La folla schiacciata
durante la partita
La calca a Torino dopo
la finale: venti minuti di
panico. "È stata una bravata"
di Marco Imarisio
Alla
fine è stato un gioco da
ragazzi. Su una colonna esterna
dei portici c’è l’impronta
insanguinata di una mano, e con
i rivoli qualcuno ci ha scritto
"No". Ognuno si porterà scritto
sulla pelle il ricordo peggiore,
c’è solo da scegliere. Quello di
Sara Campi, studentessa
universitaria arrivata da Milano
con il fidanzato e l’Intercity
delle 20, l’ultimo treno, è il
buco al centro della bocca,
laddove c’erano i suoi incisivi.
Non sa chi è stato, ma da ieri
notte sa che ci sono momenti
dove ognuno per sé, dove
l’umanità si fa più rarefatta e
i ragazzi mettono le mani negli
zaini abbandonati dai loro
compagni in fuga da un nemico
immaginario. "Pugni e gomitate
selvagge come il colpo che mi ha
fatto saltare i denti. La gente
correva verso i varchi e per
guadagnare un metro picchiava e
strattonava chi aveva davanti e
dietro, gente con la quale fino
a pochi minuti prima stava
abbracciata".
IL GIORNO DOPO TORINO SI
SCOPRE PIÙ VULNERABILE
- Il giorno dopo Torino
si scopre più vulnerabile,
ferita in senso letterale e
fisico, forse anche un poco più
brutta, perché in piazza San
Carlo, che di questa città è il
cuore sono successe tante cose
brutte, al punto che neppure la
pioggia notturna e le doppie
pulizie sono riuscite a lavarle
via. Le cronache degli eventi
non dovrebbero mai superare un
certo tasso di emoglobina, ma
ieri mattina era davvero
difficile ignorare gli schizzi
di sangue sui muri, i kleenex e
persino le pagine del giornale
gratuito distribuito in piazza
intrisi di rosso e
accartocciati. E negli
interstizi dei sanpietrini,
vetri, cocci di vetro ovunque,
al punto che delle 1.527 persone
che hanno ricevuto cure
ospedaliere almeno 8-900,
secondo i calcoli empirici fatti
al Pronto soccorso delle
Molinette, che ha fatto da
centro di smistamento verso gli
altri ospedali cittadini e
piemontesi, perché alle cinque
del mattino a Torino non c’erano
più letti e personale a
sufficienza, presentano ferite
da taglio curate con punti di
sutura. E tutto questo
disvelamento, questa paura
inutile neppure temperata dalla
consapevolezza che poteva andare
davvero molto peggio, per una
bravata, uno scherzo imbecille
che ha scatenato 20 minuti di
panico e ha reso la scorsa notte
un futuro caso di scuola sulla
psicosi da terrorismo. Non è
neppure così importante chi ne è
stato l’autore, la sua identità.
Sappiamo che c’è un prima calmo
e silenzioso a causa della
sconfitta incombente della
Juventus e un dopo che comincia
alle 22.25, subito dopo il terzo
gol del Real Madrid. Il fermo
immagine è su un gruppo nella
parte di piazza dove la folla si
fa più rarefatta, verso piazza
Castello, a sessanta metri dal
megaschermo, davanti al
ristorante che porta il nome del
monumento tutelare, il Caval ‘d
Brons.
C’È UN RAGAZZO A PETTO
NUDO -
C’è un ragazzo a petto nudo con
uno zaino nero sulle spalle.
Intorno a lui si crea il vuoto,
la gente corre in avanti, corre
dappertutto tranne che verso di
lui. Il ragazzo alza le mani,
potrebbe sembrare la posa di un
kamikaze o invece il tentativo
di voler fermare l’onda, quasi a
voler dire non è quello che
credete, non abbiamo fatto
niente. Le testimonianze
riferiscono che il suo amico
avrebbe accompagnato un suo
gesto, un suono, con l’urlo "è
un attentato". I due giovani
sono entrambi lombardi, uno di
loro ha una segnalazione per
tafferugli da curva. Sono stati
riconosciuti da un filmato. Sono
entrati in questura alle 14. Ne
sono usciti dopo dieci ore di
testimonianza confusa, a volte
contraddittoria, dove si sono
spinti ad ammettere che c’è
stato un momento "di confusione"
dove qualcuno, comunque non
loro, "avrebbe fatto una
stupidata". Ma comunque liberi,
finora, e pare neppure inseguiti
da una denuncia per procurato
allarme. La bravata è l’unica
spiegazione. Non ci sono altre
concause. Lo scoppio dei petardi
non risulta in alcuna traccia
sonora della serata, se c’è
stato si tratta di piccoli
botti, grandi qual tanto che
basta per scuotere il subconscio
e far emergere la grande paura
collettiva di questi anni. La
folla si è mossa a sciame, sul
lato a sinistra dello schermo,
per poi passargli davanti
allargandosi, attraversando la
piazza in una fuga collettiva
che si è conclusa sulle vetrine
del dehor del Caffè San Carlo,
su quelle dell’antica drogheria
Paissa, abbattendo la ringhiera
di ferro della scalinata che
porta al parcheggio sotterraneo,
l’unico fragore percepito, e
guardando quei due metri di
vuoto che finiscono sui gradini
di cemento viene in mente
un’altra tragica finale di Coppa
dei Campioni, e l’esistenza dei
miracoli.
LA SINDACA
-
La fortuna non esime dalla
ricerca delle responsabilità,
anche se al momento non si
intravedono volontari disposti a
farsene carico. Al mattino, in
un fugace incontro con la stampa
insieme alla sindaca Chiara
Appendino e al questore Angelo
Sanna, il prefetto Renato
Saccone ha elogiato i controlli
di sicurezza antiterrorismo in
una città "che vive di ansia" e
ha provato "un’ondata di panico
la cui gestione è stata resa
difficile da una situazione
internazionale che certo non
aiuta". Ci sarebbe qualche
piccolo dettaglio da spiegare,
come la gestione dell’ordine
pubblico, dei controlli nei sei
varchi della piazza, poi
divenuti benedette vie di fuga
nel momento più difficile, e
soprattutto la presenza di tutto
quel vetro e quindi di tanto
alcol.
