Dio
Panico
di Michele Tropiano
"C’è una frase di Baudelaire che
probabilmente qualcuno avrà visto girare
su Facebook: "Dio è l’unico essere che,
per regnare, non ha nemmeno bisogno di
esistere". È esattamente questo che è
successo ieri sera, intorno alle 22.20 a
Piazza San Carlo a Torino, durante la
partita di Champions League, solamente
sostituendo la parola "dio" con "terrorismo". Io ero proprio lì. Sul
maxischermo correvano i giocatori del
Real Madrid, mentre quasi inermi quelli
della Juventus erano in balia del gioco
degli avversari: c’era sconforto e
rabbia in tutta la piazza, recuperare
due gol sembrava impossibile. Non
c’erano più cori, né più bandiere che
sventolavano. Tutto era calmo, in attesa
forse solo del fischio finale,
nonostante mancasse circa mezz’ora,
quand’ecco che all’improvviso la folla
davanti a me ha iniziato a correre
all’impazzata, come bestiame in fuga. La
prima cosa che ho pensato è stata ad una
carica della polizia, forse per arginare
qualche facinoroso. Correndo, seguendo
la folla, chiedevo a qualcuno cosa fosse
successo: c’è stato qualche "Non lo so,
stanno scappando" mentre qualcun altro "è scoppiata una bomba". Ho visto i
poliziotti, con i caschetti, che
correvano verso un lato della piazza e
ho pensato dunque effettivamente ad una
carica. La folla mi ha trascinato per
qualche metro sotto i portici, io forse
sono stato uno dei pochissimi a
mantenere la calma e mi sono appoggiato
ad un pilastro e ho lasciato che la
ressa defluisse di fianco a me: c’erano
i tavolini dei bar a terra, qualcuno ci
inciampava, qualcun altro insanguinato
era carponi sui cocci di bottiglia
rotti, molti altri ancora erano riversi
a terra con decine di persone che
correvano sulle loro facce. Ho visto un
ragazzo con gli occhiali disteso e un
piede in fuga che gli calpestava le
lenti. Ma non c’era stato nessun
attentato e in poco tempo ho realizzato
che nemmeno nessuna carica della polizia
effettivamente era avvenuta, piuttosto
forse anche gli agenti si erano fatti
prendere dal panico e si erano messi in
assetto antisommossa. Già, perché,
stando fermo sotto al pilastro ho potuto
vedere quello che molti altri, correndo
verso l’uscita della piazza, non hanno
visto: dopo pochi minuti, la gente si
era dispersa per la piazza, lasciando un
vuoto al centro, dove tanti avevano
rallentato; vedendo però la polizia con
caschetti, presi dalla paura di chissà
cosa, in tanti altri hanno iniziato a
scappare nuovamente, dall’altro lato,
creando nuovo panico, mentre i
poliziotti correvano loro incontro.
Perché ? Forse cercavano di andare
velocemente nel punto clou - dove era
caduta la fatidica ringhiera che ha
scatenato il boato che a qualcuno è
sembrata una bomba - o forse hanno visto
qualcuno fare qualcosa di sbagliato -
magari un ubriaco che agitava una
bottiglia - ma questo nessuno può dirlo.
Tant’è però che nelle ultime 12 ore di
poliziotti col caschetto non ne ho letto
su internet, né sentito parlare alla
radio. Ma io so cosa ho visto. Ho visto
la paura scaturita in un attimo che ha
preso tutti, nessuno escluso, compresi
quindi gli agenti predisposti
all’ordine. Quell’ordine che
probabilmente non hanno contribuito (A
causa di un po’ d’impreparazione ? Presi
dal terrore ?) a ristabilire. Certo, è
facile scrivere adesso, solo perché
magari io ho avuto "la fortuna" di
riuscire a ragionare e non farmi
prendere dal panico. Di una cosa ne sono
certo: qualche anno fa, in tempi non
sospetti, se un ragazzo avesse gridato
"BOMBA", la gente intorno a lui
l’avrebbe messo a tacere, rendendosi
tutti conto che non ci fosse stata
nessuna esplosione, o magari ci sarebbe
stato un po’ di panico, ma subito
placato, con l’aiuto delle forze
dell’ordine che sarebbero riuscite a
mantenere la folla calma. E invece, in
questi periodi in cui il terrorismo
dilaga in tutto il mondo - tra l’altro
più o meno alla stessa ora avveniva un
attentato vero a Londra - è bastato un
attimo per scatenare la psicosi
generale.
Dopo una decina di minuti,
quando tutto era ormai placato, mi
aggiravo per la piazza e c’erano feriti
dappertutto, anche se lievi, vetri
rotti, sangue e fortunatamente anche
gente che si aiutava a vicenda. Una
ragazza impaurita, senza scarpe, si
aggirava con le mani nei capelli… Le ho
detto: "guarda che stai perdendo sangue
dalla gamba", ma lei, con voce flebile:
"Lo so, ma devo prima ritrovare il mio
zaino… Devo avere il mio zaino". Non ho
però più visto la polizia, tranne
qualche agente isolato che camminava
verso l’uscita. Ho chiesto ad un paio di
loro cosa fosse effettivamente successo:
"Non è successo niente, tranquillo". Ma
ero tranquillissimo, solo che io però ho
camminato verso il centro per vedere se
ci fosse bisogno di aiuto, mentre lui
andava dall’altra parte. Dov’erano tutti
quegli agenti che qualche minuto prima
correvano verso chissà cosa ? Non è
forse anche compito loro assistere i
centinaia di feriti riversi ai lati
della piazza ? Al centro, invece,
restavano cumuli di zaini, migliaia di
scarpe e oggetti personali. Insieme a
sciarpe e vessilli della Juventus che da
bianconeri erano diventati tricolore:
bianco, rosso sangue e nero. Nero, come
tutto ciò che è successo in pochi
minuti, nera come tutti gli juventini
ricorderanno questa settima finale
persa, ma ancor più nera come noi che
eravamo lì ricorderemo quella serata
come un’assurdità. Eravamo in circa
30mila e in realtà non era successo un
bel niente, ma effettivamente qualcosa
non ha funzionato. Mi chiedo: cosa
sarebbe successo se realmente ci fosse
stata un’esplosione ? Se realmente
qualche terrorista si fosse fatto
saltare in aria con il giubbotto pieno
di esplosivi ? O se avesse iniziato a
brandire un coltello fra la folla ? A
scuola ci insegnano che la storia non si
fa con i "se": in questo particolare
periodo, però, penso che ci si debba
ragionare su. Insomma, non c’è stato
nessun attentato, ma, pur non essendoci,
ha creato conseguenze simili ad un
attentato vero. E comunque, eravamo
stipati in una piazza, uno addosso
all’altro: ci sarebbe potuta essere una
qualsiasi emergenza. Sapete quante
ambulanze c’erano sul posto ? Una. Una
sola ambulanza, che, dato l’elevato
numero dei feriti ha fatto quel che ha
potuto. Per "fortuna", pare che solo
qualcuno sia risultato grave e dico per
fortuna perché in una ressa del genere
davvero è un miracolo che non ci sia
scappato il morto. Probabilmente la
verità è che, sia forze dell’ordine, sia
personale medico, erano completamente
impreparati ad un’evenienza genere.
L’amministrazione, la questura e
chiunque predisposto all’ordine pubblico
a Torino, ma anche in tutta Italia, ora
dovrebbero ragionare su questo e non è
un’ipotesi remota: siamo davvero pronti
a fronteggiare un eventuale attentato ?
4 giugno 2017
Fonte: Corriere.it
© Fotografie:
Lastampa.it - Don Davide Toffaloni
Paura di cosa ?
di Sofia Savorgnano
Scrivo a sangue caldo. Scrivo
con il bruciore dei graffi sulla pelle e
il pulsare delle contusioni alle gambe.
Scrivo dopo una notte passata insonne e
gli occhi stanchi di chi ha riflettuto
senza trovare una risposta. Sono stata
partecipe dei fatti di Torino, accaduti
nella notte del 3 giugno 2017 in piazza
San Carlo, nel cuore della città reale,
in occasione della finale di Champions
League disputata tra Juventus e Real
Madrid a Cardiff. Non voglio raccontare
gli avvenimenti, perché sono già stati
divulgati ampiamente e ripetutamente dai
telegiornali, dalle stazioni radio:
questo è il loro compito. Io non ho
nessun compito e non scrivo perché
qualcuno sappia cos’è successo
precisamente. Scrivo perché nessun
telegiornale potrà mai esprimere cosa
significhi aver avuto paura. Le
trentamila persone presenti sulla piazza
per l’evento invece lo sanno ed io sono
una di loro. Paura di cosa ? Questa è la
domanda difficile. Nel bel mezzo della
partita, al 19’ del secondo tempo
regolamentare, quando ormai i tifosi
juventini avevano perso la speranza
della vittoria, ecco che succede
l’incredibile. Esplode quella che
potrebbe essere stata una cintura
esplosiva, detonata da un kamikaze
militante per l’Isis. Una bomba che
genera il panico più assoluto. Non è
tutto, ecco che subito dopo l’esplosione
del letale ordigno, un compagno del
kamikaze che ha già compiuto la sua
missione di salvazione, estrae dallo
zaino un kalashnikov pieno zeppo di
munizioni e prende a colpire
all’impazzata la folla uniformata dalla
divisa bianco-nera, che tenta
disperatamente di fuggire i colpi della
morte. Infine ecco l’atto finale e
decisivo. Un camion rinforzato, carico
di esplosivo, protetto da piastre in
acciaio spesse due pollici si dirige
furiosamente contro la massa da un punto
non meglio definito della piazza, dalla
quale si levano urla di terrore e pianti
isterici. Il terrorismo ha colpito
ancora una volta nei punti più
nevralgici e dove sapeva di fare male.
D’altronde ce lo si poteva aspettare.
Piazza gremita di gente, compressa in
12.768 metri quadrati, poco più di mezzo
metro quadrato a testa; evento sociale
per eccellenza, al pari del concerto di
Ariana Grande e del Bataclan; partita di
calcio, sport che simboleggia forse più
di ogni altro l’Occidente. Ce lo si
doveva aspettare. Anzi non poteva non
succedere.
Forse tutti coloro che sabato
sera sono usciti dalle proprie case,
vicine o lontane che fossero, per
recarsi a Torino, hanno salutato i
propri cari con un affetto particolare,
come se in fondo sapessero già del
rischio che correvano. Tuttavia nessuno
voleva cedere allo stato di terrore in
cui è inevitabile vivere da alcuni anni
a questa parte e rinunciare ad una
serata tra amici, per festeggiare con il
massimo entusiasmo l’eventuale vittoria.
Invece quella serata ha spezzato molte
speranze, trasformandosi in un inferno
di sangue ed urla. I feriti, ad ora,
1527. Tra i quali si parla di 7 feriti
gravi e addirittura due in prognosi
riservata e coma farmacologico: una
ragazza di 26 anni con trauma toracico
ed un bambino di 7 con trauma cranico e
toracico. Quello che non hanno fatto le
armi dei terroristi, l’ha fatto la folla
di gente crollata in un baratro di
panico, che ha iniziato a correre
seguendo l’istinto più primordiale: la
fuga. Un boato tremendo si è
impossessato del luogo e un’onda d’aria
si è propagata, facendo tremare i
lampioni. La polizia ha cercato di
mantenere l’ordine per evitare la
possibilità di effetto domino, ma a poco
è valso il suo sforzo. "Moriremo tutti"
oppure "trovate mio fratello !", alcune
delle poche parole che ho sentito mentre
mi trovavo schiacciata a terra senza
aria né spazio per scappare. Ho letto da
alcuni articoli online che la versione
diffusa sul web e sulle principali
testate italiane è diversa: parlano di
un semplice petardo che nell’esplodere
ha fatto crollare una transenna. Non so
perché sia stata data alle stampe una
versione falsa dei fatti. Io lo dico con
certezza: la sera del 3 giugno 2017 alle
ore 22.09 in Piazza San Carlo a Torino
c’è stato un attentato terroristico.
