MARIANO XIBILIA
Io, mio padre e l'Heysel
Mi
accingo a scrivere il mio commento e vi prego di scusarmi se non
sarà chiaro in qualche punto perché l'Heysel è una parte
importante della mia vita. Credo di essermi emozionato già alla
terza foto, erano molti anni che non ne guardavo una, l'ultima
fatta da mio padre, quel pomeriggio comunque è antecedente
all'attacco dei reds, quelle successive le ho sempre approcciate
con molta tensione. Complimenti a tutti coloro che hanno
collaborato, avete il mio affetto ed il mio grazie. Grazie di
cuore. Ho letto nel 3D alcune cose riguardo all'accaduto e
vorrei portare la mia esperienza. Quando la mattina del 27
Maggio ci accingevamo a salire sul pullman che ci avrebbe
portato nei giorni successivi a Bruxelles, non immaginavo che
una lettera, apparentemente innocua come la "Z", potesse
diventare un pesante fardello con cui fare i conti ogni giorno
nei giorni a venire. Ancora non sapevamo che il settore a noi
riservato era quello degli inglesi, fummo a conoscenza durante
il viaggio della cosa che a me allora sinceramente (avevo 14
anni) non parve così grave e nemmeno a mio padre, nemmeno quando
appena arrivati fuori dall'Heysel li vedemmo bere e bucarsi e
sniffare e quant'altro fuori dalla curva, in attesa che
aprissero i cancelli; perché nessuno di noi osava immaginare che
non avrebbe trovato lo straccio di un gendarme tra noi e loro,
ma solo una rete metallica di carta velina. L'anno precedente
ero stato a Basilea per la finale di coppa coppe e c'era un
dispiegamento di forze all'altezza della situazione, e gli stadi
italiani mi avevano abituato a trovare in trasferta il muro di
celerini tra noi e la tifoseria avversaria. Comunque arrivati lì
alle tre del pomeriggio circa, fummo subito colpiti dalla
fatiscenza dello stadio e dallo stato di totale abbandono a se
stesse delle tifoserie, che sempre e ci tengo a sottolinearlo,
sempre sono state a contatto quel pomeriggio appena 50 metri
prima dell'ingresso allo stadio, da due porte diverse è vero, ma
sempre a contatto. Quello che è successo dopo dalle 18.00 in
avanti, ora in cui sono entrato, non fa parte, né di questo
mondo né di quello del calcio, tale è la barbarie di chi ha
permesso che tutto questo accadesse e di chi ha compiuto
materialmente l'atto. La curva "Z" era divisa in 2 settori
uguali di capienza. Gli organizzatori pretendevano che nel
settore degli inglesi entrasse un numero di spettatori almeno
doppio a quello nostro pur essendo uguale al nostro. Erano
pestati come acciughe ed arrabbiatissimi perché drogati ed
ubriachi, pieni come otri mentre le famiglie di italiani, e non
atterrite, iniziavano già a spostarsi verso il famoso muro poi
crollato, e faceva caldo, un caldo bestiale reso ancora più
insopportabile dalla puzza di tutta quella gente fatta e
strafatta di tutto. Iniziavano già a volare le prime pietre, e
qui la mia cognizione del tempo era già andata a farsi benedire,
14 anni sono troppo pochi per tenere i nervi saldi, ma di
gendarmi in curva ancora niente e nemmeno l'ombra di un addetto
UEFA che si fosse preso la briga di decidere la chiusura dei
cancelli nel lato italiano in modo da ridurre i danni ad un paio
di mila di rimborsi che avrebbero certamente evitato anni di
sofferenza e rimorso a chi è rimasto e la morte di chi ci è
mancato tanto in tutti questi anni. Ed ecco l'atto finale.
Quello che i miei occhi di ragazzino non dimenticheranno mai. I
giocatori inglesi sotto la curva prima che si scatenasse
l'inferno, non perché abbiano colpe di quello che è successo, ma
semplicemente perché è l'ultima cosa che ricordo prima
dell'attacco iniziato con una sassaiola fatta con i detriti
della curva che andava in pezzi con niente. Dopo la sassaiola la
prima ondata e poi la seconda e tutti che urlano ed
indietreggiano e mio padre che mi spinge verso la rete perché
soffre di claustrofobia e preferisce, bontà sua, nostra e degli
altri che gli vanno appresso, andare verso gli inglesi piuttosto
che infilarsi nella bolgia sotto al muro.
