Rivolta allo stadio:
"morte a Gheddafi"
di Magdi Allam
"A Morte Gheddafi". A
questo grido centinaia dei 60
mila spettatori del derby di
calcio tripolino Al Ittihad-Al
Ahli, si sono scagliati, venerdì
7 luglio, sul figlio primogenito
del leader libico, Saadi.
Questi, tifoso della Lazio e
innamorato dell'Italia dove ha
spesso soggiornato, è
proprietario della squadra Al
Ahli, a cui l'arbitro aveva
appena concesso un
contestatissimo calcio di
rigore. Quando il pallone è
finito in rete, i tifosi di Al
Ittihad sono andati su tutte le
furie. Hanno invaso il campo
dello stadio centrale di Tripoli
e, nonostante il nutrito
servizio d'ordine, hanno prima
pugnalato a morte l'arbitro e
poi hanno tentato di aggredire
Al Saadi. A quel punto le sue
guardie del corpo, prese dal
panico, hanno cominciato a
sparare all’impazzata nel
mucchio. Colpi di armi da fuoco
sarebbero partiti anche da parte
dei "tifosi", trasformando lo
stadio in un campo di battaglia
e la manifestazione sportiva in
un regolamento di conti tra
opposte fazioni politiche.
Alcune voci parlano di 20 morti,
ma in realtà sarebbero di più,
probabilmente una cinquantina.
La furia devastatrice dei
"tifosi" si è riversata anche
all’esterno dello stadio,
assumendo un connotato xenofobo
con la distruzione di una decina
di vetture con targa straniera.
E nella notte sono stati dati
alle fiamme, forse un atto di
rappresaglia dei miliziani del
regime, negozi appartenenti a
presunti militanti islamici. Si
è trattato del più recente, ma
non del più grave, episodio che
conferma l’instabilità del
regime del colonnello libico.
Una fonte diplomatica, da noi
interpellata, sottolinea che
tutti i 400 militanti islamici
evasi dal carcere di Bengasi lo
scorso marzo sono stati uccisi
dopo aver ingaggiato un duro
scontro con l’esercito, nel
corso del quale sono caduti 26
militari. Ma la strage dello
stadio è rilevante perché si è
verificata nella capitale e ha
preso di mira direttamente il
figlio di Gheddafi. Tanto è vero
che ieri è stata decretata una
"Giornata di lutto in memoria
delle vittime", sono state
abolite tutte le manifestazioni
pubbliche, chiusi i ristoranti e
la televisione di Stato ha
trasmesso i suoi programmi
soltanto in bianco e nero. Al
Saadi è stato personalmente
punito con lo scioglimento della
sua squadra e di quella rivale,
mentre il campionato di calcio è
stato sospeso. Il calcio si è
dimostrato una potente valvola
di sfogo delle frustrazioni di
una massa che, nel giro di soli
5 anni, da borghesia benestante
è precipitata al rango di
proletariato disoccupato. Una
crisi causata, da un lato,
dall’assottigliamento della
manna petrolifera (gli introiti
annui sono calati a 6 miliardi
di dollari, quasi la metà della
rendita del '90) e, dall’altro,
dall’embargo decretato dall’Onu
che, a partire dall’aprile '92,
ha provocato la paralisi
dell’economia e del commercio.
|
Il villaggio tunisino Jamila, La
Bella, a ridosso della frontiera
libica e punto di passaggio
obbligatorio per tutto il
traffico da e per la Libia dopo
il divieto dei voli aerei, è
diventato il simbolo del
disastro economico e sociale
della Libia. Centinaia di
contrabbandieri libici
attraversano ogni giorno la
frontiera per vendere le merci
più svariate acquistate in
dinari libici a prezzi
sovvenzionati dallo Stato. Su
delle traballanti bancarelle
vengono esposte lattine di olio
combustibile, taniche di
carburante, pneumatici e
prodotti alimentari quali té,
zucchero e olio d’oliva. Tutte
merci che vengono sottratte e
diventano sempre più rare nei
supermercati statali libici ma
che abbondano a prezzi
triplicati sulle bancarelle di
La Bella. Il litro di benzina
che in Libia viene venduto a 200
lire, viene offerto a 600 lire
contro le 1.000 lire che costa
in Tunisia. In tal modo il
contrabbandiere libico guadagna
il triplo, mentre l’acquirente
tunisino risparmia quasi la
metà. Non solo: il
contrabbandiere si fa pagare in
dinari tunisini che converte al
mercato nero di La Bella in
dinari libici, realizzando tre
volte tanto il cambio ufficiale.
Prima dell’embargo il dinaro
libico valeva 3 dinari tunisini,
oggi il cambio si è esattamente
ribaltato. Con uno stipendio
medio che oscilla dai 200 ai 500
dinari, una valuta oltretutto in
continuo deprezzamento, con più
della metà della popolazione al
di sotto dei 20 anni e in
maggioranza disoccupata, i
libici sono costretti a
battagliare ogni giorno per
sbarcare il lunario. Ed è così
che, per la prima volta, la
Libia si ritrova a fronteggiare
una dilagante criminalità, un
diffuso consumo di droga e la
prostituzione. Negli scorsi
giorni il telegiornale ha
mostrato, in apertura, una
scarpa in primo piano. Il
commissario di polizia l’ha
rigirata, ha tirato via la suola
e, come in una valigia a doppio
fondo, dall’interno è emersa una
busta di hashish. Il messaggio
era chiaro: gli spacciatori ne
inventano di tutte ma noi siamo
sempre vigili. Si tratta di una
criminalità al contempo sociale
e politica. Non è un caso che
spesso nel mirino dei banditi ci
siano gli stranieri, in
particolare gli occidentali.
