LA SVOLTA
- Aprile
2018: erano trapelate indiscrezioni già da
qualche settimana, ora i fatti sono acclarati.
La causa scatenante quelle ondate di ressa nel
terrore in piazza San Carlo fu l’azione
criminosa di una banda di nordafricani dedita
alle rapine usando la tecnica dello spruzzo di
una sostanza urticante al peperoncino in luoghi
affollati. Il gruppo di delinquenti si è
mischiato alla folla dei tifosi attendendo il
momento giusto per colpire, seminando il panico
generalizzato per razziare indisturbati
portafogli e telefonini alle persone intorno,
zaini, borse e giacche abbandonati nella fuga
repentina. Una tecnica consolidata e abituale,
ripetuta anche negli ultimi mesi a Torino e
provincia. Come in occasione del Kappa
Futurfestival al Parco Dora. Il 30 settembre
2017, al concerto di Elisa per l’inaugurazione
delle "Officine Grandi Riparazioni", una signora
si sentì male e fu soccorsa dall’ambulanza. Gli
organizzatori decisero di interrompere il
concerto e l’evacuazione della struttura proprio
a causa della nebulizzazione di tantissimo spray
urticante. Altre rapine in ottobre durante il
"Reload Music Festival" al Lingotto e nel mese
di gennaio in una discoteca di Verona (Dorian
Gray) dove il panico e la fuga incontrollata
causarono lesioni a sei persone. Era successo
anche nei negozi della catena Mediaworld di via
Nizza e di corso Giulio Cesare nello stesso mese
a Torino (11 e 18 gennaio). Il 21 in un negozio
di Modena, giorni dopo al "Mantova Outlet
Village". Si sospettano azioni analoghe anche in
altri paesi del nord Italia ed europei: Olanda
(17 febbraio Concerto di Kendrik Lamar) e, poi,
Belgio, Francia, Germania. Sempre mirando a
luoghi affollati per sfruttare la calca,
preferibilmente concerti e centri commerciali.
OPERAZIONE "CHILI PEPPER"
- Gli investigatori della Digos identificano i rapinatori,
maggiorenni e di origine marocchina, ma con cittadinanza
italiana, tranne 3 con il permesso di soggiorno
e un cittadino egiziano. Costituiscono un affiatato
team, specializzato e senza scrupoli in questa tecnica
pericolosa. Sono marcati a vista da molto tempo
dalla polizia, sospettati per attività di ricettazione
e traditi da alcune intercettazioni telefoniche
avviate per un’altra indagine dove menzionano una
collanina d’oro, rubata in piazza, per un valore
di centinaia di euro. In dieci sono indagati dalle
autorità giudiziarie nella specifica inchiesta,
sei restano in carcere per la custodia cautelare,
uno ai domiciliari, gli altri tre hanno l’obbligo
di firma in Questura. Due di questi, ai quali sono
contestati proprio i reati in Piazza San Carlo,
sono posti in stato di fermo e confessano. L’età
media dei membri della banda oscilla fra i 18 e
i 20 anni. Sfrontati, pensando di essere impunibili.
Quattro su dieci erano presenti in piazza quel 3
giugno a Torino: Sohaib Bouimadaghen, Hamza Belghzi,
Mohammed Machmachi e Aymene Es Sabihi. Il capo del
sodalizio è il ventenne Sohaib Bouimadaghen (detto
"Budino") di Cirié, classe 1998, cittadino italiano
residente a Torino, il primo a confessare, subito
e al primo interrogatorio notturno. Ha anche spifferato
ai Pm nomi e cognomi dei complici della gang.
A suo carico moltissime pagine d’intercettazioni.
A tradirlo un messaggio su whatsapp del 2 aprile
in cui scrive: "Sai il casino che è successo l'estate
scorsa, quando c'era la Juve ? Stavo per andare
alla polizia e dire che ero stato io. Te lo giuro,
mi sento una merda… Un peso troppo grosso... Quello
della Juve... Non ho più voglia di fare queste cose".
Tono del pentimento che contrasta radicalmente con
quanto scritto da lui su facebook il giorno dopo
la rapina di piazza San Carlo: "Una ringhiera vi
ha messo in ginocchio… Avete calpestato bambini
e donne per un petardo, ve ne accorgete solo quando
vi tocca la pelle. C'è chi si alza senza la propria
famiglia, sotto le macerie di una casa distrutta,
senza né acqua né cibo, contro le più grandi forze
mondiali". Ancora qualche giorno dopo: "Troppo debole
sto spray ahahahaha". Usanza dei rapinatori era
quella di pubblicare sui social le immagini della
refurtiva dopo i colpi messi a segno: orologi, braccialetti,
pendenti, gioielli, cellulari. Lo spray serviva
a immobilizzare le vittime prima di rapinarle, in
particolare delle catenine d’oro. Sarà proprio questo
il materiale ritrovato nelle perquisizioni dei loro
appartamenti. Per tutti l’accusa di rapina e furto,
ma per Sohaib, Mohammed, Hamza e Aymene si aggiunge
la contestazione dei reati più gravi di omicidio
preterintenzionale (a causa della morte di Erika
Pioletti) e di lesioni aggravate nei confronti di
oltre 300 persone. Purtroppo il 3 giugno 2017 l’azione
miserabile di pochi si è innestata diabolicamente
nell’approssimativa disorganizzazione di troppi.
Negli atti del fermo di "Budino" la Procura non
esita a definire questo disastro "evitabile", poiché
"se l’indagato Bouimadaghen non avesse perpetrato
le rapine con il gas urticante certamente non si
sarebbero creati e diffusi l’allarme e il panico
tra gli spettatori. Al contempo, se gli addetti
alla sicurezza avessero approntato e predisposto
misure idonee a salvaguardare l’ordinato svolgimento
dell’evento la condotta delittuosa dell’indagato
non avrebbe comportato l’esito infausto". Un riferimento
inequivocabile allo sbarramento delle vie di fuga
transennate. Prima e dopo, in altri luoghi, la gang
aveva colpito, causando disordini e fastidi, mai
una mezza strage.
LE REAZIONI - La notizia
è accolta con molto sdegno nel paese, anche dalla
classe politica si levano strali. Il vicepresidente
del Senato Roberto Calderoli afferma che "gli arrestati
rispondano di terrorismo e tentata strage, non di
rapina". Notizia che non allevia il dolore dei familiari
di Erika Pioletti: "Gli arresti ? Lo apprendo ora
da voi ma non cambia nulla. Per noi non cambia nulla…
Erika, purtroppo, non ce la restituisce più nessuno.
