Egitto, protesta per la
strage allo stadio
Scontri a Tahrir, 400
intossicati.
Dopo i gravi incidenti
alla fine di una partita di
calcio a Port Said saltano i
responsabili locali e i vertici
della Federcalcio. Ma la
polemica diventa politica:
migliaia di giovani marciano
sulla piazza dove sono accampati
gli oppositori anti-regime e si
uniscono alla loro
manifestazione accusando i
vertici militari di voler
coprire i veri responsabili del
massacro. Secondo alcuni tifosi
c'erano sostenitori di Hosni
Mubarak infiltrati tra i
sostenitori dell'Al Masri.
IL CAIRO - Migliaia di
tifosi dell'Al Ahli hanno
marciato per le strade del Cairo
chiedendo "giustizia" per la
strage di mercoledì nello stadio
di Port Said in cui almeno 73
persone hanno perso la vita.
Negli scontri con la polizia
almeno 400 persone sono rimaste
intossicate dai gas lacrimogeni.
I supporter della squadra della
capitale si sono ritrovati
davanti alla sede del club, nel
quartiere Zamalek e il corteo è
arrivato a piazza Tahrir, dove
ha ricevuto la solidarietà dei
manifestanti accampati. I
dimostranti, in gran parte molto
giovani, hanno chiesto a gran
voce le dimissioni del capo di
Stato provvisorio Mohamed
Hussein Tantawi. "La polizia è
responsabile del massacro, i
responsabili devono andare in
carcere", ha detto un
sostenitore del Zamalek, club
rivale dell'Al Ahli, ma ora
unito all'eterno nemico dalla
rabbia contro le autorità.
Secondo alcuni tifosi c'erano
sostenitori di Hosni Mubarak
infiltrati tra i sostenitori
dell'Al Masri, responsabili
dell'aggressione che ha causato
la strage. I manifestanti hanno
infine raggiunto la sede del
ministero dell'Interno, prossima
a piazza Tahrir e presidiata da
militari e polizia dopo gli
assalti dello scorso dicembre.
Testimonianze in Rete
riferiscono di scontri e lanci
di gas lacrimogeni. Il
Feldmaresciallo Mohamed Hussein
Tantawi, attuale capo
dell'Egitto, ha voluto
incontrare i giocatori dell'Al
Alhy in un aeroporto militare
nei pressi del Cairo, dove sono
stati trasportati dagli
elicotteri che erano andati a
soccorrerli a Port Said. E
restano tante, comunque, le
ombre su quanto accaduto ieri.
La linea di difesa di chi
sostiene le forze dell'ordine è
che - a differenza di quanto
accadeva sotto Mubarak - i
poliziotti non erano sufficienti
e non sono più preparati a
fronteggiare la violenza, da qui
un certo immobilismo di fronte a
quello che stava accadendo: i
tifosi entrati nello stadio
armati di coltelli e sbarre
metalliche anche se poi,
riportano fonti ufficiali, le
morti sono state causate
soprattutto da profonde ferite
alla testa e soffocamenti dovuti
alla calca. Ma le prime "teste"
cominciano a cadere: azzerati i
vertici della Federcalcio
egiziana, sospesi e arrestati i
responsabili della sicurezza di
Port Said mentre si è dimesso il
governatore della città. Il
campionato, intanto, è stato
sospeso a tempo indeterminato
mentre la Caf, la Confederazione
africana, farà osservare un
minuto di silenzio prima di ogni
quarto di finale della Coppa
d'Africa.
2 febbraio 2012
Fonte: Repubblica.it
© Fotografia: Ilsecoloxix.it
La polizia sotto accusa
per la strage in Egitto
di Filippo Maria Ricci
Tre giocatori dell’Al
Ahly, tutti nazionali, hanno
annunciato il ritiro dal calcio.
Troppi errori ai cancelli: tante
delle 74 morti sono state
causate da calpestamento e
asfissia. Sospetti su un corpo
speciale.
Una rivalità calcistica
come pretesto, la guerra civile
come sfondo. Tante domande senza
risposta, ancora violenza,
rabbia, frustrazione. Il giorno
dopo la tragedia di Port Said,
dove 74 persone sono morte e
centinaia sono rimaste ferite
negli scontri scoppiati alla
fine della gara di campionato
tra Al Masry e Al Ahly, è quasi
altrettanto brutto. E non è
esatto parlare di day after. L'
attesa Da quando i tifosi del
Masry hanno cominciato la caccia
all' uomo l’Egitto non si è più
fermato. I giocatori dell’Al
Ahly sono stati riscattati dall'
esercito e riportati in aereo al
Cairo ammaccati ma salvi, i
tifosi hanno preso il treno e
quando sono arrivati in stazione
ad attenderli c’era una folla
incredibile. Parenti e amici che
cercavano i propri cari. Dalla
stazione i tifosi sono
immediatamente andati verso
Tahrir Square, la piazza storica
della rivolta anti Mubarak. Per
manifestare la propria rabbia
nei confronti di un regime che
ritengono responsabile di una
tragedia che ha travolto il
calcio, ma sembra avere altri
moventi.
Le domande - Ieri in
Egitto tv, giornali e la gente
sul web si chiedevano
soprattutto tre cose: perché i
cancelli che dalla curva del
Masry danno accesso al terreno
di gioco sono stati aperti,
perché i poliziotti hanno
assistito senza muovere un dito
all' invasione del campo, perché
i cancelli che dalla curva
dell’Ahly davano verso la strada
sono stati chiusi. Sì: gran
parte delle vittime è morta per
asfissia e calpestamento, senza
via d' uscita. "La polizia non
ha fatto assolutamente nulla -
ha detto Pedro Barny, assistente
dell’allenatore portoghese
dell’Al Ahly Manuel Jose (già
rientrato in patria) - né
durante la gara, quando già i
tifosi locali tiravano oggetti
di ogni tipo, né alla fine". L'
aveva già detto Mohamed Abou
Treika, simbolo del calcio
egiziano che ieri ha annunciato
il ritiro come i compagni di
club e nazionale Barakat e
Motaeb. L' ultimo ha detto che
tornerà se la situazione si
normalizzerà. Per ora, è
complicato.
Scontri - Perché ieri al
Cairo si è vissuta un’altra
giornata di scontri durissimi.
La folla ha cercato di assaltare
il Ministero degli Interni e di
distruggere il muro costruito
qualche mese fa in sua difesa.