Questa è la verità e altre 29.999
persone, oltre me, possono testimoniare.
Altrimenti perché tanto scalpore ?
Perché quella fuga impazzita ? Perché le
grida ? Non per un petardo: per paura.
4 giugno 2017
Fonte: Corriere.it
"Tutte quelle bottiglie
non dovevano entrare"
di Maurizio Tropeano
La polemica sui controlli: molti
feriti hanno tagli profondi provocati
dai cocci di vetro.
TORINO - Piazza San Carlo è una
grande distesa di zaini, scarpe
dimenticate, lattine calpestate,
bottiglie di birra vuote e intatte e
tante tantissime frantumate che sono
diventate i pezzi di un mosaico
pericoloso. Dietro il palco uomini della
Protezione civile urlano in un megafono
i nomi dei dispersi indicati da amici e
parenti. "I feriti sono molto più di
duecento. Ho visto delle fratture
esposte, delle ferite lacerocontuse
molto profonde, soprattutto agli arti
inferiori". Francesco è un volontario
della Protezione civile, sta per
raggiungere la moglie ricoverata
all’ospedale Martini e si chiede perché
e come sia stato possibile far entrare
centinaia di bottiglie di vetro ?
Francesco, che ha una lunga esperienza,
è convinto: "Sono loro, oltre al panico,
la vera causa del numero dei feriti". A
mezzanotte, mentre i suoi colleghi
stanno scandendo i nomi di chi non è
stato ancora rintracciato, entrano in
funzione i mezzi dell’Amiat che devono
ripulire la piazza. Sotto i portici c’è
chi continua a gridare a squarciagola il
nome degli amici. E c’è anche chi chiede
in prestito il telefono per fare una
chiamata: "L’hai trovata ? Ti ho detto
di venire dietro il palco. Eccoti,
eccoti". Ringrazia mentre restituisce il
telefono. Poi dolce: "È passato tutto, è
passato tutto" sussurra abbracciando
l’amica. Ma, a tardissima notte, è
difficile dire se è davvero così mentre
in piazza c’è chi ha messo in fila le
scarpe rimaste sull’asfalto sperando
forse che qualcuno che le ha perse possa
recuperarle. Altri hanno fatto la stessa
operazione con gli zaini. Ci sono
piccole montagnette sparse qua e là con
attorno decine di ragazzi che aspettano
ordinatamente il loro turno per vedere
se ritrovano quello che hanno perso
scappando in preda al panico.
4 giugno 2017
Fonte: Lastampa.it
(Testo © Fotografia)
La storia
Torino, Laura l’infermiera e
quel mare di feriti:
"Come in una guerra. E ora non
riesco nemmeno a dormire"
di Elisa Sola
Laura Zia, 36 anni, infermiera
professionale all’ospedale Molinette di
Torino, era di turno mentre sono giunti
i feriti di piazza San Carlo: "Ho fatto
più suture in un giorno che in 16 anni
di pronto soccorso. Ma alla fine li
abbiamo curati tutti".
"Una notte così, noi che
l’abbiamo fatta, ce la ricorderemo tutta
la vita". Sicuramente Laura Zia,
infermiera professionale del pronto
soccorso dell’ospedale Molinette, non
dimenticherà mai quelle sette ore di
fuoco in cui si è ritrovata a gestire
l’assalto di oltre duecento feriti, con
il ruolo di responsabile del turno
infermieristico, perché quella sera è
toccato a lei. È Laura, 36 anni e 16 di
esperienza, che ha dovuto gestire la
cosiddetta "maxi-emergenza" post psicosi
terrorismo. È sveglia da 24 ore, ma
l’adrenalina non la fa dormire neppure
ora che ha finito.
Il panico, e i disinfettanti che
mancavano - Laura ricorda con lucidità
ogni dettaglio. E parla con l’entusiasmo
di chi ce l’ha fatta. Di chi ha vinto.
"Ero di pomeriggio ieri, ma mi sono
fermata anche di sera perché, in vista
della partita, c’era bisogno. Essere
responsabile in alcuni momenti non è
facile, ma quando è arrivata la
telefonata che annunciava la maxi
emergenza territoriale ho proprio
tremato". Quella chiamata alle Molinette
è arrivata alle 22.30. "Ci avvisavano -
spiega - che c’era una verosimile bomba
in piazza San Carlo, poi sembrava una
bomba carta, poi una cancellata caduta.
Insomma, è arrivato di colpo un grosso
flusso di pazienti e a cascata sono
arrivati tutti i reperibili e quelli che
si devono attivare in questo caso". Ed è
in quel momento che in pochi minuti
Laura si è ritrovata a organizzare le
persone, chi doveva fare cosa e ad
allestire le sale con le barelle
impilabili. Fino a fronteggiare una
serie di situazioni critiche, dai ferri
ai disinfettanti che mancavano, alle
scene di panico dei pazienti. "Il
telefono del Triage squillava
continuamente, cercavano tutti qualcuno,
da Bergamo, dalla Toscana, a Torino sono
arrivati moltissimi ragazzi da fuori".
"Come un triage di guerra" - La
notte alle Molinette è stata da delirio.
"Arrivavano bambini in macchina con la
guardia di Finanza, tassisti che ci
lasciavano gente all’ingresso, persone a
piedi, in pullman. In dieci minuti è
piombata una folla immensa, in un’ora e
mezza erano 200 i registrati e poi non
si riusciva nemmeno più conteggiare, non
c’era personale per prendere dati perché
tutti medicavano. Era come se fosse in
atto un triage di guerra, si valutavano
le priorità sulla porta di ingresso".
Laura tira le fila della nottata più
indimenticabile della sua vita
lavorativa: "Cosa ricorderò di più ? Gli
specializzandi. I medici. Il collega che
passava di lì in moto, ha visto, si è
messo la divisa e ha iniziato a
suturare. In quel momento lì, vedi
l’unione".
"Li abbiamo curati tutti" - Sono
tante le scene che restano impresse
nella memoria. "Un collega ha visto uno
dei primi feriti arrivare, senza dita
della mano. E poi le suture, io sono
un’internista, ne ho fatte più oggi che
in 16 anni di pronto soccorso. A un
certo punto avevo il chirurgo maxillo
facciale a fianco che mi diceva, passami
questo, passami quello. Ho fatto anche
la strumentista". "Ho provato a gestire
scene di panico - ricorda l’infermiera -
c’era uno stato di tensione forte dei
pazienti e dei parenti, genitori che non
trovavano figli, un padre che non
trovava mamma e bambino. Non pensi lì
per lì, non sentì la stanchezza, anche
dopo un turno di lavoro intenso. Abbiamo
avuto bisogno di cinque minuti, per
parlarci. Poi siamo partiti tutti
insieme. E abbiamo lavorato bene - dice
Laura, raggiante - nel caos generale li
abbiamo curati tutti".
"Dormire ? Non riesco" - I
momenti più difficili, sono stati quelli
della gestione dello shock delle
persone. "Una cosa mai vista - spiega
Laura - la sicurezza bloccava la porta
di ingresso, bisognava tenere dentro i
pazienti e fuori i parenti, molti di
loro però avevano attacchi di panico.
Tutti i pazienti che potevano camminare,
li mandavano nella sala sotterranea
aperta con quattro chirurghi, tre
infermieri e altrettanti operatori
sanitari. C’erano molte altre sale,
anche con tre medici e tre pazienti
insieme". Alla fine, il bilancio è
positivo: "Abbiamo fatto un ottimo
lavoro di squadra. Alle cinque di
mattina avevamo finito il grosso. Ho
provato a dormire, ma non ci riesco.
Continuo a pensare, una cosa così, non
l’avevo mai vista e non me la
dimenticherò mai".
4 giugno 2017
Fonte: Corriere.it
Dramma di Torino:
"Dov’è Dio in tutto questo ?"
di Don Davide Toffaloni
Don Davide Toffaloni, sacerdote
della Comunità Pastorale del Centro, è
tra i 1.527 feriti di piazza San Carlo,
a Torino, dopo i drammatici momenti di
panico durante la finale di Champions
tra la Juventus e il Real Madrid. Il
giorno dopo, ecco il suo racconto su
Facebook, con una risposta importante
alla domanda finale che il sacerdote
pone a se stesso e a tutti noi: "Dov’è
Dio in tutto questo ?". La risposta
nelle ultime righe del testo.
Carissimi Amici, volevo
ringraziarvi per i tanti messaggi che mi
stanno arrivando e per la vicinanza che
mi state dimostrando in diversi modi.
Ieri sera, terminata la Messa delle ore
18.00, con Luigi siamo partiti per
Torino felici e carichi dalla scelta di
andare a veder giocare la "squadra del
cuore". Abbiamo raggiunto il parcheggio
di Piazza san Carlo intorno alle 20.35.
Correndo siamo arrivati in piazza pochi
istanti prima dell’ingresso delle
squadre ! La preoccupazione, come per
tutti quei tifosi arrivati all’ultimo, è
stata quella di ricercare il posto
migliore per vedere la partita !
Inizialmente abbiamo pensato di metterci
sul tetto di un’edicola circolare, già
pieno di tifosi, ma non troppo da
pensare al: "non ci stiamo".
Fortunatamente prima di salire, un
gruppo di ragazzi ha avuto la nostra
stessa idea, ma sono stati fermati
tempestivamente dai poliziotti. Ci
addentriamo, delusi, nel portico
laterale di destra (guardando lo schermo
- lato opposto da dove è arrivato il
boato), mentre risuona in tutta la
piazza l’inno della Champions.
Finalmente, troviamo un posto ! Una
vetrina con un piccolo murettino che mi
permette di vedere lo schermo, ma per
trovare l’equilibrio mi appendo alla
serranda della vetrina. Lo spazio non è
molto, salgo immediatamente, mentre
Gigi, vista la sua altezza, rimane a
terra per aiutarmi a trovare
l’equilibrio… Così per tutto il primo
tempo (tranne che al Goal di Marione
dove tutta la Piazza è esplosa in
festeggiamenti). Inizia il secondo tempo, si
risale sul murettino ! Questa volta da
solo perché poco prima Gigi si allontana
per cercare un posto miglior dal quale
poter vedere la partita. Come tutti
avete visto, inizia proprio male per la
Juve… Ma c’è ancora tanta speranza… La
tensione inizia a farsi vedere dopo il
3° goal ! Poco distante da me, un
ragazzo spacca per terra una bottiglia
facendo seguire al gesto una serie
interminabile di parolacce e qualche
bestemmia ! La gente intorno preoccupata
dell’accaduto, fa qualche passo indietro
da quel ragazzo ! Accanto a me una
famiglia con due bambini, la mamma tiene
stretta la bambina, il papà tiene ben
stretto il bambino sulle spalle !
(Stupendi i bambini, nonostante non
riuscisse a guardare lo schermo, perché
in parte coperto da una colonna, formava
con le sue manine un cannocchiale per
cercare di veder meglio i suoi
campioni…) Ho proprio gioito nel vedere
questa immagine, gioia che per un
istante ha cancellato la tanta rabbia
per come si era messa la partita ! La
Mamma grida: "Andiamo via di qui… Ci
sono dei bambini ! VERGOGNA !".
All’improvviso un boato risuona
al centro della Piazza ! Lo sguardo si
sposta non più sullo schermo, ma su
tutti quei ragazzi che cadono come
tasselli del domino, spinti per terra da
non si sa quale forza. Forti grida: "È
UNA BOMBA"…"STANNO SPARANDO !". La
vetrina accanto a me va in frantumi,
cado per terra ! Travolto e spinto da
molte persone riesco a rialzarmi ! Grida
ancora più forti: "È UNA BOMBA"…"STANNO
SPARANDO !". I Ragazzi intorno a me sono
pieni di tagli e tanto sangue ! Panico.
Tutti cercano di correre. Di fuggire.