A giugno saremo a Torino, con i genitori di Erika,
per la posa di una targa ricordo". Amara considerazione
dello zio della vittima, Angelo Rossi. Soddisfatto,
invece, Nicola Menardo, il legale (Studio Grande
Stevens) di famiglia di Marisa Amato e Vincenzo
D’Ingeo, feriti gravemente quella sera: "Alla Procura
va il merito di aver chiuso in tempi brevi un'indagine
su una vicenda così complessa. Le condizioni della
donna sono stabili. Non ci sono miglioramenti rispetto
alla tetraplegia. Il marito ha avuto lesioni polmonari
e addominali che ora stanno rientrando, ma è ancora
molto provato. Oggi abbiamo depositato un'istanza
di accesso agli atti per capire le responsabilità
dei singoli soggetti coinvolti e ipotizzare le prime
richieste risarcitorie". Molto più caustico l'avvocato
Stefano Gubernati, assistente legale di tre feriti:
"La notizia degli arresti è positiva, ma rimane
il fatto che il 3 giugno la gestione di piazza San
Carlo non è stata ottimale. La Procura ha compiuto
un'indagine molto accurata, ora c'è da capire se
gli attori coinvolti abbiano delle responsabilità".
Esultano anche i vertici della Polizia per
il successo delle indagini. Segretario nazionale
dell’Associazione Nazionale Funzionari (Enzo Marco
Letizia) e segretario generale del Siap (Giuseppe
Tiani) quasi in coro: "Per noi è motivo di orgoglio
che le donne e gli uomini della Questura di Torino
abbiano individuato il gruppo di balordi che ha
trasformato una festa sportiva in orrore. Le indagini
mostrano che la paura fu innescata da un’azione
criminale nella folla, quindi il panico non si auto-innescò
ma fu l’effetto domino dell’uso scellerato di spray
urticante per commettere una rapina. La polizia
e la procura torinese hanno con successo fatto luce
sulle cause che hanno determinato 1.500 feriti e
la morte di una donna, risolvendo un mistero che
ha impressionato tutto il Paese". È stato il commissariato
di Barriera Nizza, in seguito ad una perquisizione
a carico di 4 componenti della banda dopo un furto
in un centro commerciale, a ricostruire un collegamento
con i fatti di Piazza San Carlo. Inchiesta condivisa
ed ampliata da Digos e Squadra Mobile di Torino
che ha ricostruito dalle celle telefoniche la presenza
di alcuni di loro la sera del 3 giugno 2017 in piazza.
Giungono anche i complimenti del procuratore generale
del Piemonte, Francesco Saluzzo, al Questore Francesco
Messina ed ai colleghi della Procura di Torino:
"Non conosco i dettagli dell'operazione ma da quel
che ho potuto capire mi pare che si sia trattato
di un lavoro investigativo straordinario. Un'indagine
complessa e condotta in modo molto intelligente".
Commenta il procuratore capo Armando Spataro: "Con
tale condotta hanno determinato la nota situazione
di panico che ha generato oltre 1500 feriti e la
morte di Erika Pioletti". Poi annuncia il termine
delle inchieste: "Siamo arrivati alla conclusione
dei due filoni d’indagine. È stata un’inchiesta
eseguita in tempi molto veloci, nonostante qualche
quotidiano abbia detto il contrario. Poco più di
otto mesi. I risultati, la cui bontà verrà valutata
dai giudici, sono frutto di un lavoro di squadra
tra gruppi specializzati. Intendo manifestare il
mio assoluto apprezzamento per l'atteggiamento manifestato
da tutti gli indagati fra cui la sindaca Chiara
Appendino. Un rispetto istituzionale che dimostra
come ci sia la volontà di difendersi nel processo
e non dal processo".
LA PERIZIA - A sostegno
della tesi di colpevolezza della banda dei giovinastri
inquisiti giungono i risultati delle analisi di
laboratorio effettuate sui campioni dei 4 indumenti
raccolti e conservati dalla Polizia Scientifica.
Rilevate tracce di "capsaicina" e "diidrocapsaicina"
su un cappellino da baseball, elementi caratteristici
dell’estratto di peperoncino usato negli spray urticanti
per difesa personale in libera vendita. Confermate,
quindi, con prova le testimonianze di quanti quella
sera avvertirono improvvisamente bruciore agli occhi.
Consegnata anche la perizia della consulenza psicologica
sulle reazioni della folla rispetto al panico generale.
UDIENZA DI CONVALIDA -
Nell’udienza di convalida degli arresti il Gip Stefano
Vitelli conferma il fermo per i "predoni al peperoncino",
derubricando il capo d’imputazione più grave di
Sohaib Bouimadaghen e Mohammed Machmachi. Non si
tratta più di "omicidio preterintenzionale" ma di
"morte come conseguenza di altro delitto" con l’aggravante
di "rapina pluriaggravata" e lesioni. Si legge nel
testo fra le motivazioni anche del "pericolo di
recidiva e di fuga" nonché di una "notevolissima
pericolosità sociale". Ascoltata per ora la difesa
che riteneva "l'evento morte non voluto e non previsto".
Secondo i legali, Foti, Cullari e Cargnino: "A nostro
avviso c'era una contraddizione. Se le lesioni agli
oltre trecento feriti erano state valutate come
conseguenze colpose, quindi non volute, anche l'evento
morte, in quanto conseguenza di un altro delitto,
avrebbe dovuto essere considerato non voluto e non
previsto". Nell’ordinanza per gli imputati resta
la "gravissima colpa" di aver "causato le prime
condizioni perché si realizzassero le gigantesche
e plurime ondate di panico (certo in quelle dimensioni
e portate non volute), che hanno causato così tanti
feriti fra gli spettatori presenti in piazza quella
sera e anche la morte di una di questi". Decade,
quindi, un nesso conseguenziale fra il decesso della
giovane di Domodossola e l’azione al fine di rapina,
in altro punto, peraltro, della piazza. A sostegno
il Gip conferma: "non vi è alcun dubbio che gli
indagati hanno cercato, come per prassi, manifestazioni
affollate per lavorare e utilizzato, secondo un
sistema rodato ed efficacissimo, lo spray al fine
di distrarre le vittime degli strappi e al fine
di creare confusione tra la gente intorno". L’azione
specifica del 3.06.2017 ha "costituito la causa
iniziale di un movimento disordinato e incontrollato
che ha portato alla fine, magari in presenza di
eventi intermedi, quale il forte rumore della rottura
di una ringhiera: ma sul punto sono necessari approfondimenti,
al panico diffuso… All’evento lesivo finale avrebbe
contribuito secondo l’ipotesi accusatoria una responsabilità
da accertare da parte di chi organizzò l’evento
che non avrebbe garantito le condizioni per un deflusso
in sicurezza. Deflusso improvviso e massivo che
doveva essere previsto". Come detto, quattro su
dieci sono coinvolti secondo la magistratura nella
rapina di Piazza San Carlo. Ricercato un quinto
elemento, segnalato proprio dagli altri giovani
che hanno dichiarato al Gip di "sentirsi in colpa
per essere stati la causa iniziale del panico".
