orgoglioso di
quello che mio padre ha fatto.
29 maggio 2018
Heysel, 30 anni dopo: applausi, cartelli
e commozione
a Torino Lorentini e Caremani ospiti di
Rai Sport
di Mattia Cialini
Un +39 gigantesco per zittire la stupidità di
chi, in passato, ha inneggiato alla tragedia. E’
il 39esimo minuto di Juventus-Napoli quando
fioriscono in curva Scirea migliaia di cartelli
con i nomi delle vittime. Perché 39 non resti
solo un numero, quello dei morti (32 italiani e
7 stranieri) della folle notte dell’Heysel: sono
passati 30 anni e l’oblio sarebbe il torto più
grande. Dietro quel numero ci sono 39 volti, 39
storie, 39 tragedie familiari. Lo Juventus
Stadium, ieri in occasione dell’ultima partita
casalinga stagionale dei bianconeri in Serie A,
ha voluto ricordare tutti i nomi delle vittime
di quella drammatica finale di Coppa dei
Campioni perché, come scritto in uno striscione:
"Nessuno muore veramente se vive nel cuore di
chi resta". Tra i nomi innalzati al cielo di
Torino anche quello dei due aretini Giuseppina
Conti, morta a 16 anni, e Roberto Lorentini,
eroico medico 31enne e padre di Andrea, che è
l’attuale presidente dell’Associazione dei
familiari delle vittime: "Ero stato
sommariamente informato della coreografia - dice
Andrea Lorentini - ho ringraziato a nome
dell’associazione la curva Sud dello Juventus
Stadium per la bella iniziativa. E’ stato un
momento molto toccante e significativo, perché
39 non resti un numero senza significato".
L’associazione, fondata da Otello
Lorentini, padre di Roberto e nonno di Andrea, è
stata da poco riattivata. Un’associazione che
negli anni si è battuta strenuamente per tirar
fuori la tragedia dal dimenticatoio.
"E’ così. Mio nonno ha ottenuto importanti
successi, anche legali. La responsabilità
attribuita (anche) all’Uefa per quel che accadde
il 29 maggio 1985 è una vittoria della sua
caparbietà. Ha fatto giurisprudenza".
Con la società juventina c’è stato un
riavvicinamento ?
"Sì, negli ultimi 5 anni qualcosa si è mosso per
merito dell’attuale presidente Andrea Agnelli.
In passato la Juventus si era chiusa nel
silenzio, volendo considerare la Coppa dei
Campioni dell’85 solo come un successo
sportivo".
Dopo 30 anni è arrivato il momento di
una memoria condivisa ?
"L’atteggiamento della società è cambiato: dalla
chiusura totale alla collaborazione nelle
iniziative a ricordo degli eventi. Purtroppo
l’Heysel crea ancora imbarazzi alla Juve, che
vorrebbe edulcorare gli avvenimenti. Avremmo
voluto mettere in piedi uno spettacolo teatrale
sulla vicenda, per ricostruire davvero quel che
accadde: dalla disorganizzazione che portò
migliaia di hooligan inferociti alla carica,
alle condizioni fatiscenti dello stadio. Non è
stato possibile farlo assieme alla società".
Tra quattro giorni ricorrerà il 30esimo
anniversario della strage, cosa farete come
associazione ?
"Dalle 16 alle 18 saremo a Torino, al consiglio
regionale del Piemonte, per un momento di
riflessione. Sarà letta anche una lettera di
Domenico Laudadio, custode della memoria
dell’Heysel. Alle 19,30 ci sarà una cerimonia
religiosa nella chiesa Grande Madre di Dio, una
messa a cui parteciperanno anche rappresentati
della Juventus. Infine alle 22,30 sarò ospite di
Rai Sport per una trasmissione speciale
sull’Heysel. Con me ci sarà anche Francesco
Caremani, giornalista che ha scritto il libro
"Heysel, la verità di una strage annunciata".