(Purtroppo dalla parte sbagliata, non
verso le vie di uscita). Carrelli
ribaltati ! Birre di vetro frantumate
ovunque ! Sono schiacciato, faccio
fatica a trovare una posizione per
respirare ! Gomitate, Pugni ! Tutto
fermo ! Immobili ! Schiacciati tutti in
pochissimo spazio ! Tanti pensieri: Gigi
? Dov’è il Bambino ? Dov’è la famiglia ?
Paura di morire ! Panico ! Signore
aiutami ! Nonna dove sei, aiutami tu
come hai sempre fatto, dammi una mano TI
PREGO ! Realizzo che è il momento della
mia vita che mai avrei voluto vivere:
Attentato. Altre Grida: SPARANO ! Un
portone di legno (10 m di distanza da
dove sono) viene sfondato da alcuni
tifosi. Una via di fuga ! I primi tifosi
cadono a terra ! Molti avanzano
fregandosene ! Corrono dentro per
salvare la propria vita senza soccorrere
! Molta gente inciampa su questi corpi a
terra ! L’immagine che ho difronte è
quella di una serie di corpi ammucchiati
uno sopra all’altro ! C’è chi prova a
scalare questa piramide di corpi !
Alcuni "eroi" non scappano… Si fermano
sul portone ed iniziano con forza a
tirar fuori queste persone afferrandole
da braccia, gambe, zaini… Manca poco ad
arrivare al portone: dentro di me un
grido: "Ci sono quasi… DAI DAVIDE...".
Guardo per terra per cercare di piantare
bene i piedi… Dolore. Vedo delle gambe
bianche di una ragazza, ancora a terra !
Gridiamo con un gruppo di tifosi accanto
a me: "C’è UNA RAGAZZA CHE STA MORENDO…
NON CALPESTATELA". Lo sguardo di quelle
persone era perso nel vuoto, ricordo
ancora bene i loro volti. Nulla… Nessun
aiuto ! Non siamo stati ascoltati ! Con
un gruppetto di tifosi, spingiamo
indietro la massa cercando di creare un
pochino di spazio. PUGNI, Gomitate, che
ci arrivano. La mia gamba rimane
incastrata. "ORA" grida uno dei ragazzi.
Afferro la gamba della ragazza e con
tutta la forza possibile riusciamo ad
entrare in quel portone, portando la
ragazza in un luogo più sicuro. Altre grida: "SPARANO ! SPARANO
! AIUTO !!!". Mi butto in un’aiuola con
un muretto ben alto, dopo essermi
assicurato che la ragazza rimanesse lì
con qualcuno… Un medico… "PROVVIDENZA",
massaggio cardiaco… Altre grida: "SPARANO ! SPARANO ! BOMBA !!!". Ogni
piccolo rumore di vetro in frantumi è
preso per sparo. Panico. Corro fuori
dall’aiuola in direzione del Palazzo
all’interno di questo cortile. Percorro
gli scalini più velocemente possibile !
Salgo, salgo, salgo… Finché mi accorgo
di essere solo. Cerco di nascondermi
sotto una scrivania. Sento dei rumori.
Un altro tifoso si avvicina: "Aiutami ad
uscire". (Qualcuno dalla Paura ha
attivato l’allarme antincendio causando
la chiusura di tutte le porte taglia
fuoco). Siamo chiusi dentro in attesa
dei soccorsi. I cellulari di entrambi
non vanno ! Linee interrotte. Cerchiamo
un telefono. Tanti pensieri prendono il
sopravvento: Il cellulare dov’è ?
Speriamo non sia scarico… Gigi speriamo
non ti sia successo nulla, altrimenti
non me la perdonerei: Signore proteggilo
in qualsiasi posto si trovi ! Chi posso
chiamare ?!?! Provo un po’ di numeri, ma
nessuna risposta, finché riesco a
sentire una cara amica che da mamma
cerca di tranquillizzarmi.
Trovo le forze per rialzarmi e
cercare con Marco una via d’uscita.
Cerchiamo di trovare una via di uscita,
finché riusciamo a raggiungere le scale
d’emergenza, scavalchiamo i tornelli e…
Due corpi a terra: la prima immagine che
vedo è quella di omone a terra privo di
sensi con accanto persone che cercano di
rianimarlo… Stessa immagine poco più
avanti… Ancora quella ragazza a terra in
attesa dei soccorsi con accanto molte
persone ! Un grido proviene dal portone
d’ingresso: "FERMI TUTTI ALLONTANATEVI…
SONO ARRIVATI I SOCCORSI". Polizia,
Vigili del Fuoco, Barellieri… Prima di
andarmene attendo l’uscita di queste due
persone… Saluto Marco e lo abbraccio
forte: "Chissà se ci rincontreremo un
giorno ! Grazie… Dio ti benedica !".
Esco dal Portone ! Davanti a me le
immagini che tutti conoscete: Ragazzi
che correvano ovunque gridando i nomi
degli amici dispersi; persone disperate
sedute a terra; ogni persona chiedeva ad
un’altra cosa fosse successo ? ! Le
risposte a malincuore sono state sempre
le stesse per un paio d’ore: NON LO SO !
ATTENTATO ! SEMBREREBBE NULLA DI GRAVE !
In ogni angolo della Piazza: Sangue,
Scarpe, sciarpe, occhiali, sedie,
cuffie, cappellini, maglie strappate,
bandiere, vetri, birre in frantumi,
pantaloni, zaini… I telefoni non vanno… Inizio a
correre per la piazza alla ricerca di
Gigi… Grido a squarciagola: GIGI.
Nessuna risposta, solo il suono delle
sirene dell’ambulanza e delle macchine
della polizia. Mi allontano dalla piazza
per cercare un punto in cui il mio
cellulare potesse funzionare… Mi accorgo
che c’è qualcosa che non va ! Forte
dolore alla caviglia, alle costole… Con
dei tagli sul braccio. Mi allontano il
più possibile … (Le vie nei dintorni
erano piene di persone che scappavano in
qualche modo, c’era chi in attesa dei
soccorsi chiama a casa per
tranquillizzare la famiglia e gli amici,
chi si metteva d’accordo sul punto in
cui ritrovarsi… Chi era disperato perché
non riusciva a mettersi in contatto con
nessuno… Tanto sangue…)
Riesco finalmente a sentire
Gigi, molto preoccupato perché lui è
riuscito in qualche modo a correre via
(fino a Porta Susa). Mi incammino, ma il
dolore si fa più forte… Gigi decide di
venirmi incontro… Dopo ore
interminabili: eccolo in fondo alla via
che si sbraccia per farsi riconoscere.
Lo abbraccio e ringrazio dentro di me
Dio di averlo custodito senza troppi
traumi e senza lesioni.
Torniamo in
Piazza per cercare di capire cosa fosse
successo… Qui l’INCONTRO con un EROE che
mi ha dato coraggio: un ragazzo
completamente a petto nudo con la
schiena tutta piena di sangue e di
profondi tagli e una fasciatura vistosa
sulla pancia… "Cosa è successo ? Hai
bisogno di un aiuto ?" chiede Gigi.
Inizia a raccontarci di come lui sia
riuscito a scappare, ma prima di fare
tutto ciò ha salvato la vita di un
bambino prima che fosse portata via dal
panico della gente, proteggendolo con il
suo corpo. Ecco spiegate le tante
ferite… Eroe… Visto che è molto di fretta
nella ricerca dei suoi amici,
riprendiamo il cammino verso piazza san
Carlo per capire cosa fosse successo. Le
prime risposte sicure: "UN PETARDO"… "LA
CADUTA DI UNA TRANSENNA"… Rimango in
silenzio per qualche minuto… Cerco una
sedia sulla quale potermi sedere per
realizzare l’accaduto. Decido con Gigi
di rivolgermi ai volontari della Croce
Rossa, i quali mi dicono di attendere…
L’attesa crea ancora più panico…
Decidiamo di tornare e di far tappa
all’Ospedale di Legnano; Fortunatamente
non è nulla di grave: me la sono cavata
con qualche piccola contusione, qualche
piccolo taglio, e una lieve slogatura.
Come ha scritto questa mattina
Tommaso, anch’io ora ho molta paura, non
lo scrivo per farmi compatire. Desidero
come lui raccontarvi quanto è accaduto.
Raccontarvi la mia paura che tutto
questo possa risuccedere. Ho paura ad
immedesimarmi negli uomini e donne di
Londra perché ora so cosa si prova in
quel momento. Ho avuta, per la prima
volta nella mia vita, la paura di
morire. In tutto questo, però, da
cristiano e prete che sono non posso
fermarmi alla paura… Ho desiderato
quest’oggi celebrare la Messa con la mia
comunità per dire grazie al Signore per
essermi rimasto vicino, per avermi dato
la forza di rialzarmi più volte, per
essere riuscito a mettere da parte la
paura di perdere la vita per cercare di
salvare quella di quella ragazza… Mi
sono sentito di ringraziarLo per la
testimonianza che ho ricevuto da tutti
gli "eroi nascosti" che in tutto quel
casino, mentre tutti correvano, si
fermavano ad aiutare chi stava male,
anche solo con piccoli gesti. "Dov’è Dio in tutto questo ?" è
la domanda che qualcuno potrebbe
rivolgermi. Dio ha operato attraverso
quelle mani capaci di medicare,
rianimare, curare, consolare, estrarre
corpi prima che soffocassero,
incoraggiare, asciugare molte lacrime.
Ho pregato per tutte quelle persone che
ieri erano lì con me, affinché il
Signore dia pace e serenità a quei
genitori che oggi stanno trascorrendo la
loro giornata ai piedi del letto di loro
figlio/a nella speranza che si risvegli.
Non posso
negarlo… Ho ancora tanta paura, ma
grazie a questi EROI, grazie alle loro
mani, mi sto ripetendo nella mente e nel
cuore le parole del profeta Isaia: "Non
temere, perché io sono con te; sentirai
la mia forza nel tuo cammino; Tu sei
prezioso ai miei occhi, vali più del più
grande dei tesori… Io sarò con te
ovunque andrai ! La mia MANO ti
proteggerà".
5 giugno 2017
Fonte: Legnanonews.com
© Fotografie:
Sandomenicolegnano.com - Ansa.it
"Ho temuto di
morire": una palermitana
racconta la notte da incubo di
Juve-Real Madrid
"Torno a casa e svuoto lo zaino:
i jeans sporchi e forati dal vetro, una
macchia di sangue di chissà chi sulle
scarpe da tennis, le medicine che ho
comprato la scorsa notte in farmacia.
Guardo ancora sgomenta le impronte delle
scarpe sul retro della mia maglia. Non
so quanti miei "fratelli juventini" mi
siano passati sopra la schiena. Mi hanno
calpestata dopo avermi travolta, mentre
una mandria nel panico fuggiva da piazza
San Carlo".
Comincia così il racconto della
giornalista palermitana Myriam
Giacalone, che ha vissuto in prima
persona la notte da incubo di Torino, in
occasione della finale di Champions
League Juve-Real Madrid: "Ero a Torino
con alcuni colleghi e amici, tifosi
delle Juventus. Volevamo guardare la
finale di Champions e sentirci uniti
nello sport e nella fede calcistica,
speravamo in una festa. Non è stata una
festa di sport. Non è stata una festa di
società. Non è stata una festa. È stato
uno dei momenti peggiori della mia
vita". "Quando mancavano pochi minuti
alla fine della partita - ha scritto su
Facebook - un botto e un ronzio. Ho
talmente tanta confusione in testa che
non saprei giurare quale rumore sia
venuto prima dell’altro. Sembrava il
ronzio di uno sciame. E la mandria
impazzita che corre lontana dal
maxischermo e mi travolge. Il panico
attorno e il panico in me. Ho voltato le
spalle per seguire la direzione della
corsa, ma dopo nemmeno due passi sono
stata scaraventata a terra. Mi hanno
corso addosso. Mi sentivo soffocare dai
passi che sentivo sulla schiena,
soffocare dal terrore del torace
schiacciato. Ho subito portato le mani a
coprire viso e testa. Ero rannicchiata
di fianco e sentivo i vetri rompersi tra
un piede e l’altro che mi sorpassava le
spalle e la testa. Urla, pianti e
sirene. Ho temuto di morire. Le mie dita
davanti agli occhi e l’inspiegabile idea
di sfilarmi gli occhiali, temevo si
rompessero i vetri e speravo ancora di
tornare a vedere". "Appena sono riuscita a
rialzarmi la piazza era un campo di
guerra. Chiazze di sangue per terra e
sui pali, scarpe abbandonate e perse
nella corsa, vetri rotti e maglie
sporche e insanguinate, zaini e borse
disseminati. Bambini a piedi nudi che
correvano sotto i portici, urla di donne
disperate e sofferenti. Volevo scappare
anche io, da non so quale nemico, da non
so quale pericolo. Gli occhiali infilati
nella borsetta a tracolla, la vista
offuscata e la corsa sotto i portici,
per mettermi spalle al muro, arresa al
panico. Volevo poter guardare e capire.