Mentre vedo la gente cadere e piangere
perché gli manca l'aria, non riesco nemmeno ad urlare, sento la
mano di mio padre che mi afferra e mi getta letteralmente al di
là della rete, in campo al sicuro, mentre lui viene alla fine
ingoiato dalle ultime file della folla che ingrossate lo hanno
raggiunto. Dieci minuti. Dieci minuti sembrano pochi, ma sono
stati i più lunghi e travagliati della mia vita, sono stati quei
dieci minuti senza mio padre a farmi capire cosa sarebbe stata
la mia vita da grande quando la natura ed il destino me lo
avessero portato via. In quei dieci minuti mi è passato per la
mente cosa avrei dovuto fare appena tornato a casa dalla mia
famiglia che tremava davanti alla televisione. Dirlo a mia
madre, a mia sorella, dire che mi ero perso papà che non lo
avevo salvato, che mi ero salvato io senza pensare a lui, che
ero stato un vigliacco e papà non c'era più per colpa mia. Era
tutto troppo grande, pesante, agghiacciante, tanto che quando
dalla folla è spuntato tutto insanguinato, ma salvo, per la
tensione ho strappato la mia sciarpa come se fosse carta, cara
sciarpa che tutt'ora mi segue ovunque vado. Il mio sentimento di
profonda condanna va dopo tanti anni. Alla gendarmeria ed
all'organizzazione UEFA con cui erano in collaborazione per
tutto ciò che non hanno fatto, dalla gestione delle tifoserie
alla scelta di una sede più appropriata e meno fatiscente dell'
Heysel. Alle agenzie viaggio, delle quali non faccio il nome,
perché sono passati anni e non è giusto tirare in ballo chi
forse neanche c'è più. Perché quando si vende un pacchetto
viaggio (adesso lavoro nel turismo e ne so qualcosa sulla mia
pelle) bisogna curarsi per correttezza di dire tutto prima
all'atto della proposta di vendita e non dopo, anche che i
biglietti a te riservati sono in un settore pericoloso, perché i
settori e la loro composizione si sapeva già all'atto
dell'assegnazione dei biglietti. La gente deve poter decidere se
andare incontro ad un viaggio rischioso o meno. Al popolo
inglese tutto, di allora, che sfogava tutta la frustrazione
della loro situazione economica con una violenza barbara
inaudita persino per il più incivile dei popoli. Se sai che la
tua tifoseria non è presentabile all'estero non la devi mandare
in giro. Ma come al solito per cambiare le cose devono morire le
persone, ed in 5 anni tra l'Heysel e la tragedia di Sheffield ne
morirono più di 100. Poi le cose cambiarono... Alla parte di
popolo belga che dopo la tragedia agli italiani che
disperatamente cercavano telefoni per avvertire le famiglie,
sbattevano le porte in faccia. In un bar mio padre arrivò ad
offrire uno stipendio intero ad un barbaro che col telefono
accanto gli rispondeva che non aveva telefono in bar. Il mio più
profondo ringraziamento va alle due squadre che consapevoli
dell'accaduto e con la morte nel cuore giocarono una partita
senza senso solo per dare il tempo a quattro ciarlatani di
organizzare la scorta alle belve, per il ritorno, perché manco
quello avevano fatto. A tutti quelli che con una spinta mi hanno
permesso di scavalcare la recinzione salvandomi la vita. A mio
padre, il mio eroe, che ha pensato alla mia salvezza rinunciando
alla sua vita che solo un fortuito caso del destino ha poi
voluto salva. Mi onoro ancora oggi della sua presenza al mio
fianco sia nella vita di tutti i giorni che allo stadio a tifare
Juve. Infine a voi che avete lavorato a questo sito perché
tenere vivo il ricordo delle persone cadute quel giorno, in un
mondo aperto a tutti come internet, servirà a renderle vive in
eterno. Angeli splendenti protettori di una sacra memoria.
Scusate la lunghezza dell'intervento.
5 aprile 2009
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
A-Z |
|