LA CROCE ROSSA ERA GIÀ
INTERVENUTA -
Alle 19.30, un’ora prima
dell’inizio della partita, la
Croce rossa era già intervenuta
dodici volte per prelevare
spettatori completamente
ubriachi. I bar di piazza San
Carlo e delle vie circostanti
erano aperti e servivano
qualunque bevanda. Dai varchi
passavano venditori abusivi con
i loro frigoriferi a tracolla. I
fatti sono questi. L’ordinanza
promulgata il primo giugno dal
Comune avente per oggetto
"l’allestimento maxischermi
finale Champions" si limita a
disciplinare la circolazione
stradale, senza fare cenno al
divieto vigente per analoghi
assembramenti sulla vendita di
alcolici. In assenza di altre
indicazioni, ribattono dal
Comune, resta valida l’ordinanza
del 2010 che "vieta dalle sei
ore precedenti l’evento sino
alle tre successive al termine
dello stesso la somministrazione
e la vendita di bevande in vetro
o lattine". Un’altra nota
dell’amministrazione comunale
precisa che il soggetto
organizzatore è Turismo Torino,
una partecipata, che si è
limitata a replicare le regole
di ingaggio della finale contro
il Barcellona, quando "non c’era
alcun provvedimento di ulteriore
limitazione della vendita di
vetro e metallo". La questura
tace in via ufficiale e fa
sapere in via ufficiosa della
carenza di vigili urbani e del
Fuoco in piazza San Carlo. La
concordia istituzionale fatica
ad andare di pari passo con
l’enormità del pericolo che ha
sfiorato Torino. Ci sono troppe
convenienze e cattive coscienze,
quando ci sarebbe invece da
riflettere e molto, sulla
gestione di certi eventi. A
Londra c’erano morti e feriti
per un attentato. A Torino ci si
è fatti molto male per la paura
di un attentato. Il tempo che
stiamo vivendo è qui. Tra i
vetri e il sangue di piazza San
Carlo.
4 giugno 2017
Fonte: Corriere.it
© Fotografia:
Sky.it
La notte del panico di
Torino: cosa è successo
e come hanno reagito i
servizi di emergenza ?
Un evento comunale
organizzato con pochi giorni di
anticipo, ha messo a dura prova
tutto il sistema dell’emergenza,
che però ha avuto una reazione
che potrebbe diventare da
manuale e portare novità
nell’organizzazione degli
eventi. Scopriamo cosa è
successo davvero in Piazza San
Carlo a Torino dopo la
generazione del panico assoluto.
TORINO
- Se la cronaca dei momenti di
panico e delirio a Torino, in
Piazza San Carlo, ha già coperto
a 360 gradi ogni situazione e i
numeri sono già chiari, mancano
i dati sul come è stato
organizzato l’evento e sul come
è stata data una risposta
immediata, quasi
anti-terroristica, da parte del
sistema di emergenza-urgenza di
Torino. Durante la terribile
notte del 3 giugno, per la
finale di Champions League in
Piazza San Carlo, abbiamo
appurato che non è stata fatta
alcuna concertazione tecnica con
i servizi di emergenza
piemontesi. Perché ad oggi è
questo che prevede la normativa:
se l’evento è "comunale" non è
necessario avere
l’autorizzazione o confrontarsi
con nessuna struttura di
sicurezza. Ad oggi non è neppure
obbligatorio informare il 118 di
un evento come quello
organizzato a Torino, cosa che
comunque l’amministrazione
locale ha fatto due giorni prima
della finale. La responsabilità
organizzativa dell’evento in
Piazza San Carlo quindi è stata
tutta del Comune di Torino e per
gestire l’evento, in piazza
erano presenti due medici,
squadre di soccorritori a piedi,
un PMA e due ambulanze.
L’afflusso stimato di persone
all’inizio della partita è stato
di circa 30.000 tifosi della
Juventus. Per cercare di fare
luce sulla risposta del sistema
di emergenza all’evento dopo lo
scatenarsi del panico, abbiamo
intervistato telefonicamente il
direttore sanitario del 118 di
Torino, il dottor Ciriaco
Persichilli, che - dalle
testimonianze raccolte e dai
numeri dei trattamenti
effettuati in circa 4 ore - può
giustamente dirsi orgoglioso dei
suoi medici, dei suoi infermieri
e dei soccorritori volontari
della città.
"Da
un punto di vista tecnico, un
evento come quello di Piazza San
Carlo aveva una copertura
adeguata, anche se non era
assicurata da un servizio
pubblico ma da una gestione
privata. Questo evento si può
paragonare all’organizzazione
sanitaria che viene effettuata
per una partita di calcio di
serie A. Più che il numero dei
soccorritori presenti durante
l’evento, è da valutare la
reazione successiva al fatto che
si è verificato, una reazione
che non era nemmeno
prevedibile".
L’eventualità ordinaria quindi
era gestibile, ma quando un
fatto non ancora chiarito ha
generato un panico massimo in
una folla molto grande, il
servizio è diventato drammatico.
"Anche in un rave, per esempio,
ci sono rischi elevati e ci sono
un determinato numero di
soccorritori. Però quando scatta
qualcosa di grave e ci si trova
a dover gestire 1.500 feriti
medicati in itinere, diventa
complesso per chiunque gestire
la cosa. Noi abbiamo attivato la
centrale di maxi-emergenza
perché appena si è generato il
tutto abbiamo attivato i mezzi
reperibili, la centrale con me e
il capo-sala a coordinare,
abbiamo inviato il medico
coordinatore, abbiamo attivato
tutte le medicalizzate sul
territorio e fatte convogliare
in zona, con loro ci siamo
rapportati alle autorità e alle
forze dell’ordine. Abbiamo
attivato i mezzi pubblici per
l’evacuazione e la gestione dei
feriti più lievi. Tutti gli
ospedali dell’area sono stati
attivati con il circondario di
Torino. La risposta è stata
immediata e grande da parte del
mondo del volontariato. I nostri
medici hanno fatto interventi
rapidi sui codici maggiori, i
due più gravi che hanno avuto
grande evidenza mediatica, sono
casi che hanno avuto un
approccio rapido e immediato.
Poi abbiamo lavorato sugli
ospedali periferici di
Moncalieri, Chieri, Chivasso
dove abbiamo appunto mandato i
codici più lievi. Le strutture
cittadine sono state preservate
perché abbiamo capito subito che
sarebbero stati costretti a
gestire l’ondata dei feriti che
da soli, a piedi o in auto,
avrebbero cercato di raggiungere
un posto sanitario. Le Molinette
e il CTO quindi non sono stati
usati da noi, se non per
l’evento traumatico maggiore. Ci
siamo riservati gli ospedali
centrali di Torino perché sono i
DEA di secondo livello più
importanti. Li abbiamo
preservati dai codici verdi in
caso di codici maggiori. Per
fortuna i codici erano quasi
tutti verdi. Per il 118 abbiamo
avuto a disposizione i mezzi
pubblici con gli autisti e
quindi, oltre ai pulmini delle
varie associazioni, ci sono
stati anche dei mezzi grandi per
portare in ospedale feriti in
elevate quantità, senza
impegnare mezzi sanitari che
potevano essere utilizzati in
altro modo. Va poi detto che le
associazioni cittadine hanno
messo a disposizione le sedi
associative. Tutte le
associazioni vanno ringraziate.
