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Dio Panico

di Michele Tropiano

"C’è una frase di Baudelaire che probabilmente qualcuno avrà visto girare su Facebook: "Dio è l’unico essere che, per regnare, non ha nemmeno bisogno di esistere". È esattamente questo che è successo ieri sera, intorno alle 22.20 a Piazza San Carlo a Torino, durante la partita di Champions League, solamente sostituendo la parola "dio" con "terrorismo". Io ero proprio lì. Sul maxischermo correvano i giocatori del Real Madrid, mentre quasi inermi quelli della Juventus erano in balia del gioco degli avversari: c’era sconforto e rabbia in tutta la piazza, recuperare due gol sembrava impossibile. Non c’erano più cori, né più bandiere che sventolavano. Tutto era calmo, in attesa forse solo del fischio finale, nonostante mancasse circa mezz’ora, quand’ecco che all’improvviso la folla davanti a me ha iniziato a correre all’impazzata, come bestiame in fuga. La prima cosa che ho pensato è stata ad una carica della polizia, forse per arginare qualche facinoroso. Correndo, seguendo la folla, chiedevo a qualcuno cosa fosse successo: c’è stato qualche "Non lo so, stanno scappando" mentre qualcun altro "è scoppiata una bomba". Ho visto i poliziotti, con i caschetti, che correvano verso un lato della piazza e ho pensato dunque effettivamente ad una carica. La folla mi ha trascinato per qualche metro sotto i portici, io forse sono stato uno dei pochissimi a mantenere la calma e mi sono appoggiato ad un pilastro e ho lasciato che la ressa defluisse di fianco a me: c’erano i tavolini dei bar a terra, qualcuno ci inciampava, qualcun altro insanguinato era carponi sui cocci di bottiglia rotti, molti altri ancora erano riversi a terra con decine di persone che correvano sulle loro facce. Ho visto un ragazzo con gli occhiali disteso e un piede in fuga che gli calpestava le lenti. Ma non c’era stato nessun attentato e in poco tempo ho realizzato che nemmeno nessuna carica della polizia effettivamente era avvenuta, piuttosto forse anche gli agenti si erano fatti prendere dal panico e si erano messi in assetto antisommossa. Già, perché, stando fermo sotto al pilastro ho potuto vedere quello che molti altri, correndo verso l’uscita della piazza, non hanno visto: dopo pochi minuti, la gente si era dispersa per la piazza, lasciando un vuoto al centro, dove tanti avevano rallentato; vedendo però la polizia con caschetti, presi dalla paura di chissà cosa, in tanti altri hanno iniziato a scappare nuovamente, dall’altro lato, creando nuovo panico, mentre i poliziotti correvano loro incontro. Perché ? Forse cercavano di andare velocemente nel punto clou - dove era caduta la fatidica ringhiera che ha scatenato il boato che a qualcuno è sembrata una bomba - o forse hanno visto qualcuno fare qualcosa di sbagliato - magari un ubriaco che agitava una bottiglia - ma questo nessuno può dirlo. Tant’è però che nelle ultime 12 ore di poliziotti col caschetto non ne ho letto su internet, né sentito parlare alla radio. Ma io so cosa ho visto. Ho visto la paura scaturita in un attimo che ha preso tutti, nessuno escluso, compresi quindi gli agenti predisposti all’ordine. Quell’ordine che probabilmente non hanno contribuito (A causa di un po’ d’impreparazione ? Presi dal terrore ?) a ristabilire. Certo, è facile scrivere adesso, solo perché magari io ho avuto "la fortuna" di riuscire a ragionare e non farmi prendere dal panico. Di una cosa ne sono certo: qualche anno fa, in tempi non sospetti, se un ragazzo avesse gridato "BOMBA", la gente intorno a lui l’avrebbe messo a tacere, rendendosi tutti conto che non ci fosse stata nessuna esplosione, o magari ci sarebbe stato un po’ di panico, ma subito placato, con l’aiuto delle forze dell’ordine che sarebbero riuscite a mantenere la folla calma. E invece, in questi periodi in cui il terrorismo dilaga in tutto il mondo - tra l’altro più o meno alla stessa ora avveniva un attentato vero a Londra - è bastato un attimo per scatenare la psicosi generale.

Dopo una decina di minuti, quando tutto era ormai placato, mi aggiravo per la piazza e c’erano feriti dappertutto, anche se lievi, vetri rotti, sangue e fortunatamente anche gente che si aiutava a vicenda. Una ragazza impaurita, senza scarpe, si aggirava con le mani nei capelli… Le ho detto: "guarda che stai perdendo sangue dalla gamba", ma lei, con voce flebile: "Lo so, ma devo prima ritrovare il mio zaino… Devo avere il mio zaino". Non ho però più visto la polizia, tranne qualche agente isolato che camminava verso l’uscita. Ho chiesto ad un paio di loro cosa fosse effettivamente successo: "Non è successo niente, tranquillo". Ma ero tranquillissimo, solo che io però ho camminato verso il centro per vedere se ci fosse bisogno di aiuto, mentre lui andava dall’altra parte. Dov’erano tutti quegli agenti che qualche minuto prima correvano verso chissà cosa ? Non è forse anche compito loro assistere i centinaia di feriti riversi ai lati della piazza ? Al centro, invece, restavano cumuli di zaini, migliaia di scarpe e oggetti personali. Insieme a sciarpe e vessilli della Juventus che da bianconeri erano diventati tricolore: bianco, rosso sangue e nero. Nero, come tutto ciò che è successo in pochi minuti, nera come tutti gli juventini ricorderanno questa settima finale persa, ma ancor più nera come noi che eravamo lì ricorderemo quella serata come un’assurdità. Eravamo in circa 30mila e in realtà non era successo un bel niente, ma effettivamente qualcosa non ha funzionato. Mi chiedo: cosa sarebbe successo se realmente ci fosse stata un’esplosione ? Se realmente qualche terrorista si fosse fatto saltare in aria con il giubbotto pieno di esplosivi ? O se avesse iniziato a brandire un coltello fra la folla ? A scuola ci insegnano che la storia non si fa con i "se": in questo particolare periodo, però, penso che ci si debba ragionare su. Insomma, non c’è stato nessun attentato, ma, pur non essendoci, ha creato conseguenze simili ad un attentato vero. E comunque, eravamo stipati in una piazza, uno addosso all’altro: ci sarebbe potuta essere una qualsiasi emergenza. Sapete quante ambulanze c’erano sul posto ? Una. Una sola ambulanza, che, dato l’elevato numero dei feriti ha fatto quel che ha potuto. Per "fortuna", pare che solo qualcuno sia risultato grave e dico per fortuna perché in una ressa del genere davvero è un miracolo che non ci sia scappato il morto. Probabilmente la verità è che, sia forze dell’ordine, sia personale medico, erano completamente impreparati ad un’evenienza genere. L’amministrazione, la questura e chiunque predisposto all’ordine pubblico a Torino, ma anche in tutta Italia, ora dovrebbero ragionare su questo e non è un’ipotesi remota: siamo davvero pronti a fronteggiare un eventuale attentato ?

4 giugno 2017

Fonte: Corriere.it

© Fotografie: Lastampa.it - Don Davide Toffaloni

Paura di cosa ?

di Sofia Savorgnano

Scrivo a sangue caldo. Scrivo con il bruciore dei graffi sulla pelle e il pulsare delle contusioni alle gambe. Scrivo dopo una notte passata insonne e gli occhi stanchi di chi ha riflettuto senza trovare una risposta. Sono stata partecipe dei fatti di Torino, accaduti nella notte del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo, nel cuore della città reale, in occasione della finale di Champions League disputata tra Juventus e Real Madrid a Cardiff. Non voglio raccontare gli avvenimenti, perché sono già stati divulgati ampiamente e ripetutamente dai telegiornali, dalle stazioni radio: questo è il loro compito. Io non ho nessun compito e non scrivo perché qualcuno sappia cos’è successo precisamente. Scrivo perché nessun telegiornale potrà mai esprimere cosa significhi aver avuto paura. Le trentamila persone presenti sulla piazza per l’evento invece lo sanno ed io sono una di loro. Paura di cosa ? Questa è la domanda difficile. Nel bel mezzo della partita, al 19’ del secondo tempo regolamentare, quando ormai i tifosi juventini avevano perso la speranza della vittoria, ecco che succede l’incredibile. Esplode quella che potrebbe essere stata una cintura esplosiva, detonata da un kamikaze militante per l’Isis. Una bomba che genera il panico più assoluto. Non è tutto, ecco che subito dopo l’esplosione del letale ordigno, un compagno del kamikaze che ha già compiuto la sua missione di salvazione, estrae dallo zaino un kalashnikov pieno zeppo di munizioni e prende a colpire all’impazzata la folla uniformata dalla divisa bianco-nera, che tenta disperatamente di fuggire i colpi della morte. Infine ecco l’atto finale e decisivo. Un camion rinforzato, carico di esplosivo, protetto da piastre in acciaio spesse due pollici si dirige furiosamente contro la massa da un punto non meglio definito della piazza, dalla quale si levano urla di terrore e pianti isterici. Il terrorismo ha colpito ancora una volta nei punti più nevralgici e dove sapeva di fare male. D’altronde ce lo si poteva aspettare. Piazza gremita di gente, compressa in 12.768 metri quadrati, poco più di mezzo metro quadrato a testa; evento sociale per eccellenza, al pari del concerto di Ariana Grande e del Bataclan; partita di calcio, sport che simboleggia forse più di ogni altro l’Occidente. Ce lo si doveva aspettare. Anzi non poteva non succedere.

Forse tutti coloro che sabato sera sono usciti dalle proprie case, vicine o lontane che fossero, per recarsi a Torino, hanno salutato i propri cari con un affetto particolare, come se in fondo sapessero già del rischio che correvano. Tuttavia nessuno voleva cedere allo stato di terrore in cui è inevitabile vivere da alcuni anni a questa parte e rinunciare ad una serata tra amici, per festeggiare con il massimo entusiasmo l’eventuale vittoria. Invece quella serata ha spezzato molte speranze, trasformandosi in un inferno di sangue ed urla. I feriti, ad ora, 1527. Tra i quali si parla di 7 feriti gravi e addirittura due in prognosi riservata e coma farmacologico: una ragazza di 26 anni con trauma toracico ed un bambino di 7 con trauma cranico e toracico. Quello che non hanno fatto le armi dei terroristi, l’ha fatto la folla di gente crollata in un baratro di panico, che ha iniziato a correre seguendo l’istinto più primordiale: la fuga. Un boato tremendo si è impossessato del luogo e un’onda d’aria si è propagata, facendo tremare i lampioni. La polizia ha cercato di mantenere l’ordine per evitare la possibilità di effetto domino, ma a poco è valso il suo sforzo. "Moriremo tutti" oppure "trovate mio fratello !", alcune delle poche parole che ho sentito mentre mi trovavo schiacciata a terra senza aria né spazio per scappare. Ho letto da alcuni articoli online che la versione diffusa sul web e sulle principali testate italiane è diversa: parlano di un semplice petardo che nell’esplodere ha fatto crollare una transenna. Non so perché sia stata data alle stampe una versione falsa dei fatti. Io lo dico con certezza: la sera del 3 giugno 2017 alle ore 22.09 in Piazza San Carlo a Torino c’è stato un attentato terroristico. Questa è la verità e altre 29.999 persone, oltre me, possono testimoniare. Altrimenti perché tanto scalpore ? Perché quella fuga impazzita ? Perché le grida ? Non per un petardo: per paura.

