ALESSANDRO ACAMPORA
Con affetto... 29 05 2011
E'
arrivato, con la solita puntualità è arrivato, quel momento che
mi fa svegliare di soprassalto con la testa confusa dai pensieri,
che si intrecciano tra loro, il ricordo, la rabbia, l'emozione,
la vendetta, sentimenti che ognuno di noi prova ogni qual volta
la vita lo pone di fronte ad un fatto che lo colpisce in prima persona,
che lo mette alla prova e dal quale scaturisce una reazione, ma
stamani è stato diverso, un altro sentimento ha preso il sopravvento
sugli altri e mi ha fatto scaturire una riflessione terminata con
un punto interrogativo, AVRANNO AVUTO UNA GIUSTIZIA GIUSTA le povere
vittime della curva Z ? Avranno avuto un giusto risarcimento le
povere famiglie dei caduti ? Ci siamo tutti in questi anni, soffermati
sulle varie tragedie che hanno funestato il nostro paese, dalla
più piccola alla più grande non solo in termini numerici, che ci
hanno emozionato e indignato e per le quali abbiamo chiesto a gran
voce e con tutti i mezzi una giustizia giusta. Ecco è proprio questo
che io mi domando (e da questo quesito mi auguro possa nascere una
riflessione costruttiva), hanno avuto una giustizia giusta quelle
povere vittime ? Abbiamo fatto qualcosa fin dai primi anni a fianco
del comitato delle vittime per vederla riconosciuta ? Forse no,
oppure non a sufficienza, io per primo. Buon senso vuole che negli
ultimi anni si sono moltiplicate le giornate del ricordo, i momenti
di raccoglimento, questo sì, una sorta di rassegnazione a quella
giustizia non giusta di cui tutti inconsapevolmente ci siamo accontentati,
ma loro, le famiglie delle vittime, io credo non l'abbiano mai riconosciuta
e loro e solo loro sanno se essa è stata compiuta oppure no. E poi
in tutti questi anni l'ingiustizia si è sommata all'ingiustizia,
la Juventus, quale riconoscimento ha dato non fosse altro in termini
morali a tutta quella povera gente ? Quale pena più grande ci può
essere in una qualsiasi di quelle persone, di volta in volta padri,
madri, fratelli, sorelle e amici di quelle stelle cadute sui gradoni
di quello stadio maledetto nel non vedersi mai essere riconosciuta
la loro dignità, da chi invece avrebbe dovuto fin da subito porsi
al loro fianco. Apprezzo moltissimo e sosterrò con forza tutte le
iniziative intraprese affinché nel nuovo stadio ci sia un monumento
al ricordo fruibile da tutti non a pagamento intorno al quale ci
si possa raccogliere in commemorazione, ma lasciatemelo gridare
forte, oggi è il 29 maggio 2011, 26 anni ci dividono da quella maledetta
serata, tanti, troppi, non permettiamolo più, facciamo in modo che
non ne passi più nemmeno uno senza che i nostri ragazzi abbiano
un luogo dove le loro sofferenze possono ricongiungersi nel loro
coraggio e nella loro fede e dove tutti noi gli possiamo tributare
il giusto onore, che più di ogni altra cosa meritano. Il mio ultimo
pensiero va a tutte le loro famiglie con l'augurio di poterli vedere
quel giorno, tutti lì a raccogliere il nostro affettuoso abbraccio.
IO NON SCORDO.
Alessandro
29 maggio 2011
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
A-Z |
GIANFRANCO ACCIO
"Momenti allucinanti che non potrò
mai dimenticare"
Ero
uno dei radiocronisti di quella tragica serata. La mia non è stata
una radiocronaca di gioia ma un commento straziante che ancora oggi
mi rende incredulo. Ho visto cose che preferisco non descrivere.
