L'aggressione prima dell'incontro, i
fans rossoneri assediati nello stadio
fino a notte
Tifoso
ucciso, guerriglia a Genova
Sedici
feriti, sospesa la partita Genoa-Milan GENOVA
- Poco dopo le 13, Genoa-Milan è
cominciata così: Vincenzo Spagnolo,
tifoso genoano, accoltellato al ventre,
un altro giovane al collo, un altro alla
schiena. Un morto, sedici feriti. Ed è
finita all'inizio del secondo tempo
quando i giocatori sono tornati in campo
e i milanisti sono stati accolti al
grido di "Assassini, assassini". La
partita è stata sospesa per lutto (nella
foto un momento degli scontri sugli
spalti di Marassi). È la prima volta che
un incontro di campionato viene
interrotto per l'uccisione di un tifoso.
Ma la sospensione, sollecitata dai
tifosi, non è servita a placare gli
animi. Per tutto il pomeriggio si è
protratta nel centro cittadino una
guerriglia con decine di auto bruciate,
molotov e altri feriti. Trenta, quaranta
tifosi del Milan sarebbero arrivati alla
stazione Brignole su un treno non
segnalato alle forze dell'ordine: erano
senza bandiere, senza sciarpe. In via
Bobbio hanno iniziato a insultare e
aggredire i tifosi del Genoa: "Venite
avanti, se avete coraggio". 30
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 30 GENNAIO 1995
Tragica
domenica a Genova. Il mondo dello sport
sotto choc per la nuova esplosione di
violenza
Tifoso
ucciso a coltellate, il calcio si
ribella
Giovane
sostenitore del Genoa aggredito prima
dell’incontro con il Milan. Partita
sospesa a metà gara: non era mai
accaduto. Assediato lo stadio,
guerriglia nelle strade. Settecento
milanisti bloccati sino a notte. C'è chi
chiede l'interruzione del campionato. GENOVA
- Un ragazzo di 25 anni, Vincenzo
Spagnolo, colpevole soltanto di essere
un tifoso genoano, è stato ucciso con
una coltellata al cuore poco prima della
partita Genoa Milan, in uno scontro
fuori dallo stadio. Quando la notizia si
è diffusa a Marassi, le due squadre, con
un gesto senza precedenti, hanno deciso,
in segno di lutto, di non scendere in
campo per il secondo tempo. Da quel
momento si è innescata una spirale di
violenza che ha tenuto la città in stato
d’assedio fino a tarda sera: scontri,
cariche di polizia e carabinieri, decine
di arresti e feriti. Soltanto verso
mezzanotte 700 tifosi milanisti, che
erano stati trattenuti nello stadio per
evitare incidenti con i genoani, sono
stati portati a Milano con pullman della
polizia. Gli aggressori, raccontano i
testimoni, non erano ultras "in divisa".
Il fatto che d'un tratto, da sotto i
loden e le giacche eleganti siano
spuntati fuori pugnali, catene e borchie
per colpire fa pensare a una forma di
travestimento per sfuggire ai controlli.
Diversi indizi, all’esame della squadra
mobile, avvalorano l’ipotesi di un
omicidio addirittura premeditato. Il
gruppo armato, una ventina di giovani in
tutto, è giunto non con i pullman usati
dai tremila tifosi milanisti, bensì con
un treno. Dalla stazione Brignole si è
avviato verso lo stadio. Alle 13.45 la
banda è arrivata all’altezza di Marassi,
ma sul lato opposto del Bisagno; e il
sanguinoso scontro è avvenuto al
"Gazebo", vicino alla sede del
Coordinamento club rossoblù, probabile
obiettivo della spedizione. Il mondo del
calcio è sconvolto: qualcuno chiede di
sospendere il campionato. 30
Gennaio 1995 Fonte:
Il Corriere della Sera
ARTICOLI 30 GENNAIO 1995
Quando
muore il gioco di
Roberto Beccantini Ora che
la violenza da stadio ha falciato
un'altra vita (un'altra: non la prima),
noi pensiamo che proprio in morte di
Vincenzo Spagnolo, il giovane tifoso del
Genoa accoltellato ieri pomeriggio nei
dintorni di Marassi da teppisti infami,
a poche ore dall'inizio della partita
con il Milan, debbano essere squarciati
i veli dell'ipocrisia e scacciati i
mercanti dal tempio: la notizia non è la
turpe imboscata e l'abominevole lama che
scatta e uccide, la notizia è la partita
sospesa. Sospesa per lutto. In Italia, a
Genova, ieri. Non era mai successo.
Nemmeno quando un razzo aveva trapassato
da curva a curva Vincenzo Paparelli
durante un derby all'Olimpico,
nell'ottobre del 1979. E neppure allo
stadio Heysel di Bruxelles, dieci anni
fa, quando le vittime della follia
omicida degli hooligans inglesi erano
state, addirittura, trentanove: Juventus
e Liverpool giocarono su ordine dei
grandi timonieri, terrorizzati - così ci
dissero, cosi scrivemmo - che il
sabotaggio del Te Deum pagano potesse
scatenare istinti ancora più bestiali, e
mietere sacrifici ancora più imponenti.
Di solito, noi addetti ai lavori ci
abbandonavamo a reazioni di farisaica
routine: elzeviri grondanti sdegno,
tavole rotonde piagnucolose e
inconcludenti, condanne generiche,
anatemi a telecomando. Atti concreti,
zero. La sospensione della partita di
Genova, dovuta alle squadre del Genoa e
del Milan, non importa se su proposta
dei tifosi, è il primo. Lo
sottoscriviamo in pieno. Si tratta di un
segnale forte: di fronte alla morte non
sta scritto da nessuna parte che lo
spettacolo debba continuare, costi quel
che costi. La tv si è adeguata, e, pare,
si adeguerà. Quelli che il calcio si
sono ritirati, lasciando spazio e voce
alle chirurgiche radiocronache delle
partite. Novantesimo minuto, Domenica
Sprint, La Domenica sportiva e Pressing
hanno ridotto al minimo servizi ed
enfasi. Questa sera non andrà in onda il
Processo di Biscardi, trincea dalla
quale, per anni e anni, si è sempre
soffiato sul fuoco, in un crescendo di
inaudite volgarità. Non basta. Non può
bastare. Non deve bastare. Ci stupisce
Matarrese, che esecra l'omicidio salvo
farfugliare che il calcio non dovrà
fermarsi mai più, pena la sua (di lui ?)
scomparsa. Il problema è proprio, e
tutto, qui. Nel pensare che il calcio -
e con esso lo sport - non debba mai
fermarsi. Viceversa, sarebbe l'ora che
federazione e leghe riflettessero un
momentino, prima di "riflettere"
immagini e propositi. Se bisogna
guardarsi dalla matrice fascista
(incidenti di Brescia-Roma), e, più in
generale, da tutti coloro che
dall'esterno premono verso il cuore del
sistema, è altresì fuor di dubbio, come
denunciato a più riprese dall'avvocato
Campana, che società e ultras hanno
trescato e banchettato dietro le quinte
per troppo tempo, le prime foraggiando i
secondi, i secondi taglieggiando le
prime. Ripetiamo: la guerriglia di
Marassi, in puro stile Arancia
Meccanica, non è una novità. E meno che
mai lo è, purtroppo, il bilancio
"ceceno". Il fatto nuovo non può essere
che la presa di coscienza di tutti noi.
Del governo, del Coni, della Figc. C'è
chi propone di abolire le trasferte dei
tifosi, un vecchio pallino di
Berlusconi, e chi, a sostegno di una
tesi così ardita, disegna scenari
televisivi, in maniera da scoraggiare
viaggi e agguati (Nizzola, presidente
della Lega professionisti). Mai come in
questo momento c'è bisogno di
un'adesione totale. Siamo in guerra, e
il nemico è sempre uno di noi. Non da
oggi, la violenza genera violenza.
Mancano modelli con cui crescere i
giovani. L'educazione sportiva degli
italiani si riduce a un tifo selvaggio,
spesso incivile. L'Heysel non ci ha
insegnato nulla. O, al limite, lo ha
insegnato agli inglesi. Vincenzo e i
suoi cari meritano, com'è vero Iddio,
che l'intifada di ieri porti a un nuovo
modo di regolare i rapporti fra calcio e
società. I club comincino a pagarsi le
spese del servizio d'ordine. Homo homini
lupus: stiamo attenti, perché ormai ci
siamo. 30
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 30 GENNAIO 1995
Fazio
interrompe la trasmissione, stasera
soppressi il "Processo" e "Mai dire gol"
Choc in
diretta, si spegne la tv del calcio
Maroni
denuncia: le società non isolano i
violenti di Pino
Corrias MILANO
- "Era necessario". Così Fabio Fazio,
conduttore di "Quelli che il calcio...",
ha commentato l'interruzione del
programma subito dopo la notizia
dell'omicidio davanti allo stadio di
Genova. "Non ci sono parole. Ogni parola
è retorica. È tutto inutile. E poi
questi assassini neppure le leggono le
nostre dichiarazioni, il nostro sdegno.
Sono delinquenti: bisogna solo
disprezzarli e, per certi versi,
compatirli". Ieri si è "spenta" la tv
del calcio. Mentre il Tg3 mandava in
onda un'edizione speciale con i commenti
di Everardo Dalla Noce, ancora sconvolto
per l'esperienza di Genova, e di Marino
Bartoletti, altri conduttori di
programmi sportivi hanno deciso di
sospendere, per protesta e per
solidarietà con la famiglia del ragazzo
morto, i loro programmi. Niente risate,
quindi, con la Gialappàs di "Mai dire
gol" su Italia 1, e oggi non andrà in
onda neanche il "Processo di Biscardi"
su Tele+ 2. "Questa sarà la prima volta
in 15 anni", ha dichiarato il popolare
conduttore. Intanto, Roberto Maroni, ex
ministro dell'Interno, ha usato parole
dure contro le società calcistiche:
"Adesso basta, le società devono
prendersi le loro responsabilità.
Conoscono i violenti. Sanno quali sono i
club a rischio, ma fino ad ora non si
sono mosse, o si sono mosse pochissimo".
L'ex ministro non ha usato mezzi
termini: "Penso che la leggerezza con
cui vengono trattati i club, penso che
la mancanza di una autoregolamentazione
delle società che imponga
l'allontanamento dei violenti dalle
proprie tifoserie sia una forma di
connivenza inaccettabile. Le società
sono troppo tolleranti con i propri
club, li usano e si fanno usare". 30
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 30 GENNAIO 1995
Matarrese: "Sono contrario allo stop" ROMA -
Il presidente della Figc, Matarrese, è
forse l'unico che accetta malvolentieri
lo stop al calcio: "Forse era l'unica
decisione, forse l'avrei presa anche io.
Ma non è la soluzione, così si uccide il
nostro mondo, io a Bruxelles ero tra chi
voleva che si giocasse. So che queste
parole non piaceranno ai genitori del
giovane ucciso. Noi, però, non possiamo
consentire che assassinino il nostro
mondo. Qui siamo di fronte ad un
assassino, che non appartiene a noi.
Perché è accaduto ? Perché questa è
l'Italia di oggi, un Paese da
ricostruire insieme. Questo pomeriggio
mi incontrerò con il presidente del
Coni, Pescante. Prenderemo le decisioni
necessarie". Anche la sospensione del
campionato ? "Non anticipo nulla. È il
momento di decisioni importanti". (r.
cri.) 30
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 30 GENNAIO 1995
Genova:
l’aggressione nelle vicinanze dello
stadio prima dell’incontro
Scia di
sangue sul campionato
Pugnalato a morte un tifoso, sospesa la
partita di
Pierangelo Sapegno GENOVA
DAL NOSTRO INVIATO - Vincenzo, Vincenzo.
Diranno che il calcio è un ciuco, e che
non si può morire per un gioco, dicono
sempre così. C'era una ragazza che
piangeva seduta su un gradino, in via
Malta e ripeteva Vincenzo, Vincenzo.
Poco dopo le 13, Genoa-Milan è
cominciata così, Vincenzo Spagnolo
accoltellato al ventre, un altro giovane
al collo, un altro alla schiena: un
morto, sedici feriti (uno grave). Magari
è finita all'inizio del secondo tempo
quando i giocatori sono tornati in campo
e i milanisti sono stati accolti al
grido di "Assassini assassini" e
l'arbitro ha rimandato tutti dentro, o
più simbolicamente, alle 5 della sera,
quando Fabio Capello ha percorso da
solo, con le mani in tasca e la testa
bassa, il prato verde tutto deserto,
sotto gli spalti vuoti, solo
quell'angolo riempito nella gradinata
Sud dai tifosi del Milan, 800 tifosi. O
magari non finirà mai, non finirà più,
Genoa-Milan. C'è un morto, ci sono 7
feriti gravi e tanti altri ancora, e c'è
una guerriglia che continua, una
guerriglia terribile con decine di auto
bruciate, scontri, molotov e altri
feriti. Ma c'è dell'altro, c'è la
violenza come rappresentazione, come
ideologia della partita, come
organizzazione. C'è tutto, a
Genoa-Milan, la prima partita di calcio
sospesa per lutto, "E’ stata
un'aggressione preparata con cura, da
alcuni tifosi del Milan", raccontano in
Questura. "Qualcosa di incredibile",
dice uno degli inquirenti. Vero, falso ?
Tutto strano, questo sì: 30-40 tifosi
del Milan che sarebbero arrivati alla
stazione Brignole su un treno non
segnalato alle forze dell'ordine; e che
vanno allo stadio senza bandiere, senza
sciarpe, senza niente, vestiti solo come
turisti ("sembravano dei giapponesi",
dirà un testimone); e che in via Bobbio
cominciano a insultare e aggredire i
tifosi del Genoa: "venite, venite
avanti, se avete coraggio". Qualcuno ci
casca, si fa sotto, e spuntano i
coltelli nascosti sotto ai loden blu.
L'aggressione diventa una caccia
all'uomo: i tifosi rossoblù cercano
scampo in via Malta, lì dietro, nella
sede del Coordinamento dei club. Anche
Vincenzo Spagnolo cerca di salvarsi la
vita così, ma riesce a fare solo pochi
passi dal gazebo, il luogo dello
scontro. Vincenzo, Vincenzo: "Io l'ho
visto che correva verso di noi, e l'ho
preso, gli ho detto stenditi", dice
questo ciccione con l'orecchino. "Aveva
la bava alla bocca". E Pippo Spagnolo,
il capo dei tifosi genoani sembra quasi
piangere: "Gli ho tirato su la maglia, e
aveva uno squarcio che partiva dal
ventre. Cristo, gli ho rimesso la maglia
sopra". Ed è morto, Vincenzo, 25 anni,
tifoso del Genoa, giovane senza lavoro,
fino a pochi giorni fa militare. "Mi ha
buttato le braccia al collo ed è
caduto", dice il ciccione. Lo portano
via con l'ambulanza, e la sua fidanzata
piange sugli scalini di via Malta.
Vincenzo viveva con papà e mamma, Cosimo
e Lina, "ed era un bravo ragazzo",
ripetono gli amici. Papà Cosimo piange:
"Ma come si fa a morire così a 25 anni
?". Ha ragione lui, Cosimo Spagnolo,
come si fa. Ora, ci sono le macchie di
sangue sul tappeto, le strisce sulle
pareti, lo straccio rosso abbandonato in
un angolo, dietro a un tavolino. La
morte lascia anche questa fotografia
dalle tenebre, nelle sale del Centro
Coordinamento dei tifosi genoani. Un
tifoso ucciso, altri sette gravi, un
agguato e poi la guerriglia, una partita
sospesa, gli scontri che continuano nel
buio. Genova stupenda sotto al tramonto,
colori lancinanti e queste tenebre
attorno al vecchio stadio, monumento del
calcio. È successo qui, ma poteva
succedere in qualunque stadio d'Italia,
in qualunque posto e in qualunque
domenica dove si affrontano due fazioni,
due bandiere. Pippo Spagnolo, il capo
dei tifosi, solo omonimo della vittima,
cerca di ricordare: "Gli aggressori
erano armati di coltello, non avevano né
sciarpe né bandiere e poi secondo me non
sono nemmeno andati allo stadio, sono
fuggiti verso via Montaldo". Per
arrivare lì, erano passali da via
Canevari dove avevano aggredito altri
quattro tifosi del Genoa, spingendoli
contro il muro e malmenandoli. "Erano
milanesi", dice un altro tifoso,
"parlavano tutti con accento lombardo".
Adriano Caviglia e Giovanni Villani:
"Abbiamo visto borchie, catene e
coltelli. Chi ha detto che sembravano
turisti ?". Quando poi la notizia si
sparge allo stadio, alla gradinata Nord,
comincia la seconda parte del dramma.
"Hanno ucciso uno dei nostri",
cominciano a gridare. I tifosi del Genoa
si ribellano, non vogliono più saperne
della partita. Urlano: "Assassini,
assassini", lanciano bottiglie in campo,
volano monetine, anche sassi. "Quando
siamo rientrati in campo non ci siamo
subito resi conto di quel che era
successo", racconterà poi Vincenzo
Torrente, capitano rossoblù: "Sono
andato alla curva e un tifoso mi ha
spiegato perché protestavano. Sono
tornato in mezzo al campo, ho riferito
all'arbitro e allora anche Baresi ha
detto che non si doveva giocare più".
Partita sospesa. I tifosi del Genoa
escono, ma si fermano proprio vicino al
luogo degli scontri, urlano che vogliono
aspettare quelli del Milan, tirano su
barricate tra via Moresco e via
Canevari. Gli ottocento al seguito del
Milan vengono tenuti dentro, in attesa
che ritorni la calma. Pia illusione. I
trecento che stanno fuori rovesciano i
cassonetti, bruciano i rifiuti,
distruggono tutte le macchine targate
Milan. Sono armati di bastoni e
spranghe, stanno asserragliati dietro
reti vuote, assi di legno, letti
rovesciati. Si scatenano contro le
vetture e i furgoni della Rai e della
Fininvest. Due operatori Rai devono
scappare e barricarsi dentro un'auto,
protetti dalla polizia. C'è la storia
intera del calcio moderno in questo
pomeriggio di violenza a Genova. Adriano
Galliani, amministratore delegato dei
rossoneri: "L'incidente è stato
provocato da qualcuno estraneo ai nostri
club". E anche Spinelli, presidente del
Genoa, butta acqua sul fuoco: "Questa è
una violenza che viene da fuori, che non
c'entra con il nostro mondo". Gli
scontri, però, vanno avanti. Arriva il
prefetto, Aldo Marino, e poi il
questore, Antonio Pagnozzi. Alle 18 c'è
anche il sindaco, Adriano Sansa, che è
convinto di riuscire a metter fine alla
guerriglia. Lampi e clangori nel buio.
Lui, il sindaco, s'avanza, passa il
confine della tregua, una linea
immaginaria segnata vicino a una grande
bottiglia di vino rosso. Appena va oltre
quella bottiglia di Magnum, viene
assalito dal lancio di bottigliette e
monetine. È costretto a tornare
indietro, va da Pippo Spagnolo e gli
chiede se può convincerli: "Io voglio
andar là per spiegare loro che adesso
tutti i tifosi del Milan che sono lì
dentro verranno schedati e che
l'assassino sarà preso. Ma che loro
devono smetterla, basta morti, basta
feriti, basta violenza". Spagnolo
ascolta, dice: "Vado io ad avvertirli
che tu arrivi". Va, e torna, sconfitto:
"Non è il caso. Non è questo che
vogliono, che i tifosi del Milan se ne
vadano a casa come se non fosse successo
niente. Chiedono giustizia, vogliono
vendetta". Così, da una parte e
dall'altra, la guerriglia continua. È
sorda e orrenda la violenza. Da una rete
Fininvest sparano altro allarmismo
sconsiderato: "Sembra che i tifosi del
Genoa stiano preparando le taniche di
benzina per assaltare lo stadio". Non è
vero. Però, sono vere e terribili queste
immagini di orrore, nelle tenebre di
Genova, odore di bruciato, macchine e
cassonetti distrutti, altri feriti. Alle
dieci della sera, si contano venti
tifosi genoani fermati, e tutti i
milanisti ancora dentro allo stadio.
"Dobbiamo schedarli", dicono gli
inquirenti. Fuori dallo stadio, qualche
ultra rossoblù si è arreso, altri sono
stati dispersi dalle cariche e dai
lacrimogeni. Ma la tensione c'è ancora
tutta, grappoli di violenza, grida e
paura. Genoa-Milan continua nella notte,
attorno allo stadio vuoto, un tempio
dissacrato, senza luci e senza vita, che
raccoglie gli echi del dolore. Eravamo
in trentamila, una splendida giornata di
sole. Genoa-Milan giocavano per noi. 30
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 30 GENNAIO 1995
"Non ce
la sentiamo più di giocare"
Dall'altoparlante annuncio choc di
Baresi e Torrente di
Bruno Bernardi GENOVA
- Ass-ass-ini, assas-sini". Un urlo
breve, intenso, ripetuto dieci, venti
volte, a squarciagola. Sono le tre e
mezzo del pomeriggio quando Baresi,
Torrente e gli altri ritornano in campo
per giocarsi il secondo tempo. Né i due
capitani né gli altri sanno niente. Ma i
quarantamila del "Ferraris", invece,
sono già informati. A dirglielo, venti
minuti prima, era stato il radiocronista
di "Tutto il calcio minuto per minuto".
"Vi devo interrompere - aveva detto
Emanuele Dotto, prendendo la linea con
voce solenne per darvi una brutta
notizia. Il tifoso genoano accoltellato
prima della partita purtroppo è morto
all'ospedale". E poi avanti, con gli
spiccioli di cronaca del primo tempo.
Fin dall'inizio era corsa voce, in
tribuna e nelle gradinate, di uno
scontro tra le due fazioni (nemiche da
sempre), una di sostenitori milanisti
non etichettati, senza sciarpe e
bandiere, e una di tifosi genoani.
Testimoni raccontavano d'aver visto
anche una lama, di aver sentito le urla
di un tifoso rossoblù mentre si
accasciava a terra con l'addome
squarciato, caricato poi su
un'autoambulanza che correva verso furia
si scatenava quando le squadre sbucavano
dal sottopassaggio con in testa arbitro
e capitani, e Sebastiano Rossi, il
portiere dei campioni d'Italia, tentava
di raggiungere la sua posizione, sotto
la gradinata Nord. Ma il portiere non
poteva neppure avvicinarsi alla linea di
porta, bloccato da un lancio di oggetti
(bastoni e l'ospedale San Martino. Ma,
al fischio d'inizio, nessuno poteva
immaginare il peggio. Fino a quel
maledetto 38', quando l'arbitro Beschin
ammoniva Di Canio per simulazione dopo
un contrasto in area, e dalle radioline
arrivava la terribile notizia. La
reazione è stata violenta e immediata,
anche se i giocatori non hanno intuito
subito. Sulla gradinata Nord, quella dei
supporters rossoblù, si notava un
ondeggiamento crescente, con un
minaccioso agitarsi di bastoni e aste di
bandiere: era l'inizio della violenta
contestazione che, all'inizio della
ripresa, ha poi bloccato il gioco per il
lancio di oggetti in campo. Le aste,
bottigliette, frutta, monetine,
addirittura dei grossi pezzi di
porcellana divelti dai servizi igienici)
che riempivano in pochi minuti l'area di
gioco. Rossi alzava il ditino, ancora
non sapeva e non comprendeva le ragioni
della violenta protesta. Poi quel grido,
"assassini, assassini", gli faceva
intuire che, quella dei tifosi genoani,
non era un'azione di disturbo. Lo stesso
Beschin, che non poteva sapere nulla, si
rendeva conto della gravità della
situazione e non insisteva a far
riprendere le ostilità. Intanto un
tifoso genoano, impossessatosi di un
idrante antincendio, tentava, senza
troppo successo, di richiamare
l'attenzione indirizzandolo verso il
campo. Le squadre, attonite, stavano al
centro del terreno, attorno all'arbitro.
Fino a quando capitan Torrente non si
avvicinava alla rete che cinge il campo
di gioco, ed un tifoso gli urlava:
"Vincenzo, ti vogliono sotto la
gradinata Nord perché è successo
qualcosa di molto grave e ti devono
parlare". Il genoano correva dietro la
porta del Milan, e là altri tifosi gli
urlavano: "Non dovete giocare la partita
perché hanno ammazzato un ragazzo.
L'hanno accoltellato". In un attimo,
anche chi stava in campo aveva saputo
tutto. Nel sottopassaggio il presidente
del Genoa, Spinelli, l'amministratore
delegato del Milan, Galliani, i due
capitani Torrente e Baresi, si sono
capiti in un attimo: "No, giocare
sarebbe assurdo". E l'arbitro Beschin ne
prendeva immediatamente atto, come pure
il questore Pagnozzi e il prefetto
Marino. Sono stati loro ad assumersi la
responsabilità di sospendere l'incontro,
non solo e non tanto per questioni di
ordine pubblico ma per lo stato d'animo
che impediva alle due squadre di
continuare. Rimaneva un problema: come
comunicare la decisione ai quarantamila
del "Ferraris", che intanto avevano
ritirato tutti gli striscioni in segno
di lutto ? Chi e come parlare in un
ambiente diventato irreale, dove la
tensione si tagliava a fette e le
notizie dall'ospedale (sempre attraverso
le radioline) arrivavano sempre più
drammatiche ("forse c'è un altro giovane
tifoso morto") ? Il compito è toccato a
Torrente e Baresi, che alle 15.50 sono
tornati in campo, e con ampi gesti delle
braccia, mentre parte del pubblico
applaudiva, hanno invitato tutti alla
calma, anticipando la decisione di non
disputare il secondo tempo. Poi, dagli
altoparlanti, l'annuncio: "State calmi e
lasciate lo stadio con calma. Non ce la
sentiamo di continuare, la partita è
sospesa, per lutto". Parlava Vincenzo
Torrente, anche a nome di Franco Baresi,
mentre gli applausi aumentavano. Poi, in
silenzio, i tifosi rossoblù uscivano.