24 maggio 2015
Fonte: Arezzonotizie.it
29 anni fa la strage
"Chi offende l'Heysel non sa che cosa è
stato"
di Francesco Caremani
Andrea Lorentini è figlio di Roberto, una delle
39 vittime dell'Heysel, 29 maggio di 29 anni fa,
medaglia d'argento al valor civile perché morto
tentando di salvare una persona. Otello, il
nonno scomparso lo scorso 11 maggio, ha fondato
e presieduto l'Associazione tra le famiglie
delle vittime di Bruxelles sconfiggendo la UEFA
in un processo storico, e dimenticato, ottenendo
così giustizia per il suo unico figlio e per gli
altri familiari. Più facile che avere memoria e
rispetto per una strage che in Italia si è
voluta scordare.
Cosa provi ogni volta che senti un coro
sull’Heysel ?
"Dolore, rabbia e impotenza perché non posso
fare nulla per zittirli. Penso anche agli altri
familiari, a Giuseppina Conti che aveva 17
anni".
Tuo nonno tifava fiorentina, tu Inter,
in Belgio tra gli italiani sono morti
sicuramente tre interisti andati a vedere la
partita con gli amici juventini, dov'è l'errore
?
"Chi ha trent'anni non sa cos'è successo
all'Heysel, non sa che sono morti degli
innocenti, che in quella curva Z c’erano le
famiglie, tifosi del calcio andati a vedere la
finale del secolo. I cori e gli striscioni di
oggi sono il frutto dell'ignoranza e dell'idea
che non ci sono avversari, ma solo nemici.
Offese ai morti sono ormai all'ordine del giorno
negli stadi italiani, in una gara al peggio del
trogloditismo pallonaro, cosa si può e si
dovrebbe fare ? Non esistono morti di serie A e
serie B, il mio giudizio è netto nei confronti
di chi offende l'Heysel come Superga, Paparelli
come Facchetti. Si dovrebbero applicare
punizioni esemplari: individuati i responsabili
(non è difficile, ndr) un anno lontano dallo
stadio, se recidivi fuori a vita. Ma in tutti
questi anni, sull'Heysel in particolare, la
Procura federale non mi è sembrata così pronta e
attenta".
Colpa anche di chi in Italia ha cercato
di dimenticare la strage dell'Heysel ?
"L'Heysel tutt’ora è un argomento tabù per il
calcio italiano e i suoi dirigenti. Riguardando
la fatica che ha fatto mio nonno non mi
sorprende che gli organi di giustizia sportiva
si siano accodati al sentire comune di chi
voleva cancellare e mettere sotto traccia quella
tragedia".
Otello
ha sconfitto la Uefa ottenendo giustizia con una
storica condanna, ne erediterà il testimone
della memoria ?
"Mio nonno ha fatto un percorso che si è
concluso nel 2005 con l'amichevole tra le
primavere di Juventus e Liverpool ad Arezzo,
percorso nel quale la vittoria processuale ha
rappresentato l'apice. Più passa il tempo e meno
occasioni ci saranno per ricordare ciò che è
accaduto, ma la memoria va allenata e se ci sarà
bisogno d'intervenire lo farò, perché non ne
posso più di sentire offendere i morti, di
sentire offendere mio padre morto all'Heysel".
Perché è importante ricordare, nei modi
giusti e appropriati, tragedie come quella di
Bruxelles ?
"Perché è stato troppo facile uccidere, vedere
l'essere umano che si trasforma in assassino,
perché basta poco per scatenare la follia e
distruggere altre vite. C'è la necessità di
trasmettere i valori della cultura sportiva alle
nuove generazioni, anche perché dall'Heysel
proprio l'Italia sembra avere imparato poco o
niente".
Suo padre è morto mentre tentava di
salvare un altro e per questo è medaglia
d'argento al valor civile, è così che ti piace
ricordarlo ?
"Nella sua morte c'è la sintesi di quello che
era mio padre, un medico e un altruista. Lui era
salvo e si è gettato di nuovo nella mischia per
soccorrere un ragazzo: è morto com'è vissuto.
Sì, è così che mi piace ricordarlo".
