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Alessandro Acampora
Curva Settore Z
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Gianfranco Accio
Radiocronista Juventus
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Antonello Angelini
Curva Settore M-N-O
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Tifosa Anonima
Curva Settore Z
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Con affetto... 29 05
2011
E'
arrivato, con la solita puntualità è arrivato, quel
momento che mi fa svegliare di soprassalto con la testa
confusa dai pensieri, che si intrecciano tra loro, il
ricordo, la rabbia, l'emozione, la vendetta, sentimenti
che ognuno di noi prova ogni qual volta la vita lo pone
di fronte ad un fatto che lo colpisce in prima persona,
che lo mette alla prova e dal quale scaturisce una
reazione, ma stamani è stato diverso, un altro
sentimento ha preso il sopravvento sugli altri e mi ha
fatto scaturire una riflessione terminata con un punto
interrogativo, AVRANNO AVUTO UNA GIUSTIZIA GIUSTA le
povere vittime della curva Z ? Avranno avuto un giusto
risarcimento le povere famiglie dei caduti ? Ci siamo
tutti in questi anni, soffermati sulle varie tragedie
che hanno funestato il nostro paese, dalla più piccola
alla più grande non solo in termini numerici, che ci
hanno emozionato e indignato e per le quali abbiamo
chiesto a gran voce e con tutti i mezzi una giustizia
giusta. Ecco è proprio questo che io mi domando (e da
questo quesito mi auguro possa nascere una riflessione
costruttiva), hanno avuto una giustizia giusta quelle
povere vittime ? Abbiamo fatto qualcosa fin dai primi
anni a fianco del comitato delle vittime per vederla
riconosciuta ? Forse no, oppure non a sufficienza, io
per primo. Buon senso vuole che negli ultimi anni si
sono moltiplicate le giornate del ricordo, i momenti di
raccoglimento, questo sì, una sorta di rassegnazione a
quella giustizia non giusta di cui tutti
inconsapevolmente ci siamo accontentati, ma loro, le
famiglie delle vittime, io credo non l'abbiano mai
riconosciuta e loro e solo loro sanno se essa è stata
compiuta oppure no. E poi in tutti questi anni
l'ingiustizia si è sommata all'ingiustizia, la Juventus,
quale riconoscimento ha dato non fosse altro in termini
morali a tutta quella povera gente ? Quale pena più
grande ci può essere in una qualsiasi di quelle persone,
di volta in volta padri, madri, fratelli, sorelle e
amici di quelle stelle cadute sui gradoni di quello
stadio maledetto nel non vedersi mai essere riconosciuta
la loro dignità, da chi invece avrebbe dovuto fin da
subito porsi al loro fianco. Apprezzo moltissimo e
sosterrò con forza tutte le iniziative intraprese
affinché nel nuovo stadio ci sia un monumento al ricordo
fruibile da tutti non a pagamento intorno al quale ci si
possa raccogliere in commemorazione, ma lasciatemelo
gridare forte, oggi è il 29 maggio 2011, 26 anni ci
dividono da quella maledetta serata, tanti, troppi, non
permettiamolo più, facciamo in modo che non ne passi più
nemmeno uno senza che i nostri ragazzi abbiano un luogo
dove le loro sofferenze possono ricongiungersi nel loro
coraggio e nella loro fede e dove tutti noi gli possiamo
tributare il giusto onore, che più di ogni altra cosa
meritano. Il mio ultimo pensiero va a tutte le loro
famiglie con l'augurio di poterli vedere quel giorno,
tutti lì a raccogliere il nostro affettuoso abbraccio.
IO NON SCORDO.
Alessandro
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 29 maggio 2011
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Audio:
Rai (Bruno Pizzul)
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"Momenti allucinanti
che non potrò mai dimenticare"
Ero
uno dei radiocronisti di quella tragica serata. La mia
non è stata una radiocronaca di gioia ma un commento
straziante che ancora oggi mi rende incredulo. Ho visto
cose che preferisco non descrivere. Avrei voluto gettare
il microfono per tirare fuori dalla mischia quei poveri
corpi che morivano soffocati di fronte alla polizia
belga a cavallo che non aveva capito nulla. Bastava
consentire uno spazio di fuga, un'apertura verso la
pista di atletica. Si sarebbero salvate molte persone.