Era una giornata simbolica: il
primo anniversario della
"Battaglia dei cammelli", altra
giornata di violenza (11 morti)
con gli Ultras di Ahly e Zamalek
che difesero i dimostranti dalla
brutalità della polizia
speciale. Quel corpo che in
Egitto è noto come Scaf
(Consiglio Supremo delle Forze
Armate) e che molti tra
l’opinione pubblica ritengono il
mandante della tragedia di Port
Said: senza un ordine dall' alto
le porte allo stadio non
sarebbero state aperte e chiuse,
e la polizia, che ieri al Cairo
ha fatto uso indiscriminato dei
potentissimi gas lacrimogeni di
fabbricazione Usa, a Port Said
non ne ha tirato nemmeno uno. La
gente ritiene che la Scaf abbia
pianificato una specie di
strategia della tensione per
sabotare il complesso processo
di transizione in corso dal
regime di Mubarak alla
democrazia. Ieri il governo ha
aperto un’inchiesta, ha accolto
dimissioni, fatto cadere qualche
testa, annunciato 3 giorni di
lutto nazionale. Troppo poco per
la gente che alla stazione del
Cairo aspettando i propri cari
gridava: "O avremo i nostri
diritti, o moriremo come loro".
Altro che calcio.
3 febbraio 2012
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Egitto, tra gli ultrà della
protesta
Ci
stanno rubando la rivoluzione
di
Fabio Scuto
CAIRO - Brucia come una
pira il Palazzo delle Tasse
lungo la Mohamed Mahmoud, la
strada che da Piazza Tahrir
porta verso l'odiato Ministero
dell'Interno, la "mano nera" del
potere egiziano, prima con il
raìs Hosni Mubarak e ora con la
Giunta militare che gli è
succeduta. Nemmeno durante la
rivoluzione di gennaio la
rabbia, l'odio, il risentimento,
aveva portato la guerriglia così
dentro la cittadella del potere
egiziano. In fondo alla strada,
illuminate dalle molotov che
esplodono a terra, colonne di
blindati con il motore acceso.
Da dietro questi mezzi militari
partono decine e decine di
lacrimogeni, un gas semi-letale
come dimostrano le tre persone
morte per un blocco
respiratorio, millecinquecento i
feriti portati via braccia per
essere trasportati negli
ospedali della capitale. "Questa
strada dovrebbe cambiare nome
subito e chiamarsi via dei
Martiri, solo a novembre qui
sono morti quaranta ragazzi
quando chiedevamo, allora come
oggi, la stessa cosa: i generali
se ne devono andare". Ashraf,
tifoso dell'Al-Ahly con la
bandiera appoggiata a mo' di
mantello sulle spalle e la
maschera antigas "Made in China"
sul viso, sta sull'angolo fra
Piazza Tahrir e "Via dei
martiri". Perché nel luogo
simbolo della primavera
egiziana, della contestazione
prima contro il raìs e poi
contro la Giunta guidata dal
generale Tantawi, non ci sono
più solo i tricolori con
l'aquila di Saladino in mezzo.
In piazza per quel che si vede
tra i fumi degli incendi e
quello gas sparati dalla polizia
sventolano le bandiere
dell'Al-Ahly e dello Zamalek, le
squadre di calcio della
capitale.
Le tifoserie dopo la
strage di Port Said di
mercoledì, messo da parte un
odio atavico, hanno fatto da due
giorni fronte contro il nemico
comune: la polizia. Sui muri
attorno alla Piazza sono
comparse scritte che uniscono
gli ultras di tutto il mondo:
ACAB (All Cops are Bastards). Ma
sono tornati in strada anche i
"ragazzi di gennaio", 28 tra
gruppi e movimenti protagonisti
della rivoluzione che ha
cacciato un anno fa l'ultimo
Faraone, hanno chiesto alla
gente in tutto il Paese di
tornare nelle piazze, perché
"qualcuno sta rubando la
rivoluzione". Invito raccolto a
Alexandria, a Suez e in molte
altre città d'Egitto con
un'unica richiesta: l'immediata
uscita di scena della Giunta
militare e il passaggio dei
poteri ai civili. "Guarda amico,
guarda come sanno proteggere
bene i palazzi del potere questi
str... Ma uno stadio di calcio
no ? La verità che è che ci
hanno voluto punire, perché noi
siano stati in prima fila contro
di loro quando prendevano gli
ordini da Mubarak", urla Hassan
mentre un'altra ambulanza cerca
di fendere la folla, perché
nonostante la battaglia su via
Mansour, Piazza Tahir è
stracolma. Dal palo di un
semaforo oscilla un fantoccio
impiccato che simboleggia il
maresciallo Tantawi. Con Ashraf
sul motorino sfrecciamo via
dalla Piazza, verso il Ponte 6
ottobre, verso Gezira, la grande
isola in mezzo al Nilo dove
abita l'upper class del Cairo.
Ville con giardino, Palazzetti
liberty, sporting club, circoli
del tennis. Qui, proprio di
fronte al Teatro dell'Opera, c'è
il Quartier Generale
dell'Al-Ahly che è un po' il
Real Madrid d'Egitto, la sua
storia calcistica si intreccia
con quella del Paese dal 1907,
uno dei team più blasonati al
mondo con cinquanta milioni di
tifosi. Sette egiziani su dieci
tifano per questa maglia rossa.
Il grande complesso sportivo -
che ospita il Museo con i quasi
cento trofei vinti e anche gli
studi della tv che segue ogni
passo della squadra - è
semideserto, qualche migliaio di
tifosi presidia l'ingresso
principale. Lo shock per quanto
i calciatori hanno visto
mercoledì notte a Port Said è
stato fortissimo. Una delle
stelle del team Mohammed Abu
Trika, raggiunto quasi per caso,
dice: "Ho preso una decisione e
non intendo tornare indietro,
non giocherò mai più al calcio".
Il suo compagno Mohamed Barakat
in lacrime l'ha appena
annunciato davanti alle
telecamere: "Dopo mercoledì il
calcio non esiste più in
Egitto". Sherif Hassan,
giornalista sportivo ed esperto
di gruppi ultras era a Port Said
mercoledì notte, a commentare la
"partita maledetta" per Al-Nahar
Tv. "Ho visto migliaia di
partite nella mia vita e so
cos'è la violenza nel calcio, ma
ciò che è accaduto mercoledì
sera...". Anche Bothaina Kamel
era una giornalista tv prima che
venisse licenziata per le sue
posizioni liberali ed è anche
l'unica donna che si è candidata
alle prossime (?) elezioni
presidenziali egiziane come
indipendente. "È stata una
strage premeditata", dice secca,
"ogni volta che sta scadere lo
stato d'emergenza succede sempre
qualcosa, e i generali lo
rinnovano". È questa l'accusa che fa
tremare adesso Tantawi e i
palazzi del potere egiziano,
quella di aver orchestrato la
violenza per mantenere l'Egitto
sotto leggi che lasciano mano
libera a esercito e polizia.