L'inferno continuava lì fuori. 30
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa © Fotografia: Magliarossonera.it
ARTICOLI 30 GENNAIO 1995
Vincenzo, Zapata e il Genoa di
Eleonora Bertolotto GENOVA
- L’ultima volta che lo hanno visto in
discoteca, all’"Albatros" di Rivarolo,
quartiere di periferia, è stato due
settimane fa, per il concerto dei
"Fratelli di Soledad". Vincenzo
Spagnolo, che gli amici chiamavano
Claudio, era un ragazzo allegro, sempre
pronto alla battuta, grande appassionato
di musica ska. "Da noi - ricordano
all’Albatros - veniva ogni sabato".
L’ultima volta che lo hanno visto i
vicini di casa è stato domenica, poco
prima dell’una. Scendeva le scale, con
la sorella Romina. "Lo ha incontrato mio
marito che rientrava per il pranzo -
dice una signora - e Vincenzo, che lo
sapeva sofferente di cuore, gli ha dato
una pacca sulla spalla: "Coraggio, non
si affatichi". E mio marito: "Dove vai
?". Risposta: "Alla partita: speriamo di
non prenderle". Si riferiva alla
squadra, naturalmente. Piange la vicina
di casa. Dice: "Vorrei scendere, per
parlare con la famiglia. Ma non posso,
non ho il coraggio. Una disgrazia così,
che dolore". Nessuno, in questa casa di
via Digione, quartiere di portuali,
trova parole diverse per raccontare chi
fosse Vincenzo: "Un bel ragazzo,
educato. Sempre pronto a dare una mano,
se qualcuno aveva bisogno d'aiuto". Lo
conoscevano tutti: era nato qui,
primogenito di una famiglia del Sud.
Tutti ricordano i giochi scatenati nel
cortile a pozzo dell’enorme caseggiato,
quando i bambini erano moltissimi e il
cortile non restava mai, come ora, senza
voci. Tutti ricordano le liti di
bambini: Vincenzo, genoano, assediato
dai compagni che tifavano Samp. La
passione per il Genoa è maturata qui
("Il miglior regalo che gli si poteva
fare, a quei tempi, era una maglia o un
paio di calzoncini rossoblù") e non lo
ha mai lasciato. "Allo stadio ci andava
regolarmente, una settimana sì e una no,
quando giocava la sua squadra. Lo
conoscevano tutti sulle gradinate.
Prima, qualche volta seguiva il Genoa
anche in trasferta. Adesso non più".
Adesso, il suo problema più grande era
il lavoro. Aveva studiato da
odontotecnico, ma non era riuscito ad
inserirsi in un laboratorio. Subito dopo
la scuola, aveva trovato qualche
occupazione saltuaria. Poi era partito
per il servizio militare. Tornando,
situazione invariata. Dicono gli amici:
"Il padre, Cosimo, geometra di Ilva, era
andato in pensione. Delle due sorelle,
Maria Grazia e Romina, solo la prima era
impiegata. E lui aveva finito per
accettare di trasferirsi in Sardegna:
faceva l’agente immobiliare per conto di
un parente. Restava qualche mese laggiù,
poi ritornava. Adesso, era rientrato a
dicembre". La sua idea fissa, comunque,
era tornare a Genova: la famiglia, gli
affetti, gli amici, li aveva tutti in
questo quartiere popolare, San Teodoro.
"Per questo, la prossima settimana
avrebbe avuto un colloquio di lavoro.
Sperava di potersi sistemare come
magazziniere". Vincenzo faceva anche
parte del Centro sociale Zapata, di
estrema sinistra, che a Genova ha
organizzato una serie di occupazioni di
locali abbandonati per creare nuovi
luoghi d'incontro per i giovani. Un
amico in lacrime racconta: "Diceva che
solo così sarebbero cresciuti. Lui
voleva unire, non dividere". 31
gennaio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 31 GENNAIO 1995
È un
ultra milanista di 19 anni: dopo
l'omicidio è andato allo stadio,
smascherato dai compagni
"L'ho
accoltellato per difendermi"
Confessa in lacrime l'assassino del
tifoso genoano di
Pierangelo Sapegno GENOVA
DAL NOSTRO INVIATO - Adesso dice: "Io
non sono un cattolico, ma se non mi
aveste beccato sarei andato a pregare".
Dice così, adesso che l'hanno preso. Ha
una faccina da bravo ragazzo, assomiglia
persino alla sua vittima. Tutt'e due
giovani, capelli neri, una fede nel
calcio e un lavoro da precari. Così
uguali, questi tifosi da curva, così
banali. Simone Barbaglia, 19 anni da
compiere, ultrà milanista, ha confessato
piangendo come un bambino, e a papà e
mamma avrebbe voluto raccontare una
domenica incredibile: "Dio che casino,
non avete idea...". Non bisogna stupirsi
troppo. Nella logica del branco, in
fondo, Simone non è un assassino, ma
soltanto uno di noi, un uomo di parte.
Come Vincenzo Spagnolo, che gli amici
chiamavano "Spagna" e che avrebbe
cominciato fra pochi giorni a fare il
magazziniere a due passi da casa,
nonostante un diploma da odontotecnico e
malgrado speranze più belle. In via
Bobbio davanti allo stadio, due mazzi di
fiori e una sciarpa rossoblù. È tutto
quel che è rimasto di Genoa-Milan. Aveva
24 anni, Vincenzo, caduto a colpi di
coltello nella rissa davanti allo stadio
un'ora prima della partita che ha
fermato lo sport. Il suo assassino
subito dopo se n'era andato allo stadio
per godersi lo spettacolo come se niente
fosse successo: "Ma io non credevo che
potesse morire, quando l'ho accoltellato
il colpo era basso. Mi sono preoccupato
solo dopo, quando l'ho sentito alla
radio". L'hanno arrestato a Milano, 5
del mattino, a casa sua, palazzo di
periferia, ottavo piano, mentre era
ancora davanti al portone e parlava al
citofono con la mamma. Una cattura tutta
da raccontare, la sua, quasi
incredibile, come è così assurdo, così
irreale, tutto quello che è successo
domenica attorno e dentro al Luigi
Ferraris, vecchio monumento del calcio.
Simone, in realtà, sarebbe stato tradito
proprio dal suo stesso branco, dai suoi
compagni di tribù. Nella terribile
domenica di Genoa-Milan per una volta è
venuta meno questa legge. Perché alcuni
tifosi rossoneri avrebbero raccontato di
aver visto tre giovani confabulare
nervosamente, scambiarsi alcuni oggetti
e poi raggiungere i gabinetti. E qui,
Simone e i due suoi amici si sarebbero
scambiati anche i giacconi. La domenica
di ordinaria violenza è appena
cominciata. "Ero tranquillo", confessa
Simone. Tutto quello che accade da qui
in avanti è l'incredibile cronaca di una
partita che non finisce più. L'annuncio
alla radio della morte di Vincenzo, la
rabbia dei tifosi genoani, l'incontro
sospeso per lutto e gli scontri fuori
dallo stadio. Dentro, sotto alla
gradinata Sud dove vengono trattenuti
924 tifosi milanisti, ci sono anche due
carabinieri in borghese che stanno già
sulla pista di Simone e dei suoi amici,
indicati dagli altri tifosi. Li
seguiranno passo passo, fino a Milano,
facendo con loro il viaggio sul pullman,
ascoltando i loro discorsi e cercando i
loro complici. Quando nella notte,
mezz'ora dopo l'arrivo, i carabinieri
vanno a bussare a casa di Barbaglia
hanno già raccolto abbastanza prove per
costringere Simone a confessare. Lui è
sotto casa, sta parlando al citofono.
"Un attimo", dice. "È meglio che vieni
subito", gli risponde un militare.
Operazione perfetta, in 12 ore hanno
risolto il caso, mentre alla Questura di
Genova cercano addirittura una pista
politica, quasi non credono allo scontro
fra tifosi. "I gruppi di ultrà erano
tutti sotto controllo, 500 arrivati con
il treno e gli altri su 5 pullman",
ripetono. "Impossibile che l'assassino
fosse fra di loro". E
invece no. Quando Simone Barbaglia segue
i carabinieri in caserma è ancora
freddo, sicuro di sé. Ma i militari
sanno già tutto. Lui crolla, perde la
testa: "Oddio, adesso mia madre viene a
sapere che uscivo con il coltello". Papà
e mamma, nel giorno della verità, sono
quelli più increduli. Arrivano di fronte
alla caserma dei carabinieri di Genova e
trovano un grande striscione: "Infame
assassino". Si spaventano, vanno
dall'avvocato Stefano Savi, strabuzzano
gli occhi: "È un errore madornale. Tutto
impossibile". Niente da fare, dice il
legale: "Ha confessato". Una confessione
lunga, prima con i carabinieri. Dice
persino dove ha abbandonalo il coltello
a farfalla, una doppia lama lunga 12
centimetri: "l'ho nascosto in un angolo
delle gradinate, dentro a una scatola
per bottiglie". Lo ritrovano ancora lì,
sporco del sangue di Vincenzo. E poi
ripete tutto al magistrato, il sostituto
Massimo Terrile. Dice: "L'ho fatto per
difesa, perché avevo molta paura". E
racconta: "Siamo partiti da Milano con
il rapido delle 11.05. Alle 13.20
eravamo a Genova. 15 amici, siamo della
banda del Barbour, perché portiamo tutti
giubbotti di questa marca. Dalla
stazione fino allo stadio siamo stati
aggrediti più di una volta dai genoani.
Quando ci siamo affacciati sulla strada
verso la curva Nord, c'è venuto addosso
un altro gruppo. Avevano cinghie e
bastoni. I miei amici sono scappati e io
mi sono trovato da solo. Il coltello ce
l'avevo con me, perché una domenica a
Firenze mi sono trovato disarmato contro
i tifosi della Fiorentina e sono stato
picchiato. Allora, l'ho tirato fuori, ma
solo per difendermi. Me lo sono messo
davanti al petto. Se io fossi stato
dall'altra parte e avessi visto un
coltello così sarei scappato e pensavo
che anche loro avrebbero fatto
altrettanto". E invece, piange, "lui mi
è venuto addosso". Spiega che nella
ressa è stato spinto da dietro e che è
scivolato così, con il coltello
appoggiato sul ventre contro Vincenzo:
"Mi è caduto sotto, ho pensato di averlo
ferito e mi sono spaventato. Ma ero
convinto di non avergli fatto troppo
male. Quello si è rialzato ed è scappato
via. Tutto finito, ho pensato. E sono
fuggito". Ci sono testimoni che però
contraddicono questo racconto. In via
Canevari e in via Bobbio, Simone e i
suoi amici avrebbero aggredito tifosi
genoani più di una volta. Matteo
Gerboni, che era accanto a Vincenzo nel
momento della rissa, ricorda che quello
stesso gruppo aveva appena malmenato un
ragazzino di 16 anni che stava
parcheggiando il motorino: "I passanti
li avevano ricacciati indietro. Loro si
erano messi vicino al gazebo. Erano 5 o
6, e ci sfottevano. Alcuni hanno
reagito, gli sono andati addosso. A quel
punto, nascosti dietro al Bocciardo,
sono spuntati altri milanisti. Ci hanno
circondato, sembrava un'azione
preparata. Avevano tutti coltelli e
catene. Quando Vincenzo è caduto, ha
urlato, ha chiesto aiuto". Matteo gli è
andato vicino, ha cercato di
sorreggerlo. "Non voglio morire così",
ha sospirato Spagna.
31
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 31 GENNAIO 1995
"Ciao
Vincenzo"
Il
padre: mai più andrò a Marassi di
Pierangelo Sapegno DAL
NOSTRO INVIATO - Papà Cosimo è
piccolino, ha una tuta grigia e gli
occhi rossi, quando si affaccia sulla
porta. Quartiere di San Teodoro, di
fronte al porto. "Certo, domenica spero
che non si giochi", dice. Sta sulla
soglia, ripete che è tutto così assurdo
che non riesce a pensare a niente, a
farsene una ragione. "Anch'io sono un
tifoso, e quando Vincenzo era bambino
qualche volta siamo andati insieme al
campo a vedere una partita. Cosa vuole
che dica adesso ? Che ho sbagliato, che
non dovevo ? Ci andavo come si va a una
festa. Non si va a una partita per
morire". Dentro, ci sono voci, pianti.
Mamma Calogera, 45 anni, da
Caltanissetta, spiega che "Vincenzo
aveva appena trovato lavoro come
magazziniere, e avrebbe cominciato fra
pochi giorni. Era da un po' che bussava
a tutte le porte. E adesso l'avevano
chiamato per un colloquio". Vincenzo
Spagnolo è morto prima di tutto questo,
e prima di Genoa-Milan. Era un ragazzo
di sinistra, segnalato alla Digos, sei
anni fa, come un autonomo. Acqua
passata, ripetono adesso in questura.
Aveva studiato da odontotecnico e un
poliziotto che aveva fatto le scuole
assieme a lui, lo ricorda come "un bravo
ragazzo". Dice: "Era il primo della
classe". Domenica a San Martino, nelle
corsie dell'ospedale dove l'avevano
portato subito dopo gli scontri,
Raffaella, la sua ragazza, se ne stava
in un angolo: "Dovevo andare con lui
allo stadio. Ma era in motorino e mi
aveva detto che non poteva portarmi
dietro, perché non c'era posto e perché
c'era tanta polizia a Marassi. Mi aveva
detto: se vuoi venire, ci vediamo lì. E
io allora sono andata con un mezzo
pubblico. Quando sono arrivata, m'è
venuto il cuore in gola, perché nella
via c'era del sangue per terra, c'era
gente che urlava. Sono andata al centro
tifosi di via Bobbio e c'era un mucchio
di gente. Ho chiesto cos'era successo. E
uno mi ha risposto che un giovane era
stato ferito, che era grave. Ho girato
gli occhi, e ho visto il motorino per
terra. Allora, ho capito che era lui
quello ferito. Sono corsa in ospedale e
mi hanno detto che era morto". Raffaella
è andata via piangendo. Cosimo Spagnolo
china la testa. Lo chiama la figlia più
grande, Simona: "Ti cerca il parroco di
San Teodoro". Papà Cosimo sospira: "Non
si può morire per una partita. Non si
può più andare allo stadio". (p. sap.) 31
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 31 GENNAIO 1995
Identikit di un killer senza storia
Gli
amici: era un isolato anche nel calcio di Pino
Corrias REPORTAGE NEL QUARTIERE DI SIMONE MILANO
- Non stupitevi: il ragazzo che con il
suo coltello a farfalla, 12 centimetri
di lama, ha tagliato via la vita a uno
che neanche conosceva, non ha storia. Il
morto ammazzato è la sua traccia, il suo
segno di vita che fino all'altro ieri
era (è stata) un nulla di periferia. Non
lo conoscono in questura, nessun
precedente, nessuna segnalazione. Non lo
conoscono nei Milan Club, perché non era
un tifoso sfegatato. Non lo conoscono
nella via perché si era trasferito da
poco. Non ha mai fatto politica. Non era
di destra, né di sinistra. Non è stato
uno studente speciale. Non aveva
fidanzata. Faceva l'apprendista
giardiniere. Nemici di banda ? Non
risulta. Amici di quartiere ? I pochi
che riesci a scovare (tutti stretti nel
giubbotto, impazienti) al massimo ti
dicono: "Era uno buono", così,
declinando al passato i verbi che vanno
via come un'alzata di spalle. A spremere
domande sulla vita di Simone Barbaglia,
18 anni compiuti lo scorso agosto,
magro, capelli neri, altezza media,
sguardo come acqua che guardi e ti
dimentichi, trovi non un passato, ma la
superficie di un passato, non nodi, ma
fili sparsi. Fili che arrivano, qui, al
presente che da oggi rimarrà perpetuo,
come il coltello, come la confessione.
Tutto qui. E invece bisognerà pure
trovarla una traccia che basti a
riempire il vuoto di una spiegazione.
Non per lui. Magari per sua madre,
Manuela Mariani, che all'una è scappata
via dalla casa, direzione carcere di
Genova, con due borse di cellophane. Lei
e il nuovo marito Norberto Amalfitano,
impiegato di banca. Tutti e due
svegliati all'alba da una pattuglia di
carabinieri che hanno detto: "il ragazzo
deve venire con noi". Il resto è
arrivato via telefono. La casa dove
Simone ha abitato fino a una trentina di
ore fa è grigia, con balconi blu e vite
bianche. Via Primaticcio, numero 217,
terzo piano. Un palazzo pulito, da
classe media, dentro alla periferia di
Baggio che anni fa si sarebbe detta
proletaria e che invece adesso non ha
identità, solo strade lunghissime
inghiottite dai lampioni, cancellate dal
traffico. La tintoria sotto casa si
chiama "I love Eco Dry", il bar
"Giades", la panetteria "Boutique del
forno". Fa freddo. Ci sono le
telecamere. Maria Jugovac, la portinaia,
ha uno scialle verde, è grassa, ma si
muove con sorprendente velocità. A tutti
i microfoni ripete la stessa frase: "Lo
vedevo tutte le mattine. Un ragazzo
gentile, buongiorno signora, quando
usciva alle sette e mezzo e buongiorno
signora, quando tornava per pranzo".
Dall'altra parte della strada, tra i
ferri arrugginiti del deposito
tranviario ci sono i vecchi sulla
strada, i pensionati, che stanno lì a
litigare se sarebbe il caso di fucilarli
oppure no, questi teppisti, oppure se
mandarli ai lavori forzati, oppure
niente, arrendersi. Dentro al deposito
tranvai, inscatolata da vetri e
alluminio, c'è la bolgia calda della
Bocciofila Baggio, videogame ululanti,
tavolini pieni di ragazzi che hanno
facce come Simone e capelli con la
gommina e scarpe da jogging posate sulle
sedie. "Mai visto qui, e poi non te lo
direi", fa uno. "Lasciami perdere che
oggi sono nervoso", dice l'altro. Sul
marciapiede, un paio di ore più tardi,
si fa avanti uno, cappotto blu, magro,
sguardo teso. Si chiama Roberto
Brancati, 18 anni: "Sì che lo conoscevo.
Era mio compagno di scuola alla De
Marchi". Scuola media ? "Solo quella
abbiamo fatto. Tutti e due bocciati in
prima". E poi ? "Poi lui è andato
all'Itis, ma ha lasciato perdere". Tu
andavi allo stadio con lui ? "Qualche
volta". Dicono stesse con una banda...
"Ma, va ! Quale banda ?". Il gruppo del
Barbour, perché allo stadio indossavano
tutti quella giacca lì. "Mai saputo". Ne
arriva un altro. "Simone era mio amico,
cioè non amico, sapevo chi era". E chi
era ? "Uno normale". Uno normale va allo
stadio con un coltello ? "Ci sono tanti
ragazzi giovani che trovano finti amici,
magari più grandi, che li incitano a
fare quello che loro non hanno il
coraggio di fare". Simone era così, uno
che si fa convincere ? "Può essere. E
poi non era così milanista, prima tifava
Juve". Arriva Eva, chewingum, giubba
nera, pantaloni neri, anfibi neri: "So
solo che non veniva nella Curva Sud, era
uno isolato". Isolato da chi ? "Andava
allo stadio sciolto. Uno introverso".
Notizie della famiglia ? I tre ragazzi
ti spiegano: "La madre è separata, stava
in quella via là, con Simone e la nonna.
Adesso si era risposata, aveva un figlio
piccolo". Il figlio si chiama Diego, ha
11 mesi. E il padre ? "Il padre è
risposato anche lui, abita in piazza".
La piazza si chiama Bottini, ma il
padre, Giampiero Olivini, non si trova.
Neanche la nonna si trova, quinto piano
di una palazzina a duecento metri da
qui. I vicini però Simone lo hanno visto
crescere. Ed è sempre la stessa scena:
"Oh mamma, non ci credo, era un ragazzo
così bravo". Bravo fino all'altro ieri,
signora: "Eh, già". Tra sospiri e
sgommate, via Primaticcio non
restituisce nulla di questo Simone. Al
telefono la nonna dice solo: "Mi lasci
stare". Al bar tabacchi di via Forze
Armate ti dicono, schifandoti: "Mai
visto". Resta la gente che alle sei di
sera torna a casa e riempie la Boutique
del Forno, riempie il Bar Giades e poi
va su per la cena e i telegiornali. Che
questa volta racconteranno la storia di
uno che non era niente e ha (pensate un
po') fermato il Campionato di Calcio con
un colpo di coltello a farfalla. Un
vicino di casa a cui nessuno faceva
caso. Tifoso, ma appena appena, quello
che basta per uccidere. 31
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 31 GENNAIO 1995
Eranio
"Vincenzo era un mio amico" MILANO
- Otto stagioni al Genoa, prima di
approdare - nell'estate del 1992 - chez
Berlusconi. Centrocampista del Milan e
della nazionale, genovese, Stefano
Eranio lo conosceva bene, Vincenzo
Spagnolo. Lo ricorda con una simpatia
che sfiora l'affetto: "Era tifosissimo
del Genoa, non si perdeva una partita e
ce lo ritrovavamo anche agli
allenamenti. Era un ragazzone curioso,
competente, estroverso. Spesso si
fermava a chiacchierare con noi. Quando
seppe del mio trasferimento, non mi
parlò per una settimana. Povero
Vincenzo. Ha fatto una fine orrenda.
Siamo arrivati al punto di non ritorno.
O ci diamo una regolata o il calcio
scoppia". Domenica, Eranio era in
panchina. "Non si poteva continuare. La
mia speranza è che, al di là della
demagogia, la morte di Vincenzo possa
aiutare chi resta a vivere meglio.
Anche, e soprattutto, negli stadi". (ro.
be.) 31
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 31 GENNAIO 1995
"Ho
visto molti tifosi feriti"
Da
Imperia ad Arma di Taggia. "La verità
solo in gradinata". IMPERIA
- Grida disperate, bottiglie d'acqua
infrante, feriti e tanta paura. È quanto
ricordano i numerosi imperiesi presenti
domenica a Marassi per assistere a
Genoa-Milan, partita di calcio
trasformatasi in tragedia. Egidio Renna,
36 anni, nel momento in cui veniva
accoltellato Vincenzo Spagnolo si
trovava nei pressi del gazebo, a poche
decine di metri dal luogo dell'agguato:
"Sono tifoso del Napoli, ma seguo anche
le partite del Genoa. Ho sentito gridare
e ho visto molta gente correre verso il
luogo dove si trovava il ferito. Penso
ci sia stato qualche ritardo
nell'intervento del servizio d'ordine.
La prima pattuglia della polizia è
giunta infatti dopo dieci minuti. Più
tardi ho incontrato alcuni tifosi
genoani lievemente feriti che dicevano
di esser stati colti alle spalle dagli
aggressori". Sugli spalti del "Ferraris"
era presente anche i clubs genoani del
ponente. Nicola Gorlero, vice presidente
del Genoa Club Imperia: "Eravamo una
sessantina e, al momento dell'omicidio,
ci trovavamo già in gradinata. Abbiamo
saputo della morte di Vincenzo Spagnolo
solo al 40' del primo tempo, quando sono
stati tolti gli striscioni e le frange
più calde del tifo hanno cominciato una
dura contestazione. Quando la gara è
stata sospesa siamo riusciti a lasciare
lo stadio senza problemi, perché non
erano ancora scoppiati incidenti
all'esterno". Aggiunge Vincenzo Ghu,
presidente del Genoa Club Arma di
Taggia: "Arrivando allo stadio abbiamo
notato un gruppo di milanisti che
infastidiva alcuni tifosi genoani. È
stata una trappola studiata, perché
quando i rossoblù hanno reagito alle
provocazioni sono stati sorpresi
dall'improvviso arrivo di altri
teppisti. Non ci siamo tuttavia accorti
della gravità del fatto e solo in
gradinata abbiamo saputo della
tragedia". (l. a.) 31
gennaio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 31 GENNAIO 1995
Il
giovane è stato fermato per concorso in
omicidio. Denunciato un altro tifoso per
rissa.
