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ITALIA
6-09-1939 Ponsacco
(PI) Anni 45
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35 anni senza
Giancarlo Gonnelli e le altre 38
persone che persero la vita
nella tragedia dell’Heysel
Questa mattina insieme
all’Assessore Francesco Vanni e ai familiari di
Giancarlo abbiamo voluto portare un mazzo di fiori allo
stadio, sotto la targa che lo ricorda sempre. Con la
moglie Rosalina, la figlia Carla e suo marito Giancarlo
abbiamo ripercorso idealmente quei momenti che hanno
cambiato il calcio internazionale, stravolto le loro
vite e colpito profondamente anche la nostra comunità di
cittadini e di sportivi. Alla famiglia Gonnelli va il
sincero abbraccio e l'affetto di tutta Ponsacco.
Lucia Brogi (Sindaco
di Ponsacco)
Fonte: Facebook
© 29 maggio 2020
Fotografia: Comune.ponsacco.pi.it ©
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A 25 anni dall'Heysel
La vedova Gonnelli invitata dalla
Juventus
TORINO - Domani, 25 anni fa. Una
serata tragica, quella del 29 maggio 1985 sugli spalti
dello stadio Heysel di Bruxelles. Settore Z. Poco prima
della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool
*scontri tra le tifoserie con la polizia belga non certo
all'altezza della situazione, così come l'impianto: 39
tifosi morti in quella ressa. Tutti juventini. Nel
triste bilancio anche quattro toscani, uno di Ponsacco:
Giancarlo Gonnelli, neppure 50enne, che aveva portato la
figlia Carla a quella sfida; lei rimase in coma e si
salvò anche per l'intervento di un giovanottone di
Liverpool, John Welsh. Domani la commemorazione, a
Torino, organizzata dalla società bianconera. Invitata
anche la vedova Gonnelli, Rosalina: ore 10 in sede
bianconera, quindi Messa nella vicina chiesa Santa Madre
di Dio. Presenti i giocatori bianconeri, i vertici della
società e Michel Platini, ora presidente Uefa. Rosalina
Gonnelli ha detto che non andrà alla cerimonia, pur
ringraziando la Juve per averla invitata e per il
ricordo verso il marito deceduto. Anche il Liverpool ha
ricordato le vittime dell'Heysel: ad Anfield Road è
stata organizzata una cerimonia durante la quale è stata
scoperta una targa che resterà all'interno dello stadio
per ricordare per sempre i 39 morti. Presenti i
dirigenti del Liverpool e alcuni giocatori di allora
(Kenny Dalglish, Sammy Lee e capitan Phil Neal). Per la
Juventus hanno partecipato Gianluca Pessotto e Sergio
Brio, che il 29 maggio 1985 era in campo.
P. FA.
Fonte: Iltirreno.gelocal.it © 28
maggio 2010
Fotografia: Iltirreno.gelocal.it ©
*Nota Scontri Associazione Familiari Vittime Heysel
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Giancarlo Gonnelli, padre e figlia
Rosalina: "Lei in coma. E su mio
marito dicevano: te l'hanno pagato morto"
"Non ho accettato la sua morte
perché non l'ho vissuta - ricorda Rosalina Vannini di
Ponsacco. Ogni tanto vado al cimitero, ma per me è
sempre qui, l'ho sognato anche la notte scorsa".
Giancarlo all'Heysel c'era andato con la figlia Carla,
lui è morto, lei è tornata da quella strage e da un
coma, salvata da mani inglesi, ma una parte di sé è
rimasta per sempre nella curva Z insieme all'adorato
babbo. "Finché ci sarà memoria, i 39 angeli di Bruxelles
vivranno con noi. E allora grazie a tutti coloro che
fanno e hanno fatto qualcosa perché in tutti questi anni
non si spegnesse". Come gli altri familiari, Rosalina
parla con forza e dignità, come se tutta la cattiveria
ingoiata per anni fosse stata digerita: "Mi hanno detto
che m'avevano pagato il marito morto, che la macchina
(che avevo anche prima) me l'ero comprata con quei
soldi. Nessuno sa cosa ha significato andare avanti
senza Giancarlo e con tutti i problemi che ha avuto
Carla". La quale, dell'Heysel, non vuole ancora parlare.