L'intero Egitto è stato
traumatizzato dalle immagini di
mercoledì sera - rilanciate ieri
da tutte le reti tv - dove si
vedono i reparti della polizia
anti-sommossa immobili mentre
centinaia di supporter
dell'Al-Masry invadevano il
campo e poi davano l'assalto
agli spalti dove c'erano i
tifosi dell'Al-Ahly. "Non è
stata una partita quella, è
stata una guerra", dice Ashraf
fermando il motorino davanti al
mio albergo, "la nostra prima
guerra del fùtbol".
4 febbraio 2012
Fonte: La Repubblica
© Fotografia:
Wikipedia.org
Egitto: 21 condanne a
morte per strage stadio di Port
Said
Un tribunale egiziano ha
condannato a morte 21 persone
per gli scontri del primo
febbraio 2012 allo stadio di
Port Said, che causarono 74
morti. La sentenza sarà
trasmessa al Gran Muftì, la
massima autorità religiosa del
Paese che deve autorizzare le
esecuzioni capitali. Dopo la
lettura della sentenza, i
parenti dei condannati hanno
tentato di assaltare la prigione
in cui sono rinchiusi gli
imputati. Lo stadio di Port Said
fu teatro di un'autentica
battaglia tra i tifosi locali
dell'Al-Masry e quelli della
squadra cairota dell'Al-Alhy.
Nelle successive proteste al
Cairo ci furono altri 16 morti.
Secondo molti osservatori gli
incidenti furono pianificati
dalla polizia o da nostalgici di
Hosni Mubarak per vendicarsi
degli Ultras dell'Al-Ahly che
erano stati in prima linea nella
rivoluzione contro il Rais.
26 gennaio 2013
Fonte: Repubblica.it
Strage Port Said, 21
condanne a morte.
Assalto alla prigione
degli ultras, è strage
La sentenza sarà
trasmessa al Gran Muftì, massima
autorità religiosa del Paese che
deve autorizzare le esecuzioni
capitali. Negli scontri del 1
febbraio 2012 tra tifosi
dell'Al-Masry e dell'Al-Alhy
morirono 74 persone. Dopo
l'udienza i parenti dei
condannati hanno cercato di
irrompere nel carcere.
IL CAIRO - L'Egitto
brucia ancora. Oltre 27 persone
sono rimaste uccise nell'assalto
alla prigione del Cairo da parte
degli ultras e dei parenti dei
condannati alla pena di morte
con la sentenza della corte
d'Assise di Port Said, che oggi
ha chiesto la pena capitale per
21 dei 73 imputati nel processo
del massacro allo stadio di Port
Said. Negli scontri tra le
tifoserie dell'Al-Masry e
dell'Al-Alhy, il primo febbraio
2012 morirono 74 supporter
dell'Al-Ahly del Cairo. La
sentenza deve essere ancora
trasmessa al Gran Muftì, la
massima autorità religiosa del
Paese, per avere l'autorizzare
finale alle esecuzioni.
Nell'aula di tribunale i
familiari delle vittime hanno
alzato le mani al cielo e
gridato "Allah Akbar", ossia Dio
è grande, in arabo. Fuori il
carcere migliaia di ultras della
squadra avversaria, l'Al-Masry
hanno invece cominciato a
protestare con violenza tentando
di assaltare la prigione in cui
sono rinchiusi gli imputati. Tra
le vittime ci sono due
poliziotti, il tenente Ahmed
El-Balki e l'agente Ayman Abdel.
I feriti sono almeno 50.
L'esercito è stato schierato
nella città. Lo rendono noto
fonti ufficiali. Testimoni hanno
riferito di veicoli corazzati
dell'esercito e polizia militare
che pattugliano le strade e gli
edifici pubblici della città sul
canale di Suez. Secondo fonti
mediche sono in corso sparatorie
un po' ovunque e il numero di
manifestanti continua ad
aumentare. Ci sono stati anche
dei colpi di arma da fuoco
contro un traghetto greco nel
porto, senza però provocare
vittime. In una dichiarazione
alla televisione di Stato, il
giudice ha fatto sapere che
annuncerà i verdetti degli altri
52 imputati il 9 marzo. Tra i 73
imputati ci sono anche 9
ufficiali di polizia e tre
manager del club avversario. Per
loro la sentenza rimane in
sospeso. Sono accusati di avere
permesso il massacro peggiore
della storia del calcio. Durante
l'udienza nelle gabbie degli
imputati c'erano solo sei
poliziotti. Lo stadio di Port
Said fu teatro di un'autentica
battaglia tra i tifosi locali
dell'Al-Masry e quelli della
squadra cairota dell'Al-Alhy.
Nelle successive proteste al
Cairo ci furono altri 16 morti.
Secondo molti osservatori gli
incidenti furono pianificati
dalla polizia o da nostalgici di
Hosni Mubarak per vendicarsi
degli Ultras dell'Al Ahly che
erano stati in prima linea nella
rivoluzione contro il Rais.
Fermato dopo la strage il
campionato egiziano era
ripartito 15 dicembre del 2012,
poco meno di un anno dopo. Il
presidente egiziano, Mohamed
Morsi, riunisce oggi il
Consiglio di difesa nazionale,
il massimo organo della
sicurezza, per far fronte al
caos di proteste e violenze in
cui sta precipitando il Paese.
Per ora il governo ha risposto
ordinando all'esercito di
presidiare le strade e gli
edifici pubblici a Suez, dove
venerdì c'erano stati dieci
morti, e a Port Said. Il
Consiglio di difesa nazionale,
di cui fanno parte Morsi, i
vertici militari, i presidenti
delle Camere, il premier e
alcuni ministri, studierà misure
per riportare la tranquillità
nelle strade e assicurare alla
giustizia i responsabili delle
violenze.