30 maggio 2014
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Lorentini: "Io, orfano dopo l’Heysel
ferito dai cori della vergogna"
di Giuseppe Calabrese
Il
padre morì nell'85, adesso Andrea Lorentini
denuncia: "Siamo stanchi delle offese urlate
negli stadi. I Della Valle dovrebbero aiutarci a
dire basta".
"Mio padre aveva la mia età quando è morto".
Andrea Lorentini ha trentadue anni e fa il
giornalista sportivo. Vive ad Arezzo. Suo padre
Roberto è una delle vittime dell'Heysel. Era il
29 maggio 1985, e un'ora prima della finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool il
muro del settore Z dello stadio di Bruxelles
crollò, trascinandosi via la vita di trentanove
persone. Una ferita che non si è mai
cicatrizzata, una delle pagine più nere del
calcio. Una follia. Come quei cori che ogni
tanto rimbalzano dentro gli stadi quando gioca
la Juventus. "La gente non si rende conto di
cosa abbiamo passato, e di cosa significa per
noi sentire quei cori. È una vergogna".
Andrea, perché dopo trent'anni di
silenzio ha deciso di parlare proprio adesso ?
"Perché sono stanco e non capisco perché si
continui ad accanirsi sul ricordo di chi non c'è
più. Trovo quei cori incivili e irrispettosi.
Offendono la memoria delle vittime e il dolore
delle famiglie. Vorrei che per una volta, una
sola, chi inneggia all'Heysel provasse a
mettersi nei nostri panni, che pensasse a quale
sarebbe il suo stato d'animo se avesse perso un
genitore, un figlio o un parente in quel
disastro. Io capisco la rivalità tra Fiorentina
e Juventus, e capisco anche gli sfottò, ma
questo con quei trentanove morti non c'entra
niente. E allora, per favore, smettetela.
Lasciateci in pace. E lasciate in pace chi non
c'è più".
Si
è mai chiesto perché le società di calcio o la
Figc non facciano niente per interrompere questa
vergogna ?
"Sì, me lo sono chiesto spesso, e non ho mai
trovato una risposta. Ma sa cos'è che mi fa
ancora più rabbia ? Che questa gente continui e
frequentare gli stadi. Si chiudono le curve per
discriminazione territoriale, però chi canta
quelle oscenità rimane impunito. È assurdo. Io
non lo capisco. Non è un atteggiamento da paese
civile".
Forse anche la Fiorentina potrebbe fare
qualcosa, non crede ?
"Guardi, ci tengo a chiarire una cosa: io non ce
l'ho assolutamente con i tifosi della
Fiorentina. Ce l'ho con chi continua a fare quel
coro e ogni volta offende la mia famiglia, mio
padre e le famiglie di tutti gli altri morti. E
mi piacerebbe che i Della Valle, che portano
avanti la loro battaglia sul fair play,
prendessero posizione per isolare certa gente.
Con la tecnologia di oggi non è difficile
individuarli e lasciarli fuori dagli stadi.
Quelli non sono tifosi. Anzi, sa che le dico ?
Scriverò personalmente alla Fiorentina e ai
Della Valle per chiedere che la società
intervenga. Subito. Penso che sia arrivato il
momento di dire basta, basta, basta".
Lei aveva tre anni quando suo padre è
morto, cosa ricorda di quella sera ?
"Niente, ero troppo piccolo. In quel momento non
mi sono accorto di nulla".
E come le spiegarono che suo padre non
tornava a casa ?
"Non ricordo nemmeno questo. Mio padre faceva il
medico e immagino che mi dissero che sarebbe
stato fuori per un po' e che non sarebbe tornato
tanto presto. Insomma, quelle cose che si dicono
ai bambini. Ho saputo molti anni dopo cosa era
successo, quando sono cresciuto e mi sono
documentato. Ho rivissuto l'orrore di quella
sera centinaia di volte".
Sa come è andata ?