La banda potrebbe essere anche più numerosa. È proprio
Sohaib a insinuare un dubbio negli inquirenti: "Non
siamo mica i soli a fare queste cose. Pochi minuti
dopo il vuoto che si è creato quando noi abbiamo
spruzzato lo spray e la gente ha iniziato a fuggire,
dall’altra parte della piazza si è creata la stessa
situazione e io credo che anche lì sia accaduto
che qualcuno si faceva le catenine, ma noi non c’entravamo
nulla". Che fossero presenti in piazza i Pm lo sapevano
da febbraio in base all’interrogatorio di un loro
conoscente che li aveva incontrati lo stesso giorno
e a cui dissero che "sarebbero andati in piazza
la sera per lavorare, ovvero fare rapine". Confermato
anche dall’altro compare di "Budino", Mohammed Machmachi:
"Durante la partita ci siamo mossi in continuazione
per fare collane… Io e Sohaib simulavamo di filmare
la partita con le braccia alzate per coprire Hamza
che prendeva la collana. Sohaib, poiché la situazione
era tranquilla e quindi c’era il rischio di essere
scoperti, ha spruzzato il peperoncino e Hamza ha
strappato la collana. Sohaib per provocare casino
spruzzò lo spray a terra in maniera che il gas salendo
provocasse lo spostamento delle persone". Inevitabile
anche per Hamza Belghazi, 20 anni, nato in Marocco
ma cittadino italiano, la notifica in carcere della
misura cautelare per la rapina. A difenderlo gli
avvocati Testa e Anetrini. Nega, invece, la sua
partecipazione alle rapine di quella serata, Aymene
Es Sabihi, 19 anni, nato in Marocco e residente
a Torino, interrogato in carcere a Cuneo. Ammette
di aver commesso con la banda altri colpi, non in
quella occasione: "Con piazza San Carlo non c'entro
nulla. Sono arrivato dopo la partita". Intanto,
il Tribunale del Riesame in una ordinanza ha confermato
che potranno essere processati in Italia anche per
i reati compiuti a Rotterdam, Francoforte, Amsterdam
e Berlino. In tutto si ipotizzano 45 casi complessivi
di rapina o "furto con strappo" per i predoni italo-marocchini,
consumati fra Italia ed Estero. Sulla base di una
ricostruzione dei magistrati che si è avvalsa anche
della confessione di alcuni indagati. Una pratica
ormai consueta e rodata in altre città e gruppi
criminosi d’Italia, tale da far pensare ai Pm di
contestare a tutti, anche per il futuro, direttamente
il reato di "associazione a delinquere". Nel contesto
dal Tribunale del Riesame viene rifiutata ai loro
legali la richiesta degli arresti domiciliari per
il rischio di fuga in paesi che non concederebbero
l’estradizione.
IL RICORSO DEI PM - Non
restano assolutamente convinti i sostituti procuratori
di Torino (Emilio Gatti, Roberto Sparagna e Paolo
Scafi) del parere contrario formulato dal Giudice
per le Indagini Preliminari a riguardo dell’accusa
di "omicidio preterintenzionale". Il Gip non ha
ritenuto che la morte di Erika fosse direttamente
conseguente alle rapine con il gas urticante sia
per tempi che per luogo, ma presentano ricorso al
Tribunale del Riesame contro la definizione del
reato come "morte in conseguenza di altro reato"
riavvalendosi della tesi avvalorata al momento dell’arresto
che sosteranno fino al processo. Sull’argomento
scrivono i pm: "L’omicidio preterintenzionale viene
contestato in quanto, oltre alle lesioni cagionate
alle persone attinte direttamente dall’azione dello
spray urticante e a quelle riportate da terze persone
che sono state travolte dalla folla che fuggiva
per il panico scatenato dall’uso della spray al
peperoncino, si è verificata la morte della Pioletti…
Se poi ci si volesse spingere fino alla disamina
dell’elemento soggettivo, non si può negare che
per i due correi fosse prevedibile che, seminando
il panico in una piazza sovraffollata, qualcuno
- non necessariamente le persone attinte dallo spray
- potesse restare gravemente ferito o addirittura
morire". Mentre prosegue la disputa "giurisprudenziale"
interna alla giustizia è proprio lo stesso Gip Vitelli
a confermare il carcere per gli arrestati ai quali
sarebbero scaduti i termini di custodia cautelare
per i fatti di Piazza San Carlo, ma restano dentro
per gli altri reati.
IL QUINTO COMPLICE - L’indagine
non si è accontentata dei dieci (7 in carcere) giovani
della banda. Si cercano un quinto componente del
gruppo in azione in piazza San Carlo e i canali
dei ricettatori della refurtiva. Sohaib "Budino",
il capobanda, si è detto "triste, dispiaciuto, preoccupato"
davanti ai Pm che lo descrivono "molto spaventato"
e ne hanno secretato il verbale dell’interrogatorio.
Il ragazzo avrebbe dovuto diplomarsi fra qualche
mese. Certamente con la sua collaborazione si è
allargato di più il raggio dell’inchiesta. "Nell’interrogatorio
è stato collaborativo, ma nei limiti delle sue responsabilità"
afferma l’avvocato Emanuela Cullari alla Stampa.