4 giugno 2017

Fonte: Corriere.it

"Tutte quelle bottiglie non dovevano entrare"

di Maurizio Tropeano

La polemica sui controlli: molti feriti hanno tagli profondi provocati dai cocci di vetro.

TORINO - Piazza San Carlo è una grande distesa di zaini, scarpe dimenticate, lattine calpestate, bottiglie di birra vuote e intatte e tante tantissime frantumate che sono diventate i pezzi di un mosaico pericoloso. Dietro il palco uomini della Protezione civile urlano in un megafono i nomi dei dispersi indicati da amici e parenti. "I feriti sono molto più di duecento. Ho visto delle fratture esposte, delle ferite lacerocontuse molto profonde, soprattutto agli arti inferiori". Francesco è un volontario della Protezione civile, sta per raggiungere la moglie ricoverata all’ospedale Martini e si chiede perché e come sia stato possibile far entrare centinaia di bottiglie di vetro ? Francesco, che ha una lunga esperienza, è convinto: "Sono loro, oltre al panico, la vera causa del numero dei feriti". A mezzanotte, mentre i suoi colleghi stanno scandendo i nomi di chi non è stato ancora rintracciato, entrano in funzione i mezzi dell’Amiat che devono ripulire la piazza. Sotto i portici c’è chi continua a gridare a squarciagola il nome degli amici. E c’è anche chi chiede in prestito il telefono per fare una chiamata: "L’hai trovata ? Ti ho detto di venire dietro il palco. Eccoti, eccoti". Ringrazia mentre restituisce il telefono. Poi dolce: "È passato tutto, è passato tutto" sussurra abbracciando l’amica. Ma, a tardissima notte, è difficile dire se è davvero così mentre in piazza c’è chi ha messo in fila le scarpe rimaste sull’asfalto sperando forse che qualcuno che le ha perse possa recuperarle. Altri hanno fatto la stessa operazione con gli zaini. Ci sono piccole montagnette sparse qua e là con attorno decine di ragazzi che aspettano ordinatamente il loro turno per vedere se ritrovano quello che hanno perso scappando in preda al panico.

4 giugno 2017

Fonte: Lastampa.it (Testo © Fotografia)

La storia

Torino, Laura l’infermiera e quel mare di feriti:

"Come in una guerra. E ora non riesco nemmeno a dormire"

di Elisa Sola

Laura Zia, 36 anni, infermiera professionale all’ospedale Molinette di Torino, era di turno mentre sono giunti i feriti di piazza San Carlo: "Ho fatto più suture in un giorno che in 16 anni di pronto soccorso. Ma alla fine li abbiamo curati tutti".

"Una notte così, noi che l’abbiamo fatta, ce la ricorderemo tutta la vita". Sicuramente Laura Zia, infermiera professionale del pronto soccorso dell’ospedale Molinette, non dimenticherà mai quelle sette ore di fuoco in cui si è ritrovata a gestire l’assalto di oltre duecento feriti, con il ruolo di responsabile del turno infermieristico, perché quella sera è toccato a lei. È Laura, 36 anni e 16 di esperienza, che ha dovuto gestire la cosiddetta "maxi-emergenza" post psicosi terrorismo. È sveglia da 24 ore, ma l’adrenalina non la fa dormire neppure ora che ha finito.

Il panico, e i disinfettanti che mancavano - Laura ricorda con lucidità ogni dettaglio. E parla con l’entusiasmo di chi ce l’ha fatta. Di chi ha vinto. "Ero di pomeriggio ieri, ma mi sono fermata anche di sera perché, in vista della partita, c’era bisogno. Essere responsabile in alcuni momenti non è facile, ma quando è arrivata la telefonata che annunciava la maxi emergenza territoriale ho proprio tremato". Quella chiamata alle Molinette è arrivata alle 22.30. "Ci avvisavano - spiega - che c’era una verosimile bomba in piazza San Carlo, poi sembrava una bomba carta, poi una cancellata caduta. Insomma, è arrivato di colpo un grosso flusso di pazienti e a cascata sono arrivati tutti i reperibili e quelli che si devono attivare in questo caso". Ed è in quel momento che in pochi minuti Laura si è ritrovata a organizzare le persone, chi doveva fare cosa e ad allestire le sale con le barelle impilabili. Fino a fronteggiare una serie di situazioni critiche, dai ferri ai disinfettanti che mancavano, alle scene di panico dei pazienti. "Il telefono del Triage squillava continuamente, cercavano tutti qualcuno, da Bergamo, dalla Toscana, a Torino sono arrivati moltissimi ragazzi da fuori".

"Come un triage di guerra" - La notte alle Molinette è stata da delirio. "Arrivavano bambini in macchina con la guardia di Finanza, tassisti che ci lasciavano gente all’ingresso, persone a piedi, in pullman. In dieci minuti è piombata una folla immensa, in un’ora e mezza erano 200 i registrati e poi non si riusciva nemmeno più conteggiare, non c’era personale per prendere dati perché tutti medicavano. Era come se fosse in atto un triage di guerra, si valutavano le priorità sulla porta di ingresso". Laura tira le fila della nottata più indimenticabile della sua vita lavorativa: "Cosa ricorderò di più ? Gli specializzandi. I medici. Il collega che passava di lì in moto, ha visto, si è messo la divisa e ha iniziato a suturare. In quel momento lì, vedi l’unione".

"Li abbiamo curati tutti" - Sono tante le scene che restano impresse nella memoria. "Un collega ha visto uno dei primi feriti arrivare, senza dita della mano. E poi le suture, io sono un’internista, ne ho fatte più oggi che in 16 anni di pronto soccorso. A un certo punto avevo il chirurgo maxillo facciale a fianco che mi diceva, passami questo, passami quello. Ho fatto anche la strumentista". "Ho provato a gestire scene di panico - ricorda l’infermiera - c’era uno stato di tensione forte dei pazienti e dei parenti, genitori che non trovavano figli, un padre che non trovava mamma e bambino. Non pensi lì per lì, non sentì la stanchezza, anche dopo un turno di lavoro intenso. Abbiamo avuto bisogno di cinque minuti, per parlarci. Poi siamo partiti tutti insieme. E abbiamo lavorato bene - dice Laura, raggiante - nel caos generale li abbiamo curati tutti".

"Dormire ? Non riesco" - I momenti più difficili, sono stati quelli della gestione dello shock delle persone. "Una cosa mai vista - spiega Laura - la sicurezza bloccava la porta di ingresso, bisognava tenere dentro i pazienti e fuori i parenti, molti di loro però avevano attacchi di panico. Tutti i pazienti che potevano camminare, li mandavano nella sala sotterranea aperta con quattro chirurghi, tre infermieri e altrettanti operatori sanitari. C’erano molte altre sale, anche con tre medici e tre pazienti insieme". Alla fine, il bilancio è positivo: "Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra. Alle cinque di mattina avevamo finito il grosso. Ho provato a dormire, ma non ci riesco. Continuo a pensare, una cosa così, non l’avevo mai vista e non me la dimenticherò mai".

4 giugno 2017

Fonte: Corriere.it

Dramma di Torino: "Dov’è Dio in tutto questo ?"

di Don Davide Toffaloni

Don Davide Toffaloni, sacerdote della Comunità Pastorale del Centro, è tra i 1.527 feriti di piazza San Carlo, a Torino, dopo i drammatici momenti di panico durante la finale di Champions tra la Juventus e il Real Madrid. Il giorno dopo, ecco il suo racconto su Facebook, con una risposta importante alla domanda finale che il sacerdote pone a se stesso e a tutti noi: "Dov’è Dio in tutto questo ?". La risposta nelle ultime righe del testo.

Carissimi Amici, volevo ringraziarvi per i tanti messaggi che mi stanno arrivando e per la vicinanza che mi state dimostrando in diversi modi. Ieri sera, terminata la Messa delle ore 18.00, con Luigi siamo partiti per Torino felici e carichi dalla scelta di andare a veder giocare la "squadra del cuore". Abbiamo raggiunto il parcheggio di Piazza san Carlo intorno alle 20.35. Correndo siamo arrivati in piazza pochi istanti prima dell’ingresso delle squadre ! La preoccupazione, come per tutti quei tifosi arrivati all’ultimo, è stata quella di ricercare il posto migliore per vedere la partita ! Inizialmente abbiamo pensato di metterci sul tetto di un’edicola circolare, già pieno di tifosi, ma non troppo da pensare al: "non ci stiamo". Fortunatamente prima di salire, un gruppo di ragazzi ha avuto la nostra stessa idea, ma sono stati fermati tempestivamente dai poliziotti. Ci addentriamo, delusi, nel portico laterale di destra (guardando lo schermo - lato opposto da dove è arrivato il boato), mentre risuona in tutta la piazza l’inno della Champions. Finalmente, troviamo un posto ! Una vetrina con un piccolo murettino che mi permette di vedere lo schermo, ma per trovare l’equilibrio mi appendo alla serranda della vetrina. Lo spazio non è molto, salgo immediatamente, mentre Gigi, vista la sua altezza, rimane a terra per aiutarmi a trovare l’equilibrio… Così per tutto il primo tempo (tranne che al Goal di Marione dove tutta la Piazza è esplosa in festeggiamenti). Inizia il secondo tempo, si risale sul murettino ! Questa volta da solo perché poco prima Gigi si allontana per cercare un posto miglior dal quale poter vedere la partita. Come tutti avete visto, inizia proprio male per la Juve… Ma c’è ancora tanta speranza… La tensione inizia a farsi vedere dopo il 3° goal ! Poco distante da me, un ragazzo spacca per terra una bottiglia facendo seguire al gesto una serie interminabile di parolacce e qualche bestemmia ! La gente intorno preoccupata dell’accaduto, fa qualche passo indietro da quel ragazzo ! Accanto a me una famiglia con due bambini, la mamma tiene stretta la bambina, il papà tiene ben stretto il bambino sulle spalle ! (Stupendi i bambini, nonostante non riuscisse a guardare lo schermo, perché in parte coperto da una colonna, formava con le sue manine un cannocchiale per cercare di veder meglio i suoi campioni…) Ho proprio gioito nel vedere questa immagine, gioia che per un istante ha cancellato la tanta rabbia per come si era messa la partita ! La Mamma grida: "Andiamo via di qui… Ci sono dei bambini ! VERGOGNA !".