Fonte: La Stampa © 27 maggio 2010
Fotografie:
Saladellamemoriaheysel.it ©
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Una ragazza di Ponsacco scampò alla
tragedia grazie a un tifoso inglese, ma suo padre morì
E quella notte Carla fu salvata da
John
di Paolo Falconi
PONSACCO - Nella notte d'inferno e
di morte dell'inadeguato stadio di Bruxelles c'è anche
spazio per un gesto di estrema solidarietà mettendo da
parte i colori del tifo. La provincia di Pisa contò in
quella sera diversi feriti più o meno gravi, ma
soprattutto un morto: Giancarlo Gonnelli, un bidello di
Ponsacco neppure cinquantenne. Aveva promesso alla
figlia Carla un regalo se la loro Juventus fosse andata
in finale dell'allora Coppa dei Campioni.
Giancarlo restò vittima su quegli spalti ridotti
in poltiglia, la figlia Carla cadde in coma, trasportata
prima nel vicino ospedale della capitale belga poi al
Lotti di Pontedera. Ma a tirarla fuori da quel girone
dantesco dell'Heysel fu un ragazzone inglese, della
difficile periferia di Liverpool, John Welsh. Saltò
quella rete da pollaio che avrebbe dovuto separare le
tifoserie bianconere e dei reds anglosassoni, si mise a
dare una mano ai soccorritori e salvò da quella melma
umana Carla Gonnelli, allora 18enne.
Poi avrebbe detto che fu attirato da una mano con
un anellino al dito che faceva capolino da quell'ammasso
di corpi: la salvezza della ragazza ponsacchina si
chiamava John. Si ritrovarono davanti alle telecamere
del Tg2 col giornalista Alberto Castagna a fare il
conduttore di un abbraccio che rompeva qualsiasi
difficoltà di schieramento calcistico e di lingua.
Qualche mese dopo quel tragico 29 maggio 1985, la
famiglia Gonnelli fu invitata da un gruppo di inglesi di
Southport (un po' la Viareggio di Liverpool) che avevano
raccolto una somma per un soggiorno per far vedere come
la gente della contea del Merseyside non fosse tutta da
detestare. Inviti arrivarono anche dal Liverpool Fc con
il presidente di allora a stringere la mano, foto
ricordo con i giocatori e pranzi all'Anfield con posate
d'argento.
Peccato però che, visto anche di recente, nel museo a
fianco alla Kop (la curva degli ultras dei reds) non ci
sia un accenno a quella tragedia che segnò peraltro uno
spartiacque con la violenza degli hoolingans sia sui
campi inglesi che su quelli europei. Loro, i sudditi
della regina, hanno debellato la violenza sugli spalti,
da queste parti non proprio; c'è voluto il tributo, è
vero, 39 morti tra cui Giancarlo Gonnelli di Ponsacco,
Giuseppina Conti di Rigutino e Roberto Lorentini di
Arezzo.
Fonte: Iltirreno.gelocal.it © 30
aprile 2010
Fotografia: L'Unità
©
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Sopravvissuta all'Heysel: il tifo
cancellato dalla morte
FIRENZE - Quella finale di Coppa
dei campioni doveva essere un regalo per il suo 18°
compleanno. Doppio: allo stadio per vedere la Juventus e
il battesimo del volo, destinazione Bruxelles. Da quel
viaggio tornò dopo quattro giorni di coma. E da sola. Il
padre era morto, schiacciato sotto decine di corpi,
vittima della furia degli hooligans. Dopo 20 anni, di
nuovo alla vigilia di Liverpool-Juventus, di quello che
accadde all'Heysel, Carla Gonnelli ha ricordi vaghi. La
mente ha preferito stendere un velo: "Non credo che
guarderò la partita. Non per rifiuto, però. Non me ne
frega niente, dopo tanto tempo sarà una gara come
un'altra. Da allora è tutto diverso: squadre, atmosfera,
stadio, tifosi". Già, i tifosi. Furono quelli inglesi a
mettere in moto una tragedia che costò la vita a 39
persone. Fra queste, Giancarlo Gonnelli, il padre di
Carla. Lei oggi è sposata, vive a Lari (Pisa) ed è
impiegata in una scuola. "Per me Liverpool-Juventus
potrebbe essere giocata anche tutti i giorni. Non mi dà
emozioni. Quello che successe all'epoca non dipese dalle
squadre, ma da una banda di delinquenti.
Liverpool-Juventus o Roma-Inter, oggi è la stessa cosa".