Croce Verde in Piazza San Carlo
e Croce Rossa in Piazza Castello
hanno messo a disposizione le
sedi e possiamo dire che sono
stati PMA ulteriori. Loro hanno
potuto fare questo sempre
coordinandoci con noi, hanno
dato grande supporto logistico
ma tutte le associazioni sono
state ottime e tutti hanno
lavorato tantissimo. Medici,
infermieri e volontari hanno
fatto tantissimo in condizioni
davvero complesse. Vanno poi
ringraziati anche quelli che
erano fra la folla e si sono
messi a disposizione subito".
L’evento di Piazza San Carlo
sarà però una lezione anche per
il futuro.
"Abbiamo percepito che i
soccorritori si sono resi conto
dell’enormità dell’evento. In
due ore e mezzo l’evento si è
risolto. C’è stato grande
assembramento nei punti di
medicazione, abbiamo gestito due
eventi maggiori: un arresto
cardiaco e un trauma da
schiacciamento. Quando però hai
40 e più persone che ti chiedono
aiuto e devi gestire un codice
rosso, credo ci sia da levarsi
il cappello davanti alle
capacità di chi è intervenuto.
Questa è stata una gestione che
ci fa riflettere tanto, perché
alle 22.20 è accaduto Torino,
mentre alle 22.08 è accaduto
l’attacco al London Bridge. Qui
avevamo 30.000 persone che
scappavano con 1.500 feriti
trattati subito. Ad oggi non è
la bomba che fa paura e che deve
fare paura, è anche il panico.
Va messo in conto nella gestione
delle maxi-emergenze e degli
eventi in sé".
Questo
tipo di incidenti devono quindi
far sviluppare strumenti nuovi o
più completi per la gestione
degli eventi. È abbastanza
chiaro che gli assembramenti di
massa non possono essere
cambiati, ma le risposte e le
tipologie di preparazione
dovrebbero essere studiati in
modo diverso. Da questo punto di
vista bisogna ricordare che gli
eventi regionali devono avere
l’applicazione del protocollo
Mauer, mentre oggi questa
dotazione minimale non è
richiesta per gli eventi
comunali. Una mancanza normativa
che andrà sicuramente affrontata
nei prossimi mesi, perché se è
cambiato il modo di radunarsi
delle persone, sono anche
cambiati i pericoli che si
possono affrontare. E va -
drammaticamente - pensato anche
un sistema per gestire il panico
o limitarlo nella sua
diffusione.
4 giugno 2017
Fonte:
Emergency-live.com
© Fotografia: Messaggero.it
I baristi intorno a
piazza San Carlo: "Anche
noi vendevamo
vetro, il divieto non c’era"
di Miriam Massone e
Fabrizio Assandri
Polemiche per la libertà
d’azione concessa agli abusivi:
"Nessuno li ha fermati".
TORINO
- "Non vendo più birra in vetro
da oltre un anno, per scelta":
Andrea Brigante, store manager
di John Toast, sotto i portici
di piazza Cln, la mecca del food
break presa d’assalto sabato
sera dai tifosi terrorizzati, è
tra i (pochi) commercianti che
ha optato per il "fai da te".
In mancanza di
un’ordinanza che proibisse le
bottigliette ha attinto "al buon
senso: dalle 16 non ho più
utilizzato neanche i bicchieri
di vetro, ma solo quelli di
plastica: ne avevo presi 2
mila". Ha abolito anche i
vassoi, dischi di legno, che
rischierebbero di trasformarsi
in frisbee assassini nelle mani
sbagliate: "Servivamo i panini
dentro i cartoni del take away".
E la Menabrea solo alla spina.
Al Caffè San Carlo invece
hanno trovato un compromesso:
"Bottigliette di Carslberg in
plastica - dice Vito Strazzella,
il proprietario - il problema è
che gli abusivi le vendevano in
vetro, tranquillamente, in
piazza". Come sempre: è il
rassegnato mood, da queste
parti. "Ci battiamo da anni per
bloccare il fenomeno" conferma
Maria Luisa Coppa, presidente
Ascom. Con risultati scarsi: "Risolvono il problema, e la
settimana dopo siamo da capo:
sabato mattina ho chiamato io
stessa l’amministrazione e i
vigili per segnalare venditori
non autorizzati di bibite e
panini, persino due camion, che
poi si sono allontanati".
A Enzo Fazzolari,
titolare del bar Flora in piazza
Vittorio, i vigili invece hanno
risposto "che sapevano del
problema, ma non avevano
personale e mezzi per
intervenire". Sicché gli
abusivi, arrivati per spillare 5
euro agli assettati per una
Becks, hanno potuto muoversi
senza ansia, anche in piazza con
i loro carrelli della spesa
imbottiti di bottigliette, "mentre a me hanno dato due
multe in 23 ore perché la musica
era troppo alta" - dice
Fazzolari. Anche Roberto
Bettonte, presidente
associazione locali di piazza
Vittorio, aveva lanciato l’sos:
"Solo pochi giorni fa,
nell’incontro con l’assessore
Sacco. Noi, comunque, versiamo
quasi sempre le bibite nei
bicchieri di plastica, anche
nelle serate normali". Eppure il
punto non sarebbe questo,
secondo Coppa: "Proibire ai
baristi il vetro sarebbe come se
togliessimo l’appendice a tutti
perché uno ha l’appendicite.
L’obiettivo dev’essere bloccare
gli abusivi, e imporre regole
uguali per tutti". I "sani",
tuttavia, erano anche disposti
al sacrificio, fedeli al
principio che "prevenire è
meglio che curare": "Con eventi
del genere, una circolare che
vietasse l’alcol e il vetro in
tutto il centro e in tutto il
giorno me la sarei aspettata" -
dice Silvana Rizzo, del nuovo
bar in piazza Cln 221: "Da me
svuotavano le bottiglie d’acqua
per metterci la birra, poi ho
segnalato anch’io un ambulante
non in regola, proprio in via
Giolitti". Sarebbe d’accordo
anche Gianni Corgiolu, del bar
Zucca (che la notte del terrore
ha medicato decine di ragazzi: "Come un padre farebbe con i
propri figli"), a uno stop al
vetro legato alle grandi
manifestazioni: "Assieme a
controlli più severi". Insomma,
per chi sta dietro il bancone la
gestione va ripensata: "Ok
fermare gli abusivi, ma servono
anche bagni pubblici: noi
abbiamo dovuto impiegare
personale solo per sorvegliare
le code" dice Noris Strazzella,
del Caffè San Carlo, e
presidente Epat (associazione
pubblici esercizi). Il San Carlo
era tra i pochi aperti. I vicini
del Caffè Torino hanno chiuso
alle 18 (segnalato perché
tardavano a smantellare il
dehors, ma dal Caffè negano di
aver ricevuto denunce): "Due
anni fa, per la finale di
Berlino, c’era stato lo stesso
caos. Questi eventi non vanno
fatti in piazza San Carlo" è la
soluzione estrema di Federico
Alì.