All’improvviso un boato risuona al centro della Piazza ! Lo sguardo si sposta non più sullo schermo, ma su tutti quei ragazzi che cadono come tasselli del domino, spinti per terra da non si sa quale forza. Forti grida: "È UNA BOMBA"…"STANNO SPARANDO !". La vetrina accanto a me va in frantumi, cado per terra ! Travolto e spinto da molte persone riesco a rialzarmi ! Grida ancora più forti: "È UNA BOMBA"…"STANNO SPARANDO !". I Ragazzi intorno a me sono pieni di tagli e tanto sangue ! Panico. Tutti cercano di correre. Di fuggire. (Purtroppo dalla parte sbagliata, non verso le vie di uscita). Carrelli ribaltati ! Birre di vetro frantumate ovunque ! Sono schiacciato, faccio fatica a trovare una posizione per respirare ! Gomitate, Pugni ! Tutto fermo ! Immobili ! Schiacciati tutti in pochissimo spazio ! Tanti pensieri: Gigi ? Dov’è il Bambino ? Dov’è la famiglia ? Paura di morire ! Panico ! Signore aiutami ! Nonna dove sei, aiutami tu come hai sempre fatto, dammi una mano TI PREGO ! Realizzo che è il momento della mia vita che mai avrei voluto vivere: Attentato. Altre Grida: SPARANO ! Un portone di legno (10 m di distanza da dove sono) viene sfondato da alcuni tifosi. Una via di fuga ! I primi tifosi cadono a terra ! Molti avanzano fregandosene ! Corrono dentro per salvare la propria vita senza soccorrere ! Molta gente inciampa su questi corpi a terra ! L’immagine che ho difronte è quella di una serie di corpi ammucchiati uno sopra all’altro ! C’è chi prova a scalare questa piramide di corpi ! Alcuni "eroi" non scappano… Si fermano sul portone ed iniziano con forza a tirar fuori queste persone afferrandole da braccia, gambe, zaini… Manca poco ad arrivare al portone: dentro di me un grido: "Ci sono quasi… DAI DAVIDE...". Guardo per terra per cercare di piantare bene i piedi… Dolore. Vedo delle gambe bianche di una ragazza, ancora a terra ! Gridiamo con un gruppo di tifosi accanto a me: "C’è UNA RAGAZZA CHE STA MORENDO… NON CALPESTATELA". Lo sguardo di quelle persone era perso nel vuoto, ricordo ancora bene i loro volti. Nulla… Nessun aiuto ! Non siamo stati ascoltati ! Con un gruppetto di tifosi, spingiamo indietro la massa cercando di creare un pochino di spazio. PUGNI, Gomitate, che ci arrivano. La mia gamba rimane incastrata. "ORA" grida uno dei ragazzi. Afferro la gamba della ragazza e con tutta la forza possibile riusciamo ad entrare in quel portone, portando la ragazza in un luogo più sicuro. Altre grida: "SPARANO ! SPARANO ! AIUTO !!!". Mi butto in un’aiuola con un muretto ben alto, dopo essermi assicurato che la ragazza rimanesse lì con qualcuno… Un medico… "PROVVIDENZA", massaggio cardiaco… Altre grida: "SPARANO ! SPARANO ! BOMBA !!!". Ogni piccolo rumore di vetro in frantumi è preso per sparo. Panico. Corro fuori dall’aiuola in direzione del Palazzo all’interno di questo cortile. Percorro gli scalini più velocemente possibile ! Salgo, salgo, salgo… Finché mi accorgo di essere solo. Cerco di nascondermi sotto una scrivania. Sento dei rumori. Un altro tifoso si avvicina: "Aiutami ad uscire". (Qualcuno dalla Paura ha attivato l’allarme antincendio causando la chiusura di tutte le porte taglia fuoco). Siamo chiusi dentro in attesa dei soccorsi. I cellulari di entrambi non vanno ! Linee interrotte. Cerchiamo un telefono. Tanti pensieri prendono il sopravvento: Il cellulare dov’è ? Speriamo non sia scarico… Gigi speriamo non ti sia successo nulla, altrimenti non me la perdonerei: Signore proteggilo in qualsiasi posto si trovi ! Chi posso chiamare ?!?! Provo un po’ di numeri, ma nessuna risposta, finché riesco a sentire una cara amica che da mamma cerca di tranquillizzarmi.

Trovo le forze per rialzarmi e cercare con Marco una via d’uscita. Cerchiamo di trovare una via di uscita, finché riusciamo a raggiungere le scale d’emergenza, scavalchiamo i tornelli e… Due corpi a terra: la prima immagine che vedo è quella di omone a terra privo di sensi con accanto persone che cercano di rianimarlo… Stessa immagine poco più avanti… Ancora quella ragazza a terra in attesa dei soccorsi con accanto molte persone ! Un grido proviene dal portone d’ingresso: "FERMI TUTTI ALLONTANATEVI… SONO ARRIVATI I SOCCORSI". Polizia, Vigili del Fuoco, Barellieri… Prima di andarmene attendo l’uscita di queste due persone… Saluto Marco e lo abbraccio forte: "Chissà se ci rincontreremo un giorno ! Grazie… Dio ti benedica !". Esco dal Portone ! Davanti a me le immagini che tutti conoscete: Ragazzi che correvano ovunque gridando i nomi degli amici dispersi; persone disperate sedute a terra; ogni persona chiedeva ad un’altra cosa fosse successo ? ! Le risposte a malincuore sono state sempre le stesse per un paio d’ore: NON LO SO ! ATTENTATO ! SEMBREREBBE NULLA DI GRAVE ! In ogni angolo della Piazza: Sangue, Scarpe, sciarpe, occhiali, sedie, cuffie, cappellini, maglie strappate, bandiere, vetri, birre in frantumi, pantaloni, zaini… I telefoni non vanno… Inizio a correre per la piazza alla ricerca di Gigi… Grido a squarciagola: GIGI. Nessuna risposta, solo il suono delle sirene dell’ambulanza e delle macchine della polizia. Mi allontano dalla piazza per cercare un punto in cui il mio cellulare potesse funzionare… Mi accorgo che c’è qualcosa che non va ! Forte dolore alla caviglia, alle costole… Con dei tagli sul braccio. Mi allontano il più possibile … (Le vie nei dintorni erano piene di persone che scappavano in qualche modo, c’era chi in attesa dei soccorsi chiama a casa per tranquillizzare la famiglia e gli amici, chi si metteva d’accordo sul punto in cui ritrovarsi… Chi era disperato perché non riusciva a mettersi in contatto con nessuno… Tanto sangue…)

Riesco finalmente a sentire Gigi, molto preoccupato perché lui è riuscito in qualche modo a correre via (fino a Porta Susa). Mi incammino, ma il dolore si fa più forte… Gigi decide di venirmi incontro… Dopo ore interminabili: eccolo in fondo alla via che si sbraccia per farsi riconoscere. Lo abbraccio e ringrazio dentro di me Dio di averlo custodito senza troppi traumi e senza lesioni.  Torniamo in Piazza per cercare di capire cosa fosse successo… Qui l’INCONTRO con un EROE che mi ha dato coraggio: un ragazzo completamente a petto nudo con la schiena tutta piena di sangue e di profondi tagli e una fasciatura vistosa sulla pancia… "Cosa è successo ? Hai bisogno di un aiuto ?" chiede Gigi. Inizia a raccontarci di come lui sia riuscito a scappare, ma prima di fare tutto ciò ha salvato la vita di un bambino prima che fosse portata via dal panico della gente, proteggendolo con il suo corpo. Ecco spiegate le tante ferite… Eroe… Visto che è molto di fretta nella ricerca dei suoi amici, riprendiamo il cammino verso piazza san Carlo per capire cosa fosse successo. Le prime risposte sicure: "UN PETARDO"… "LA CADUTA DI UNA TRANSENNA"… Rimango in silenzio per qualche minuto… Cerco una sedia sulla quale potermi sedere per realizzare l’accaduto. Decido con Gigi di rivolgermi ai volontari della Croce Rossa, i quali mi dicono di attendere… L’attesa crea ancora più panico… Decidiamo di tornare e di far tappa all’Ospedale di Legnano; Fortunatamente non è nulla di grave: me la sono cavata con qualche piccola contusione, qualche piccolo taglio, e una lieve slogatura. Come ha scritto questa mattina Tommaso, anch’io ora ho molta paura, non lo scrivo per farmi compatire. Desidero come lui raccontarvi quanto è accaduto. Raccontarvi la mia paura che tutto questo possa risuccedere. Ho paura ad immedesimarmi negli uomini e donne di Londra perché ora so cosa si prova in quel momento. Ho avuta, per la prima volta nella mia vita, la paura di morire. In tutto questo, però, da cristiano e prete che sono non posso fermarmi alla paura… Ho desiderato quest’oggi celebrare la Messa con la mia comunità per dire grazie al Signore per essermi rimasto vicino, per avermi dato la forza di rialzarmi più volte, per essere riuscito a mettere da parte la paura di perdere la vita per cercare di salvare quella di quella ragazza… Mi sono sentito di ringraziarLo per la testimonianza che ho ricevuto da tutti gli "eroi nascosti" che in tutto quel casino, mentre tutti correvano, si fermavano ad aiutare chi stava male, anche solo con piccoli gesti. "Dov’è Dio in tutto questo ?" è la domanda che qualcuno potrebbe rivolgermi. Dio ha operato attraverso quelle mani capaci di medicare, rianimare, curare, consolare, estrarre corpi prima che soffocassero, incoraggiare, asciugare molte lacrime. Ho pregato per tutte quelle persone che ieri erano lì con me, affinché il Signore dia pace e serenità a quei genitori che oggi stanno trascorrendo la loro giornata ai piedi del letto di loro figlio/a nella speranza che si risvegli.  Non posso negarlo… Ho ancora tanta paura, ma grazie a questi EROI, grazie alle loro mani, mi sto ripetendo nella mente e nel cuore le parole del profeta Isaia: "Non temere, perché io sono con te; sentirai la mia forza nel tuo cammino; Tu sei prezioso ai miei occhi, vali più del più grande dei tesori… Io sarò con te ovunque andrai ! La mia MANO ti proteggerà".

5 giugno 2017

Fonte: Legnanonews.com

© Fotografie: Sandomenicolegnano.com - Ansa.it

"Ho temuto di morire": una palermitana

racconta la notte da incubo di Juve-Real Madrid

"Torno a casa e svuoto lo zaino: i jeans sporchi e forati dal vetro, una macchia di sangue di chissà chi sulle scarpe da tennis, le medicine che ho comprato la scorsa notte in farmacia. Guardo ancora sgomenta le impronte delle scarpe sul retro della mia maglia. Non so quanti miei "fratelli juventini" mi siano passati sopra la schiena. Mi hanno calpestata dopo avermi travolta, mentre una mandria nel panico fuggiva da piazza San Carlo".