"Vado a
tagliate un genoano"
Un
amico: ho dato io il coltello a Simone di
Pierangelo Sapegno GENOVA
DAL NOSTRO INVIATO - Gli amici della
curva, quelli che hanno fermato il
calcio. C'è Simone Barbaglia che ha
confessato tutto, e qualcosa di più,
recitando al magistrato, Massimo
Terrile, milanista anche lui, la
formazione del Milan: "Non hai messo
Savicevic", gli ha detto il sostituto. E
lui: "E' infortunato". No, squalificato,
l'ha corretto Terrile. Per la morte di
Vincenzo Spagnolo, ragazzo di curva
ucciso prima di Genoa-Milan, il giudice
lo accuserà di omicidio volontario. C'è
Matteo, neanche 18 anni, compagno di
classe, che gli ha passato il coltello:
"Me l'aveva chiesto prima di partire per
Genova. Vado a tagliare un genoano, mi
aveva detto". L'hanno fermato ieri per
concorso in omicidio. C'è Christian, 19
anni, che ha scambiato il suo barbour
blu scuro con quello verde di Simone,
subito dopo il delitto, per depistare
gli inquirenti, e che per questo è stato
fermato all'uscita dello stadio, mentre
i tifosi sfilavano davanti ai testimoni
e ai carabinieri. Per ora, l'hanno
denunciato per concorso in rissa. E poi
ce ne sono altri, che erano con
Barbaglia a Pontecurone, grande rissa
fra tifosi, milanisti e sampdoriani, che
viaggiavano su due treni. La prima
verità sembra questa, che i ragazzi
della curva non vengono dal niente, non
finiscono accanto alla morte per caso, o
per sbaglio. I carabinieri di Genova ne
hanno denunciati sei (tutti di Milano,
uno è minorenne, gli altri hanno 21, 22,
19 e 18 anni), e stanno indagando su di
loro e su altri ancora, sugli amici del
branco, per cercare complicità,
connivenze, coperture. La Digos di
Milano, invece, ne ha fermato uno,
Matteo, che non ha ancora 18 anni e vive
solo con sua madre in una casa di
periferia. In camera sua hanno trovato
sei coltelli: un machete con la lama
lunga circa 40 centimetri, due daghe di
stile orientale con le lame ricurve
lunghe 30 cm, e altri tre pugnali. Agli
inquirenti ha raccontato che venerdì
Simone era andato in un'armeria ma che
ne era uscito a mani vuote, e per questo
era venuto a cercarlo: "Mi puoi prestare
un coltello ?". Sì, "scegli tu", gli
aveva risposto. La frase sul "genoano da
tagliare", avrebbe spiegato Matteo agli
investigatori, "Simone l'avrebbe buttata
lì senza pesare troppo le parole". Però,
quando la partita era appena cominciata,
e Simone era arrivato sulle gradinate
bianco come un cencio, Matteo gli si era
avvicinato: "Che è successo ?" E
Barbaglia: "Ho tagliato un genoano",
aveva risposto. E poi gli aveva chiesto
di dargli la sua sciarpa: "Io ti do la
mia". Matteo e Simone a Genova dovevano
venirci assieme. Avevano appuntamento
alla Centrale, domenica mattina alle
9.30, per il treno dei tifosi. "Non l'ho
visto arrivare e allora sono partito con
gli altri". Barbaglia ha preso poi il
rapido delle 11, con gli altri amici del
barbour e ha rivisto Matteo solo più
tardi, poco prima che cominciasse la
partita nel gabbiotto della Gradinata
Sud riservato ai tifosi ospiti. "Mi
disse che aveva preferito prendere un
altro treno per evitare i controlli
delle forze dell'ordine". Il ragazzino
della curva non ha capito bene quel che
è successo. Hanno arrestato il suo
amico, domenica sembrava di tornare
indietro da un fronte di guerra, e ieri
sera sono arrivati in casa quelli della
Digos. Adesso l'inchiesta, dopo la
perfetta operazione dei carabinieri,
sembra quasi seguire due piste
parallele, come se qualcuno volesse
cercare una strada nuova. Certo è che
domenica i carabinieri hanno davvero
realizzato un colpo eccezionale. Prima
che arrivassero le segnalazioni degli
altri tifosi milanisti, avevano già
trovato da soli la traccia buona, visto
che qualcuno di loro, infiltrato tra gli
ultrà, si era accorto di movimenti
strani nel gruppo degli amici del
barbour. Così, mentre i milanisti erano
tutti trattenuti dentro lo stadio,
avevano fermato quattro tifosi che
potevano aver assistito alla rissa. Uno
di loro, poi, li ha aiutati a
identificare altri che erano a
conoscenza dei fatti. E da loro, infine,
sono risaliti a Simone e ai suoi amici:
li tenevano d'occhio dall'inizio della
partita e li hanno seguiti fino a
Milano, nel lungo viaggio sul bus. La
giustizia è arrivata in fretta. Adesso,
qui, in via Bobbio, dove è morto
Vincenzo, ci sono i fiori, le sciarpe,
le dediche. Una scritta sul muro:
"Vivere nel cuore di chi resta non è
morire. Ciao, Spagna". La Fossa dei
grifoni. Gente di curva. 1
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
"Vado a
Genova, mi serve il coltello" di
Caterina Pasolini
Fiori e
preghiere per il ragazzo ucciso. La
sorella: "Inutile fermare il campionato,
tutto resterà come prima". GENOVA
- "Mio fratello era nato per lo sport,
con la passione del calcio e del Genoa.
Adesso possono fare quello che vogliono,
possono venire al funerale in
duecentomila, raccogliere soldi, fare un
minuto di raccoglimento allo stadio,
fermare il campionato, ma non vuol dire
nulla. Sappiamo benissimo che dopo sarà
tutto uguale, tutto tornerà come prima.
Quella persona è entrata tranquillamente
allo stadio, volevano fare qualcosa".
Romina, la sorella più giovane di
Vincenzo Spagnolo, non andrà più ad una
partita. "Con quel mondo io, la mia
famiglia, i miei amici, abbiamo chiuso.
Mio fratello ci credeva, all'amicizia
tra le squadre". Nessun sentimento di
odio e di vendetta, invece, nei
confronti di Simone Barbaglia: "Alla
violenza non si risponde con la
violenza, in questo mio fratello ci
credeva" dice Romina, che ieri
pomeriggio è andata a portare fiori sul
luogo dove è stato accoltellato
Vincenzo, meta di un pellegrinaggio
ininterrotto di amici e tifosi non
soltanto rossoblù. Gli stessi che si
sono uniti ieri sera alla famiglia nella
chiesa di San Teodoro, dove il vice
parroco don Franco ha letto alcuni brani
del Vangelo. "Però da parte dei
milanisti - dice alla fine Romina
Spagnolo - c'era intenzione di fare del
male, ne sono sicura. Per questo non
riuscirò mai a vedere quel ragazzo come
uno che ha soltanto sbagliato". 1
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
Scoperte in casa di Matteo G.
Daghe o
a farfalla ecco le lame del tifo Il
coltello assassino è uscito da una
piccola collezione non molto pregiata:
oltre a quello che ha ucciso Vincenzo
Spagnolo, un coltello farfalla di
origine filippina detto anche
"balisong", del valore di circa 20-30
mila lire, nella casa di M. G. si
trovavano sei tra machete, coltelli
kukri, daghe. Il machete (la lama di
quello sequestrato è lunga circa 40
centimetri) è utilizzato per disboscare
nelle zone dalla fitta vegetazione come
l'Amazzonia o nelle piantagioni di canna
da zucchero. Nella collezione di M. G.
spiccavano due coltelli kukri con lame
ricurve lunghe circa 40 centimetri:
queste armi sono in dotazione alle
truppe scelte nepalesi gurka, che hanno
combattuto al servizio dell'esercito
britannico. Presente anche una daga o
gladio, il pezzo più pregiato,
caratterizzata da una fessura al centro
della lama. Il tutto corredato dalla
rivista "Coltelli che passione", una
pubblicazione italo-francese che tratta
con serietà e competenza questa materia.
I coltelli sono divisi in quattro
categorie: da punta, da taglio
(utilizzati da Paracadutisti, Folgore,
Nocs), da scuoio (per caccia e pesca) e
da lancio (con la lama più pesante del
manico). 1
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
"Il calcio sporco
che ha ucciso mio figlio
Dopo
un giorno di lutto la violenza
ricomincerà" GENOVA
- "Possono bloccare le partite, possono
venire in 200 milioni al funerale,
possono fare quello che vogliono,
possono chiedere anche di pensare loro
alle spese, ma tanto loro mio fratello
non lo conoscevano". Si sfoga Romina
Spagnolo, la sorella di Vincenzo, 25
anni, vittima di una morte assurda di
una domenica d'orrore. "Noi li
ringraziamo, anche oggi manderemo dei
fax per ringraziare il sindaco, il
presidente del Genoa Spinelli, ma
purtroppo è tutto inutile". È inutile ?
"Sappiamo benissimo che, se anche questa
domenica non si giocheranno le partite,
dalla prossima, purtroppo, sarà tutto
uguale. Si rispetterà magari un minuto
di silenzio, quello che vuole, però
sappiamo che poi ricomincerà tutto
tranquillamente". Parole disperate,
quelle di Romina, raccolte ieri sera dal
Tg3, in cui si intrecciano il dolore e
l'accusa. "Nessuno si è assicurato di
niente, non hanno perquisito nessuno.
Esistono i metal-detector. Avrebbero
dovuto fare qualcosa". Dice la ragazza,
angosciata: "Questa persona è entrata
tranquillamente allo stadio, s'è vista
il suo primo tempo tranquillamente". E
aggiunge: "Loro avevano l'intenzione di
far qualcosa, sicuramente. È inutile
ruminarci sopra, sicuramente loro
volevano far qualcosa, volevano far
vedere di essere importanti, che
l'avrebbero fatta pagare. Quello che
vuole, però sono sicura che avevano
l'intenzione di farlo". Ma allo stadio
Romina ci è mai andata ? "Ci sono
andata. Ho avuto l'abbonamento per un
anno, ma penso che non metterò mai più
piede in un posto del genere. Mai, anche
se dovesse esserci qualcuno di
particolarmente caro che gioca. Per me è
come se non esistesse più né il calcio
né lo stadio né le tifoserie né niente.
Basta". Ai microfoni ricorda il fratello
e racconta un amore che lo ha perduto:
"Lui è nato con la passione per il
Genoa, con la passione per il mondo
sportivo e soprattutto per il calcio.
Era una delle sue passioni più grandi.
Noi qui abbiamo anche un cortile e lui
giocava sempre lì, aveva sempre il
pallone fra i piedi". E
domani, a ricordarlo, si riunirà una
grande folla: i funerali si svolgeranno
nella chiesa di San Teodoro, alle 11.30.
Lo ha fatto sapere Bruno Venturelli, ex
parroco della chiesa che si affaccia sul
porto e figura carismatica del popoloso
quartiere genovese, confermando che il
rito sarà celebrato dal cardinale
Giovanni Canestri. Per l'occasione, è
stato sospeso il mercatino rionale che
si svolge ogni giovedì nella piazza
davanti alla chiesa. I familiari del
giovane tifoso hanno rifiutato i
funerali in forma ufficiale, preferendo
una cerimonia il più possibile privata.
Hanno motivato la loro scelta con un
biglietto, che hanno inviato al sindaco
di Genova, Adriano Sansa, e al
presidente del Genoa, Aldo Spinelli. "La
famiglia di Vincenzo la ringrazia della
calorosa solidarietà - hanno scritto -
ma, insieme a tutti gli amici, desidera
vivere questo impossibile dolore
compostamente e in silenzio". In serata,
comunque, Sansa ha fatto sapere che
parteciperà al rito con il gonfalone
della città, mentre da Milano giungerà
il vicesindaco. A Genova, intanto, si
stanno susseguendo le iniziative, di
raccolta di fondi in favore della
famiglia di Vincenzo, in particolare tra
gli amici del quartiere e del centro
sociale "Zapata", che era uno dei luoghi
frequentati dal ragazzo. Anche la
parrocchia ha deciso di dare vita a una
colletta per aiutare il padre di
Vincenzo, Cosimo, che è capocantiere
all'Ilva, e la madre Lina, casalinga. E
sul luogo dov'è avvenuto
l'accoltellamento, ieri mattina, si sono
ammucchiati tantissimi mazzi di fiori e
qualcuno ha tracciato per terra una
scritta: "Vivere nel cuore di chi resta
non è morire. Ciao. "Spagna". Firmato:
"F.G.". Una sigla che sta per "Fossa dei
grifoni", il disciolto gruppo di
supporter genoani. Contemporaneamente,
nell'istituto tecnico di via Digione -
la via dove abita la famiglia Spagnolo -
studenti e professori hanno interrotto
le lezioni per discutere l'assurdo
omicidio che ha gelato l'Italia, e non
solo quella del calcio. (r. cri.)
1
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
"Vorrei
scrivere una lettera ai genitori del
ragazzo che ho ucciso e che ora piangono
come me"
"Ho
distrutto due famiglie, perdonatemi"
Genova,
Simone ricostruisce il pomeriggio da
assassino di
Pierangelo Sapegno GENOVA
DAL NOSTRO INVIATO "Chiedo perdono",
dice. A papà e mamma, "ai genitori di
quel ragazzo, anche. Ho rovinato la vita
di due famiglie". Adesso che è fuori dal
branco, Simone Barbaglia è come se fosse
un altro ragazzo, uno che riconosce la
vita e la morte. Non è l'arresto che lo
cambia, ma il vuoto che ne deriva. Non
c'è più la piazza, non c'è più la curva.
È nuovo, il mondo. Dice: "Vorrei
scrivere una lettera ai genitori di quel
ragazzo che piangono come me". Domenica
pomeriggio, quando aveva colpito con il
coltello Vincenzo Spagnolo, era ancora
uno di loro, uno del branco: "Non so
spiegare bene cos'è successo, io ho
pensato solo a scappare, dove c'erano i
miei amici, dove c'erano gli altri come
me. Non è vero che volevo vedere la
partita, ormai non me ne fregava più
molto. Ma io avevo di fronte una città
che non conoscevo e uno stadio che mi
aspettava. Ho scelto quello, senza
neanche rendermene conto, questa è la
verità. Non avrei saputo dove andare,
che cosa fare. Ho visto il sangue e sono
scappato. L'unica sicurezza me la dava
il gruppo. Mi sono infilato il coltello
nelle mutande per nasconderlo, e poi ho
passato i controlli. Dentro ho ritrovato
gli amici. Qualcuno mi ha chiesto
cos'era successo, gli ho detto: ne ho
ferito uno". IL TIFO
ORGANIZZATO. Lo stadio è il grande
ventre, una mamma che protegge. I cori,
le grida, la gioia e la rabbia, il mondo
della domenica. Simone Barbaglia ha 19
anni fatti di niente, amici che parlano
di calcio, anche a cena, alla Pizzeria
Sorriso, in via Maratta, dove ci si dava
appuntamento, alla Bovisa, la Milano
operaia per eccellenza. La Bovisa di
Osvaldo Bagnoli, ex del Genoa e
dell'Inter, uno che parla di pallone
sorridendo, ma si può mai ? Gli scherzi
del destino. "Io quando ho visto i
carabinieri che mi aspettavano mi sono
quasi sentito meglio", confessa a tutti,
all'avvocato, al giudice. Gli stavano
dietro da dieci ore, i carabinieri. E
poi il magistrato è un tifoso milanista,
domenica era pure lui allo stadio.
Durante una pausa dell'interrogatorio,
gli ha chiesto la formazione del Milan e
l'ha rimproverato per un errore. Aveva
detto che Savicevic era infortunato. Un
giudice milanista, un coltello che lo
perseguita: perché quando si disfa del
suo, se ne trova un altro sotto i piedi.
"M'è venuto un colpo, l'ho gettato via
con un calcio". Gli hanno chiesto se
faceva parte del tifo organizzato. E
lui: "Sì, sono stato iscritto alle
brigate rossonere. È un'organizzazione
che ha una funzione di coordinamento,
agevola l'acquisto del biglietto.
Insomma, come dire che grazie a loro hai
la precedenza. Siccome quest'anno mi
conoscevano già, non ho rinnovato la
tessera perché non ne avevo più bisogno.
Ci sono tre gruppi delle brigate, quello
che frequentavo io si radunava alla
pizzeria Sorriso". Riceveva biglietti
omaggio ? "Io no, però so che c'era chi
li aveva. In genere quelli che si danno
più da fare per l'organizzazione". Gli
hanno chiesto se aveva idee politiche.
"No". Se in passato era stato iscritto
in qualche movimento: "No,
assolutamente. Anzi, non sono nemmeno
andato mai a votare". Se aveva
partecipato ad altre risse fra tifosi:
"Sì, a Pontecurone ero sul treno dei
tifosi milanisti che si era scontrato
con i sampdoriani. Ma lì fu una zuffa
generale, ci trovammo tutti coinvolti". AMICIZIA. E le amicizie ? "Gli unici
amici che ho li ho conosciuti allo
stadio". E quelli del barbour ? "Anche
loro, li ho conosciuti a San Siro.
Indossavamo tutti lo stesso giubbotto,
ed è diventato una specie di distintivo.
Niente di organizzato". In fondo, quello
che racconta Simone è lo specchio di un
mondo persino irreale, ragazzi dello
zoo, anche questi, disperati,
emarginati. Fra di loro c'è una
solidarietà sotterranea. Così, si
accolla tutte le colpe, Simone: "Ero
l'unico armato, non è vero che gli altri
avevano coltelli e catene. Solo io ce
l'avevo". E quando vede i carabinieri
che fermano Cristian, all'uscita dello
stadio, gli viene il cuore in gola e
dice di star male pure per lui: "Ci
eravamo scambiati il giubbotto e lui mi
aveva dato il suo, che è questo verde.
Eravamo insieme, uno accanto all'altro
quando siamo usciti, e ho visto i
carabinieri che l'hanno chiamato. M'è
venuto male, e ho avuto paura non solo
per me. Temevo che potesse aver delle
grane per colpa mia e mi dispiaceva.
Cristian e io siamo amici veri, abbiamo
insieme questa passione per il calcio".
E Matteo ? Quello che gli aveva dato il
coltello ? "Non era uno dei miei amici
più assidui. Era un mio ex compagno di
scuola. Tutti nel giro sapevano che lui
era un appassionato di armi e che faceva
collezioni di coltello". GENOVA,
CITTA' A RISCHIO. Perché aveva deciso di
andare armato a Genova ? "Perché è una
città a rischio per noi del Milan",
dice. Lui era diventato un tifoso
rossonero da due anni: "Prima giocavo a
pallone e la domenica ero impegnato e
non riuscivo ad avere questa frequenza".
E adesso ? "Non so". LA
CONFESSIONE. Confessa e parla per ore,
prima con i carabinieri e poi davanti al
magistrato. L'omicidio ? "Siamo arrivati
a Genova, poco dopo l'una. Eravamo in
una cinquantina, noi del barbour assieme
ad altri tifosi. Siamo andati tutti a
piedi verso lo stadio. Non è vero che ci
sono stati altri scontri, solo nei
dintorni di Marassi siamo stati
aggrediti da un gruppo di genoani. Sono
scappati tutti. Io sono rimasto solo.
Loro avanzavano ed io indietreggiavo. A
un certo punto mi sono fermato e ho
estratto il coltello sperando di
metterli in fuga. Invece lui mi è venuto
incontro con il pugno alzato come per
colpirmi. Io ho teso il braccio per
proteggermi e la lama si è infilata nel
ventre". E dopo ? "Ero completamente
fuori di testa. Ero nel panico.
Sconvolto. Sono fuggito, sono entrato
allo stadio. Ho passato il mio coltello
a uno che non è del mio gruppo
chiedendogli di nasconderlo. Lui lo ha
fatto. Lo ha messo in un cartone per il
vino. Ho preso posto e ai miei piedi ho
visto un altro coltello. Istintivamente
gli ho dato un calcio, era come una
persecuzione quell'immagine". L'ARRESTO. Hai seguito la partita ?, gli
hanno chiesto. "E come potevo ? Del
primo tempo non mi ricordo niente. Non
saprei dire nemmeno se il giubbotto l'ho
scambiato mentre ancora giocavano o dopo
durante le lunghe ore di attesa. A un
certo punto mi ricordo solo che ho visto
i genoani che ritiravano gli striscioni
e gridavano assassini assassini. La
radio stava dando la notizia che c'era
un morto, e io mi sono sentito subito in
colpa. Ho vissuto questa situazione
d'incubo fino sotto casa. Ho fatto il
viaggio fino a Milano, nel pullman. Ci
hanno scaricato alla Centrale e ho
ritrovato gli amici. Ero senza soldi. Mi
hanno dato un passaggio con un taxi e
poi ho fatto un pezzo in motorino con un
compagno. Sono sceso a qualche metro da
casa. Mi sono incamminato e sotto casa
mi hanno bloccato i carabinieri".
All'avvocato Stefano Savi lascia
l'ultima frase, quella che più di tutte
raffigura questa storia incredibile.
Dice: "Mi sono svegliato nella realtà,
improvvisamente". Genoa-Milan non c'era
più. 1
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
"Ma la
rissa la volevano tutti e due"
"L'amico del Killer: attore e vittima
dello stesso dramma" di Pino
Corrias MILANO
- Tutti qui a chiedersi cosa hanno in
testa i ragazzi che da una domenica
all'altra possono uccidere o morire
davanti a uno stadio, che razza di vita
fanno, che razza di pensieri e sogni e
impressioni. Norman è l'amico di Simone.
Ha 19 anni. È stato suo compagno di
scuola, lo era anche di stadio. Come
Simone, ha smesso di studiare, lavora in
Fiera ("Faccio e disfo stand, se è per
questo"). I pomeriggi li passa qui,
dentro al viola del "Milanochegioca",
sala di videogame sulla via Forze
Armate. Visto da fuori Norman ha i
capelli biondi, lisci, tagliati a
caschetto, una catena finto oro al
collo, una camicia a righe aperta sino a
metà, una giubba di finta pelle nera,
jeans, anfibi, un anello finto oro al
mignolo. Visto da dentro è quanto segue.
Dimmi cosa pensi di Simone. "Simone non
è un assassino. Avete scritto cazzate".
Simone ha confessato. "E questo cosa
vuole dire ?" Che ha ucciso un uomo.
"Chi ammazza non necessariamente è un
assassino, anzi un killer, come lo avete
chiamato voi giornalisti". E secondo te
chi è un killer ? "Un killer è un'altra
cosa. Un killer è un pazzo che ammazza
la gente per lavoro o per altro". Invece
Simone ? "Simone era in mezzo a una
rissa, si è trovato lì, avrà avuto paura
ed è successo. Ha sbagliato". Di
Vincenzo Spagnolo cosa pensi ? "Mi dà
fastidio che lo abbiate descritto come
un angioletto...". E invece ? "Invece
era lì perché la rissa la voleva anche
lui. Guarda: se nella rissa fosse morto
Simone, anche di Simone avreste scritto
che era un angioletto. Tutte cazzate".
Cazzate perché ? "Bugie, come le vuoi
chiamare ? Io le chiamo cazzate: Simone
e Vincenzo facevano le stesse cose, uno
è morto, l'altro è in galera". Non ti fa
impressione quello che è accaduto ?
"Impressione in che senso ?". Senti,
Simone non è un killer. Però aveva in
tasca il coltello da venerdì. "Lo so.
Glielo aveva dato quel ragazzino,
Emmegi". M.G. lo hanno arrestato. Anche
lui ha confessato, in casa gli hanno
trovato sette coltelli che sembrano
scimitarre. "Era appassionato di
coltelli. E anche di tatuaggi". Si
faceva fare dei tatuaggi ? "Non dire
cazzate, non ne aveva neanche uno di
tatuaggio, non aveva i soldi. Li
guardava sulle riviste". Simone aveva
detto a M.G.: "Domenica vado a tagliare
un genoano". "Avrà detto per scherzare,
succede che parlando...". Invece l'ha
fatto. "Capita". Capita ? "In quelle
situazioni lì, voglio dire". Quali
situazioni ? "Durante le risse. A me è
successo una volta di entrare allo
stadio dalla parte sbagliata e ho preso
una cifra di mazzate". E avevi un
coltello ? "Se avessi avuto un coltello
non ne avrei prese tante, ti pare ?". Sei mai
andato allo stadio con un coltello ?
"Mai. E se è per questo neanche
Simone... Le altre volte...". Però dici
che in certe occasioni un coltello
servirebbe ? "Oh cazzo, non lo so...".
Prendiamo Simone. "Sono sicuro che ce
l'aveva per difendersi e pensava che gli
sarebbe servito per fare in tempo a
scappare". Scappare difendendosi con il
coltello ? "Sì, e magari tagliare uno
alle gambe, oppure colpirlo da dietro,
sul culo, dove fa male, ma non ammazza".
Tu sei milanista ? "Ovvio. L'Inter mi
sta proprio sul cazzo". Stai dentro a
qualche club ? "No. Tanti anni fa qui
c'era un club di gente che abita in
piazza Bande Nere. Si chiamavano "Bande
Nere Rangers", poi si è sciolto. Io vado
allo stadio con un po' di amici, come
faceva Simone". Vai allo stadio per la
partita o per le risse ? "Allo stadio ci
sono tutte e due le cose, la partita e
le risse". Non c'è differenza ? "Sì, ci
sarà anche differenza, però è così.
Qualcosa succede sempre, è normale". E
durante la settimana parlate di calcio o
di risse ? "Di tutt'e due". Chi sono i
vostri nemici ? "Ce ne sono un sacco, i
Fedayn del Napoli, per esempio, oppure
gli ultras giallorossi". Secondo te è
giusto che il Campionato chiuda per una
domenica ? "Secondo me è inutile, alla
prima occasione si ricomincia". Tu hai
fatto tante risse ? "Risse non tante, ma
la tensione c'è ogni domenica". E Simone
? "Uguale. Lui è uno come noi che se c'è
da litigare non è che scappi, ti metti
in mezzo, ma questo non è un reato". Hai
paura ? "Di che ?" Di andare allo stadio
? "No. Bisognerà guardarsi le spalle,
come prima". Li conosci quelli del
"gruppo del Barbour" ? "No, non so
neanche se esistono. Comunque ce l'ho
anch'io, il Barbour, ma mica lo metto
per andare allo stadio". Perché no ?
"Cazzo, costa mezzo milione".
