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Franco Galasso
Curva Settore Z
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Claudio Garelli
Curva Settore Z
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Giuseppe Genesio
Curva Settore Z
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Carla Gonnelli
Curva Settore Z
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Filippo Grassia
Tribuna Stampa
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Carlo Grifoni
Curva Settore Z
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Quel tragico 29 maggio di 32
anni fa
di Giuseppe Messe
29 maggio 1985-29 maggio 2017:
32 anni dopo. Morirono 39 persone, di cui 32 italiani.
Franco Galasso (nella foto) 61 anni, dipendente
comunale, quel giorno era allo stadio Heysel di
Bruxelles. Tifoso della Juventus, aveva da qualche mese
fondato il club Juventus a Mesagne grazie al quale aveva
potuto acquistare un pacchetto di biglietti per andare a
Bruxelles ad assistere alla finale di Coppa dei Campioni
(com’era chiamata allora) contro il Liverpool. Su un
volo charter in partenza da Brindisi assieme a lui
salirono Salvatore Pisani, titolare del bar Carmine,
Raffaele Rosato, insegnante di scuola elementare,
Daniele Librato, Bruno e Alberto Guarini che, purtroppo,
perse la vita a seguito degli incidenti provocati dagli
hooligans inglesi. Franco lo abbiamo incontrato ieri
pomeriggio. "Proprio a quest’ora (sono circa le ore 19)
ci avviamo allo stadio. I cancelli erano stati aperti
alle ore 18.30. Assistevamo ad una partitella tra
bambini; i tifosi inglesi - molti dei quali ubriachi,
tifavano per i bambini che indossavano la maglia rossa;
noi italiani per i bambini in divisa bianca.
Improvvisamente iniziò un fitto lancio di pietre che era
facile staccare dal selciato del vecchio ed inadeguato
stadio controllato da appena una decina di poliziotti a
cavallo. Non so dire chi iniziò la provocazione. Ad un
certo punto vedemmo un tifoso inglese con il volto pieno
di sangue: probabilmente era stato colpito da una
pietra. Gli inglesi iniziarono a premere sulla rete che
divideva i due settori; ci fu un fuggi-fuggi generale,
persone che cadevano e sulle quali correvano altre
persone. Io tra questi. Non caddi con il rischio di
restare schiacciato grazie a Salvatore Pisani che mi
tirò per un braccio. Nella calca persi una scarpa; corsi
verso gli ultimi gradini della gradinata e
arrampicandomi sul muro di recinzione saltai fuori dallo
stadio. Corsi a perdifiato: i bar ed i locali erano
stati chiusi per paura. Grazie ad un tassista arrivai in
una pizzeria gestita da italiani di Ascoli che mi fecero
telefonare a casa per assicurare tutti che stavo bene.
Mi avviai verso il pullman che ci aveva portati
dall’aeroporto e aspettai che arrivasse l’autista per
mettermi in salvo. Ripartimmo da Bruxelles all' 1.30 di
notte e Raffaele Rosato, che era stato ricoverato e poi
dimesso, mi disse che Alberto era molto grave. 32 anni
dopo ? "Sono tornato allo stadio perché sono
appassionato. Per 3-4 anni rifiutai di assistere ad una
partita di calcio. Poi la vita continua, il tempo per
fortuna lenisce il dolore ma il ricordo e la cicatrice
li porto sempre dentro di me stampati a fuoco".
Fonte: Mesagnesera.it
© 30 maggio 2017 (Testo
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Salvatore Giglio © Mesagnesera.it
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Audio: Rai (Bruno Pizzul)
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Heysel, 30 anni dopo… Il
racconto di Pasquale Gallo:
"Politici, basta demagogia: ferita
aperta, ecco cosa accadde…"
di Gaetano Ferraiuolo
Una tragedia immagine, una pagina
tristissima per lo sport mondiale e per tutti coloro
che, a distanza di decenni, piangono ancora per la
drammatica scomparsa di un proprio caro. 30 anni fa, in
occasione di una finale di Champions League, 39 persone
persero la vita in quella che fu ribattezzata "La strage
dell’Heysel", momenti terribili soprattutto per chi era
sugli spalti e che giammai potrà dimenticare le urla di
dolore e le lacrime di chi, con rabbia, ancora oggi è
convinto che tutto ciò poteva essere preventivamente
evitato. La redazione di Granatissimi ha contattato il
noto dirigente sportivo Pasquale Gallo che, con un
pizzico di commozione, ha ripercorso quella giornata
incredibilmente intensa: "Ricordo tutto perfettamente,
quasi come se fosse ieri. Per usare un termine medico,
si può dire che chi era presente sugli spalti quel
giorno porterà a vita una grande cheloide, ovvero
un’enorme cicatrice che non potrà mai rimarginarsi. Chi
era seduto comodamente in poltrona probabilmente non si
sarà neanche reso conto della gravità della situazione,
ma posso assicurarvi che in quello stadio si respirava
un’aria pesante, un clima surreale e di angoscia.