"Lo spray l’ho spruzzato io" aveva detto subito,
ammettendo di essere il possessore della bomboletta
al peperoncino e di averlo nebulizzato "nell’angolo
Sud della piazza a ridosso dello schermo". La banda
agiva in branco, oppure divisa o in attività solitaria,
ma tutti sapevano l’esito dei colpi degli altri,
pronti a coprirsi vicendevolmente. Il filo conduttore
tra le centinaia di messaggi WhatsApp scambiati
con i telefonini e sui loro profili social. La refurtiva
era scambiata con denaro contante da reinvestire
in viaggi e vestiti di marca. Una gang affiatata
di giovanissimi delinquenti nata in periferia, bullizzando
e rapinando i coetanei fino alla formazione di una
vera e propria associazione a delinquere con questa
escalation di furti in ogni dove, ma facendo uso
della stessa infame tecnica. Con tanto di autocompiacimento
il giorno dopo, riscontrabile nella messaggistica
social dove appaiono anche articoli di giornale
riferiti alle loro "gesta". "Dove andiamo noi succede
sempre casino" è la didascalia ad una di queste.
Anche il giorno successivo ai fatti tragici della
piazza avevano postato un video della fuga per le
vie del centro. Il 27 luglio 2018 la Squadra Mobile
della Polizia preleva in casa e arresta il quinto
complice della banda e lo annuncia sul proprio profilo
twitter. Il giovane è un marocchino, residente a
Torino, diciotto anni, all’epoca dei fatti era minorenne.
Per questa ragione la sua cattura è stata richiesta
dalla procura dei minori. Pendono su di lui tutti
i capi di accusa degli altri: "omicidio preterintenzionale",
"concorso in rapina", "lesioni aggravate" e "lesioni
come conseguenza di altro reato". Lo avrebbero tirato
dentro proprio i suoi "amici". Ciò nonostante, farà
leva proprio sulla sua giovane età, davanti ai Pm
Sparagna e Scafi ed al Gip del Tribunale dei Minori,
sostenendo la sua innocenza: "Ero lì quella sera
ma non ho mai fatto parte della banda dello spray".
Lo ribadisce alla stampa anche il suo legale Raffaele
Folino che proverà a tirarlo fuori dal "Ferrante
Aporti" dove è detenuto per misura cautelare, "così
da consentirgli di frequentare l’ultimo anno di
scuola". Una indagine anche fortunata se vogliamo,
non sarebbero bastate le indubbie capacità degli
investigatori per riposizionare le tessere del mosaico
e delineare il quadro accusatorio se "Budino" e
gli altri non avessero stupidamente parlato al telefono
dei colpi messi a segno quella sera e del metodo
come loro "marchio di fabbrica".
BUDINO e i 60 LADRONI -
Sono gli stessi arrestati a dichiararlo, come ad
esempio in un interrogatorio Hamza Belghazi, sprezzante:
"Siamo in tanti, siamo decine… Cosa credete, che
ci siamo solo noi di piazza San Carlo ?". Un esercito
di rapinatori che usano il metodo più in voga per
agire velocemente nel caos sfruttando il panico.
Circa una sessantina di elementi si alternavano
nei ladrocini ripetuti. Un fascicolo di 400 pagine
che la sezione Antirapine della Questura consegna
ai magistrati con i nomi e cognomi anche di tanti
minorenni. L’etnia in comune, nordafricani di prima
o seconda generazione. L’inchiesta a detta dei pm
Sparagna e Scafi "è sostanzialmente giunta a definizione
con le confessioni". Si avvicina per tutti l’invio
dell’avviso di chiusura indagini che prelude alla
richiesta di rinvio a giudizio. Ma il processo per
i cinque di Piazza San Carlo avrà un fardello molto
più pesante del furto: l’accusa di "omicidio preterintenzionale"
ora che il Tribunale del Riesame ha assodato che
"devono rispondere della morte di Erika Pioletti
come se la stessa fosse stata la diretta destinataria
dell’offesa". Per gli altri della gang "soltanto"
quella di rapina, furto e ricettazione. Inutile
il tentativo delle difese di contestare la custodia
cautelare. I ragazzi restano tutti in cella. In
dubbio soltanto il ricorso del 4 settembre 2018
proprio sull’accusa di omicidio sulla quale la stessa
Cassazione dovrà esprimersi che a giudizio dei penalisti
è "non sostenibile in assoluto per i fatti in questione".
Il perno della difesa sarà proprio nella dimostrazione
che il panico non dipese dal peperoncino, ma da
un boato, due minuti più tardi dello spruzzo, come
testimoniato da centinaia di testimoni. Intanto
il capo, Sohaib Bouimadaghen, come di tradizione
nei celeri percorsi di pentimento in carcere, esterna
le sue emozioni in una lettera inviata a La Stampa:
"Ammetto di aver fatto errori… È irreale pensare
che il mio spruzzo di spray indirizzato verso il
suolo a distanza di 10 minuti possa aver scatenato
il panico. Per quanto mi riguarda sono certo che
quel fenomeno sia potuto accadere solamente a seguito
del botto udito in piazza". Ammette "di aver messo
a segno le rapine in mezza Europa compresa quella
di Piazza San Carlo del 3 giugno 2017… Per noia,
per gioco… Era facile e c’era rischio zero…". Dice
di essersi "ritrovato per gioco in un giro di furti…
Per nostra fortuna nessuno ci aveva mai presi prima
di quella notte, ma ora posso dire che è stata una
sfortuna. Se ci avessero fermato ci avrebbero aperto
gli occhi, perché siamo molto giovani e abbiamo
bisogno di qualcuno che ci mostri la strada… In
cella ho pensato al suicidio… I brutti pensieri
che affollavano la cella… Solo grazie alla fede
e alle lettere degli amici… Ho capito che farmi
del male non avrebbe aiutato a far emergere la verità
e cioè che non c’entro nulla col mostro che è stato
dipinto. Avrei solo dato ulteriore dolore alla mia
famiglia e alle persone che mi vogliono bene".
LA PERIZIA VIDEO - Decisiva
per la Polizia Scientifica la sincronizzazione dei
filmati con gli eventi in corso in piazza San Carlo.
