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TRIPOLI 1996
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Rivolta allo stadio: "morte a Gheddafi"

di Magdi Allam

"A Morte Gheddafi". A questo grido centinaia dei 60 mila spettatori del derby di calcio tripolino Al Ittihad-Al Ahli, si sono scagliati, venerdì 7 luglio, sul figlio primogenito del leader libico, Saadi. Questi, tifoso della Lazio e innamorato dell'Italia dove ha spesso soggiornato, è proprietario della squadra Al Ahli, a cui l'arbitro aveva appena concesso un contestatissimo calcio di rigore. Quando il pallone è finito in rete, i tifosi di Al Ittihad sono andati su tutte le furie. Hanno invaso il campo dello stadio centrale di Tripoli e, nonostante il nutrito servizio d'ordine, hanno prima pugnalato a morte l'arbitro e poi hanno tentato di aggredire Al Saadi. A quel punto le sue guardie del corpo, prese dal panico, hanno cominciato a sparare all’impazzata nel mucchio. Colpi di armi da fuoco sarebbero partiti anche da parte dei "tifosi", trasformando lo stadio in un campo di battaglia e la manifestazione sportiva in un regolamento di conti tra opposte fazioni politiche. Alcune voci parlano di 20 morti, ma in realtà sarebbero di più, probabilmente una cinquantina. La furia devastatrice dei "tifosi" si è riversata anche all’esterno dello stadio, assumendo un connotato xenofobo con la distruzione di una decina di vetture con targa straniera. E nella notte sono stati dati alle fiamme, forse un atto di rappresaglia dei miliziani del regime, negozi appartenenti a presunti militanti islamici. Si è trattato del più recente, ma non del più grave, episodio che conferma l’instabilità del regime del colonnello libico. Una fonte diplomatica, da noi interpellata, sottolinea che tutti i 400 militanti islamici evasi dal carcere di Bengasi lo scorso marzo sono stati uccisi dopo aver ingaggiato un duro scontro con l’esercito, nel corso del quale sono caduti 26 militari. Ma la strage dello stadio è rilevante perché si è verificata nella capitale e ha preso di mira direttamente il figlio di Gheddafi. Tanto è vero che ieri è stata decretata una "Giornata di lutto in memoria delle vittime", sono state abolite tutte le manifestazioni pubbliche, chiusi i ristoranti e la televisione di Stato ha trasmesso i suoi programmi soltanto in bianco e nero. Al Saadi è stato personalmente punito con lo scioglimento della sua squadra e di quella rivale, mentre il campionato di calcio è stato sospeso. Il calcio si è dimostrato una potente valvola di sfogo delle frustrazioni di una massa che, nel giro di soli 5 anni, da borghesia benestante è precipitata al rango di proletariato disoccupato. Una crisi causata, da un lato, dall’assottigliamento della manna petrolifera (gli introiti annui sono calati a 6 miliardi di dollari, quasi la metà della rendita del '90) e, dall’altro, dall’embargo decretato dall’Onu che, a partire dall’aprile '92, ha provocato la paralisi dell’economia e del commercio.

Il villaggio tunisino Jamila, La Bella, a ridosso della frontiera libica e punto di passaggio obbligatorio per tutto il traffico da e per la Libia dopo il divieto dei voli aerei, è diventato il simbolo del disastro economico e sociale della Libia. Centinaia di contrabbandieri libici attraversano ogni giorno la frontiera per vendere le merci più svariate acquistate in dinari libici a prezzi sovvenzionati dallo Stato. Su delle traballanti bancarelle vengono esposte lattine di olio combustibile, taniche di carburante, pneumatici e prodotti alimentari quali té, zucchero e olio d’oliva. Tutte merci che vengono sottratte e diventano sempre più rare nei supermercati statali libici ma che abbondano a prezzi triplicati sulle bancarelle di La Bella. Il litro di benzina che in Libia viene venduto a 200 lire, viene offerto a 600 lire contro le 1.000 lire che costa in Tunisia. In tal modo il contrabbandiere libico guadagna il triplo, mentre l’acquirente tunisino risparmia quasi la metà. Non solo: il contrabbandiere si fa pagare in dinari tunisini che converte al mercato nero di La Bella in dinari libici, realizzando tre volte tanto il cambio ufficiale. Prima dell’embargo il dinaro libico valeva 3 dinari tunisini, oggi il cambio si è esattamente ribaltato. Con uno stipendio medio che oscilla dai 200 ai 500 dinari, una valuta oltretutto in continuo deprezzamento, con più della metà della popolazione al di sotto dei 20 anni e in maggioranza disoccupata, i libici sono costretti a battagliare ogni giorno per sbarcare il lunario. Ed è così che, per la prima volta, la Libia si ritrova a fronteggiare una dilagante criminalità, un diffuso consumo di droga e la prostituzione. Negli scorsi giorni il telegiornale ha mostrato, in apertura, una scarpa in primo piano. Il commissario di polizia l’ha rigirata, ha tirato via la suola e, come in una valigia a doppio fondo, dall’interno è emersa una busta di hashish. Il messaggio era chiaro: gli spacciatori ne inventano di tutte ma noi siamo sempre vigili. Si tratta di una criminalità al contempo sociale e politica. Non è un caso che spesso nel mirino dei banditi ci siano gli stranieri, in particolare gli occidentali. Anche la residenza dell’ambasciatore italiano è stata assaltata l’anno scorso, gli aggressori, probabilmente estremisti islamici, hanno danneggiato le vetture situate all’interno prima di darsi alla fuga. È in questo vuoto di potere effettivo che sta crescendo il peso dell’integralismo islamico. Un’alternativa che spaventa l’Occidente ancor più del colonello. In assenza di un esercito regolare efficace e organizzato, il mondo sembra costretto a dover accettare Gheddafi come il male minore.