1
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
Domenica a Genova
"Ultras
riuniti contro la violenza" GENOVA
- "Noi siamo contro la violenza". Lo
slogan suona così e dovrebbe coinvolgere
in un meeting storico domenica a Genova
rappresentanze di tutte le tifoserie
calcistiche d'Italia organizzate dietro
l'appellativo di ultras. Promotrice
dell'iniziativa è la ex fossa dei
grifoni, e in particolare René Moroni,
uno dei capi storici della gradinata
Nord. Tutti i gruppi ultras italiani
sono stati contattati e la maggior parte
ha già dato l'adesione. Sicuramente
interverranno quelli di Inter, Parma,
Roma, Udinese e Napoli, mentre in queste
ore dovrebbero assicurare la loro
presenza Bari, Brescia, Cagliari,
Cremonese, Fiorentina, Padova, Reggiana,
Torino, Foggia, Atalanta, Ancona e
Pescara. Qualche problema ancora per
mettersi in contatto con la tifoseria
della Juventus, mentre dubbi permangono
sulla presenza dei milanisti per il
timore che qualche esagitato dia vita ad
assurde vendette. Tutti gli ultras poi
andranno in via Bobbio, dove è stato
assassinato Vincenzo Spagnolo, e lì
sosteranno un minuto in raccoglimento.
(d. b.) 1
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
Una
lettera dal carcere Barbaglia chiede
perdono di
Massimo Calandri GENOVA
- "Cari mamma e papà di Vincenzo, vi
scrivo queste righe per chiedere perdono
per quello che ho fatto: non volevo
uccidere vostro figlio, lo giuro, e solo
adesso capisco la gravità di quanto è
successo". Comincia così la lettera di
Simone Barbaglia, il diciottenne tifoso
milanista che domenica davanti allo
stadio di Marassi ha pugnalato a morte
Vincenzo Spagnolo, genovese di 25 anni:
"Devo trovare il coraggio di spedirla -
ha raccontato il ragazzo, da lunedì sera
rinchiuso in cella di isolamento in un
carcere piemontese - e mandarne una
anche ai miei genitori: poverini, chissà
che penseranno di me, chissà che faccia
avranno fatto quando gli hanno detto che
andavo in giro con un coltello in
tasca". Manuela Mariani, la madre
dell'assassino, e Norberto Amalfitano,
il patrigno, hanno paura: temono
vendette da parte degli ultras genovesi
- c'era chi sussurrava d'una prossima
"spedizione" a Milano, protagonisti
alcuni tifosi di Genoa e Sampdoria -
nella tarda notte di ieri sarebbero
state notate alcune auto targate Genova
che procedevano lentamente nei pressi
della loro casa di via Primaticcio,
quartiere del Lorenteggio a Milano. Ai
suoi genitori non aveva mai raccontato
d'essere uno della "banda del Barbour",
e non gli aveva neppure detto d'aver
partecipato - nel giugno del '93 - al
drammatico scontro tra gli ultras del
Milan e quelli della Sampdoria, duemila
persone coinvolte in una spaventosa
rissa nei pressi della stazione
ferroviaria di Pontecurone. Simone
Barbaglia quest'anno era già rimasto
coinvolto in alcuni incidenti scoppiati
durante le trasferte rossonere di
Padova, Cremona, Torino e Roma: "Ma solo
da spettatore, non ho mai fatto del male
a nessuno", ha spiegato al magistrato,
che ha confermato come il giovane - ora
accusato di omicidio volontario - non
fosse stato mai segnalato all'autorità
giudiziaria. Fedele al "branco", ha
fatto il nome dei suoi amici ma ha
giurato che nessuno di loro ha usato
violenza: li ha difesi fino all'ultimo,
negando che fossero in possesso di altri
coltelli. E non ha capito che a tradirlo
sono proprio stati loro, che già nella
"gabbia" dello stadio "Luigi Ferraris"
lo avevano indicato come il responsabile
dell’accoltellamento del giovane
genoano. Gli si illuminava lo sguardo,
parlando del "branco" e della
solidarietà dei compagni. Dice che per
lui il Milan rappresenta una "fede", ma
è inciampato davanti alle domande del
sostituto procuratore Massimo Terrile,
rossonero tutto d'un pezzo. "Perché
Savicevic il Genio non giocava a Marassi
?", gli ha chiesto il magistrato,
alludendo al fuoriclasse della squadra
di Berlusconi. "Infortunato", ha tirato
ad indovinare l’assassino. "Sbagliato, è
squalificato". Forse non è un ultrà
assetato di sangue, forse dice la verità
quando sostiene d'essere stato
aggredito, d'aver accoltellato quel
giovane sconosciuto solo per difendersi.
Ma tra gli investigatori c'è chi ha
raccolto elementi che farebbero pensare
invece ad un vero e proprio agguato,
allestito dai tifosi rossoneri allo
scopo di provocare nuovi incidenti:
erano trenta-quaranta teppisti, una
mezza dozzina dei quali componenti della
"banda del Barbour" (dal giaccone che
indossavano) che avrebbe fatto da esca,
attirando i genoani in un agguato. Il
resto degli ultras lombardi, nascosto
nei pressi di un vicino istituto
scolastico, sarebbe saltato fuori
all'improvviso. Intanto nel pomeriggio
di ieri i carabinieri genovesi hanno
interrogato nella caserma del Forte di
San Giuliano altri protagonisti della
rissa: entro questa mattina dovrebbero
essere denunciati a piede libero 8
milanisti (4 per rissa, 3 per
favoreggiamento, uno - il minorenne
fermato a Milano - per porto abusivo di
coltello), altre segnalazioni
all'autorità giudiziaria scatteranno nei
confronti dei tifosi rossoblù. L'altra
sera, sempre a Milano, è stato
recuperato anche il "Barbour" di colore
verde scuro che indossava l'assassino e
che all'interno del "Luigi Ferraris"
aveva scambiato con un giaccone
impermeabile dello stesso tipo, ma di
colore blu. L'autopsia di Vincenzo
Spagnolo, effettuata ieri sera
nell'istituto di medicina legale
dell'università, ha stabilito che il
ragazzo è stato ucciso da una sola
coltellata, vibrata dall'addome verso
l'alto: di più il perito non dice, ma
questo particolare confermerebbe
indirettamente che Simone Barbaglia non
voleva uccidere il suo "avversario". I
funerali della vittima si svolgeranno
alle 11.30 di domani, nella chiesa di
San Teodoro: il rito funebre sarà
celebrato dal cardinale Giovanni
Canestri, alla cerimonia assisteranno il
sindaco di Genova, Adriano Sansa, il
vice sindaco di Milano, Giorgio
Malagoli, e una delegazione di
consiglieri comunali del capoluogo
lombardo; funzionari dei due Comuni
reggeranno i gonfaloni delle città in
lutto. Ci saranno il capitano del Milan,
Franco Baresi, ed altri giocatori
rossoneri, il presidente del Genoa Aldo
Spinelli e tutta la squadra rossoblù.
Presente anche il presidente della
Sampdoria, Enrico Mantovani, che ha
invitato i suoi giocatori a partecipare
all’ultimo saluto a Vincenzo Spagnolo. 1
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
Genova
e Milano insieme per salutare Vincenzo di
Paolo Lingua
La
famiglia ha rivelato una grande dignità
e compostezza. La sorella della vittima:
"Non andrò mai più allo stadio". Ieri
sera il rosario nella chiesa di S.
Teodoro, domani i funerali. GENOVA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - La città che
è al di fuori delle indagini, il mondo
che non vive tra Palazzo di Giustizia,
la Questura, i comandi dei Carabinieri,
s'è aperta ieri con una commemorazione
civile e s'è chiusa con un rito
religioso di pietà collettiva. Ha
parlato ieri mattina, poco prima delle
dieci dinanzi a un Consiglio regionale
pensieroso e silenzioso, il presidente
dell'assemblea, Gianni Persico: "Ancora
una volta - ha detto con tono fermo -
una manifestazione sportiva diventa
occasione per espressioni di
intolleranza e di odio, invece che
momenti di unione e di sana emulazione".
Il prof. Persico ha ricordato come
emblematica la frase pronunciata dal
padre di Vincenzo Spagnolo: "Non si può
morire a 24 anni per una partita", e ha
aggiunto che il problema è troppo grave
e troppo serio per limitarsi a una sola
prevenzione effettuata dalle forze
dell'ordine. "" È necessario che si
ripensi in modo serio a dare ai nostri
giovani un senso più profondo della vita
e della sua sacralità". Il presidente ha
chiuso con un pensiero alla vittima, ai
suoi familiari e anche a quelli del
giovanissimo omicida. Dopo la
riflessione civile, la giornata, che è
stata per molti aspetti angosciosa e
convulsa, s'è chiusa, quasi
catarticamente, con il rosario celebrato
in un clima di grande dignità e
compostezza, nella chiesa, di San
Teodoro. C'erano i genitori di Vincenzo
Spagnolo, il padre Cosimo, capocantiere
all'Ilva, la madre Lina, casalinga, la
sorella Simona. È quest'ultima che
commenta amara: "Possono raccogliere
soldi, venire a migliaia al funerale,
effettuare un minuto di silenzio allo
stadio. Ma un giorno dopo sarà tutto
come prima. Anch'io qualche volta sono
andata allo stadio con mio fratello, ma
credo che non ci andrò mai più per tutta
la vita". E c'era la gente del popolare
quartiere, un tempo residenza
tradizionale dei marittimi, alla
presenza del parroco don Franco che ha
detto prima della preghiera collettiva
poche frasi: "Penso che Vincenzo ci dica
basta. Dobbiamo costruire un mondo di
pace, altrimenti la mia morte non sarà
servita nulla". Tra i banchi sedeva, in
assorta preghiera, don Bruno, che con i
suoi 80 anni, di cui cinquanta trascorsi
alla guida della parrocchia, ha visto
scorrere dinanzi ai suoi occhi gli
orrori della guerra e dei bombardamenti,
il crollo drammatico di via Digione e le
infinite feste in piazza Sopranis per
celebrare i liguri illustri e popolari,
premiati dallo stesso don Bruno. La
chiesa era gremita non solo di parenti e
amici, ma anche di tifosi, genoani e
sampdoriani, accomunati in un unico
dolore, da semplici cittadini e persino
dai ragazzi del centro sociale "Zapata"
che Vincenzo Spagnolo, entusiasta e
generoso, sempre pronto alla solidarietà
e alla comunicazione, frequentava
abitualmente. Per questo la cerimonia
s'è conclusa con un canto di speranza e
di resurrezione. La giornata ufficiale è
stata contrassegnata ancora da
comunicati, da dichiarazioni più o meno
istituzionali, ma con i politici - i
"nuovi" sono più riservati e meno
presenzialisti rispetto agli
amministratori della Prima Repubblica -
un passo indietro. S'è saputo che domani
mattina, sempre nella chiesa di San
Teodoro, ci saranno i funerali. La
famiglia, che s'è comportata con
grandissima dignità e riservatezza, ha
insistito che siano semplici, privati e
non solenni. Ma la funzione sarà
officiata dal cardinale Giovanni
Canestri, il vescovo che sa toccare il
cuore della gente e che s'era offerto di
andare a parlamentare direttamente con i
gruppi più facinorosi, domenica scorsa,
per convincerli a desistere dalla
assurda guerriglia nel segno della
vendetta. Una ulteriore ufficialità sarà
data alla presenza dei gonfaloni di
Genova e di Milano, dopo un colloquio
telefonico tra i sindaci Sansa e
Formentini, la cui figlia Chiara è
presidente del Consiglio comunale. Ci
saranno tutte le autorità civili e
militari e le bandiere di tutti i club
rossoblù e persino blucerchiati: si sta
realizzando una singolare coesione tra
tutti le isole del mondo sportivo. Ai
funerali sarà presente Adriano Sansa
accanto al gonfalone, mentre il
rappresentante ufficiale di Milano sarà
il vicesindaco Giorgio Malagoli, insieme
a un folto gruppo di consiglieri
comunali. 1
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
Mazzi
di fiori, addio Spagna
I
tifosi di Genoa e Sampdoria "Bisogna
vigilare su tutto e tutti di
Paolo Lingua GENOVA
- Ci sono grandi mazzi di fiori, sempre
freschi, che mani ignote depongono sul
luogo dove Vincenzo Spagnolo è stato
trafitto dall'assurda coltellata. C'è
anche una scritta "Vivere nel cuore di
chi resta non è morire. Ciao Spagna". Il
graffito è siglato "F.G." ovvero "Fossa
dei Grifoni", il nome d'una celebre
formazione di "ultras" genoani, ora
disciolta e riassorbita tra i club.
Tutta Genova è scossa e avverte il
lutto, nonostante la giornata
primaverile e il sole caldo. Ma se la
città avverte un evento luttuoso e
assurdo, le tifoserie, il mondo degli
appassionati e soprattutto i
protagonisti del tifo organizzato e dei
club vivono un lutto che ha del tribale,
così come lo sono i riti collettivi
della domenica, quelli ingenui,
entusiastici, vagamente salvifici, non
certo quelli della violenza,
dell'intolleranza e della ferocia
assurda. Ieri, forse per la prima volta
(con la sola eccezione, dolorosa, ma non
drammatica, dei funerali di Paolo
Mantovani) i Club genoani e blucerchiati
hanno redatto un documento comune. I
capi delle tifoserie hanno deciso "di
costituire un comitato permanente che si
proponga di vigilare sull'operato di
tutti gli organi preposti, ciascuno per
le sue competenze, affinché tutti si
assumano le proprie responsabilità". I
tifosi dei club hanno aggiunto che la
pausa del campionato di domenica
prossima non sia solo un gesto simbolico
e una "pausa di riflessione", ma debba
essere "l'inizio di una serie di misure
e decisioni atte a riportare il gioco
del calcio entro i canoni di una civile
competizione sportiva". Proseguono,
nella parrocchia di San Teodoro e tra i
tifosi, raccolte di denaro da offrire
alla famiglia; si pensa di dar vita a
iniziative sportive che ricordino il
povero ragazzo, vittima del tifo. In via
Digione, a pochi passi dall'abitazione
della famiglia Spagnolo, all'istituto
industriale Galileo Galilei, studenti e
professori hanno discusso a fondo le
cause e le motivazioni del tragico gesto
di violenza. Il presidente del Genoa
Aldo Spinelli è riuscito solo in tarda
serata a visitare la famiglia della
vittima. Quando è uscito era commosso,
con le lacrime agli occhi. "E' un giorno
tristissimo per me. Il giorno più nero
della mia vita - ha detto. Ho persino
pensato di dare le dimissioni dal Genoa
e di lasciare tutto". Spinelli sarà
ovviamente ai funerali con i giocatori e
l'allenatore accanto ai giocatori del
Milan. (p. l.) 1
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 1
FEBBRAIO 1995
Oggi
funerali una città per Vincenzo di
Marco Preve GENOVA
- Sarà un messaggio di speranza quello
che arriverà dal pulpito della chiesa di
San Teodoro dove questa mattina alle
11.30 si terranno i funerali di Vincenzo
Spagnolo. Un appello alla pacificazione
pronunciato dal cardinale di Genova
Giovanni Canestri che ieri, proprio per
trovare le parole giuste si era
consultato anche con il cardinale di
Milano Carlo Maria Martini. In una città
sconvolta dal delitto e dal clima di
guerra che non sembra ancora svanito,
oltre alle parole di conforto per i
famigliari della vittima, si sente il
bisogno, come dice don Franco De Marchi
parroco di San Teodoro, "di aiutare
questi ragazzi a ritrovare la
ragionevolezza ed abbandonare l'odio".
Un primo segnale in questo senso è stato
dato dagli stessi famigliari di
Vincenzo. Avevano espresso il desiderio
che i funerali si svolgessero in forma
privata ma poi hanno accettato la
presenza del sindaco Adriano Sansa,
delle squadre di Genoa e Sampdoria con i
loro presidenti, e delle altre autorità.
Le loro riserve erano dettate
soprattutto dal timore che le esequie si
trasformassero per qualcuno in una
passerella nella quale sfoggiare finti
sentimenti di solidarietà. Il "no" al
Milan e a Matarrese è stato interpretato
anche come il gesto di chi vuole evitare
che possano sorgere motivi di polemica.
La tensione fra il "popolo genoano" che
considera Vincenzo una sorta di martire
da vendicare è ancora alta. Anche se le
dichiarazioni dei club di tifosi
organizzati sono tranquillizzanti, si
teme che qualche frangia isolata possa
provocare dei disordini. È tra l'altro
atteso l'arrivo di una delegazione di
Leoncavallini che si uniranno ai giovani
dello Zapata, il centro sociale
frequentato da Vincenzo. Per queste
ragioni, e perché si prevede l'afflusso
di migliaia di cittadini, sarà massiccia
la presenza di poliziotti e carabinieri.
I club del tifo hanno chiesto ai
cittadini di Genova di esporre lenzuola
bianche e bandiere a lutto. 2
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
L’autopsia rivela: non voleva uccidere GENOVA
- "Penso spesso al suicidio" confessa
Simone Barbaglia: ha gli occhi gonfi di
pianto, ha scritto una lettera al
ragazzo che ha ammazzato per chiedere
perdono. Al carcere di Chiavari, dov'è
rinchiuso in una cella d’isolamento,
hanno raddoppiato la sorveglianza.
Simone ha chiesto una radiolina per non
restare isolato dal mondo, dal "suo"
mondo: "Datemela magari per ascoltare la
partita del Milan contro l'Arsenal".
Ieri mattina è stato interrogato per una
decina di minuti dal giudice delle
indagini preliminari Giorgio Ricci, che
ha convalidato l'arresto e l'accusa di
omicidio volontario e rissa aggravata:
la premeditazione è tuttavia esclusa e,
alla luce dei risultati dell'autopsia,
si ipotizza il delitto
preterintenzionale ma addirittura
l'eccesso colposo in legittima difesa,
imputazione per la quale rischierebbe
dai 2 ai 5 anni di galera.
Dell'intenzione d'uccidersi aveva già
detto allo stadio confidandosi con
l'amico Matteo, il minorenne che gli
aveva fornito il coltello: "Se quel
ragazzo è morto per davvero, la faccio
finita: come potrò guardare in faccia i
miei genitori ?". Al giudice ed al
sostituto procuratore Massimo Terrile,
che lo ha nuovamente interrogato, ha
negato le frasi riportate da Matteo:
"Non ho mai detto che avrei tagliato la
pancia a un genovese, ma solo che i
tifosi del Genoa erano dei "duri" e che
dovevamo stare attenti". Ha poi ripetuto
d'aver colpito Vincenzo Spagnolo per
difendersi: "Me lo sono visto arrivare
addosso, lui era disarmato: ho alzato il
coltello per spaventarlo e lui ci si è
gettato contro. Ma quando sono scappato
era ancora in piedi, credevo d'averlo
ferito appena". Ieri ha potuto
incontrare madre e padre, li rivedrà
oggi: Manuela Mariani e Norberto
Amalfitano hanno ricevuto delle minacce
di morte, e con loro l'avvocato di
Simone, Stefano Savi. ECCO LA LETTERA -
A Vincenzo. Insieme abbiamo forse
condiviso una malintesa passione per il
calcio. Tu per questo potrai capirmi.
Non volevo ! Non volevo ! Ora sono qui,
solo, con la mia disperazione e il
dolore per quanto ti ho fatto, cerco
coraggio per sopportare la giusta
punizione. Perdonami, fallo tu che mi
puoi capire. (m. c.) 2
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
Una
lettera di Simone all'ucciso Vincenzo
Spagnolo, confermata l'accusa di
omicidio volontario
"Sono
disperato, perdonami"
Poi
smentisce l’amico: non ho mai detto che
volevo tagliare un genoano di
Camillo Arcuri GENOVA
- Il foglio bianco non ha una piega, è
fin troppo in ordine, come pure le poche
righe scritte a mano, con una grafia
priva di incertezze, senza la minima
cancellatura. Non c’è traccia, almeno in
apparenza, del tormento leggibile invece
nel testo, nelle parole di pentimento
che Simone Barbaglia, il tifoso killer
di Marassi, ha voluto indirizzare
direttamente all’altro ragazzo, Vincenzo
Spagnolo, quello ucciso, quasi soltanto
lui potesse comprenderlo. "A Vincenzo.
Insieme abbiamo forse condiviso una
malintesa passione per il calcio. Tu per
questo potrai capirmi. Non volevo ! Non
volevo ! Ora sono qui solo con la mia
disperazione e il dolore per quanto ti
ho fatto. Cerco il coraggio per
sopportare la giusta punizione.
Perdonami. Fallo tu che mi puoi capire.
Simone". La lettera aperta è uscita ieri
dal carcere di Chiavari, dove per
ragioni di sicurezza si è svolta
l’udienza per la convalida dell’arresto.
È stato il magistrato, Giorgio Ricci, a
recarsi nella sala colloqui del piccolo
carcere chiavarese. Una decina di
minuti; non è occorso oltre, data la
confessione, per confermare stato di
detenzione e accuse: di omicidio
volontario e rissa aggravata. Subito
dopo è cominciato un secondo e ben
diverso interrogatorio, protrattosi per
quattro ore, durante le quali Barbaglia,
apparso non poco scosso e pur lucido, ha
dovuto rispondere a una serie di nuove
contestazioni del pm Massimo Terrile. A
cominciare dall’ormai famosa frase,
"Dammi quel coltello che domenica taglio
un genoano", riferita dall’amico
minorenne che gli prestò l’arma. "Non è
vero, lui si confonde, non ho mai detto
una cosa del genere", ha negato con
forza il giovane omicida. Ma è vero che
voleva già comprarsi un coltello "a
farfalla" per andare armato alla partita
? "Quando ho accompagnato in armeria il
mio amico che colleziona armi bianche,
risponde, non avevo né i soldi né
l’intenzione di comprare niente". La
ricostruzione si sposta sugli attimi
fatali dello scontro. E lui mima la
scena: fuggiva - "Mi ero trovato isolato
e temevo di essere sopraffatto" - quindi
si gira di colpo estraendo il coltello.
Fa l’atto di protendere la lama: "Per
spaventarlo, fermarlo, ma Vincenzo - lo
chiama per nome - correva, mi era ormai
addosso e c’è finito sopra...". Gli
fanno ripetere più volte il gesto, per
confrontarlo con gli esiti, non ancora
ufficialmente noti, dell’autopsia che
pare attribuisca la morte a un colpo
vibrato dal basso verso l’alto con
estrema violenza. "No, lui era a mani
nude, non aveva né bastone né altro;
solo che erano in parecchi e ho avuto
paura", conferma il tifoso milanista,
smentendo uno del clan che diceva di
aver visto gli avversari armati. Poi
parla del dopo, del panico che lo ha
sopraffatto alla vista del sangue, per
cui è fuggito cercando rifugio nella
gradinata Sud. Qui, quando si sparse la
notizia della morte del genoano ferito,
e l’opposta gradinata tuonava
"assassini, assassini", c’è chi lo ha
visto disperarsi. È vero che parlava di
farla finita ? "Sì, ora lo ricordo, non
potevo sopportare il peso di tutto
questo...". Altre domande: ha chiesto
aiuto al Barone (capo del tifo
rossonero) ? "Non so neanche chi sia.
Col tifo ho chiuso e non solo perché sto
in prigione: è un mondo che non mi
appartiene più". Era di destra, urlava
slogan razzisti ? "Non so niente di
politica; non ho ancora votato...".
Stamane, al funerale nella chiesa di San
Teodoro, davanti alla Lanterna, la
famiglia ha chiesto solo che partecipino
i giocatori delle due squadre cittadine.
Celebrerà il rito il cardinale Giovanni
Canestri che farà eco all’appello
lanciato ieri dal Papa per fermare "la
violenza che con episodi anche tragici,
si registra sempre più di frequente in
occasione di incontri sportivi. La
gioia, ha concluso il Papa, deve
ristorare, non distruggere". 2
febbraio 1995 Fonte:
Il Corriere della Sera
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
Rabbia
e lacrime di un padre di
Eleonora Bertolotto GENOVA
- Una carezza interminabile sulla fronte
del figlio, come si fa con un bambino
nella culla. La giornata di Cosimo
Spagnolo, il papà di "Spagna", ieri è
passata così, tra le lacrime, nella
piccola camera ardente allestita
nell’obitorio dell’ospedale "San
Martino". Senza una parola, con lo
sguardo ora sul volto gelido di Claudio,
ora sulla gente che continuava ad
arrivare, composta, con gli occhi
lucidi, portando fiori. Uno sguardo che
parlava: "E' qui, morto. Vi sembra
possibile ?" Il dolore di questa
famiglia è stato, nei giorni scorsi,
impenetrabile. Cosimo Spagnolo l’ha
rotto una sola volta, ieri, davanti alle
telecamere di una televisione spagnola.
Ha preferito quella strada, spiega un
parente, per evitare
strumentalizzazioni, e perché la
preoccupazione di tutti è di non
inasprire gli animi. Dice Cosimo
Spagnolo: "Abbiamo scelto il silenzio,
perché non c'è nulla da dire su una
tragedia così grande. Posso fare solo
una domanda: si deve morire a vent'anni
per una partita ? Io credo di no, è una
fine inaccettabile". Una giornata di
lutto dello sport, domenica prossima. È
d'accordo ? "Non io sono d'accordo, sono
d'accordo cinquanta milioni di italiani.
Un solo italiano non lo è". Chi non è
d'accordo, signor Spagnolo ? "Lo sanno
tutti: è Matarrese". E lei cosa pensa ?