6 giugno 2017
Fonte: Lastampa.it
(Testo © Fotografia)
"La faccia dell’amore
nel caos di Piazza San Carlo"
di Antonella Boralevi
Una
folla che si muove tutta insieme
spinta dal terrore è un carro
armato. Stritola chiunque si
trovi sul suo percorso. Lo
travolge. Lo schiaccia. Lo
dicono con chiarezza i 1527
feriti del caos di Piazza San
Carlo, a Torino. I deboli
soccombono. In coma e in
pericolo di vita ci sono tre
donne, Erika Poietti e Francesca
Marino, 38 e 26 anni, una
signora di 63, e c’è ancora il
bambino Kevin, anni 7. Non c’è
per fortuna Agnese. Era arrivata
da Pavia per tifare Juve. È
giovane, è forte. Ma sarebbe
morta, se il coraggio di un
altro non l’avesse salvata. Lo
ha scritto su Twitter: vuole
ritrovare quel ragazzo con i
baffi e il pizzetto scuro che ha
riconosciuto in un video. Quel
ragazzo che ha fermato il carro
armato micidiale della folla e
ha protetto la vita di una
sconosciuta, mettendo a rischio
la sua. Nel video, questo eroe
ragazzo ha gli occhi sgranati,
ma vuoti, come spenti
dall’orrore che ha visto. Deve
essere stata la decisione di un
secondo: scappare o proteggere.
Rischiare la vita per un altro o
salvarsi. Un secondo, forse
meno, per scegliere la priorità.
Testa che bolle, gambe che
corrono, adrenalina a mille,
paura, terrore. Questo ragazzo
si è fermato. Ha smesso di
correre. Ha scelto di proteggere
la creatura più debole che aveva
accanto, di cui non sapeva
nulla. Allo stesso modo, durante
la strage del London Bridge, un
uomo ha protetto, con il suo
skate board, dal coltello dei
terroristi assassini, una donna
sconosciuta, ed è morto al suo
posto. Si chiamava Ignacio
Echeverria, aveva 38 anni.
Difendere chi si ama è un
istinto. Ma difendere uno
sconosciuto è perfino di più, io
credo. Significa mettere in
pratica quello che in tanti
diciamo, senza assumerci rischi:
chiunque è mio fratello.
7 giugno 2017
Fonte: Lastampa.it
L’amarezza
dell’imprenditore unico indagato
per il disastro di Torino:
"Mi intimarono di
smontare il déhors ma era
impossibile. Poi ho soccorso i
feriti"
di Ignazio Dessì
Vito Strazzella
proprietario del Caffè San Carlo
è l’unico ad aver ricevuto un
avviso di garanzia. In questa
intervista spiega cosa è
successo e ricorda i momenti
terribili di quel 3 giugno.
La
vicenda di Vito Strazzella,
proprietario del Caffè San Carlo
nell’omonima piazza di Torino,
sembra - a sentire l'interessato
- affondare nel paradosso,
collocarsi nelle linee grigie
della burocrazia o - se si vuole
- nel "surreale". L’imprenditore
è per ora l’unico indagato per i
fatti del tragico sabato di
Juve-Real di Champions in cui
sono rimaste ferite 1.527
persone ed una donna, Erika
Pioletti, è morta in seguito ai
danni fisici riportati. Il
proprietario del prestigioso
locale si dice amareggiato. "Mi
hanno dato il premio e rimango
basito", sospira al telefono
confessando di non riuscire a
darsi pace per quell’avviso di
garanzia ricevuto nei giorni
scorsi. Poi il suo ricordo torna
al 3 giugno quando, verso le tre
e mezza del pomeriggio, due
vigili municipali lo invitano a
"smontare il déhors (lo spazio
esterno del pubblico
esercizio)". In quel momento la
piazza "era già mezza piena, me
l’avessero detto almeno il
giorno prima avrei lavorato di
notte, ma a quell’ora era
veramente impossibile farlo",
spiega Strazzella.
"IMPOSSIBILE RIMUOVERLO"
- L’uomo racconta di
essersi attaccato al telefono ma
"non c’era nessuna società
disposta a intervenire in tempi
così rapidi. Inoltre - spiega
ancora - il déhors si trova lì
da 20 anni e non è mai stato
spostato. Per farlo ci sarebbe
voluto l’intervento di un camion
o comunque di un mezzo pesante.
Ho provato a contattare qualche
autorimessa ma non ho trovato
nessuno. E faccio presente che
ci vogliono 3 persone almeno per
togliere in sicurezza gli
ombrelloni". Quando fa notare di
essere impossibilitato a
rimuovere una simile struttura
però il proprietario del Caffè
San Carlo si sente rispondere
che "ne avrebbe risposto in sede
penale". "Ho provato anche a
trasferire qualcosa sotto i
portici - racconta - ma mi son
reso conto che era solo un
ingombro in più e non avrebbe
risolto il problema". Poi "è
successo quel che è successo". E
"ci siamo adoperati per aiutare
tutti quelli che potevamo", dice
spiegando di aver utilizzato il
déhors per ospitare una
cinquantina di persone che
avevano bisogno di soccorso. "C’erano feriti e mamme che
urlavano e ci passavano i figli
affinché li salvassimo. Io e i
miei dipendenti ci siamo
prodigati, abbiamo distribuito
bottiglie d’acqua e adagiato sui
divanetti i ragazzi in
difficoltà in attesa delle
ambulanze".
"HO FATTO SOLO IL MIO
DOVERE DI CITTADINO" -
Strazzella sostiene di aver
fatto solo il suo dovere di
cittadino, insieme ai
dipendenti. In ogni caso "tutto
quello che potevamo fare". Anche
per questo l’avviso di garanzia
non gli va giù, gli brucia, gli
sembra una cosa ingiusta, una
sorta di beffa. Certo la procura
fa ciò che deve, ma allo stato
attuale procede contro ignoti,
per cui l’unico finito veramente
sotto la lente giudiziaria, in
realtà, è lui. "Come se fosse
stato tra gli artefici del caos
e non uno dei pochi ad aver
cercato, nella confusione
generale, di arginare quel
delirio", ha scritto il
Giornale. Anche se va ricordato
che l’indagine contro ignoti,
per lesioni personali plurime,
coordinata dai pm Vincenzo
Pacileo e Antonio Rinaudo, va
avanti.