L’organizzazione della UEFA fu totalmente carente, sono
loro i responsabili di quella tragedia e della caduta di
quel muro: lo stadio era una specie di cantiere
paragonabile ad un impianto sportivo di montagna, in
quella curva furono ammassati gli hooligan inglesi ed
ubriachi e le famiglie italiane e molti sono morti
perché calpestati dalla folla che fuggiva. Un dolore
tremendo". Sul sito Pasqualegallo.net è possibile
leggere un interessante editoriale: "Ho scritto una
serie di riflessioni che vorrei condividere con tutti,
soprattutto con chi è al potere di un calcio sempre più
malato. Ho inteso manifestare il mio affetto alle
famiglie delle vittime, non è certo retorica dire che
sono tutti diventati nostri fratelli. Quel giorno dovevo
essere in curva anche io e mi ritrovai casualmente in
tribuna; con la mia cinepresa realizzai un filmato
inedito che quest’oggi è andato in onda su Telecolore,
con immagini che colpiscono ed emozionano soprattutto
coloro che erano allo stadio e che hanno visto la morte
a due passi". Pasquale Gallo si dice pronto ad
organizzare qualsivoglia manifestazione atta ad onorare
la memoria di tutti coloro che sono morti durante un
evento sportivo, ma lancia un messaggio: "Il primo morto
in uno stadio, nella storia, si è avuto proprio a
Salerno con la scomparsa di Plaitano. Da persona
sensibile a certe tematiche, sono pronto a sposare
qualunque iniziativa volta a ricordare chi purtroppo non
c’è più, ma ci tengo a sottolineare una cosa: basta
demagogia da parte dei politici e di coloro che seguono
le loro parole, condite da falsi moralismi e promesse a
vuoto. Ogni volta che muore qualcuno, siamo costretti ad
ascoltare frasi tipo "Speriamo che sia l’ultima volta
che accadono cose del genere e che questi avvenimenti
possano essere da insegnamento per il futuro": assurdo !
Questi signori si chiedano concretamente cosa hanno
fatto per migliorare un sistema malato: pensano forse di
risolvere tutti i problemi anticipando le gare alle
12:30 per motivi di ordine pubblico ? Come se i
delinquenti avessero un orario !". Gallo estende il suo
"sfogo" ad argomenti di stretta attualità: "Il calcio è
malato, dai livelli più bassi fino alla FIGC ed al CONI.
Nell’era Calciopoli ho dovuto sopportare cose
inenarrabili pur non avendo fatto niente, a settembre
pubblicherò un libro intitolato "Io e la Juve, storia di
un grande amore" che ripercorrerà le tappe più
importanti della storia della Vecchia Signora del calcio
italiano e tutte le ingiustizie che comportarono la
retrocessione in serie B. Coloro che governano questo
sport sempre meno credibile mi devono spiegare dov’è la
moralità e dov’è il rispetto delle regole ! Sta andando
tutto a rotoli, c’è bisogno di una totale
riorganizzazione a tutti i livelli". Gallo si esprime
anche sul recente caso denominato "Dirty Soccer" e sulla
campagna mediatica contro la Salernitana: "Preferisco
non parlare di cose che non conosco, ma è chiaro che i
granata hanno vinto sul campo e sudando ogni singolo
punto partita dopo partita. Non mi preoccuperei di
questo, quanto di chi è ai vertici del calcio ed è
riuscito a rompere il giocattolo". Infine sulla
promozione in B della Salernitana: "Personalmente ne ho
vissute tante. Negli anni ’60 era la Salernitana a mio
avviso più forte in assoluto, con tanti fuoriclasse
capeggiati da quel fenomeno chiamato Pierino Prati.
Abbiamo vinto anche nel 1990, successivamente con Delio
Rossi ed Antonio Lombardi. Ovviamente sono felicissimo,
ma mi sono limitato ad un semplice brindisi: da tifoso
ed amante dello sport pulito, auspico che una piazza del
genere possa presto approdare nella massima categoria
del calcio italiano".
Fonte: Granatissimi.com
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"35 anni fa ho visto la morte in
faccia"
di Roberta Bima
Se lo ricorda bene l'imprenditore
buschese, tifoso juventino quel 29 maggio 1985, lui era
in quello stadio: "Andato per assistere ad uno
spettacolo sportivo per eccellenza, mi sono ritrovato
dentro l’inferno".
La strage dell’Heysel fu una
tragedia avvenuta poco prima dell’inizio della finale di
Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool
allo stadio di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di
cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. Se lo
ricorda bene l’imprenditore buschese, tifoso juventino,
Claudio Garelli. Quel 29 maggio 1985 lui era in quello
stadio: "Andato per assistere ad uno spettacolo sportivo
per eccellenza, mi sono ritrovato dentro l’inferno" ci
racconta. Tifoserie di Juve e Liverpool posizionate
nella stessa zona dello stadio separate solamente da una
rete che si utilizza per delimitare gli orti e da lì a
poco fu la catastrofe. I ricordi sono ben impressi e
nitidi nella sua memoria: "Alle ore 19.30 in campo
esibizione di squadre di ragazzini, sugli spalti
rovinati dal tempo si intravedevano i primi segnali di
intimidazione da parte degli hooligans con lanci di
pezzi di intonaco, calcinacci dei gradini del vecchio
stadio. Poco dopo i primi lanci di razzi ad altezza
d’uomo, contemporaneamente i primi brutti pensieri
incominciarono ad affiorare nella mia mente". Ripercorre
quegli attimi minuto per minuto. "Alle 20 le prime
invasioni da parte di hooligans solitari, ricondotti dai
pochissimi poliziotti presenti all’interno del loro
settore. Nel giro di cinque minuti invasioni sempre più
numerose da parte dei "barbari" inglesi con aggressioni
fisiche con colli di bottiglie e pezzi vetro ai primi
malcapitati tifosi italiani. Il panico invase il settore
Z, quello dove eravamo noi italiani, e tutti si
ammassarono nei punti estremi a quelli dei contatti con
gli invasori. Ci accalcammo tutti in una morsa umana
incontenibile, un’onda fortissima e molti di noi non
riuscirono a reggere, alcuni presi da crisi di panico,
altri da stress da compressione altri feriti dalle
colluttazioni con gli esagitati, bestiali tifosi
anglosassoni". Fu il caos, la strage. "Non potrò mai
scordare quelli che erano intorno a me che di punto in
bianco, supplicando aiuto, senza più un filo di forza,
sparirono sotto i nostri piedi - continua Claudio - In
quei momenti di concitazione e di estrema concentrazione
per cercare di resistere, ricordo di aver pensato che
era giunto il mio momento ma che era arrivato troppo
presto, a 23 anni non si può morire così e che avrei
voluto fare molte cose ancora nella vita.