Comincia così il racconto della giornalista palermitana Myriam Giacalone, che ha vissuto in prima persona la notte da incubo di Torino, in occasione della finale di Champions League Juve-Real Madrid: "Ero a Torino con alcuni colleghi e amici, tifosi delle Juventus. Volevamo guardare la finale di Champions e sentirci uniti nello sport e nella fede calcistica, speravamo in una festa. Non è stata una festa di sport. Non è stata una festa di società. Non è stata una festa. È stato uno dei momenti peggiori della mia vita". "Quando mancavano pochi minuti alla fine della partita - ha scritto su Facebook - un botto e un ronzio. Ho talmente tanta confusione in testa che non saprei giurare quale rumore sia venuto prima dell’altro. Sembrava il ronzio di uno sciame. E la mandria impazzita che corre lontana dal maxischermo e mi travolge. Il panico attorno e il panico in me. Ho voltato le spalle per seguire la direzione della corsa, ma dopo nemmeno due passi sono stata scaraventata a terra. Mi hanno corso addosso. Mi sentivo soffocare dai passi che sentivo sulla schiena, soffocare dal terrore del torace schiacciato. Ho subito portato le mani a coprire viso e testa. Ero rannicchiata di fianco e sentivo i vetri rompersi tra un piede e l’altro che mi sorpassava le spalle e la testa. Urla, pianti e sirene. Ho temuto di morire. Le mie dita davanti agli occhi e l’inspiegabile idea di sfilarmi gli occhiali, temevo si rompessero i vetri e speravo ancora di tornare a vedere". "Appena sono riuscita a rialzarmi la piazza era un campo di guerra. Chiazze di sangue per terra e sui pali, scarpe abbandonate e perse nella corsa, vetri rotti e maglie sporche e insanguinate, zaini e borse disseminati. Bambini a piedi nudi che correvano sotto i portici, urla di donne disperate e sofferenti. Volevo scappare anche io, da non so quale nemico, da non so quale pericolo. Gli occhiali infilati nella borsetta a tracolla, la vista offuscata e la corsa sotto i portici, per mettermi spalle al muro, arresa al panico. Volevo poter guardare e capire. Ma guardavo la confusione e non capivo. Spalle al muro come me, una donna seduta a terra con le mani piene di sangue, accanto un ragazzo dai capelli rossi tremava come una foglia e mi ha afferrato la mano, urlandomi in faccia "cosa è successo ? Ho paura cazzo ho paura !" mi ha scatenato un attacco d’ansia. Si urlava "attentato", crederci era immediato". "Non mi sono accorta subito del gomito sanguinante, del braccio graffiato - ha concluso - Colavo sangue e correvo, senza il tempo di sentire il dolore. Ma appena ferma ad aspettare di radunarci in gruppo alla macchina, ho iniziato a sentire le botte alle spalle, alle ginocchia e alla schiena. Il dolore si faceva più intenso. La lunga coda alla farmacia notturna mi è sembrata spiraglio di civiltà. Paradossale oasi nel panico. Il tempo di scappare pareva finito. Toccava medicarsi". Myriam Giacalone

5 giugno 2017

Fonte: Siciliafan.it

Cerotti, ghiaccio e carezze.

La solidarietà della città che ha spalancato le porte

di Miriam Massone e Elisabetta Pagani

"Entravano ovunque, dicevano che era un attentato". Così residenti e baristi hanno accolto i tifosi terrorizzati.

TORINO - Le mani insanguinate battono sui portoni di legno, i pugni picchiano sui campanelli, le guance si schiacciano contro le vetrine dei bar e dei ristoranti, le urla raggiungono i camerieri e i clienti seduti all’interno, le implorazioni di aiuto irrompono ovattate da dietro il vetro all’ora del dessert ma il significato si intuisce: "Fateci entrare, ci stanno sparando", "È un attentato, siamo in pericolo, per favore...". Da questo momento è uno "sliding doors": porte che si aprono (la maggioranza) o che restano chiuse. Altre che vengono sfondate: è successo in piazza San Carlo 206, ad esempio - proprio di fronte alla transenna del parking sotterraneo sfondata - dove ieri, nel day after, la custode si domandava ancora: "Come ci sono riusciti ? Il portone è così grande e pesante". La risposta si chiama "panico", la gente terrorizzata attinge a forze che non sa di avere. E si riconosce. "Ho capito subito che quei ragazzi avevano paura, dagli occhi, dall’aspetto": Silvia Zanin, in "curriculum" già diversi soccorsi ("Una volta in un bruttissimo incidente stradale") non ha avuto dubbi l’altra sera quando, di rientro dalla passeggiata con il cane, ha invitato un gruppo in fuga a entrare nel palazzo di via Gramsci (omissis), dove abita. "Non seguivo la partita, ho visto soltanto quei tifosi correre, all’improvviso, in strada, un muro umano che mi veniva incontro, impressionante, muoveva l’aria: poteva esser accaduto solo qualcosa di spaventoso, sono rimasta fredda, in genere ci riesco, e ho chiesto a quelle persone se volevano salire". Loro sono rimaste nell’androne, al sicuro, consolate da quella possibilità.

La corsa dentro le case - I palazzi, nella notte del terrore, diventano rifugi dove gestire l’angoscia, riprendere fiato, trovare conforto: "Ho aiutato una famiglia, padre madre e un bimbo di tre anni, avevano raggiunto il mio pianerottolo di corsa - racconta Stefania Povero, sull’uscio di un appartamento in una traversa di via Roma - la mamma in particolare era sotto choc, le ho dato acqua, l’ho fatta calmare. Qui, nel cortile e nelle scale, c’erano tantissimi tifosi, sono rimasti per tre quarti d’ora". Si tratta delle residenze della Torino bene, il "salotto della città", edifici storici, i soffitti stuccati, i capitelli ai balconi, pavimenti di marmo, ospitano banche, studi di commercialisti, sedi di multinazionali. Molti, per privacy, hanno i citofoni senza cognomi, ma con i codici: provare a suonare è inutile. E poi c’è il fattore sorpresa: chi non è in piazza, ma sta a casa, non sa cosa succede, quella folla che farnetica sotto choc e cerca di confluire strillando dentro gli alloggi di ignari torinesi o i locali di distratti commensali, in qualcuno innesca un sentimento di difesa.

L’assalto ai locali pubblici - "Ci siamo spaventati" ammette Dori Marcu, responsabile del Mokita in piazza San Carlo. Il bar era già chiuso dalle 20 ma lo staff stava ancora dentro: "Sono piombati qui, in massa, abbiamo aperto un attimo, ma è stato il caos: la gente si è infilata ovunque, nel piano di sotto, sul retro, dicevano che era scoppiata una bomba, che qualcuno sparava, che c’era appena stato un attentato, non si capiva più nulla: chiedevano aiuto, abbiamo cercato di dare acqua a tutti, soprattutto ai più gravi, a chi ha perso i sensi. Ho visto anche una mamma con il passeggino cadere". Sulle vetrine ci sono ancora le strisce di sangue.

Il cuore dei torinesi - Torino ha capito. E, come ha potuto, ha sporto una mano. Paola Grattapaglia, responsabile del Signor Vino, un ristorante-enoteca di via Lagrange, ha accolto decine di ragazzi, il giorno dopo la città racconta che sia stata tra le più generose: "Eppure mi è spiaciuto non riuscire a far ragionare tutti, volevo soltanto evitare che si facessero male sicché cercavo di farli entrare un po’ per volta: c’erano tanti stranieri, giovani spagnole, coppie, fratelli". Uno tsunami che ha travolto il dehors e la ragione: "Si sono fiondati in due riprese, la prima volta ho temuto che soffocassero tra le porte, gridavano frasi sconclusionate, erano in evidente stato di panico". Raggiungono anche le cucine: "Dicevano ai cuochi che qualcuno voleva ucciderli, di aver visto agitare le armi". Basta una cassetta di primo soccorso per le medicazioni: "Abbiamo dato ghiaccio e acqua ossigenata ai feriti, una donna aveva un piede insanguinato, un’altra piangeva perché aveva perso le medicine, c’era uno con il setto nasale rotto, perdeva sangue, altri scalzi, abbiamo dissetato tutti".  Mette subito in pratica i primi insegnamenti invece Giulia Ragno, 20 anni, studentessa di Medicina che abita in una piccola traversa di via Po: dà fazzoletti e cerotti per pulirsi via il sangue ai cinque ragazzi arrivati nel suo appartamento dopo una serie di porte in faccia: "Erano tutti soli, tranne una coppia di Como, avevano perso gli amici, le scarpe, gli zaini, una ragazza piangeva. "Grazie, grazie, grazie", non smettevano di ripetermelo. Dicevano che dalla piazza a qua nessuno aveva aperto". Poi, il loro "sliding doors", in questa notte a maledire citofoni, li ha portati a incontrare Giulia che ha aperto subito.

5 giugno 2017

Fonte: Lastampa.it

© Fotografia: Calcionews24.com

La figlia di Marco Travaglio ferita nella calca di Torino.

La paura, il sangue, l'effetto del panico tra la

folla e la follia di una piazza invasa di ambulanti

Il racconto della notte del direttore del Fatto Quotidiano, di corsa al pronto soccorso con la figlia Elisa: "Tutto virtuale, tranne il sangue".

Per una volta la politica può essere messa da parte, la vis polemica accantonata per lasciare spazio al coinvolgimento personale e all'affetto paterno. Marco Travaglio racconta sul Fatto Quotidiano quanto accaduto alla figlia Elisa, 18 anni, finita nel lunghissimo elenco dei feriti nella calca di Torino. Per fortuna una ferita non grave, ma sono in tanti ad affollare i pronto soccorso della zona. Erano andati tutti a vedere Juventus-Real Madrid in piazza San Carlo a Torino, poi è successo qualcosa che ha scatenato il panico. E Travaglio analizza proprio degli effetti del panico sulla folla, le voci incontrollate che si sono diffuse nella piazza e hanno fatto perdere ai più il controllo della situazione, ma anche le responsabilità di chi ha consentito che decine di ambulanti potessero vendere la birra in bottiglie di vetro: "Tutto virtuale, tranne il sangue".

"Alle 22.15, subito dopo il terzo gol del Real, mi appare il suo numero sul cellulare. Provo a rincuorarla: "Dai, pazienza, è andata così...". Ma la voce dall'altro capo non è la sua. È quella del suo amico, che assicura: "Elisa sta bene, ma non può parlare, ha male a una gamba". Brivido gelato nella schiena. Me la faccio passare a forza: ansima, piange, ripete "vienimi a prendere, voglio andare subito via di qui, c'è stato un attentato, una bomba, non so, mi hanno calpestata, mi hanno camminato sopra, non mi sento più la gamba sinistra, e gli scoppi continuano, stiamo scappando verso piazza Vittorio". La prego di calmarsi e di restare collegata, intanto salto in macchina con mia moglie e voliamo a prenderla, appena in tempo prima che anche in piazza Vittorio Veneto si scateni il panico per l'ondata dei fuggitivi che, attraverso via Po e le strade laterali, sciamano via dal luogo della non-partita e del non-attentato. La carico in auto che trema ancora come una foglia e fatica a parlare. E mi fiondo al pronto soccorso più vicino. Ci sono già i primi feriti, altri ne arrivano fino ad affollare il piccolo ospedale. Sanguinano, "mai visto tanto sangue, neppure in un film di Dario Argento" scrive il direttore del Fatto Quotidiano. Nessuno ha capito cosa sia successo. Molti sono scalzi, a piedi nudi: nella calca hanno perso le scarpe, figurarsi le infradito. Altri hanno smarrito borse e zainetti, documenti e telefonini compresi: chiedono in prestito quelli superstiti per chiamare casa e rassicurare. Dicono che solo un petardo e uno scherzo da teste di cazzo è impossibile: qualcosa di grave dev'essere successo per forza. Chi ha sentito dire di una bomba, chi di un balcone crollato, chi di un'auto esplosa nel parcheggio sotterraneo, chi ha udito le raffiche di una mitragliatrice. E poi le voci di attentato, accompagnate dai rituali "una bomba, una bomba !" e dall'immancabile "Allah u akbar". Una folla scomposta di persone, la gran parte non è di Torino ma è arrivata da lontano per vedere la partita in un maxischermo in piazza e provare la sensazione di vivere la finale di Champions League come allo stadio con migliaia di altre persone. Si è trasformata in una "folle serata", prosegue Travaglio, che va poi ad analizzare le cause di quanto è accaduto. Cause ben chiare a chi in quella piazza c'era, di cui "prefetto e questore dovrebbero rispondere". C'erano bottiglie di vetro ovunque, perché superati i controlli di sicurezza decine di ambulanti vendevano la birra in vetro, "una follia". "Tutto quel sangue si spiega solo con l'enorme quantità di bottiglie di vetro finite in frantumi durante il fuggi-fuggi. Un tappeto di cocci taglienti su tutta la piazza. I testimoni sanguinanti non parlano d'altro: "La polizia ha transennato la piazza per farci entrare solo dopo averci perquisiti e controllato gli zaini e le borse, a caccia di armi e bottiglie di vetro. Poi, appena dentro il recinto, decine di ambulanti coi carrelli vendevano birre in vetro". Così le transenne si sono rivelate non solo inutili, ma dannose, facendo da tappo all'onda di fuga, frenando il deflusso e aggravando a dismisura il bilancio. Una follia di cui il prefetto e il questore dovrebbero rispondere. Alle 2 Elisa è ancora in sedia a rotelle col ghiaccio sulla gamba, nessuno ha potuto visitarla, ci sono casi più urgenti. Vuole andare a casa. La carichiamo in spalla e ce ne andiamo, sperando che non abbia nulla di fratturato. "Non andrò mai più in piazza per una partita, e nemmeno allo stadio", dice lei alla fine della più lunga serata della sua vita. In macchina, la radio informa di un attentato a Londra. Un attentato vero. Ma che differenza fa. Ormai i terroristi, anche quando non ci sono, è come se ci fossero.