LA PIAZZA SAN CARLO DOPO
I FATTI DEL 3 GIUGNO -
Strazzella e i suoi dipendenti
del resto si sarebbero dati da
fare anche prima dell’inizio
della trasmissione della partita
sul maxi schermo, consentendo a
tantissime persone di utilizzare
i bagni del Caffè e distribuendo
solo "bevande in contenitori di
plastica, pur in assenza di un
divieto specifico". In realtà "siamo stati tra i pochi a fare
prevenzione in città", sostiene
al telefono. L’imprenditore
torinese avrebbe insomma fatto "tutto il possibile". È stato
"impossibile invece, in quelle
condizioni e col poco tempo a
disposizione, smontare il
déhors", e Strazzella lo
ribadisce con convinzione. "Si
tratta di più di 200 sedie, 50
tavolini e 9 ombrelloni ancorati
a terra e avrebbero dovuto
informarmi prima non all’ultimo
minuto", insiste. Ma la procura
non la pensa allo stesso modo,
ed ora il titolare del San Carlo
è indagato per violazione
dell'articolo 650 del codice
penale, ovvero per "inosservanza
dei provvedimenti
dell'autorità". Lui, dal canto
suo, si rivolge di cuore alle
istituzioni pubbliche. "Vorrei
solo dire che questa triste
vicenda, anche dopo aver saputo
della signora venuta a mancare,
impone a tutti di mettersi una
mano sulla coscienza, a partire
dal Prefetto, dal Questore e dal
Sindaco per finire con chiunque
sia addetto all’attività
preventiva, e per il futuro
provvedere per tempo alla
prevenzione, sulla base dei
numeri, predisponendo le
precauzioni dovute, gli avvisi e
le misure e non solo facendo le
pulci a persone come me".
16 giugno 2017
Fonte:
Notizie.tiscali.it (Testo © Fotografia)
Torino, la catena degli
errori nella notte di piazza San
Carlo
di Andrea Rossi
Dai varchi di accesso
messi in ritardo al parcheggio
sotterraneo usati dai venditori
abusivi per far arrivare gli
alcolici: gli atti ufficiali
della Commissione d’inchiesta.
TORINO
- Undici riunioni per i fuochi
d’artificio di San Giovanni. Tre
per allestire piazza San Carlo
per la finale di Champions
League tra Juventus e Real
Madrid, davanti a 40 mila tifosi
assiepati dalle 8 del mattino.
La differenza, forse, è qui:
ordine maniacale contro caos;
una piazza in cui non entra uno
spillo contro una distesa di
vetri. Alla fine, 1526 feriti e
un morto: Erika Pioletti, 38
anni, schiacciata dalla folla in
fuga. Il 3 giugno 2017 ha
trasformato il modo di vivere
gli eventi. Su piazza San Carlo
sta indagando la Procura di
Torino, ma l’ha fatto anche il
Comune con una commissione
speciale: nove consiglieri
(cinque del M5S, quattro delle
minoranze), guidati da un
esponente del Pd, Enzo Lavolta.
Un mese di lavoro e 17 persone
ascoltate: la sindaca Appendino
e chi ha avuto ruoli operativi.
Ieri la commissione si è
sciolta. Il segreto sugli atti è
caduto. Centinaia di pagine in
cui emergono lacune, omissioni,
pericoli sottovalutati. La
cronaca di un disastro. La notte
di Torino.
1 - I BUCHI
DELL'ORGANIZZAZIONE -
La prima volta che la Città
parla della questione dei
maxischermi risale
all’interlocuzione con la
Juventus per la festa dello
scudetto", spiega la sindaca
Appendino. Si voleva allestire
un maxischermo in piazza
Castello il 21 maggio e
mantenerlo fino al 3 giugno. Ma
la Juve perde a Roma e addio
festa scudetto. Il 26 maggio il
club comunica al Comune - con
una mail inviata dal dirigente
Alberto Pairetto - le sue regole
d’ingaggio. "C’era la
disponibilità a farsi carico dal
punto di vista economico, ma non
dal punto di vista
organizzativo", conferma la
sindaca. Il 26 maggio si svolge
la prima riunione. "È stata
convocata da me su mandato del
sindaco", dice il capo di
gabinetto Paolo Giordana. Vi
partecipano undici persone in
rappresentanza di Comune, Vigili
e Questura. Si decide di
affidare l’evento a Turismo
Torino, ente del Comune che si
occupa di promozione turistica.
"Banalmente la Città non può
farsi fare un preventivo da…
quindi bisognava trovare qualcun
altro che lo facesse…", spiega
Chiara Bobbio, funzionaria del
gabinetto del sindaco. Chi
indica Turismo Torino ? "Gli
uffici", risponde Giordana. Alla
riunione ci sono due funzionari:
Mauro Agaliati, dirigente del
Suolo pubblico, e Chiara Bobbio.
Agaliati: "Le decisioni non
possiamo prenderle né io né la
mia collega Bobbio. Chi prende
delle decisioni, è il dottor
Giordana". Il capo di gabinetto
ci tiene però a delimitare il
suo ruolo: "Io non ho alcun tipo
di... Come dire, competenza
formale, non firmo nessun tipo
di atto, non assumo decisioni.
Il mio ruolo è... Come dire, di
coordinamento, di trasmissione
di quella che è l’istanza
politica agli uffici". Appendino
viene informata: "È chiaro che
ero consapevole che stavamo
lavorando con Turismo Torino...
Certo che ero d’accordo".
Turismo Torino riceve l’incarico
ma la Città non si defila, anzi.
Dà indicazioni. "Non è che
quando il Comune affida
l’organizzazione si sfila
totalmente, se ne disinteressa",
dice Paolo Lubbia, direttore del
gabinetto della sindaca. Alla
prima riunione, nell’ufficio di
Giordana, sono presenti un
commissario e un ispettore della
Questura, Martina Torta e
Gioacchino Lopresti. "Se devo
essere sincero sono stato
colpito dall’atteggiamento della
Questura", dice Mauro Agaliati,
dirigente del Comune. "Mi è
sembrato più una partecipazione
della serie: "Raccogliamo
informazioni e poi vi diciamo".
2 - LA GESTIONE
DELL’EVENTO - Alla
riunione successiva lo scenario
cambia. "La Questura, tramite
Lopresti, ci dice: "La piazza
deve essere chiusa per filtrare
l’ingresso", ricorda Agaliati. "E questo contrastava con quello
che è avvenuto in genere". La
decisione sorprende tutti: "Io
ho fatto tantissime cose in
piazza, quindi più o meno so due
cose…", dice Chiara Bobbio,
funzionaria del gabinetto del
sindaco. "Prima di Capodanno
nessuno ci aveva mai detto di
mettere i varchi.
Sostanzialmente, c’erano quattro
varchi, ma non così strutturati
con le transenne, com’è successo
invece il 3 giugno. Quando hanno
detto di chiudere la piazza,
tutti abbiamo un po’… Cioè non
so io, per esempio, penso non
sia una cosa geniale...
L’architetto era un po’
preoccupato, perché ovviamente
cambia la natura dell’evento...
Ma la Questura vince su tutto".
Piazza chiusa, dunque. Ma non
subito: "La Questura ha chiuso a
piazza semi piena. Io ero lì, i
varchi sono stati sono stati
messi alle due e mezza, i
ragazzi erano lì dalle 8 del
mattino", dice Bobbio. E dal
mattino i funzionari di Comune e
Turismo Torino chiamavano la
Questura per chiedere di venire
a piazzare i varchi. Quando
scoppia il caos, la folla
travolge e abbatte le transenne
fuggendo. "Nella fuga si sono
portati via le transenne. Molte
persone si erano incastrate.