Fortunatamente, mentre ero in questo stato di trans, un
muro dello stadio crollò e questo ci permise di
allentare leggermente la stretta che ci teneva incollati
gli uni agli altri e riuscimmo a respirare. Capii che,
anche quella volta, sarei riuscito a portare a casa la
pelle". Questa esperienza cambiò profondamente Claudio
Garelli che ancora ora, dopo tanti anni, quando pensa a
quei momenti pensa di aver visto la morte in faccia di
averci anche parlato. Conclude Garelli: "Ora, mi
piacerebbe che quei tifosi morti per sbaglio 35 anni fa
venissero ricordati e non dimenticati e questa storia
insegnasse alle giovani leve che è bello divertirsi e
farlo con tanti amici ma che non si deve mai andare
oltre un certo limite e che non si deve mai perdere di
vista quello che è il rispetto verso il prossimo sia
esso un conoscente o un avversario".
Fonte: Cuneo24.it
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La strage dell’Heysel vissuta
da un melitese
di Ivano Verduci
Il 29 Maggio 2020 è ricorso il 35°
anniversario della tristissima pagina di storia sportiva
(che di sport ha poco) conosciuta come la "strage
dell’Heysel" in cui ben 39 persone morirono e più di 600
rimasero ferite. Era la finale di Coppa dei Campioni tra
la Juventus di Boniek e Platini e il Liverpool. Siamo
riusciti a carpire la "storia di un pezzo di vita
vissuta" da Peppe Genesio, melitese di nascita, emigrato
a Rescaldina in prov. di Milano assieme alla famiglia
quando aveva 10 anni. Lui è sempre rimasto con Melito
Porto Salvo nel cuore e nell’anima ritornando al paese
ogni anno per la festa e per le vacanze estive.
IL RACCONTO - Io ricordo quel
giorno che vissi come tutti gli Italiani non staccando
gli occhi dalla tv di Stato ed il seguente dalle pagine
dei giornali. Su un quotidiano mi colpì una foto in cui
riconobbi lui, Peppe Genesio, in quel disgraziato muro
della Curva Z. Mi feci raccontare tutto in seguito e
voglio condividere con i lettori questo mio scritto.
Genesio faceva parte del fans club della Juventus di
Legnano (MI) e partì assieme alla cognata, al suo
fidanzato e ad altri 50 con il Bus organizzato appunto
da questa associazione di tifosi. La partenza la
descrive come una delle più affascinanti, l’adrenalina
per l’evento, la gioia di condividere un giorno
importante con la propria squadra del cuore ed anche la
possibilità di visitare una città come Bruxelles in cui
non c’era mai stato. Lui si è fatto e continua a farsi
sempre apprezzare per la collaborazione in diverse
associazioni di volontariato del milanese. Oltre ad
essere un grande organizzatore di eventi enogastronomici
in cui predilige associare pietanze lombarde e far
conoscere quelle melitesi. Quindi non poté mancare la
nomina anche per quel viaggio alla cura del companatico.
Il panino lo "rimpingua Peppe il melitoto" dicevano a
tutti gli organizzatori e lui non fece mancare le scorte
dei capicolli che si era fatto inviare dai parenti di
giù qualche settimana prima. Arrivati la mattina presto
in Belgio, si diedero tutti appuntamento allo stadio nel
primo pomeriggio e "visita libera alla città". Peppe
assieme ai cognati ed altri amici cominciarono la visita
alla capitale in un clima di civiltà che non faceva
presagire ciò che poi si sarebbe verificato. Infatti nel
suo archivio ci sono foto di scambi di gagliardetti e
sciarpe anche con gli inglesi. Era felicissimo di quel
momento. Nel primo pomeriggio si avviarono verso lo
stadio e lì l’amara sorpresa. "L’impianto destò in me
una bruttissima impressione, sembrava più un campo di
periferia che altro". I biglietti che il gruppo si era
procurato erano per il settore Z. Il tempo di capire
dove era l’ingresso e via cominciò ad incamminarsi.
DAVANTI ALLO STADIO PRIMA DELLA
STRAGE DELL’HEYSEL - "Chiedemmo informazioni e ci
dissero eccolo l’ingresso. Non ti dico che sensazione di
disagio ebbi. La porta di accesso era strettissima ed il
famoso settore "Z" in cui si sistemarono famiglie con
bambini e club di tifosi della Juve lo battezzai subito
"sittamundi ndi stu iaddinaru". Dopo meno di un’ora
cominciai a vedere che vicino a noi, divisi soltanto da
una misera rete per giardinaggio, stavano entrando i
famigerati hooligans inglesi. Qualche poliziotto a
ridosso di questa recinzione e nulla più. Appena scesero
in campo le squadre per il riscaldamento cominciarono le
prime avvisaglie. I tifosi (Tifosi?) inglesi, ormai
quasi tutti sbronzi, a ridosso del nostro settore
cominciarono a lanciare verso di noi bottiglie di birra
vuote miste a pietre che era facile procurarsi in
quanto, incredibilmente, a portata di mano nel loro
settore. Cominciai a provare una sensazione di
smarrimento che mai fino ad allora avevo provato,
nonostante avessi frequentato spesso gli stadi in quegli
anni. Mi chiedevo: ma è una finale di Coppa Campioni o
la partita di Prima Categoria ? Poi arrivò il panico più
totale quando vidi quei pochi poliziotti indietreggiare.
In un battibaleno mi ritrovai schiacciato verso il
"famoso e maledetto" muro dell’Heysel. E sotto di me si
trovavano i miei cognati che cercavo di tenere con la
testa in su per farli respirare. Non so come mi ritrovai
sul terreno di gioco. Ma non potevo scappare, dovevo
recuperare i miei parenti e grazie a Dio lo feci.
