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Reduci Heysel G
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Testimonianze Reduci Heysel (G)
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G
Franco Galasso - Pasquale Gallo - Riccardo Gambelli - Claudio Garelli - Giuseppe Genesio - Carla Gonnelli - Filippo Grassia  - Carlo Grifoni

Quel tragico 29 maggio di 32 anni fa

di Giuseppe Messe

29 maggio 1985-29 maggio 2017: 32 anni dopo. Morirono 39 persone, di cui 32 italiani. Franco Galasso (nella foto) 61 anni, dipendente comunale, quel giorno era allo stadio Heysel di Bruxelles. Tifoso della Juventus, aveva da qualche mese fondato il club Juventus a Mesagne grazie al quale aveva potuto acquistare un pacchetto di biglietti per andare a Bruxelles ad assistere alla finale di Coppa dei Campioni (com’era chiamata allora) contro il Liverpool. Su un volo charter in partenza da Brindisi assieme a lui salirono Salvatore Pisani, titolare del bar Carmine, Raffaele Rosato, insegnante di scuola elementare, Daniele Librato, Bruno e Alberto Guarini che, purtroppo, perse la vita a seguito degli incidenti provocati dagli hooligans inglesi. Franco lo abbiamo incontrato ieri pomeriggio. "Proprio a quest’ora (sono circa le ore 19) ci avviamo allo stadio. I cancelli erano stati aperti alle ore 18.30. Assistevamo ad una partitella tra bambini; i tifosi inglesi - molti dei quali ubriachi, tifavano per i bambini che indossavano la maglia rossa; noi italiani per i bambini in divisa bianca. Improvvisamente iniziò un fitto lancio di pietre che era facile staccare dal selciato del vecchio ed inadeguato stadio controllato da appena una decina di poliziotti a cavallo. Non so dire chi iniziò la provocazione.

Ad un certo punto vedemmo un tifoso inglese con il volto pieno di sangue: probabilmente era stato colpito da una pietra. Gli inglesi iniziarono a premere sulla rete che divideva i due settori; ci fu un fuggi-fuggi generale, persone che cadevano e sulle quali correvano altre persone. Io tra questi. Non caddi con il rischio di restare schiacciato grazie a Salvatore Pisani che mi tirò per un braccio. Nella calca persi una scarpa; corsi verso gli ultimi gradini della gradinata e arrampicandomi sul muro di recinzione saltai fuori dallo stadio. Corsi a perdifiato: i bar ed i locali erano stati chiusi per paura. Grazie ad un tassista arrivai in una pizzeria gestita da italiani di Ascoli che mi fecero telefonare a casa per assicurare tutti che stavo bene. Mi avviai verso il pullman che ci aveva portati dall’aeroporto e aspettai che arrivasse l’autista per mettermi in salvo. Ripartimmo da Bruxelles all' 1.30 di notte e Raffaele Rosato, che era stato ricoverato e poi dimesso, mi disse che Alberto era molto grave. 32 anni dopo ? "Sono tornato allo stadio perché sono appassionato. Per 3-4 anni rifiutai di assistere ad una partita di calcio. Poi la vita continua, il tempo per fortuna lenisce il dolore ma il ricordo e la cicatrice li porto sempre dentro di me stampati a fuoco".

30 maggio 2017

Fonte: Mesagnesera.it

A-Z


PASQUALE GALLO

Heysel, 30 anni dopo… Il racconto di Pasquale Gallo:

"Politici, basta demagogia. Ferita aperta, ecco cosa accadde"…

di Gaetano Ferraiuolo

Una tragedia immagine, una pagina tristissima per lo sport mondiale e per tutti coloro che, a distanza di decenni, piangono ancora per la drammatica scomparsa di un proprio caro. 30 anni fa, in occasione di una finale di Champions League, 39 persone persero la vita in quella che fu ribattezzata "La strage dell’Heysel", momenti terribili soprattutto per chi era sugli spalti e che giammai potrà dimenticare le urla di dolore e le lacrime di chi, con rabbia, ancora oggi è convinto che tutto ciò poteva essere preventivamente evitato. La redazione di Granatissimi ha contattato il noto dirigente sportivo Pasquale Gallo che, con un pizzico di commozione, ha ripercorso quella giornata incredibilmente intensa: "Ricordo tutto perfettamente, quasi come se fosse ieri. Per usare un termine medico, si può dire che chi era presente sugli spalti quel giorno porterà a vita una grande cheloide, ovvero un’enorme cicatrice che non potrà mai rimarginarsi. Chi era seduto comodamente in poltrona probabilmente non si sarà neanche reso conto della gravità della situazione, ma posso assicurarvi che in quello stadio si respirava un’aria pesante, un clima surreale e di angoscia. L’organizzazione della UEFA fu totalmente carente, sono loro i responsabili di quella tragedia e della caduta di quel muro: lo stadio era una specie di cantiere paragonabile ad un impianto sportivo di montagna, in quella curva furono ammassati gli hoolingans inglesi ed ubriachi e le famiglie italiane e molti sono morti perché calpestati dalla folla che fuggiva. Un dolore tremendo". Sul sito Pasqualegallo.net è possibile leggere un interessante editoriale: "Ho scritto una serie di riflessioni che vorrei condividere con tutti, soprattutto con chi è al potere di un calcio sempre più malato. Ho inteso manifestare il mio affetto alle famiglie delle vittime, non è certo retorica dire che sono tutti diventati nostri fratelli. Quel giorno dovevo essere in curva anche io e mi ritrovai casualmente in tribuna; con la mia cinepresa realizzai un filmato inedito che quest’oggi è andato in onda su Telecolore, con immagini che colpiscono ed emozionano soprattutto coloro che erano allo stadio e che hanno visto la morte a due passi". Pasquale Gallo si dice pronto ad organizzare qualsivoglia manifestazione atta ad onorare la memoria di tutti coloro che sono morti durante un evento sportivo, ma lancia un messaggio: "Il primo morto in uno stadio, nella storia, si è avuto proprio a Salerno con la scomparsa di Plaitano. Da persona sensibile a certe tematiche, sono pronto a sposare qualunque iniziativa volta a ricordare chi purtroppo non c’è più, ma ci tengo a sottolineare una cosa: basta demagogia da parte dei politici e di coloro che seguono le loro parole, condite da falsi moralismi e promesse a vuoto. Ogni volta che muore qualcuno, siamo costretti ad ascoltare frasi tipo "Speriamo che sia l’ultima volta che accadono cose del genere e che questi avvenimenti possano essere da insegnamento per il futuro": assurdo ! Questi signori si chiedano concretamente cosa hanno fatto per migliorare un sistema malato: pensano forse di risolvere tutti i problemi anticipando le gare alle 12:30 per motivi di ordine pubblico ? Come se i delinquenti avessero un orario !". Gallo estende il suo "sfogo" ad argomenti di stretta attualità: "Il calcio è malato, dai livelli più bassi fino alla FIGC ed al CONI. Nell’era Calciopoli ho dovuto sopportare cose inenarrabili pur non avendo fatto niente, a settembre pubblicherò un libro intitolato "Io e la Juve, storia di un grande amore" che ripercorrerà le tappe più importanti della storia della Vecchia Signora del calcio italiano e tutte le ingiustizie che comportarono la retrocessione in serie B. Coloro che governano questo sport sempre meno credibile mi devono spiegare dov’è la moralità e dov’è il rispetto delle regole ! Sta andando tutto a rotoli, c’è bisogno di una totale riorganizzazione a tutti i livelli". Gallo si esprime anche sul recente caso denominato "Dirty Soccer" e sulla campagna mediatica contro la Salernitana: "Preferisco non parlare di cose che non conosco, ma è chiaro che i granata hanno vinto sul campo e sudando ogni singolo punto partita dopo partita. Non mi preoccuperei di questo, quanto di chi è ai vertici del calcio ed è riuscito a rompere il giocattolo". Infine sulla promozione in B della Salernitana: "Personalmente ne ho vissute tante. Negli anni ’60 era la Salernitana a mio avviso più forte in assoluto, con tanti fuoriclasse capeggiati da quel fenomeno chiamato Pierino Prati. Abbiamo vinto anche nel 1990, successivamente con Delio Rossi ed Antonio Lombardi. Ovviamente sono felicissimo, ma mi sono limitato ad un semplice brindisi: da tifoso ed amante dello sport pulito, auspico che una piazza del genere possa presto approdare nella massima categoria del calcio italiano".