I tifosi inglesi le portarono via il padre, ma uno di
loro la salvò. Si chiama John Welsh. Intravide Carla,
sepolta sotto un cumulo di persone e la scambiò per la
moglie. La credeva morta, poi si accorse che respirava
ancora. La corsa all'ospedale, il coma, il ritorno in
Italia, "arrivai il giorno dopo il funerale di babbo",
ricorda Carla. L'ha rivisto John, anni dopo. "Di quella
maledetta partita ho rimosso quasi tutto - racconta
Carla - ricordo solo l'ingresso allo stadio, la rete che
ci divideva dai tifosi inglesi, una rete da pollaio. I
primi scontri, poi il niente. Ciò che so, me lo hanno
raccontato". Carla segue sempre la Juve, "meno di quanto
faccia mio marito, però. Lui è un tifoso acceso.
Guarderà anche la partita con il Liverpool. E magari
un'occhiata ce la do anch'io. Se capita. Ma senza troppa
passione".
Fonte: Il Piccolo
(Trieste) © 4 aprile 2005
Fotografie: La Gazzetta dello Sport
© L'Unità ©
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Torna all’Heysel un anno dopo la
tragedia
PONSACCO - Carla Gonnelli torna,
dopo un anno, a Bruxelles, nello stadio dove morì il
padre e dove rimase gravemente ferita. La diciottenne di
Ponsacco, infatti, il 29 maggio di un anno fa era nella
curva "Z" dello stadio Heysel di Bruxelles per assistere
alla finalissima della Coppa dei Campioni,
Juventus-Liverpool. Nel corso dei drammatici incidenti
che avvennero prima della partita morì il padre di
Carla, Giancarlo Gonnelli, mentre la ragazza rimase
gravemente ferita e fu salvata grazie all’intervento di
un tifoso inglese, John Welsh. Ieri Carla è partita per
Bruxelles insieme con la madre Rosalina, ospite del
quotidiano inglese "Today".
Fonte: L’Unità © 20 maggio 1986
Fotografia: GETTY IMAGES © (Not for commercial use)
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L'angelo di Liverpool ricorda la
drammatica sera
e come salvò una ragazza
dall'inferno di Bruxelles
di Gianni Ranieri
ROMA - Nel caldo pomeriggio romano,
mentre la città riprende faticosamente i suoi ritmi
arruffati, scende dal cielo di Fiumicino l'angelo di
Liverpool. E' un angelo in jeans e maglia, alto un metro
e ottanta, un angelo disoccupato con la faccia di un
ragazzo qualsiasi. Suo padre ha un pub che illanguidisce
nella spenta culla dei Beatles: cerca di venderlo, e il
giovanotto in jeans cerca lavoro per dar da mangiare
alla moglie e ai due figli, John di tre anni e Maria di
due. Disavvezzi ad accogliere gli angeli, i romani non
sono accorsi al richiamo di questo raro interprete della
bontà. Non scrosciano gli applausi con i quali si
accolgono in questo aeroporto gli assi del calcio. John
Welsh preso in consegna dagli uomini della televisione,
è ripartito per Pisa dove in serata avrebbe incontrato
Carla Gonnelli la ragazza che lui salvò nella tragica
sera dell'Heysel. Richard Welsh, suo zio, falegname
anch'egli, disoccupato, non è con lui. La Televisione ha
offerto un solo biglietto di viaggio benché il nome di
Richard si unisca a quello di John nella vicenda di
amore e di generosità che brilla nel buio di Bruxelles.
John Welsh non è un oratore, l'improvvisa celebrità, il
titolo di eroe che i giornali italiani gli hanno
conferito non distoglie da una sobrietà un po' attonita
e impaurita. Rammentare una storia che gli si ripete nei
sogni come un tenace tormento, gli pesa. Si rivede
nell'atto di afferrare con disperazione le braccia che
si levano dai mucchi di feriti e balbetta frasi
sommesse. Il
ricordo della ragazza gli addolcisce
un'espressione dura, da duro ragazzo di periferia che
non immagineremmo nel ruolo del salvatore. "Quando l'ho
sollevata e l'ho stretta a me, sentivo che stringevo una
sorella. Sentivo che sarei morto con lei se non fossi
riuscito a conservarle la vita, e la mia pena era che
avrei voluto essere d'aiuto a tutti, e intorno a me
c'era un... Disegna con le mani un groviglio, non ha le
parole per descrivere una scena in cui la sorte lo ha
collocato quale interprete buono, di fulminee sequenze
d'un film dell'orrore. "Ho sentito un grido, tra tante
grida. Un grido vicino e ho cercato pieno di angoscia.