Qualcuno aveva fratture",
racconta Maurizio Rafaiani,
presidente del nucleo
provinciale di Protezione civile
dei carabinieri. Il vertice del
31 maggio è l’unica e ultima
volta in cui si parla di ordine
pubblico. A chi gli chiede se ci
siano stati incontri specifici
di coordinamento tra le forze di
polizia il comandante vicario
dei vigili Ivo Berti risponde di
no.
3 - I VARCHI E LE
BOTTIGLIE DI VETRO -
Una volta piazzati, i varchi di
accesso gestiti da polizia e
carabinieri funzionano: "Ho
visto aprire gli zaini. A mia
figlia hanno fatto aprire la
bottiglietta dell’acqua", rivela
Claudio Spinoglio, vigile urbano
e funzionario della Protezione
civile. Non passa nulla. Eppure
nel mezzo della piazza girano
carretti pieni di bottiglie.
Quel mattino la commissione di
vigilanza della Prefettura ha
effettuato un sopralluogo in
piazza San Carlo. Ha autorizzato
la manifestazione a patto che
siano rispettate 19
prescrizioni. Il documento viene
consegnato a mano a Danilo
Bessone, funzionario di Turismo
Torino. Andrebbe notificato al
Comune e da qui, a tutti quelli
che lavorano all’organizzazione.
In Comune però non arriva nulla.
Tra le 19 prescrizioni ce ne
sono due che si riveleranno
decisive. Punto 4: "Eventuali
esercizi di somministrazione di
alimenti e bevande devono essere
regolarmente autorizzati". Punto
18: "Gli accessi al parcheggio
sotterraneo siano presidiati".
Gli abusivi si rivelano da
subito un problema serio: "Mi
hanno riferito che alcuni si
erano posizionati già nella
notte", dice Marco Sgarbi,
vice-comandante dei vigili, il
dirigente di turno quel giorno.
I vigili li multano per divieto
di sosta. Rimuoverli ? "Impossibile. Non abbiamo carri
attrezzi adatti". I mezzi
restano dietro piazza San Carlo.
Proprio dove il comandante
vicario dei vigili Berti voleva
evitare che si piazzassero. "Quando ho sentito parlare di
trovare una sistemazione per i
furgoni delle équipe televisive,
a me è venuto spontaneo dire:
"Potremmo farli piazzare in
piazza Cln, perché questo
sarebbe di sicuro un impedimento
al posizionamento di furgoni di
paninari abusivi"". Nessuno lo
ascolta. Alle tre del pomeriggio
la presidente dell’Ascom Maria
Luisa Coppa chiama l’assessore
Alberto Sacco, che è a Cardiff,
con il figlio, "ospite di un
parente che lavora per la
Juventus". "Mi ha segnalato che
c’era questo problema degli
abusivi. Le ho detto che avrei
visto la sindaca e gliene avrei
parlato. Appendino mi ha detto:
"Ho presente la questione,
stiamo cercando di risolverla. I
vigili stanno facendo quel che
possono". Chi avverte i vigili ?
"Da Cardiff non ho ricevuto
alcuna telefonata", risponde il
comandante vicario Berti. E così
il vice Sgarbi, che però riceve
"un sms da Giordana che mi
riferiva che c’erano abusivi e
bisognava fare qualcosa". Sgarbi
va in piazza. "Ci siamo limitati
a sanzionare. Interventi
repressivi come i sequestri
potevano causare problemi seri
di ordine pubblico".
Trentaquattro abusivi vengono
identificati e lasciati andare.
Ancora Sgarbi: "C’erano
bacinelle all’interno della
piazza, che era già mezza piena.
Ma la nostra attività si
svolgeva prevalentemente al di
fuori". I vigili si occupavano
dei furgoni, che non potevano
rimuovere, ma non dei carretti.
Federico Lucchesi della
Protezione Civile assicura di
aver notato almeno cinque
venditori aggirarsi dentro la
piazza con delle vasche. Ma in
piazza si accedeva soltanto dai
varchi presidiati da polizia e
carabinieri. O forse no.
4 - IL PARCHEGGIO
SOTTERRANEO - Quintali
di vetro sono entrati da sotto
terra. Lo spiega Maurizio
Rafaiani della Protezione
Civile: "Il garage era il punto
debole. Nessuno l’ha
controllato. Solo a metà serata
si sono resi conto che venivano
da sotto. A quel punto la
frittata era fatta". Il garage è
il parcheggio sotterraneo che,
stando al punto 18 delle
prescrizioni della commissione
di vigilanza, doveva essere
presidiato. Non toccava ai
vigili, assicura Sgarbi. Dice la
dirigente del Comune Chiara
Bobbio: "Dentro la commissione
di vigilanza c’era una persona
della Questura, credo che abbia
chiamato più volte Lopresti per
capire che cosa intendevano fare
del parcheggio". Alla fine
nessuno controlla. E gli abusivi
trovano la strada giusta:
entrano e risalgono dalle scale
nel mezzo di piazza San Carlo.
Dove nessuno li blocca. Federico
Lucchesi, della Protezione
Civile: "Ho visto un venditore
dire a due poliziotti in piazza:
"È la quinta volta che mi
chiedete i documenti".
5 - LE MANCANZE DEL
COMUNE - Manca un
coordinamento, di pubblica
sicurezza ma anche politico. A
livello di deleghe all’epoca
tutto è in capo alla sindaca
Appendino: eventi e sicurezza.
La sindaca non si occupa
dell’organizzazione, come è
normale che sia. Chi lo fa al
posto suo ? Sicuramente Paolo
Giordana, il capo di gabinetto.
Sul fronte sicurezza la
situazione è più complessa. La
sindaca ha ingaggiato come
consulente (gratuito) l’ex
comandante dei vigili Alberto
Gregnanini. Il quale partecipa a
una riunione. "La mia è stata
una presenza marginale". Sembra,
in effetti, così, ma non al
nuovo comandante vicario dei
vigili Ivo Berti: "Gregnanini
non è raro che esprima delle
indicazioni. Ho sempre ritenuto,
come gli altri... Che fosse un
tramite della sindaca". Il
giorno della finale Appendino è
a Cardiff. Il vicesindaco
Montanari è in vacanza, i due
assessori cui tocca coprire le
deleghe della sindaca quando è
assente non sono stati
allertati. "Dal punto di vista
politico non c’era un assessore
delegato ad essere presente",
conferma la sindaca. Tocca ai
funzionari. Giordana si tiene in
stretto contatto con Appendino.