29 maggio 2015

Fonte: Granatissimi.com

A-Z


RICCARDO GAMBELLI

Magico, tragico Heysel

"Andiamo a Bruxelles ?". Eravamo sdraiati sul tappeto della cameretta di Antonello Perrella, detto Lello; sfogliavamo la sua fornita collezione di giornalini "al peperoncino". Con noi c’era Andrea. Così, un po’per caso, un po’ per scommessa, decidemmo di andare incontro all’avventura più rischiosa e dolorosa della nostra vita. Il 28 maggio 1985, partimmo proprio da Uopini verso la trasferta più triste della storia. "Stai attento, non mi piacciono gli inglesi". Fu la raccomandazione di babbo Enea. "Tranquillo, ci sarà il gemellaggio tra tifoserie nella Gran Place", risposi. Erano le 19 di pomeriggio quando la Golf di Andrea ci avrebbe spalancato le portiere, prima di prendere la direzione verso Bruxelles. Eravamo felici, tanto da mettere esposto al finestrino posteriore un fazzoletto bianconero. Gli autisti d’altre vetture, notandolo, ci salutavano suonando il clacson. Per i miei due compagni si trattava della loro prima finale da spettatori, per me la seconda. L’anno precedente mi ero recato con Fede Roscia e Pasierino a Basilea, dove la Juve avrebbe riposto nella sua sterile bacheca la prima Coppa delle Coppe. Eravamo partiti il giorno stesso con l’Austin Metro appena uscita dalla concessionaria di Fede, diretti in uno stadio che a fatica riusciva a contenerci tutti quanti. Uno stadio adatto per la serie C italiana. A ogni modo, a noi interessava la vittoria, che arrivò puntuale e sofferta grazie alle reti di Vignola e di Boniek, ancora una volta "bello di notte". Viaggiammo tutta la notte attraversando Svizzera, Germania e Lussemburgo, alternandoci alla guida. Facemmo ingresso a Bruxelles alle prime luci del mattino. Dopo aver prenotato una camera d’albergo, ci recammo immediatamente verso l’agenzia di viaggi che teneva in consegna i nostri biglietti. Era la stessa agenzia che aveva rifornito lo "Juventus Club Siena Ghibellina" dei tagliandi d’ingresso. La mattina stessa della nostra partenza un autobus, colmo di tifosi senesi, ci aveva anticipato, percorrendo la strada che conduceva verso "la partita della morte". C’eravamo dati appuntamento nella Grand Place per l’ora di pranzo del giorno 29. Entrammo nell’agenzia del centro di Bruxelles e un signore ci consegnò le tre curve che avremmo pagato come una tribuna centrale. "Curva zeta", riportava quel sinistro biglietto. Il nome di quella curva sarebbe entrato, quella notte, nei libri di storia contemporanea. Tornammo in albergo, cercando di riposare inutilmente. Uscimmo di nuovo per visitare la città e incontrare i senesi. Dall’albergo ci saremmo ripassati solo in piena notte, per recuperare gli oggetti personali e fuggire velocemente. Nella Grand Place era presente il mondo intero: italiani e inglesi che si facevano fotografare insieme mentre scolavano birre, famiglie con bambini, turisti occasionali, cittadini di Bruxelles che uscivano dal proprio lavoro e anche i nostri cari amici senesi. Riprovai la stessa sensazione di sempre. Incontrare un tuo concittadino all’estero è sempre una grande emozione. Mi è capitato in quasi tutti i miei viaggi, anche quella volta a San Francisco, quando, girando l’angolo di una strada centrale della città dei trichechi, andai a urtare Massimo Bianchini, noto professionista senese. Non era finita. La sera stessa, in un ristorante (a San Francisco saranno presenti diecimila locali), il mio amico Nando fu il primo ad accorgersi della presenza di Massimo. Credo si tratti di un record: incontrare la stessa persona due volte in un giorno dalla parte opposta del globo. Aldone Brocchi era il capogruppo di una gita composta anche da famiglie che avevano deciso di trascorrere tre giorni di svago con la loro squadra del cuore. Lo scorsi io stesso, chiamandolo a gran voce. Ci abbracciammo come se non ci vedessimo da tempo infinito. Telefonai a casa, rassicurando i miei che inglesi e italiani stavano fraternizzando e che non correvamo alcun pericolo. Ci aggregammo al Club attendendo con ansia l’ora della verità. La Coppa dei Campioni mancava nella Eravamo veramente quelli seduti più vicino alle "belve". Ammiravamo il verdissimo bacheca della nostra società che in Italia stava spopolando. Dovevamo sopportare, da anni, le conseguenti allusioni di tutti gli anti juventini, sostenenti che le continue vittorie italiane erano frutto di nuovissime Fiat donate alla classe arbitrale. "Si tratta di sudditanza psicologica", affermò un giorno l’Avvocato. Una frase ricorrente sino ai nostri giorni. Le sue frasi erano sempre sentenze definitive. Seguimmo l’autobus sino allo stadio. Ancora tre ore e la partita avrebbe avuto inizio. Dopo aver posteggiato, ci avviammo verso lo stadio Heysel tutti insieme, socializzando, addirittura, con i tifosi d’oltremanica. Non potemmo fare a meno di ammirare il gigantesco modello molecolare dal nome "Atomium", simbolo di Bruxelles, situato in prossimità dello stadio. Nel piazzale adiacente notammo gli hooligans che stavano arrivando con numerose casse di birra, entrando addirittura sugli spalti senza che le forze dell’ordine si assumessero l’iniziativa di sequestrarle. Quelle bottiglie si sarebbero rivelate pericolose armi da guerriglia. Finalmente facemmo il nostro ingresso nella "curva zeta" da un piccolo cancello che sarebbe stato poche ore dopo l’unica e improbabile via di salvezza per i tifosi bianconeri. La curva era gremita e ci accomodammo vicinissimi agli hooligans. Solo una piccola rete "da pollaio", costruita nei giorni precedenti, ci divideva da un oceano di cappellini rossi. manto erboso che, poche ore dopo, sarebbe stato calpestato da Scirea e compagni. Ho potuto ascoltare tante interviste di uomini di calcio e leggere su centinaia di pagine di giornali e riviste quello che accadde in quelle maledette ore: posso assicurare che la vera realtà dei fatti è sempre stata travisata ! La Rai, addirittura, lo scorso inverno ha ripercorso con uno "speciale" quella tragica notte due superstiti come noi della "curva zeta" hanno raccontato di un agguato improvviso e senza motivo degli hooligans contro gli juventini. Falso. La verità assoluta è quella che qui vi narrerò, conosciuta solo da chi poteva trovarsi a contatto di gomito con i tifosi del Liverpool. Tutto andò tranquillamente fino a quando, proprio sotto di noi, un gruppetto di juventini e di inglesi, complessivamente una decina di persone, non iniziarono a scambiarsi insulti e minacce. A un tratto vedemmo tre "geniali" bianconeri scavalcare la rete di recinzione e portar via agli inglesi un loro striscione. Il cimelio fu trasportato nella parte spettante a noi italiani dove fu bruciato in modo molto vile. Quello fu il primo atto della tragedia che si sarebbe presentata agli occhi sbigottiti del mondo intero. Alcuni inglesi saltarono la rete dando inizio a un tafferuglio. Speravamo che tutto si risolvesse con qualche "scapaccione" ai tre italiani che avevano sottratto lo striscione, invece furono sparati i primi razzi in cielo e purtroppo anche verso di noi ad alzo zero. Molti hooligans presero di mira la rete in miniatura, che ci avrebbe dovuto dividere, scuotendola per cercare di abbatterla. Mi rivolsi a Lello e Andrea: "Ragazzi, qui finisce male, filiamo". Lello, in un primo momento, non era favorevole a una fuga, ma, quando fu cosciente che la situazione sarebbe degenerata, decise di seguirmi verso il cancello dal quale eravamo entrati, l’unico a nostra disposizione per uscire dallo stadio. Ma lo trovammo intasato da persone che cercavano di entrare e uscire contemporaneamente. Niente da fare: impossibile poter andare avanti. Vidi il muro. Quel muro sarebbe stato il protagonista di tutti i telegiornali delle reti televisive del pianeta. Ci facemmo largo, con molta fatica, tra gli spettatori non ancora consapevoli di quello che sarebbe potuto accadere. Per quanto mi riguardava, mi era stato di grande aiuto il mio istinto, che mi ha