Non ho potuto far nulla. Mi sento anch'io un po'
colpevole. Senza retorica. Momenti allucinanti che non
potrò mai dimenticare.
Sono passati più di 25 anni da quell'inverosimile
serata dell’Heysel. Ribadisco inverosimile perché tutto
sembra inspiegabile, assurdo, incivile se non
addirittura mostruoso. Sì, avete letto bene poco umano e
quindi un accadimento da definire etimologicamente fuori
dal genere umano. Ero presente a Bruxelles in qualità di
inviato per Radio Centro 95 un emittente radiofonica
torinese che era molto seguita all'epoca, anche le
radiocronache della Juve. Noi giornalisti arrivammo allo
stadio verso le 18.30. La giornata era bella, soleggiata
e calda. La finale doveva iniziare alle 20.15. Subito
notammo fuori dallo stadio una massa preoccupante di
ubriaconi che entravano, senza alcun controllo, con
casse di birra debordanti dalle loro adipose figure.
Insomma uno scenario che avrebbe fatto insospettire
anche i più inguaribili benpensanti. Ci accorgemmo
subito che la famigerata curva Z sarebbe potuta
diventare uno sconvolgente terreno di morte. Prima delle
19 ci giunsero alcune agghiaccianti notizie. Ricordo che
il collega di Tuttosport Marco Bernardini ritornò
sconvolto dal teatro della tragedia affermando di aver
visto una quarantina di morti. Non volevamo credere a
quel racconto che poi si rivelò assolutamente fedele
alla realtà. Io continuai nella mia radiocronaca
cercando di minimizzare l'accaduto anche se non era
facile, con lo stato d'animo del momento, avere un
briciolo di equilibrio in ciò che stavamo dicendo. Nello
sconcerto generale e in un susseguirsi di voci e di
smentite, si arrivò all'inizio della partita che, se non
ricordo male, prese il via dopo le 21.30. La gara si è
svolta in un'atmosfera irreale perché, anche se non ci
si è resi conto dell'entità del dramma, si era percepito
che qualcosa di gravissimo era accaduto. Alla fine, era
quasi mezzanotte, Bruxelles sembrava una città
assediata. L'ululato lacerante delle sirene della
polizia e delle ambulanze che sfrecciavano per la
capitale belga rendeva la situazione sempre più
paradossale. Pensate che a stento sono riuscito a
prendere un taxi che mi ha riportato in albergo. Devo
dire che gran parte delle responsabilità devono essere
attribuite al servizio d'ordine assolutamente
inesistente. La curva Z era stata divisa in due da
quattro transenne vigilate da quattro poliziotti. In
altri termini non c'era nessuna barriera protettiva tra
quelle belve inglesi in preda ai fumi dell'alcol e
quelle povere famiglie di nostri connazionali giunte per
assistere ad uno spettacolo sportivo e tifare per la
loro amata Juve. Se ci ripenso mi vengono le lacrime
agli occhi. Perché non c'è stato alcun filtro preventivo
all'ingresso dello stadio ? Perché si è consentito a
queste persone di entrare senza problemi con voluminose
casse di birra ? Ecco direi che la colpa principale è da
ascrivere alla polizia belga la quale - tra l'altro -
non ha capito, per tempo, che avrebbe potuto consentire
una via di fuga verso la pista di atletica per allentare
la pressione su quella massa inerme di corpi umani che
venivano schiacciati dall'onda d'urto britannica. Ho
visto la polizia a cavallo respingere chi tentava di
sottrarsi alla morsa fatale. Ho visto giovani che
urlavano e cercavano aiuto dimenticati nella totale
indifferenza. Voglio credere che questi poveri "39
angeli" siano ricordati eternamente e che il loro
sacrificio serva a far capire che una sciagura così
barbara non possa più appartenere al genere umano.