I vigili invece sembrano
abbandonati a se stessi. "Non ho
parlato con nessuno", dichiara
Berti. Lo chiama Giordana la
mattina del 4 giugno per
convocarlo in Prefettura. Non è
l’unico cortocircuito. La
sindaca chiede una relazione ai
vigili, che legge la settimana
successiva in Consiglio
comunale. Berti la racconta
così: "Mi è stato chiesto di
fornire elementi dettagliati,
perché altri redigessero, cioè…
Facessero il punto della
situazione. Poi ho appreso dai
giornali che mi era stata
chiesta una relazione e io l’ho
predisposta".
6 - NIENTE DOMENICA
ECOLOGICA - Domenica 4
giugno ci sarebbe la domenica
ecologica: auto ferme dalle 10
alle 18. All’1.24 di notte, sui
social network, Appendino
annulla tutto. I vigili,
precettati per controllare il
traffico, vengono informati
alcune ore dopo. Il direttore
del settore Ambiente Paolo
Camera lo scopre addirittura il
mattino seguente dal sito del
Comune. Toccherebbe a lui
scrivere l’ordinanza di revoca.
"Né io né altri funzionari
abbiamo adottato alcun atto e
non mi risulta che ci siano atti
che abbiano disposto questa
revoca". La domenica ecologica
sarebbe stata annullata via
Facebook.
22 luglio 2017
Fonte: Lastampa.it
© Fotografie: Messaggero.it -
Ilgiornale.it
Il capo della security
su piazza San Carlo
"Ecco come la fretta ha
causato il disastro"
di Gabriele Guccione
Dietro
il disastro di piazza San Carlo
non ci sono soltanto lacune,
sottovalutazioni, errori da
principianti: c'è anche la
fretta, la troppa fretta con cui
è stata preparata la proiezione
all'aperto della finale di
Champions League. "Per
l'esperienza che ho, non si
riesce ad organizzare una
manifestazione del genere
nell'arco di tre o quattro
giorni, non è fattibile" -
sostiene davanti alla
commissione d'indagine del
Comune uno che di eventi se ne
intende: Antonio Rinaldi, capo
della security privata chiamata
da Turismo Torino per
sorvegliare la piazza durante la
finale Juventus-Real Madrid. "Ci
volevano almeno 15 giorni"
sottolinea, senza che nessuno
glielo domandi espressamente,
l'amministratore delegato della
Hydra Service durante
l'audizione del 7 luglio. Ma
tutto quel tempo, evidentemente,
non c'era. "Noi - racconta
Rinaldi - siamo stati contattati
da Turismo Torino il 29 maggio,
perché avevamo fatto lo stesso
servizio di sicurezza nel 2015,
per la finale
Juventus-Barcellona". All'inizio
l'ente del turismo, incaricato
dal Comune di organizzare la
proiezione in piazza, richiede
la presenza di 16 incaricati. "Poi hanno aumentato a 20 e allo
stesso tempo - testimonia il
capo della security - ci hanno
chiesto di anticipare l'entrata
in servizio alle 16". Rinaldi
racconta anche che gli
organizzatori richiederanno
anche, dopo le indicazioni che
arrivano dalla questura, "di
fare un servizio con i metal
detector agli ingressi": ma "noi
gli abbiamo risposto che non
eravamo in grado". Tuttavia
l'organizzazione dell'evento va
avanti lo stesso, fino al
tragico epilogo: 1.526 feriti e
la morte di Erika Proietti dopo
dodici giorni di agonia. La
volta precedente le cose erano
state fatte con più calma. "L'organizzazione era avvenuta
molto prima, perché due anni fa
c'era già una predisposizione,
un festival" attesta Rinaldi,
rispondendo ai commissari che
gli chiedono un confronto con
l'edizione del 2015. "Questa
volta - racconta il referente
del servizio di sicurezza -
c'era poco e niente: un palco e
una struttura che teneva su
l'unico schermo, per giunta più
piccolo rispetto a due anni fa".
Con il risultato che, anziché "spezzare la pressione delle
persone", "la sera del 3 giugno
erano tutti lì davanti, per
cercare di vedere la partita".
Ma le differenze non finiscono
qui. Un esempio: le transenne. "Per proteggere il monumento -
chiarisce Rinaldi - sono state
montate semplici transenne, che
con un minimo movimento...
L'abbiamo visto, si sono tutte
rotte: erano tutte da prendere e
buttare". Nel 2015 invece il
cavallo di bronzo era stato
circondato da "strutture
tubolari ricoperte di laminato"
anche per impedire alla folla di
montare sulla statua. Questa
volta, no.
25 luglio 2017
Fonte: La Repubblica
Zaini, mazzi di chiavi,
telefoni: bruciati gli
oggetti perduti nella
notte di piazza San Carlo
di Miriam Massone
Migliaia di pezzi
ritrovati dopo la tragica calca
di Torino non sono mai stati
reclamati e sono finiti
nell’inceneritore.
TORINO
- Sono finiti come nelle
peggiori delle fiabe: bruciati.
Sciolti nel termovalorizzatore,
alla periferia di Torino. Gli
oggetti - scarpe, felpe,
sciarpe, zaini, marsupi -
lasciati a terra, tra un mare di
cocci e scie di sangue, come in
un campo di battaglia, dopo la
tragedia di piazza San Carlo, il
3 giugno, hanno smesso, così, di
raccontare storie, rievocare
fughe, ricordare il panico,
riaccendere rumori di ossa rotte
e urla. Sono rimasti mesi nei
depositi allestiti apposta in
città, come nei casi di calamità
naturale, in attesa che i
legittimi proprietari venissero
a recuperare sneaker spaiate o
t-shirt squarciate. Ma alla fine
nessuno - o, comunque, una
percentuale irrisoria - si è mai
fatto vivo. "Sembrava il
raccolto di un terremoto",
dicono dall’Amiat, l’azienda
torinese che ha gestito la
pulizia del day after: in sede
hanno steso un grande telo di 8
metri per 8 per adagiarci sopra
la montagna di oggetti smarriti:
"Il 70 per cento è rimasto lì, a
terra: è venuto soltanto qualche
torinese a cercare maglie e
borse, altri non sono riusciti a
ritrovare le loro cose".
All’ufficio oggetti rinvenuti
del Comune (una media di 14 mila
registrazioni l’anno), dove sono
poi confluiti tutti i reperti
rimasti non appena superata
l’emergenza della prima ora, si
è ripetuta la stessa scena,
forse ancora peggio: "Non si è
visto praticamente nessuno per
giorni - conferma Roberto
Mangiardi, il direttore
dell’area Commercio, che
gestisce il servizio - così dopo
qualche mese si è deciso di
smaltirli, era materiale molto
sporco, deteriorato che non
poteva restare a lungo in
deposito". È stato poi
necessario bonificare anche i
locali. K-way, canotte, sandali,
sono tornati quindi all’Amiat, e
da lì al termovalorizzatore del
Gerbido per esser eliminati come
rifiuti indifferenziati
qualsiasi.