Ma guardavo la confusione e non capivo.
Spalle al muro come me, una donna seduta
a terra con le mani piene di sangue,
accanto un ragazzo dai capelli rossi
tremava come una foglia e mi ha
afferrato la mano, urlandomi in faccia
"cosa è successo ? Ho paura cazzo ho
paura !" mi ha scatenato un attacco
d’ansia. Si urlava "attentato", crederci
era immediato". "Non mi sono accorta subito del
gomito sanguinante, del braccio
graffiato - ha concluso - Colavo sangue
e correvo, senza il tempo di sentire il
dolore. Ma appena ferma ad aspettare di
radunarci in gruppo alla macchina, ho
iniziato a sentire le botte alle spalle,
alle ginocchia e alla schiena. Il dolore
si faceva più intenso. La lunga coda
alla farmacia notturna mi è sembrata
spiraglio di civiltà. Paradossale oasi
nel panico. Il tempo di scappare pareva
finito. Toccava medicarsi".
Myriam Giacalone
5 giugno 2017
Fonte: Siciliafan.it
Cerotti, ghiaccio e
carezze.
La solidarietà della città che
ha spalancato le porte
di Miriam Massone e Elisabetta
Pagani
"Entravano ovunque, dicevano che
era un attentato". Così residenti e
baristi hanno accolto i tifosi
terrorizzati.
TORINO - Le mani insanguinate
battono sui portoni di legno, i pugni
picchiano sui campanelli, le guance si
schiacciano contro le vetrine dei bar e
dei ristoranti, le urla raggiungono i
camerieri e i clienti seduti
all’interno, le implorazioni di aiuto
irrompono ovattate da dietro il vetro
all’ora del dessert ma il significato si
intuisce: "Fateci entrare, ci stanno
sparando", "È un attentato, siamo in
pericolo, per favore...". Da questo
momento è uno "sliding doors": porte che
si aprono (la maggioranza) o che restano
chiuse. Altre che vengono sfondate: è
successo in piazza San Carlo 206, ad
esempio - proprio di fronte alla
transenna del parking sotterraneo
sfondata - dove ieri, nel day after, la
custode si domandava ancora: "Come ci
sono riusciti ? Il portone è così grande
e pesante". La risposta si chiama "panico", la gente terrorizzata attinge
a forze che non sa di avere. E si
riconosce. "Ho capito subito che quei
ragazzi avevano paura, dagli occhi,
dall’aspetto": Silvia Zanin, in "curriculum" già diversi soccorsi ("Una
volta in un bruttissimo incidente
stradale") non ha avuto dubbi l’altra
sera quando, di rientro dalla
passeggiata con il cane, ha invitato un
gruppo in fuga a entrare nel palazzo di
via Gramsci (omissis), dove abita. "Non
seguivo la partita, ho visto soltanto
quei tifosi correre, all’improvviso, in
strada, un muro umano che mi veniva
incontro, impressionante, muoveva
l’aria: poteva esser accaduto solo
qualcosa di spaventoso, sono rimasta
fredda, in genere ci riesco, e ho
chiesto a quelle persone se volevano
salire". Loro sono rimaste nell’androne,
al sicuro, consolate da quella
possibilità.
La corsa dentro le case - I
palazzi, nella notte del terrore,
diventano rifugi dove gestire
l’angoscia, riprendere fiato, trovare
conforto: "Ho aiutato una famiglia,
padre madre e un bimbo di tre anni,
avevano raggiunto il mio pianerottolo di
corsa - racconta Stefania Povero,
sull’uscio di un appartamento in una
traversa di via Roma - la mamma in
particolare era sotto choc, le ho dato
acqua, l’ho fatta calmare. Qui, nel
cortile e nelle scale, c’erano
tantissimi tifosi, sono rimasti per tre
quarti d’ora". Si tratta delle residenze
della Torino bene, il "salotto della
città", edifici storici, i soffitti
stuccati, i capitelli ai balconi,
pavimenti di marmo, ospitano banche,
studi di commercialisti, sedi di
multinazionali. Molti, per privacy,
hanno i citofoni senza cognomi, ma con i
codici: provare a suonare è inutile. E
poi c’è il fattore sorpresa: chi non è
in piazza, ma sta a casa, non sa cosa
succede, quella folla che farnetica
sotto choc e cerca di confluire
strillando dentro gli alloggi di ignari
torinesi o i locali di distratti
commensali, in qualcuno innesca un
sentimento di difesa.
L’assalto ai locali pubblici -
"Ci siamo spaventati" ammette Dori
Marcu, responsabile del Mokita in piazza
San Carlo. Il bar era già chiuso dalle
20 ma lo staff stava ancora dentro: "Sono piombati qui, in massa, abbiamo
aperto un attimo, ma è stato il caos: la
gente si è infilata ovunque, nel piano
di sotto, sul retro, dicevano che era
scoppiata una bomba, che qualcuno
sparava, che c’era appena stato un
attentato, non si capiva più nulla:
chiedevano aiuto, abbiamo cercato di
dare acqua a tutti, soprattutto ai più
gravi, a chi ha perso i sensi. Ho visto
anche una mamma con il passeggino
cadere". Sulle vetrine ci sono ancora le
strisce di sangue.
Il cuore dei torinesi - Torino
ha capito. E, come ha potuto, ha sporto
una mano. Paola Grattapaglia,
responsabile del Signor Vino, un
ristorante-enoteca di via Lagrange, ha
accolto decine di ragazzi, il giorno
dopo la città racconta che sia stata tra
le più generose: "Eppure mi è spiaciuto
non riuscire a far ragionare tutti,
volevo soltanto evitare che si facessero
male sicché cercavo di farli entrare un
po’ per volta: c’erano tanti stranieri,
giovani spagnole, coppie, fratelli". Uno
tsunami che ha travolto il dehors e la
ragione: "Si sono fiondati in due
riprese, la prima volta ho temuto che
soffocassero tra le porte, gridavano
frasi sconclusionate, erano in evidente
stato di panico". Raggiungono anche le
cucine: "Dicevano ai cuochi che qualcuno
voleva ucciderli, di aver visto agitare
le armi". Basta una cassetta di primo
soccorso per le medicazioni: "Abbiamo
dato ghiaccio e acqua ossigenata ai
feriti, una donna aveva un piede
insanguinato, un’altra piangeva perché
aveva perso le medicine, c’era uno con
il setto nasale rotto, perdeva sangue,
altri scalzi, abbiamo dissetato tutti".
Mette subito in
pratica i primi insegnamenti invece
Giulia Ragno, 20 anni, studentessa di
Medicina che abita in una piccola
traversa di via Po: dà fazzoletti e
cerotti per pulirsi via il sangue ai
cinque ragazzi arrivati nel suo
appartamento dopo una serie di porte in
faccia: "Erano tutti soli, tranne una
coppia di Como, avevano perso gli amici,
le scarpe, gli zaini, una ragazza
piangeva. "Grazie, grazie, grazie", non
smettevano di ripetermelo. Dicevano che
dalla piazza a qua nessuno aveva
aperto". Poi, il loro "sliding doors",
in questa notte a maledire citofoni, li
ha portati a incontrare Giulia che ha
aperto subito.
5 giugno 2017
Fonte: Lastampa.it
© Fotografia:
Calcionews24.com
La figlia di Marco
Travaglio ferita nella calca di Torino.
La paura, il sangue, l'effetto
del panico tra la
folla e la follia di
una piazza invasa di ambulanti
Il racconto della notte del
direttore del Fatto Quotidiano, di corsa
al pronto soccorso con la figlia Elisa:
"Tutto virtuale, tranne il sangue".
Per una volta la politica può
essere messa da parte, la vis polemica
accantonata per lasciare spazio al
coinvolgimento personale e all'affetto
paterno. Marco Travaglio racconta sul
Fatto Quotidiano quanto accaduto alla
figlia Elisa, 18 anni, finita nel
lunghissimo elenco dei feriti nella
calca di Torino. Per fortuna una ferita
non grave, ma sono in tanti ad affollare
i pronto soccorso della zona. Erano
andati tutti a vedere Juventus-Real
Madrid in piazza San Carlo a Torino, poi
è successo qualcosa che ha scatenato il
panico. E Travaglio analizza proprio
degli effetti del panico sulla folla, le
voci incontrollate che si sono diffuse
nella piazza e hanno fatto perdere ai
più il controllo della situazione, ma
anche le responsabilità di chi ha
consentito che decine di ambulanti
potessero vendere la birra in bottiglie
di vetro: "Tutto virtuale, tranne il
sangue".
"Alle 22.15, subito dopo il
terzo gol del Real, mi appare il suo
numero sul cellulare. Provo a
rincuorarla: "Dai, pazienza, è andata
così...". Ma la voce dall'altro capo non
è la sua. È quella del suo amico, che
assicura: "Elisa sta bene, ma non può
parlare, ha male a una gamba". Brivido
gelato nella schiena. Me la faccio
passare a forza: ansima, piange, ripete
"vienimi a prendere, voglio andare
subito via di qui, c'è stato un
attentato, una bomba, non so, mi hanno
calpestata, mi hanno camminato sopra,
non mi sento più la gamba sinistra, e
gli scoppi continuano, stiamo scappando
verso piazza Vittorio". La prego di
calmarsi e di restare collegata, intanto
salto in macchina con mia moglie e
voliamo a prenderla, appena in tempo
prima che anche in piazza Vittorio
Veneto si scateni il panico per l'ondata
dei fuggitivi che, attraverso via Po e
le strade laterali, sciamano via dal
luogo della non-partita e del
non-attentato. La carico in auto che
trema ancora come una foglia e fatica a
parlare. E mi fiondo al pronto soccorso
più vicino. Ci sono già i primi feriti,
altri ne arrivano fino ad affollare il
piccolo ospedale. Sanguinano, "mai visto
tanto sangue, neppure in un film di
Dario Argento" scrive il direttore del
Fatto Quotidiano. Nessuno ha capito cosa
sia successo. Molti sono scalzi, a piedi
nudi: nella calca hanno perso le scarpe,
figurarsi le infradito. Altri hanno
smarrito borse e zainetti, documenti e
telefonini compresi: chiedono in
prestito quelli superstiti per chiamare
casa e rassicurare. Dicono che solo un
petardo e uno scherzo da teste di cazzo
è impossibile: qualcosa di grave
dev'essere successo per forza. Chi ha
sentito dire di una bomba, chi di un
balcone crollato, chi di un'auto esplosa
nel parcheggio sotterraneo, chi ha udito
le raffiche di una mitragliatrice. E poi
le voci di attentato, accompagnate dai
rituali "una bomba, una bomba !" e
dall'immancabile "Allah u akbar". Una folla scomposta di persone,
la gran parte non è di Torino ma è
arrivata da lontano per vedere la
partita in un maxischermo in piazza e
provare la sensazione di vivere la
finale di Champions League come allo
stadio con migliaia di altre persone. Si
è trasformata in una "folle serata",
prosegue Travaglio, che va poi ad
analizzare le cause di quanto è
accaduto. Cause ben chiare a chi in
quella piazza c'era, di cui "prefetto e
questore dovrebbero rispondere". C'erano
bottiglie di vetro ovunque, perché
superati i controlli di sicurezza decine
di ambulanti vendevano la birra in
vetro, "una follia". "Tutto quel sangue si spiega
solo con l'enorme quantità di bottiglie
di vetro finite in frantumi durante il
fuggi-fuggi. Un tappeto di cocci
taglienti su tutta la piazza. I
testimoni sanguinanti non parlano
d'altro: "La polizia ha transennato la
piazza per farci entrare solo dopo
averci perquisiti e controllato gli
zaini e le borse, a caccia di armi e
bottiglie di vetro. Poi, appena dentro
il recinto, decine di ambulanti coi
carrelli vendevano birre in vetro". Così
le transenne si sono rivelate non solo
inutili, ma dannose, facendo da tappo
all'onda di fuga, frenando il deflusso e
aggravando a dismisura il bilancio. Una
follia di cui il prefetto e il questore
dovrebbero rispondere. Alle 2 Elisa è
ancora in sedia a rotelle col ghiaccio
sulla gamba, nessuno ha potuto
visitarla, ci sono casi più urgenti.