26 gennaio 2013
Fonte: Repubblica.it
© Fotografia:
Ilpost.it
Strage a Port Said,
l’Egitto nel caos
di Fabio Scuto
GERUSALEMME - La partita
"maledetta" tornata a incendiare
le piazze di Port Said, dando
nuova linfa all' ondata di
proteste già finite nel sangue
venerdì in Egitto contro il
regime islamista. Un anno dopo
la strage allo stadio di Port
Said dove a febbraio dell’anno
scorso morirono 74 persone,
nell' assalto dei tifosi della
squadra locale contro i
supporter dell’Al Ahly, il
tribunale ha emesso ieri mattina
la sentenza condannando a morte
21 degli imputati, tutti ultras
dell’Al Masry. Alla lettura del
verdetto, si è scatenata la
rabbia e la folla a Port Said ha
assediato il carcere locale per
cercare di liberare gli imputati
e assaltato due commissariati a
colpi di pistola. Incidenti
anche al Cairo dove ieri sera i
fumi dei lacrimogeni avvolgevano
tutto il centro città. Nell'
assalto alla prigione di Port
Said hanno perso la vita 30
persone, quando le forze di
sicurezza hanno aperto il fuoco
e sparato gas lacrimogeni contro
la folla. Tra le vittime anche
un ufficiale e un agente di
polizia, e due giocatori di
calcio presi in mezzo in una
sparatoria con i supporter
dell’Al Masry. Centinaia i
feriti, mentre l’esercito è
stato schierato in strada. I
militari stanno già pattugliando
la città di Suez, dove venerdì
otto persone hanno perso la vita
nel corso delle manifestazioni
per l’anniversario della
rivoluzione contro Mubarak,
rapidamente diventate proteste
contro il nuovo corso impresso
dal presidente Mohammed Morsi e
dal nuovo governo guidato dalla
Fratellanza musulmana. Mentre la
battaglia infuriava a Port Said,
migliaia di ultras e tifosi
dell’Al-Ahly, la squadra di
calcio del Cairo, hanno
festeggiato la sentenza nei
pressi del complesso grande del
club, dove oltre allo stadio ci
sono gli studi tv della squadra
e il grande museo che ospita i
quasi 100 trofei vinti dal 1907.
Gli ultras della linea più dura
avevano minacciato nuove
violenze se il tribunale non
avesse emesso condanne alla pena
capitale per gli imputati. Gli
Ultras Ahlawy sono un gruppo di
grande compattezza, ben
organizzato e numeroso: sette
egiziani su dieci tifano per
questa maglia rossa. Le tensioni
fin dal giorno della strage non
si sono mai placate, alimentate
anche dai sospetti nei confronti
delle forze di sicurezza,
accusate di non aver agito per
impedire la tragedia, anzi, di
averla alimentata. Lo stadio di
Port Said fu teatro di
un’autentica battaglia tra i
tifosi locali e quelli ospiti.
Secondo molti osservatori gli
incidenti furono pianificati
dalla polizia o da nostalgici di
Mubarak per vendicarsi degli
ultras dell’Al Ahly che erano
stati in prima linea nella
rivoluzione contro il rais. Dopo
la fine della partita vennero
spente le luci dello stadio
mentre la folla di tifosi locali
assaltava gli spalti occupati
dagli avversari. I sopravvissuti
parlano di una scena infernale,
con la polizia ferma, mentre la
tifoseria di casa accoltellava i
fan dell’Al Ahly, gettandoli poi
giù dalle gradinate. Nessun
verdetto ancora per altri 52
imputati e fra questi ci sono
nove ufficiali di sicurezza,
atteso per il 9 marzo. Secondo
la nuova Costituzione islamista,
approvata con un referendum la
cui legittimità è contestata
dall' opposizione, la sentenza
dei giudici per diventare
effettiva deve essere sottoposta
per un parere alla più alta
autorità islamica d' Egitto: il
Gran Muftì. Dopo i nove morti
durante le manifestazioni per
l’anniversario della rivoluzione
non si placa nemmeno lo scontro
politico. E in serata i
manifestanti hanno circondato
l’abitazione del sindaco di
Alessandria chiedendo le
dimissioni del primo cittadino.
Il Fronte di Salvezza Nazionale,
il principale blocco di partiti
all' opposizione degli
islamisti, incalza l’inazione
del presidente Mohammed Morsi,
che ieri sera ha convocato il
Consiglio di Difesa e annullato
un viaggio all' estero, di
fronte al precipitare della
crisi - anche economica - nella
quale si dibatte l’Egitto e
chiede la formazione di un
governo di "salvezza nazionale".
27 gennaio 2013
Fonte: La Repubblica
Strage di Port Said
Sentenza e caos: 30 morti, 300
feriti
di Filippo Conticello
Follia ultrà in Egitto
dopo le 21 condanne capitali per
il massacro allo stadio. Altri
scontri al Cairo. Tutti
rispettino la rivoluzione: si
manifesti sempre pacificamente.
In principio fu il
calcio: Al Masry-Al Ahly, match
sentito come pochi nel Nord
Africa. Era l'1 febbraio 2012 e
l'Egitto viveva un altro giorno
di guerra dopo i tanti sofferti
per deporre Mubarak: nello
stadio di Port Said violenze e
74 morti, tutti tifosi
dell'Al-Ahly in trasferta. Ieri
la Corte d'Assise della città ha
condannato a morte 21 dei 73
imputati per uno dei massacri
più grandi della storia del
calcio. Ma alla lettura della
sentenza è tornato il caos:
parenti e ultrà hanno assaltato
la prigione dove sono detenuti
gli imputati. Tra sparatorie e
lancio di lacrimogeni, oltre 300
feriti e altri 30 cadaveri, tra
cui due agenti e due calciatori:
Tamer el Fahla, ex portiere del
Masry, e Mohamed el Dezwi del
Marikh, altra squadra locale.
Per ore nella città dove sbocca
il canale di Suez l'esercito si
è schierato per le strade,
mentre al Cairo gli ultrà di
casa esultavano al grido di
"Allah Akhbar". In fiamme - Per legge,
le condanne a morte dovranno
essere confermate dal gran muftì
d'Egitto, massima autorità
religiosa, mentre la sentenza
per gli altri imputati, tra cui
9 poliziotti e tre manager del
club, arriverà il 9 marzo. Chi
osserva la nuova, faticosa vita
dell'Egitto post-Mubarak è da
tempo convinto che la violenza
di quel giorno sia stata
premeditata dal Consiglio
militare perché gli ultrà
dell'Al Ahly erano stati attivi
durante la rivoluzione. Oggi al
timone c'è Mohammed Morsi,
discusso presidente dei Fratelli
Musulmani: ha riunito il
Consiglio di difesa per sedare
le proteste che divorano il
Paese intero. C'è, infatti, da
fare i conti con la solita
piazza Tahrir, luogo ormai
mitico nel cuore del Cairo: lì
venerdì sono partite le
celebrazioni per i due anni
dall'inizio della rivoluzione e
ancora ieri volavano
lacrimogeni. L'anniversario ha
fatto dilagare la rabbia contro
la rivoluzione tradita nella
Capitale e nelle altre grandi
città: 10 morti e quasi 500
feriti in totale. Morsi ha,
comunque, invitato il popolo a
rigettare ogni forma di violenza
e minacciato il coprifuoco. La
sentenza su Port Said ha però
incendiato l'aria egiziana
ancora di più: ci sono ancora
tracce di guerra civile, assai
più forti delle rivalità
calcistiche.