Allo scopo sono stati utilizzati i video degli impianti
di videosorveglianza, delle telecamere dei negozi,
le registrazioni amatoriali fatte con i cellulari,
le riprese delle troupe televisive e anche la telecronaca
della partita. Un lavoro maniacale al fotogramma
messo a disposizione della magistratura insieme
al corredo delle altre perizie concluse. 3288 reperti
a disposizione fra cui le immagini drammatiche (sgranate
e in bianco e nero) che inquadrano la giovane vittima,
Erika Pioletti, trasportata a braccia nell’androne
al civico 182 dove è stata rianimata 40 minuti prima
dell’arrivo dell’ambulanza. Nella relazione tecnica
gli esperti scrivono: "Il moto degli spettatori
si origina alle ore 22:12:08 nel quadrante anteriore
sinistro della piazza, intersezione con via Giolitti,
e prosegue con direzione e intensità variabili fino
alle ore 22:23:45 attraverso tre diverse fasi. Quando
la distanza tra i corpi è annullata dal numero eccessivo
di persone, un movimento non intenzionale di una
di loro può generare un'onda improvvisa che trasforma
la folla in una trappola mortale, sovrapponibile
a quel che succede a una mandria di animali spaventati.
Nella prima fase gli spettatori sono coinvolti in
un movimento ordinato come se fossero una cosa sola,
che li spinge ad allontanarsi in modo concentrico
dal punto di origine dell'evento, creando un arco
uniforme che si stende idealmente dal bar Mokita
a via Alfieri. Il moto diventa entropico passando
a un movimento stop and go che si è propagato come
un'onda lungo la direzione dello spostamento. In
alcune aree della piazza le persone sono costrette
a muoversi in spazi più ristretti addensandosi caoticamente.
In altre aree la folla scappa seguendo percorsi
obbligati come ad esempio nelle vie laterali. Gruppi
di persone hanno iniziato a muoversi casualmente
in tutte le direzioni in un fenomeno scientificamente
definito turbolenza della folla, come accade durante
un incendio: le persone si comportano come membri
di un gruppo, spesso esitando nella fuga per assicurarsi
che i propri cari li seguano per poi tornare indietro
a recuperare gli effetti personali".
"OMICIDIO PRETERINTENZIONALE"
- In dicembre anche la Cassazione boccia il ricorso
di "Budino" e conferma che è corretta da parte della
Procura l’ipotesi accusatoria del reato di "omicidio
preterintenzionale" per il quintetto di rapinatori
della "banda dello spray al peperoncino" il 3 giugno
2017 in piazza San Carlo. Un altro punto a favore
dell’accusa, dopo la conferma della custodia cautelare
per gli inquisiti. Parere anche influenzato dalla
recente disgrazia nella discoteca di Corinaldo,
in provincia di Ancona, dove un altro tentativo
di rapina con la stessa tecnica dello spray causò
la fuga, la ressa e la morte di sei persone, di
cui cinque minorenni.
Nelle
motivazioni della quinta sezione penale della Cassazione
si legge che c’è un "nesso eziologico, tra l’impiego
dello spray al peperoncino, ai danni di taluni degli
spettatori, e il primo spostamento di folla… A sua
volta, un allontanamento a raggiera delle persone,
collocate nelle vicinanze, per il timore di restare
vittime di un attentato terroristico, con l’intento
evidente di porsi in salvo, da una minaccia imminente
e sconosciuta". Qualche mese dopo nelle motivazioni
della sentenza spiegheranno: "Quando viene commessa
una rapina che abbia come sviluppo non voluto la
morte di una persona, viene senz’altro integrato
il presupposto del delitto di cui all’articolo 584
del codice penale. La morte di Erika Pioletti è
in progressione criminosa con la violenza esercitata
per impossessarsi del bene altrui… Nessun dubbio,
la condotta del ricorrente di impiegare una bomboletta
spray al peperoncino rientrasse nella nozione di
violenza". Anzi, si rincara la dose, perché andrebbe
applicata l’"aberratio ictus plurilesiva": un istituto
secondo il quale nel caso si colpisca un'altra persona
(Erika Pioletti) oltre la vittima designata (vittima
del furto) il codice penale prevede che "il reo
risponda del reato più grave con un aumento di pena
fino alla metà". Commenta uno dei legali dei giovani,
Guido Anetrini: "Si tratta certamente di un punto
a nostro sfavore", ma in processi come questi ci
sono continui aggiornamenti".
RINVIO A GIUDIZIO
- Tutto
è ormai pronto per il processo. Mancano alcuni passaggi
formali. Qualche giorno prima di Natale la Procura
chiede il rinvio a giudizio per quattro dei cinque
componenti della gang che rapinò i tifosi in Piazza
San Carlo e spruzzò la sostanza urticante con le
conseguenze drammatiche ormai note in ogni aspetto.
Per il quinto componente, all’epoca minorenne, il
caso è seguito dalla Procura Minorile. Sono gli
unici imputabili per i fatti di quella sera, perché
ne è stata accertata la presenza in loco. Non è
ancora stato deciso se il procedimento nei loro
confronti venga accorpato all’altro processo per
la Sindaca, Questore e altri funzionari, amministratori
e organizzatori della manifestazione. Definitivo
legalmente il bilancio complessivo dei feriti: 1.693.
LA LETTERINA DI NATALE
- Dopo il capo, un altro membro della banda,
recluso nel carcere minorile "Ferrante Aporti"
dal mese di luglio, pensa di affidare il suo
pentimento alla carta da lettera. Si tratta del
più piccolo fra tutti, all’epoca diciasettenne,
Aymen H. che scrive: "Scrivo a te… A te che
quella maledetta sera eri lì a tifare per la tua
squadra del cuore ed è assurdo come un momento
che sarebbe dovuto essere di gioia si sia
trasformato in un incubo. A te, piccola stella,
che eri insieme ai tuoi genitori e ti sei
ritrovato in una bolgia di persone… Non
basterebbero tutte le scuse di questo mondo per
farsi perdonare le conseguenze causate quella
sera, non doveva andare così, ed è incredibile
come la vita sappia essere così cattiva. Io,
seppur con un ruolo marginale sono colpevole e
di conseguenza mi sento addosso un peso sulla
coscienza enorme. Ci è voluto un po' affinché io
capissi la gravità e le mie responsabilità, dopo
ciò è stato difficilissimo convivere con essa.
Con il passare dei giorni, delle sere, a pensare
e ripensare a quegli interminabili attimi di
terrore e alle tante vittime… A pensare a chi
purtroppo non c'è più… Al dolore causato ai
parenti… Fa male. Trovar difficoltà nel guardar
negli occhi i propri genitori fa male perché la
delusione causatagli è troppo grande e di certo
non sono questi i valori che mi hanno trasmesso.