"Sì. Come ho già detto mio padre era medico, ed
era anche piuttosto grosso quindi era riuscito
ad uscire dallo stadio e a mettersi in salvo. Ma
appena arrivato fuori ha visto un ragazzo a
terra, ferito, ed è rientrato dentro lo stadio
per soccorrerlo. Però mentre gli stava facendo
la respirazione bocca a bocca è stato travolto
da una seconda ondata di persone. E non si è più
rialzato".
Cosa le rimane di suo padre ?
"Pochi ricordi e una medaglia d'argento al
valore civile per quel gesto di altruismo che
gli è costato la vita. Una cosa di cui vado
molto orgoglioso".
Cosa ha pensato la prima volta che ha
visto le immagini di quel dramma in tv ?
"È stato un pugno nello stomaco. Sapere che in
quella calca c'era anche mio padre è stato uno
choc. E oggi, quando mi capita di rivedere le
immagini in televisione, cambio canale".
Suo nonno Otello è stato presidente
dell'associazione dei familiari delle vittime,
come è andato a finire il processo ?
"Sono
andato spesso con lui a Bruxelles, alle udienze
del processo. Ci sono voluti tutti e tre i gradi
di giudizio ma alla fine sono arrivate le
condanne per l'Uefa, le autorità belghe e per
alcuni tifosi del Liverpool, quelli che sono
riusciti a individuare. A quei tempi non c'era
un sistema di telecamere come adesso, per cui
non è stato possibile identificare tutti".
Siete stati risarciti ? Che valore hanno
dato alla vita di suo padre ?
"Sinceramente non me lo ricordo, ma per noi non
è mai stato un problema di soldi, ma di
giustizia. E la cosa veramente importante è che
dal punto di vista legale quella sentenza ha
fatto giurisprudenza. Adesso la Uefa è
responsabile di tutti gli eventi che organizza".
Sua madre come è uscita da questa
vicenda ?
"È una donna forte e coraggiosa. Quando mio
padre è morto aveva ventotto anni e due figli
piccoli da crescere. Io che avevo tre anni e mio
fratello che ne aveva uno e mezzo. In più doveva
anche finire gli studi. Frequentava medicina.
Con l'aiuto dei miei nonni ha cresciuto i suoi
figli e si è laureata. È una donna
straordinaria".
Come fa a non odiare il calcio ?
"Quello che è successo all'Heysel non è calcio.
È stato un episodio di violenza, un fatto di
cronaca che con lo sport non c'entra niente. Il
calcio è gioia, socializzazione, voglia di stare
insieme. A me il calcio piace, però detesto il
resto".
Ha ragione, il calcio dovrebbe essere un
bel momento di aggregazione, invece sempre più
spesso mostra il suo lato peggiore. E i
provvedimenti che vengono presi non sono mai
adeguati.
"È vero, penso anch'io che si dovrebbe fare di
più. Mi piace il calcio etico di Prandelli, però
non basta. Tutti dovrebbero impegnarsi per
ridare al calcio la sua dimensione di sport e
basta. Invece troppo spesso è ostaggio della
stupidità di alcune persone che non me la sento
nemmeno di chiamare tifosi. E io sono stanco.
Stanco di vedere che il nome di mio padre, e
quelli delle altre vittime, vengono
continuamente infangati. Stanco che non si
faccia niente per fermare questa barbarie.
Stanco che non ci sia rispetto per le famiglie
delle vittime, per tutte quelle madri, mogli e
figli che hanno perso qualcuno. Molti di quei
ragazzi che fanno quei cori nell'85 non erano
nemmeno nati, ma che ne sanno loro di chi era
mio padre ? Oltretutto il settore Z non era
nemmeno quello degli ultrà, che erano stati
sistemati da un'altra parte. Lì c'erano tutte
persone normali, semplici appassionati, qualcuno
non era neppure tifoso della Juventus. E io devo
accettare che la loro memoria venga
continuamente offesa ? E in nome di cosa ? Lo
ripeto, è una vergogna. Come lo sono i cori su
Superga. Ci vuole rispetto e le società in
questo dovrebbero avere un ruolo chiave. Sono
loro che devono educare i propri tifosi, anche
prendendo provvedimenti scomodi. Non si può
essere spettatori passivi di questa vergogna".