Vuole andare a casa. La carichiamo in
spalla e ce ne andiamo, sperando che non
abbia nulla di fratturato. "Non andrò
mai più in piazza per una partita, e
nemmeno allo stadio", dice lei alla fine
della più lunga serata della sua vita.
In macchina, la radio informa di un
attentato a Londra. Un attentato vero.
Ma che differenza fa. Ormai i
terroristi, anche quando non ci sono, è
come se ci fossero.
5 giugno 2017
Fonte: Huffingtonpost.it
© Fotografia:
Gossip.it
Torino, la nostra
verità su Piazza San Carlo
di Gabriele Carnevali -
Alessandro Fasciani - Damiano Ricci -
Francesco Zancanella
Ricevo via email la seguente
testimonianza da un amico medico che era
presente sabato 3 giugno in Piazza San
Carlo a Torino, per tifare Juventus in
piazza. Mi pare d’interesse collettivo.
(Sciltian Gastaldi)
Ieri tre miei amici ed io (tra i
40 e 50 anni) arriviamo a Torino da
Toscana e Liguria per vedere assieme la
finale Juve-Real Madrid. Decidiamo di
arrivare in Piazza San Carlo tre ore
prima del fischio di inizio dal momento
che la stampa del giorno consigliava di
presentarsi in anticipo all’evento
organizzato dall’amministrazione
cittadina per facilitare le operazioni
di sicurezza. Scriviamo perché la nostra
coscienza ci impone di "integrare"
alcune notizie lette ed ascoltate
stamane sui mezzi di informazione dopo
che siamo scampati a quella che poteva
essere una tragedia di proporzioni molto
più vaste (tragedia visto che ci sono
persone che attualmente lottano tra la
vita e la morte).
1) I controlli sono stati
sommari e tutt’altro che accurati ed
inoltre addirittura nulli allorquando
due di noi sono entrati ed usciti dalla
piazza fra primo e secondo tempo senza
essere né perquisiti, né controllati.
2) La piazza ci è subito parsa
non adatta ad un evento previsto
dall’amministrazione stessa con
affluenza di circa 30.000 persone:
rettangolare, con strette vie di
accesso/fuga (per di più chiuse da
transenne rivelatesi successivamente un
ostacolo alla fuga della folla, perché
di impossibile rimozione rapida), dotata
di schermo troppo piccolo e basso (la
nostra stima è che più del 50% dei
presenti non potesse vedere le immagini
della partita) e priva di contenitori
per i rifiuti, di servizi igienici e di
spazi di acquisto bibite/alimenti.
3) Già dal primo pomeriggio
all’interno della piazza erano presenti
venditori abusivi di bottiglie di birra
in vetro contenute in grandi carrelli
illuminati e refrigerati da acqua e
ghiaccio: questo fatto conferma
l‘assenza di controlli nel luogo di
concentramento della folla a sanzionare
i commercianti e gli acquirenti che
stavano mettendo a rischio la sicurezza.
Dopo poco tempo il pavimento della
piazza era un tappeto di bottiglie rotte
e la stragrande maggioranza dei referti
di pronto soccorso si riferiscono a
lesioni da vetro.
4) Già da un’ora prima
dell’inizio della partita numerose
persone sono salite sul monumento ad
Emanuele Filiberto (centro della
piazza), sul tetto dell’edicola (angolo
della piazza via Giolitti) e su
transenne/ringhiere di ogni tipo. Questo
fatto, facilmente dimostrabile e
temporizzabile da numerosissime riprese
video, conferma la scarsa visibilità del
video, l’assenza di azione da parte di
forze dell’ordine e smentisce l’immagine
di pagina 5 de La Stampa di oggi in cui
si commenta così un’immagine: "Al
riparo. Alcuni tifosi si sono rifugiati
sopra il tetto dell’edicola che sorge in
un angolo della centralissima piazza San
Carlo".
5) Gran parte dei mezzi di
informazione ed il sindaco di Torino
imputano la tragedia alla "Psicosi bomba
- attentato", il prefetto inoltre
sostiene che la sicurezza
anti-terrorismo abbia funzionato. Al
momento ci risulta che, a fronte di
quanto scritto, solo due persone siano
state fermate dalle forze dell’ordine,
ore dopo la sciagura e con accusa di
sciacallaggio.
6) Questa sciagura ci ha
mostrato tutta la superficialità e
l’incapacità organizzativa di chi, in
tempi di giustificata psicosi da atto
terroristico, doveva forse perseguire
progetti diversi (a Madrid molte più
persone hanno visto la partita seduti
comodamente ed in sicurezza nel loro
stadio).
7) Non ci è sfuggito che lo
schermo in piazza fosse sponsorizzato
(Jeep) e che questa mattina abbiamo
pagato alla città di Torino l’imposta di
soggiorno (3.7 euro a testa) per i
servizi offerti.
8) Questa mattina, ancora
turbati, abbiamo riconosciuto nelle
dichiarazioni di sindaco e prefetto più
finalità di manleva che sentimento di
scuse e dispiacere nei confronti dei
malati (oltre ai danni fisici siamo
certi che vi saranno esiti psichici a
breve / medio e lungo termine)
Dal canto nostro auguriamo alle
persone e bambini ancora in stato di
ricovero ospedaliero di tornare presto a
casa per ritrovare i loro cari.
5 giugno 2017
Fonte: Ilfattoquotidiano.it
© Fotografia:
Torino.Today.it
Francesco, 20 anni:
"Vi racconto la cronaca
dell'inferno"
di Francesco P.
Salve, sono Francesco P. e sono
sopravvissuto agli avvenimenti di Piazza
San Carlo. Dico sopravvissuto perché
vivere quella situazione dal vivo è
stata una apocalisse. Innanzitutto
voglio ringraziare i molti che
affettuosamente hanno chiesto mie
notizie e mi hanno aiutato anche da
lontano. Adesso è tempo di fare più
chiarezza possibile per evitare episodi
del genere in futuro. Cercherò di
descrivervi più realisticamente
possibile cosa ha significato per me
trovarmi in mezzo a quell'inferno. Prima
però vorrei puntualizzare alcune cose:
le persone che si trovano in condizioni
gravi (e non) lo sono a causa,
soprattutto, del vetro spaccato e sparso
per tutto il suolo della piazza. Ai
controlli per accedervi, come è giusto
che sia, venivano sequestrate queste
potenziali armi e, una volta dentro
trovavi venditori ambulanti con al
seguito bottiglie in vetro. La cronaca dell’inferno - In
occasione della finale di Champions
League Real Madrid-Juventus ti convinci
a scendere in Piazza San Carlo per
supportare la squadra italiana.
Controlli di sicurezza per accedervi
all'interno. Li superi. Sei dentro.
Minuto dopo minuto la folla si fa più
gremita, più irrazionale e meno
individuale. Ventimila, ti trovi in
mezzo a VENTIMILA persone. Fatichi a
muoverti. L'inizio del tanto atteso
match è vicino. Entusiasmo. Foga.
Speranza. Comincia. 1-0. 1-1. 2-1. 3-1. L'entusiasmo
si spegne si riaccende e si spegne
nuovamente, stavolta definitivamente. Al
suo posto emerge il panico - la
sopravvivenza - la psicosi. Non hai
tempo di realizzare il risultato. Tutto
a un tratto la terra sotto ai tuoi piedi
comincia a tremare. Ti volti. Cerchi una
spiegazione che non arriverà: una
mandria di diecimila cavalli selvaggi
corre verso di te. Travolge. Catapulta.
Calpesta. Panico: Non riesci a
respirare. Se cadi muori, lo dai per
certo. Istinto di sopravvivenza: non
posso morire a vent'anni. Calma. Resisti
alle cariche. Non cadi. Incroci volti
disperati che chiedono aiuto mentre
vengono risucchiati dalla folla.
Vorresti aiutarli. Non puoi. Resisti
ancora. Rimani in piedi. Fuggi via da
quell'inferno. Corri. Scappi come non
hai mai fatto. Un forte boato irrompe e
spezza i tuoi pensieri. Bomba.
Attentato. Questo ti balena nella mente.
Corri più forte. Feriti dappertutto.
Madri che urlano nomi dei figli. Hanno
le mani in testa e le lacrime agli
occhi. Non hai tempo. Non puoi fermarti.
Ti accorgi dei tuoi vestiti sporchi di
sangue. Non tuo. Sei lontano adesso. Ti
fermi. I tuoi amici. Cerchi di
contattarli. Avvisi i tuoi cari che stai
bene. Respiri. Cerchi di riavvolgere il
nastro delle immagini. Immagine confuse.
Disperate. Quanti ne saranno morti ?
Quanti ?! Il panico fa posto alla
rabbia. Sei sopravvissuto...". Certe
situazioni, per quanto possiamo
sforzarci di immaginare, non si ha idea
di cosa significhi viverle. Non auguro a
nessuno di trovarsi in situazioni del
genere.
Grazie a tutti.
Francesco
5 giugno 2017
Fonte: Torinotoday.it
© Fotografia: Consumatrici.it
Torino, i secondi in
cui ho deciso di
alzarmi e
scappare da piazza San Carlo
di Paola Maola
A capire che dovevo alzarmi e
scappare c’ho impiegato circa cinque
secondi: avevo gli occhi puntati sul
maxischermo di piazza San Carlo a
Torino, la mia squadra aveva appena
subito il terzo gol dagli avversari, gol
che certificava la sconfitta; ed ecco io
non potevo crederci. Distrattamente
avevo distinto un rumore sordo provenire
dal centro della piazza, uno scoppio
quasi ovattato, difficile da
riconoscere, poteva essere un petardo
sì, ma anche una scossa di terremoto o
una folata di vento molto forte. Avevo
deciso di non darci peso, ero lì ancora
a disperarmi perché Cristiano Ronaldo
esultava. In quei cinque secondi di
inerzia - e di silenzio irreale - ho
visto la folla allargarsi attorno a un
punto e avvicinarsi sempre di più a me
che ero lì, seduta a terra in un angolo,
proprio sotto al maxischermo della
finale di Champions League, Juve-Real
Madrid.