sempre messo in guardia durante tutta la mia vita. Finalmente potei toccare il muro, mi voltai e vidi i miei due amici dietro di me. Prima di salire su quel fatiscente agglomerato di cemento sono sicuro che gridai: "Saliamo, ragazzi". Non era ancora iniziato il caos di morte e potei arrampicarmi con tutta calma nel punto più basso del muro. Quando fui sopra mi accorsi che gli hooligans erano riusciti ad abbattere la rete e stavano caricando i nostri connazionali che non opponevano la minima resistenza. Contro quella mandria di tori inferociti l’unica possibilità sarebbe stata la fuga, ma l’uscita principale si trovava intasata da centinaia di persone che cercavano di superare quel cancelletto, che, a stento, poteva far passare un cristiano alla volta. Il problema fu che "the animals" (termine che usò la stampa inglese), si trovarono di fronte per lo più i tifosi della domenica: famiglie con figli, pensionati, ragazzi e ragazze che non reagirono perché pietrificati dal terrore. La realtà sarebbe stata sostanzialmente diversa se nella "curva zeta" fossero stati presenti quei tifosi che invece si trovavano stipati nella curva opposta. Ricordo perfettamente e distintamente che mi trovavo in piedi su quel muro, cercando il punto più agevole per calarmi. Mi lasciai scivolare, avendo a disposizione tutto il tempo per poterlo fare. Un minuto dopo non sarebbe stato possibile: era iniziata la compressione di migliaia di persone su quella vecchia struttura che si opponeva, creando morte e terrore. Mi calai, un salto di circa due metri. Alzai la testa, convinto che i miei due amici stessero facendo altrettanto. Nessuna traccia di loro, mi arrivava addosso tanta gente in tutte le posizioni, di schiena, di testa, di piede: aveva avuto inizio una tragedia senza fine. Lello e Andrea rimasero, purtroppo per loro, imprigionati tra centinaia di corpi che si pigiavano tra loro. Sarebbero venuti fuori da quel caos solo quando la rete che delimitava il campo di gioco non fosse caduta. Io, calandomi dal muro, atterrai sul tartan della pista d’atletica. Mi ritrovai dietro la porta di gioco a fare da spettatore passivo alla tragedia che l’atroce realtà mi stava proponendo. Solo due poliziotti, impauriti quanto il sottoscritto, si trovavano in quel momento all’interno dello stadio: fu uno scandalo senza precedenti. La scena fu interminabile. Potei vedere, chiaramente, i tifosi inglesi armati di tutto: colli di bottiglie, manici di bandiere e persino pezzi di gradoni dello stadio. Chi stava subendo erano onesti lavoratori, padri di famiglia, pensionati, ragazzini teneri con la sciarpa bianconera al collo, ragazze piangenti e mamme urlanti in cerca del proprio figlio. Giuro che se mi avessero consegnato un mitra, avrei sparato all’impazzata su quegli assassini. Non ho nessuna vergogna ad ammetterlo. Avrò negli occhi per sempre lo sfregio di quella curva, piena di scarpe, stracci, camicette imbrattate di sangue, giornali, indumenti, calze. In un attimo capii che lo stadio Heysel non avrebbe dovuto essere teatro di quella finale, non era uno stadio attrezzato per ospitare tifoserie come quelle presenti su quei gradoni malridotti. L’angoscia non mi mollava: non sapevo dove fossero i miei due amici. Camminavo avanti e indietro sul campo di gioco, mentre il film andato in onda sugli spalti della "zeta" era cessato. Gli hooligans stavano intonando il canto di vittoria occupando tutta la curva. Continuavo a sognare il mitra. Stefano Manenti, amico di Uopini, con Cinzia, la sua fidanzata, furono le prime due persone che incontrai. Si tenevano abbracciati e piangevano come bambini. Stefano era scalzo: rimase a piedi nudi tutta la notte. Cinzia era piena di graffi e non smetteva di urlare: "C’è gente morta, ho visto !!", gridava disperata. Io avevo percepito che qualcuno non fosse riuscito a uscire vivo dall’inferno, ma non potevo immaginare che le vittime sarebbero arrivate a trentanove. Furono avvolte da lenzuoli quelle povere salme, distese fuori dello stadio e protette da un nugolo di poliziotti arrivati quando i "buoi erano fuggiti dalle stalle". Continuo a ringraziare il Signore per avermi risparmiato quello spettacolo straziante. I "numerosi" poliziotti presenti che si erano precipitati, anche a cavallo, ci fecero accomodare tutti in tribuna numerata. In quel momento sul terreno di gioco era presente il corpo di polizia dell’intero Belgio. I tifosi bianconeri della curva opposta erano incontrollabili, anche se non avevano ancora percepito la gravità della situazione. A un tratto, in tribuna apparve Andrea e ci abbracciammo come reduci del Vietnam: "Dov’è Antonello ?", continuava a chiedermi. Non potevo rispondergli. Ci condussero all’interno della tribuna Numerata dove Aldo Brocchi, completamente a torso nudo, voleva sfondare una porta. Non riuscivo a comprendere il motivo di quella pazza azione: "Aldo, ma che stai facendo, calmati!", prendendolo per un braccio. "Sono tutti dentro quella stanza, c’è De Michelis, Boniperti, un sacco di gente, li rompo tutti !!!", gridava Aldo, un toro impazzito. Effettivamente erano tutti dentro a quel salone per una riunione urgente con il capo della Polizia di Bruxelles, personaggi dell’Uefa e Fifa: stavano valutando se fosse il caso di disputare lo stesso la gara. Ci riportarono tutti sulle poltroncine della tribuna che in quel momento era super affollata. Andrea mi pose il problema dell’apprensione e angoscia che i nostri cari, a Siena, avrebbero potuto vivere in quei momenti. Non dimenticherò Pier Cesare Baretti, presidente della Fiorentina, quando condusse Andrea nuovamente all’interno della tribuna per telefonare ai suoi genitori. Per la cronaca, Baretti sarebbe deceduto pochi mesi dopo a causa di un incidente verificatosi con l’aereo personale. Lo vidi tornare, sollevato: "Ho telefonato. Ho detto che siamo salvi. Mio babbo telefonerà al tuo. In Italia, parlano di ottanta morti", mi disse Andrea. In effetti, rivisitando la videocassetta molte volte, Pizzul aveva annunciato circa ottanta morti, in un primo momento. Passarono le ore senza sapere che cosa sarebbe accaduto. Non ricordo chi ci confermò che Lello si trovava seduto sull’autobus del Club senese. Esultammo felici, anche Lello era vivo ! Parlavamo di morte e di vita come se fossimo in guerra, tutto ciò era irreale. Vedemmo i giocatori italiani dirigersi verso la curva bianconera per cercare di tranquillizzare i tifosi, che ormai erano al corrente della carneficina avvenuta. Non riuscivano a domarli, cercavano vendetta ! Scirea e il capitano inglese Neal, dalla cabina di regia, grazie a un microfono annunciarono che la partita avrebbe avuto regolare svolgimento. Baretti ci confermò che le due società e le forze di polizia avevano deciso di far giocare il match per evitare ulteriori incidenti. La partita ebbe inizio. Fu un incontro di calcio vero, bello tatticamente e come livello agonistico, ma i miei occhi e il mio cuore erano rimasti su quella curva dove avevo visto bambini e mamme piangere disperate. Segnò Platini su calcio di rigore. Un rigore inesistente su Boniek, atterrato due metri fuori dall’area. "Quando le undici di sera erano passate da un pezzo e stava facendosi più aguzzo il buio della notte, era quella un’ora inusuale per battere un calcio di rigore che con tutta probabilità avrebbe consacrato la squadra campione d’Europa. A quell’ora le partite, che abitualmente iniziano alle otto e trenta, sono già finite. Eppure le undici di sera erano passate da un pezzo quando Platini, quella sua maglietta eternamente calata fuori dai pantaloncini, avviò la rincorsa a trovare e colpire il pallone che sostava sul dischetto, e mentre nello stadio belga dell’Heysel non si udiva il bisbiglio di una mosca", scrisse Giampiero Mughini, sul suo libro dedicato alla squadra del cuore, la Juve. Effettivamente era tardissimo e faceva freddo. Il vento che aveva portato morte e strazio continuava a soffiare, spietatamente.