2 marzo 2014
Fonte: Firenze.repubblica.it
L’intervista ad Andrea Lorentini
Andrea Lorentini oggi ha 21 anni, studia Scienze
della Comunicazione a Perugia e ha un grande
sogno: diventare giornalista sportivo. Nel
maggio 1985 aveva 3 anni e mezzo e non ha alcun
ricordo del padre Roberto. Ma omaggia il babbo
tutte le settimane andando a trovarlo al
cimitero di Arezzo. Andrea è stato cresciuto
unitamente dal nonno Otello, dalla nonna e dalla
mamma, dottoressa ematologa presso l’ospedale di
Arezzo. Il nonno Otello gli ha trasmesso l’amore
per il calcio, che Andrea ha praticato dall’età
di 6 anni e fino ai 19, quando l’Università non
gli ha più permesso di proseguire l’eventuale
carriera da calciatore. Pane e calcio. Queste le
materie sulle quali si è formato Andrea, e sulle
quali si è formato il fratello Stefano, di un
anno più giovane, studente di Fisica. Andrea è
un ragazzo decisamente più intelligente e al di
sopra della media dei suoi coetanei. Ci ha
rilasciato un’intervista per ricordare il padre,
per fare un suo commento sul suo personale
dolore e sulla vita.
Andrea, che ricordi hai di tuo padre
Roberto ?
"Purtroppo nessuno. Avevo tre anni e mezzo
all’epoca. Conosco tutta la sua storia. Me
l’hanno sempre raccontata. E crescendo mi hanno
anche spiegato di quel giorno allo stadio Heysel
e di cosa è successo dopo".
Tu non hai avuto un padre, ma ti ha
cresciuto un nonno fantastico…
"Sì, esattamente. E’ mio nonno, ma è come se
fosse il mio babbo. E’, e sarà sempre, la mia
figura maschile di riferimento. Ma la presenza
di mio padre c’è sempre, ed è sempre con me".
E’ stato difficile per te vivere questa
situazione in questi anni ?
"E’ stata una disgrazia immane, ma l’ho superata
e l’ho vinta proprio grazie ai miei familiari.
Non è, e non è mai stata, per me, una spada di
Damocle".
Andrea, per quale squadra di calcio tifi
?
"Sono tifoso dell’Arezzo. Quest’anno forse
riusciamo a passare in serie B. Ma, fra le
grandi squadre, sono simpatizzante dell’Inter".
Essere simpatizzante dell’Inter è anche,
forse, un modo per prendere le distanze della
Juve ?
"Sì, forse sì. Non lo nascondo".
Hai rancore verso la Juventus per quella
tragedia ?
"Ho rancore per quei giocatori, alcuni Campioni
del Mondo in carica, altri grandi
professionisti, che hanno gioito per la vittoria
della Coppa dei Campioni (una vittoria che io
personalmente, come tanti altri, non riconosco)
che hanno compiuto il giro d’onore a strage
appena ultimata. Questo sì. E poi ho rancore
verso la dichiarazione rilasciata nel dicembre
dell’85, quando la Juve vinse la Coppa
Intercontinentale e affermò che: "Questa coppa
serve per dimenticare la tragedia dell’Heysel.
Quella tragedia non si può cancellare con
un’altra Coppa".
Nemmeno con la Coppa dei Campioni del
1996 ?
"No. Quella del 1996 è, per me, la prima Coppa
dei Campioni vinta dalla società bianconera.
Nient’altro".
Tu scrivi una frase molto bella nella
tua introduzione al libro: "Il calcio è vita".
Puoi commentarla ?
"E’ una conclusione che ho fatto praticando
calcio. Il calcio riassume i valori della vita:
lo stare insieme, il socializzare, il rispetto
dell’avversario, il divertimento. Ma la cosa più
importante è sicuramente il rispetto per
l’avversario. Per questo il calcio è vita".
22 dicembre 2005
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