Gianfranco Accio
(NdR: radiocronista Juventus fino al 2000)
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 12 Gennaio 2011
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La mia testimonianza
sarebbe stata così
Avevo
15 anni e mio padre mi chiese cosa volevo per regalo
dello sviluppo 2 liceo scientifico. La risposta era
ovvia: volevo la coppa dei campioni, biglietto e aereo.
Poi ci aggiungo come particolare che ero stato a Lazio -
Juventus 3-3 ultima di campionato a provare le bandiere
cucite per l'occasione: due a strisce bianconere,
luccicanti, di raso, fatte con la macchina da cucire che
sta a casa di Renato, e una tutta nera con una zebra
bianca dipinta in mezzo, enorme... Vado all'Heysel da
solo, ho conosciuto Renato in fila allo Juventus club
Roma, ci siamo messi a chiacchierare (anzi gli avrò
attaccato il pippone io o mia mamma che era con me) e
ancora oggi siamo amici, sono stato al suo ricevimento
di matrimonio qualche mese fa ed ho anche sbagliato
ricevimento prima di imbroccare quello giusto. Insomma
alla fine vado io e naturalmente con questo Renato e
tutta la sua famiglia. Cambiamo i biglietti in aereo con
altri, perché io avevo la curva M, Renato e la sua
famiglia la curva Z. Suo papà , uno con un grande naso,
scambia i biglietti con un altro gruppetto credo.
Arriviamo allo stadio col pullman, e c'è uno con una
zebra di peluche che sta con noi sul pullman.
Attraversiamo il ponticello e arriviamo allo stadio,
entriamo all'apertura dei cancelli. Poi il casino
dall'altra parte, non capiamo se la partita è valida,
arrivano voci di feriti, gli ultras in basso da noi
sfondano la rete e attraversano il campo per fare a
botte, poi si scatenano contro la polizia... Di là
intanto tutta la gente è in campo... Io faccio un sacco
di foto... Non si capisce più nulla... Scirea parla
all'altoparlante dice "giochiamo per voi", allora
pensiamo che la partita si gioca, ma non sarà valida...
Sembra una atmosfera irreale... Poi il rigore, il gol e
Platini esulta... Ma cavolo allora è valida sennò che
cavolo esulta Michel ?? E allora cantiamo e urliamo,
soffriamo per un po' ma poi finisce... Solo all'uscita
mi rendo conto che qualcosa di strano è successo. Ci
sono i carri armati. Poi cerchiamo di attraversare il
ponticello per arrivare ai pullman, è notte, ma il
ponticello è stato sbarrato, lo scavalchiamo lo stesso
perché non conosciamo le strade. Poi un urlo: gli
hooligans e scappiamo per un po'... Io gli hooligans non
li ho visti ma tutti corrono... Mi sono perso porca
miseria. Sto da solo. E adesso come lo trovo il pullman
? Giro un po'... Anzi mi aggiro... E dopo un po' vedo in
lontananza sopra le teste quella zebra di peluche... Azz,
quello era sul mio pullman io lo seguo da lontano,
svolta a destra, svolta a sinistra ed ecco i pullman...
C'è anche Renato, la mamma, il papà col naso lungo e il
fratello e pure un amico del fratello. Mentre andiamo
all'aeroporto passano tante ambulanze... Arriviamo
all’aeroporto e si parla di feriti, di alcuni morti
allora cerco di telefonare... File chilometriche ai
telefoni... Allora montiamo sull'aereo. E lì ci fanno
aspettare un sacco di tempo, vediamo gente col sangue
addosso, con delle fasciature, ormai abbiamo capito. E'
una coppa maledetta bagnata di sangue... Arriviamo a
Ciampino alle 8 del mattino, è già giorno e ci sono le
telecamere della RAI, il telegiornale … Mi inquadrano
con la bandiera in mano, quella di raso e strisce...