27 gennaio 2013
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
© Fotografia:
Repubblica.it
Egitto, confermata
condanna a morte tifosi.
È rivolta, Federcalcio
in fiamme: tre morti
Violenti disordini a
Port Said dopo il verdetto
d'appello contro 21 persone
coinvolte negli incidenti del
febbraio scorso. Treni e
traghetti bloccati, assalto a un
circolo ricreativo della
polizia.
IL CAIRO - La sede della
Federcalcio data alle fiamme,
disordini in strada, traghetti
per i collegamenti nel Canale di
Suez fermi e treni bloccati. E
tre vittime negli scontri, tutte
al Cairo. L'Egitto è precipitato
di nuovo nel caos dopo che un
tribunale del Cairo ha
confermato in appello 21
condanne a morte per le violenze
allo stadio di Port Said del
primo febbraio 2012, in cui ci
furono 74 morti. Per quanto
riguarda gli altri 52 imputati,
sono stati inflitti cinque
ergastoli e 19 pene detentive
più brevi mentre 28 sono stati
assolti. La sentenza era molto
attesa dopo le violenze
innescate dalla precedente
sentenza di fine gennaio nella
città sul Canale di Suez, ormai
apertamente in rivolta contro il
governo islamista del presidente
Mohamed Morsi. E i peggiori
timori si sono avverati. Dopo la
lettura del verdetto migliaia di
persone si sono precipitate in
strada scatenando la violenza. I
manifestanti hanno dato alle
fiamme il circolo ricreativo
della polizia e il quartier
generale della Federazione di
calcio egiziana al Cairo. Gli
ultras dell'al-Ahly, la squadra
di calcio del Cairo coinvolta
nella strage del febbraio 2012 a
Port Said, hanno bloccato la
circolazione della metropolitana
della capitale, nella stazione
Sadat a piazza Tahrir. Il
responsabile delle Ferrovie
egiziane Hussein Zakaria ha
invece annunciato la sospensione
dei treni verso e da Port Said
per ragioni di sicurezza.
Davanti alla sede del
governatorato di Port Said si è
invece riunita una folla che
chiede un risarcimento per chi è
rimasto ucciso negli scontri con
le forze dell'ordine. Alcuni
cameramen sono stati aggrediti
dai manifestanti e la loro
attrezzatura è stata
danneggiata. Un gruppo di
manifestanti ha tolto gli
ormeggi a dei motoscafi
utilizzati per i collegamenti
nel Canale di Suez con
l'obiettivo di ostacolare la
navigazione delle altre
imbarcazioni. Altre duemila
persone hanno invece bloccato i
traghetti in partenza dalla
città. Tre le persone decedute
negli scontri con la polizia al
Cairo, nei pressi di piazza
Tahrir, hanno riferito fonti
mediche. Dopo il primo morto per
intossicazione da gas
lacrimogeni, una seconda persona
è deceduta per asfissia, mentre
una terza è stata raggiunta da
colpi di arma da fuoco. Gli
scontri del 2012 ebbero per
vittime principalmente tifosi
della squadra cairota
dell'al-Ahly che avevano già
minacciato violente proteste
qualora ci fossero state
assoluzioni, soprattutto tra i
poliziotti. La sentenza ha
condannato due alti ufficiali di
polizia a 15 anni di carcere a
testa, in particolare per non
aver fatto aprire i cancelli
impedendo così la fuga ai tifosi
dell'al-Ahly rimasti schiacciati
nella ressa. Gli altri sette
agenti finiti sotto processo
sono stati assolti. Le 21
condanne a morte "mediante
impiccagione" inflitte in primo
grado sono ancora sottoposte al
vaglio del Gran Muftì, che
normalmente avalla le decisioni
dei tribunali ma in questo ha
chiesto più tempo per esaminare
il caso. Si era ipotizzato che
in appello potessero essere
congelate in attesa della
pronuncia del Muftì, ma il
tribunale le ha confermate.
9 marzo 2013
Fonte: Repubblica.it
Condanna di secondo
grado dopo gli scontri del
gennaio 2012.
Egitto, pena di morte
confermata per 21 tifosi
Protesta a Port Said,
tre morti al Cairo
Negli scontri di Port
Said persero la vita 74 persone.
Torna la violenza, tra i morti
un bambino di otto anni.
La corte d'appello ha
confermato la pena di morte per
impiccagione per 21 tifosi
coinvolti negli scontri
dell'anno scorso allo stadio di
Port Said, in Egitto, in cui
rimasero uccise 74 persone.
Altri cinque sono stati
condannati all'ergastolo. Il
tribunale ha inoltre condannato
l'ex responsabile della
sicurezza di Port Said, il
generale Essam Samak, a 15 anni
di carcere per le sue
responsabilità nei disordini che
sfociarono nella strage allo
stadio. Altri 10 imputati sono
stati condannati a pene
detentive di 15 anni. Altri 28
imputati a vario titolo sono
stati invece prosciolti dai
giudici. Sono invece stati
assolti alcuni poliziotti e
responsabili del club Port Said.
SI RIACCENDE LA VIOLENZA
IN STRADA - Per emettere la
sentenza, la corte si è riunita
al Cairo per motivi di sicurezza
visto che dopo le sentenze di
primo grado, lo scorso gennaio,
Port Said è stata teatro di
scontri tra polizia e famiglie
degli imputati con un bilancio
di una quarantina di morti. Da
allora si sono verificati
diversi scontri violenti con la
polizia. Anche alla vigilia
della pronuncia di secondo
grado, migliaia di manifestanti,
solidali con i tifosi imputati,
sono scesi in strada per
protestare. Diversi civili sono
morti a seguito dell'intervento
delle forze dell'ordine. Le
manifestazioni si sono saldate
alle proteste contro il
presidente Mohammed Morsi.