Da un ammasso di corpi spuntava un braccio, dritto,
immobile con le dita spalancate. Ho tirato gridando
anch'io. Ho visto un viso di donna, la bocca circondata
da un alone bianco di polvere. Ho pulito la bocca con la
mano. Sono riuscito ad estrarla da quella catasta, le ho
aperto le labbra, le ho fatto la respirazione
artificiale. Si è ripresa, ma tremava, rantolava,
chiedevo aiuto, non c'era nessuno che potesse aiutarmi,
non lì, lì non c'erano barelle, sono corso a cercare una
barella, sono tornato dove lei giaceva, l'ho tirata su,
le dicevo non morire, non morire, Mary, la chiamavo Mary
come mia moglie". John Welsh riesce a raggiungere una
tenda della Croce Rossa. Arriva finalmente un'ambulanza.
Comincia un allucinante tragitto verso l'ospedale, fra
il traffico che si aggruma intorno allo stadio e lui che
ripete "non morire, non morire". E all'ospedale la
ragazza viene stesa a terra e John che vuole far capire
a un medico che lo guarda stupito di cosa sta succedendo
allo stadio, cade in ginocchio piangendo. "Sono
ritornato all'Heysel, ho ritrovato Richard, aveva perso
tutto, la sua macchina fotografica, i documenti, era
scalzo. Ci siamo abbracciati, abbiamo ripreso a vagare
tra i feriti, i cadaveri, abbiamo riconosciuto tra i
morti un amico italiano con il quale avevamo serenamente
trascorso le ore prima della partita, aveva una sciarpa
con i colori del Liverpool al collo. Abbiamo visto un
padre che baciava e accarezzava la fronte della figlia
morta". Gli uomini della televisione gelosi del loro
ospite prezioso mettono fretta. E John ripete: "Vicino a
quel muro si aggrappavano alle mie gambe, alle gambe di
Richard e non veniva nessuno a soccorrere, la polizia
prendeva a manganellate quelli che cercavano di
avvicinarsi. Eravamo soli". Una cronaca mesta, senza
retorica. Domanda più a se stesso che a noi: "Saranno
vivi i ragazzi che abbiamo sottratto al crollo di quel
muro ?". E' la domanda che ha tante volte rivolto alla
moglie al ritorno a Liverpool, che ha rivolto al padre,
che rivolge a tutti coloro che gli chiedono di
raccontare la notte di Bruxelles. John è stanco,
confuso. Stretto nel drappello degli accompagnatori
passa tra la folla dell'aeroporto, s'avvia alla vettura
che lo condurrà a Pisa. Poi andrà a Torino e dopo Torino
lo attende una vacanza a Rimini. L'angelo disoccupato di
Liverpool soggiornerà in una camera del Grand Hotel,
farà i bagni, sarà festeggiato e onorato. Aspetterà la
prima notte senza sogni o con un sogno che finalmente
non lo ricollochi nella curva della morte. John Welsh,
ventisette anni, per la prima volta al seguito del
Liverpool il 29 maggio, ha un desiderio: incontrare il
Papa al termine della sua visita in Italia. La moglie e
i figli lo raggiungeranno lunedì a Torino. "Ai familiari
delle vittime, se li vedessi, non saprei che cosa dire,
resterei muto col desiderio che comprendessero che mi
scuso. Scusatemi, scusateci. Vi chiediamo perdono".