Eppure si è cercato in
tutti i modi di restituirli,
mostrando una delicatezza andata
ben oltre burocrazia e
protocollo: aperture
straordinarie dei depositi e
degli uffici comunali, addetti
gentili come psicologi dopo un
disastro aereo, quando si
presentava qualcuno allo
sportello, ore a smistare
scatoloni di merce rinvenuta,
avvisi on line, tam tam
mediatico. Caserme e questure
hanno messo a disposizione
personale ad hoc per gestire i
300 oggetti finiti solo lì, per
lo più chiavi e documenti. Sono
arrivati a contare 26 sacchi
pieni di "roba". Soltanto le
carte d’identità sono state
riconsegnate, una dopo l'altra,
a mano per chi abitava in zona,
oppure spedite, anche agli
stranieri. La maggior parte dei
documenti apparteneva a ragazzi
provenienti dalla Lombardia.
Ma borse, scarpe e maglie
sono un’altra storia. Rientrano
negli "oggetti personali non di
valore", economico di certo, ma
affettivo ? Forse è proprio
questo il punto: "Sono ricordi,
forti: la reazione di chi li ha
persi in quella notte è quindi
assolutamente normale - spiega
Alessandro Zennaro, direttore
del dipartimento di psicologia
dell’Università di Torino -
rievocano un trauma che non si
vuole rivivere". Ma c’è anche
una ragione più profonda: "La
mente si protegge e mette quegli
oggetti, legati a un episodio
tanto drammatico, nell’oblio, li
distrugge". Rifiutare le scarpe
per rimuovere piazza San Carlo,
insomma, almeno nella testa: "Esatto, a meno che non si
soffra di disturbo post
traumatico da stress: in questo
caso invece l’evento viene
riproposto di continuo".
Si vive imprigionati in
un incubo, una reazione che
secondo Zennaro è compatibile
con quanto vissuto a Torino
durante la finale di Champions:
"È stata un’emergenza oggettiva,
ma influisce sempre anche una
componente di valutazione
soggettiva". Cioè, non sono solo
guerre e terremoti a choccarci.
"Semplifico, con un esempio: se
uno ha paura dei ragni e si
sveglia una notte con un ragno
sul petto, subisce un trauma
ugualmente". Questo spiegherebbe
come mai non ha cercato di
riottenere quanto perso nemmeno
chi da quella sera è uscito,
tutto sommato e almeno
fisicamente, indenne. C’erano 30
mila persone, sono rimasti
feriti in 1526 (oltre ad Erika
Pioletti, 38 anni, morta dopo 12
giorni d’agonia), ovvero molti
meno del numero di oggetti
abbandonati nel delirio e mai
recuperati. La volontà di girare
pagina, alla fine, è quindi
prevalsa, persino sull’istinto
di tenersi sopra la credenza la
sneaker-cimelio di una notte
comunque passata alla storia.
14 gennaio 2018
Fonte: Lastampa.it
© Fotografia: Targatocn.it
I sopravvissuti di
piazza San Carlo e una notte
insonne
di Antonella Boralevi
Stanotte ho acceso la
televisione e ho visto una donna
con i capelli color rame e un
vestito fucsia che piangeva. Si
sforzava di non piangere. Si
puliva il viso con la mano. Ma
singhiozzava. A un certo punto
ha alzato il palmo verso la
telecamera per dire basta.
Diceva che non riesce a superare
il dolore e il terrore. Diceva
che pensava di essere stata
sfortunata, ma, dopo, ha capito
che invece è stata fortunata.
Perché non è morta. Ho visto un
ragazzo che guardava verso un
cielo che non c’era. E diceva
che ancora, ogni giorno, pensa a
come sia potuta morire la
ragazza che è morta dopo due
mesi di coma, calpestata dalla
folla. Diceva: "Potrei essere
stato io a passarle sopra, io
che non mi sono fermato, io che
non l’ho aiutata". Era
disperato. Ho visto un uomo
grande e grosso che ha piegato
la testa come se fosse stata di
carta e ha detto "Non posso
parlarne" e intanto la schiena
si scuoteva di singhiozzi. E poi
ho visto un viso dolcissimo di
donna. Un sorriso dolcissimo. Un
paio di occhiali. Sul suo collo,
un collare di aghi e flebo. Una
voce flebile, affaticata. Diceva
"Passeggiavo con mio marito e ci
è piombata addosso la folla. Ho
provato a rialzarmi, ma sentivo
tutti i piedi sopra di me.
Allora mi sono lasciata andare.
Ho pensato: muoio". Il marito
accanto a lei è scoppiato a
piangere e ha detto "quando ci
siamo rivisti, è stato
bellissimo". Ho visto una
ragazza che è stata travolta
dalla folla e ha perso le
scarpe. "La piazza era coperta
di vetri rotti, senza scarpe
sarei morta. Ne ho trovate due,
diverse. Le ho messe. Ho corso.
Ancora, ogni giorno, penso di
chi erano e se si sono salvati".
Poi le Iene hanno mostrato la
mail con la quale il Comune di
Torino ha dato alla società di
Eventi Torino Turismo
l’incarico. Cinque giorni prima
della partita. Poi ho visto un
certo Salvadori che organizza
concerti come quelli oceanici di
Vasco Rossi. Ha spiegato che
servono mesi per organizzare un
evento da 30.000 persone. Che
servono 250 addetti alla
sicurezza. Che ogni metro quadro
devono starci 2 persone massimo,
per Legge. Che metà dello spazio
deve restare libero e vuoto. Ha
detto "la colpa è
dell’organizzatore". Gli addetti
alla sicurezza erano 20 e tutti
sotto il palco, ha detto uno
degli organizzatori a viso
coperto e voce alterata. E poi
ho visto il sindaco di Torino
Chiara Appendino. Che era
assessore alla sicurezza e ai
grandi eventi. Usciva dal
portone di casa sua in
bicicletta. La bici serve a dire
ai torinesi "sono come voi". Ma
quando l’inviato delle Iene l’ha
fermata e le ha chiesto di
parlare da sindaco ai suoi
concittadini della tragedia di
piazza San Carlo, Appendino ha
dato la seguente risposta "c’è
una indagine in corso". Una
risposta lontana dai suoi
concittadini quanto Urano. Una
risposta priva di
coinvolgimento. Nemmeno mille
biciclette potrebbero far
sentire vicina ai torinesi il
sindaco, secondo me, dopo una
risposta così. Stanotte, il
terrore che abita dopo un anno
la vita delle 30 mila persone
che erano a piazza San Carlo non
mi ha fatto dormire. Il viso
pallido di Marisa Amato non mi
ha fatto dormire. La tragedia di
Erika Pioletti, morta
schiacciata a 38 anni, non mi ha
fatto dormire. 1500 feriti sono
un numero. Venti facce che
raccontano sono Persone. Così mi
domando: avranno visto il
servizio delle Iene, al Comune
di Torino ? Avranno dormito,
stanotte ?
19 aprile 2018
Fonte: Lastampa.it
(Testo © Fotografia)
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