TRE MORTI AL CAIRO - Un
manifestante è rimasto ucciso
durante gli scontri con la
polizia a piazza Tahrir, al
Cairo. La vittima "è morta
asfissiata" sull'ambulanza
mentre veniva trasportata in
ospedale dopo aver respirato gas
lacrimogeni sparati dalle forze
dell'ordine per bloccare il
lancio di pietre da parte dei
manifestanti. Tra le vittime c'è
anche un bambino di 8 anni. I
feriti sarebbero almeno 65.
ASSALTATA LA SEDE DELLA
FEDERCALCIO - Gli ultras
dell'Ahly hanno dato alle fiamme
il circolo della polizia nella
capitale egiziana. Assaltata
anche la sede della Federcalcio
egiziana. Il capo dei vigili del
fuoco del ministero degli
Interni Abdel-Aziz Tawfiq ha
fatto sapere che alle auto dei
pompieri è stato impedito di
raggiungere gli edifici in
fiamme. Nella mattinata di
sabato un gruppo di manifestanti
ha tolto gli ormeggi a dei
motoscafi utilizzati per i
collegamenti nel Canale di Suez
con l'obiettivo di ostacolare la
navigazione delle altre
imbarcazioni. La polizia
militare ha recuperato cinque di
questi motoscafi e li ha
riportati nel molo di Port Said.
Circa 2.000 persone hanno invece
bloccato i traghetti in partenza
dalla città. Nel pomeriggio la
circolazione nel canale è
ripresa regolarmente.
ESERCITO SCHIERATO A EL
CAIRO - Di fronte
all'intensificarsi della
protesta, l'esercito egiziano ha
schierato propri carri armati
nel centro del Cairo per
garantire la sicurezza davanti
alla sede del governo e al
Consiglio della Shura,
l'equivalente del Senato.
GLI SCONTRI DELL'ANNO
SCORSO - I fatti che sono alla
base del processo risalgono al
28 gennaio del 2012 a Port Said,
a seguito della partita tra la
squadra locale di Port Said, il
Masry e la rivale cairota
dell’Ahly. Dopo il fischio
finale della partita, i tifosi
del Masri invasero il campo
attaccando i giocatori dell'Ahly
e inseguendoli fin dentro gli
spogliatoi. In strada si scatenò
la guerriglia, che contagiò
presto anche la capitale
el-Cairo. Intervenne la polizia
e la repressione fu durissima.
9 marzo 2013
Fonte: Corriere.it
© Fotografia:Oggitreviso.it
EGITTO
Pena di morte per la
strage allo stadio
Scontri al Cairo e a
Port Said, tre morti
Tre manifestanti, tra
cui un bambino di 8 anni, sono
morti al Cairo durante le
violente proteste scoppiate a
seguito del verdetto di appello
relativo alla tragedia di un
anno fa allo stadio Port Said,
dove morirono 74 persone.
È salito ad almeno tre
morti, tra cui un bambino di
soli 8 anni, e 65 feriti il
bilancio provvisorio degli
scontri scoppiati al Cairo dopo
la sentenza che ha confermato in
appello 21 condanne a morte per
le violenze allo stadio di Port
Said del primo febbraio 2012, in
cui ci furono 74 morti. Lo
riferisce il sito web del
quotidiano al-Arham specificando
che gli scontri proseguono nei
pressi del ponte Qasr el-nil sul
Nilo. La Corte di appello ha
oggi confermato la condanna a
morte per impiccagione a 21
tifosi per i fatti Port Said,
decretando anche cinque
ergastoli ed una pena di 15 anni
per due alti funzionari di
polizia per le responsabilità
legate alla gestione
dell'emergenza. La sentenza -
che già dopo la pronuncia in
primo grado aveva scaturito
forti violenze - sta nuovamente
precipitando il paese nel caos:
violenti disordini si registrano
nel Paese, al Cairo gli ultras
dell'al-Ahly, la squadra di
calcio del Cairo coinvolta nella
strage del febbraio 2012 a Port
Said, hanno dato alle fiamme una
stazione di polizia e assalito
la sede della Federcalcio
egiziana.
9 marzo 2013
Fonte: Avvenire.it
Tre
morti e 65 feriti. Il Cairo va
in fiamme.
Egitto, è guerra ultrà
di
Andrea Luchetta
Scontri con la polizia dopo le
condanne per Port Said. Tra le
vittime un bambino, molotov
sulla Federcalcio.
IL CAIRO (Egi) - Di
fronte allo stadio dell'Al Ahly,
nella Cairo bene, i tifosi sono
incerti. Non sanno come
giudicare l'ultima sentenza per
il massacro di Port Said, dove
nel febbraio 2012 persero la
vita 72 loro compagni. La
conferma delle 21 condanne a
morte comminate a gennaio
scatena una gioia selvaggia.
Canti, fumogeni, razzi, balli.
Ma è il minimo del minimo. La
partita si gioca sul destino di
9 poliziotti e 3 funzionari
dell'Al Masry, accusati di aver
favorito il massacro. La
sentenza di ieri è una polpetta
avvelenata: regala contentini a
tutti e sparge fiele in egual
misura. Difficile immaginare un
nodo più intricato. Gli ultras
dell'Al Ahly vogliono la
condanna dei poliziotti e dei
dirigenti dell'Al Masry. Ma se
il tribunale li accontentasse,
Port Said esploderebbe, e la
polizia in sciopero da giorni
minaccerebbe di abbandonare il
governo. Alla fine i giudici
decidono di non decidere: due
funzionari delle forze
dell'ordine condannati a 15
anni, e 7 assolti, come i
dirigenti dell'Al Masry. Sullo
stadio dell'Al Ahly piomba una
cappa di incertezza. La base
vuole vendetta, e alcune
centinaia di tifosi si dirigono
verso il ministero dell'Interno
mentre i leader tentano di
placare gli animi. Gamal, 26
anni, allo stadio di Port Said è
sfuggito a due ultrà dell'Al
Masry che lo inseguivano con una
spada, mentre la polizia
guardava. Ma oggi predica calma:
"Dovete capire che in Egitto i
poliziotti non vengono mai
condannati. Mai. La sentenza di
oggi è un piccolo progresso".
Pistole e fumo Gamal teme che
nella tifoseria si crei una
spaccatura. Per un'ora regna
l'incertezza, e la rabbia
cresce. La valvola di sfogo si
trova a poche centinaia di
metri. Un fiume di ultrà lascia
lo stadio. Dopo pochi minuti due
nuvoloni di fumo oscurano il
cielo di Zamalek. Bruciano un
dopolavoro della polizia e la
sede della Federcalcio.