Fonte: Stampa Sera © 15 giugno 1985
Fotografie: L'Unità ©
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"Dopo tanto dolore finalmente una
luce"
PONSACCO - "L'avevo sentita urlare
sotto un mucchio di corpi. Aveva il naso e gli occhi
sporchi di terra. L' ho tirata fuori da lì e le ho fatto
la respirazione bocca a bocca. Quando sono stato sicuro
che fosse ancora viva ho trascinato Carla verso un'
autoambulanza: sono andato con lei all' ospedale". E'
arrivato ieri mattina all' aeroporto di Fiumicino: 27
anni, i capelli tagliati cortissimi, una maglietta
celeste ed un paio di jeans. John Welsh, il tifoso del
Liverpool che il 29 maggio all' Heysel Stadium, ha
salvato la vita a otto italiani rimasti feriti negli
incidenti si è incontrato ieri sera a Ponsacco con Laura
Gonnelli, sopravvissuta miracolosamente a quella lunga e
terribile notte. Si sono abbracciati davanti alle
telecamere della televisione. Lui le ha dato una rosa,
un bacio su una guancia, ed una carezza. Si sono seduti
su un divano e John ha cominciato a ricordare quei
momenti. La calca, la paura delle persone. "Ho visto
mucchi di gente morta. Dicevo a tutti di andare
indietro; ma parlavo inglese, nessuno mi capiva. Ho
aiutato otto persone: le ho tirate fuori da lì una dopo
l' altra. Poi non ce l' ho fatta più. Ho accompagnato
Carla all' ospedale. Volevo tornare dai miei amici, ma
la ragazza si agitava, muoveva le braccia, le gambe. Ed
allora sono salito anch' io sull' autoambulanza: l' ho
accompagnata fino all' ospedale. Erano tutti sdraiati in
terra, un inferno. Ho aiutato un dottore a mettere la
flebo a Carla: la tenevo per le gambe e per le braccia.
Prima di andare via ho preso la sciarpa della Juve che
avevo al collo e l' ho gettata sul letto. Con quella le
hanno legato i piedi". Carla Gonnelli invece non può
ricordare. Che il padre fosse morto glielo avevano detto
soltanto due giorni dopo quando si risvegliò dal coma
all' ospedale Uvb di Jette. "Non so nulla. Ricordo solo
la fuga, gli incidenti con gli inglesi. Mio padre non l'
ho visto più, non ho visto più nessuno di quelli che
conoscevo". Ha sorriso per la prima volta dopo tanti
giorni. "Finalmente è un giorno felice per me. Grazie,
ti debbo la vita". John Welsh abita a Liverpool, al
numero ...
(NdR: omissis) di Wellington Road, quartiere di Dingle.
Ha un piccolo pub, il "Prince of Wales" che però sta per
chiudere. La birra non si vende, il padre lo ha messo in
liquidazione. Sposato, con due figli, tra pochi giorni
si troverà senza un lavoro. A Bruxelles era andato
insieme allo zio Richard, 25 anni: anche lui si è
prodigato per aiutare le centinaia di feriti del settore
Z. "Vorrei incontrare - ha proseguito John - alcune di
quelle persone che ho visto lì due settimane fa. Sono
cattolico, mi piacerebbe anche vedere il papa". Parla
senza troppa voglia, portandosi continuamente il palmo
della mano sulla fronte. "Non sto bene, sono quindici
giorni che non dormo, prendo tranquillanti, ma non
servono a nulla. Quando mi vedo in mezzo alla folla mi
vengono i brividi, non posso più stare in mezzo alla
gente. Quando sono tornato a Liverpool sono stato preso
da una crisi di nervi. Mia moglie ha dovuto chiamare un
dottore perché si era messa paura". Lo zio di John,
Richard verrà in Italia lunedì, portando con se anche la
moglie ed i figli del nipote. Si uniranno alla
delegazione del comune di Liverpool, composta da
autorità civili, militari, religiose, sociali e
sportive, che andrà a far visita a Torino. Da giovedì
tutta la famiglia Welsh si concederà una settimana di
vacanza sulle spiagge di Rimini.
Fonte: La Repubblica © 15 giugno
1985
Fotografia: GETTY IMAGES © (Not for commercial use)
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Migliora la ragazza
che ha perso il padre
PISA - Carla Gonnelli, la ragazza
di 18 anni di Ponsacco, rimasta gravemente ferita negli
incidenti dello stadio va leggermente migliorando.
Ricoverata nell'ospedale di "Azvub" della capitale
belga, la giovane che era in coma per lo schiacciamento
della cassa toracica, è stata messa in un polmone
d'acciaio e questo sembra l'abbia salvata. Con un aereo
messo a disposizione dei familiari delle vittime dal
nostro governo, l'hanno raggiunta la mamma Rosalina e il
fidanzato Stefano. Carla non sapeva ancora che suo padre
Giancarlo era morto.
Fonte: La Stampa © 1 giugno 1985
Fotografie: L'Unità
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Youtube
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Famiglia Gonnelli
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