I giocatori fecero il giro d’onore con la Coppa mentre furono fatti uscire i tifosi italiani. Dopo molte ore sarebbe stato il turno degli "animals" a essere scortati all’esterno. Nonostante fossero state organizzate dalle forze dell’ordine delle uscite programmate, ci confermavano di scontri pesanti all’esterno dello stadio e vetture italiane incendiate. Recuperammo Lello e, dopo un lungo abbraccio, salutammo i senesi avviandoci verso l’auto sperando di ritrovarla intatta. Al rientro, a Siena, saremmo venuti a conoscenza che due nostri concittadini avevano dovuto ricorrere agli ospedali della città belga, dove furono trattenuti per giorni. Salimmo in auto e fuggimmo dopo essere ripassati dal nostro hotel per il recupero degli oggetti personali. Lello mi ha ricordato, in questi giorni, che mentre uscivamo da Bruxelles, con Andrea alla guida, un hooligan ci attraversò la strada, lentamente, con una bandiera in mano. Sembra che io abbia gridato: "Investilo !!!". Non ricordo la scena, ricordo solo l’odio immenso che nutrivo in quelle ore per quei mostri che avevamo incontrato in una giornata di felicità, una giornata di sport. Nei giorni seguenti iniziarono i commenti dei perbenisti anti juventini, criticando il comportamento della società che io ritenni, al contrario, civile, umano e sportivo. Ricordo i giocatori che, rischiando d’essere soffocati, andarono a placare i tifosi assiepati nella curva opposta a quella della morte, affinché non si lanciassero a ingigantire le proporzioni del disastro. Quegli stessi giocatori, con la morte nel cuore, accettarono di giocare affinché la tregua della partita consentisse i salvataggi e bloccasse la violenza. Ho ancora davanti agli occhi l’incredibile serenità con cui quei giocatori si batterono, consci che lottavano per uomini e donne che non c’erano più, che avevano sacrificato il bene supremo della vita per seguirli nella speranza di vederli vincere. La Juve vinse e il fatto che, su suggerimento degli organizzatori, arrivò per un momento a mostrare la coppa alla sua gente, fu malevolmente additato come gran prova d’insensibilità. Fu addirittura perentoriamente invitata a restituirla, quella coppa. È vero, fu macchiata di sangue innocente, ma la Juve, che la rincorreva da ventisette anni, la vinse a testa alta e prima di superare i grandi avversari del Liverpool vinse l’orrore per la tragedia che si era consumata sotto i suoi occhi. Poco importò che il rigore su Boniek fosse un regalo dell’arbitro, quel rigore fu la vendetta di chi era presente in quella lurida curva, il frutto di una vittoria meritata, fu il mio "mitra". Nei giorni successivi giurai di non entrare mai più in uno stadio per il resto della mia vita. "La tragedia e la morte non sono sufficienti a tenere lontano dal gioco gli uomini della tribù del calcio", scriveva Desmond Morris, filosofo inglese, studioso dei costumi. È quello che accadde a me quando, tre mesi dopo esatti, in agosto, la Juve giocò la prima di Coppa Italia a Perugia. Era la nuova Juve di Manfredonia, Laudrup, Serena e Mauro, quella che avrebbe conquistato a Tokio la Coppa Intercontinentale. Decisi d’essere presente allo Stadio Curi, dove la vista di quei cappellini rossi dei tifosi del grifone mi fecero tornare indietro di pochi giorni, ricordandomi "the animals" che caricavano assetati di sangue innocente. Durante il ritorno, verso Passignano sul Trasimeno, fui superato da un’auto carica di ragazzi. Dal finestrino posteriore sventolava gioiosamente un foulard juventino. Ricordai immediatamente il nostro fazzoletto bianconero che, il 28 maggio 1985, stava facendo altrettanto. Rividi anche Lello, mentre rispondeva felice al saluto delle altre autovetture, gridando: "Torneremo Campioni d’Europa".

31 agosto 2007

Fonte: Dal libro "Coriandoli Bianconeri" di Riccardo Gambelli - Pascal Editrice - 2007

NDR: Ringrazio vivamente la Pascal Editrice per la cortese concessione del capitolo

29 maggio 2022

Fonte: Comitato Heysel Reggio Emilia

A-Z


CLAUDIO GARELLI

Il buschese Claudio Garelli ricorda la strage dell’Heysel:

"35 anni fa ho visto la morte in faccia"

di Roberta Bima

Se lo ricorda bene l'imprenditore buschese, tifoso juventino quel 29 maggio 1985, lui era in quello stadio: "Andato per assistere ad uno spettacolo sportivo per eccellenza, mi sono ritrovato dentro l’inferno".

La strage dell’Heysel fu una tragedia avvenuta poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. Se lo ricorda bene l’imprenditore buschese, tifoso juventino, Claudio Garelli. Quel 29 maggio 1985 lui era in quello stadio: "Andato per assistere ad uno spettacolo sportivo per eccellenza, mi sono ritrovato dentro l’inferno" ci racconta. Tifoserie di Juve e Liverpool posizionate nella stessa zona dello stadio separate solamente da una rete che si utilizza per delimitare gli orti e da lì a poco fu la catastrofe. I ricordi sono ben impressi e nitidi nella sua memoria: "Alle ore 19.30 in campo esibizione di squadre di ragazzini, sugli spalti rovinati dal tempo si intravedevano i primi segnali di intimidazione da parte degli hooligans con lanci di pezzi di intonaco, calcinacci dei gradini del vecchio stadio. Poco dopo i primi lanci di razzi ad altezza d’uomo, contemporaneamente i primi brutti pensieri incominciarono ad affiorare nella mia mente". Ripercorre quegli attimi minuto per minuto. "Alle 20 le prime invasioni da parte di hooligans solitari, ricondotti dai pochissimi poliziotti presenti all’interno del loro settore. Nel giro di cinque minuti invasioni sempre più numerose da parte dei "barbari" inglesi con aggressioni fisiche con colli di bottiglie e pezzi vetro ai primi malcapitati tifosi italiani. Il panico invase il settore Z, quello dove eravamo noi italiani, e tutti si ammassarono nei punti estremi a quelli dei contatti con gli invasori. Ci accalcammo tutti in una morsa umana incontenibile, un’onda fortissima e molti di noi non riuscirono a reggere, alcuni presi da crisi di panico, altri da stress da compressione altri feriti dalle colluttazioni con gli esagitati, bestiali tifosi anglosassoni". Fu il caos, la strage. "Non potrò mai scordare quelli che erano intorno a me che di punto in bianco, supplicando aiuto, senza più un filo di forza, sparirono sotto i nostri piedi - continua Claudio - In quei momenti di concitazione e di estrema concentrazione per cercare di resistere, ricordo di aver pensato che era giunto il mio momento ma che era arrivato troppo presto, a 23 anni non si può morire così e che avrei voluto fare molte cose ancora nella vita. Fortunatamente, mentre ero in questo stato di trans, un muro dello stadio crollò e questo ci permise di allentare leggermente la stretta che ci teneva incollati gli uni agli altri e riuscimmo a respirare. Capii che, anche quella volta, sarei riuscito a portare a casa la pelle". Questa esperienza cambiò profondamente Claudio Garelli che ancora ora, dopo tanti anni, quando pensa a quei momenti pensa di aver visto la morte in faccia di averci anche parlato. Conclude Garelli: "Ora, mi piacerebbe che quei tifosi morti per sbaglio 35 anni fa venissero ricordati e non dimenticati e questa storia insegnasse alle giovani leve che è bello divertirsi e farlo con tanti amici ma che non si deve mai andare oltre un certo limite e che non si deve mai perdere di vista quello che è il rispetto verso il prossimo sia esso un conoscente o un avversario".