"Dio mio, non ho parole". L’altra notte,
mentre i compagni del Centro sociale
"Zapata" si riunivano nella loro sede
nei vicoli, la sorella minore di
Vincenzo Claudio Spagnolo ha portato
alle agenzie di stampa un comunicato:
"La famiglia e gli amici ringraziano
sentitamente per la solidarietà
dimostrata da tutta Italia, ma, al fine
di evitare inutili tensioni, chiedono
che ai funerali partecipino solo le
squadre genovesi. Ringraziano tutte le
autorità, ma chiedono anche a loro di
astenersi dal presenziare". Ieri, i toni
sembravano essersi ammorbiditi.
Monsignor Bruno Venturelli, che per anni
è stato il parroco dell’abbazia di San
Teodoro, dove oggi si svolgono le
esequie, è venuto a portare al padre il
messaggio del sindaco di Genova, Adriano
Sansa, e del vicesindaco di Milano,
Malagoli: "Mi hanno detto che vorrebbero
partecipare come semplici cittadini",
riferisce il prelato. Cosimo Spagnolo ha
allargato le braccia: "Dica che possono
venire tutti". Per l’intera giornata,
accanto alla salma, hanno vegliato i
familiari: con il padre Cosimo, la madre
Calogera e la figlia Simona. C'erano
anche la nonna materna, Maria, e i nonni
paterni, Vincenzo e Maria Grazia.
Centinaia e centinaia di persone: San
Teodoro, che è un quartiere popolare e
molto solidale, si è mobilitato in
massa. Tutte le strade erano tappezzate
di manifesti con una grande foto di
Claudio e una lettera aperta, scritta
dai suoi amici: "Hasta siempre, Spagna
!". Nessuna autorità. E del mondo
sportivo, a parte i genoani e i
sampdoriani delle gradinate, solo il
segretario del Genoa, Benti, e il
segretario generale, Scapini. Hanno
portato undici maglie genoane, che sono
state stese sulla bara, come una grande,
calda, coperta rossoblù. 2
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
Genova,
nuovo interrogatorio per il tifoso: al
giudice ha chiesto una radio per
ascoltare Arsenal-Milan
"Vincenzo, non volevo ucciderti"
Dalla
cella Simone scrive alla sua vittima di
Pierangelo Sapegno CHIAVARI DAL NOSTRO INVIATO - "A
Vincenzo". Il ragazzo di curva ha preso
carta e penna e ha scritto a uno come
lui. Da Simone a Vincenzo.
Dall'assassino alla sua vittima.
"Insieme abbiamo forse condiviso una
malintesa passione per il calcio. Non
volevo ! Non volevo ! Ora sono qui,
solo, con la mia disperazione e il
dolore per quanto ti ho fatto. Cerco
coraggio per sopportare la giusta
punizione. Perdonami. Fallo tu che mi
puoi capire". Una scrittura infantile,
rotonda, larga, con righe distanziate.
Stefano Savi legge le poche frasi
stretto dal grappolo di giornalisti,
davanti alle mura del carcere di
Chiavari. Il gip Giorgio Ricci l'ha
sentito dieci minuti e ha convalidato
l'arresto e le accuse: omicidio
volontario e rissa aggravata. Ma quando
lo avvicinano i cronisti, lascia parole
dolenti: "Sono sconvolto, è uno normale,
non certo teppista. Sembra un ragazzo
che si è svegliato nella realtà, così,
all'improvviso, solo adesso, e che si
trova di fronte non il calcio, la tv e
le sue finzioni, ma il mondo vero". Il
fatto è che questa storia, dopo aver
gettato fuori tutta la sua violenza, s'è
riempita di un'atmosfera ambivalente, di
un'aura strana, come se mischiasse
insieme tutti i nostri sensi di colpa e
i dolori delle vittime, e la freddezza
della giustizia. Simone Barbaglia piange
e si dispera, poi chiede: "Ma quanto
rischio ?" Sui giornali, c'è scritto
trent'anni, dice. Ne ha voluti un po',
alcuni di Milano e uno sportivo, quello
che leggeva sempre quando il calcio era
solo una passione. E ha chiesto la radio
per stasera, perché sperava di sentirsi
Arsenal-Milan. Il tifo è duro a morire.
E anche i sentimenti della curva, gli
amori accecanti, gli odii e la divisione
manichea del mondo che rappresentano,
sono duri a morire. Così, nella sua
cella d'isolamento del carcere di
Chiavari, Simone Barbaglia avverte tutta
la condanna e l'ostilità di una città e
della sua gente. Di una parte. Sa,
ovviamente, che non lo perdonano i
tifosi; sa che non lo perdonano i
genitori di Vincenzo. Così vero che la
famiglia Spagnolo non ne vuole nemmeno
sentir parlare: "Né oggi, né mai. È
troppo assurdo quello che ha fatto",
dice mamma Rina in lacrime. L'unico che
può capirlo è il ragazzo di curva che
non c'è più, quello che è caduto sotto
il suo coltello. È come se la morte
avesse unito la vittima e il suo
carnefice. E poi, si lamenta il suo
avvocato, attorno non è rimasto che
l'odio: "Sono preoccupato per lui e per
la sua famiglia. Sono minacciati di
continuo, e persino il mio studio è
bersagliato da telefonate". Così, quando
al sostituto Massimo Terrile, che lo
riascolta dopo le ultime novità
dell'inchiesta, ripete la sua versione
dei fatti, Simone quasi dispera: "Nel
momento in cui mi sono voltato, io
gliel'ho mostrato bene, il coltello,
gliel'ho fatto vedere bene come per
dirgli stai attento, finiamola qui che
ti conviene. E lo tenevo all'altezza
della vita, davanti al suo petto. Ma
perché m'è venuto incontro ?" Come a
voler dire che se Vincenzo non l'avesse
fatto, si sarebbero salvati, lui e la
sua vittima, per una domenica ancora.
Gli amici sentiti dagli inquirenti hanno
raccontato che subito dopo il delitto
Simone era salito in curva bianco come
un cencio e così disperato da continuare
a ripetere come un ossesso: "Mi ammazzo,
mi ammazzo, mio Dio che cosa ho fatto
?". Nasce anche da questo un sospetto
dei carabinieri: che in realtà la curva
non l'abbia solo nascosto, ma che abbia
addirittura organizzato la sua
protezione. Simone forse era stravolto,
perso. Hanno davvero pensato loro a
tutto ? Certo è che fino adesso
Barbaglia tende a negare responsabilità
altrui. E che, dall'altra parte, sale il
numero degli indagati: sono nove, ora.
Due denunciati per favoreggiamento
d'omicidio e rissa aggravata, gli altri
sette solo per rissa. Ma il lavoro dei
carabinieri di Genova guidati dal
colonnello Maiorano continua: e ieri,
alcuni di loro in borghese hanno seguito
i tifosi del Milan a Londra per la
partita con l'Arsenal. Nella mattina,
durante l'interrogatorio, Massimo
Terrile, il magistrato che coordina
l'inchiesta, gli ha elencato i nomi dei
capipopolo di San Siro per capire se ne
conosceva qualcuno. "Non so chi siano,
non conosco nessuno", ha ripetuto
Simone. "Nemmeno Barone". E poi ripete
per l'ennesima volta le fasi del delitto
e della fuga, le lunghe ore della paura.
Il giubbotto ? "Sono stato io a chiedere
a Christian di scambiarlo. È stato un
gesto spontaneo". È più preciso, questa
volta ricorda meglio. "Lo scambio è
avvenuto prima della partita, appena
dentro lo stadio", dice. E quello al
quale hai consegnato il coltello ?, gli
chiedono. "Non era uno del gruppo, lo
conoscevo di vista, perché ci vedevamo
qualche volta alle partite". Allora, gli
hanno fatto rivedere tutte le 924 foto
dei tifosi che erano con lui domenica
nella Gradinata Sud di Marassi. Lo
trova: "E' questo", dice. Nega di aver
pronunciato la frase ricordata da
Matteo, l'amico minorenne fermato dagli
inquirenti perché gli aveva prestato
l'arma del delitto: "No, non ho mai
detto che volevo un coltello per
tagliare un genoano". E poi, Matteo,
ripete, non è un suo amico. "Solo un ex
compagno di scuola". E quelli del
barbour ? "Siamo una ventina. Ma quelli
con cui sono più affiatato sono solo sei
o sette". Dura più di tre ore
l'interrogatorio, e durante una pausa,
Terrile parla con lui di calcio. Gli
chiede: "Ma ci vorresti tornare a San
Siro ?". E lui: "No, allo stadio non
voglio proprio più andarci. Per me,
questo è un discorso chiuso". L'ultima
partita resta quella che ha fermato il
calcio, Genoa-Milan. Oggi, invece, si
fermerà Genova, in coda dietro la salma
di Vincenzo Spagnolo. Da ieri mattina,
hanno allestito la camera ardente al San
Martino, in una stanza piccolina, la
numero sette. Lungo le pareti, fiori e
corone. Un nastro: "Ciao Spagna, da
tutti i tuoi amici". 2
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
"E' un
delitto premeditato. Non lo perdoneremo
mai" di
Pierangelo Sapegno GENOVA
- Casa Spagnolo. Il giorno prima del
funerale. Al telefono, una voce rotta e
toni dolenti. Risponde la zia di
Vincenzo, Laura, che parla a nome dei
genitori. Signora, l'assassino di
Vincenzo ha scritto una lettera, lo sa ?
"A noi ?". No, a Vincenzo. Posso
leggergliela ? "Guardi, per noi, è altro
dolore. Solo quello. Vincenzo non c'è
più. A cosa serve scrivergli adesso ?".
Simone Barbaglia gli chiede perdono...
"Non c'è niente da perdonare". Dice
così, il ragazzo, nella sua lettera: non
volevo, cerco coraggio per sopportare la
giusta punizione. Perdonami. Fallo tu
che mi puoi capire. Ecco, questo scrive.
Davvero non si può perdonare ? "Forse è
ancora presto per risponderle: il fatto
è che la nostra ferita è aperta e fa
male. Se lei me lo chiede adesso, però,
io penso che non sia perdonabile. Perché
per me è stato un atto premeditato, un
delitto cercato. È venuto a guardare una
partita di calcio con un coltello in
tasca. È mai possibile ? Prima la
giustizia faccia il suo corso, e
poi...". E poi ? "Senta, Vincenzo era un
ragazzo pieno di vita, generoso. Chieda
in giro, senta cosa dicono di lui. Non
era solo un bravo ragazzo. Per noi, per
chi lo conosceva era qualcosa di più. Un
ragazzo onesto e buono come il pane.
Cominciava a vivere. Era in attesa di
lavoro, forse lo stava trovando. Aveva
una ragazza, una bravissima ragazza,
Raffaella. Povero Vincenzo. Lui non
avrebbe mai ucciso nessuno. E domenica
era a mani nude, disarmato". Signora,
domani ci sono i funerali. È vero che
non volete nessuno ? "Ma no, nella
maniera più assoluta". Non li volete in
forma privata ? "Come si fa, è logico
che vogliamo tutti gli amici di
Vincenzo, tutti quelli che gli hanno
voluto bene". Ci sarà una folla, allora
? "Certo. Devono venire tutti a salutare
Vincenzo. Penso che Vincenzo sarà
contento di vedere quanta gente si è
stretta attorno a noi e a lui per
salutarlo. Tutto questo calore ci è di
grande conforto per superare questa
tragedia. E se ci saranno le autorità,
servirà a dare maggiore importanza a
questo avvenimento nella speranza che un
simile atto non debba più ripetersi". E
sperate che vengano anche i giocatori ?
"Sicuramente. Sarebbe il più grande
regalo per lui. In fondo era la sua
passione, il calcio. Anche le autorità,
anche i calciatori, non è vero che non
vogliamo che vengano...". Pure quelli
del Milan ? "Ah... il Milan...". Quelli
no ? "Ma sì. Sì, invece. Anche quelli
del Milan. Loro non c'entrano". Signora,
voi siete d'accordo che domenica non si
giochi ? "Ormai Vincenzo non c'è più. E
non c'è niente di tutto questo che può
farcelo ritornare. Non lo so. Credo sia
una forma di rispetto doverosa". I
genitori di Simone si sono fatti vivi
con voi ? "No, per carità. Capiamo il
loro dolore, perché siamo genitori anche
noi. Ma è già dura così, non riusciremmo
proprio a parlarci". Allora, niente
perdono ? "Dobbiamo farci forza. Ma
perdonare no, non si può. È troppo
assurdo. Lei sarebbe capace di perdonare
uno che uccide suo figlio per un odio
senza senso ?". È solo il suo pensiero ?
"Oh no, non credo proprio. È quello che
pensiamo tutti noi". Oggi non ce la fa.
E domani ? "Domani. Prima, deve morire
il dolore dentro. Però, per questo
dolore non penso che ci sia domani. La
vita è tutto. Non lo perdoneremo mai". 2
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
La
famiglia chiede di non strumentalizzare
la cerimonia: "Deve essere solo un
momento per stringersi attorno a noi".
"Addio
Spagna". Ore 11.30, Genova si ferma
II
cardinale Canestri celebra le esequie
del tifoso ucciso di
Paolo Lingua GENOVA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - Oggi alle
11.30 si ferma tutta Genova, con il
cuore e con la mente. Alle 11.30 il
cardinale Giovanni Canestri, affiancato
dai Canonici Lateranensi, l'ordine
religioso che regge la chiesa di San
Teodoro da più di cinque secoli, salirà
all'altare per celebrare le esequie di
Vincenzo Spagnolo, il giovane di 24 anni
accoltellato domenica scorsa nei pressi
dello stadio Luigi Ferraris, poco prima
dell'incontro Genoa-Milan. Non saranno
funerali "strettamente privati". Anche i
familiari, affranti, hanno capito che
ormai la vicenda del loro congiunto
barbaramente assassinato fa parte del
patrimonio collettivo e della cronaca
della città. Anzi è un episodio che ha
scosso le coscienze di tutti gli
italiani, tifosi e no. I familiari hanno
fatto sapere ieri, in serata, che "il
funerale deve essere solo un momento per
stringersi attorno a noi. Per questo,
per evitare tensioni che potrebbero
stravolgere il vero significato della
funzione, ribadiamo l'invito a non
strumentalizzare la cerimonia per
qualsiasi scopo di parte". Nella chiesa
ci saranno quindi il sindaco di Genova
con il gonfalone, il vicesindaco di
Milano, le squadre del Genoa e della
Sampdoria, molti dirigenti, tutti i club
di tifosi delle squadre liguri e non
solo liguri. Il coordinamento dei club
genoani hanno lanciato un appello: "Si
invitano i cittadini di tutta Italia a
dare un forte e deciso segnale contro la
violenza e, soprattutto, in segno di
solidarietà con la famiglia del giovane
così tragicamente scomparso a esporre ai
balconi o alle finestre sciarpe,
striscioni, drappi o un lenzuolo
bianco". La giornata dolente è
cominciata ieri mattina all'alba, quando
è cominciato il conto alla rovescia
delle ore amare che separano
dall'estremo addio a Vincenzo Spagnolo.
È stata aperta all'alba, dopo il
permesso definitivo dell'Istituto di
medicina Legale dell'Università di
Genova, la camera ardente presso
l'obitorio, dove è stato esposto il
feretro. Le spoglie dello sventurato
giovane sono state composte in una
cameretta, la numero 7: ai piedi della
bara sono stati deposti numerosi mazzi
di fiori e alle pareti sono state appese
due corone, una della quale con la
scritta: "Ciao Spagna da tutti i tuoi
amici". I familiari - il padre, la
madre, la sorella, una zia che con
coraggio ha svolto il ruolo di portavoce
della famiglia - si sono fermati a
lungo. C'è stata per tutta la giornata
una presenza discreta e commossa di
amici, tifosi, semplici cittadini. Non
si sono creati assembramenti, le visite
sono state composte, brevi, in un
silenzio religioso. La camera ardente
resterà aperta ancora domani mattina
sino a poco prima dei funerali. II clima
di solidarietà si avverte in città in
tutti gli ambienti: persino la
istituzione sportiva più blasonata della
città, la più distante, non solo
materialmente, ma anche
psicologicamente, dal mondo popolaresco
del calcio, lo Yacht Club ha annullato
in segno di lutto le regate già previste
per sabato 4 e per domenica 5: saranno
posticipate all'1 e al 12 febbraio.
Analoghe adesioni sono venute un po' da
tutti gli ambienti: dal rugby, dal
basket, dalla pallavolo, dall'atletica,
dal nuoto. Ci saranno anche gli amici
delle attività "alternative", quelli del
centro sociale "Zapata" e persino gli
studenti di Lettere, quelli dell'Aula M,
che la scorsa notte hanno chiuso
l'occupazione degli uffici adiacenti
alla presidenza. Per questo si teme non
tanto per l'ordine pubblico, quanto
piuttosto per i rischi di ingorgo del
traffico. La chiesa di San Teodoro è
ubicata proprio sulla strada - unica -
che collega il centro cittadino con i
quartieri di Ponente e della Val
Polcevera. Per evitare il rischio d'una
città divisa in due, i vigili urbani e
l'amministrazione comunale ieri sera
hanno lanciato un appello: per venire ai
funerali usate il bus, oppure un mezzo a
due ruote, lasciata la macchina a casa.
Un ingente schieramento di vigili e di
polizia stradale è stato già dislocato
sin dalle 8 di questa mattina in via
Milano e in tutta la zona di Di Negro.
Ma ieri in Comune e negli uffici
pubblici si è anche pensato ai
provvedimenti urgenti per contenere i
possibili inconvenienti futuri allo
stadio. Il sindaco Sansa e il prefetto
Marino, dopo una riunione, hanno
avanzato l'ipotesi di ridurre i posti
allo stadio e di smantellare
immediatamente il "gazebo" che si trova
dinanzi al campo dai tempi dei Mondiali.
Si dovrebbe così realizzare subito la
recinzione esterna che dovrebbe
consentire un deflusso controllato degli
spettatori. 2
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
APPELLO
DAI TIFOSI
"Un
gesto di solidarietà" Un
invito a tutti i tifosi italiani ad
esporre a finestre e balconi bandiere,
striscioni, sciarpe o semplicemente un
lenzuolo bianco, in occasione dei
funerali di questa mattina di Vincenzo
Spagnolo, il giovane tifoso ucciso
domenica scorsa con una coltellata poco
prima dell’incontro di calcio
Genoa-Milan, è stato avanzato dal
comitato di coordinamento dei club
genoani. Nel comunicato i rappresentanti
della tifoseria invitano, inoltre, "i
cittadini di tutta Italia a dare un
forte e deciso segnale contro la
violenza e soprattutto un segno di
solidarietà con la famiglia di Vincenzo
Spagnolo". Sempre la tifoseria genoana,
intanto, ha allo studio l'organizzazione
di un grande raduno, a Genova, per
domenica prossima, di tutti i
rappresentanti delle tifoserie
organizzate. "Dall’invito - precisano -
abbiamo escluso quella milanista per
ovvi motivi di opportunità". Questo
raduno sostengono gli organizzatori, che
dovrebbe svolgersi allo stadio Luigi
Ferraris", se verrà concesso e se ci
saranno tutte le autorizzazioni, dovrà
stabilire un punto fermo, dire basta
alla violenza e far sì che dalla tragica
morte di Vincenzo Spagnolo nasca un
nuovo modo di andare allo stadio. (a.
l.) 2
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
Simone
ha scritto a Vincenzo
Chiavari: oggi in carcere incontra i
genitori CHIAVARI - Lunedì scorso, tardo
pomeriggio. Tre "gazzelle" dei
carabinieri, provenienti da Genova,
attraversano il centro di Chiavari a
tutta velocità. Sembrano rincorrersi.
Per poco, una di queste auto non investe
una passante. Su una delle tre
"gazzelle" c'è Simone Barbaglia, il
tifoso milanista che il giorno
precedente ha ucciso con una coltellata
all'esterno del "Ferraris" il genoano
Vincenzo Spagnolo. Il trasferimento
dalle carceri di Marassi è stato dettato
da ragioni di sicurezza. "Speravamo non
lo veniste a sapere", ha detto ieri
mattina ai giornalisti l'avvocato
difensore dell'omicida, Stefano Savi. La
notizia del trasferimento è stata sulle
prime smentita: si è parlato di un
carcere del Basso Piemonte, per
depistare. Ma Chiavari, che è in fondo
come un piccolo paese, già sapeva. Così
i chiavaresi, ieri mattina quando decine
di giornalisti hanno sostato per ore
davanti al carcere di via al Gasometro,
non sono stati colti di sorpresa. Mentre
dietro le mura della casa circondariale
si teneva l'interrogatorio dell'omicida
da parte dei magistrati che conducono
l'inchiesta, la città già ne parlava. Al
Gran Caffè Defilla, principale
crocicchio di Chiavari, sembrava di
stare in una sala stampa. I contenuti
dell'interrogatorio i chiavaresi li
leggeranno oggi sulle cronache nazionali
dei giornali. Verranno così a sapere
della ideale lettera che Simone ha
scritto, in carcere, alla sua vittima:
poche righe, vergate con una penna stilo
e con una calligrafia perfetta. Forse
troppo perfetta. Sapranno che si è
pentito e che si era pentito già allo
stadio, subito dopo il delitto, quando
avrebbe manifestato l'intenzione di
suicidarsi. Dal carcere Simone, che è in
isolamento, che può leggere i giornali
ma non guardare la tivù, ha fatto sapere
che gli farebbe piacere avere una radio,
per avere un po' di compagnia. E che
quella frase, "Andrò a tagliare un
genoano", lui non l'ha mai detta. È
accusato di omicidio volontario e di
rissa aggravata, è addolorato e depresso
secondo il suo avvocato. Lui, quel
coltello, l'aveva portato con sé per
difendersi: così ha fatto, con Spagnolo.
Stamane Simone incontrerà in carcere i
suoi genitori, che l'avevano già
abbracciato, con la pena nel cuore,
l'altro ieri. (f. p.) 2
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
Blitz
in tv
Sotto
sequestro tutti i filmati GENOVA
- Non sono ancora finite le indagini di
carabinieri e polizia per individuare
eventuali altri complici nell'assassinio
di Vincenzo Spagnolo. Oltre ai tifosi
milanisti fermati nel capoluogo lombardo
dopo l'arresto di Simone Barbaglia, 19
anni, omicida reo confesso, potrebbero
scattare altri provvedimenti di custodia
cautelare nei confronti dei giovani che
sono stati protagonisti della domenica
di sangue a Marassi. I carabinieri hanno
infatti realizzato un "blitz" nelle sedi
di tutte le televisioni private genovesi
allo scopo di raccogliere altre
informazioni. In particolare sono state
chieste tutte le registrazioni di
domenica pomeriggio. Si tratta di
centinaia di minuti di riprese
realizzate dagli operatori delle
televisioni private dalla tribuna stampa
e dai corridoi all'interno dello stadio.
I carabinieri ieri pomeriggio hanno già
cominciato a passare al setaccio le
immagini. Probabilmente per individuare
gli altri componenti del gruppo dei
tifosi milanisti che hanno aggredito i
genoani. Non è escluso che le forze
dell'ordine vogliano fare chiarezza
anche sugli incidenti del dopopartita.
Quando, cioè, centinaia di tifosi
genoani hanno reagito con violenze alla
notizia della morte del compagno di
gradinata. Domenica erano state
danneggiate decine di auto intorno allo
stadio Ferraris e alcune erano state
date alle fiamme. Anche i cassonetti
della spazzatura erano stati bruciati
dai tifosi genoani. Da registrare un
intervento dell'on. Raffaele Costa, ex
ministro della Sanità, esponente
dell'Unione di centro. Costa ha parlato
di "eccessiva rumorosità" in quanto
"l'episodio, pur gravissimo, può
giustificare forte emozione ma non le
urla, improvvise ed improvvisate, le
grida scomposte degli inerti di ieri su
un fenomeno conosciuto da anni e che non
aveva scosso più di tanto le autorità
politiche, amministrative, sportive".
(f. gr.) 2
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 2
FEBBRAIO 1995
A
Genova folla di ultras e calciatori. I
genitori del tifoso ucciso non perdonano
il killer
"Per
Vincenzo un funerale pagano"
Il
parroco si ribella: in chiesa come allo
stadio GENOVA
- Sotto il cielo grigio di Genova,
Vincenzo sparisce nella curva, tra la
sua gente, tra sciarpe e colori. Ma
questo è uno spettacolo del dolore: la
curva affolla il sagrato di una Chiesa,
le campane suonano a morto. Ed è uno
strano funerale. Don Bruno, il parroco,
si ribella: "Oggi il mondo pagano ha
trionfato sul sacro: viviamo in un mondo
sbagliato che ha smarrito tutti gli
ideali e i valori. Si vive di
sensazioni, di tv, di ribalta. Non è
giusto". Quando la salma esce dalla
Chiesa e si ferma prima di scendere
nella piazza, l'applauso è triste, non
forte. La salma di Vincenzo Spagnolo si
allontana quasi di nascosto, inseguita
solo da un grappolo di compagni del
circolo Zapata. Va via così, il ragazzo
di curva assassinato con una coltellata,
domenica: quasi dimenticato,
nell'applauso che accompagna i suoi
idoli. La messa finisce, Gullit va a
baciare i genitori, che non perdonano il
killer. 3
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 3
FEBBRAIO 1995
Funerali da militante per un amico di
quartiere di
Gianni Mura GENOVA
- Ciao Claudio. Hasta siempre Spagna.
Forse è vero che proprio quelli più
colpiti dal dolore trovano le parole
giuste, chiare, che vengono fuori
automaticamente, come le lacrime.