15 luglio 1996

Fonte: La Repubblica

Strage e rivolta a Tripoli, decine di morti

Slogan anti Gheddafi massacro allo stadio

Decine di spettatori sono morti - secondo alcune fonti 50 - allo stadio di Tripoli durante la partita tra le due squadre libiche più importanti, "Al Ahli" e "Al Ittihad". La folla dapprima si è inferocita per un gol "regalato" alla squadra di cui è presidente il figlio di Gheddafi, ha invaso il campo e quando la polizia ha reagito la protesta è diventata politica con slogan urlati contro il Colonnello. A questo punto la polizia ha sparato e nella fuga generale molta gente è finita calpestata. Diplomatici occidentali spiegano che alcuni tifosi hanno invaso il campo e pugnalato l'arbitro scatenando i tafferugli finiti tra gli spari delle guardie del corpo di Al Saadi e gli slogan anti-Gheddafi. Non ci sono notizie ufficiali sul numero delle vittime, ma il governo libico ha proclamato una giornata di lutto. La tv ha trasmesso solo in bianco e nero e i giornali sono usciti listati a lutto.

15 luglio 1996

Fonte: La Stampa

Gli incidenti scatenati da un gol assegnato alla squadra del figlio del Colonnello

Tripoli, rivolta e strage allo stadio

La polizia spara contro la folla che urla slogan ostili.

IL CAIRO - Il mondo ha appreso ieri di una strage avvenuta allo stadio di Tripoli venerdì, quando gli addetti alla sicurezza hanno aperto il fuoco su una folla di spettatori che aveva invaso il campo da gioco per protesta contro un gol inesistente convalidato dall'arbitro. Fonti diplomatiche al Cairo, confermate da libici dissidenti espatriati, fanno ascendere a cinquanta il numero dei morti, mentre la tv libica ne ha ammessi otto, più varie decine di feriti. La tragedia è avvenuta durante la partita tra le due squadre libiche più importanti, "Al Ahli" e "Al Ittihad". Accanto all'ipotesi del puro e semplice episodio di violenza negli stadi, c'è il sospetto che l'esplosione di violenza sia collegata a una trama per rovesciare il governo del colonnello Muammar Gheddafi. Presidente di una delle due squadre è proprio il figlio del leader, Al Saadi (tifoso noto anche in Italia e ospitato qualche mese fa nella Penisola) che stando ad alcune fonti avrebbe dato involontariamente dalla tribuna il via alla violenza quando l'arbitro - forse per compiacerlo - ha convalidato il gol della vittoria per Al Ahli. A quel punto alcuni tifosi hanno invaso il campo e pugnalato l'arbitro scatenando tafferugli finiti tra spari delle guardie del corpo di Al Saadi e slogan anti Gheddafi. La televisione libica ha dato notizia della strage ammettendo 8 soli morti (più trentanove feriti). Il governo ha proclamato ieri una giornata di lutto, la tv ha preso a trasmettere solo in bianco e nero, i giornali sono usciti listati a lutto. I club delle due squadre sono stati sciolti e tutte le manifestazioni e i banchetti che usualmente seguono le partite più importanti sono stati vietati. Una fonte libica dell'opposizione, che ha chiesto l'anonimato per timore di rappresaglie, ha riferito che già l'anno scorso si erano registrati disordini durante una partita dello Al Ahli, quando un gruppo di tifosi aveva tentato di distruggere l'auto di Al Saadi. E un'altra tragedia era accaduta cinque anni fa, quando erano crollate le gradinate dello stadio, anche allora con decine di morti. Che quello di cui si è avuta notizia ieri sia un evento legato alla sola fatalità, alla violenza da stadio o a quella politica, è comunque certo che la Libia sta vivendo un periodo di gravi tensioni interne, anche per l'isolamento e le relative difficoltà economiche derivanti dalle sanzioni proclamate dall'Onu, dopo il rifiuto di Gheddafi di consegnare i due presunti responsabili dell'attentato di Lockerbie, su un aereo americano nei cieli della Scozia, avvenuto nel 1988, con 270 morti. Alle tensioni interne non è naturalmente estraneo il fenomeno dell'integralismo, al quale Gheddafi ha dichiarato una guerra senza quartiere. Un'altra battaglia in corso riguarda ufficialmente i trafficanti di valuta (dollari soprattutto), droga e alcolici. Il colonnello ai primi di giugno ha annunciato la formazione di 81 comitati militari, composti da ufficiali subalterni con l'incarico di applicare una "legge sull'epurazione", nel quadro della lotta alla corruzione. "Accanto a questi - ha detto Gheddafi - un migliaio di comitati rivoluzionari parteciperanno alla raccolta di informazioni e alle indagini". "E' l'era della rinascita della rivoluzione - ha proclamato il leader libico - per sradicare nuove forme di capitalismo, di lassimo e di mancanza di sicurezza". (Ansa)

15 luglio 1996

Fonte: La Stampa

 

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