29 maggio 2020

Fonte: Cuneo24.it (Testo © Fotografia)

A-Z

GIUSEPPE GENESIO

La strage dell’Heysel vissuta da un melitese

di Ivano Verduci

Il 29 Maggio 2020 è ricorso il 35° anniversario della tristissima pagina di storia sportiva (che di sport ha poco) conosciuta come la "strage dell’Heysel" in cui ben 39 persone morirono e più di 600 rimasero ferite. Era la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus di Boniek e Platini e il Liverpool. Siamo riusciti a carpire la "storia di un pezzo di vita vissuta" da Peppe Genesio, melitese di nascita, emigrato a Rescaldina in prov. di Milano assieme alla famiglia quando aveva 10 anni. Lui è sempre rimasto con Melito Porto Salvo nel cuore e nell’anima ritornando al paese ogni anno per la festa e per le vacanze estive.

IL RACCONTO - Io ricordo quel giorno che vissi come tutti gli Italiani non staccando gli occhi dalla tv di Stato ed il seguente dalle pagine dei giornali. Su un quotidiano mi colpì una foto in cui riconobbi lui, Peppe Genesio, in quel disgraziato muro della Curva Z. Mi feci raccontare tutto in seguito e voglio condividere con i lettori questo mio scritto. Genesio faceva parte del fans club della Juventus di Legnano (MI) e partì assieme alla cognata, al suo fidanzato e ad altri 50 con il Bus organizzato appunto da questa associazione di tifosi. La partenza la descrive come una delle più affascinanti, l’adrenalina per l’evento, la gioia di condividere un giorno importante con la propria squadra del cuore ed anche la possibilità di visitare una città come Bruxelles in cui non c’era mai stato. Lui si è fatto e continua a farsi sempre apprezzare per la collaborazione in diverse associazioni di volontariato del milanese. Oltre ad essere un grande organizzatore di eventi enogastronomici in cui predilige associare pietanze lombarde e far conoscere quelle melitesi. Quindi non poté mancare la nomina anche per quel viaggio alla cura del companatico. Il panino lo "rimpingua Peppe il melitoto" dicevano a tutti gli organizzatori e lui non fece mancare le scorte dei capicolli che si era fatto inviare dai parenti di giù qualche settimana prima. Arrivati la mattina presto in Belgio, si diedero tutti appuntamento allo stadio nel primo pomeriggio e "visita libera alla città". Peppe assieme ai cognati ed altri amici cominciarono la visita alla capitale in un clima di civiltà che non faceva presagire ciò che poi si sarebbe verificato. Infatti nel suo archivio ci sono foto di scambi di gagliardetti e sciarpe anche con gli inglesi. Era felicissimo di quel momento. Nel primo pomeriggio si avviarono verso lo stadio e lì l’amara sorpresa. "L’impianto destò in me una bruttissima impressione, sembrava più un campo di periferia che altro". I biglietti che il gruppo si era procurato erano per il settore Z. Il tempo di capire dove era l’ingresso e via cominciò ad incamminarsi. DAVANTI ALLO STADIO PRIMA DELLA STRAGE DELL’HEYSEL - "Chiedemmo informazioni e ci dissero eccolo l’ingresso. Non ti dico che sensazione di disagio ebbi. La porta di accesso era strettissima ed il famoso settore "Z" in cui si sistemarono famiglie con bambini e club di tifosi della Juve lo battezzai subito "sittamundi ndi stu iaddinaru". Dopo meno di un’ora cominciai a vedere che vicino a noi, divisi soltanto da una misera rete per giardinaggio, stavano entrando i famigerati hooligans inglesi. Qualche poliziotto a ridosso di questa recinzione e nulla più. Appena scesero in campo le squadre per il riscaldamento cominciarono le prime avvisaglie. I tifosi (Tifosi?) inglesi, ormai quasi tutti sbronzi, a ridosso del nostro settore cominciarono a lanciare verso di noi bottiglie di birra vuote miste a pietre che era facile procurarsi in quanto, incredibilmente, a portata di mano nel loro settore. Cominciai a provare una sensazione di smarrimento che mai fino ad allora avevo provato, nonostante avessi frequentato spesso gli stadi in quegli anni. Mi chiedevo: ma è una finale di Coppa Campioni o la partita di Prima Categoria ? Poi arrivò il panico più totale quando vidi quei pochi poliziotti indietreggiare. In un battibaleno mi ritrovai schiacciato verso il "famoso e maledetto" muro dell’Heysel. E sotto di me si trovavano i miei cognati che cercavo di tenere con la testa in su per farli respirare. Non so come mi ritrovai sul terreno di gioco. Ma non potevo scappare, dovevo recuperare i miei parenti e grazie a Dio lo feci. L’unico mio pensiero era da quel momento in poi scappare da quell’inferno perché pensavamo che da lì a breve sarebbe successa una guerra. Io assieme ad Emma ed Enzo ed un gruppo del Club ci accorgemmo che avevano aperto i cancelli e riuscimmo ad uscire e finalmente, nel frattempo, arrivò la polizia a cavallo". STRAGE DELL’HEYSEL: L’INCUBO CONTINUA – "Appena fuori dallo stadio, pensammo di andare immediatamente in stazione per prendere un treno e andare via dalla città il più presto possibile o a rifugiarci in qualche hotel. Non dimenticherò mai che nessun taxi volle fermarsi e nessun belga nelle vicinanze ci aprì anche solo per fare una telefonata. Attimi di terrore e di assoluto panico che porterò come ferita nel cuore. Ore di apprensione che mi sembrarono secoli (piange). Ritornati psicologicamente in noi saggiamente tornammo al parcheggio dove avevamo lasciato il bus in mattinata. Intanto in città era ritornata in qualche modo, se così possiamo chiamarla, la legge. Saliti sul bus l’organizzatore cominciò a fare l’appello. Del gruppo mancava una persona. Scendemmo e a scaglioni cominciammo a girare per i vari ospedali e gendarmerie per chiedere informazioni. Ripeto non avevamo i telefonini. Si scoprì che oltre a qualche associato ricoverato in ospedale non tornò a casa neanche il Sig. Venturin. Era morto per una partita di calcio, lui ed altre 38 persone". LA PARTENZA VERSO CASA – "Con la strage dell’Heysel alle spalle, e con la morte nel cuore, l’unica cosa da fare era cercare di ripartire. Ripartimmo verso le 5 di mattina, all’alba del giorno dopo con la morte nel cuore. Il viaggio è ancora oggi per me il più brutto della mia vita ed il più silenzioso. Nessuno aveva voglia di raccontare, tutti eravamo sotto shock. Riuscimmo a telefonare da un’area di servizio in Lussemburgo. I nostri parenti in Italia vissero la nottata in bianco, già organizzati per venire in Belgio a capire cosa ci fosse successo. Appena entrati in Italia fummo assaliti, se così si può dire, da migliaia di giornalisti. Pochi, però, avevano voglia di parlare e vidi la mia foto sul giornale. Piansi ed ancora oggi lo faccio. Avevo convinto io i miei cognati a venire in quel disastro e meno male sono riuscito a riportarli a casa. In caso contrario non credo me lo sarei mai più perdonato. Per almeno un anno ogni notte mi svegliavo con gli incubi e quel grido "Liverpool, Liverpool" in testa. Ancora oggi mi capita ogni tanto, anche a distanza di 35 anni. Una giornata che non doveva finire così e che mi fece capire che l’uomo non sempre è migliore delle bestie".

31 maggio 2020

Fonte: Ntacalabria.it

A-Z

CARLA GONNELLI

"Il cuore è bianconero"

La testimonianza di Carla Gonnelli, ferita gravemente all'Heysel con il padre Giancarlo, una delle 39 vittime.