Avrei voluto gettare il microfono per tirare fuori dalla mischia
quei poveri corpi che morivano soffocati di fronte alla polizia
belga a cavallo che non aveva capito nulla. Bastava consentire uno
spazio di fuga, un'apertura verso la pista di atletica. Si sarebbero
salvate molte persone. Non ho potuto far nulla. Mi sento anch'io
un po' colpevole. Senza retorica. Momenti allucinanti che non potrò
mai dimenticare. Sono passati più di 25 anni da quell'inverosimile
serata dell’Heysel. Ribadisco inverosimile perché tutto sembra inspiegabile,
assurdo, incivile se non addirittura mostruoso. Sì, avete letto
bene poco umano e quindi un accadimento da definire etimologicamente
fuori dal genere umano. Ero presente a Bruxelles in qualità di inviato
per Radio Centro 95 un emittente radiofonica torinese che era molto
seguita all'epoca, anche le radiocronache della Juve. Noi giornalisti
arrivammo allo stadio verso le 18.30. La giornata era bella, soleggiata
e calda. La finale doveva iniziare alle 20.15. Subito notammo fuori
dallo stadio una massa preoccupante di ubriaconi che entravano,
senza alcun controllo, con casse di birra debordanti dalle loro
adipose figure. Insomma uno scenario che avrebbe fatto insospettire
anche i più inguaribili benpensanti. Ci accorgemmo subito che la
famigerata curva Z sarebbe potuta diventare uno sconvolgente terreno
di morte. Prima delle 19 ci giunsero alcune agghiaccianti notizie.
Ricordo che il collega di Tuttosport Marco Bernardini ritornò sconvolto
dal teatro della tragedia affermando di aver visto una quarantina
di morti. Non volevamo credere a quel racconto che poi si rivelò
assolutamente fedele alla realtà. Io continuai nella mia radiocronaca
cercando di minimizzare l'accaduto anche se non era facile, con
lo stato d'animo del momento, avere un briciolo di equilibrio in
ciò che stavamo dicendo. Nello sconcerto generale e in un susseguirsi
di voci e di smentite, si arrivò all'inizio della partita che, se
non ricordo male, prese il via dopo le 21.30. La gara si è svolta
in un'atmosfera irreale perché, anche se non ci si è resi conto
dell'entità del dramma, si era percepito che qualcosa di gravissimo
era accaduto. Alla fine, era quasi mezzanotte, Bruxelles sembrava
una città assediata. L'ululato lacerante delle sirene della polizia
e delle ambulanze che sfrecciavano per la capitale belga rendeva
la situazione sempre più paradossale. Pensate che a stento sono
riuscito a prendere un taxi che mi ha riportato in albergo. Devo
dire che gran parte delle responsabilità devono essere attribuite
al servizio d'ordine assolutamente inesistente. La curva Z era stata
divisa in due da quattro transenne vigilate da quattro poliziotti.
In altri termini non c'era nessuna barriera protettiva tra quelle
belve inglesi in preda ai fumi dell'alcol e quelle povere famiglie
di nostri connazionali giunte per assistere ad uno spettacolo sportivo
e tifare per la loro amata Juve. Se ci ripenso mi vengono le lacrime
agli occhi. Perché non c'è stato alcun filtro preventivo all'ingresso
dello stadio ? Perché si è consentito a queste persone di entrare
senza problemi con voluminose casse di birra ? Ecco direi che la
colpa principale è da ascrivere alla polizia belga la quale - tra
l'altro - non ha capito, per tempo, che avrebbe potuto consentire
una via di fuga verso la pista di atletica per allentare la pressione
su quella massa inerme di corpi umani che venivano schiacciati dall'onda
d'urto britannica. Ho visto la polizia a cavallo respingere chi
tentava di sottrarsi alla morsa fatale. Ho visto giovani che urlavano
e cercavano aiuto dimenticati nella totale indifferenza. Voglio
credere che questi poveri "39 angeli" siano ricordati eternamente
e che il loro sacrificio serva a far capire che una sciagura così
barbara non possa più appartenere al genere umano.