5 giugno 2017

Fonte: Huffingtonpost.it

© Fotografia: Gossip.it

Torino, la nostra verità su Piazza San Carlo

di Gabriele Carnevali - Alessandro Fasciani - Damiano Ricci - Francesco Zancanella

Ricevo via email la seguente testimonianza da un amico medico che era presente sabato 3 giugno in Piazza San Carlo a Torino, per tifare Juventus in piazza. Mi pare d’interesse collettivo. (Sciltian Gastaldi)

Ieri tre miei amici ed io (tra i 40 e 50 anni) arriviamo a Torino da Toscana e Liguria per vedere assieme la finale Juve-Real Madrid. Decidiamo di arrivare in Piazza San Carlo tre ore prima del fischio di inizio dal momento che la stampa del giorno consigliava di presentarsi in anticipo all’evento organizzato dall’amministrazione cittadina per facilitare le operazioni di sicurezza. Scriviamo perché la nostra coscienza ci impone di "integrare" alcune notizie lette ed ascoltate stamane sui mezzi di informazione dopo che siamo scampati a quella che poteva essere una tragedia di proporzioni molto più vaste (tragedia visto che ci sono persone che attualmente lottano tra la vita e la morte).

1) I controlli sono stati sommari e tutt’altro che accurati ed inoltre addirittura nulli allorquando due di noi sono entrati ed usciti dalla piazza fra primo e secondo tempo senza essere né perquisiti, né controllati.

2) La piazza ci è subito parsa non adatta ad un evento previsto dall’amministrazione stessa con affluenza di circa 30.000 persone: rettangolare, con strette vie di accesso/fuga (per di più chiuse da transenne rivelatesi successivamente un ostacolo alla fuga della folla, perché di impossibile rimozione rapida), dotata di schermo troppo piccolo e basso (la nostra stima è che più del 50% dei presenti non potesse vedere le immagini della partita) e priva di contenitori per i rifiuti, di servizi igienici e di spazi di acquisto bibite/alimenti.

3) Già dal primo pomeriggio all’interno della piazza erano presenti venditori abusivi di bottiglie di birra in vetro contenute in grandi carrelli illuminati e refrigerati da acqua e ghiaccio: questo fatto conferma l‘assenza di controlli nel luogo di concentramento della folla a sanzionare i commercianti e gli acquirenti che stavano mettendo a rischio la sicurezza. Dopo poco tempo il pavimento della piazza era un tappeto di bottiglie rotte e la stragrande maggioranza dei referti di pronto soccorso si riferiscono a lesioni da vetro.

4) Già da un’ora prima dell’inizio della partita numerose persone sono salite sul monumento ad Emanuele Filiberto (centro della piazza), sul tetto dell’edicola (angolo della piazza via Giolitti) e su transenne/ringhiere di ogni tipo. Questo fatto, facilmente dimostrabile e temporizzabile da numerosissime riprese video, conferma la scarsa visibilità del video, l’assenza di azione da parte di forze dell’ordine e smentisce l’immagine di pagina 5 de La Stampa di oggi in cui si commenta così un’immagine: "Al riparo. Alcuni tifosi si sono rifugiati sopra il tetto dell’edicola che sorge in un angolo della centralissima piazza San Carlo".

5) Gran parte dei mezzi di informazione ed il sindaco di Torino imputano la tragedia alla "Psicosi bomba - attentato", il prefetto inoltre sostiene che la sicurezza anti-terrorismo abbia funzionato. Al momento ci risulta che, a fronte di quanto scritto, solo due persone siano state fermate dalle forze dell’ordine, ore dopo la sciagura e con accusa di sciacallaggio.

6) Questa sciagura ci ha mostrato tutta la superficialità e l’incapacità organizzativa di chi, in tempi di giustificata psicosi da atto terroristico, doveva forse perseguire progetti diversi (a Madrid molte più persone hanno visto la partita seduti comodamente ed in sicurezza nel loro stadio).

7) Non ci è sfuggito che lo schermo in piazza fosse sponsorizzato (Jeep) e che questa mattina abbiamo pagato alla città di Torino l’imposta di soggiorno (3.7 euro a testa) per i servizi offerti.

8) Questa mattina, ancora turbati, abbiamo riconosciuto nelle dichiarazioni di sindaco e prefetto più finalità di manleva che sentimento di scuse e dispiacere nei confronti dei malati (oltre ai danni fisici siamo certi che vi saranno esiti psichici a breve / medio e lungo termine)

Dal canto nostro auguriamo alle persone e bambini ancora in stato di ricovero ospedaliero di tornare presto a casa per ritrovare i loro cari.

5 giugno 2017

Fonte: Ilfattoquotidiano.it

© Fotografia: Torino.Today.it

Francesco, 20 anni: "Vi racconto la cronaca dell'inferno"

di Francesco P.

Salve, sono Francesco P. e sono sopravvissuto agli avvenimenti di Piazza San Carlo. Dico sopravvissuto perché vivere quella situazione dal vivo è stata una apocalisse. Innanzitutto voglio ringraziare i molti che affettuosamente hanno chiesto mie notizie e mi hanno aiutato anche da lontano. Adesso è tempo di fare più chiarezza possibile per evitare episodi del genere in futuro. Cercherò di descrivervi più realisticamente possibile cosa ha significato per me trovarmi in mezzo a quell'inferno. Prima però vorrei puntualizzare alcune cose: le persone che si trovano in condizioni gravi (e non) lo sono a causa, soprattutto, del vetro spaccato e sparso per tutto il suolo della piazza. Ai controlli per accedervi, come è giusto che sia, venivano sequestrate queste potenziali armi e, una volta dentro trovavi venditori ambulanti con al seguito bottiglie in vetro. La cronaca dell’inferno - In occasione della finale di Champions League Real Madrid-Juventus ti convinci a scendere in Piazza San Carlo per supportare la squadra italiana. Controlli di sicurezza per accedervi all'interno. Li superi. Sei dentro. Minuto dopo minuto la folla si fa più gremita, più irrazionale e meno individuale. Ventimila, ti trovi in mezzo a VENTIMILA persone. Fatichi a muoverti. L'inizio del tanto atteso match è vicino. Entusiasmo. Foga. Speranza. Comincia. 1-0. 1-1. 2-1. 3-1. L'entusiasmo si spegne si riaccende e si spegne nuovamente, stavolta definitivamente. Al suo posto emerge il panico - la sopravvivenza - la psicosi. Non hai tempo di realizzare il risultato. Tutto a un tratto la terra sotto ai tuoi piedi comincia a tremare. Ti volti. Cerchi una spiegazione che non arriverà: una mandria di diecimila cavalli selvaggi corre verso di te. Travolge. Catapulta. Calpesta. Panico: Non riesci a respirare. Se cadi muori, lo dai per certo. Istinto di sopravvivenza: non posso morire a vent'anni. Calma. Resisti alle cariche. Non cadi. Incroci volti disperati che chiedono aiuto mentre vengono risucchiati dalla folla. Vorresti aiutarli. Non puoi. Resisti ancora. Rimani in piedi. Fuggi via da quell'inferno. Corri. Scappi come non hai mai fatto. Un forte boato irrompe e spezza i tuoi pensieri. Bomba. Attentato. Questo ti balena nella mente. Corri più forte. Feriti dappertutto. Madri che urlano nomi dei figli. Hanno le mani in testa e le lacrime agli occhi. Non hai tempo. Non puoi fermarti. Ti accorgi dei tuoi vestiti sporchi di sangue. Non tuo. Sei lontano adesso. Ti fermi. I tuoi amici. Cerchi di contattarli. Avvisi i tuoi cari che stai bene. Respiri. Cerchi di riavvolgere il nastro delle immagini. Immagine confuse. Disperate. Quanti ne saranno morti ? Quanti ?! Il panico fa posto alla rabbia. Sei sopravvissuto...". Certe situazioni, per quanto possiamo sforzarci di immaginare, non si ha idea di cosa significhi viverle. Non auguro a nessuno di trovarsi in situazioni del genere.

Grazie a tutti.

Francesco

5 giugno 2017

Fonte: Torinotoday.it

© Fotografia: Consumatrici.it

Torino, i secondi in cui ho deciso di

alzarmi e scappare da piazza San Carlo

di Paola Maola

A capire che dovevo alzarmi e scappare c’ho impiegato circa cinque secondi: avevo gli occhi puntati sul maxischermo di piazza San Carlo a Torino, la mia squadra aveva appena subito il terzo gol dagli avversari, gol che certificava la sconfitta; ed ecco io non potevo crederci. Distrattamente avevo distinto un rumore sordo provenire dal centro della piazza, uno scoppio quasi ovattato, difficile da riconoscere, poteva essere un petardo sì, ma anche una scossa di terremoto o una folata di vento molto forte. Avevo deciso di non darci peso, ero lì ancora a disperarmi perché Cristiano Ronaldo esultava. In quei cinque secondi di inerzia - e di silenzio irreale - ho visto la folla allargarsi attorno a un punto e avvicinarsi sempre di più a me che ero lì, seduta a terra in un angolo, proprio sotto al maxischermo della finale di Champions League, Juve-Real Madrid.