Nei dieci secondi successivi ho
corso più veloce che ho potuto, urtando
transenne e auto senza sentire il minimo
dolore. Avevo qualcosa di più importante
da fare: dovevo scappare da non so cosa,
non so chi. Con i polpastrelli di due
dita sono riuscita ad attaccarmi alla
t-shirt di Andrea e a mettermi in salvo
(da non so cosa, non so chi) e mettere
in salvo lui. Dietro di noi, Bianca e
Michele erano scomparsi nel giro di un
attimo. Siamo finiti in via XX settembre
dopo essere scampati non a una ma a tre
ondate di persone urlanti. Nessuno
sapeva da cosa stesse scappando, ma
tutti sapevamo che era terrorismo. Non
avevamo il minimo dubbio: ci guardavamo
in faccia e ci ripetevamo che stava
succedendo a noi, proprio a noi, che era
arrivato il nostro turno. C’era un
ragazzo scalzo, molto alto che,
appoggiato a un’auto dei carabinieri,
gridava contro "questi stronzi
terroristi"; ce n’era un altro, su di
giri, che continuava a dire che "dobbiamo ribellarci, noi italiani, a
quest’invasione perché poi vedi cosa
succede"; c’erano due ragazze in
lacrime: in piazza quel sabato sera
erano in sei, avevano perso quattro
amici.
Intanto riusciamo a sentire
Michele, sta bene: lui che era seduto
accanto a noi, si era alzato velocemente
ed era corso verso casa, poco distante
dalla piazza. Bianca invece al telefono
non risponde. Ho pensato di tutto, che
era stata colpa mia, che potevo evitare
di andare in piazza quella sera, che ci
avevo messi in pericolo per una
"stupida" partita. Intanto intorno a noi
arrivavano decine di ragazzi feriti, con
le maglie bianconere sporche di sangue;
in molti erano scalzi. Nessuno sapeva
cos’era successo, avevano corso perché
lo avevano fatto tutti. A uno di loro ho
dato dei fazzoletti, doveva tamponarsi
un taglio profondo e verticale, lungo
tutta la gamba destra. Qualche minuto
dopo ci è venuta incontro una coppia
napoletana: lui piange, lei no, lo
consola, lo tranquillizza. Nella calca
aveva perso il tutore che portava al
ginocchio operato, ora camminava
zoppicante ma era sorridente, cercava di
scherzare con il suo ragazzo parlando
della figuraccia della Juventus. Erano
venuti apposta da Napoli, perché vedere
la Juve vincere a Torino è tutta
un’altra cosa. Intanto il telefono di
Bianca è isolato, ormai sono al
tentativo di chiamata numero 15.
Non sappiamo ancora cosa sia
successo, non abbiamo il coraggio di
nasconderci in un bar e neanche di
tornare in piazza. Ma non vogliamo
andarcene, vogliamo capire perché le
persone si sono ferite, perché è
scoppiato l’allarme. Scopriremo solo
molto tempo dopo che non era successo
niente di quello che temevamo: ci
eravamo spaventati per una non-bomba, la
folla aveva corso per proteggersi dalla
folla. E infatti più di 1500 persone si
sono ferite così, rotolando sui cocci di
vetro a terra nella piazza, schiacciati
da chi nel panico calpestava qualunque
cosa si trovasse sotto ai piedi. Siamo
andati a dormire alle 4 di mattina,
distrutti da una giornata lunghissima e
da una serata ancora più lunga. Avevo
dei lividi su una gamba, l’urto con
quelle transenne aveva lasciato qualche
segno. Bianca aveva risposto ai nostri
messaggi quaranta minuti dopo la ressa:
era rimasta in piazza, si era incastrata
tra le due colonne della Chiesa di Santa
Cristina e aveva assistito a tutta la
scena. Da quella posizione era riuscita
anche a girare dei video, video che
avete visto mezz’ora dopo su
ilfattoquotidiano.it. L’abbiamo capito:
sabato sera a Torino non c’è stato un
attentato ma per noi che eravamo lì ne
aveva tutta l’ambientazione, la
verosimiglianza, le istantanee. È stata
la versione attenuata di un’esperienza
che ci auguro di non vivere mai. Ma non
posso non pensare alle facce sconvolte
dei ragazzi che scappavano: in questi
mesi il terrore lo abbiamo accumulato
dentro di noi, quella sera lo abbiamo
vissuto. La bomba non serviva.
7 giugno 2017
Fonte: Ilfattoquotidiano.it
Francesca dal coma
alla luce
"Sono tornata,
ringrazio tutti"
di Erica Di Blasi
"Sono tornata". Francesca
Marino, 26 anni, era tra i feriti più
gravi di piazza San Carlo. È ancora
ricoverata alle Molinette, ma è uscita
dalla rianimazione: adesso si trova nel
reparto di Medicina d'urgenza al secondo
piano. Ormai è fuori pericolo. Quando è
stata travolta dalla folla ha riportato
un grave trauma toracico e nella calca
si è fratturata diverse costole. Lei
però è stata più forte. Dopo essere
stata tenuta alcuni giorni in coma
farmacologico, si è ripresa. Adesso è in
un reparto semintensivo, ne avrà ancora
per qualche settimana. I suoi amici le
hanno scritto decine di messaggi su
Facebook e lei attraverso i social
network ha voluto far sapere a tutti che
sta meglio. "Sono commossa per la vostra
vicinanza. Siete davvero tantissimi.
Grazie immensamente a ognuno di voi".
Adesso Francesca sta seguendo un
percorso di fisioterapia sia
respiratoria sia motoria. "Sta meglio e
di questo non possiamo che essere felici
- raccontano i parenti che la assistono
costantemente in ospedale - Al momento è
l'unica cosa che ci interessa. Per
fortuna stiamo ricevendo buone notizie".
Non escludono però, un domani, di
intraprendere un'azione legale per
chiedere agli organizzatori dell'evento
un risarcimento dei danni subiti. "È una
cosa che valuteremo poi, quando
finalmente Francesca uscirà
dall'ospedale. Adesso non abbiamo tempo
di pensare anche a questo. Quello che ci
interessa, la nostra priorità, è la sua
salute". Su quanto accaduto quella sera
in piazza, Francesca ha immagini ancora
offuscate. "Non si ricorda bene quello
che è successo. È ancora presto. Col
tempo...". A starle vicino in questi
giorni in ospedale è stato soprattutto
Andrea, fratello gemello di Francesca. "Siamo molto soddisfatti dei suoi
progressi - dice - e siamo fiduciosi per
una pronta guarigione. Voglio
ringraziare tutti quelli che ci sono
stati accanto, ho ricevuto migliaia di
chiamate e messaggi. Dopo giorni di
ansia e paura siamo usciti da un incubo:
ora la strada del recupero, anche se
relativamente lunga, è in discesa".
Restano gravi invece le condizioni
dell'altra paziente ricoverata alle
Molinette, Marisa, 63 anni, che è ancora
in rianimazione. Lei non era nemmeno in
piazza per vedere la partita. Quando è
stata investita dalla folla era appena
uscita da un ristorante del centro,
vicino a via XX Settembre. Non ha fatto
quasi in tempo ad accorgersi di quello
che stava accadendo. La folla impazzita
l'ha buttata a terra e poi calpestata.
Portata in un primo momento al Maria
Vittoria, è stata poi trasferita alle
Molinette per un consulto. E qui è stata
sottoposta a un intervento
neurochirurgico. Anche suo marito è
rimasto ferito negli incidenti in piazza
San Carlo. È ancora ricoverato in
ospedale, al San Giovanni Bosco, ma è
uscito dalla rianimazione.
17 giugno 2017
Fonte: La Repubblica
© Fotografia:
Thesocialpost.it
Piazza San Carlo,
parla un ferito:
"Quella sera ho
creduto di morire"
di Marco Zonetti
Emanuele Nopoli, uno dei 1526
feriti di Torino, racconta in esclusiva
ad affaritaliani cos'accadde in quei
tragici momenti della finale di
Champions.
Quasi un mese è trascorso dalla
fatidica sera del 3 giugno, da quella
Finale di Champions League quando in
Piazza San Carlo si è sfiorata la strage
con il suo tragico bilancio di 1526
feriti e la morte successiva di Erika
Pioletti. Una strage sfiorata per cui
oggi sono indagate tre persone, fra cui
la sindaca Chiara Appendino del M5s.
Quasi un mese è trascorso ma per chi
quella sera ha visto la morte in faccia
l'incubo non è finito. Come per Emanuele
Nopoli, trent'anni, di Como. Giunto a
Torino quel sabato con sua moglie Lucia
per festeggiare il primo anniversario di
matrimonio seguendo il match dell'amata
Juventus contro il Real Madrid.
"Arrivammo a Piazza San Carlo
per incontrarci con degli amici verso le
15.30 circa" ci racconta Emanuele. "Non
ricordo se trovammo due o tre di file
transenne per la chiusura al traffico di
Via Santa Teresa, ma ricordo
distintamente di essermi chiesto se
fossero previste ulteriori contromisure
per resistere all’eventuale impatto di
un mezzo spinto a forte velocità. I
recenti attentati imponevano quasi un
simile pensiero. Di sicuro, alle 15.30,
ciò che separava la zona pedonale dal
traffico era rappresentata da quelle
inconsistenti delimitazioni metalliche e
qualche agente: troppo poco. Per
ammazzare il tempo facemmo un giro per
le vie limitrofe, e tornando in
prossimità di Piazza San Carlo poco
prima delle 17.00, osservai che
l’invasione bianconera aveva già colmato
la prima metà della piazza, naturalmente
sul lato dell’unico maxischermo. Non
solo: proprio in quel punto assistemmo
ad una pacifica discussione tra una
decina di venditori di birra in
bottiglia - chiaramente non in regola -
intenti ad organizzare spazi e modalità
per riempire carrelli e bacinelle. Non
comprendevo tutto ciò che dicevano,
parlavano un dialetto meridionale molto
stretto. Almeno tre di loro li riconobbi
in seguito, nel bel mezzo della folla, a
causa degli abiti e degli ingombranti
carrelli pieni di birra: era stato
semplice individuarli in un contesto
interamente bianconero, pur senza far
caso ai volti. Decidemmo a quel punto di
entrare in Piazza per trovare posto e ci
accingemmo a superare il punto di
controllo delle forze dell'ordine. Ecco
di nuovo le transenne metalliche, divise
in tre punti: due ai lati, in
corrispondenza dei portici, e uno al
centro, in linea con la testa del
monumento. Ma stiamo scherzando ? -
Pensai. Volete davvero dirmi che
qualcuno ha avuto la brillante idea di
separare i punti di controllo da ben
25-30 metri di transenne alte un metro ?
La densità di persone era già così
elevata in quel punto che chiunque
avrebbe potuto agevolmente scavalcare le
delimitazioni. Per ogni punto di
controllo degli accessi, si trovavano
quattro o cinque agenti, mentre qualcun
altro presidiava lì attorno con
circospezione. Però erano pochi occhi
per troppe persone, già alle 17:00.
Superammo il punto di controllo che si
trovava sul lato sinistro (guardando il
maxischermo) senza troppe difficoltà.
Gli agenti ispezionarono il contenuto
del mio borsello a tracolla e dello
zaino di Lucia con adeguata attenzione,
ma senza utilizzare Metal Detector
portatili. Non in quel punto perlomeno.
Ci riunimmo con due nostri amici,
Michele e Laura, e ci dirigemmo verso il
centro, superando il bellissimo Cavallo
di bronzo, sempre considerando la
visione del maxischermo come
riferimento. Col senno di poi, direi che
posizionarsi nel punto più lontano da
tutte le vie di uscita della piazza
fosse considerarsi una pessima scelta.