Prima di tutto vorrei ringraziare tutti coloro che su questo forum hanno dedicato almeno un momento della loro vita a coloro che in vita non ci sono più. Io ci sono perché un angelo inglese mi ha dato "un alito di vita" nel vero senso della parola mentre altri demoni l'hanno tolta a mio padre e ad altri 38 esseri umani... Perché di questi fondamentalmente si trattava... Esseri umani... Al di là delle tifoserie. Quella finale era il regalo per il mio 18° compleanno ed il "battesimo dell'aria" per me e mio padre, ma quella sera nessuno dei due è tornato a casa, da mia madre. Quello che è accaduto lo sapete tutti... Forse lo sapete meglio di me che fino ad un momento ben preciso ero seduta su quei maledetti gradini scalcinati di uno stadio (?) accanto a mio padre e con altri amici e un momento dopo ero ad un passo dalla morte... Adesso mi fermo per un momento e se qualcuno vuole saperne di più, sono qua. Poi andrò avanti, altrimenti scrivo un libro ! (omissis) Mio padre è Giancarlo Gonnelli. Ti posso assicurare che in quel settore eravamo tutti tranquilli, famiglie e ragazzi giovani... Abbiamo fatto la coda tra le transenne per ritrovarci in un "pollaio" con semplici reti "da polli" a dividerci da quelli là... Quando siamo entrati ci guardavano come gli schiavi che entravano nel Colosseo in attesa di essere massacrati... Mi vennero i brividi ma era la prima volta che entravo in uno stadio e non sapevo che atmosfera avrei trovato. Sicuramente non ero a mio agio, ma ero con babbo e nulla sarebbe potuto accadere. Ci sedemmo su quegli spalti (non saprei che termine dispregiativo potrei utilizzare e quindi lasciamo così) tutti rotti, i cordoli di cemento che si spezzavano con la pressione di un dito (e che sono diventati oggetto di lancio nei nostri confronti... Senza offesa per nessuno, ma i campetti cittadini dove giocano i ragazzi sono un fiore rispetto a quello !) Ricordo che dissi a mio padre di sedersi più lontano possibile dalla ridicola rete che ci separava da quelli. Avevo seguito qualche finale in tv e mi resi conto che di polizia non c'era neanche l'ombra e mi chiesi se fosse al riparo da qualche parte o cosa... Forse sarebbero comparsi con l'inizio della partita… La verità è che non c'erano proprio... Forse solo 6 in tutto lo stadio ! Guardai l'uscita come certe volte capita entrando in un luogo chiuso (es. un cinema) come per essere pronta a sapere dove dovevo andare... Probabilmente ero spaventata più di quanto non trasparisse. Avevo proprio idea di essere una gallina in un pollaio, ma piccolo però e le volpi erano già assetate di sangue e non di altro perché di birra e alcool era già pieni ! Ricordo che quando eravamo in fila per entrare notai (purtroppo con ilarità) passare dei reds con cassette piene di bottiglie di birra ed entrare tranquillamente. Qualcuna di quelle, rotta, è servita per sgozzare un loro simile... Un essere umano... (N.d.R. Carla probabilmente fa riferimento all’italiano Mario Ronchi, ma dalle autopsie frettolose e sommarie dei medici militari belgi non risultano ufficialmente cause di morte per taglio di lame o altro). Certo, la maggior parte se ne è andata così ma su alcuni corpi sono state riscontrate altri tipi di ferite. E' brutto a dirsi, ma loro quando ci hanno aggrediti lo hanno fatto con intenzione di farci male ! Ad Arezzo è morto un giovane dottore che stava prestando soccorso ai feriti e che è rimasto ucciso da una seconda ondata di assalto ! Se non ci fosse stata intenzionalità, una volta innescato il meccanismo della paura, del terrore e della fuga ci avrebbero lasciati stare, ma non è andata così ! Una volta divelta la rete si sono scagliati su di noi con cattiveria... Ricorda che la maggior parte erano ubriachi e quindi trai le conclusioni... Mio padre, mi ha raccontato il cugino che ha fatto il riconoscimento prima dell'autopsia, aveva degli strani segni intorno al collo, come se qualcuno gli ci avesse messo le mani... Per stringere ? ...Chissà. Loro erano partiti intenzionati ad assalirci e quando si sono accorti che ne avevano piene possibilità perché niente polizia e nessuna barriera hanno iniziato la macabra danza... Quando gli inglesi ci hanno caricato l'istinto è stato quello di fuggire verso le uscite, ma purtroppo ce ne era una sola, in alto e molto piccola… L'altra via di scampo era il prato ma, come ho già detto, quei pochi agenti presenti hanno scambiato il tutto per un'invasione di campo ed hanno fatto di tutto per non far defluire le persone... Sulla destra c'era un muro e sotto mi pare niente ed è chiaro che le persone che sono fuggite verso quel punto sono rimaste schiacciate dalle persone che arrivavano da dietro, rincorse da quelli. Probabilmente Boniperti e gli altri non sono venuti nel nostro settore, ma sono andati in quello dove non era accaduto nulla (dalla parte opposta) perché si erano resi conto che era successo qualcosa di grave. Il fatto che la tribuna abbia ceduto è stata la salvezza di molti e non la causa ! La maggior parte dei morti era alla base del muro della tribuna, schiacciati da quelli che arrivavano da dietro per scappare a quelli che ci assalivano ! Quando alcuni hanno cercato rifugio in campo quei pochi, ma dementi agenti della polizia l'hanno scambiata per una invasione di campo e non li hanno fatti scappare facendo così aumentare la calca di persone... E di morti. Quando il muro ha ceduto è stata una via di uscita... Dalle tue domande mi rendo conto quante cazzate sono state raccontate ! In mezzo a quei demoni c'era anche qualche angelo e grazie a lui sono qua. E' un ragazzo di Liverpool che era andato alla partita con un cugino e che si era ritrovato insieme a quelli...

Quando si è reso conto di cosa era successo si è prodigato per dare una mano e aiutando le persone a terra ha notato un braccio esile che spuntava da sotto ben 8 morti... Avevo una fedina al dito che le ha ricordato sua moglie a casa, in attesa di due gemellini ed ha iniziato a togliermi le persone sopra. Si è accorto che stavo male, ma ero ancora viva e mi ha fatto la respirazione artificiale; grazie a lui, anche se già in coma, sono qua. Non mi ha lasciata un momento fino a che i medici non mi hanno portata via. L'ho conosciuto l'anno seguente perché voleva notizie di me e si è rivolto alla Rai, ad Alberto Castagna. Mi hanno ritrovata e mi hanno raccontato la storia. Siamo rimasti in contatto per un po’ e poi è scomparso e non sono più riuscita ad avere sue notizie. Sono stata tre giorni in coma e quando mi sono risvegliata mi hanno detto di mio padre e, con molta cautela, mi hanno detto quello che era successo... Mi sembrava impossibile, ma appena sono riuscita a camminare (anche se piena di aghi da tutte le parti) ho iniziato a far visita a tutti gli altri feriti e mi sono resa conto... Non è una sensazione che si può descrivere... Non ero ancora fuori pericolo di vita, mio padre era morto e non mi capacitavo della situazione... Volevo sapere a tutti i costi... Il resto è una storia lunga, fatta per lo più di rabbia e delusione. Ho ricevuto, in ospedale, la visita di alcuni giocatori e niente più. A Boniperti davamo fastidio... Lui doveva festeggiare solo la coppa; i morti e i feriti erano (e sono) una palla al piede... Non ci ha aiutato nessuno... Per i familiari delle vittime furono messi a disposizione dalle autorità militari degli aerei, gli stessi con le quali rientrarono le bare. Personalmente sono rientrata in Italia, dopo le dimissioni dall'ospedale e con altri feriti, con un aereo ambulanza della Croce Rossa che però non è atterrato più vicino possibile alle nostre residenze (per me Pisa sarebbe stata vicinissima a casa come altri aeroporti per altri feriti) ma è atterrato a Perugia e poi ogni ferito è stato portato agli Ospedali "competenti" con una ambulanza. Per chi come me sarebbe arrivato in 10 minuti e 20 km di strada invece si è fatto ore e kilometri di strada (per me 200 circa)... Ma eravamo o no feriti + o – gravi ? Comunque non credo che per tutti sia stato uguale e forse qualcuno ha dovuto pagarsi pure il viaggio di rientro... Negli ospedali hanno salvato molte vite, compreso la mia... Hanno fatto l'impossibile dato anche il numero impressionante dei feriti che c'erano ! Però il Belgio avrebbe voluto incassare tanti dindini per le nostre degenze (Vergogna ! Proprio loro !), ma solo grazie ad una convenzione internazionale, almeno io, non ho dato loro niente. Chissà però se tutti erano al corrente di questo. Purtroppo quando accadono queste cose vengono dette tante di quelle cose !! Quello che mi fa più male è che la morte di queste persone, ma anche quella di qualsiasi altro tifoso, ben inteso, non è servita a molto e poi di che ti meravigli se a partire da Boniperti ogni volta che gli veniva chiesto qualcosa ci snobbava o quasi ironizzava ! Si dice che il male non lo si augura neppure agli animali, ma in certi casi... E lo Stato Italiano dov'era ? Pensate che qualcuno ci abbia aiutato ? Gli altri tifosi ? Al passo appenninico del Muraglione ha troneggiato per anni la scritta "39 gobbi di meno" ! Forse è ancora là ! Vergogna è proprio la parola giusta... Personalmente delle ricorrenze non mi importa un granché, perché per noi mancano tutti i giorni e sapere che c'è qualcuno come voi non può che far piacere… Degli inglesi penso che non sono tutti come quelli di quella sera, ma con questo non li giustifico e non li perdono. Non è retorica quando viene detto che allo stadio dovremmo andare per divertirci e passare un pomeriggio di divertimento facendo del sano tifo, ma ormai questa concezione è svanita... E pensare che effetto fa entrare in queste grandi arene stracolme di persone, di colore e di voci... Del tifo organizzato... Se è "sano" ben venga, ma lo è ?