Nei dieci secondi successivi ho corso più veloce che ho potuto, urtando transenne e auto senza sentire il minimo dolore. Avevo qualcosa di più importante da fare: dovevo scappare da non so cosa, non so chi. Con i polpastrelli di due dita sono riuscita ad attaccarmi alla t-shirt di Andrea e a mettermi in salvo (da non so cosa, non so chi) e mettere in salvo lui. Dietro di noi, Bianca e Michele erano scomparsi nel giro di un attimo. Siamo finiti in via XX settembre dopo essere scampati non a una ma a tre ondate di persone urlanti. Nessuno sapeva da cosa stesse scappando, ma tutti sapevamo che era terrorismo. Non avevamo il minimo dubbio: ci guardavamo in faccia e ci ripetevamo che stava succedendo a noi, proprio a noi, che era arrivato il nostro turno. C’era un ragazzo scalzo, molto alto che, appoggiato a un’auto dei carabinieri, gridava contro "questi stronzi terroristi"; ce n’era un altro, su di giri, che continuava a dire che "dobbiamo ribellarci, noi italiani, a quest’invasione perché poi vedi cosa succede"; c’erano due ragazze in lacrime: in piazza quel sabato sera erano in sei, avevano perso quattro amici.

Intanto riusciamo a sentire Michele, sta bene: lui che era seduto accanto a noi, si era alzato velocemente ed era corso verso casa, poco distante dalla piazza. Bianca invece al telefono non risponde. Ho pensato di tutto, che era stata colpa mia, che potevo evitare di andare in piazza quella sera, che ci avevo messi in pericolo per una "stupida" partita. Intanto intorno a noi arrivavano decine di ragazzi feriti, con le maglie bianconere sporche di sangue; in molti erano scalzi. Nessuno sapeva cos’era successo, avevano corso perché lo avevano fatto tutti. A uno di loro ho dato dei fazzoletti, doveva tamponarsi un taglio profondo e verticale, lungo tutta la gamba destra. Qualche minuto dopo ci è venuta incontro una coppia napoletana: lui piange, lei no, lo consola, lo tranquillizza. Nella calca aveva perso il tutore che portava al ginocchio operato, ora camminava zoppicante ma era sorridente, cercava di scherzare con il suo ragazzo parlando della figuraccia della Juventus. Erano venuti apposta da Napoli, perché vedere la Juve vincere a Torino è tutta un’altra cosa. Intanto il telefono di Bianca è isolato, ormai sono al tentativo di chiamata numero 15.

Non sappiamo ancora cosa sia successo, non abbiamo il coraggio di nasconderci in un bar e neanche di tornare in piazza. Ma non vogliamo andarcene, vogliamo capire perché le persone si sono ferite, perché è scoppiato l’allarme. Scopriremo solo molto tempo dopo che non era successo niente di quello che temevamo: ci eravamo spaventati per una non-bomba, la folla aveva corso per proteggersi dalla folla. E infatti più di 1500 persone si sono ferite così, rotolando sui cocci di vetro a terra nella piazza, schiacciati da chi nel panico calpestava qualunque cosa si trovasse sotto ai piedi. Siamo andati a dormire alle 4 di mattina, distrutti da una giornata lunghissima e da una serata ancora più lunga. Avevo dei lividi su una gamba, l’urto con quelle transenne aveva lasciato qualche segno. Bianca aveva risposto ai nostri messaggi quaranta minuti dopo la ressa: era rimasta in piazza, si era incastrata tra le due colonne della Chiesa di Santa Cristina e aveva assistito a tutta la scena. Da quella posizione era riuscita anche a girare dei video, video che avete visto mezz’ora dopo su ilfattoquotidiano.it. L’abbiamo capito: sabato sera a Torino non c’è stato un attentato ma per noi che eravamo lì ne aveva tutta l’ambientazione, la verosimiglianza, le istantanee. È stata la versione attenuata di un’esperienza che ci auguro di non vivere mai. Ma non posso non pensare alle facce sconvolte dei ragazzi che scappavano: in questi mesi il terrore lo abbiamo accumulato dentro di noi, quella sera lo abbiamo vissuto. La bomba non serviva.

7 giugno 2017

Fonte: Ilfattoquotidiano.it

Francesca dal coma alla luce

"Sono tornata, ringrazio tutti"

di Erica Di Blasi

"Sono tornata". Francesca Marino, 26 anni, era tra i feriti più gravi di piazza San Carlo. È ancora ricoverata alle Molinette, ma è uscita dalla rianimazione: adesso si trova nel reparto di Medicina d'urgenza al secondo piano. Ormai è fuori pericolo. Quando è stata travolta dalla folla ha riportato un grave trauma toracico e nella calca si è fratturata diverse costole. Lei però è stata più forte. Dopo essere stata tenuta alcuni giorni in coma farmacologico, si è ripresa. Adesso è in un reparto semintensivo, ne avrà ancora per qualche settimana. I suoi amici le hanno scritto decine di messaggi su Facebook e lei attraverso i social network ha voluto far sapere a tutti che sta meglio. "Sono commossa per la vostra vicinanza. Siete davvero tantissimi. Grazie immensamente a ognuno di voi". Adesso Francesca sta seguendo un percorso di fisioterapia sia respiratoria sia motoria. "Sta meglio e di questo non possiamo che essere felici - raccontano i parenti che la assistono costantemente in ospedale - Al momento è l'unica cosa che ci interessa. Per fortuna stiamo ricevendo buone notizie". Non escludono però, un domani, di intraprendere un'azione legale per chiedere agli organizzatori dell'evento un risarcimento dei danni subiti. "È una cosa che valuteremo poi, quando finalmente Francesca uscirà dall'ospedale. Adesso non abbiamo tempo di pensare anche a questo. Quello che ci interessa, la nostra priorità, è la sua salute". Su quanto accaduto quella sera in piazza, Francesca ha immagini ancora offuscate. "Non si ricorda bene quello che è successo. È ancora presto. Col tempo...". A starle vicino in questi giorni in ospedale è stato soprattutto Andrea, fratello gemello di Francesca. "Siamo molto soddisfatti dei suoi progressi - dice - e siamo fiduciosi per una pronta guarigione. Voglio ringraziare tutti quelli che ci sono stati accanto, ho ricevuto migliaia di chiamate e messaggi. Dopo giorni di ansia e paura siamo usciti da un incubo: ora la strada del recupero, anche se relativamente lunga, è in discesa". Restano gravi invece le condizioni dell'altra paziente ricoverata alle Molinette, Marisa, 63 anni, che è ancora in rianimazione. Lei non era nemmeno in piazza per vedere la partita. Quando è stata investita dalla folla era appena uscita da un ristorante del centro, vicino a via XX Settembre. Non ha fatto quasi in tempo ad accorgersi di quello che stava accadendo. La folla impazzita l'ha buttata a terra e poi calpestata. Portata in un primo momento al Maria Vittoria, è stata poi trasferita alle Molinette per un consulto. E qui è stata sottoposta a un intervento neurochirurgico. Anche suo marito è rimasto ferito negli incidenti in piazza San Carlo. È ancora ricoverato in ospedale, al San Giovanni Bosco, ma è uscito dalla rianimazione.

17 giugno 2017

Fonte: La Repubblica

© Fotografia: Thesocialpost.it

Piazza San Carlo, parla un ferito:

"Quella sera ho creduto di morire"

di Marco Zonetti

Emanuele Nopoli, uno dei 1526 feriti di Torino, racconta in esclusiva ad affaritaliani cos'accadde in quei tragici momenti della finale di Champions.

Quasi un mese è trascorso dalla fatidica sera del 3 giugno, da quella Finale di Champions League quando in Piazza San Carlo si è sfiorata la strage con il suo tragico bilancio di 1526 feriti e la morte successiva di Erika Pioletti. Una strage sfiorata per cui oggi sono indagate tre persone, fra cui la sindaca Chiara Appendino del M5s. Quasi un mese è trascorso ma per chi quella sera ha visto la morte in faccia l'incubo non è finito. Come per Emanuele Nopoli, trent'anni, di Como. Giunto a Torino quel sabato con sua moglie Lucia per festeggiare il primo anniversario di matrimonio seguendo il match dell'amata Juventus contro il Real Madrid.

"Arrivammo a Piazza San Carlo per incontrarci con degli amici verso le 15.30 circa" ci racconta Emanuele. "Non ricordo se trovammo due o tre di file transenne per la chiusura al traffico di Via Santa Teresa, ma ricordo distintamente di essermi chiesto se fossero previste ulteriori contromisure per resistere all’eventuale impatto di un mezzo spinto a forte velocità. I recenti attentati imponevano quasi un simile pensiero. Di sicuro, alle 15.30, ciò che separava la zona pedonale dal traffico era rappresentata da quelle inconsistenti delimitazioni metalliche e qualche agente: troppo poco. Per ammazzare il tempo facemmo un giro per le vie limitrofe, e tornando in prossimità di Piazza San Carlo poco prima delle 17.00, osservai che l’invasione bianconera aveva già colmato la prima metà della piazza, naturalmente sul lato dell’unico maxischermo. Non solo: proprio in quel punto assistemmo ad una pacifica discussione tra una decina di venditori di birra in bottiglia - chiaramente non in regola - intenti ad organizzare spazi e modalità per riempire carrelli e bacinelle. Non comprendevo tutto ciò che dicevano, parlavano un dialetto meridionale molto stretto. Almeno tre di loro li riconobbi in seguito, nel bel mezzo della folla, a causa degli abiti e degli ingombranti carrelli pieni di birra: era stato semplice individuarli in un contesto interamente bianconero, pur senza far caso ai volti. Decidemmo a quel punto di entrare in Piazza per trovare posto e ci accingemmo a superare il punto di controllo delle forze dell'ordine. Ecco di nuovo le transenne metalliche, divise in tre punti: due ai lati, in corrispondenza dei portici, e uno al centro, in linea con la testa del monumento. Ma stiamo scherzando ? - Pensai. Volete davvero dirmi che qualcuno ha avuto la brillante idea di separare i punti di controllo da ben 25-30 metri di transenne alte un metro ? La densità di persone era già così elevata in quel punto che chiunque avrebbe potuto agevolmente scavalcare le delimitazioni. Per ogni punto di controllo degli accessi, si trovavano quattro o cinque agenti, mentre qualcun altro presidiava lì attorno con circospezione. Però erano pochi occhi per troppe persone, già alle 17:00. Superammo il punto di controllo che si trovava sul lato sinistro (guardando il maxischermo) senza troppe difficoltà. Gli agenti ispezionarono il contenuto del mio borsello a tracolla e dello zaino di Lucia con adeguata attenzione, ma senza utilizzare Metal Detector portatili. Non in quel punto perlomeno.