Un errore che sicuramente eviterò di
commettere nuovamente in futuro. Alla
fine del primo tempo, mia moglie e io
lasciammo i nostri due amici per andare
in bagno. Decidemmo per un bar di Piazza
San Carlo, che ormai era stracolma di
gente. Ricordo benissimo la sensazione
dei cocci di vetro sotto le scarpe
mentre percorrevamo la piazza con
estrema lentezza, in mezzo alla calca di
persone. Raggiungemmo il bar con estrema
fatica e, poco più tardi, tornammo in
piazza. I cellulari non prendevano e
quindi non riuscivamo a contattare i
nostri due amici. Li avvistammo con non
poca difficoltà e stavamo per
raggiungerli quando, in quel momento,
sentimmo un primo spintone alle nostre
spalle, rimanendo in piedi a fatica. Da
quel punto in poi la successione degli
avvenimenti trascorse in pochi attimi,
uno dietro l’altro. Dalla folla di
ragazzi giovani e meno giovani
cominciarono a sollevarsi delle urla:
"Calmi, state calmi !!!". E poi un
rumore, una specie di fruscio, nessuno
scoppio o sparo o altro. Era il rumore
delle persone che cadevano una sopra
l’altra, tra le urla. L’onda ci travolse
in pieno, partì tutto alla nostra
sinistra, circa a dieci metri dal punto
in cui ci trovavamo. Credevo che fosse
una carica della polizia volta a
sgomberare il monumento. Caddi sul
fianco destro, mentre Lucia cadde di
schiena appena dietro di me. Cercavo di
tenermi sollevato con l’avambraccio
destro per non romperle la gamba che si
trovava appena sotto le mie costole.
Provammo a rialzarci, ma fu inutile,
avevo due o tre persone sopra di me, a
loro volta bloccate da altre persone,
come un domino. Lo sforzo sul braccio
destro era enorme, lo fu ancor di più
quando gli altri riuscirono a mettersi
in piedi e a scappare, calpestandoci.
Lucia riuscì a mettersi seduta,
abbracciando lo zaino che svolse un
ottimo compito protettivo, io invece ero
completamente bloccato. In quel
frangente tentai di dirigere lo sguardo
verso "l’epicentro": arrivava la seconda
onda di persone, ragazzi sbalzati via
come fogli di carta. La massa
travolgente si avvicinava sempre più
verso di noi, questione di decimi di
secondo, come se noi fossimo il
bersaglio successivo. Temetti il peggio
del peggio, pensavo fosse arrivata la
nostra ora: pensai di morire. Non riesco
a descrivere la sensazione, ma pensai
davvero di morire.
A quel punto - dalla
mia prospettiva - mi convinsi che fosse
un’automobile la causa di tutto.
Inorridii per quanto fosse reale questo
pensiero, la figura disegnata dalla
massa di ragazzi aggrovigliati sembrava
proprio quella di un’autovettura. Mi
feci forza, tutta quella che avevo, per
dare le spalle al pericolo imminente
facendo da scudo a Lucia e liberandole
la gamba, rimanendo piatto al suolo.
Avrebbe potuto alzarsi da terra, ma non
voleva lasciarmi lì. Ero ancora
bloccato, chissà quanti ragazzi sono
inciampati sulla mia schiena. Quanti
colpi, quante ginocchiate. Ad un certo
punto si creò un piccolo vuoto dietro di
me. Lucia mi aiutò a tirarmi in piedi.
Che fatica, ero stremato, ma non
dolorante, non ancora. Notai
immediatamente i profondi tagli
procurati dai vetri a polso e mano
destra, gocciolavo parecchio sangue dal
braccio. Osservai anche il sangue sulla
mano di Lucia, dovuta ad un profondo
taglio sul dito medio destro. Lei
nemmeno se ne accorse subito, come
neppure si accorse di aver smarrito gli
occhiali da vista. Non potevamo rimane
in quel punto, stavamo per essere
travolti di nuovo dalla gente
completamente in preda al panico.
Rimanemmo completamente lucidi,
l’obiettivo era lasciare quel disastro
alle nostre spalle e allontanarci il più
possibile.
Fuggimmo via, facendo
attenzione a non inciampare sulle
persone rimaste a terra, bottiglie,
borse, zaini e soprattutto scarpe.
Rallentammo leggermente non appena
imboccammo via Santa Teresa, diretti
verso l’hotel. Ci guardammo ansimanti
negli occhi, nessuno dei due aveva mai
visto nell’altro quello sguardo in quasi
nove anni di relazione. Intanto udivamo
le urla delle persone spaventate.
La
pausa durò pochissimo, stava arrivando
la seconda grande ondata di panico
dietro di noi. La cosa veramente brutta
è che mi resi conto che la folla
proveniva da tutte le direzioni, anche
dalle vie perpendicolari a Santa Teresa.
La gente scappava voltandosi come se
fosse inseguita da qualcuno o qualcosa.
Ovviamente prendevamo le situazioni come
venivano, c’era poco da riflettere:
arrivammo senza fiato in Piazza
Solferino con l’intento di toglierci
dalla via principale, ma avevamo perso
un po’ l’orientamento. Chiedemmo
indicazioni ad una gentilissima
cameriera del locale Le Ville, dove il
personale era intento ad aiutare chi
necessitava di cure. Lucia voleva
fermarsi lì per farci medicare, ma non
mi sembrava una buona idea. Mi sentivo
un bersaglio, chissà da chi o da cosa.
Facemmo il giro dell’isolato
ricongiungendoci a via Cernaia, dove si
trovava una rassicurante pattuglia della
Polizia Locale. Finalmente un messaggio
ricevuto dall'amico Michele: lui e Laura
stavano bene ! Si raccomandava di
evitare gruppi numerosi, proprio come
stavamo cercando di fare. Finita la
telefonata, scrutai le ferite delle
circa quindici persone in attesa di cure
e di risposte. Intanto i vigili
provvedevano a medicare alcuni feriti
col disinfettante. Quanto sangue e
quante lacrime abbiamo visto. Ci
fermammo un attimo per riprendere fiato
e un’agente versò sulle nostre ferite
del mercurio cromo. Però non volevo
rimanere lì, eravamo troppo esposti. A
cosa non lo so, non potevo saperlo, ma
mi sentivo allo scoperto. Avevamo
interrotto definitivamente la corsa, ma
riprendemmo la fuga comunque a passo
spedito. Verso la fine di via Cernaia i
fuggitivi erano sostanzialmente
diminuiti, perciò cominciai a
rasserenarmi, per quanto possibile. Entrammo nell’atrio del nostro
albergo, l'Hotel Diplomatic, assistendo
all’apprezzabile impegno del ragazzo che
si trovava in reception, di cui mi
spiace averne dimenticato il nome.
L’assistenza fornita ai circa sette o
otto clienti arrivati prima noi era
esemplare. Osservai con attenzione tutti
quanti, mi colpì in particolare una
ragazza in tenuta bianconera
visibilmente turbata. Piangeva senza
sosta fissando il vuoto, seduta su un
divanetto, poverina. Ne abbiamo visti
tantissimi in lacrime durante la fuga,
ma lei era il ritratto tristemente
meglio riuscito di ciò che abbiamo
vissuto in quella piazza. Chiesi al
ragazzo se fosse previsto l’arrivo di
un’ambulanza, ma giustamente rispose che
i soccorritori stavano dando priorità ai
feriti gravi. In quel momento mi
domandai quali fossero i reali risvolti
di quella fuga: di sicuro si parlava di
un immenso numero di feriti, ne avevamo
incontrati tantissimi. Il gentilissimo
operatore della reception ci indicò un
ambulatorio lì vicino in cui potevamo
ricevere le prime cure. Uno dei
presenti, di cui non saprei dire se
facesse parte dello staff, si propose
per indicarci la giusta via da prendere
fuori dall’hotel. Arrivammo al
Poliambulatorio Statuto e finalmente
riposammo le gambe sulle sedie in attesa
del nostro turno. C’erano una decina di
persone, nemmeno troppe. I medici ci
pulirono le ferite consigliandoci di
andare al pronto soccorso per farci
applicare i punti.
Tornammo in hotel,
dove trovammo di nuovo la ragazza che
piangeva sul divanetto dell’atrio. Che
roba… Quando ci sentimmo pronti,
partimmo con la nostra auto verso
l’ospedale San Giovanni Bosco. Sapevamo
che saremmo stati tra gli ultimi ad
arrivare in accettazione, dato che
avevamo superato l’una di notte.
Armandoci di santa pazienza ci siamo
accomodati nella sala di attesa. Inutile
dire che l’affollamento di maglie
bianconere intrise di sangue era
inenarrabile. Sui volti di tutti si
leggevano dolore e sgomento, sebbene
pochi tra i presenti si trovavano in
barella o in carrozzina. Arrivò quindi
il nostro turno per le medicazioni:
niente punti di sutura, probabilmente
per la mancanza di aghi e filo, come
letto nei giorni scorsi su qualche
articolo di giornale. Il 90% dei feriti
pare abbia riportato ferite da taglio,
come noi del resto. Prognosi: cinque
giorni per Lucia e sette giorni per me.
Ce la cavammo in meno di due ore, e devo
dire che ho percepito ottime impressioni
dal protocollo di emergenza seguito
dagli ospedali di Torino. Tornammo in
hotel per il meritato riposo: eravamo
reduci da 24 ore di veglia. 8 ore di
viaggio, 10 ore tra la folla torinese e
6 ore trascorse tra fughe e ospedale.
Questo non bastò per addormentarsi senza
difficoltà: chiudevamo gli occhi e la
mente cominciava a proiettare le
tremende immagini di ciò che abbiamo
visto quella sera. Chiesi a Lucia di
ripassare mentalmente tutte le tappe del
viaggio a Lione e Parigi dei giorni
precedenti, in modo da ingannare i
pensieri e addormentarci con un pizzico
di serenità. Funzionò, per fortuna. Fine
della giornata, fine del racconto.
Purtroppo il peggio è arrivato nei
giorni seguenti, almeno per me. E non me
la sento di andare oltre: prima dovrò
vincere la battaglia con la "nuova"
paura di ritrovarmi nel mezzo di folle
numerose. Speriamo passi in fretta. Ma
la notte dormo male, ho spesso degli
incubi... Mi sveglio di soprassalto con
la paura di essere schiacciato dalla
calca. Da quella forza inarrestabile che
è una massa di persone in preda al
panico. E il mio pensiero corre sempre
alla povera Erika Pioletti e a quanto
sono andato vicino a subire la stessa
sua triste sorte".
29 giugno 2017
Fonte: Affaritaliani.it
(Testo © Fotografia)
© Fotografia: Eurosport.com
"Scappa, scappa,
scappa, mi ripetevo": il
drammatico racconto
di Moreno,
quella sera in Piazza San Carlo
a vedere la "sua" Juve
Lasciato l’ospedale, il viaggio
verso casa: "Dovevo continuare, scappare
un’altra volta. Non potevo fermarmi. Se
mi fermavo e chiudevo gli occhi non mi
risvegliavo più. Temevo che il cuore non
reggesse. Mentre guidavo lentamente,
piangevo e rivivevo il dramma, la paura,
il sangue, i vetri, le urla, il panico,
la morte".
Mentre non si placa l'eco delle
polemiche seguite ai gravissimi
disordini di piazza San Carlo (cui sono
seguiti anche altri eventi come quelli
di piazza Santa Giulia), vi proponiamo
la testimonianza di uno dei testimoni
oculari proprio della serata in cui si è
disputata la finale di Champions League
tra Juventus e Real Madrid.
"Sono Moreno Sala Veni, 55 anni,
della provincia di Varese, tifoso
juventino da sempre. Sabato 3 giugno ero
a Torino, in piazza San Carlo, da solo.
Ero davanti, a circa 20-25 metri dal
maxi-schermo, in posizione centrale, fin
dalle 16:30. La lunga attesa, il caldo,
la gente (tantissima, sempre di più), il
clima di festa, di gioia, di tifo, i
cori, i fumogeni, le bandiere, i colori
della Juventus, era la cosiddetta
ADRENALINA pura. In mezzo a noi c’erano
tantissimi ambulanti abusivi che
vendevano birra e bibite in bottiglie di
vetro, con carrelli stracarichi,
liberamente, senza nessuna
preoccupazione o paura di essere
scoperti, acciuffati, multati od
arrestati. A circa metà del secondo
tempo, ho sentito voci alla mia
sinistra, come se fosse un eco. Mi sono
girato e un attimo dopo ho visto lo
tsunami di gente che arrivava. Pareva
fossimo le tessere del gioco del domino.