Sono consapevole che le scuse tramite una
lettera serviranno a ben poco, non rimetteranno
a posto le cose, ma penso che possa essere un
primo grande passo per riuscire un domani a
reinserirmi con dignità nella società, con una
grande "x" segnata sulla schiena affinché in
futuro io non possa mai più sbagliare".
IL
1° PROCESSO DELLA MAGISTRATURA:
IL RITO
ABBREVIATO |
IL PROCEDIMENTO
- Nei primi mesi dell’anno si stabilisce luogo e
data ufficiale del processo per i 4 "giovinastri"
della "banda dello spray": Torino, 25 marzo 2019.
Come un macigno, l’accusa di "omicidio preterintenzionale"
per la morte della domese Erika Pioletti si è amplificata
per il decesso della signora Marisa Amato. Ferita
gravemente (era rimasta tetraplegica) insieme al
marito Vincenzo D’Ingeo si era aggravata per complicanze
polmonari alla fine di gennaio. Gli imputati Sohaib
Boumadaghen, Hamza Belghazi, Es Sahibi Aymene e
Mohammed Machmachi hanno scelto il rito abbreviato,
una modalità più rapida che prevede il giudizio
"secco" sulla base dei documenti dell’indagine preliminare
e senza che interferiscano le audizioni di testimoni.
Previsto uno sconto di un terzo della pena nel caso
di condanna. Con questa scelta, ufficializzata dai
legali al gup Maria Francesca Abenavoli, il procedimento
avrà tempi brevi e non sarà riunificato al processo
dell’Appendino e degli altri 14 imputati che certamente
inizierà a sentenze di questo già emesse in primo
grado.
L’ACCUSA - Nell’aula 37,
al piano terra del tribunale di Torino, il giorno
prestabilito si parte subito con la requisitoria
dei sostituti procuratori Roberto Sparagna e Paolo
Scafi. I capi d’accusa prevedono "omicidio preterintenzionale"
per le morti di Erika Pioletti e Marisa Amato, "rapina
aggravata", lesioni personali volontarie e furto
(per tre su quattro). La richiesta dei pm è una
condanna a 14 anni di detenzione per gli imputati:
Sohaib Bouimadaghen detto Budino, 21 anni, Hamza
Belghazi, 20 anni, Aymene Es Sahibi, 22 anni, e
Mohammed Machmachi, 21 anni arrestati nel mese di
aprile 2018. Per la precisione l’accusa ha chiesto
la somma totale scaturita calcolando un giorno di
carcere per ciascun ferito e cinque per ognuna delle
persone aggredite dallo spray al peperoncino. Il
commento dell’avvocato di "Budino" (Basilio Foti)
è piccato: "Condanne di questo tipo sembrano rispondere
più alle aspettative mediatiche che ai reali accadimenti
sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo".
IL PATTEGGIAMENTO
- Mentre
si avvicina la sentenza di primo grado per i reati
più gravi dei quattro maghrebini di Piazza San Carlo,
nel procedimento parallelo tutti i 10 accusati di
13 rapine e 29 furti commessi durante concerti ed
eventi in Italia e nel resto d’Europa hanno patteggiato
in udienza preliminare pene che partono da un minimo
di un anno ad un massimo di quattro e otto mesi.
Alcuni degli imputati "hanno chiesto scusa sostenendo
di essere pentiti, di volere cambiare vita e riprendere
gli studi".
LA DIFESA - Nel processo
dei 4 accusati di "omicidio preterintenzionale"
la parola passa alla difesa. Basilio Foti, difensore
di Sohaib Bouimadaghen, sostiene: "Lo spray è riconoscibile,
lo vedi e lo senti. Lo respiri, perché è nell’aria.
E se dà fastidio, ci si sposta senza fuggire. Quella
sera i quattro giovani rapinatori erano lì per rubare,
desideravano provocare un minimo di distrazione
tra i tifosi e non certamente il caos. Tant’è che
anche loro hanno lasciato la piazza nel momento
in cui è esploso il panico… Non dobbiamo confondere
la gravità della tragedia con la solidità degli
elementi d’accusa. Qui non è stato nemmeno dimostrato
che quella sera in piazza non fossero in azione
altri gruppetti di rapinatori: anzi, è assai probabile
che ce ne fossero. Budino e i suoi amici non erano
gli unici armati di spray. I nostri assistiti hanno
sempre detto che il fenomeno delle rapine con lo
spray è molto diffuso e che quella sera non erano
l’unica banda presente in piazza. Per cui non è
assolutamente detto che siano stati loro a provocare
la fuga del pubblico. In ogni caso, non è possibile
tracciare un collegamento diretto tra i decessi
delle due donne e la condotta dei nostri assistiti".
Considerando che "quella era epoca di attentati
veri in giro per il mondo e il timore di un’azione
terroristica era fondato" al termine degli interventi
i legali chiedono l’assoluzione dall’omicidio preterintenzionale
per non aver commesso il fatto o la derubricazione
in omicidio colposo".
LA SENTENZA - Il 17 di
maggio 2019 arriva la sentenza che riconosce tutti
gli imputati colpevoli di rapina, furto, lesioni
e soprattutto di omicidio preterintenzionale: Sohaib
Boumadaghen, Hamza Belghazi e Mohammed Machmachi
(età: 21, 20 e 21) condannati a 10 anni, 4 mesi
e 20 giorni di reclusione, Es Sahibi Aymene (età:
22) a 10 anni, 3 mesi e 24 giorni, perché partecipante
a meno furti. Maria Francesca Abenavoli, accogliendo
la richiesta dei pm, emette una nuova misura cautelare
per scongiurare il pericolo di fuga fino al nuovo
processo. Resteranno
detenuti nelle carceri "Lorusso" e "Cutugno" di
Torino. Fidanzate e sorelle degli imputati, alla
lettura della sentenza piangono assieme ai quattro
componenti della banda che esclamano: "Vorremmo
riavvolgere il nastro della nostra vita". Reazione
prevedibile delle difese che annunciano il ricorso
in appello. Più polemico l’avvocato Foti che rilascia
una dichiarazione all'AdnKronos: "Mi aspettavo qualcosa
di diverso e di meglio e rimango convinto della
nostra ricostruzione dei fatti: non ci fu la rapina
all'origine della tragedia. Nessuno può negare la
gravità di quanto successo quella sera in piazza,
ma gli atti devono essere volontari e consapevoli
per essere valutati in maniera piena perché gli
automatismi non fanno mai giustizia. In ogni caso,
mai come in questa vicenda è necessario aspettare
di leggere le motivazioni della sentenza per capire
il perché della decisione del giudice. Poi faremo
appello. Questa non è giustizia. Non è giustizia
perché non ci può essere alcun nesso tra lo spray
e la morte di Erika Pioletti e Marisa Amato, che
furono travolte a centinaia di metri di distanza.