Incontriamo alcuni funzionari di
fronte ai resti del palazzo. "Sono arrivati in 5-600, hanno
rubato i trofei e appiccato il
fuoco con le molotov. I
poliziotti non sono intervenuti,
no". Di ritorno dalla
scorribanda gli animi sono più
distesi. I leader annunciano la
linea: "Avremo la nostra
vendetta, non temete. Ma non
oggi: ci sono troppi minorenni
in giro. Un passo alla volta".
Vince la linea della pazienza, e
un ragazzino festeggia
sfoderando la pistola: due colpi
per aria mentre la folla rinnova
l'invito a fottere Port Said.
TRE VITTIME - Nel
pomeriggio, come ogni giorno,
gli scontri intasano l'area fra
il Nilo e Piazza Tahrir. La
polizia carica e spara
lacrimogeni, frotte di ragazzini
fra i 7 e i 15 anni imbastiscono
sassaiole. Ogni tanto compaiono
i passamontagna dei black bloc,
che alzano la tensione con razzi
e molotov. La polizia arretra
per pochi metri, prima di
lanciare cariche coi blindati.
Poco distante, in una moschea su
Piazza Tahrir, spirano un bimbo
di 8 anni e un uomo colpito alla
schiena mentre soccorreva un
ferito. Secondo Al Ahram
sarebbero stati uccisi dai
pallettoni della polizia. Poche
ore dopo una terza vittima,
mentre i feriti sono 65. Gli
ultrà negano di aver partecipato
agli scontri, fedeli alla linea
del mattino. Nel frattempo, a
pochi chilometri, vanno a fuoco
una scuola e due ristoranti. Il
tutto mentre a Port Said gli
ultrà dell'Al Masry tentano
senza successo di bloccare il
Canale di Suez, slegando le
barche ormeggiate e lanciando
pneumatici in fiamme. Le
sentenze hanno permesso di
scongiurare l'esplosione del
Cairo e l'ammutinamento della
polizia. Difficile però
scommettere sulla tenuta di un
equilibrio così precario. "Forse
avrete notizie degli ultrà già
nei prossimi giorni" conclude
Gamal.
10 marzo 2013
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Pena di morte agli
ultrà, Egitto in fiamme
Rivolta a piazza Tahrir,
ucciso un bimbo
di Fabio Scuto
IL CAIRO - La prima
guerra del football, quella
scatenata dalla strage di tifosi
allo stadio di Port Said un anno
fa, ha conosciuto ieri un’altra
giornata di sangue. Con scene da
guerra civile, assalti contro la
polizia, palazzi in fiamme nella
capitale, ponti bloccati,
scontri con le forze
dell’ordine. Un bilancio
provvisorio annuncia tre vittime
al Cairo: due ragazzi morti nei
pressi di Piazza Tahrir, e un
bambino di otto anni. I feriti
sono quasi cento. È successo di
tutto tra il Cairo e Port Said,
dopo la sentenza che ieri
mattina ha confermato la pena di
morte per 21 ultrà e condannato
a 15 anni il capo della
sicurezza di Port Said, ma ha
mandato assolte 28 persone, fra
cui sette poliziotti accusati di
aver favorito - aprendo i
cancelli interni - l’assalto dei
sostenitori dell’Al Masri contro
quelli della tifoseria ospite.
La maggior parte delle condanne
riguarda tifosi dell’Al Masri. A
giudizio anche altri 52
imputati, per cinque dei quali è
scattato l’ergastolo. Sentenze
che hanno scontentato tutti. Al
Cairo sono stati i tifosi
dell’Al Alhy - 74 i suoi
supporter uccisi l’anno scorso a
Port Said - a guidare le
proteste: le assoluzioni di
sette agenti ne hanno scatenata
la furia, al punto da dare alle
fiamme la sede della Federcalcio
e quella di una squadra di
calcio della polizia nell'
elegante isola di Zamalek. Un
gruppo ha bloccato il Ponte 6
Ottobre, uno dei più importanti
del Cairo. I tifosi dell’Al Alhy
- la squadra più blasonata d'
Egitto - minacciano di non
fermarsi finché non avranno
giustizia e annunciano sul loro
sito web: "Questo è solo
l’inizio. Aspettatevi altro
ancora se tutti gli altri
elementi coinvolti nel massacro
non salteranno fuori". Mentre
calava la notte, gli scontri
dilagavano verso Piazza Tahrir.
A Port Said sono scoppiati altri
tafferugli con circa duemila
persone, in gran parte legate
agli imputati. La folla si è
diretta verso i moli dove
diverse imbarcazioni sono state
liberate dagli ormeggi e
lasciate alla deriva nel
tentativo di impedire la
navigazione del Canale di Suez.
L' esercito è stato costretto a
intervenire. Il traffico navale
è ripreso regolarmente in
serata. Ma l’Egitto è in preda
al caos, con un governo e un
presidente islamista che non
sembrano in grado di affrontare
le emergenze. Decine di migliaia
di poliziotti hanno iniziato uno
sciopero a oltranza contro il
ministro degli Interni della
Fratellanza musulmana. La
protesta, partita dal Sinai, si
è allargata a tutto il Paese.
Gli agenti chiedono più armi e
mezzi per far fronte alla
mancanza di sicurezza anche
nelle zone urbane, al dilagare
della piccola malavita: furti e
rapine nelle vie del Cairo sono
ormai decine ogni giorno.
Inoltre il ministero degli
Interni ha annunciato ieri lo
stato di emergenza nel Sinai: i
rapporti dell’intelligence
annunciano possibili attacchi
jihadisti contro la polizia
nella Penisola e contro il
confine israeliano.
10 marzo 2013
Fonte: La Repubblica
© Fotografia:
Valigiablu.it
Port Said, la verità: la
notte che ha ucciso la
rivoluzione in Egitto
di Andrea Luchetta
IL CAIRO (Egitto), 02
aprile 2013 - Dopo le 21
condanne a morte per il massacro
dei 72 tifosi dell'Al Ahly,
parlano poliziotti, attivisti e
ultrà. E rivelano che chi ha
voluto la strage sta vincendo la
scommessa. La notte che ha
fottuto una rivoluzione, Gamal
si è trovato due tizi alle
calcagna. Uno brandiva un
bastone, l’altro una spada. "Una
spada, cazzo, hai presente ?