L’unico mio pensiero era da quel momento in poi scappare
da quell’inferno perché pensavamo che da lì a breve
sarebbe successa una guerra. Io assieme ad Emma ed Enzo
ed un gruppo del Club ci accorgemmo che avevano aperto i
cancelli e riuscimmo ad uscire e finalmente, nel
frattempo, arrivò la polizia a cavallo".
STRAGE DELL’HEYSEL: L’INCUBO
CONTINUA – "Appena fuori dallo stadio, pensammo di
andare immediatamente in stazione per prendere un treno
e andare via dalla città il più presto possibile o a
rifugiarci in qualche hotel. Non dimenticherò mai che
nessun taxi volle fermarsi e nessun belga nelle
vicinanze ci aprì anche solo per fare una telefonata.
Attimi di terrore e di assoluto panico che porterò come
ferita nel cuore. Ore di apprensione che mi sembrarono
secoli (piange). Ritornati psicologicamente in noi
saggiamente tornammo al parcheggio dove avevamo lasciato
il bus in mattinata. Intanto in città era ritornata in
qualche modo, se così possiamo chiamarla, la legge.
Saliti sul bus l’organizzatore cominciò a fare
l’appello. Del gruppo mancava una persona. Scendemmo e a
scaglioni cominciammo a girare per i vari ospedali e
gendarmerie per chiedere informazioni. Ripeto non
avevamo i telefonini. Si scoprì che oltre a qualche
associato ricoverato in ospedale non tornò a casa
neanche il Sig. Venturin. Era morto per una partita di
calcio, lui ed altre 38 persone".
LA PARTENZA VERSO CASA – "Con la
strage dell’Heysel alle spalle, e con la morte nel
cuore, l’unica cosa da fare era cercare di ripartire.
Ripartimmo verso le 5 di mattina, all’alba del giorno
dopo con la morte nel cuore. Il viaggio è ancora oggi
per me il più brutto della mia vita ed il più
silenzioso. Nessuno aveva voglia di raccontare, tutti
eravamo sotto shock. Riuscimmo a telefonare da un’area
di servizio in Lussemburgo. I nostri parenti in Italia
vissero la nottata in bianco, già organizzati per venire
in Belgio a capire cosa ci fosse successo. Appena
entrati in Italia fummo assaliti, se così si può dire,
da migliaia di giornalisti. Pochi, però, avevano voglia
di parlare e vidi la mia foto sul giornale. Piansi ed
ancora oggi lo faccio. Avevo convinto io i miei cognati
a venire in quel disastro e meno male sono riuscito a
riportarli a casa. In caso contrario non credo me lo
sarei mai più perdonato. Per almeno un anno ogni notte
mi svegliavo con gli incubi e quel grido "Liverpool,
Liverpool" in testa. Ancora oggi mi capita ogni tanto,
anche a distanza di 35 anni. Una giornata che non doveva
finire così e che mi fece capire che l’uomo non sempre è
migliore delle bestie".
Fonte: Ntacalabria.it
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"Il cuore è bianconero"
La testimonianza di Carla Gonnelli,
ferita gravemente all'Heysel con il padre Giancarlo, una
delle 39 vittime.
Prima di tutto vorrei ringraziare
tutti coloro che su questo forum hanno dedicato almeno
un momento della loro vita a coloro che in vita non ci
sono più. Io ci sono perché un angelo inglese mi ha dato
"un alito di vita" nel vero senso della parola mentre
altri demoni l'hanno tolta a mio padre e ad altri 38
esseri umani... Perché di questi fondamentalmente si
trattava... Esseri umani... Al di là delle tifoserie.
Quella finale era il regalo per il mio 18° compleanno ed
il "battesimo dell'aria" per me e mio padre, ma quella
sera nessuno dei due è tornato a casa, da mia madre.
Quello che è accaduto lo sapete tutti... Forse lo sapete
meglio di me che fino ad un momento ben preciso ero
seduta su quei maledetti gradini scalcinati di uno
stadio (?) accanto a mio padre e con altri amici e un
momento dopo ero ad un passo dalla morte... Adesso mi
fermo per un momento e se qualcuno vuole saperne di più,
sono qua. Poi andrò avanti, altrimenti scrivo un libro !
(NdR: omissis) Mio padre è Giancarlo Gonnelli. Ti posso
assicurare che in quel settore eravamo tutti tranquilli,
famiglie e ragazzi giovani... Abbiamo fatto la coda tra
le transenne per ritrovarci in un "pollaio" con semplici
reti "da polli" a dividerci da quelli là... Quando siamo
entrati ci guardavano come gli schiavi che entravano nel
Colosseo in attesa di essere massacrati... Mi vennero i
brividi ma era la prima volta che entravo in uno stadio
e non sapevo che atmosfera avrei trovato. Sicuramente
non ero a mio agio, ma ero con babbo e nulla sarebbe
potuto accadere. Ci sedemmo su quegli spalti (non saprei
che termine dispregiativo potrei utilizzare e quindi
lasciamo così) tutti rotti, i cordoli di cemento che si
spezzavano con la pressione di un dito (e che sono
diventati oggetto di lancio nei nostri confronti...
Senza offesa per nessuno, ma i campetti cittadini dove
giocano i ragazzi sono un fiore rispetto a quello !)
Ricordo che dissi a mio padre di sedersi più lontano
possibile dalla ridicola rete che ci separava da quelli.
Avevo seguito qualche finale in tv e mi resi conto che
di polizia non c'era neanche l'ombra e mi chiesi se
fosse al riparo da qualche parte o cosa... Forse
sarebbero comparsi con l'inizio della partita… La verità
è che non c'erano proprio... Forse solo 6 in tutto lo
stadio ! Guardai l'uscita come certe volte capita
entrando in un luogo chiuso (es. un cinema) come per
essere pronta a sapere dove dovevo andare...