Ci riunimmo con due nostri amici, Michele e Laura, e ci dirigemmo verso il centro, superando il bellissimo Cavallo di bronzo, sempre considerando la visione del maxischermo come riferimento. Col senno di poi, direi che posizionarsi nel punto più lontano da tutte le vie di uscita della piazza fosse considerarsi una pessima scelta. Un errore che sicuramente eviterò di commettere nuovamente in futuro. Alla fine del primo tempo, mia moglie e io lasciammo i nostri due amici per andare in bagno. Decidemmo per un bar di Piazza San Carlo, che ormai era stracolma di gente. Ricordo benissimo la sensazione dei cocci di vetro sotto le scarpe mentre percorrevamo la piazza con estrema lentezza, in mezzo alla calca di persone. Raggiungemmo il bar con estrema fatica e, poco più tardi, tornammo in piazza. I cellulari non prendevano e quindi non riuscivamo a contattare i nostri due amici. Li avvistammo con non poca difficoltà e stavamo per raggiungerli quando, in quel momento, sentimmo un primo spintone alle nostre spalle, rimanendo in piedi a fatica. Da quel punto in poi la successione degli avvenimenti trascorse in pochi attimi, uno dietro l’altro. Dalla folla di ragazzi giovani e meno giovani cominciarono a sollevarsi delle urla: "Calmi, state calmi !!!". E poi un rumore, una specie di fruscio, nessuno scoppio o sparo o altro. Era il rumore delle persone che cadevano una sopra l’altra, tra le urla. L’onda ci travolse in pieno, partì tutto alla nostra sinistra, circa a dieci metri dal punto in cui ci trovavamo. Credevo che fosse una carica della polizia volta a sgomberare il monumento. Caddi sul fianco destro, mentre Lucia cadde di schiena appena dietro di me. Cercavo di tenermi sollevato con l’avambraccio destro per non romperle la gamba che si trovava appena sotto le mie costole. Provammo a rialzarci, ma fu inutile, avevo due o tre persone sopra di me, a loro volta bloccate da altre persone, come un domino. Lo sforzo sul braccio destro era enorme, lo fu ancor di più quando gli altri riuscirono a mettersi in piedi e a scappare, calpestandoci. Lucia riuscì a mettersi seduta, abbracciando lo zaino che svolse un ottimo compito protettivo, io invece ero completamente bloccato. In quel frangente tentai di dirigere lo sguardo verso "l’epicentro": arrivava la seconda onda di persone, ragazzi sbalzati via come fogli di carta. La massa travolgente si avvicinava sempre più verso di noi, questione di decimi di secondo, come se noi fossimo il bersaglio successivo. Temetti il peggio del peggio, pensavo fosse arrivata la nostra ora: pensai di morire. Non riesco a descrivere la sensazione, ma pensai davvero di morire.

A quel punto - dalla mia prospettiva - mi convinsi che fosse un’automobile la causa di tutto. Inorridii per quanto fosse reale questo pensiero, la figura disegnata dalla massa di ragazzi aggrovigliati sembrava proprio quella di un’autovettura. Mi feci forza, tutta quella che avevo, per dare le spalle al pericolo imminente facendo da scudo a Lucia e liberandole la gamba, rimanendo piatto al suolo. Avrebbe potuto alzarsi da terra, ma non voleva lasciarmi lì. Ero ancora bloccato, chissà quanti ragazzi sono inciampati sulla mia schiena. Quanti colpi, quante ginocchiate. Ad un certo punto si creò un piccolo vuoto dietro di me. Lucia mi aiutò a tirarmi in piedi. Che fatica, ero stremato, ma non dolorante, non ancora. Notai immediatamente i profondi tagli procurati dai vetri a polso e mano destra, gocciolavo parecchio sangue dal braccio. Osservai anche il sangue sulla mano di Lucia, dovuta ad un profondo taglio sul dito medio destro. Lei nemmeno se ne accorse subito, come neppure si accorse di aver smarrito gli occhiali da vista. Non potevamo rimane in quel punto, stavamo per essere travolti di nuovo dalla gente completamente in preda al panico. Rimanemmo completamente lucidi, l’obiettivo era lasciare quel disastro alle nostre spalle e allontanarci il più possibile. Fuggimmo via, facendo attenzione a non inciampare sulle persone rimaste a terra, bottiglie, borse, zaini e soprattutto scarpe. Rallentammo leggermente non appena imboccammo via Santa Teresa, diretti verso l’hotel. Ci guardammo ansimanti negli occhi, nessuno dei due aveva mai visto nell’altro quello sguardo in quasi nove anni di relazione. Intanto udivamo le urla delle persone spaventate.

La pausa durò pochissimo, stava arrivando la seconda grande ondata di panico dietro di noi. La cosa veramente brutta è che mi resi conto che la folla proveniva da tutte le direzioni, anche dalle vie perpendicolari a Santa Teresa. La gente scappava voltandosi come se fosse inseguita da qualcuno o qualcosa. Ovviamente prendevamo le situazioni come venivano, c’era poco da riflettere: arrivammo senza fiato in Piazza Solferino con l’intento di toglierci dalla via principale, ma avevamo perso un po’ l’orientamento. Chiedemmo indicazioni ad una gentilissima cameriera del locale Le Ville, dove il personale era intento ad aiutare chi necessitava di cure. Lucia voleva fermarsi lì per farci medicare, ma non mi sembrava una buona idea. Mi sentivo un bersaglio, chissà da chi o da cosa. Facemmo il giro dell’isolato ricongiungendoci a via Cernaia, dove si trovava una rassicurante pattuglia della Polizia Locale. Finalmente un messaggio ricevuto dall'amico Michele: lui e Laura stavano bene ! Si raccomandava di evitare gruppi numerosi, proprio come stavamo cercando di fare. Finita la telefonata, scrutai le ferite delle circa quindici persone in attesa di cure e di risposte. Intanto i vigili provvedevano a medicare alcuni feriti col disinfettante. Quanto sangue e quante lacrime abbiamo visto. Ci fermammo un attimo per riprendere fiato e un’agente versò sulle nostre ferite del mercurio cromo. Però non volevo rimanere lì, eravamo troppo esposti. A cosa non lo so, non potevo saperlo, ma mi sentivo allo scoperto. Avevamo interrotto definitivamente la corsa, ma riprendemmo la fuga comunque a passo spedito. Verso la fine di via Cernaia i fuggitivi erano sostanzialmente diminuiti, perciò cominciai a rasserenarmi, per quanto possibile. Entrammo nell’atrio del nostro albergo, l'Hotel Diplomatic, assistendo all’apprezzabile impegno del ragazzo che si trovava in reception, di cui mi spiace averne dimenticato il nome. L’assistenza fornita ai circa sette o otto clienti arrivati prima noi era esemplare. Osservai con attenzione tutti quanti, mi colpì in particolare una ragazza in tenuta bianconera visibilmente turbata. Piangeva senza sosta fissando il vuoto, seduta su un divanetto, poverina. Ne abbiamo visti tantissimi in lacrime durante la fuga, ma lei era il ritratto tristemente meglio riuscito di ciò che abbiamo vissuto in quella piazza. Chiesi al ragazzo se fosse previsto l’arrivo di un’ambulanza, ma giustamente rispose che i soccorritori stavano dando priorità ai feriti gravi. In quel momento mi domandai quali fossero i reali risvolti di quella fuga: di sicuro si parlava di un immenso numero di feriti, ne avevamo incontrati tantissimi. Il gentilissimo operatore della reception ci indicò un ambulatorio lì vicino in cui potevamo ricevere le prime cure. Uno dei presenti, di cui non saprei dire se facesse parte dello staff, si propose per indicarci la giusta via da prendere fuori dall’hotel. Arrivammo al Poliambulatorio Statuto e finalmente riposammo le gambe sulle sedie in attesa del nostro turno. C’erano una decina di persone, nemmeno troppe. I medici ci pulirono le ferite consigliandoci di andare al pronto soccorso per farci applicare i punti.

Tornammo in hotel, dove trovammo di nuovo la ragazza che piangeva sul divanetto dell’atrio. Che roba… Quando ci sentimmo pronti, partimmo con la nostra auto verso l’ospedale San Giovanni Bosco. Sapevamo che saremmo stati tra gli ultimi ad arrivare in accettazione, dato che avevamo superato l’una di notte. Armandoci di santa pazienza ci siamo accomodati nella sala di attesa. Inutile dire che l’affollamento di maglie bianconere intrise di sangue era inenarrabile. Sui volti di tutti si leggevano dolore e sgomento, sebbene pochi tra i presenti si trovavano in barella o in carrozzina. Arrivò quindi il nostro turno per le medicazioni: niente punti di sutura, probabilmente per la mancanza di aghi e filo, come letto nei giorni scorsi su qualche articolo di giornale. Il 90% dei feriti pare abbia riportato ferite da taglio, come noi del resto. Prognosi: cinque giorni per Lucia e sette giorni per me. Ce la cavammo in meno di due ore, e devo dire che ho percepito ottime impressioni dal protocollo di emergenza seguito dagli ospedali di Torino. Tornammo in hotel per il meritato riposo: eravamo reduci da 24 ore di veglia. 8 ore di viaggio, 10 ore tra la folla torinese e 6 ore trascorse tra fughe e ospedale. Questo non bastò per addormentarsi senza difficoltà: chiudevamo gli occhi e la mente cominciava a proiettare le tremende immagini di ciò che abbiamo visto quella sera. Chiesi a Lucia di ripassare mentalmente tutte le tappe del viaggio a Lione e Parigi dei giorni precedenti, in modo da ingannare i pensieri e addormentarci con un pizzico di serenità. Funzionò, per fortuna. Fine della giornata, fine del racconto. Purtroppo il peggio è arrivato nei giorni seguenti, almeno per me. E non me la sento di andare oltre: prima dovrò vincere la battaglia con la "nuova" paura di ritrovarmi nel mezzo di folle numerose. Speriamo passi in fretta. Ma la notte dormo male, ho spesso degli incubi... Mi sveglio di soprassalto con la paura di essere schiacciato dalla calca. Da quella forza inarrestabile che è una massa di persone in preda al panico. E il mio pensiero corre sempre alla povera Erika Pioletti e a quanto sono andato vicino a subire la stessa sua triste sorte".

29 giugno 2017

Fonte: Affaritaliani.it (Testo © Fotografia)

© Fotografia: Eurosport.com

"Scappa, scappa, scappa, mi ripetevo": il drammatico racconto

di Moreno, quella sera in Piazza San Carlo a vedere la "sua" Juve

Lasciato l’ospedale, il viaggio verso casa: "Dovevo continuare, scappare un’altra volta. Non potevo fermarmi. Se mi fermavo e chiudevo gli occhi non mi risvegliavo più. Temevo che il cuore non reggesse. Mentre guidavo lentamente, piangevo e rivivevo il dramma, la paura, il sangue, i vetri, le urla, il panico, la morte".

Mentre non si placa l'eco delle polemiche seguite ai gravissimi disordini di piazza San Carlo (cui sono seguiti anche altri eventi come quelli di piazza Santa Giulia), vi proponiamo la testimonianza di uno dei testimoni oculari proprio della serata in cui si è disputata la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid.