Vincenzo Spagnolo per l’anagrafe e la
cronaca, per la famiglia e gli amici
Claudio, Spagna per i compagni del
centro Zapata. Tre modi per chiamare un
ragazzo ammazzato fuori da uno stadio.
Non è solo la Genova del tifo a
salutarlo, Fossa dei grifoni e Ultrà
doriani uniti nel servizio d'ordine
insieme agli zapatisti. È la Genova
degli studenti con gli zainetti, delle
donne con i sacchetti del supermercato,
è il quartiere di San Teodoro, zona di
portuali, i moli davanti, oltre la
strada, la chiesa tra un mercato rionale
e la ferrovia. Cielo basso e grigio di
nuvole fiamminghe, già due ore prima del
funerale davanti alla chiesa è tutto
pieno di gente. Prima che la bara
lasciasse la camera ardente, la numero 7
all’ospedale di San Martino, il
presidente regionale del Coni ha
consegnato ai genitori di Vincenzo una
lettera di Pescante. Cosimo e Calogera
Spagnolo, fa sapere un amico, hanno
molto apprezzato l’iniziativa di fermare
lo sport, domenica, così come continuano
a non capire l’atteggiamento di
Matarrese. Ma tanto cosa cambia ? Per
quei contrasti voluti dal caso, alle
porte della chiesa ci sono dei manifesti
dove c'è scritto: "Ogni figlio è un
dono. Giornata per la vita. Domenica 5 a
Campomorone". Ma questa è una mattina di
vita perduta, di vite che si guardano e
girano intorno a un perché. Vallo a
spiegare che ogni figlio è un dono a
quelli che l’hanno perso, e salgono i
gradini di traverso, tenendosi
abbracciati. Cosimo Spagnolo ha la
faccia e le mani di chi ha sempre
lavorato. Come tutti, nel quartiere. Sul
fianco della chiesa ci sono scritte
vecchie: meno soldi ai mondiali, più
servizi sociali, siglate Aut. Op.
Sciarpe rossoblù, sciarpe doriane,
sciarpe del Napoli, del Torino, della
Reggiana, del Parma, della Roma, del
Verona. Quel bastardo adesso si pente,
dice un ragazzo con la coda di cavallo,
ma se non vuoi ammazzare il ferro lo
tieni basso. Una zia di Vincenzo sta
male, la portano fuori dalla chiesa in
barella. Dentro, insieme, sono andati
tutti i giocatori di Genoa e Samp, con
allenatori e presidenti. C'è tutta la
famiglia Mantovani. Il Milan ha mandato
Buriani, Montanari e Zagatti. Vedo
Pieri, l’ex arbitro. C'è Leo Grosso per
l’associazione calciatori. C'è Fabio
Fazio in mezzo a quelli della Fossa che
gli dicono grazie, ancora grazie per
aver interrotto la trasmissione. Gullit
è il primo ad abbracciare Cosimo
Spagnolo, poi arrivano Skuhravy,
Signorini e Miura. Teste basse.
Silenzio. Un applauso per l’arrivo dei
giocatori, un applauso per la bara.
Quando arriva il sindaco, Sansa, il
silenzio più totale. La famiglia di
Vincenzo ha rifiutato i funerali a spese
del comune, gli amici hanno raccolto una
quindicina di milioni nel quartiere. È
un quartiere a strati sovrapposti, in
salita. Davanti al circolo Anpi di via
Bologna c'è il tricolore a mezz'asta e
uno striscione con scritto: Claudio
grazie di essere stato nostro amico.
Alle finestre delle case, dei casermoni
sono esposte bandiere del Genoa e della
Samp e lenzuoli bianchi. Lenzuoli
bianchi per dire siamo con voi, come in
via Gramsci, in via Pré, vicino alla
stazione Principe. In via Digione, nel
condominio degli Spagnolo, c'è un nastro
nero sul vetro dell’ingresso. Il cortile
mette malinconia. Area derattizzata. Il
quartiere è degradato ma vivo, solidale.
Pochi metri più in là, al Nippo's bar,
c'è chi commenta la sconfitta interna
del Gargiullo, della sera prima. Se
l’arbitro dava un rigore. I muri
dell’istituto Galilei hanno vecchi
graffiti: magico Vialli, merde, ebrei,
conigli. Boicotta i mondiali: 24 operai
morti. Nella stessa piazza Sopranis c'è
la carcassa di una fabbrica di ghiaccio,
le finestre sfondate. In via Alizeri i
panni sono tesi fra casa e casa. Giù per
via Venezia c'è un altro striscione.
Spagna: amico fratello uomo. Davanti
alla chiesa in genere c’è un mercatino,
ma un foglio fissato all’asfalto con
nastro adesivo dice che oggi l’esercizio
resta chiuso per rispetto al dolore
della famiglia Spagnolo. Non è un modo
di dire. C’è qualcosa di profondamente
responsabile in questa folla che sta in
piedi e parla a bassa voce, o piange. È
un funerale con tanti jeans, tanti
giubbotti di pelle, tanti orecchini,
tante felpe, tanta commozione.
L’arcivescovo di Genova Giovanni
Canestri è assistito dal vescovo
ausiliare di Milano, Citterio. "Cosa
abbiamo saputo offrire noi adulti a
questa nuova generazione, così spesso
affascinata dal nulla, spaventata dal
silenzio, a volte disgustata dal suo
stesso disgusto ?". La voce arriva dagli
altoparlanti e continuano ad arrivare le
corone. Gerbere e iris sono il rossoblù
genoano. Sono corone allegre, di colori
forti. Quella delle Brigate Mussolini di
Ascoli accanto a quella della Curva sud
di Reggio Emilia. I negozi hanno
abbassato le serrande, il bar sede del
Genoa club James Spensley e il
baracchino della farinata, la farmacia,
il fotografo, la macelleria. I duri
della curva hanno le mascelle serrate,
fanno cordone, gli occhi rossi. Sanno
che poteva toccare a uno di loro,
bastava passare di lì, vicino al gazebo,
dove poi saranno portate tutte le corone
e i fiori, caricati su un camion da
Tirotta, capo degli ultrà doriani,
vicino al gazebo dove Vincenzo è stato
ucciso e che non doveva più essere lì, e
infatti adesso lo sposteranno. Ma lì
alle quattro del pomeriggio c’è ancora
tanta gente silenziosa. Ma adesso
torniamo indietro, tra le 10 e le 13
ogni treno che usciva dalla galleria San
Lazzaro o ci entrava rallentava e
salutava col fischio, e da sotto vedevi
che sul treno si facevano il segno di
croce. Da anni i bordi del sottopasso
sono colorati di blu e di rosso e sopra
c’è lo striscione Hasta siempre Spagna,
su uno sfondo di stelle rosse che però
sono quelle dell’acqua San Pellegrino. È
il funerale di un tifoso, di un ragazzo,
di un militante. Quando la bara esce dal
portale si alzano i pugni chiusi e sul
fondo degli applausi parte una volta
sola, ma forte, Hasta siempre Spagna.
Poi la sorella Romina, pallidissima, i
capelli scuri, legge un messaggio a nome
della famiglia: "In questo difficile
momento di dolore desideriamo esprimere
il nostro ringraziamento a tutti quelli
che hanno partecipato al nostro lutto.
Nello stesso tempo riaffermiamo con
decisa volontà di essere contro ogni
forma di violenza e di vendetta.
Vogliamo ricordare Claudio con affetto e
lasciare dietro di lui una strada di
speranza e di fiducia. Lasciamo da parte
la rabbia, il rancore, la vendetta e la
violenza. Vogliamo dire basta a tutto
questo e insieme vogliamo tentare di
costruire un mondo di giustizia,
tolleranza, collaborazione e pace. Ciao
Claudio, che il tuo sacrificio non sia
vano". Non le trema mai la voce, e
attorno c’è un dolore forte e civile,
come se a una morte assurda si volesse
contrapporre una voglia di cambiare.
Hasta siempre, esperanza. 3
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 3
FEBBRAIO 1995
In una
pizzeria la riunione pre-trasferta GENOVA
- "Siamo capitati davanti alla gradinata
Nord perché abbiamo sbagliato strada.
Poi i genoani ci hanno caricato. Pensavo
che si sarebbero fermati, vedendo il mio
coltello. Invece quel ragazzo mi si è
buttato addosso a corpo morto ed è
finito contro la lama". Della versione
fornita durante l’interrogatorio da
Simone Barbaglia, l’accoltellatore di
Vincenzo Spagnolo, è la prima parte a
non convincere la Digos, che sta
vagliando le testimonianze degli ultrà
milanisti coinvolti nella rissa di
Marassi. Simone non voleva uccidere, ma
gli scontri sono nati quasi certamente
da un agguato organizzato dal gruppo
Brasato della curva rossonera, già al
centro di analoghi episodi e
responsabile della morte del tifoso
romanista Antonio De Falchi nell’89. La
nuova Banda del Barbour, di cui il
diciottenne Barbaglia fa parte con
cinque coetanei, è appunto una costola
del Gruppo Brasato, che avrebbe studiato
giovedì scorso in una pizzeria della
Bovisa il piano per provocare la rissa
sotto la Nord. Già in occasione di
Genoa-Milan del giugno '93, alcuni ultrà
rossoneri, anche allora diretti a Genova
armati di coltello, si erano casualmente
scontrati alla stazione di Pontecurone
con gli ultrà della Sampdoria, che
andavano a Brescia. È stato intanto
convalidato il fermo del minorenne che
ha fornito all’amico l’arma del delitto.
Uno dei ragazzi del Barbour ammette:
"Allo stadio Simone era sconvolto e
pensava al suicidio. Nella "gabbia"
molti sapevano, eppure gridavano ai
genoani "Tagli, avete solo dei tagli". 3
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI 3
FEBBRAIO 1995
L'omelia del cardinale Giovanni Canestri
davanti a cinquemila persone: una
requisitoria contro l'effimero
Genova
saluta Vincenzo, applausi e lacrime
Il
sindaco: "Non firmerò più la deroga per
lo stadio di Marassi" di
Paolo Lingua GENOVA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - "Il Paradiso
non è lo stadio. Dobbiamo rifugiarci nel
silenzio non per chiamarci fuori, ma per
udire più alto, più distinto e più
graffiante l'insulto che tutti ci
meritiamo: morire così per una partita
di calcio". Il cardinale Giovanni
Canestri parla dall'altare con una voce
commossa, ma profonda e grave. Nella
chiesa di San Teodoro e fuori sul
sagrato e giù sino a via Milano sono in
cinquemila che tacciono e ascoltano a
capo chino. Tra i fiori e i ceri c'è la
semplice bara di legno chiaro con il
corpo di Vincenzo Spagnolo, assassinato
nel modo più feroce, assurdo e balordo.
Le sciarpe e i labari delle tifoserie
sono abbrunati: ed è abbrunata Genova,
sotto un cielo plumbeo. L'ordine è stato
rispettato, un senso di penitenza
avvolge i presenti, salvo sparuti gruppi
di teppisti che fanno in tempo a
ingiuriare le autorità che percorrono le
ali di folla che separano dalle auto blu
lasciate in strada dalla chiesa di San
Teodoro. Non sono sopiti i progetti
confusi e brumosi di vendetta: questo è
il vero pericolo. Ma ci sono anche
quelli che hanno capito. Il cardinale ha
sferzato la città, richiamandola alle
responsabilità collettive: è stata una
requisitoria, la sua; anche contro le
illusioni, contro l’effimero, contro i
falsi valori, quelli dell'egoismo,
dell'edonismo, della prepotenza, della
ritorsione che soppiantano la
generosità, la giustizia, la
solidarietà. Anche don Bruno Venturelli,
per mezzo secolo parroco di San Teodoro,
ha ricordato in un breve intervento il
povero ragazzo che conosceva
personalmente. Le sue parole hanno
commosso il padre, la madre, le sorelle,
i parenti e gli amici. La madre aveva
baciato in fronte il figlio un attimo
prima di chiudere la bara. La zia
Vincenza è stata colta da malore poco
prima della messa ed è stata portata
all'ospedale in autoambulanza. Appalusi
per i calciatori del Genoa e della
Sampdoria. Nel pomeriggio, dopo
l'esaurimento delle prime pratiche del
consiglio comunale, il sindaco Adriano
Sansa ha chiesto ai consiglieri della
Sala Rossa di palazzo Tursi un minuto di
raccoglimento. Poi, visibilmente
commosso, ha parlato brevemente. Ha
ricordato la drammatica domenica e il
suo intervento, insieme al prefetto, sul
luogo degli scontri. "Mi sono reso conto
- ha detto - che il nostro intervento
non è bastato a calmare gli animi. Nello
stadio erano entrate armi improprie,
oggetti contundenti, strumenti atti a
ferire. Sì, è vero, posso comprendere
anche se non giustifico la confusa
reazione collettiva che portava ad agire
insieme per superare lo smarrimento, ma
successivamente ho avvertito un preciso
istinto criminale che veniva da lontano.
È meglio dire la verità con franchezza:
tra i tifosi ci sono precisi gruppi, ben
identificabili sotto le etichette che si
auto-attribuiscono, che agiscono a fini
di violenza e di aggressione, Purtroppo
questi gruppi sono stati a volte
accarezzati e comunque tollerati
all'interno dei grandi interessi che
governano il mondo del calcio. Sappiamo
che questi gruppi ricattano le società:
se non hanno un certo numero di
biglietti a disposizione, minacciano
violenze. C'è stato, in tutti gli strati
della società, un eccessivo ossequio
agli interessi che ruotano attorno al
calcio. Il calcio è un mondo difficile
da toccare per la popolarità diffusa e
appunto per questi interessi che muove".
Sansa ha poi parlato del problema
dell'agibilità dello stadio "Luigi
Ferraris". L'impianto - ha detto il
sindaco - è fuori norma, perché non ci
sono gli spazi (è immerso in un
quartiere abitato) previsti dalle leggi
nazionali e internazionali di sicurezza.
Di qui il fatto che Coni e Governo,
nelle loro componenti tecniche, non
hanno mai espresso un giudizio
definitivo di agibilità. I sindaci, dai
campionati del mondo a oggi, hanno
sempre firmato una agibilità
"provvisoria" ogni settimana. "A questo
punto - ha detto Sansa - non me la sento
più. Abbiamo fatto sapere al Coni e al
Governo che intendiamo demolire il
Gazebo e realizzare la recinzione
esterna, quindi diminuire i posti e
aumentare la presenza di polizia e
carabinieri, anche sulle gradinate, tra
gli spettatori. Se Coni e Governo
diranno che è possibile questa soluzione
in deroga alle norme che non potrebbero
mai essere applicate, firmerò
l'agibilità. Altrimenti mi rifiuterò".
Per quel che riguarda la realizzazione
d'uno stadio fuori dall'abitato, magari
con strutture di altri sport, Sansa si è
dichiarato favorevole, ma ha ritenuto
l’ipotesi molto remota nel tempo. 3
Febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 3
FEBBRAIO 1995
"Ma non
è un mostro"
Parla
il cappellano del carcere di
Fabio Pozzo CHIAVARI - Simone ha voluto parlare col
cappellano del carcere di Chiavari. Lo
ha cercato, per confidarsi, per ricevere
un po' di conforto. Il primo incontro
con don Fausto Brioni, che è anche
parroco di Leivi e direttore
dell'emittente televisiva Telepace, c'è
stato l'altra sera. Il secondo ieri
mattina. Ha raccontato don Fausto, ieri,
uscendo dal carcere: "Gli sono andato a
parlare ieri sera, per vedere se aveva
bisogno di qualcosa. Abbiamo
chiacchierato un po', poi lui mi ha
detto: "Fausto, ti voglio ancora
vedere". E così lo sono andato a trovare
stamane. Abbiamo parlato per un'oretta".
Il cappellano del carcere ha schivato le
domande dei giornalisti, con un sorriso:
"Scusate, ma non posso". Si sarà fatto
un'idea di Simone, no ? Don Fausto, a
questa domanda, ha risposto. "Non è un
mostro, il mostro come qualcuno lo ha
dipinto. È un ragazzino di diciott’anni
che ha visto crollarsi il mondo addosso.
Non è cattivo, anzi. È un buono". Sì, ma
ha ucciso. "Il Signore dice che bisogna
prendere le distanze dal peccato, non
dal peccatore", ha detto don Fausto,
quasi commosso. "Bisogna volergli bene,
come uomo. Io gli voglio bene. Come
fratello, come uomo, come prete". Si è
reso conto, Simone, di quello che ha
fatto ? "Sì, se n'è reso pienamente
conto. È un uomo che ha sbagliato. La
vera tragedia, però, e che ci sono tanti
ragazzi come lui, vuoti dentro, che
avevano soltanto la partita alla
domenica. È questo il grande problema
che investe tutti noi. Forse, dopo
quello che è successo, Simone si è
accorto di questo vuoto che c'era in
lui. Forse, è proprio adesso che inizia
a vivere, a capire che cos'è la vita
vera, la vita insomma". E cosa può
dirgli un cappellano ? "Abbiamo parlato
di alcune cose, che però non ritengo
siano da rendere di dominio pubblico.
Come cappellano gli ho detto che la vita
non è finita, che la vita può
incominciare proprio adesso. In carcere
ci sono tante persone che hanno iniziato
veramente a vivere quando sono entrate
in una cella. In carcere ci sono tante
persone vive, inteso come vita
interiore, mentre sono tante quelle che
stanno fuori e che sono invece morte".
Simone è credente, cattolico. Non è
troppo facile cercare adesso il conforto
della fede. "Non sono tipo da credere
alle conversioni dell'ultimo momento. Le
vie del Signore, però, sono infinite". 3
Febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 3
FEBBRAIO 1995
In
cinquemila a Genova per i funerali del
giovane assassinato
Gli
ultrà tradiscono Vincenzo
Esce la
bara, applausi solo ai calciatori di
Pierangelo Sapegno GENOVA
NOSTRO INVIATO - Sotto al cielo grigio
di Genova, Vincenzo sparisce nella
curva, fra le facce della sua gente, le
sciarpe e i colori. Ma questo è uno
spettacolo del dolore, e la curva
affolla il sagrato di una Chiesa, e le
campane suonano a morto. Non è lieve,
l'aria. E non c'è festa, non c'è pace,
in mezzo a mille volti sconosciuti, alle
mani e ai pugni levati, fra le bandiere
ammainate alle finestre. Strano
funerale. Quando la salma esce dalla
Chiesa e si ferma prima di scendere
nella piazza, l'applauso è triste, non
forte. E poi tutti, i giovani, i vecchi,
le donne, si girano verso il corridoio
lasciato libero in mezzo a loro, per
guardare i calciatori che passano, che
sfilano lentamente, come all'ingresso di
uno stadio dietro a un arbitro che non
c'è. La salma di Vincenzo Spagnolo si
allontana quasi di nascosto, inseguita
solo da un grappolo di compagni del
circolo Emiliano Zapata che fendono la
folla e alzano il pugno gridando "Hasta
siempre Spagna". Lo chiamavano Spagna, o
Claudio, gli amici. Va via così, il
ragazzo di curva assassinato da un colpo
di coltello, domenica, a Marassi. Se ne
va nell'applauso che accompagna i suoi
idoli, Skurhavy, Bortolazzi, Galante,
Miura, nel saluto che insegue Mancini o
Gullit, Zenga ed Eriksson. Se ne va
quasi dimenticato dalla sua curva, come
per un dispetto del destino. Ma che
funerale è mai questo, che dimentica il
suo fratello ? È nel pianto dei
genitori, nell'incedere affranto di papà
Cosimo, in quella mano protesa di mamma
Rina verso la bara che dondola sulle
spalle degli amici, è nella voce rotta
di don Bruno che ricorda il bambino
della prima comunione, è solo in questi
gesti rari, in questi sguardi smarriti,
che il funerale di Vincenzo riacquista
tutta la sua dignità. Scriveranno di
lacrime e di dolori, diranno di un
popolo che si è stretto attorno al suo
figlio. Noi questo non l'abbiamo visto.
E forse non devono averlo visto neppure
gli uomini della Chiesa, se prima che la
gente sfollasse, il cardinale Giovanni
Canestri si è sentito in dovere di
richiamarli: "Mi piacerebbe tornare qui
stasera alle 7 per pregare davvero in
silenzio. E sarei contento che fossero
rappresentate come stamattina diverse
classi sociali". Torneranno alla sera,
cento amici, molti tifosi. Nella mattina
grigia sono in cinquemila, sotto le
bandiere, con il servizio d'ordine che
li controlla passo passo. Genova c'era,
ai funerali di Vincenzo, una Genova
stranita e ferita. E, nella Chiesa di
San Teodoro, c'era tutto il mondo della
curva e dello stadio. Corone di fiori.
"Rude Boys". "Irriducibili Lazio".
"Skynheads". "Collettivo vecchia guardia
Ancona". "Ultras Brescia". "Bad Boys
Pescara". "Ultras Napoli". "Tigrotti
sampdoriani". C'era anche quella del
Calcio Milan, quella del Tennis tavolo,
quella della Lega Calcio. C'era lo sport
che piange un suo amico e sé stesso. C'è
un silenzio difficile, strano, sotto le
navate. E lungo i corridoi laterali, i
chierichetti che aspettano: "Sono
arrivati i calciatori ? Padre, possiamo
andare a chiedere gli autografi ?" Nella
casa del Signore, si aspetta la Messa.
All'improvviso, il primo applauso è
lungo, stordente: ci sono i calciatori
del Genoa che entrano, e la folla si
alza dalle panche, spinge, qualcuno si
aggrappa pure al pulpito. L'applauso si
ferma e riprende, subito dopo: ci sono
quelli della Samp, e il primo è Mancini,
con una sciarpa blucerchiata al collo
che chissà se gli ha regalato qualche
tifoso. Poi, tutti gli altri. In
sacrestia, arrivano gli uomini di Chiesa
che dovranno celebrare la Messa: frate
Mauro, padre Giorgio Musante, il vescovo
Bernardo Citterio, ausiliario del
cardinale Martini, Monsignor Carnelli,
don Bruno Venturelli e il cardinale di
Genova. Sotto l'altare, prendono posto
il sindaco Sansa, il presidente genoano
Spinelli e quello della Samp, Mantovani.
La salma arriva adesso, una bara in
legno chiaro con una grande coccarda
rossoblù, seguita dalla famiglia, i
genitori, le due sorelle, due zie e
Raffaella, la fidanzata di Vincenzo.
Qualche pugno chiuso sul portone. Dalle
lettere di Paolo ai Filippesi: "La
nostra Patria è nei cieli". Si comincia
così, mentre don Bruno va all'altare:
"In questa Chiesa ti ho dato la prima
comunione quando avevi 8 anni...".
Fuori, qualche bandiera sventola. Gli
amici del circolo Zapata alzano i pugni
e piangono. E la voce della Chiesa esce
nella piazza gremita: "Beati i vinti
perché erediteranno la terra, beati i
poveri di cuore perché vedranno Dio".
Non è qui la nostra Patria, "E' mancato
il perdono e il rito è stato un trionfo
del pagano" dice il cardinale Canestri.
"Qui non c'è il Paradiso. E il Paradiso
non è la droga, la discoteca, lo stadio,
la moda". Miura è in piedi vicino a
Spinelli, Gullit tiene la testa alta.
Poi, sale all'altare Romina, la sorella
di Vincenzo. Legge poche righe: "In
questo difficile momento di dolore
desideriamo esprimere il nostro
ringraziamento a quanti hanno
partecipato al nostro lutto. Nello
stesso tempo vogliamo ricordare Claudio
con affetto. Lasciamo da parte rancore,
rabbia, vendetta. Basta con la violenza,
diamo spazio a solidarietà, pace e
collaborazione. Cerchiamo di costruire
un mondo di giustizia. Ciao Claudio, che
il tuo sacrificio non sia vano". La
parola perdono non c'è, e forse non
poteva esserci, era inutile aspettarla.
Avvicinata dai cronisti durante la
preghiera della sera, Romina ha scosso
il capo: "E' troppo presto per
perdonare". Ma adesso, dall'altare,
guarda Raffaella, la fidanzata di
Vincenzo, un topino con gli occhialini
da miope, come a voler chiedere se
andava bene. Simona si abbraccia alla
nonna, e mamma Rina reclina il capo
sulla spalla del marito. Quando la messa
finisce, Gullit va a baciare i genitori
e Miura lo segue. Papà Cosimo trattiene
le lacrime, e la signora Rina guarda la
salma che se ne va e allunga il braccio
per sfiorarla ancora. "Beati voi, quando
vi perseguiteranno e mentendo vi diranno
di tutto. Rallegratevi ed esultate
perché grande è la nostra ricompensa nei
cieli". Ecco, adesso se ne vanno tutti,
don Bruno sfugge in sacrestia. E lo
stadio ora è fuori, attorno al tempio
abbandonato. La mamma quasi s'accascia,
Cosimo la sorregge. Qualcuno alza il
pugno chiuso. Le campane si fermano.
Tira un vento da terra. Spazzerà tutto.