Gianfranco Accio (Radiocronista
della Juventus fino al 2000)
12 Gennaio 2011
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
A-Z |
ANTONELLO ANGELINI
La mia testimonianza sarebbe stata così
Avevo
15 anni e mio padre mi chiese cosa volevo per regalo dello sviluppo
2 liceo scientifico. La risposta era ovvia: volevo la coppa dei
campioni, biglietto e aereo. Poi ci aggiungo come particolare che
ero stato a Lazio - Juventus 3-3 ultima di campionato a provare
le bandiere cucite per l'occasione: due a strisce bianconere, luccicanti,
di raso, fatte con la macchina da cucire che sta a casa di Renato,
e una tutta nera con una zebra bianca dipinta in mezzo, enorme...
Vado all'Heysel da solo, ho conosciuto Renato in fila allo Juventus
club Roma, ci siamo messi a chiacchierare (anzi gli avrò attaccato
il pippone io o mia mamma che era con me) e ancora oggi siamo amici,
sono stato al suo ricevimento di matrimonio qualche mese fa ed ho
anche sbagliato ricevimento prima di imbroccare quello giusto. Insomma
alla fine vado io e naturalmente con questo Renato e tutta la sua
famiglia. Cambiamo i biglietti in aereo con altri, perché io avevo
la curva M, Renato e la sua famiglia la curva Z. Suo papà , uno
con un grande naso, scambia i biglietti con un altro gruppetto credo.
Arriviamo allo stadio col pullman, e c'è uno con una zebra di peluche
che sta con noi sul pullman. Attraversiamo il ponticello e arriviamo
allo stadio, entriamo all'apertura dei cancelli. Poi il casino dall'altra
parte, non capiamo se la partita è valida, arrivano voci di feriti,
gli ultras in basso da noi sfondano la rete e attraversano il campo
per fare a botte, poi si scatenano contro la polizia... Di là intanto
tutta la gente è in campo... Io faccio un sacco di foto... Non si
capisce più nulla... Scirea parla all'altoparlante dice "giochiamo
per voi", allora pensiamo che la partita si gioca, ma non sarà valida...
Sembra una atmosfera irreale... Poi il rigore, il gol e Platini
esulta... Ma cavolo allora è valida sennò che cavolo esulta Michel
?? E allora cantiamo e urliamo, soffriamo per un po' ma poi finisce...
Solo all'uscita mi rendo conto che qualcosa di strano è successo.
Ci sono i carri armati. Poi cerchiamo di attraversare il ponticello
per arrivare ai pullman, è notte, ma il ponticello è stato sbarrato,
lo scavalchiamo lo stesso perché non conosciamo le strade. Poi un
urlo: gli hooligans e scappiamo per un po'... Io gli hooligans non
li ho visti ma tutti corrono... Mi sono perso porca miseria. Sto
da solo. E adesso come lo trovo il pullman ? Giro un po'... Anzi
mi aggiro... E dopo un po' vedo in lontananza sopra le teste quella
zebra di peluche... Azz, quello era sul mio pullman io lo seguo
da lontano, svolta a destra, svolta a sinistra ed ecco i pullman...
C'è anche Renato, la mamma, il papà col naso lungo e il fratello
e pure un amico del fratello. Mentre andiamo all'aeroporto passano
tante ambulanze... Arriviamo all’aeroporto e si parla di feriti,
di alcuni morti allora cerco di telefonare... File chilometriche
ai telefoni... Allora montiamo sull'aereo. E lì ci fanno aspettare
un sacco di tempo, vediamo gente col sangue addosso, con delle fasciature,
ormai abbiamo capito. E' una coppa maledetta bagnata di sangue...