Qualcuno mi dirà poi che anche con i morti avevo la
bandiera spiegata. Torno a casa e trovo Mamma che
piange, mio fratello che afferma che lui in tv aveva
visto la bandiera, Papà è distrutto. Sono stati sotto al
ministero della Farnesina a sentire i nomi dei morti,
tutta la notte. Solo adesso capisco. Poi vado a vedere
Roma - Juventus l'anno dopo e in curva c'era scritto
grazie Liverpool ! E a Firenze, città della cultura
scrivevano qualcosa come "39 gobbi in meno", oppure,
"minime all'estero: Bruxelles - 39". Ah, le minoranze
becere, che quando c’è la JUVE di mezzo sono qualcosa in
più di semplici minoranze...
Fonte:
Libro "Heysel 29 maggio 1985 Prove di memoria" (Emilio
Targia)
© 19 Maggio 2010
Audio:
Antonello Angelini ©
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Heysel, il racconto di
una testimone: "Ecco cosa è successo"
di Manila Alfano
Il racconto di chi
quella notte dell'85 ha visto morire 39 tifosi italiani
in una delle più grandi tragedie della storia del
calcio.
Plastica
e ovattava eppure inconfondibile. Per anni quella sera
dell'Heysel per me non è stata che una strana serata
incollati alla televisione. "Avevo sette anni e allora
non si usava spiegare molto ai bambini. Mi limitavo
perciò a trarre fantasiose conclusioni basate su (pochi)
fatti. Vedevo mio padre con gli occhi fissi sullo
schermo e mia nonna ripetere: mio Dio. Subito dopo il
telefono che non smetteva di suonare. Erano i parenti
che volevano sapere. Sentivo nell’ aria un certo
fervore, ne ero quasi eccitata. C'era in sottofondo un
Pizzul agitato commentare con voce sempre più nervosa e
giocatori sfilare con facce tristi. Non avevo collegato
che mia mamma che a casa non c'era era proprio lì. Tra
quei corpi caduti come per gioco uno addosso all’altro,
tra quella gente insanguinata che guardava inebetita le
telecamere. Per anni per me quella sera di quasi estate,
con i pantaloncini corti e le finestre aperte è stata
certo così strana da sembrare un gioco eccitante. Ero
andata a dormire così: sapendo che qualcosa c'era, ma
senza sapere davvero cosa aspettarsi. Carica più di
incosciente euforia che consapevole preoccupazione.
Quella era tutta addosso alla mia famiglia. Mia mamma
era partita accettando di organizzare un viaggio, ancora
uno, si era detta, come ai vecchi tempi quando appena
finiti gli studi accompagnava gruppi. Aveva girato il
mondo, e andare a Bruxelles con un gruppo di tifosi allo
stadio sembrava una banalità. E' tornata cambiata per
sempre, incapace da allora di stare per più di due
minuti in un posto affollato. Niente centri commerciali,
niente cinema. Anche al supermercato cerca con lo
sguardo le uscite di sicurezza e la folla la terrorizza:
"Ti potrebbero schiacciare" ripete come un'ossessione;
convinta ancora oggi che solo una mano invisibile
l'abbia miracolata quel giorno, fatta scivolare giù, fin
sotto alla rete, a quella maledetta transenna di ferro
che le impediva ormai di respirare, liberata dal peso di
quei corpi pesanti e molli che le cadevano sulla
schiena. "Il respiro. Il respiro sempre più corto di
quell'uomo che mi schiacciava e sempre più pesante
addosso. E poi eccoli. Li ho visti arrivare con la coda
dell'occhio. Con le spranghe, i bastoni in mano. Così ho
chiuso gli occhi. Credevo che mi avrebbero ammazzata.