Probabilmente ero spaventata più di quanto non
trasparisse. Avevo proprio idea di essere una gallina in
un pollaio, ma piccolo però e le volpi erano già
assetate di sangue e non di altro perché di birra e
alcool era già pieni ! Ricordo che quando eravamo in
fila per entrare notai (purtroppo con ilarità) passare
dei reds con cassette piene di bottiglie di birra ed
entrare tranquillamente. Qualcuna di quelle, rotta, è
servita per sgozzare un loro simile... Un essere
umano... (NdR:
Carla fa riferimento all’italiano Mario Ronchi, ma dalle
autopsie frettolose e sommarie dei medici militari belgi
non risultano ufficialmente cause di morte per taglio di
lame o altro). Certo, la maggior parte se ne è andata così ma
su alcuni corpi sono state riscontrate altri tipi di
ferite. E' brutto a dirsi, ma loro quando ci hanno
aggrediti lo hanno fatto con intenzione di farci male !
Ad Arezzo è morto un giovane dottore che stava prestando
soccorso ai feriti e che è rimasto ucciso da una seconda
ondata di assalto ! Se non ci fosse stata
intenzionalità, una volta innescato il meccanismo della
paura, del terrore e della fuga ci avrebbero lasciati
stare, ma non è andata così ! Una volta divelta la rete
si sono scagliati su di noi con cattiveria... Ricorda
che la maggior parte erano ubriachi e quindi trai le
conclusioni... Mio padre, mi ha raccontato il cugino che
ha fatto il riconoscimento prima dell'autopsia, aveva
degli strani segni intorno al collo, come se qualcuno
gli ci avesse messo le mani... Per stringere ?
...Chissà. Loro erano partiti intenzionati ad assalirci
e quando si sono accorti che ne avevano piene
possibilità perché niente polizia e nessuna barriera
hanno iniziato la macabra danza... Quando gli inglesi ci
hanno caricato l'istinto è stato quello di fuggire verso
le uscite, ma purtroppo ce ne era una sola, in alto e
molto piccola… L'altra via di scampo era il prato ma,
come ho già detto, quei pochi agenti presenti hanno
scambiato il tutto per un'invasione di campo ed hanno
fatto di tutto per non far defluire le persone... Sulla
destra c'era un muro e sotto mi pare niente ed è chiaro
che le persone che sono fuggite verso quel punto sono
rimaste schiacciate dalle persone che arrivavano da
dietro, rincorse da quelli. Probabilmente Boniperti e
gli altri non sono venuti nel nostro settore, ma sono
andati in quello dove non era accaduto nulla (dalla
parte opposta) perché si erano resi conto che era
successo qualcosa di grave. Il fatto che la tribuna
abbia ceduto è stata la salvezza di molti e non la causa
! La maggior parte dei morti era alla base del muro
della tribuna, schiacciati da quelli che arrivavano da
dietro per scappare a quelli che ci assalivano ! Quando
alcuni hanno cercato rifugio in campo quei pochi, ma
dementi agenti della polizia l'hanno scambiata per una
invasione di campo e non li hanno fatti scappare facendo
così aumentare la calca di persone... E di morti. Quando
il muro ha ceduto è stata una via di uscita... Dalle tue
domande mi rendo conto quante cazzate sono state
raccontate ! In mezzo a quei demoni c'era anche qualche
angelo e grazie a lui sono qua. E' un ragazzo di
Liverpool che era andato alla partita con un cugino e
che si era ritrovato insieme a quelli...
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Quando
si è reso conto di cosa era successo si è prodigato per
dare una mano e aiutando le persone a terra ha notato un
braccio esile che spuntava da sotto ben 8 morti... Avevo
una fedina al dito che le ha ricordato sua moglie a
casa, in attesa di due gemellini ed ha iniziato a
togliermi le persone sopra. Si è accorto che stavo male,
ma ero ancora viva e mi ha fatto la respirazione
artificiale; grazie a lui, anche se già in coma, sono
qua. Non mi ha lasciata un momento fino a che i medici
non mi hanno portata via. L'ho conosciuto l'anno
seguente perché voleva notizie di me e si è rivolto alla
Rai, ad Alberto Castagna. Mi hanno ritrovata e mi hanno
raccontato la storia. Siamo rimasti in contatto per un
po’ e poi è scomparso e non sono più riuscita ad avere
sue notizie. Sono stata tre giorni in coma e quando mi
sono risvegliata mi hanno detto di mio padre e, con
molta cautela, mi hanno detto quello che era successo...
Mi sembrava impossibile, ma appena sono riuscita a
camminare (anche se piena di aghi da tutte le parti) ho
iniziato a far visita a tutti gli altri feriti e mi sono
resa conto... Non è una sensazione che si può
descrivere... Non ero ancora fuori pericolo di vita, mio
padre era morto e non mi capacitavo della situazione...
Volevo sapere a tutti i costi... Il resto è una storia
lunga, fatta per lo più di rabbia e delusione. Ho
ricevuto, in ospedale, la visita di alcuni giocatori e
niente più. A Boniperti davamo fastidio... Lui doveva
festeggiare solo la coppa; i morti e i feriti erano (e
sono) una palla al piede... Non ci ha aiutato nessuno...