Questi ragazzi non solo non volevano la morte di
nessuno, ma nemmeno l’avevano prevista. Questa decisione
è la risposta a un’ansia che non ha nulla a che
vedere con la giustizia". Una cosa è certa, comunque
la reazione della gente dopo le ripetute dello spray
al peperoncino in aria fu scomposta e si allargò
a macchia d’olio. Non ci fu soltanto il bruciore
degli occhi e in gola degli spettatori investiti
dalle zaffate, Il panico sopraggiunse di conseguenza,
propagandosi per suggestione, ma soprattutto sulla
base di un’azione reale di causa-effetto. Alla soddisfazione
per l’accoglimento della loro tesi da parte dei
Pm Scafi e Sparagna si aggiunge il plauso dell’avvocato
Daniele Folino, legale del fidanzato di Erika: "È
positivo che ci sia stato un riconoscimento della
gravità di ciò che è accaduto e che si sia risaliti
al fatto scatenante del panico. Ne sono lieto. Le
omissioni e le negligenze che hanno determinato
gli eventi sono piuttosto macroscopiche ed evidenti.
Siamo in attesa di capire se arriverà una proposta
di risarcimento, che, ad oggi, non c’è stata". Polemico
sui social Francesco Amato, fratello di Marisa,
l’altra vittima: "Tra un anno saranno fuori". Rimangono
in silenzio, invece, le due famiglie delle vittime,
conservando l’atteggiamento riservato e dignitoso
tenuto sin dal principio della vicenda. Sarà certamente
l’altro troncone del processo che contesta l’organizzazione
della manifestazione nei suoi attori principali
a detenere quel potenziale gravido di responsabilità
civili e penali oggetto di serrati duelli fra pubblico
ministero e difese degli eccellenti rinviati a giudizio.
E sullo sfondo le faticose trattative per gli indennizzi
alle parti civili dalle compagnie assicuratrici
del Comune e dell'ente Turismo. 32 le "persone offese"
già in accordo con il Comune di Torino (tramite
le assicurazioni Unipol e Reale Mutua) per il risarcimento,
altre 23, in fase molto avanzata, prossima alla
firma. Appuntamento a giugno per l’avvio del procedimento,
impantanato ancora nell’udienza preliminare, che
vedrà coinvolti la sindaca Chiara Appendino, il
questore al tempo, Angelo Sanna, il viceprefetto
Roberto Dosio più altri dodici imputati.
LA QUINTA SENTENZA - Non
si fa attendere la giustizia anche per il quinto
detenuto (Aymen H) giudicato dal Tribunale dei Minori,
essendo minorenne all’epoca dei fatti. La condanna
è decisamente più lieve: 3 anni di lavori socialmente
utili, poiché non fece uso dello spray nel contesto
delle rapine. Processo sospeso, accogliendo una
richiesta di messa alla prova del suo legale, Raffaele
Folino.
LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
- Ad agosto è possibile per le difese e la stampa
accedere alle motivazioni della sentenza di primo
grado emessa dal Gup Maria Francesca Abenavoli in
ottantotto pagine. Colpevoli anche di omicidio preterintenzionale
"perché è acclarato che gli imputati sapessero perfettamente
che la diffusione dello spray avrebbe creato scompiglio
e movimenti incontrollabili della folla… Si sono
dati allegramente alla fuga pubblicando la propria
immagine mostrandosi orgogliosi della propria bravata:
ciò dimostra senza ombra di dubbio che la calca,
la caduta fossero stati messi in conto". Lo spray
venne spruzzato scientemente "verso il basso per
diffonderne in modo più ampio l’effetto lesivo"
si legge nel testo e nonostante i media avessero
dato ampio risalto alle tragiche conseguenze di
quello spruzzo di gas, "hanno tranquillamente continuato
a delinquere con le medesime modalità in luoghi
affollati". Emerse fra le indiscrezioni trapelate
che i soggetti cercarono maldestramente d’imbastire
un racconto comune dei fatti, scambiando alcuni
messaggi sui muri delle celle del tribunale dove
attendevano di essere interrogati. Il giudice si
è avvalso della perizia video della Scientifica,
scoprendo che il rumore segnalato dagli imputati
viene dopo la prima ondata di panico. Ha anche appurato
che non ci fossero altre bande simili ("rapinatori
genovesi") in azione quella sera. Per quanto riguarda
la tesi difensiva sulle disfunzioni organizzative,
reale causa degli esiti tragici della manifestazione,
il giudice ha specificato che "l’eventuale responsabilità
colposa degli organizzatori quand’anche accertata
non potrebbe in alcun modo escludere la responsabilità
degli attuali imputati per aver innescato la sequenza
causale che ha cagionato la morte di Erika Pioletti,
Marisa Amato e innumerevoli casi di lesioni".
RICHIESTA DI APPELLO
- L’avvocato Basilio Foti,
difensore di 2 fra i 4 magrebini
condannati in primo grado a 10
anni e 4 mesi di reclusione per
omicidio preterintenzionale
(lesioni, rapina e furto)
presenta il ricorso in appello,
sostenendo la singolare tesi per
la quale in piazza ci fossero
anche alcuni ultras juventini in
dissidio con il club per la
distribuzione dei biglietti
della finale e con l’intento
premeditato di provocare
disordini. In virtù di tali
"circostanze che non sono state
adeguatamente approfondite" la
morte delle due donne ed il
ferimento di oltre 1600 persone
sarebbero pertanto, a suo dire,
il risultato di una serie di
"concause". Ricorrono in appello
anche gli altri legali.