Sdraiata sotto quei corpi mi hanno creduta morta e me la
sono cavata con un calcio". Di quel pomeriggio del
giorno dopo ricordo solo poche frasi di mia madre,
eppure indelebili. Ero felice di averla a casa e non al
lavoro. Era arrivata stanca e arruffata, senza le scarpe
ai piedi e con la sua cartellina di stoffa gialla
macchiata di rosso stretta in mano. Era tutto in quella
cartella, i documenti dell'intero gruppo, i biglietti
per il viaggio. Per questo, quando si era accorta di
averla persa ha girato per mezzo stadio, con i piedi
nudi, e i vestiti sporchi di sangue, scansando corpi
privi di vita e poliziotti che le intimavano di uscire.
Incosciente, diremmo oggi è qui. Il suo pullman è
tornato senza due persone. Trent'anni dopo nell'armadio
di mia madre c’è ancora quella valigetta. Nessuno l'ha
dimenticata eppure da quel giorno nessuno ha più avuto
il coraggio di guardarci dentro. Resta lì, tutti lo
sanno ma nessuno ne ha più parlato".
Fonte:
Ilgiornale.it
© 30 maggio 2015
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Tragedia Heysel 1985,
oggi il 29esimo anniversario. La testimonianza di un
lettore
Una notte che doveva
essere una festa, ma che divenne un incubo
di Alessandro Gazzera
Un
nostro lettore era, come tanti, a vedere la finale
Juventus-Liverpool del 1985 all’Heysel. Con molta
pazienza e non poca emozione ha voluto raccontare a
cronacatorino.it la sua storia: Ciao, da dove vuoi
cominciare ? – "Arrivammo a Bruxelles in treno con
moltissimi tifosi bianconeri, eravamo io e mia moglie.
Arrivati alla stazione e vedendo tutto calmo e triste
cercai di ravvivare i presenti sventolando la mia
sciarpa, ma un poliziotto mi disse "Lasci perdere, è
meglio"… Subito non capii o meglio afferrai qualche
istante dopo". Un gigantesco tifoso del Liverpool venne
a sbattermi contro… Aveva un bottiglione vuoto in mano e
puzzava di alcool, cercai di dire qualcosa, ma mia
moglie mi invitò a lasciar perdere". Durante il tragitto
per lo stadio notasti qualcosa ? – "Sapevamo che c’erano
stati tafferugli, ma non c’era una vera preoccupazione
per qualcosa". In che settore eri dello stadio ? – "La
cosiddetta "Tribuna", un ammasso di panche di legno e
bottiglie di alcolici vuote… Un amico lavorava alla
comunità europea e ci aveva trovato i biglietti lì". Poi
cosa successe ? – "Scoppiò il finimondo… Gli inglesi,
mal sorvegliati, si spinsero nel settore Z schiacciando
le famiglie e i ragazzi in quel settore… L’esito lo
sappiamo tutti: 39 morti". Ma voi avevate capito quanti
morti c’erano ? – "Si parlava di 1 morto all’inizio,
c’era un politico italiano sotto di noi che fu portato
via e noi temendo il peggio decidemmo di andarcene prima
dell’inizio della partita". Com’era la situazione fuori
lo stadio ? – "Tutto un macello, la gente cercava di
raggiungere la fermata della Metropolitana dopo quella
dello stadio temendo di trovare gli hooligans, facemmo
così anche noi. Prendemmo in tempo la Metro e nel vagone
vi era una coppia che dopo poco si capì essere inglese".
Che successe ? – "Li guardai con odio, anche se non
c’entravano nulla… Lui tremava dalla paura e lei
piangendo riuscì solo a dire "Sorry". Cambiai vagone,
ero arrabbiato, troppo che temo gli sarei saltato
addosso". Perché raccontare questa storia ? – "L’Heysel
non è solo una tragedia riguardante i tifosi bianconeri,
ma tutti, è una pagina nera che non si può cancellare e
che molti hanno cercato di cambiare o oscurare… Spero di
dare il mio aiuto a mantenere viva la memoria"…
Fonte:
Cronacatorino.it
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