Per i familiari delle vittime furono messi a
disposizione dalle autorità militari degli aerei, gli
stessi con le quali rientrarono le bare. Personalmente
sono rientrata in Italia, dopo le dimissioni
dall'ospedale e con altri feriti, con un aereo ambulanza
della Croce Rossa che però non è atterrato più vicino
possibile alle nostre residenze (per me Pisa sarebbe
stata vicinissima a casa come altri aeroporti per altri
feriti) ma è atterrato a Perugia e poi ogni ferito è
stato portato agli Ospedali "competenti" con una
ambulanza. Per chi come me sarebbe arrivato in 10 minuti
e 20 km di strada invece si è fatto ore e chilometri di
strada (per me 200 circa)... Ma eravamo o no feriti + o
– gravi ? Comunque non credo che per tutti sia stato
uguale e forse qualcuno ha dovuto pagarsi pure il
viaggio di rientro... Negli ospedali hanno salvato molte
vite, compreso la mia... Hanno fatto l'impossibile dato
anche il numero impressionante dei feriti che c'erano !
Però il Belgio avrebbe voluto incassare tanti dindini
per le nostre degenze (Vergogna ! Proprio loro !), ma
solo grazie ad una convenzione internazionale, almeno
io, non ho dato loro niente. Chissà però se tutti erano
al corrente di questo. Purtroppo quando accadono queste
cose vengono dette tante di quelle cose !! Quello che mi
fa più male è che la morte di queste persone, ma anche
quella di qualsiasi altro tifoso, ben inteso, non è
servita a molto e poi di che ti meravigli se a partire
da Boniperti ogni volta che gli veniva chiesto qualcosa
ci snobbava o quasi ironizzava ! Si dice che il male non
lo si augura neppure agli animali, ma in certi casi... E
lo Stato Italiano dov'era ? Pensate che qualcuno ci
abbia aiutato ? Gli altri tifosi ? Al passo appenninico
del Muraglione ha troneggiato per anni la scritta "39
gobbi di meno" ! Forse è ancora là ! Vergogna è proprio
la parola giusta... Personalmente delle ricorrenze non
mi importa un granché, perché per noi mancano tutti i
giorni e sapere che c'è qualcuno come voi non può che
far piacere… Degli inglesi penso che non sono tutti come
quelli di quella sera, ma con questo non li giustifico e
non li perdono. Non è retorica quando viene detto che
allo stadio dovremmo andare per divertirci e passare un
pomeriggio di divertimento facendo del sano tifo, ma
ormai questa concezione è svanita... E pensare che
effetto fa entrare in queste grandi arene stracolme di
persone, di colore e di voci... Del tifo organizzato...
Se è "sano" ben venga, ma lo è ?
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Allo
stadio, a veder una vera partita, sono tornata proprio a
Torino nell'agosto 2008 a vedere la Juve nei preliminari
di Champions... All'inizio sembravo un cane
nell'anticamera del veterinario, avete presente ? Ero
con mio marito e con Cinzia (omissis) e mentre ci
avvicinavamo allo stadio ero quasi in preda al panico,
ma mi son ben guardata da farlo notare... Che sofferenza
!! In mezzo a tutta quella gente, in fila... Ecco che si
ripeteva come allora... Ho chiuso gli occhi e credo di
aver stritolato il braccio di Giancarlo. Quando sono
entrata è stato emozionante... Ero di nuovo là a vedere
la Juve !! Solo quando mi sono seduta in gradinata,
circondata da tutta quella gente, mi è mancato il fiato
ma, in silenzio e autoconvincendomi che non dovevo aver
paura, pian piano è passata. Mi piacerebbe andare a
vedere una partita di campionato, ma quando mio marito
mi dice "allora andiamo ? Cerco i biglietti ? Mi si
drizza il pelo come nei gatti... La partita era proprio
quella e sono andata perché la Juve è la mia squadra
come lo è sempre stata per mio padre... Non capisco
molto di calcio, ma il cuore è bianconero. Per quanto
riguarda i giocatori non ho memoria di quello che fu
detto, ma non credo che non sapessero che c'erano dei
morti e comunque torno a ribadire che se quella partita
non fosse stata giocata la tragedia sarebbe peggiorata
dentro e fuori dallo stadio. La Coppa è nostra, ma non
per merito sportivo, ma in memoria di chi per quella
coppa ha perso la vita. Qualcuno ha detto che questo
evento viene rammentato pochissimo (ed è vero), ma
figuratevi se la coppa non fosse stata assegnata ! Tutto
nel dimenticatoio... E’ macchiata di sangue, ma deve
stare nella bacheca della Juventus e ben in vista perché
chi la guarda deve per forza ricordare. A Boniperti ne
andrebbe inviata una per ogni stanza che compone la sua
abitazione, cesso compreso, così che in ogni istante del
giorno e della notte possa vivere con gli incubi di
coloro che non ci sono più e che lui farebbe di tutto
per nascondere !! Lo Stato italiano è stato inesistente,
figurarsi gli altri !! Non si possono perdonare quelli
che quel giorno hanno fatto quello che sappiamo ma non
possiamo fare di tutta l'erba un fascio altrimenti la
tifoseria, quella vera, sana, ce la possiamo scordare !!
Credimi, la rabbia è tanta ma se rispondiamo con la
stessa moneta è la fine ! Guarda cosa hanno fatto i
fiorentini (concedetemelo) cercando di gemellarsi con i
reds !! Non è questo lo spirito del vero tifoso ! Quella
coppa non è la Coppa dei Campioni, ma una specie di
"monumento ai caduti per quella coppa"... Almeno per me
è così, ma rispetto le opinioni di tutti e concordo che
la coppa è una sola. Grazie per il tuo pensiero... Per
quanto riguarda il discorso dei viola ed altri con
bandiere inneggianti all'Heysel, semplicemente
basterebbe non permettere che entrassero nello stadio e
fuori dal suo perimetro o che nel momento che "escono"
venissero tolte e buttati fuori coloro che le
esponevano, semplice no ! Ma chissà perché non succede e
torniamo sempre all'argomento del vero e sano tifo...