In un secondo, mi sono girato, ho
provato a scappare, ma ahimè non ce l’ho
fatta. Ho avuto la prontezza di portare
lo zaino alla faccia, per proteggerla,
dopodiché mi sono sentito mancare la
terra sotto ai piedi e sono caduto per
terra. Fortunatamente la testa e la
parte alta del corpo poggiava su
qualcosa di morbido (altre persone ?). Sentivo invece i
vetri che entravano nella gamba e nel
braccio destro. Persone sopra di me che
mi calpestavano e cercavano di scappare
in preda al panico più assoluto. Non
riuscivo e non potevo minimamente
muovermi. Il peso delle altre persone
non me lo permetteva. Ho avuto Paura di
morire. Ho pensato alla mia famiglia, a
tutto, a niente, ma mi sono autoconvinto
fortemente di farcela. Dovevo
assolutamente scappare. Un ragazzo mi ha
aiutato, mi ha dato una mano a
rialzarmi. Giusto il tempo di mettermi
in piedi, cercare di capire cosa fosse
successo, che pochi secondi dopo, senza
neanche avere il tempo di vedere le
lacerazioni subite, ero nuovamente per
terra, schiacciato per la seconda volta.
Un’altra volta la Paura di morire. Non
so dire se sia durata più o meno della
prima. Posso solo dire che ne sono
uscito VIVO per ben due volte.
Sono stato
veramente fortunato. Vorrei ringraziare
il ragazzo che, mentre ero per terra e
tutti correvano in preda al panico, si è
fermato per un attimo e mi ha aiutato a
rialzarmi. Quello che mi ha aiutato a
stringere forte le sciarpe già
insanguinate, trovate per terra, attorno
alle mie ferite peggiori. Quelli che,
mentre vagavo come uno "zombie" senza
meta, in preda al panico, mi
confortavano, mi chiedevano se avessi
bisogno di qualcosa, mi offrivano acqua,
fazzoletti, parole, conforto…Aiuto.
Chiunque voi siate GRAZIE, GRAZIE,
GRAZIE.
Da parte mia, ho fatto
altrettanto. Ho aiutato e soccorso, per
quanto mi era possibile, parecchia gente
ferita, ho pulito e toccato sangue
altrui, ho tranquillizzato, dato
conforto, prestato il cellulare a chi lo
aveva perso e non trovava più gli amici…
Ho fatto semplicemente quanto tanti
altri sfortunati hanno fatto per me e di
questo ne sono veramente orgoglioso.
Peccato che il nostro "buonismo" verso
il prossimo sia stato macchiato, non
solo dal sangue, ma anche dallo
sciacallaggio. Mani estranee e rapide
che frugavano nelle borse, raccoglievano
cellulari, portafogli, oggetti di
valore. Al momento non lo credevo
possibile, pensavo fossero i legittimi
proprietari. L’ho capito solamente dopo
qualche ora, quando a mente fredda
rivivevo e rivedevo le varie immagini
della catastrofe.
Capivo, mi
rendevo conto che non era possibile
prendere e nascondere furtivamente così
tanti oggetti in poco tempo, da borse,
zaini, indumenti diversi, senza prestare
attenzione al colore, alla marca, al
modello. Pareva non aspettassero altro,
neanche fossero già pronti. Incredibile
! Non volevo più vedere niente, dovevo
scappare. L’adrenalina e le endorfine
dentro di me erano così forti che non
sentivo alcun dolore, avevo sangue
dappertutto, vestiti, scarpe impregnate
(fortunatamente non le ho perse), la
gente mi guardava spaventata, si
scansava. E io che non avevo fatto
niente, non avevo nessuna colpa, tranne
l’ingenua e stupida incoscienza per
essere andato in mezzo a una piazza a
vedere una partita di calcio della
squadra del cuore.
Scappa, scappa, scappa, mi
ripetevo. Sofferente, dolorante,
sanguinante, su una gamba sola, a fatica
ho ritrovato la mia macchina e sono
fuggito dall’inferno. Un volontario
delle POCHISSIME ambulanze presenti sul
posto, che gentilmente mi ha prestato le
prime cure provvisorie, mi ha suggerito
di uscire dalla città, di non andare ad
intasare gli ospedali torinesi ma di
andare, se ci riuscivo, ad un ospedale
più lontano, magari quello di Chivasso.
Verso casa mia. Da solo, ma ce l’ho
fatta. Sono arrivato stremato verso
l’una di notte. L’Ospedale di Chivasso
si è rivelato poi essere un secondo
campo di battaglia. Un vero e proprio
lazzaretto. Decine, e decine di feriti,
alcuni trasportati da Torino, riempivano
la sala di aspetto e i corridoi. Una
scena apocalittica, pazzesca,
traumatica. Tutto il personale
dell’ospedale si prodigava per fare
l’impossibile. Non credo realizzassero
quanto successo.
Dopo circa 3 ore
è arrivato il mio turno. Disinfettate e
lavate le ferite, previa puntura
antitetanica, hanno iniziato a ricucire
le molteplici ferite lacero contuse. Non
erano tagli netti, bensì strappi causati
dai vetri rotti di quelle maledette
bottiglie vendute abusivamente. Pezzi di
pelle e carne che mancavano, staccati,
sul malleolo, sotto al ginocchio,
nell’avambraccio le più importanti e
tante altre botte, escoriazioni meno
gravi sul resto del corpo.
Me la sono
cavata con solo una quindicina di punti
di sutura. È impressionante dover dire
che il panico, il trauma, la rabbia e la
paura di morire prevaleva di gran lunga
sul dolore fisico. Un enorme Grazie al
chirurgo che mi ha cucito e a tutto il
fantastico personale dell’’ospedale di
Chivasso.
Lasciato l’ospedale alle 4.30 mi
sono rimesso in macchina. Dovevo
continuare, scappare un’altra volta. Non
potevo fermarmi. Avevo paura. Se mi
fermavo e chiudevo gli occhi non mi
risvegliavo più. Temevo il peggio. Che
il cuore non reggesse. Avevo ancora
troppa paura di morire. Mentre guidavo
lentamente, piangevo e rivivevo il
dramma, la paura, il sangue, i vetri, le
urla, il panico, la morte.
A metà strada mi
sono fermato a fare una sosta in un
autogrill. Dovevo lavarmi la faccia,
ancora sporca di sangue. Di chi ? Non
riuscivo a trattenere le lacrime.
Iniziavo a sentire il dolore delle
ferite e dei punti. L’adrenalina
diminuiva e il dolore aumentava. Al bar
altri feriti, altro sangue, altre voci.
Chi diceva addirittura che c’erano stati
dei morti. Nel bagno altra scena
traumatica: pantaloni e magliette
strappate, insanguinate, lavandini,
servizi igienici, rotoli di carta
igienica, tutto sporco di sangue. Sangue
ovunque. Sono fermamente convinto che il
numero dei feriti (1.500 !) è
sicuramente maggiore. Perché tanta gente
è scappata, è tornata verso casa e si è
pulita, lavata, cambiata, strada
facendo. Non sono stati tutti schedati.
Non so ancora come, ma alla fine ce l’ho
fatta. Sono arrivato a casa.
La sera prima,
avevo tranquillizzato moglie e figlie
dicendo che avevo solo un paio di
taglietti superficiali e che sarei
comunque rientrato l’indomani. Che era
tutto bloccato e che non potevo tornare
a riprendere la macchina, vista la
situazione. Non avevo sicuramente un
bell’aspetto. Piangevo ancora forte, ero
stanco, ferito, sporco, insanguinato.
Sono convinto che il pianto e le lacrime
di dolore, rabbia e paura mi hanno
tenuto sveglio fino a casa.
Sono stato in cura da una
Psicoterapeuta dell’EMDR (Professionisti
in forti traumi) per cercare di
elaborare il prima possibile quanto
accaduto.
È stata dura, e
lo sarà per sempre, per tutta la vita.
Sono già passate più di 3 settimane ed
alcune ferite non si sono ancora chiuse.
Ho ancora alcuni punti di sutura che mi
tengono compagnia. Un’ecografia alla
gamba destra ha riscontrato un evidente
ematoma sottocutaneo. Se nei prossimi
15/20 giorni, con le pomate non dovesse
sparire, si dovrà necessariamente
intervenire chirurgicamente. Appena
possibile dovrò fare gli esami del
sangue per assicurarmi di non aver preso
nessuna infezione né contaminazione.
Ovviamente non posso ancora riprendere
il lavoro. Sono un commerciale. Viaggi,
visite clienti, offerte, ordini, sono la
mia vita, il mio guadagno, il mio pane
quotidiano. Quando finirà tutto questo ?
Avrò ancora la
forza e il coraggio di viaggiare ? Ce la
farò ?
Me lo auguro.
Non ho ancora capito come sia potuto
succedere. Non mi sono accorto di
niente, non ho sentito niente di
particolare. Non so proprio cosa sia
successo.
Chi o che cosa
abbia acceso la scintilla che ha poi
scatenato la bomba, la catastrofe, il
finimondo, la tragedia, il caos, la
paura, il panico.
È INACCETTABILE che, in questi
tempi di attentati, per la paura ed il
panico, NON SIA STATO FATTO NIENTE DI
NIENTE.
Qualcuno ha
deciso di affidarsi al fato. Non ha
controllato, assicurato, garantito,
tutelato le decine di migliaia di
persone presenti all’evento. PERCHE’ ?
SUPERFICIALI i controlli in entrata,
NESSUN servizio igienico, NESSUN divieto
di somministrazione di bevande alcoliche
in bottiglie di vetro, NESSUN cestino,
NESSUNA via di fuga, NESSUNO spazio
vuoto, NESSUN addetto alla sicurezza,
NESSUNA tutela, NESSUNA garanzia.
NIENTE, NIENTE, NIENTE. E solamente
quando la povera Erika è morta, è
diventato OMICIDIO COLPOSO !
Ci sono ancora
persone in pericolo, ricoverate in
ospedale, tra cui Marisa e Vincenzo e la
donna rischia addirittura la paralisi.
E se i morti fossero stati molti
di più ? Come lo definivate ?
Io che l’ho
vissuta in prima persona, la definisco
semplicemente TRAGEDIA SCAMPATA !
Dov’erano i responsabili ? Certamente
non in piazza. E dove sono adesso ?
Proveranno rimorso ?
Mi dispiace, ma
chi ha sbagliato deve pagare per tutti i
danni, non solo economici, fisici,
psicologici, morali, traumatici, che
tutti noi abbiamo dovuto subire. Non
possono e non devono passarla liscia.
Devono andarsene, devono cambiare
lavoro. Non possono e non devono
ricoprire ruoli che garantiscono la
tutela del cittadino. Noi, testimoni
superstiti, feriti dentro e fuori, diamo
il nostro nome e cognome. Non ci tiriamo
indietro, abbiamo coraggio. Vogliamo e
dobbiamo essere rimborsati per quanto
dovuto subire per l’inadeguata
noncuranza altrui.
Ci porteremo
dentro per tutta la vita il trauma
vissuto, il ricordo non ci abbandonerà
mai. Ma almeno possiamo sempre dire a
tutti che siamo ancora VIVI. Quelli che
hanno sbagliato, oltre al danno
economico, avranno sulla loro coscienza,
un peso enorme. La povera ERIKA, tutti i
feriti, tutti i presenti, il mondo
intero.
Non oso pensare.
È mio dovere scrivere, parlarne,
raccontare la tragica esperienza vissuta
e in particolare modo chiedere di essere
rimborsato per ogni danno subito e sono
convinto che gli altri faranno
altrettanto. Se necessario, agirò per
vie legali e mi costituirò parte civile
assieme a tutti gli altri.
Invio questa
lettera per R/R a Comune, Prefettura,
Questura di Torino, a Turismo Torino ed
anche alle più importanti testate
giornalistiche, perché possa essere
fatta chiarezza e soprattutto chiedo e
merito risposta".
Moreno Sala Veni
1 luglio 2017
Fonte: Torinoggi.it
© Fotografie: LaPresse -
Targatocn.it
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