Arriviamo a Ciampino alle 8 del mattino, è già giorno e ci sono
le telecamere della RAI, il telegiornale … Mi inquadrano con la
bandiera in mano, quella di raso e strisce... Qualcuno mi dirà poi
che anche con i morti avevo la bandiera spiegata. Torno a casa e
trovo Mamma che piange, mio fratello che afferma che lui in tv aveva
visto la bandiera, Papà è distrutto. Sono stati sotto al ministero
della Farnesina a sentire i nomi dei morti, tutta la notte. Solo
adesso capisco. Poi vado a vedere Roma - Juventus l'anno dopo e
in curva c'era scritto grazie Liverpool ! E a Firenze, città della
cultura scrivevano qualcosa come "39 gobbi in meno", oppure, "minime
all'estero: Bruxelles - 39". Ah, le minoranze becere, che quando
c’è la JUVE di mezzo sono qualcosa in più di semplici minoranze...
19 Maggio 2010
Fonte: Dal libro "Heysel 29 maggio
1985 - Prove di memoria" di Emilio Targia
A-Z |
ANONIMO 1
Tragedia Heysel 1985, oggi il 29esimo
anniversario. La testimonianza di un lettore
Una notte che doveva essere una
festa, ma che divenne un incubo
di Alessandro Gazzera
Un
nostro lettore era, come tanti, a vedere la finale Juventus-Liverpool
del 1985 all’Heysel. Con molta pazienza e non poca emozione ha voluto
raccontare a cronacatorino.it la sua storia: Ciao, da dove vuoi
cominciare ? – "Arrivammo a Bruxelles in treno con moltissimi tifosi
bianconeri, eravamo io e mia moglie. Arrivati alla stazione e vedendo
tutto calmo e triste cercai di ravvivare i presenti sventolando
la mia sciarpa, ma un poliziotto mi disse "Lasci perdere, è meglio"…
Subito non capii o meglio afferrai qualche istante dopo". Un gigantesco
tifoso del Liverpool venne a sbattermi contro… Aveva un bottiglione
vuoto in mano e puzzava di alcool, cercai di dire qualcosa, ma mia
moglie mi invitò a lasciar perdere". Durante il tragitto per lo
stadio notasti qualcosa ? – "Sapevamo che c’erano stati tafferugli,
ma non c’era una vera preoccupazione per qualcosa". In che settore
eri dello stadio ? – "La cosiddetta "Tribuna", un ammasso di panche
di legno e bottiglie di alcolici vuote… Un amico lavorava alla comunità
europea e ci aveva trovato i biglietti lì". Poi cosa successe ?
– "Scoppiò il finimondo…. Gli inglesi, mal sorvegliati, si spinsero
nel settore Z schiacciando le famiglie e i ragazzi in quel settore…
L’esito lo sappiamo tutti: 39 morti". Ma voi avevate capito quanti
morti c’erano ? – "Si parlava di 1 morto all’inizio, c’era un politico
italiano sotto di noi che fu portato via e noi temendo il peggio
decidemmo di andarcene prima dell’inizio della partita". Com’era
la situazione fuori lo stadio ? – "Tutto un macello, la gente cercava
di raggiungere la fermata della Metropolitana dopo quella dello
stadio temendo di trovare gli hooligans, facemmo così anche noi.
Prendemmo in tempo la Metro e nel vagone vi era una coppia che dopo
poco si capì essere inglese". Che successe ? – "Li guardai con odio,
anche se non c’entravano nulla… Lui tremava dalla paura e lei piangendo
riuscì solo a dire "Sorry". Cambiai vagone, ero arrabbiato, troppo
che temo gli sarei saltato addosso". Perché raccontare questa storia
? – "L’Heysel non è solo una tragedia riguardante i tifosi bianconeri,
ma tutti, è una pagina nera che non si può cancellare e che molti
hanno cercato di cambiare o oscurare… Spero di dare il mio aiuto
a mantenere viva la memoria"…
29 maggio 2014
Fonte: Cronacatorino.it
A-Z |
ANONIMA 2
Heysel, il racconto di una testimone:
"Ecco cosa è successo"
di Manila Alfano
Il racconto di chi quella notte
dell'85 ha visto morire 39 tifosi italiani in una delle più grandi
tragedie della storia del calcio.