Anche la residenza
dell’ambasciatore italiano è
stata assaltata l’anno scorso,
gli aggressori, probabilmente
estremisti islamici, hanno
danneggiato le vetture situate
all’interno prima di darsi alla
fuga. È in questo vuoto di
potere effettivo che sta
crescendo il peso
dell’integralismo islamico.
Un’alternativa che spaventa
l’Occidente ancor più del
colonello. In assenza di un
esercito regolare efficace e
organizzato, il mondo sembra
costretto a dover accettare
Gheddafi come il male minore.
15 luglio 1996
Fonte: La Repubblica
Strage e rivolta a
Tripoli, decine di morti
Slogan anti Gheddafi
massacro allo stadio
Decine di spettatori
sono morti - secondo alcune
fonti 50 - allo stadio di
Tripoli durante la partita tra
le due squadre libiche più
importanti, "Al Ahli" e "Al
Ittihad". La folla dapprima si è
inferocita per un gol "regalato"
alla squadra di cui è presidente
il figlio di Gheddafi, ha invaso
il campo e quando la polizia ha
reagito la protesta è diventata
politica con slogan urlati
contro il Colonnello. A questo
punto la polizia ha sparato e
nella fuga generale molta gente
è finita calpestata. Diplomatici
occidentali spiegano che alcuni
tifosi hanno invaso il campo e
pugnalato l'arbitro scatenando i
tafferugli finiti tra gli spari
delle guardie del corpo di Al
Saadi e gli slogan
anti-Gheddafi. Non ci sono
notizie ufficiali sul numero
delle vittime, ma il governo
libico ha proclamato una
giornata di lutto. La tv ha
trasmesso solo in bianco e nero
e i giornali sono usciti listati
a lutto.
15 luglio 1996
Fonte: La Stampa
Gli incidenti scatenati
da un gol assegnato alla squadra
del figlio del Colonnello
Tripoli, rivolta e
strage allo stadio
La polizia spara contro
la folla che urla slogan ostili.
IL CAIRO - Il mondo ha
appreso ieri di una strage
avvenuta allo stadio di Tripoli
venerdì, quando gli addetti alla
sicurezza hanno aperto il fuoco
su una folla di spettatori che
aveva invaso il campo da gioco
per protesta contro un gol
inesistente convalidato
dall'arbitro. Fonti diplomatiche
al Cairo, confermate da libici
dissidenti espatriati, fanno
ascendere a cinquanta il numero
dei morti, mentre la tv libica
ne ha ammessi otto, più varie
decine di feriti. La tragedia è
avvenuta durante la partita tra
le due squadre libiche più
importanti, "Al Ahli" e "Al
Ittihad". Accanto all'ipotesi
del puro e semplice episodio di
violenza negli stadi, c'è il
sospetto che l'esplosione di
violenza sia collegata a una
trama per rovesciare il governo
del colonnello Muammar Gheddafi.
Presidente di una delle due
squadre è proprio il figlio del
leader, Al Saadi (tifoso noto
anche in Italia e ospitato
qualche mese fa nella Penisola)
che stando ad alcune fonti
avrebbe dato involontariamente
dalla tribuna il via alla
violenza quando l'arbitro -
forse per compiacerlo - ha
convalidato il gol della
vittoria per Al Ahli. A quel
punto alcuni tifosi hanno invaso
il campo e pugnalato l'arbitro
scatenando tafferugli finiti tra
spari delle guardie del corpo di
Al Saadi e slogan anti Gheddafi.
La televisione libica ha dato
notizia della strage ammettendo
8 soli morti (più trentanove
feriti). Il governo ha
proclamato ieri una giornata di
lutto, la tv ha preso a
trasmettere solo in bianco e
nero, i giornali sono usciti
listati a lutto. I club delle
due squadre sono stati sciolti e
tutte le manifestazioni e i
banchetti che usualmente seguono
le partite più importanti sono
stati vietati. Una fonte libica
dell'opposizione, che ha chiesto
l'anonimato per timore di
rappresaglie, ha riferito che
già l'anno scorso si erano
registrati disordini durante una
partita dello Al Ahli, quando un
gruppo di tifosi aveva tentato
di distruggere l'auto di Al
Saadi. E un'altra tragedia era
accaduta cinque anni fa, quando
erano crollate le gradinate
dello stadio, anche allora con
decine di morti. Che quello di
cui si è avuta notizia ieri sia
un evento legato alla sola
fatalità, alla violenza da
stadio o a quella politica, è
comunque certo che la Libia sta vivendo un periodo di gravi
tensioni interne, anche per
l'isolamento e le relative difficoltà economiche
derivanti
dalle sanzioni proclamate
dall'Onu, dopo il rifiuto di Gheddafi di consegnare i due
presunti responsabili
dell'attentato di Lockerbie, su
un aereo americano nei cieli
della Scozia, avvenuto nel 1988,
con 270 morti. Alle tensioni
interne non è naturalmente
estraneo il fenomeno dell'integralismo, al quale
Gheddafi ha dichiarato una
guerra senza quartiere. Un'altra
battaglia in corso riguarda
ufficialmente i trafficanti di
valuta (dollari soprattutto),
droga e alcolici. Il colonnello
ai primi di giugno ha annunciato
la formazione di 81 comitati
militari, composti da ufficiali
subalterni con l'incarico di
applicare una "legge
sull'epurazione", nel quadro
della lotta alla corruzione.
"Accanto a questi - ha detto
Gheddafi - un migliaio di
comitati rivoluzionari
parteciperanno alla raccolta di
informazioni e alle indagini".
"E' l'era della rinascita della
rivoluzione - ha proclamato il
leader libico - per sradicare
nuove forme di capitalismo, di
lassimo e di mancanza di
sicurezza". (Ansa)
15 luglio 1996
Fonte: La Stampa
|