Non conosco questo gruppo e se mi dici come si chiama mi
farebbe piacere. Dopo l'incidente, grazie al padre del
medico morto al quale ho fatto riferimento in un post,
ci siamo uniti in Associazione, ma solo per portare
avanti un ridicolissimo processo (l'unione fa la forza)
durato anni e al termine del quale l'Associazione si è
sciolta anche se tra noi ogni tanto ci sentiamo. Posso
chiedere a mia madre perché io sono un po’ restia sia a
"rappresentare" che per tenere contatti per queste cose,
ma non per "tirarmela" sia chiaro, ma perché sono stata
"usata" nei peggiori modi "pur di parlarne"... Avevo 18
anni e non mi rendevo conto di quello che succedeva
intorno a me... Per "l'uso" se vuoi posso anche
parlarne, ma è più una cosa dovuta al mio Comune di
residenza di allora e di una Cooperativa nazionale che
hanno usato la mia immagine ed i miei problemi per farsi
pubblicità e lucrare con la mia storia... Purtroppo ho
dovuto subire anche questo, come se il resto non
bastasse... Quando sono arrivata a casa ho dovuto
iniziare un percorso medico e psichico che, in parte,
non è ancora finito... Libri su questa tragedia ne sono
stati pubblicati molti, ma sinceramente non riesco a
leggerli... Ho avuto modo di ascoltare la presentazione
di quello di Veltroni perché è venuto a Firenze e poi
volevo conoscere Caremani, un giornalista toscano con il
quale mia madre è spesso in contatto... Ma non riesco a
leggere neppure quello... E’ più forte di me... La coppa
non l'ho mai vista dal vivo e non mi sono mai chiesta se
desidero vederla... Non saprei... Però sono certa a chi
la sbatterei in faccia...
Carla Gonnelli
Fonte:
Juveforum.it
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Io che ero là: il ricordo
dell’inviato del Giornale
"Quando mi accorsi che sotto il
telo c’era un ragazzo ancora vivo..."
di Filippo Grassia
Non dimenticherò mai quel momento:
"Respira !". E chiamai i poliziotti belgi che parevano
inebetiti.
"Chissà mai cosa potranno rivelare
quei mattoni rossi e smussati che, rovinando sulla pista
d'atletica, hanno firmato la condanna di tanta gente": a
distanza di 30 anni ricordo ancora come cominciai
l'articolo che uscì su Il Giornale Nuovo all'indomani
della strage dell'Heysel dove fui testimone smarrito e
furente d'una carneficina folle, diabolica, eppure
prevedibile. Il dramma si consumò alle 19.32 di quel
maledetto 29 maggio 1985 quando il muro e la recinzione
del settore Z della curva nord si sbriciolarono sotto il
peso dei tifosi juventini che cercavano disperatamente
di sottrarsi alla furia assassina degli hooligans
inglesi, in preda all'alcool e alle droghe. Un macello.
Zeta come l'ultima lettera dell’alfabeto e della vita.
Mai potrò dimenticare quei due giovani che spirarono
sotto il mio sguardo con le labbra spalancate in cerca
d'ossigeno e l'addome rigonfio per il peso sopportato.
Uno dietro l'altro. E porterò sempre con me il ricordo
di quel ragazzo con la maglietta a righe orizzontali
bianche e blu, dato per morto, ricoperto con un panno
grigio, e che invece sussultava. "Questo è vivo, questo
è vivo", urlai a un poliziotto che girava a vuoto,
intontito pure lui. Di medici neanche l'ombra. Un paio
di giorni dopo seppi che quel tifoso juventino era
arrivato da Pontedera o Ponsacco. Più il tempo passava e
più aumentavano i morti posti sulle barelle dietro la
tribuna. Tutti con i ventri dilatati, abnormi. La
mattina dopo, sotto la curva della morte, erano evidenti
i segni della tragedia. Accanto a qualche fiore, c'erano
brandelli di stoffa, bandiere inanimate, sciarpe,
scarpe. Più di ogni altra cosa mi colpirono queste,
forse perché collegai quelle immagini a una foto di un
campo di sterminio sotto il nazismo. Anche all'Heysel fu
omicidio di massa. C'era pure, lì per terra, un libro
giallo dal titolo che mi procurò una sferzata di
adrenalina: "I muri parlano". Solo una combinazione ? A
un paio di gendarmi che mi volevano allontanare, vomitai
addosso tutto il risentimento che mi portavo dentro
dalla sera precedente. C'erano solo due porte in quel
settore Z: l'una d'un metro, l'altra più piccola se
possibile. E fuori da quei due cunicoli, l'unica via di
fuga possibile, i poliziotti manganellarono quanti
cercavano scampo verso l'esterno, verso la vita. Già i
poliziotti. Erano pochi a quell'ora. La gran parte, e lo
dico da testimone, era intenta a mettere qualcosa sotto
i denti. I rinforzi arrivarono in colpevole ritardo. Il
ministro degli interni Nothomb e il borgomastro Brouhon
affermarono che c'erano mille agenti pronti a
intervenire. Non è vero. Eppure nel corso del tragitto
in pullman dall'albergo allo stadio non facemmo altro
che vedere gruppi di tifosi inglesi ubriachi fradici con
le strade, i marciapiedi e le piazze assurti a letamaio
di vomito, piscio e bottiglie di birra. Un tappeto di
bottiglie. All'inizio dello scempio s'era capito poco
dalla tribuna stampa. Allora chiesi a un collega
francese di prestarmi il cannocchiale e capii. La
partita ? Chissenefrega. L'Inghilterra non fece sconti e
debellò con metodi durissimi gli hooligans. In Italia, a
30 anni di distanza, il derby di Roma ha messo per
l'ennesima volta a ferro e fuoco la capitale. Poveri
noi.