Ora, la piazza si spoglia. Vincenzo è
già andato. 3
Febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 3
FEBBRAIO 1995
lo,
sacerdote e sconfitto. "Oggi ho perso 2
volte" di
Pierangelo Sapegno GENOVA
dal nostro inviato - Dice: "Sono un uomo
sconfitto, è vero, sono un prete che ha
perso". Perché don Bruno ? "Perché non
c'era il silenzio della fede, in questa
chiesa, davanti a un fratello morto, non
c'era la preghiera del perdono. Perché
non c'era la pace del sacro, ma la
tensione dello stadio". Don Bruno
Venturelli si leva i paramenti. C'è
l'odore di incenso, il silenzio della
chiesa. E fuori, gli applausi della
folla, i calciatori che vanno. Strano
contrasto. "La messa è finita, andate in
pace". Don Bruno è un personaggio
storico di Genova, quello che parlamentò
con i tedeschi 50 anni fa, che mediò per
la liberazione del giudice Mario Sossi
nel '74; uomo di fede e prete fra la
gente, per 46 anni parroco di San
Teodoro, dove s'è celebrato il rito
funebre in memoria di Vincenzo Spagnolo,
ragazzo di curva ucciso da un tifoso del
Milan. Prima di chiudere la messa, il
cardinale di Genova, Giovanni Canestri,
ha richiamato i fedeli per questa sera
alle 7: "Mi piacerebbe che voi tornaste
qui per pregare in silenzio". Ma perché
don Bruno ? "Perché questo dovevamo
fare, dopo questa messa". Non c'era il
senso del sacro, in chiesa, è vero ?
"No, non c'era. Ed è per questo che
facciamo la provocazione di questa sera,
una sfida, una vera sfida, per
richiamare quelli che credono davvero a
meditare in silenzio, a riflettere. A
pregare il Signore nostro per un
fratello che è morto. Non credo che la
chiesa di stamattina fosse piena di
fedeli". Ma a che cosa si riferisce ? Al
perdono che non c'è stato ? "Bisogna
accettare la sconfitta di noi uomini di
Chiesa. Questa società è piena di valori
diversi dai nostri. Ma questo non vuol
dire che i nostri valori siano superati.
Il perdono è un aspetto, non è tutto". E
qual è l'altro aspetto ? "Io credo che
oggi il mondo pagano abbia trionfato sul
sacro. Mi sembra che viviamo in un mondo
sbagliato che ha smarrito tutti gli
ideali e i valori. Si vive di
sensazioni, di tv, di ribalta. Non è
giusto". Allora, l'ha deciso lei di
richiamare i fedeli questa sera ? "No, è
stato il cardinale. Una sua iniziativa.
Ci siamo guardati durante la messa e ci
siamo capiti. A me sarebbe piaciuto di
più farlo a Santa Marta, che è una
chiesa più centrale, può venirci più
gente. Lui mi ha detto: no, è successo
qui. Dobbiamo tornare qui". E l'ha
deciso per questi stessi motivi ?
"Esatto". Ma perché è successo questo ?
"Perché non c'è più umiltà, c'è un
orgoglio smisurato, e questi ragazzi
hanno voluto essere protagonisti". Quali
ragazzi ? "Quelli che hanno organizzato
il funerale, il servizio d'ordine. Ci
hanno consigliato pure di chiudere la
porta laterale. Noi conosciamo tutti e
non vogliamo che entri chi non ci piace,
ci hanno detto". Ma la casa del Signore
non dev'essere aperta a tutti ? "Io ho
pensato che non volevano che entrasse
qualche scalmanato". E invece ? "Oh, non
mi faccia parlare. Non lo so, non so. Mi
sono buscato la febbre a 39, sa ?". Le è
venuta la febbre per quel che è successo
? "Si vive di queste tensioni. E
purtroppo alla mia età si pagano".
Quanti anni ha, padre ? "Ottanta". E in
80 anni non aveva assistito a niente
come stamattina ? "In questa forma mai,
davvero. Eppure ne ho viste tante, nella
mia vita. Ero alla Galleria di San
Benigno, ero qui, quand'è scoppiata.
Trecento morti. 10 ottobre '45. E il
crollo in via Vigione, 21 marzo '68, 19
morti e 40 appartamenti distrutti.
Allora dovevo correre qua e là. La gente
non aveva neppure il fazzoletto per il
naso e la richiesta della mia presenza
era automatica. Un altro mondo". Vuole
dire che oggi la famiglia Spagnolo non
la voleva ? "Ma no, io non dico questo.
Loro, anzi, mi hanno accolto bene.
Diciamo che oggi i miei valori non sono
riusciti a prevalere". La famiglia
Spagnolo non vuole perdonare
l'assassino. E la parola perdono non è
stata pronunciata. Cos'è padre ?, non è
riuscito a convincerli ? "L'ho detto:
come uomo di fede mi dichiaro sconfitto.
I valori sono altri. Ma Romina l'ha
detto "lo perdono", no ?". No, padre, ha
parlato di convivenza... "Si vede che ha
voluto ammorbidire. Ma non è colpa loro,
sa ? Per conto mio sono plagiati". E da
chi ? "Da questi ragazzi, dagli amici di
Vincenzo. In tre giorni hanno raccolto
12 milioni, sono stati quelli che gli
sono rimasti più vicini. E li hanno
influenzati". Lei ha perso, padre. Chi o
che cosa ha vinto oggi ? "La logica del
branco. Purtroppo, è così. Ma abbiamo
perso tutti, sa ? Perché, per conto mio,
questi estremismi, queste
manifestazioni, sono il risultato del
mondo che abbiamo prodotto tutti noi,
insieme. Nessuno può tirarsi fuori". 3
Febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI 3
FEBBRAIO 1995
I
tifosi grigi ricordano il ragazzo ucciso
e da Firenze propongono di dedicargli il
Csc Orti
"Vincenzo un amico di noi Ultras"
Tante
ore passate insieme tra stadio e centri
sociali di
Brunello Vescovi ALESSANDRIA - "No, domani a Marassi non
ci saremo: si ritroveranno solo le
tifoserie di serie A. Sono loro che
devono trovare un accordo: quello di
isolare i violenti. Se ci riescono, si
potrà fare un passo avanti: meglio che
con mille tavole rotonde, o raddoppiando
i questurini allo stadio. Se no, non
cambierà proprio nulla". Parla un
giovane ultrà, sulla trentina: da anni è
un habitué della curva Nord del
Moccagatta. Non gradisce pubblicità: "Se
proprio vuoi un nome - scherza - mi
chiamo Luigi. Giusto perché fa rima con
Ultras grigi". Vincenzo Spagnolo, il
tifoso genoano ucciso a Marassi, era un
amico degli ultrà alessandrini: con loro
aveva condiviso diverse serate al centro
sociale Subbuglio, in piazza Santa Maria
di Castello: "Era dei Rude Boys, gente
che ha in comune con noi, oltre al
calcio, anche la passione per il
"reggae" e lo "ska" Vita da ultras: chi
è del nostro giro, capisce". E l'altro
ieri due macchinate di tifosi grigi sono
partite per Genova, a rendere l'ultimo
saluto all'amico scomparso: a Vincenzo è
stato reso omaggio anche in città, con
volantini e manifestini che lo ricordano
affettuosamente. Il comitato "pro
monumento ai caduti di Ugnano", a
Firenze, che sta raccogliendo fondi
anche tra i supporters viola per la
ricostruzione del Csc Orti, ha lanciato
una singolare proposta: intitolare
l'impianto alluvionato, una volta
risistemato, alla memoria del tifoso
ucciso. Un'idea che non convince
"Luigi": "Trovo che abbia poco senso -
commenta - mi sembrerebbe molto più
logico dedicarlo alle vittime
dell'alluvione". Sugli ultras di tutta
Italia si è scatenata in questi giorni
una tempesta di polemiche: chi parla di
sciogliere i club di tifosi, altri
invocano l'istituzione di corpi speciali
di polizia. Ad Alessandria il fenomeno è
in versione soft: gli ultras sono una
cinquantina, non hanno organigramma né
tessere. Si entra nel clan senza
investiture particolari, basta essere in
sintonia col gruppo. L'età varia,
mediamente, dai 18 ai 35 anni: "ma c'è
anche un veterano, Cristoforo, che ha
almeno la sessantina ed è sempre
disponibile a dividere con noi un
bottiglione di vino". Insomma,
sembrerebbe un coordinamento
all'amatriciana, non certo inquietante.
E allora, come si spiega la denuncia
scattata a Massa per uno di loro ?
"Pierluigi si è preso una manganellata
gratuita alla stazione da due poliziotti
- ribatte uno - poco prima di salire sul
treno. Abbiamo dovuto accompagnarlo al
pronto soccorso: gli hanno dato quattro
punti. E poi, per salvarsi la faccia,
l'hanno denunciato". Niente da fare, non
c'è proprio feeling tra ultras e divise.
Roberto, uno di loro che da poco si è
sposato e ha detto stop alle trasferte,
ha un suggerimento per allentare la
tensione allo stadio. Una sorta di
disarmo unilaterale. "I cordoni di
poliziotti in gradinata, il fatto di
entrare e uscire allo stadio scortati
come banditi sono elementi che rendono
il clima più teso. Scommetto che le cose
cambierebbero se ci lasciassero più
libertà". 4
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
Intanto
il presidente della Sampdoria, Enrico
Mantovani, ha detto basta agli slogan e
agli insulti
Simone
dal carcere: "Dovete cambiare strada"
Ieri
mattina sono arrivati a Chiavari i
genitori del ragazzo di
Fabio Pozzo CHIAVARI - I genitori di Simone
Barbaglia, l'assassino di Vincenzo
Spagnolo, hanno incontrato il figlio
ieri mattina. Sono scesi intorno a
mezzogiorno da una Citroen BX bianca
targata Milano, hanno percorso trecento
metri a piedi sino al portone d'ingresso
del carcere di Chiavari, dove Simone è
rinchiuso da cinque giorni. Sono entrati
a testa bassa, in silenzio. La mamma,
Manuela Mariani, era ingobbita in una
giacca a vento nera, col viso celato da
un paio d'occhiali da sole scuri e da
una sciarpa. L'ex marito di quest'ultima
e padre naturale di Simone, Antonio
Barbaglia, si stringeva in un piumino
verde, col bavero ben alzato. Sono
usciti dopo un'ora e mezzo. Cosa avete
detto a Simone ? "Che deve stare
tranquillo, che è un bravo ragazzo", ha
detto l'uomo, avvicinandosi
istintivamente alla donna, quasi per
proteggerla dalle domande. "Siamo
distrutti", hanno detto e ripetuto. Poi
sono arrivati i fotografi. I genitori di
Simone si sono allora ancor più stretti
nelle loro giacche. Hanno abbassato il
capo, cercando di nascondere meglio il
viso. "Riceviamo continue minacce,
cercate di capire", hanno quasi
implorato, impauriti. E poi via, senza
dire più una parola. "L'avvocato ci ha
detto di non parlare", hanno detto con
garbo. E si sono messi a camminare,
spalla a spalla, in silenzio. Senza mai
voltarsi, sempre col capo reclino.
Prima, dal carcere, era uscito anche don
Fausto Brioni, il cappellano. Anche lui
ha parlato con Simone. L'assassino ha
lanciato un appello, rivolgendosi a
tutti i suoi amici e nemici di "curva".
"Cambiate strada fin che potete. Perché
tutta questa sofferenza abbia un senso",
ha detto. E poi, rivolto al sacerdote,
alla società: "E voi aiutateli a farlo".
Don Fausto ha anche detto che Simone,
ieri mattina, aveva letto sui giornali
dei funerali di Vincenzo. "Mi ha detto
di essere rimasto colpito da quanto ha
gridato un tifoso dopo aver deposto una
sciarpa sulla bara: "Chiudiamo tutto".
Lo pensa anche lui". In carcere a
Chiavari Simone è stato accolto con
solidarietà dagli altri carcerati. È in
isolamento, non frequenta spazi comuni,
ma sono i detenuti "lavoranti", quelli
che hanno più facilità di movimento, ad
andarlo a cercare. Gli parlano dallo
spioncino della cella. Sono stati
proprio i "lavoranti" a regalargli la
radio che aveva chiesto, per avere un
po' di compagnia. Don Fausto invece gli
ha portato un libro, "La città della
gioia" di Dominique Lapierre. Intanto a
Genova il ricordo di Vincenzo è sempre
più vivo. Ieri i suoi amici del centro
sociale "Zapata", per ricordarlo, hanno
tappezzato la città con 4 mila manifesti
con una foto che lo ritrae alla guida di
uno scooter. "Era un bravo ragazzo. Un
barattolino meraviglioso che ci
trotterellava attorno. Sentivi il suo
vocione, ti immaginavi un omone grande e
grosso e invece spuntava un ragazzo alto
poco più di un metro e 65", ha detto uno
di loro a un cronista televisivo. Anche
la sorella di Vincenzo, Romina, era al
"Zapata". "Mio fratello era uno che
credeva a quello che pensava, voleva
come noi cambiare qualcosa. Lottava per
costruire una nuova aggregazione
giovanile". E perché, i manifesti ? "Per
insegnare un po' di civiltà. Quella che
spesso non troviamo sulle prime pagine
dei giornali", ha detto un altro
"zapatista". La morte di Vincenzo
servirà a qualcosa ? L'altro ieri la
Lega Calcio ha sposato una politica di
prevenzione. Nuove norme per le società
sportive. Basta col finanziare le
trasferte degli ultras. Basta con gli
striscioni offensivi. Un appello ripreso
in toto ieri sera dal presidente della
Sampdoria, il giovane Mantovani. Una
conferenza stampa a sorpresa, la sua.
"Bisogna ritornare ai veri valori dello
sport", è la filosofia in sintesi del
suo intervento. Mantovani si è spinto
oltre. "Basta con gli slogan offensivi,
con gli insulti, con gli oggetti
scagliati in campo. I tifosi cattivi
devono essere allontanati da quelli
buoni. I tifosi devono tornare amici, a
partire da quelli della Reggiana, la
prossima squadra che incontreremo". Il
presidente della Sampdoria ha poi
aggiunto: "Forse è un sogno".
Ma perché non
sognare ? Intanto il sindaco di Genova,
Adriano Sansa, ha fatto sapere che se
Coni e ministero degli Interni non
concorderanno interventi di prevenzione
e tutela, lui la firma per l'agibilità
del "Ferraris" non la metterà più. 4
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
La
sorella del ragazzo ucciso: "Ci sarò
anche io a Marassi"
Gli
ultrà firmano un patto di pace
Oggi in
tremila a Genova da tutta l'Italia di
Pierangelo Sapegno GENOVA
DAL NOSTRO INVIATO - Dove Vincenzo è
morto, torneranno per stringersi la
mano. Forse sarà così, ci piace
crederlo. La retorica del calcio produce
tante illusioni, e qualche speranza. Ma
oggi sullo spiazzo dì cemento e
mattonelle dove cominciò Genoa-Milan
domenica scorsa, verranno tifosi da
tutt'Italia a parlare di calcio per non
morirne, e a ricordare uno di loro che
non c'è più. Mancheranno quelli del
Milan: "Motivi di opportunità". Del
Toro: "Troppo difficile superare certi
screzi, vecchi rancori. Non saremmo
sinceri con noi stessi se ci mettessimo
a discutere con gente che si crea con
l'uso del coltello un alibi per
nascondere le proprie paure". E della
Juve: "Noi per i morti dell'Heysel
abbiamo sempre e solo ricevuto insulti e
cori oltraggiosi. A che serve allora
andare a Genova ?". Ma ci saranno tutti
gli altri, quelli di sinistra e di
estrema destra, tutti insieme, nella
retorica del calcio, sotto la finta
bandiera dello sport, per la prima
domenica di lutto e di silenzio. E ci
sarà Simona, la sorella maggiore di
Vincenzo Spagnolo: "Perché è il primo
segnale positivo che si può dare a quei
giovani, e sono tantissimi, che credono
nello sport e sperano che finisca questa
situazione. Per chiudere con la
violenza, questo forse è ancora poco, ma
è il primo passo". Simona parla con voce
ferma e forte. "Vincenzo è morto e vive
con noi", come cantavano in Spagna e in
Cile. In fondo, la morte è sempre
uguale. Lei si augura che siano in
tanti, "per mio fratello, ma non solo
per lui". Saranno tremila, dicono alla
Digos, con qualche timore. I capi, più o
meno duecento, si raduneranno da soli in
un posto tenuto ancora segreto, e poi
tutti insieme, a Marassi. Troveranno
quasi un sacrario, cresciuto giorno dopo
giorno, in faccia allo stadio, davanti
alla processione della gente e dei
tifosi. Sul posto dove Vincenzo è morto
ci sono tre blocchi di cemento. E
tutt'attorno, da un capo all'altro della
cancellata, fiori, corone, bandiere,
sciarpe, pupazzi. E lettere, e
striscioni. Un biglietto appoggiato sui
fiori, che sono tanti, quasi una casa:
"Possa tu costruire la scala che conduce
alle stelle". Un altro attaccato al
muro: "Aiuta il Grifone a volare e i
suoi tifosi a perdonare". Adesso che lo
sport si ferma, c'è una tensione nuova,
una retorica diversa. Ultrà è un modo di
vivere, dicevano. Poi, oggi, uno si
ferma e guarda quella sciarpa granata,
quella dedica: "Siamo tutti amici". O
quella frase lasciata dai tifosi del
Genoa: "Il dolore non ha colore". Magari
è vero, oggi è vero. "Pace", grida un
messaggio, immerso fra i bandieroni
delle Onde storte, degli Skinheads
contro, e dei Vecchi bastardi. E
tutt'intorno sono ancora rimasti i
graffiti e il vuoto che hanno
accompagnato domenica pomeriggio
Vincenzo allo stadio. Sulle colonne di
un porticato: "20-11-94 caccia ai
granata". Sul muro, uno spray nero:
"Romano capo degli infamoni". E una
scritta rossa: "Digos boia". A guardare
questo tempio sotto al cielo, davvero la
linea di separazione fra lo stadio che
campeggia oltre il gazebo e il mondo
sembra ancora più labile, più incerta.
Sarà per questo, anche per questo, che
don Franco De Marchi, il parroco di San
Teodoro, dice che non basta se si ferma
lo sport: "E' la società tutta che deve
fermarsi almeno un giorno a riflettere
sulle sue colpe e sui suoi errori".
Così, oggi ci fermeremo tutti, e questo
Mausoleo di Marassi costruito dai tifosi
diventerà il simbolo della domenica che
non vuole dimenticare Genoa-Milan. Con
buona pace di Matarrese, come soffia zia
Laura, a nome della famiglia Spagnolo:
"Ha dimostrato di essere poca cosa dal
punto di vista umano. Per fortuna che
nessuno gli ha dato retta". Oggi ci
fermeremo, e diremo tutti buone parole.
Simona, almeno lei, può farlo, con
qualche diritto in più: "Nello sport non
c'è città, non c'è provenienza, ma una
sola bandiera". Dice: "Lo devono capire
tutti". E poi: "Anche i funerali sono
stati una festa, una bella festa. Lo
capisco che possa sembrare oltraggioso
per la Chiesa, e so anche che non è la
parola adatta per chi ha vissuto queste
cose dal di fuori. Però, quel giorno
bisognava pensare a lui e mio fratello
sarebbe stato felice così. Non era un
rito pagano, ma un rito in sua memoria,
semplicemente questo". E oggi ? "Oggi
andrò in mezzo agli amici di mio
fratello". L'ultima volta che l'ha
visto, era domenica a mezzogiorno, la
domenica di Genoa-Milan. "Vado alla
partita, ha detto. Io mi ero appena
alzata, gli ho sorriso. Non l'ho più
visto". L'hanno ucciso alle due meno
dieci. Una settimana dopo, alla stessa
ora, via Bobbio sarà piena di gente.
Diceva il Che: "Bisogna essere duri
senza perdere la tenerezza". Gliel'hanno
ricordato a Vincenzo, gli amici dello
Zapata, un biglietto accanto al piccolo
altare tirato su tra i fiori e i blocchi
di cemento. Beh, adesso, nel bene e nel
male, il calcio è fatto così. 5
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
Card.
Martini: "Ecco le cause dell'odio" MILANO
- Sarà "una domenica di silenzio, di
raccoglimento dolorante e pensoso, di
preghiera". Lo scrive il cardinale Carlo
Maria Martini in un editoriale
pubblicato oggi da "Avvenire". Ma dalle
colonne del quotidiano cattolico,
l'arcivescovo di Milano non si limita a
invitare tutti a pregare "per il giovane
Vincenzo Spagnolo e per la sua
famiglia", "per chi ha fatto violenza e
per chi ne è tentato" e perché "il
Signore allontani lo spettro della
violenza". Elenca infatti quelle che
ritiene essere "le cause più radicali
del fenomeno, che sono - afferma - il
clima di conflittualità, di aggressioni
verbali, di gusto dell'offendere, che
viene propagato dai mass media e trova
terreno di coltura nei vari luoghi
casuali di ritrovo giovanile". (Agi) 5
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
QUI
MARASSI
Che
strana domenica senza calcio ma gli
ultras ricordano Vincenzo GENOVA
- "Sembra di essere a Natale". David
Platt guarda i compagni disputare la
partitella contro la formazione
Primavera (4-2 per i titolari, con reti
di Sala, Mihajlovic, Mancini e Lombardo)
e le sue parole rispecchiano il pensiero
di tutti. Che strana domenica, una
domenica senza calcio. Platt se ne va
tre 3 giorni in Inghilterra, "proprio
come a Natale", continua lui, Ferri
torna a Milano per battezzare il figlio,
Torrente ne approfitta per andare a
casa, Galante anche. Tutti quanti con
un'unica grande certezza: questo gesto,
questa domenica di stop, dovrà servire
ad evitare un altro caso Vincenzo
Spagnolo. Il presidente Enrico Mantovani
ha dato un messaggio forte: o qualcosa
cambia o sarà lui ad andarsene. "Questa
è sempre stata la filosofia della Samp -
ha commentato Platt io sono d'accordo,
bisogna fare tutto il possibile per
cambiare le cose. E se le parole del
nostro presidente serviranno per fermare
anche un solo tifoso, ebbene, sarà già
una vittoria". Anche Fausto Salsano
interpreta nello stesso modo il discorso
di Mantovani: "Il presidente è sempre
stato sensibile a queste cose. È un
problema generale, quello della violenza
negli stadi, che interessa tutti". Sven
Goran Eriksson approva le parole di
Mantovani: "Ha ragione, bisogna cambiare
e poi lui ha un'educazione di un certo
tipo ed è stato abituato a vedere lo
sport in tanti altri Paesi del mondo,
dove questi episodi non succedono. Da
parte nostra qualsiasi iniziativa, anche
la più piccola, sarà cosa buona".
Qualcosa si muove sul fronte dello
stadio. Per mercoledì o giovedì è attesa
infatti da Roma l'approvazione del
progetto per la costruzione della famosa
recinzione esterna. Il sindaco Sansa si
è già espresso chiaramente e duramente
durante il Consiglio comunale di giovedì
scorso: senza quella deroga, lui non
firmerà più il documento di agibilità
provvisoria dello stadio. Qualche
perplessità è stata avanzata da più
parti sulla data prescelta dalla Lega
calcio per recuperare Genoa-Milan: il 15
febbraio sembra a tutti troppo presto.
Per oggi è quindi confermata la riunione
di tutti gli ultras d'Italia: alle ore
15.30 porteranno un fiore dove è stato
ucciso Vincenzo Spagnolo. (d. b.) 5
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
Una
tregua armata per gli ultrà
"No ai
coltelli, ma le risse ci saranno sempre"
di
Pierangelo Sapegno
Nella
domenica senza sport, 400 rappresentanti
dei club di tifosi si sono incontrati a
Genova per ricordare il giovane
assassinato una settimana fa. GENOVA
DAL NOSTRO INVIATO - Lì dietro, c'è lo
stadio vuoto. Strana domenica di
febbraio, nel silenzio di Marassi. Sono
tutti qui, tifosi e ultrà, arrivati da
quest'Italia divisa e spezzata, come si
va a una partita di calcio, con le
sciarpe e i colori. Ci sono i ragazzi
della curva, i poliziotti che
controllano, ci sono Romina e Simona, le
sorelle di Vincenzo, c'è questo
santuario inventato dalla gente sulla
recinzione che corre lungo il gazebo, ci
sono i messaggi della retorica e degli
ideali, lasciati tra i fiori e le
corone, fra le bandiere e gli stemmi. Ma
il silenzio è solo quello dello stadio
che incombe alle spalle, vuoto e grande,
un tempio senza sacerdoti e senza rito.
Perché la voce degli ultrà è ancora
forte, usa toni guerreschi anche quando
parla di pace, rimanda segnali ambigui e
divisioni. Diranno che è stata una
grande giornata in nome dello sport. Ma
la domenica del silenzio, la domenica
della retorica, è rimasta come un
paradosso che pesa sul calcio e sulla
sua esistenza, e lo si capisce bene
proprio da qui, da questo spiazzo
coperto di fiori e di lettere, dove un
ragazzo di curva ha ucciso Vincenzo
Spagnolo prima di Genoa-Milan. "No ai
coltelli e ai luridi infami che li
usano", tuona il comunicato degli ultrà
consegnato ai giornalisti. Ma non c'è
scritto no alla violenza. E alcuni di
loro lo spiegano bene. Uno, sciarpa del
Genoa, secco come un'acciuga, occhiali
da sole: "Le risse ci sono da
cinquant’anni e ci saranno sempre". Un
altro dell'Atalanta davanti alla
televisione: "Non esiste che uno muore
per una partita, non deve succedere. Va
bene menarsi, va bene tutto, ma morire
no". Giornalista, un po' sorpreso: come
va bene menarsi ? "Beh, può succedere, è
normale. Vuoi mica impedire a due che la
pensano in maniera diversa di menarsi
?". E poi, come filtra più tardi dalla
riunione segreta tenuta alla sala
Garibaldi fra i capi degli ultrà, non
tutti erano d'accordo su questo
comunicato. Troppo morbido,
protestavano: "Noi ultrà siamo un mondo
a parte, con la nostra identità, e non
dobbiamo cercare il dialogo con
nessuno". Certo, ha ragione Enzo
Tirotta, capo degli ultrà sampdoriani,
uno degli organizzatori della
convention, quando ripete che questo era
solo il primo passo: "Se vi aspettavate
molto di più, eravate sulla strada
sbagliata". E avrà pure ragione a
sostenere che "se vent'anni fa mi
avessero detto che succedeva una cosa
del genere, mi sarei messo a ridere".