Allo stadio, a veder una vera partita, sono tornata proprio a Torino nell'agosto 2008 a vedere la Juve nei preliminari di Champions... All'inizio sembravo un cane nell'anticamera del veterinario, avete presente ? Ero con mio marito e con Cinzia (omissis) e mentre ci avvicinavamo allo stadio ero quasi in preda al panico, ma mi son ben guardata da farlo notare... Che sofferenza !! In mezzo a tutta quella gente, in fila... Ecco che si ripeteva come allora... Ho chiuso gli occhi e credo di aver stritolato il braccio di Giancarlo. Quando sono entrata è stato emozionante... Ero di nuovo là a vedere la Juve !! Solo quando mi sono seduta in gradinata, circondata da tutta quella gente, mi è mancato il fiato ma, in silenzio e autoconvincendomi che non dovevo aver paura, pian piano è passata. Mi piacerebbe andare a vedere una partita di campionato, ma quando mio marito mi dice "allora andiamo ? Cerco i biglietti ? Mi si drizza il pelo come nei gatti... La partita era proprio quella e sono andata perché la Juve è la mia squadra come lo è sempre stata per mio padre... Non capisco molto di calcio, ma il cuore è bianconero. Per quanto riguarda i giocatori non ho memoria di quello che fu detto, ma non credo che non sapessero che c'erano dei morti e comunque torno a ribadire che se quella partita non fosse stata giocata la tragedia sarebbe peggiorata dentro e fuori dallo stadio. La Coppa è nostra, ma non per merito sportivo, ma in memoria di chi per quella coppa ha perso la vita. Qualcuno ha detto che questo evento viene rammentato pochissimo (ed è vero), ma figuratevi se la coppa non fosse stata assegnata ! Tutto nel dimenticatoio... E’ macchiata di sangue, ma deve stare nella bacheca della Juventus e ben in vista perché chi la guarda deve per forza ricordare. A Boniperti ne andrebbe inviata una per ogni stanza che compone la sua abitazione, cesso compreso, così che in ogni istante del giorno e della notte possa vivere con gli incubi di coloro che non ci sono più e che lui farebbe di tutto per nascondere !! Lo Stato italiano è stato inesistente, figurarsi gli altri !! Non si possono perdonare quelli che quel giorno hanno fatto quello che sappiamo ma non possiamo fare di tutta l'erba un fascio altrimenti la tifoseria, quella vera, sana, ce la possiamo scordare !! Credimi, la rabbia è tanta ma se rispondiamo con la stessa moneta è la fine ! Guarda cosa hanno fatto i fiorentini (concedetemelo) cercando di gemellarsi con i reds !! Non è questo lo spirito del vero tifoso ! Quella coppa non è la Coppa dei Campioni, ma una specie di "monumento ai caduti per quella coppa"... Almeno per me è così, ma rispetto le opinioni di tutti e concordo che la coppa è una sola. Grazie per il tuo pensiero... Per quanto riguarda il discorso dei viola ed altri con bandiere inneggianti all'Heysel, semplicemente basterebbe non permettere che entrassero nello stadio e fuori dal suo perimetro o che nel momento che "escono" venissero tolte e buttati fuori coloro che le esponevano, semplice no ! Ma chissà perché non succede e torniamo sempre all'argomento del vero e sano tifo... Non conosco questo gruppo e se mi dici come si chiama mi farebbe piacere. Dopo l'incidente, grazie al padre del medico morto al quale ho fatto riferimento in un post, ci siamo uniti in Associazione, ma solo per portare avanti un ridicolissimo processo (l'unione fa la forza) durato anni e al termine del quale l'Associazione si è sciolta anche se tra noi ogni tanto ci sentiamo. Posso chiedere a mia madre perché io sono un po’ restia sia a "rappresentare" che per tenere contatti per queste cose, ma non per "tirarmela" sia chiaro, ma perché sono stata "usata" nei peggiori modi "pur di parlarne"... Avevo 18 anni e non mi rendevo conto di quello che succedeva intorno a me... Per "l'uso" se vuoi posso anche parlarne, ma è più una cosa dovuta al mio Comune di residenza di allora e di una Cooperativa nazionale che hanno usato la mia immagine ed i miei problemi per farsi pubblicità e lucrare con la mia storia... Purtroppo ho dovuto subire anche questo, come se il resto non bastasse... Quando sono arrivata a casa ho dovuto iniziare un percorso medico e psichico che, in parte, non è ancora finito... Libri su questa tragedia ne sono stati pubblicati molti, ma sinceramente non riesco a leggerli... Ho avuto modo di ascoltare la presentazione di quello di Veltroni perché è venuto a Firenze e poi volevo conoscere Caremani, un giornalista toscano con il quale mia madre è spesso in contatto... Ma non riesco a leggere neppure quello... E’ più forte di me... La coppa non l'ho mai vista dal vivo e non mi sono mai chiesta se desidero vederla... Non saprei... Però sono certa a chi la sbatterei in faccia...

29 Maggio 2010

Fonte: Juveforum.it

A-Z


FILIPPO GRASSIA

Io che ero là. Il ricordo dell’inviato del Giornale

"Quando mi accorsi che sotto il telo c’era un ragazzo ancora vivo..."

di Filippo Grassia

Non dimenticherò mai quel momento: "Respira !". E chiamai i poliziotti belgi che parevano inebetiti.