Fonte: Il Giornale
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TESTIMONIANZA DI CARLO
GRIFONI
Ogni
volta che la mia Juventus gioca una partita di coppa,
ogni volta che ci si avvicina ad una ipotetica finale,
ma soprattutto ogni volta che arriva Maggio, il 29
Maggio, io non posso che ricordare quella sera
all’Heysel. Non dovevo andare a vedere quella partita
perché il mio club ci aveva abbinato una gita di cinque,
sei giorni e comunque ero stato a Torino per la
semifinale vinta 3 a 0 con il Bordeaux, ma capitò
l’occasione giusta, l’occasione della vita, c’erano dei
biglietti disponibili con viaggio di andata e ritorno,
non mi pareva vero, sarei potuto andare a vedere la
finale e così ne prenotai quattro. In quegli anni c’era
il processo del Lunedì condotto da Biscardi e mio padre
che adesso purtroppo non c’è più seguì quella
trasmissione dove parlavano di biglietti ritornati da
Liverpool e rivenduti in Italia, il famoso settore Z e
dicevano che era pericolosissimo perché le tifoserie
sarebbero state a contatto. Noi partimmo il Martedì
mattina e lui mi si raccomandò di non entrare se i
nostri biglietti fossero stati quelli del settore Z
perché c’era il rischio di disordini. Ci dettero i
tagliandi a Firenze ed il settore era quello. Io
comunque non mi sentivo tranquillo, durante la notte
avevo fatto un sogno strano, avevo sognato che tanta
gente mi veniva addosso ed ero trascinato senza poter
opporre resistenza poi in lontananza ho visto mio nonno
e la gente è sparita. Mio nonno era morto la sera del 30
Maggio 1984. Quando il giorno dopo arrivammo a Bruxelles
e poi nel primo pomeriggio allo stadio, io cercai di
cambiare i biglietti ma riuscii a trovarne solo due e
non li presi, pensai, eravamo venuti in quattro ed in
quattro saremmo ritornati a casa. Entrai allo stadio con
i miei amici, uno stadio orrido, tra noi e gli inglesi
una rete per polli due o tre poliziotti ed un cane lupo.
Ci fu una partita di ragazzi, una squadra con le maglie
bianche ed una con le maglie rosse ed intanto la curva
del Liverpool si andava riempendo sempre di più.
Cominciò il lancio di bengala, noi non portavamo niente
se non bandiere sciarpe e fazzoletti, non eravamo
ultras, poi il lancio di pezzi di cemento staccati dai
gradini degli spalti, incominciarono a spingere la rete
che divideva i settori e da una parte cedette, partì la
prima ondata che i poliziotti riuscirono a rimandare
indietro, io ero salito sopra ad una balaustra di ferro
e gridavo: "Non scappate, andiamogli addosso se no ci
ammazzano", ma inutilmente poi partì la seconda ondata
vidi tutto, fu come uno Tsunami, io mi tenevo per mano
con Roberto poi ci lasciammo, ero trasportato dalla
gente senza poter fare niente, ma non caddi,
continuavano ad arrivare pezzi di cemento e bengala mi
riparai la testa con lo zaino poi non ce la feci più,
buttai via lo zaino, chiusi gli occhi e chiamai mio
nonno, in quel frangente un boato mi fece riaprire gli
occhi, ero libero, la gente davanti a me non c’era più,
ma dietro a me c’era una montagna di persone
intrappolate che spingevano e due miei amici, Vincenzo e
Alfonzino sotto.
Piano
piano riuscii a liberare i miei amici e dopo essermi
assicurato che stavano bene ritornai sulle tribune, non
riesco a dire quanto tempo era trascorso ma lì trovai
una ragazza con i capelli lisci e biondi, era tutta nera
in viso, con uno della croce rossa cercammo di
rianimarla, ma aveva la bocca piena di vomito non c’era
più niente da fare, io mi sentivo da impazzire e gridai
davanti alla faccia di quell’uomo : "Perché !! Perché
!!" Mi allontanai distrutto, più in là c’era una donna
con un vestito lungo forse bianco sdraiata a bocca
sotto, d’istinto la rigirai ma non mi fermai, ritornai
dove avevo lasciato i miei amici, era rimasto solo
Vincenzo e con lui andai verso le tribune, già c’erano
corpi coperti da teli bianchi. Alcuni giorni dopo su una
trasmissione, mi sembra Rete4 la sorella di Simona Izzo
disse di essere stata salvata all’Heysel da un ragazzo
che l’aveva girata facendogli riprendere aria per poi
allontanarsi, forse ero io ? Chissà. In tribuna ci siamo
ritrovati anche con Roberto per fortuna eravamo tutti
salvi, avevo fatto bene a non cambiare i biglietti.
Intanto nella curva della Juve c’erano disordini, io
avevo visto tutto soprattutto morti e volevo unirmi a
loro per fare casino, ma mentre mi avvicinavo vidi in
lontananza i giocatori della Juve, non mi pareva vero,
poco dopo tra me e loro mi divideva solo una grata,
stavo vicino ai miei idoli. C’era Tacconi, c’era Favero,
Cabrini e Vignola, regalarono due paia di scarpe da
tennis a dei ragazzi che per fuggire le avevano perse,
ma soprattutto c’era il nostro capitano Scirea. Noi
raccontammo a loro dell’accaduto, della presenza di
morti ed ancora ricordo le parole di Gaetano: "Ragazzi
questa partita non possiamo giocarla". Voglio chiudere
questa lettera con le parole di Scirea, avrei ancora
tante altre cose da dire ma preferirei dirtele a voce,
mi piacerebbe incontrarti, sai, scrivere questa lettera
per me è stato molto doloroso.
Carlo Grifoni
(NdR: pubblicazione
mail autorizzata)
Fonte:
Associazionefamiliarivittimeheysel.it
© 4 maggio 2017
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