Tutto vero. "Noi dentro abbiamo fatto
autocritica", dice. "Quando cominciano a
farla gli altri ? Quando cominciate voi
?". Eppure, nella domenica della
riappacificazione e del silenzio,
l'illusione era più grande. Davanti al
gazebo, sotto le mura del carcere,
dietro ai palazzi della Genova vecchia,
passavano famiglie e tifosi sparsi a
riempire il sacrario inventato in
memoria di Vincenzo che gli amici
chiamavano Spagna. Retorica e idealismo
mischiati insieme: "E tu come il sole
risorgerai", dice un cartello. E un
altro: "Tanta rabbia, tanto dolore,
Spagna per sempre nel nostro cuore".
Normale così. Sfila la gente, e si
emoziona. Molti ultrà hanno appuntamento
lì, posano un fiore o una sciarpa, e poi
vanno verso la riunione segreta. Sala
Garibaldi, di fianco al Comune. Mancano
solo Juve, Milan e Torino, per motivi
diversi. Quaranta club rappresentati,
dalla serie A alla C, 400 presenti.
Qualche cronista aspetta davanti alla
porta. Primi spintoni: "Via, non potete
star qui". Un genoano del servizio
d'ordine, un guercio con i capelli
lunghi, rimprovera il ragazzo: "Niente
spinte. Educazione. Rispetto reciproco
!". Ma passano dieci minuti e viene
fuori una delegazione. Enzo Tirotta in
testa, sale la viuzza a passi lunghi e
si ferma davanti a un grappolo di
cronisti: "Lasciateci lavorare in pace.
Andate via". Quello del Lavoro accende
il registratore. "Che cazzo fai ?", gli
urla uno stritolandogli il magnetofono.
"Che cazzo vuoi tu ?", replica il
giornalista. E succede il finimondo. "Tu
cazzo a noi non lo dici !". Spinte,
insulti. Un genoano è il più arrabbiato
di tutti: "Uomini di merda, avvoltoi,
non vedete l'ora che ci sia un altro
morto". Un altro mette una mano sulla
spalla a un secondo giornalista: "Porta
via di qui le tue palle marce, in
fretta". Interviene la polizia. Quattro
uomini della Digos prima allontanano i
cronisti. Poi chiedono loro di
andarsene: "Qui non saremmo in grado di
proteggervi". Davanti allo stadio, il
clima è meno teso. Qualche tifoso del
Genoa l’ha con Milano, ma riesce a
dialogare con le troupes della
Fininvest: "C'è sempre Milano di mezzo,
aggrediti a Milano, aggrediti a Genova e
son sempre loro". Un altro, con la
maglia della Samp: "Noi in sette anni ci
siam trovati coinvolti in un fattaccio
una sola volta. A Pontecurone, con i
tifosi del Milan che avevano fermato il
treno. Ma perché sempre loro ?". Più in
là, c'è Giuseppe Zullo, papà di
Vladimiro, accoltellato a San Siro venti
giorni fa: "Nessun giornale ha parlato
di quel che era successo. Se l'aveste
fatto, forse Vincenzo Spagnolo sarebbe
ancora vivo". E racconta: "Dopo
Inter-Samp, mentre uscivamo siamo stati
assaliti. Uno degli amici di mio figlio
ha preso un colpo sulla spalla, una
bastonata. Vladimiro è stato
accoltellato, colpito fra la coscia e il
gluteo. S'è messo a correre e urlare
come un forsennato e nessuno ha fatto
niente, la gente continuava a sfollare
senza neanche degnarlo di uno sguardo,
come se fosse un appestato. Gli hanno
fatto 18 trasfusioni, ha rischiato di
morire dissanguato. E nessuno ha scritto
una riga". C'è chi protesta, chi
s'arrabbia, e chi spera. Un ragazzino:
"La cosa scandalosa è che noi veniamo
qui tutte le domeniche, paghiamo le
trasferte, diamo soldi alla società e
giocatori qui non se ne vede manco uno.
Con tutto quel che guadagnano potevano
dare 5 milioni da destinare ai comitati
contro la violenza". Uno della Fossa dei
Grifoni: "Questo dev'essere per tutti
l'Anno Zero. Adesso so che in qualche
parte d'Italia ci posso andare
tranquillo. Ci siamo dati la parola
d'ordine: mai più coltello". Poi, alle
15.30 arriva il comunicato degli Ultrà.
Si dice che sia stato ispirato da quelli
dell'Atalanta. Linea morbida. "Basta con
la moda dei venti contro due o tre, o di
molotov e coltelli", c'è scritto. Che
vuol dire ? Che se si è in venti contro
venti si può ? Enzo Tirotta taglia
corto: "Io difendo il mondo degli ultrà
contro gli infami. Tutto il resto è
speculazione". Adesso sono in tremila,
davanti allo stadio, lungo la recinzione
coperta di fiori. Grappoli sparsi, sul
marciapiede, mentre le televisioni
straniere si aggirano incerte. Belgi,
francesi, svizzeri, giapponesi e
olandesi. Gli ultrà preferiscono parlare
con loro che con i giornalisti italiani.
Qualcuno spiega che "l'unica soluzione è
vietare le trasferte. Bisogna mettersi
il cuore in pace e scegliere questa
strada". Fra i drappelli, poi, c'è chi
non è per niente d'accordo: "Ma chi ha
fatto questo comunicato ? Altro che
assemblee, bisogna andare tutti a
Milano. Se ci presentiamo noi, quelli
del Verona e della Fiorentina...". La
domenica della retorica perde la sua
luce, ma quando scende il tramonto sono
ancora in tanti sul posto dove morì
Vincenzo. Mario Tulio, consigliere
comunale pds, cerca di vedere il buono:
"Il risultato di oggi è che gente
abituata a insultarsi a 200 metri di
distanza adesso si guarda in faccia".
Proviamo a crederci ? 6
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
Il
comunicato degli Ultrà
"BASTA
LAME BASTA INFAMI" Domenica Vincenzo Spagnolo, un Ultrà del
Genoa è morto. L'ennesimo assurdo
agguato ci fa dire basta. Basta con
questi, che Ultrà non sono, che cercano
proprio a spese del mondo Ultrà di fare
notizia, di diventare grandi ignorando
il male fatto (come in questo caso
irreparabile). Basta con la moda dei 20
contro 2 o 3 o di molotov e coltelli.
Ultrà: alla ripresa del campionato ci
aspetta un altro periodo durissimo, la
polizia ora ha carta bianca, gli unici
che davvero ci rimetteranno saremo noi
che con questi vili comportamenti non
abbiamo nulla a che spartire. Ora, se
vivere ultrà è davvero un modo di
vivere, tiriamo fuori le palle. Se altre
volte ci siamo girati, pensando che in
fondo erano problemi altrui, ora
gridiamo basta. L’alternativa non c’è ?
Ci troveremo poliziotti che aspettano
solo di vederci finiti e questi luridi
infami fregandosene di tutto e di tutti
continueranno con i loro agguati dove
non serve nemmeno essere coraggiosi.
Uniamoci contro chi vuol far morire
tutto il mondo ultrà, un mondo libero e
vero pur con tutte le sue
contraddizioni. Genova, 5 febbraio 1995. 6
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
Una
Messa nello stadio
L'iniziativa a Cosenza e Como.
"Preghiamo per la tolleranza". COSENZA
- Nella giornata in cui lo sport si è
fermato, gli stadi di Cosenza e di Como
si sono trasformati in chiesa. Alla
messa celebrata ieri pomeriggio nello
stadio San Vito di Cosenza in memoria di
Vincenzo Spagnolo hanno assistito un
migliaio di tifosi. Il rito è stato
officiato da Padre Fedele Bisceglie, il
sacerdote che è la guida spirituale
degli "ultras" del Cosenza. Attorno
all'altare, allestito al centro del
terreno di gioco, c'erano anche molti
bambini con striscioni inneggianti alla
pace. Il rito è cominciato alle 14.30,
l'ora in cui avrebbe dovuto avere inizio
l'incontro tra il Cosenza e il Piacenza.
"Siamo qui riuniti in preghiera - ha
detto Padre Fedele - perché è dalla
preghiera, più che da qualsiasi altra
manifestazione, che può giungere
l'insegnamento all'amore verso il
prossimo e alla tolleranza". I tifosi
hanno ribadito il loro sostegno al
Cosenza dopo la decisione della Caf di
confermare alla squadra calabrese la
penalizzazione di nove punti per
presunte irregolarità nel pagamento
dell'Irpef. Anche Como ha ricordato il
tifoso genoano ucciso e tutte le vittime
della violenza nello sport con una
messa, che è stata celebrata sotto la
tribuna dello stadio Sinigaglia per
iniziativa del Coni provinciale,
presieduto da Alberto Botta, che è anche
sindaco della città. Alla cerimonia, che
è stata officiata da don Luigi Galli del
Sacrario degli sport nautici di Garzola
(Como), hanno preso parte alcune
centinaia di persone, tra le quali
giocatori e dirigenti del Calcio Como,
sportivi e rappresentanti dei Como Club.
(Ansa) 6
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
La Zia
di Vincenzo
"Mamma
e papà, assenti per dolore" di
Pierangelo Sapegno GENOVA
- Davanti allo stadio di Marassi, sul
posto dove morì Vincenzo Spagnolo, sono
arrivate le due sorelle, Simona e
Romina. Hanno deposto un mazzo di fiori,
hanno percorso tutto il marciapiede
coperto di corone e messaggi arrivati da
tutta Italia. "Papà e mamma non ce
l'hanno proprio fatta a venire", spiega
zia Laura, che è rimasta, in casa con
loro. Quando le leggiamo il comunicato
degli ultrà sobbalza di fronte ad alcune
parole: "...Questi luridi infami che
fregandosene di tutto e di tutti...".
Domanda: "A chi si riferiscono ?". Dice:
"Mi dispiace per queste parole". Un
commento ? "Non sono in grado di
valutarlo. E poi devo dire, a titolo
personale, che è un messaggio che mi
lascia indifferente". Poi, aggiunge:
"Sono contenta che ci sia stata questa
giornata senza calcio non tanto perché
ha ricordato la morte di Claudio, ma
perché è un monito contro la violenza.
Claudio era una persona non violenta,
amava i bambini e i vecchi, e faceva
anche del volontariato. Adesso, la
speranza è che la morte di Claudio ne
impedisca delle altre. Non credo che
comunque quel che è successo oggi
servirà molto". Ma perché non servirà ?
"Perché ne sono morti tanti altri e si
sono fatte tante parole. Sì, forse
questa volta c'è stato più rumore, ma
perché la vittima era una persona molto
conosciuta, adorata da tutti. Soltanto
per questo". (p. sap.) 6
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
"Ricordate mio figlio fermiamo la
violenza" di
Cosimo Spagnolo Sono
due settimane che Claudio non c'è più e
mi accorgo con angoscia di non aver mai
aspettato in questo modo una domenica.
L'altra l'abbiamo passata come si può
immaginare, vuota: quella giornata di
lutto, quella giornata senza sport, quel
lungo silenzio per nostro figlio ucciso,
è stato come un altro funerale. Oggi si
riprende a giocare a calcio e anche se
per noi non sarà mai più la stessa cosa
io continuerò a coltivare comunque due
speranze. La prima è che lo sport non
muoia. Il calcio non si deve fermare,
anche se è costato la vita a mio figlio,
perché è una delle cose più belle che
abbiamo. È la violenza che deve essere
allontanata dagli stadi, le persone che
non vogliono vedere lo sport ma
partecipare ad una guerra. Si deve
riuscire a scacciarle per consentire
alle famiglie di sentirsi tranquille
quando vanno allo stadio o quando vedono
andarci i loro figli, ed anche perché
non ci siano altri che debbano patire
quello che soffriamo noi e la famiglia
dell'assassino. Io non provo che
indifferenza per questo ragazzo ma anche
un'immensa pietà per i suoi genitori che
sono diventati delle vittime, proprio
come noi. Dicevo delle mie due speranze.
La seconda è che, se il 15 febbraio si
giocherà di nuovo Genoa-Milan, i tifosi
dimostrino di aver capito quello che è
successo, altrimenti la morte di Claudio
sarà stata due volte inutile. Perché, se
oggi, noi della famiglia parliamo e
raccontiamo quello che è un dolore
privato, lo facciamo proprio per
combattere la paura che non sia servita
a nulla una domenica di lutto, e che la
morte di nostro figlio sia caduta sugli
stadi senza però arrivare al cuore dei
tifosi. Niente sarebbe peggio che
pensare: "Claudio è stato ucciso per
difendere la sua squadra". È un'idea che
finirebbe per portare altri morti. Io
voglio dire: Claudio è stato ucciso da
un'idea sbagliata dello sport, che ha
trasformato il divertimento e la
passione in una guerra. Anche se una
morte del genere, una morte violenta non
può mai essere sensata, credo però che
ci siano momenti in cui può valere la
pena, o essere inevitabile, mettere in
pericolo la propria vita. Vediamo tutti
i giorni i morti di Sarajevo. Ma per
Claudio il discorso è diverso: non era
inevitabile, la sua morte, e la causa
non valeva la pena. Ecco perché ho paura
di questa domenica, e di quelle che
verranno, probabilmente: quando tutti
gli altri avranno dimenticato. Qualcuno
mi ha chiesto con insistenza in questi
giorni se potrò mai perdonare. È una
domanda che non mi sono posto. Parlavo
prima della mia indifferenza per quel
ragazzo. Non so neppure se mi importa
che chieda perdono o no, che si sia
pentito: niente rimedia la morte. Però
mi è capitato di pensare alla sua
famiglia, e capisco la loro sofferenza.
Se ci incontreremo in Tribunale, forse
saremo nemici. Ma io ho rispetto del
loro dolore, anche se qualcuno dice: "I
figli sono come li cresci". A volte,
penso, mandi un figlio per strada, e non
sai davvero come tornerà. La differenza
è che il loro ragazzo è tornato, e
possono sperare in qualcosa. Noi siamo
rimasti soli, e possiamo solo ricordare. 12
febbraio 1995 Fonte:
La Repubblica
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
A
Marassi i tifosi della Samp hanno
ricordato Vincenzo Spagnolo con un
grande striscione
"Per
noi sarai sempre un fratello"
Genoa,
divisione all'interno dei club, alcuni
ultrà sono andati a Firenze. di
Maurizio Caravella GENOVA
- Il cielo è plumbeo, l'atmosfera è
ovattata, quasi irreale. Sembra che i
tifosi tornino a Marassi in punta di
piedi, come se non volessero disturbare.
Grida, cori ? Macché: chi ha voglia di
gridare, chi ne ha il coraggio ? Riecco
il rito della partita, ma ci sono
soltanto brusii, intorno allo stadio.
Non è, non può essere un giorno di vera
gioia, neppure per chi vince. Il cuore
di tutti è ancora gonfio: di sdegno, di
rabbia. Due settimane sono poche per
dimenticare, tutta la città si sente
ferita, stordita. Il pallone rotola
sempre, ma si è sgonfiato un po'. Il
pallone, qui a Genova, è diventato un
divertimento triste. Anche per i
sampdoriani. La morte, specie quando è
così assurda, fa diventare fratelli dei
cugini che per tradizione non si amano.
"Domenica 29 gennaio la seconda vittima
è stato lo sport", ricordano i manifesti
del Coni. La prima, Vincenzo Spagnolo,
mentre perdeva il sangue e le forze,
riuscì a dire: "Non posso morire così".
È pazzesco che qualcuno debba chiudere
gli occhi per sempre, per aprirli agli
altri, quelli col coltello in tasca.
Molti tifosi della Samp si sono fermati
sul luogo dove Vincenzo è stato ucciso,
hanno lasciato sciarpe e bandiere.
Qualcuno ha recitato una preghiera.
Qualcun altro ha pianto. Una donna ha
mormorato: "Potrebbe essere mio figlio.
In fondo, è come se lo fosse". E dentro
lo stadio, due soli striscioni: "Non un
cugino, sarai sempre un fratello"; e poi
"Basta lame, basta infami". All'altezza
delle due gradinate, per la prima volta,
sono comparse delle recinzioni mobili.
Ma non ce n'era bisogno. Come non c'era
bisogno di raddoppiare il servizio di
sicurezza: cinquecento uomini, tra
agenti e carabinieri. Ormai, era già
successo tutto: due settimane prima. Ma
a Genova (e non solo a Genova) la paura
non è passata completamente. L'ora della
paura dopo quella delle lacrime. Per i
genoani doveva essere una domenica
vuota: niente tifo organizzato a
Firenze, niente "Tutto il calcio minuto
per minuto". Avrebbero ascoltato Radio
Babboleo, per avere notizie del Grifone.
Ma poi lo sciopero in Rai è saltato. E
un gruppo di tifosi non ha resistito al
richiamo del cuore, anche se il
coordinamento dei club aveva deciso di
rinunciare a tre trasferte: per dare un
segnale, per lanciare un messaggio. Da
Genova sono partiti tre pullman. Li ha
organizzati Dario Bianchi, che vent'anni
fa assieme ad altri supertifosi fondò la
famosa Fossa dei Grifoni: "La violenza -
spiega - non si combatte stando a casa:
se devi sostenere un esame, ti presenti
e lo superi, non ti nascondi. Dieci
bastardi con i coltelli in mano non
possono rovinare l'immagine di tutta la
tifoseria. Sono mele marce: vanno
trovate, isolate. Siamo stati noi della
gradinata nord, due domeniche fa, a far
bloccare la partita. E ne sono fiero.
Non si poteva andare avanti a dare calci
a un pallone, sapendo che c'era stato un
morto". A Firenze, ieri, c'era anche
Tullio Torrigiani, da un mese e mezzo
presidente del coordinamento dei tifosi
rossoblù. "È stato un sacrificio doppio
- spiega - ero lì e non potevo, per
coerenza, andare a vedere la partita.
Ero stato invitato ad una tivù privata
per cercare di sdrammatizzare, per
invitare alla calma. Avevo accettato,
non potevo e non volevo tirarmi
indietro. Ma niente stadio". E spiega
che una volta, la domenica, i tifosi
seguivano la squadra con tutta la
famiglia, per fare una gita: se si
andava a Torino, tutti a vedere la Mole;
oppure il Colosseo a Roma, o la Torre a
Pisa. "Ma adesso non è più possibile:
per colpa della crisi economica, ma
soprattutto della violenza. Arrivi in
una città e ti mettono in colonna, ti
scortano allo stadio, poi ti piazzano in
un recinto. A Brescia si è obbligati a
salire su un pullman senza vetri, con le
griglie. Questo non è più divertimento.
Qualcuno risponde: ma la violenza,
ormai, è dappertutto. Questa però non è
un'attenuante. Ciascuno deve cominciare
a pulire il giardino di casa sua, poi
tutti insieme ci occuperemo delle parti
comuni. Ho un sospetto: forse qualcuno
ha deciso che è meglio far sfogare i
ragazzi negli stadi, piuttosto che nelle
piazze. E ciò che succede in serie A,
anche in campo, è un pessimo esempio per
i ragazzini. Ho visto genitori appesi
alle griglie, li ho sentiti gridare:
"Picchia, stendilo". È agghiacciante".
Giovanni Villani, addetto stampa del
coordinamento: "La sorella di Spagnolo
ha detto: "Vincenzo è morto, ma fra poco
non se ne parlerà più, tornerà tutto
come prima". Ecco, quella frase mi ha
colpito. Se abbiamo deciso di dare un
segnale, è proprio perché non deve
tornare tutto come prima. Altrimenti la
morte di quel povero ragazzo non avrà
insegnato nulla". Marta Paci,
responsabile dei club: "Non siamo bestie
da stadio: eppure spesso veniamo dipinti
così, come se la colpa di qualcuno fosse
la colpa di tutti. Abbiamo fatto
raccolte di fondi per la Bosnia, per gli
alluvionati; a Natale e a Pasqua
portiamo doni ai ragazzi ricoverati al
Gaslini. Gli ultras di Genoa e Samp
hanno fatto una colletta insieme per
acquistare un'ambulanza. Ma chi parla
mai di queste cose ? Fa notizia solo la
violenza". Mercoledì sera Genoa-Milan:
tv per tutti, e i diritti (250 milioni)
andranno alla famiglia di Vincenzo. Si
riparte da quella maledetta domenica. Ma
forse si riparte bene. 13
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
A
Marassi un grande spiegamento di forze
Stasera
Genoa-Milan la partita di Vincenzo
di
Damiano Basso GENOVA
- No, non sarà e non potrebbe essere una
gara come le altre. E forse,
Genoa-Milan, dopo quel tragico 29
gennaio, non sarà mai più nell'animo di
tutti una semplice partita di calcio, ma
sarà sempre la partita di Vincenzo
Spagnolo. Tra polemiche, dubbie
riflessioni, alla fine ecco arrivato il
15 febbraio, il giorno del recupero. Rai
Uno trasmetterà in diretta le immagini
del confronto, mentre le forze
dell'ordine vivranno una serata di
massima allerta. Più di 500, fra
poliziotti e carabinieri, garantiranno
fuori e dentro lo stadio, l’ordine
pubblico anche se, questa volta, da
Milano dovrebbero arrivare pochi tifosi,
gli irriducibili, e con mezzi propri.
Verranno perciò effettuati controlli
preventivi alle stazioni ferroviarie di
Brignole e Principe e ai caselli
autostradali di Genova Ovest e
Staglieno, quelli cioè solitamente
utilizzati dai sostenitori ospiti. La
preoccupazione nasce dal fatto che
qualche tifoso genoano in cerca di
vendette potrebbe magari sfogare la
propria rabbia contro persone innocenti,
colpevoli semmai di portare al collo una
sciarpa rossonera. Per questura e
prefettura sarà una specie di prova
generale in vista della prossima
stagione, quando il "Ferraris" avrà la
famosa recinzione esterna. La famiglia
di Vincenzo Spagnolo, intanto, ha
inviato al Genoa una lettera, che verrà
letta questa sera allo stadio: "La
famiglia di Vincenzo "Claudio" Spagnolo
desidera ringraziare gli amici e gli
sportivi che hanno manifestato in ogni
modo il proprio cordoglio per la
scomparsa del loro congiunto. Il padre
Cosimo, la madre Lina, le sorelle Simona
e Romina e i parenti invitano tutte le
persone di buon senso a recuperare i
sentimenti di tolleranza e civiltà, a
farsi portavoce delle esigenze non più
differibili di debellare qualsiasi forma
di violenza e di impedire con ogni mezzo
il ripetersi di accadimenti assurdi e
delittuosi". Non si prevede comunque un
gran pubblico al "Ferraris". A Genova
sono già stati rimborsati quasi 1000
tagliandi e la prevendita precede a
singhiozzo. Probabilmente a Marassi,
oltre agli abbonati, ci saranno poco più
della metà dei 9177 spettatori che
avevano pagato il biglietto domenica 29
gennaio. Ieri doppia seduta di
allenamento per il Genoa. Difficile il
recupero di Onorati (contrattura al
polpaccio sinistro), dovrebbe essere
Delli Carri a sostituirlo, mentre appare
ipotesi più remota l'impiego dal primo
minuto di Miura, con arretramento a
centrocampo di Van't Schip. "Il Milan
verrà per vincere - ha detto
l'allenatore rossoblù Marchioro - e
anche se non costituisce più un valore
in assoluto, il gruppo rossonero dispone
sempre di mezzi tecnici superiori e
soprattutto si diverte a giocare. Mi
aspetto il Milan di sempre, non credo
che il ricordo degli avvenimenti
accaduti due settimane fa possa
condizionarlo psicologicamente o sul
piano dell'aggressività". Ma quale Genoa
vorrebbe Marchioro ? "Quello tosto che
ha affrontato il Milan nel primo tempo
della partita annullata. Il presidente
Spinelli ha esternato ? Lui esterna
sempre. Io non ho ancora letto da
nessuna parte un'analisi tecnica che
condivido su questa squadra". "Contro
Roma e Milan non possiamo sbagliare - ha
detto il centrocampista rossoblù Antonio
Manicone - dobbiamo approfittare di
queste due partite interne per tirarci
fuori da una situazione difficile. Credo
che il Genoa sia inferiore a poche altre
squadre del campionato, ma alla fine
sono i risultati a contare e in questo
momento ci condannano. Ci manca la
necessaria tranquillità, perché mancano
i risultati. È un circolo vizioso dal
quale possiamo uscire solamente vincendo
qualche partita al più presto possibile.
Il presidente ci ha stimolato, le sue
critiche ci fanno piacere perché sono
fatte in buona fede, si vede che lui
vuole bene al Genoa. Contro il Milan
dovremo cercare di pensare solo alla
partita, anche se sarà difficile perché
non si può dimenticare una persona che
ha perso la vita per una partita di
calcio". 15
febbraio 1995 Fonte:
La Stampa
ARTICOLI
4-28 FEBBRAIO 1995
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