Plastica
e ovattava eppure inconfondibile. Per anni quella sera dell'Heysel
per me non è stata che una strana serata incollati alla televisione.
"Avevo sette anni e allora non si usava spiegare molto ai bambini.
Mi limitavo perciò a trarre fantasiose conclusioni basate su (pochi)
fatti. Vedevo mio padre con gli occhi fissi sullo schermo e mia
nonna ripetere: mio Dio. Subito dopo il telefono che non smetteva
di suonare. Erano i parenti che volevano sapere. Sentivo nell’ aria
un certo fervore, ne ero quasi eccitata. C'era in sottofondo un
Pizzul agitato commentare con voce sempre più nervosa e giocatori
sfilare con facce tristi. Non avevo collegato che mia mamma che
a casa non c'era era proprio lì. Tra quei corpi caduti come per
gioco uno addosso all’altro, tra quella gente insanguinata che guardava
inebetita le telecamere. Per anni per me quella sera di quasi estate,
con i pantaloncini corti e le finestre aperte è stata certo così
strana da sembrare un gioco eccitante. Ero andata a dormire così:
sapendo che qualcosa c'era, ma senza sapere davvero cosa aspettarsi.
Carica più di incosciente euforia che consapevole preoccupazione.
Quella era tutta addosso alla mia famiglia. Mia mamma era partita
accettando di organizzare un viaggio, ancora uno, si era detta,
come ai vecchi tempi quando appena finiti gli studi accompagnava
gruppi. Aveva girato il mondo, e andare a Bruxelles con un gruppo
di tifosi allo stadio sembrava una banalità. E' tornata cambiata
per sempre, incapace da allora di stare per più di due minuti in
un posto affollato. Niente centri commerciali, niente cinema. Anche
al supermercato cerca con lo sguardo le uscite di sicurezza e la
folla la terrorizza: "Ti potrebbero schiacciare" ripete come un'ossessione;
convinta ancora oggi che solo una mano invisibile l'abbia miracolata
quel giorno, fatta scivolare giù, fin sotto alla rete, a quella
maledetta transenna di ferro che le impediva ormai di respirare,
liberata dal peso di quei corpi pesanti e molli che le cadevano
sulla schiena. "Il respiro. Il respiro sempre più corto di quell'uomo
che mi schiacciava e sempre più pesante addosso. E poi eccoli. Li
ho visti arrivare con la coda dell'occhio. Con le spranghe, i bastoni
in mano. Cosi ho chiuso gli occhi. Credevo che mi avrebbero ammazzata.
Sdraiata sotto quei corpi mi hanno creduta morta e me la sono cavata
con un calcio". Di quel pomeriggio del giorno dopo ricordo solo
poche frasi di mia madre, eppure indelebili. Ero felice di averla
a casa e non al lavoro. Era arrivata stanca e arruffata, senza le
scarpe ai piedi e con la sua cartellina di stoffa gialla macchiata
di rosso stretta in mano. Era tutto in quella cartella, i documenti
dell'intero gruppo, i biglietti per il viaggio. Per questo, quando
si era accorta di averla persa ha girato per mezzo stadio, con i
piedi nudi, e i vestiti sporchi di sangue, scansando corpi privi
di vita e poliziotti che le intimavano di uscire. Incosciente, diremmo
oggi è qui. Il suo pullman è tornato senza due persone. Trent'anni
dopo nell'armadio di mia madre c’è ancora quella valigetta. Nessuno
l'ha dimenticata eppure da quel giorno nessuno ha più avuto il coraggio
di guardarci dentro. Resta lì, tutti lo sanno ma nessuno ne ha più
parlato".
30 maggio 2015
Fonte:
Ilgiornale.it
A-Z |
|