IL
2° PROCESSO DELLA MAGISTRATURA:
L'APPELLO |
PROCESSO DI APPELLO - Alla
riapertura dell’attività giudiziaria in tribunale,
sospesa alcuni mesi per il Covid 19, nel processo
di appello il procuratore generale Elena Daloiso
chiede la conferma della condanna a 10 anni di carcere
per i componenti della banda dello spray. Sostiene
che "gli imputati volevano cagionare lesioni, il
panico ha travolto le persone, le ha ferite e ne
ha ucciso due. Dalla rapina alla morte non c'è nessuna
interruzione, è un unico filo. Erika Pioletti e
Marisa Amato sono morte perché gli imputati hanno
commesso la rapina, c'era la volontà di ledere i
presenti con lo spray. Ci sono persone che non avranno
più coraggio di entrare neppure in un cinema, assistere
a un concerto, andare in qualsiasi luogo in cui
ci sia un assembramento di persone".
IL PENTIMENTO - "Ho voluto
scrivere queste parole per chiedere perdono alle
famiglie delle vittime e a tutti i feriti. Mi dispiace
per tutto ciò che è successo. Non è mai stata mia
intenzione causare il panico nella folla né tanto
meno la morte di due persone. Lo sbaglio più grande
della mia giovane vita è stato commettere furti
e rapine: agivo con leggerezza, senza pensare alle
conseguenze e solo ora mi rendo conto della gravità
dei miei atti. Sono errori che non intendo commettere
mai più perché ho capito che la vita è bella e va
vissuta nel rispetto di me stesso e degli altri
e nell’onestà più assoluta. Dopo questi due anni
di carcere, in cui ho avuto modo di riflettere tanto,
mi sento veramente pronto e forte per dare una svolta
definitiva alla mia vita. Con la delinquenza ho
chiuso per sempre". Così scrive Hamza Belghazi,
uno dei quattro processati in appello, in una lettera
consegnata ai giudici. Il giovane marocchino, difeso
dall’avvocato Antonio Testa, si era ammalato di
coronavirus, guarendo. Si è iscritto alla Scuola
Superiore Giulio (Servizi per la Sanità e l’Assistenza
Sociale) e ne va fiero. Concludendo il suo messaggio
di pentimento scrive: "A breve avrò l’esame di maturità.
Anche lo studio mi sta insegnando ad usare bene
la mia intelligenza, a sviluppare nuovi punti di
vista sulle cose. Purtroppo non posso cambiare quello
che è successo, ma sono cambiato io. Sono molto
pentito e dispiaciuto per tutto l’accaduto".
"VITA NOVA"
- La "nuova vita" per i ragazzi
condannati ha inizio in
penitenziario secondo la nota
filosofia del recupero sociale.
Sport, istruzione, un mestiere
da imparare. Queste le vie
indicate per poter ricominciare
sulla strada maestra dei giusti.
C’è chi impara a fare il sarto,
chi studia per il diploma, chi
si è dato al rugby, chi
diventerà un barbiere. Sohaib
Boumadaghen (detto Budino) a 21
anni offre un saggio della sua
neo saggezza, parlando dal
carcere di Biella in video
conferenza con l’aula 6 del
Palagiustizia di Torino, durante
il processo per omicidio
preterintenzionale di 2° grado,
davanti al presidente Fabrizio
Pasi e alla prima sezione della
Corte d’Assise d’Appello: "Sono
un uomo cambiato. Quel giorno
abbiamo fatto una cavolata, ma
non potevamo immaginare ciò che
poi è accaduto". E poi racconta
alla corte della sua nuova
occupazione in carcere: "Faccio
il sarto... Sto imparando… Sono
cambiato, sto cercando di
riprendere in mano la mia vita".
Questo è il nuovo mondo di
"Budino": fra gli aghi, le
stoffe e i fili colorati del
laboratorio di cucito dove
produce mascherine contro la
pandemia. Nei monitor dell’aula
si alternano anche le immagini
che riprendono i volti degli
altri imputati: Sahibi Aymene
(20 anni) e Mohammed Machmachi
(21). Assente all’appello,
invece, Hamza Belghazi, agli
arresti domiciliari poiché
risultato positivo al Covid-19
un mese prima: ha problemi di
connessione da casa. Alle scuse
del primo loro complice si
aggiungono dal carcere di Torino
quelle di Sahibi: "Abbiamo
sbagliato, non volevamo fare del
male a nessuno". Studia e legge
tanto, ma la sua grande passione
per lo sport trova sfogo
allenandosi con "La Drola",
squadra professionistica di
rugby dell’istituto
penitenziario che milita in
serie C nel campionato
regionale. Mohammed, invece, ha
preferito restare in silenzio.
Durante la detenzione studia
preparandosi alla maturità con
un istituto privato di recupero
scolastico e lavora come
barbiere.
LA CONFERMA
- Venerdì 17 Luglio 2020, la
Corte d’Assise di Appello ha
confermato la sentenza di 1°
grado con la condanna a dieci
anni di reclusione, non
applicando alcuno sconto sulle
pene, come atteso dalla difesa.
Queste le dichiarazioni a caldo
dei legali dei giovani imputati:
"Speravo in qualcosa di meglio.
Ci voleva più coraggio.
Leggeremo le motivazioni e
faremo ricorso in cassazione
(Avv. Basilio Foti)". "Ritengo
che gli elementi portati nel
giudizio di appello fossero tali
da poter dimostrare una
ricostruzione diversa dei fatti
in termini di responsabilità
(Avv. Laura Cargnino)".
"Leggeremo le motivazioni e
vedremo se confermano quelle del
primo grado. Cambiare la
sentenza di primo grado avrebbe
richiesto uno sforzo
motivazionale impegnativo: si
sarebbe dovuto riqualificare il
reato da omicidio
preterintenzionale a omicidio
colposo (Avv. Antonio Testa)".
Fonti: Ansa.it
- Adnkronos.com - Lastampa.it - Blastingnews.com
- Torino.corriere.it - Quotidiano.net - Cronacaqui.it
- Tuttosport.com - Poliziadistato.it - Gazzetta.it
- Huffingtonpost.it - Avvenire.it - Ilfattoquotidiano.it
- Torino.repubblica.it - ilgiornale.it - lospiffero.com
- Ilmattino.it - Torinoggi.it - Notizie.tiscali.it
- Globalist.it - Tpi.it - Torinotoday.it - Fanpage.it
- Nuovasocieta.it - Ilrestodelcarlino.it - Quotidianopiemontese.it
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