"Sono Moreno Sala Veni, 55 anni, della provincia di Varese, tifoso juventino da sempre. Sabato 3 giugno ero a Torino, in piazza San Carlo, da solo. Ero davanti, a circa 20-25 metri dal maxi-schermo, in posizione centrale, fin dalle 16:30. La lunga attesa, il caldo, la gente (tantissima, sempre di più), il clima di festa, di gioia, di tifo, i cori, i fumogeni, le bandiere, i colori della Juventus, era la cosiddetta ADRENALINA pura. In mezzo a noi c’erano tantissimi ambulanti abusivi che vendevano birra e bibite in bottiglie di vetro, con carrelli stracarichi, liberamente, senza nessuna preoccupazione o paura di essere scoperti, acciuffati, multati od arrestati. A circa metà del secondo tempo, ho sentito voci alla mia sinistra, come se fosse un eco. Mi sono girato e un attimo dopo ho visto lo tsunami di gente che arrivava. Pareva fossimo le tessere del gioco del domino. In un secondo, mi sono girato, ho provato a scappare, ma ahimè non ce l’ho fatta. Ho avuto la prontezza di portare lo zaino alla faccia, per proteggerla, dopodiché mi sono sentito mancare la terra sotto ai piedi e sono caduto per terra. Fortunatamente la testa e la parte alta del corpo poggiava su qualcosa di morbido (altre persone ?). Sentivo invece i vetri che entravano nella gamba e nel braccio destro. Persone sopra di me che mi calpestavano e cercavano di scappare in preda al panico più assoluto. Non riuscivo e non potevo minimamente muovermi. Il peso delle altre persone non me lo permetteva. Ho avuto Paura di morire. Ho pensato alla mia famiglia, a tutto, a niente, ma mi sono autoconvinto fortemente di farcela. Dovevo assolutamente scappare. Un ragazzo mi ha aiutato, mi ha dato una mano a rialzarmi. Giusto il tempo di mettermi in piedi, cercare di capire cosa fosse successo, che pochi secondi dopo, senza neanche avere il tempo di vedere le lacerazioni subite, ero nuovamente per terra, schiacciato per la seconda volta. Un’altra volta la Paura di morire. Non so dire se sia durata più o meno della prima. Posso solo dire che ne sono uscito VIVO per ben due volte.  Sono stato veramente fortunato. Vorrei ringraziare il ragazzo che, mentre ero per terra e tutti correvano in preda al panico, si è fermato per un attimo e mi ha aiutato a rialzarmi. Quello che mi ha aiutato a stringere forte le sciarpe già insanguinate, trovate per terra, attorno alle mie ferite peggiori. Quelli che, mentre vagavo come uno "zombie" senza meta, in preda al panico, mi confortavano, mi chiedevano se avessi bisogno di qualcosa, mi offrivano acqua, fazzoletti, parole, conforto…Aiuto. Chiunque voi siate GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE.

Da parte mia, ho fatto altrettanto. Ho aiutato e soccorso, per quanto mi era possibile, parecchia gente ferita, ho pulito e toccato sangue altrui, ho tranquillizzato, dato conforto, prestato il cellulare a chi lo aveva perso e non trovava più gli amici… Ho fatto semplicemente quanto tanti altri sfortunati hanno fatto per me e di questo ne sono veramente orgoglioso. Peccato che il nostro "buonismo" verso il prossimo sia stato macchiato, non solo dal sangue, ma anche dallo sciacallaggio. Mani estranee e rapide che frugavano nelle borse, raccoglievano cellulari, portafogli, oggetti di valore. Al momento non lo credevo possibile, pensavo fossero i legittimi proprietari. L’ho capito solamente dopo qualche ora, quando a mente fredda rivivevo e rivedevo le varie immagini della catastrofe.  Capivo, mi rendevo conto che non era possibile prendere e nascondere furtivamente così tanti oggetti in poco tempo, da borse, zaini, indumenti diversi, senza prestare attenzione al colore, alla marca, al modello. Pareva non aspettassero altro, neanche fossero già pronti. Incredibile ! Non volevo più vedere niente, dovevo scappare. L’adrenalina e le endorfine dentro di me erano così forti che non sentivo alcun dolore, avevo sangue dappertutto, vestiti, scarpe impregnate (fortunatamente non le ho perse), la gente mi guardava spaventata, si scansava. E io che non avevo fatto niente, non avevo nessuna colpa, tranne l’ingenua e stupida incoscienza per essere andato in mezzo a una piazza a vedere una partita di calcio della squadra del cuore.

Scappa, scappa, scappa, mi ripetevo. Sofferente, dolorante, sanguinante, su una gamba sola, a fatica ho ritrovato la mia macchina e sono fuggito dall’inferno. Un volontario delle POCHISSIME ambulanze presenti sul posto, che gentilmente mi ha prestato le prime cure provvisorie, mi ha suggerito di uscire dalla città, di non andare ad intasare gli ospedali torinesi ma di andare, se ci riuscivo, ad un ospedale più lontano, magari quello di Chivasso. Verso casa mia. Da solo, ma ce l’ho fatta. Sono arrivato stremato verso l’una di notte. L’Ospedale di Chivasso si è rivelato poi essere un secondo campo di battaglia. Un vero e proprio lazzaretto. Decine, e decine di feriti, alcuni trasportati da Torino, riempivano la sala di aspetto e i corridoi. Una scena apocalittica, pazzesca, traumatica. Tutto il personale dell’ospedale si prodigava per fare l’impossibile. Non credo realizzassero quanto successo. Dopo circa 3 ore è arrivato il mio turno. Disinfettate e lavate le ferite, previa puntura antitetanica, hanno iniziato a ricucire le molteplici ferite lacero contuse. Non erano tagli netti, bensì strappi causati dai vetri rotti di quelle maledette bottiglie vendute abusivamente. Pezzi di pelle e carne che mancavano, staccati, sul malleolo, sotto al ginocchio, nell’avambraccio le più importanti e tante altre botte, escoriazioni meno gravi sul resto del corpo.  Me la sono cavata con solo una quindicina di punti di sutura. È impressionante dover dire che il panico, il trauma, la rabbia e la paura di morire prevaleva di gran lunga sul dolore fisico. Un enorme Grazie al chirurgo che mi ha cucito e a tutto il fantastico personale dell’’ospedale di Chivasso.

Lasciato l’ospedale alle 4.30 mi sono rimesso in macchina. Dovevo continuare, scappare un’altra volta. Non potevo fermarmi. Avevo paura. Se mi fermavo e chiudevo gli occhi non mi risvegliavo più. Temevo il peggio. Che il cuore non reggesse. Avevo ancora troppa paura di morire. Mentre guidavo lentamente, piangevo e rivivevo il dramma, la paura, il sangue, i vetri, le urla, il panico, la morte.  A metà strada mi sono fermato a fare una sosta in un autogrill. Dovevo lavarmi la faccia, ancora sporca di sangue. Di chi ? Non riuscivo a trattenere le lacrime. Iniziavo a sentire il dolore delle ferite e dei punti. L’adrenalina diminuiva e il dolore aumentava. Al bar altri feriti, altro sangue, altre voci. Chi diceva addirittura che c’erano stati dei morti. Nel bagno altra scena traumatica: pantaloni e magliette strappate, insanguinate, lavandini, servizi igienici, rotoli di carta igienica, tutto sporco di sangue. Sangue ovunque. Sono fermamente convinto che il numero dei feriti (1.500 !) è sicuramente maggiore. Perché tanta gente è scappata, è tornata verso casa e si è pulita, lavata, cambiata, strada facendo. Non sono stati tutti schedati. Non so ancora come, ma alla fine ce l’ho fatta. Sono arrivato a casa.  La sera prima, avevo tranquillizzato moglie e figlie dicendo che avevo solo un paio di taglietti superficiali e che sarei comunque rientrato l’indomani. Che era tutto bloccato e che non potevo tornare a riprendere la macchina, vista la situazione. Non avevo sicuramente un bell’aspetto. Piangevo ancora forte, ero stanco, ferito, sporco, insanguinato. Sono convinto che il pianto e le lacrime di dolore, rabbia e paura mi hanno tenuto sveglio fino a casa.

Sono stato in cura da una Psicoterapeuta dell’EMDR (Professionisti in forti traumi) per cercare di elaborare il prima possibile quanto accaduto.  È stata dura, e lo sarà per sempre, per tutta la vita. Sono già passate più di 3 settimane ed alcune ferite non si sono ancora chiuse. Ho ancora alcuni punti di sutura che mi tengono compagnia. Un’ecografia alla gamba destra ha riscontrato un evidente ematoma sottocutaneo. Se nei prossimi 15/20 giorni, con le pomate non dovesse sparire, si dovrà necessariamente intervenire chirurgicamente. Appena possibile dovrò fare gli esami del sangue per assicurarmi di non aver preso nessuna infezione né contaminazione. Ovviamente non posso ancora riprendere il lavoro. Sono un commerciale. Viaggi, visite clienti, offerte, ordini, sono la mia vita, il mio guadagno, il mio pane quotidiano. Quando finirà tutto questo ?  Avrò ancora la forza e il coraggio di viaggiare ? Ce la farò ?  Me lo auguro. Non ho ancora capito come sia potuto succedere. Non mi sono accorto di niente, non ho sentito niente di particolare. Non so proprio cosa sia successo.  Chi o che cosa abbia acceso la scintilla che ha poi scatenato la bomba, la catastrofe, il finimondo, la tragedia, il caos, la paura, il panico.

È INACCETTABILE che, in questi tempi di attentati, per la paura ed il panico, NON SIA STATO FATTO NIENTE DI NIENTE.  Qualcuno ha deciso di affidarsi al fato. Non ha controllato, assicurato, garantito, tutelato le decine di migliaia di persone presenti all’evento. PERCHE’ ? SUPERFICIALI i controlli in entrata, NESSUN servizio igienico, NESSUN divieto di somministrazione di bevande alcoliche in bottiglie di vetro, NESSUN cestino, NESSUNA via di fuga, NESSUNO spazio vuoto, NESSUN addetto alla sicurezza, NESSUNA tutela, NESSUNA garanzia. NIENTE, NIENTE, NIENTE. E solamente quando la povera Erika è morta, è diventato OMICIDIO COLPOSO !  Ci sono ancora persone in pericolo, ricoverate in ospedale, tra cui Marisa e Vincenzo e la donna rischia addirittura la paralisi.

E se i morti fossero stati molti di più ? Come lo definivate ?  Io che l’ho vissuta in prima persona, la definisco semplicemente TRAGEDIA SCAMPATA ! Dov’erano i responsabili ? Certamente non in piazza. E dove sono adesso ? Proveranno rimorso ?  Mi dispiace, ma chi ha sbagliato deve pagare per tutti i danni, non solo economici, fisici, psicologici, morali, traumatici, che tutti noi abbiamo dovuto subire. Non possono e non devono passarla liscia. Devono andarsene, devono cambiare lavoro. Non possono e non devono ricoprire ruoli che garantiscono la tutela del cittadino. Noi, testimoni superstiti, feriti dentro e fuori, diamo il nostro nome e cognome. Non ci tiriamo indietro, abbiamo coraggio. Vogliamo e dobbiamo essere rimborsati per quanto dovuto subire per l’inadeguata noncuranza altrui.  Ci porteremo dentro per tutta la vita il trauma vissuto, il ricordo non ci abbandonerà mai. Ma almeno possiamo sempre dire a tutti che siamo ancora VIVI. Quelli che hanno sbagliato, oltre al danno economico, avranno sulla loro coscienza, un peso enorme. La povera ERIKA, tutti i feriti, tutti i presenti, il mondo intero.  Non oso pensare. È mio dovere scrivere, parlarne, raccontare la tragica esperienza vissuta e in particolare modo chiedere di essere rimborsato per ogni danno subito e sono convinto che gli altri faranno altrettanto. Se necessario, agirò per vie legali e mi costituirò parte civile assieme a tutti gli altri.  Invio questa lettera per R/R a Comune, Prefettura, Questura di Torino, a Turismo Torino ed anche alle più importanti testate giornalistiche, perché possa essere fatta chiarezza e soprattutto chiedo e merito risposta". Moreno Sala Veni

1 luglio 2017

Fonte: Torinoggi.it

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