"Chissà mai cosa potranno rivelare quei mattoni rossi e smussati che, rovinando sulla pista d'atletica, hanno firmato la condanna di tanta gente": a distanza di 30 anni ricordo ancora come cominciai l'articolo che uscì su Il Giornale Nuovo all'indomani della strage dell'Heysel dove fui testimone smarrito e furente d'una carneficina folle, diabolica, eppure prevedibile. Il dramma si consumò alle 19.32 di quel maledetto 29 maggio 1985 quando il muro e la recinzione del settore Z della curva nord si sbriciolarono sotto il peso dei tifosi juventini che cercavano disperatamente di sottrarsi alla furia assassina degli hooligans inglesi, in preda all'alcool e alle droghe. Un macello. Zeta come l'ultima lettera dell’alfabeto e della vita. Mai potrò dimenticare quei due giovani che spirarono sotto il mio sguardo con le labbra spalancate in cerca d'ossigeno e l'addome rigonfio per il peso sopportato. Uno dietro l'altro. E porterò sempre con me il ricordo di quel ragazzo con la maglietta a righe orizzontali bianche e blu, dato per morto, ricoperto con un panno grigio, e che invece sussultava. "Questo è vivo, questo è vivo", urlai a un poliziotto che girava a vuoto, intontito pure lui. Di medici neanche l'ombra. Un paio di giorni dopo seppi che quel tifoso juventino era arrivato da Pontedera o Ponsacco. Più il tempo passava e più aumentavano i morti posti sulle barelle dietro la tribuna. Tutti con i ventri dilatati, abnormi. La mattina dopo, sotto la curva della morte, erano evidenti i segni della tragedia. Accanto a qualche fiore, c'erano brandelli di stoffa, bandiere inanimate, sciarpe, scarpe. Più di ogni altra cosa mi colpirono queste, forse perché collegai quelle immagini a una foto di un campo di sterminio sotto il nazismo. Anche all'Heysel fu omicidio di massa. C'era pure, lì per terra, un libro giallo dal titolo che mi procurò una sferzata di adrenalina: "I muri parlano". Solo una combinazione ? A un paio di gendarmi che mi volevano allontanare, vomitai addosso tutto il risentimento che mi portavo dentro dalla sera precedente. C'erano solo due porte in quel settore Z: l'una d'un metro, l'altra più piccola se possibile. E fuori da quei due cunicoli, l'unica via di fuga possibile, i poliziotti manganellarono quanti cercavano scampo verso l'esterno, verso la vita. Già i poliziotti. Erano pochi a quell'ora. La gran parte, e lo dico da testimone, era intenta a mettere qualcosa sotto i denti. I rinforzi arrivarono in colpevole ritardo. Il ministro degli interni Nothomb e il borgomastro Brouhon affermarono che c'erano mille agenti pronti a intervenire. Non è vero. Eppure nel corso del tragitto in pullman dall'albergo allo stadio non facemmo altro che vedere gruppi di tifosi inglesi ubriachi fradici con le strade, i marciapiedi e le piazze assurti a letamaio di vomito, piscio e bottiglie di birra. Un tappeto di bottiglie. All'inizio dello scempio s'era capito poco dalla tribuna stampa. Allora chiesi a un collega francese di prestarmi il cannocchiale e capii. La partita ? Chissenefrega. L'Inghilterra non fece sconti e debellò con metodi durissimi gli hooligans. In Italia, a 30 anni di distanza, il derby di Roma ha messo per l'ennesima volta a ferro e fuoco la capitale. Poveri noi.

29 maggio 2015

Fonte: Il Giornale

A-Z


CARLO GRIFONI

TESTIMONIANZA

Ogni volta che la mia Juventus gioca una partita di coppa, ogni volta che ci si avvicina ad una ipotetica finale, ma soprattutto ogni volta che arriva Maggio, il 29 Maggio, io non posso che ricordare quella sera all’Heysel. Non dovevo andare a vedere quella partita perché il mio club ci aveva abbinato una gita di cinque, sei giorni e comunque ero stato a Torino per la semifinale vinta 3 a 0 con il Bordeaux, ma capitò l’occasione giusta, l’occasione della vita, c’erano dei biglietti disponibili con viaggio di andata e ritorno, non mi pareva vero, sarei potuto andare a vedere la finale e così ne prenotai quattro. In quegli anni c’era il processo del Lunedì condotto da Biscardi e mio padre che adesso purtroppo non c’è più seguì quella trasmissione dove parlavano di biglietti ritornati da Liverpool e rivenduti in Italia, il famoso settore Z e dicevano che era pericolosissimo perché le tifoserie sarebbero state a contatto. Noi partimmo il Martedì mattina e lui mi si raccomandò di non entrare se i nostri biglietti fossero stati quelli del settore Z perché c’era il rischio di disordini. Ci dettero i tagliandi a Firenze ed il settore era quello. Io comunque non mi sentivo tranquillo, durante la notte avevo fatto un sogno strano, avevo sognato che tanta gente mi veniva addosso ed ero trascinato senza poter opporre resistenza poi in lontananza ho visto mio nonno e la gente è sparita. Mio nonno era morto la sera del 30 Maggio 1984. Quando il giorno dopo arrivammo a Bruxelles e poi nel primo pomeriggio allo stadio, io cercai di cambiare i biglietti ma riuscii a trovarne solo due e non li presi, pensai, eravamo venuti in quattro ed in quattro saremmo ritornati a casa. Entrai allo stadio con i miei amici, uno stadio orrido, tra noi e gli inglesi una rete per polli due o tre poliziotti ed un cane lupo. Ci fu una partita di ragazzi, una squadra con le maglie bianche ed una con le maglie rosse ed intanto la curva del Liverpool si andava riempendo sempre di più. Cominciò il lancio di bengala, noi non portavamo niente se non bandiere sciarpe e fazzoletti, non eravamo ultras, poi il lancio di pezzi di cemento staccati dai gradini degli spalti, incominciarono a spingere la rete che divideva i settori e da una parte cedette, partì la prima ondata che i poliziotti riuscirono a rimandare indietro, io ero salito sopra ad una balaustra di ferro e gridavo: "Non scappate, andiamogli addosso se no ci ammazzano", ma inutilmente poi partì la seconda ondata vidi tutto, fu come uno Tsunami, io mi tenevo per mano con Roberto poi ci lasciammo, ero trasportato dalla gente senza poter fare niente, ma non caddi, continuavano ad arrivare pezzi di cemento e bengala mi riparai la testa con lo zaino poi non ce la feci più, buttai via lo zaino, chiusi gli occhi e chiamai mio nonno, in quel frangente un boato mi fece riaprire gli occhi, ero libero, la gente davanti a me non c’era più, ma dietro a me c’era una montagna di persone intrappolate che spingevano e due miei amici, Vincenzo e Alfonzino sotto. Piano piano riuscii a liberare i miei amici e dopo essermi assicurato che stavano bene ritornai sulle tribune, non riesco a dire quanto tempo era trascorso ma lì trovai una ragazza con i capelli lisci e biondi, era tutta nera in viso, con uno della croce rossa cercammo di rianimarla, ma aveva la bocca piena di vomito non c’era più niente da fare, io mi sentivo da impazzire e gridai davanti alla faccia di quell’uomo : "Perché !! Perché !!" Mi allontanai distrutto, più in là c’era una donna  con un vestito lungo forse bianco sdraiata a bocca sotto, d’istinto la rigirai ma non mi fermai, ritornai dove avevo lasciato i miei amici, era rimasto solo Vincenzo e con lui andai verso le tribune, già c’erano corpi coperti da teli bianchi. Alcuni giorni dopo su una trasmissione, mi sembra Rete4 la sorella di Simona Izzo disse di essere stata salvata all’Heysel da un ragazzo che l’aveva girata facendogli riprendere aria per poi allontanarsi, forse ero io ? Chissà. In tribuna ci siamo ritrovati anche con Roberto per fortuna eravamo tutti salvi, avevo fatto bene a non cambiare i biglietti. Intanto nella curva della Juve c’erano disordini, io avevo visto tutto soprattutto morti e volevo unirmi a loro per fare casino, ma mentre mi avvicinavo vidi in lontananza i giocatori della Juve, non mi pareva vero, poco dopo tra me e loro mi divideva solo una grata, stavo vicino ai miei idoli. C’era Tacconi, c’era Favero, Cabrini e Vignola, regalarono due paia di scarpe da tennis a dei ragazzi che per fuggire le avevano perse, ma soprattutto c’era il nostro capitano Scirea. Noi raccontammo a loro dell’accaduto, della presenza di morti ed ancora ricordo le parole di Gaetano:  "Ragazzi questa partita non possiamo giocarla". Voglio chiudere questa lettera con le parole di Scirea, avrei ancora tante altre cose da dire ma preferirei dirtele a voce, mi piacerebbe incontrarti, sai, scrivere questa lettera per me è stato molto doloroso.

Carlo Grifoni

4 maggio 2017

Fonte: Mail inviata all’ Associazione fra i Familiari delle Vittime Heysel

NDR: Pubblicazione Autorizzata

A-Z


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