Prima l’avevo vista soltanto nei
film. Mi son lanciato giù dalla
curva, sarà stato un salto di
4-5 metri". Poi di corsa nel
tunnel d’uscita. Solo un
cancello lo separava dalla
salvezza, ma qualcuno lo aveva
chiuso a chiave. Prima di
vederlo crollare sono morti a
decine. "Saremo stati
schiacciati in 500. Sopra di me
due o tre corpi, tutto intorno
gente svenuta. E quegli altri
che frugavano, rubavano,
bastonavano…". Negli occhi il
buio - una mano aveva spento i
riflettori all’inizio
dell’assalto - nelle orecchie la
musica vomitata dagli
altoparlanti. Al fischio finale
di Al Masry-Al Ahly (3-1)
migliaia di spettatori hanno
invaso il campo
nell’indifferenza della polizia.
Il varco di accesso alla curva
ospiti - gli Ultras Ahlawy - era
incredibilmente aperto. Nel
fiume di invasori si
nascondevano decine di
assassini. E così, nel blackout
che ha avvolto lo stadio
(costato 15 anni di prigione al
responsabile delle luci), Gamal
ha pianto 72 compagni. Fanti
della rivoluzione - Era la notte
del primo febbraio 2012, e già
all’alba in pochi credevano a un
semplice scontro fra tifoserie.
Tutti i testimoni che abbiamo
incontrato - poliziotti, ultrà,
attivisti, spettatori -
sottolineano gli stessi punti
oscuri: le mancate
perquisizioni, i teppisti
armati, il cancello della curva
aperto e quello d’uscita
sprangato, l’inerzia della
polizia e il blackout
improvviso. Troppo per parlare
di fatalità o negligenza. La
maggior parte dei testimoni,
Gamal compreso, crede che
l’assalto sia sfuggito di mano.
Probabilmente qualcuno cercava
un paio di morti "simbolici" per
impartire una lezione agli
Ahlawy, decisivi nel difendere
piazza Tahrir dalle cariche di
esercito e polizia. Allo stadio
di Port Said, in altre parole,
si sarebbe consumata la vendetta
del vecchio regime contro la
fanteria della rivoluzione.
Attivisti vs ultrà -
Nove marzo 2013. Migliaia di
ultrà si accalcano fuori dallo
stadio dell’Al Ahly, nel cuore
della Cairo bene. Aspettano il
secondo verdetto sul massacro.
Il 26 gennaio un tribunale ha
condannato a morte 21 tifosi
dell’Al Masry, rinviando a oggi
la sentenza per altri 52
imputati, fra cui nove
poliziotti. Molti Ahlawy
nascondono una pistola sotto la
maglia, Gamal ci mostra
ridacchiando una mazza
ripiegabile ("picchiare uno
sbirro è come perdere la
verginità" assicura).
All’improvviso tutto si fa
silenzio. Una voce annuncia la
conferma delle 21 condanne a
morte, che avverranno "per
impiccagione". È il delirio.
Cori rabbiosi invadono il cielo
del Cairo, mentre intorno
esplodono razzi, canti, balli,
colpi di pistola. Poi di nuovo
silenzio. Il capo della polizia
di Port Said e il suo vice
condannati a 15 anni, gli altri
7 poliziotti assolti. Qualcuno
festeggia, altri gridano, il
padre di un ragazzo assassinato
è furioso. I leader predicano
calma, ma a centinaia ruggiscono
"Guerra ! Guerra !". Ritornano
allo stadio solo dopo aver
incendiato la sede della
Federcalcio. Poco lontano
attivisti e bambini di strada si
scontrano con la polizia. Il
grosso dei tifosi però non si
vede: la strage ha messo a dura
prova l’alleanza
manifestanti-ultrà, creando
interessi divergenti. Il
massacro è la sola
preoccupazione degli Ahlawy,
mentre gli attivisti rimangono
concentrati su un discorso
politicamente più strutturato.
"Big Pharaoh", uno dei primi
blogger a sfidare la censura di
Mubarak, non nasconde la
tensione: "Abbiamo sbagliato a
politicizzare gli ultrà. Molti
sono veri rivoluzionari, ma ad
altri della politica non frega
nulla".
La pistola più veloce -
È stata Port Said a pagare il
conto più salato per la strage.
Le condanne a morte hanno
scatenato un mese e mezzo di
guerra civile, costata 50 morti
e 800 feriti. Gli scontri si
sono conclusi solo dopo il
ritiro della polizia e
l’ingresso dei carri armati.
Arriviamo in città al termine di
un viaggio in pullman da film di
Tarantino. Alla prima fermata un
uomo ben piantato, sui 30 anni,
si siede di fianco a noi. Prima
però svuota le tasche e appoggia
una pistola nel portaoggetti,
lasciando la canna puntata verso
le nostre rotule. Diventiamo
subito amici. Scopriamo così che
è un poliziotto e che la notte
del massacro era allo stadio.
"Da spettatore" tiene ad
aggiungere. Che cosa pensa della
condanna del capo della polizia
? Riflette un attimo e poi
spara: "Guarda, quella sera - e
solo quella sera - il comandante
ha ordinato di non intervenire
nemmeno di fronte a due
spettatori che si ammazzano. Ce
l’ha detto il nuovo comandante:
lo abbiamo messo alle strette
quando la città si è rivoltata
contro di noi".
I tank sul canale -
Mohammed, un rivoluzionario
della prima ora, ci accoglie in
un bar del centro. Il naso è
gonfio fino a scoppiare, coperto
da un cerotto che pare un
lenzuolo. "Un poliziotto",
spiega. "Mi ha sparato un
lacrimogeno dritto in faccia da
10 metri. Qui la rivoluzione è
arrivata col processo. Le
condanne a morte ci hanno fatto
sentire un’ingiustizia
fortissima, scatenando la rabbia
covata per il declino della
città". La gente di Port Said
concorda sul movente politico
della strage, ma crede che le
persone destinate al patibolo
siano innocenti, cadute in
retate casuali solo per placare
l’ira del Cairo. Oggi la città è
sotto occupazione militare. I
soldati dirigono il traffico al
centro degli incroci, paletta in
una mano e mitra nell’altra,
mentre a decine montano la
guardia ai centri più sensibili.
La popolazione pare serena:
l’esercito è amato più che
altrove, complice la storia di
una città che la geografia ha
posto sulla linea del fronte
nelle guerre con Israele.
Perfino le sponde del Canale di
Suez sembrano tranquille, non
fosse per i tank parcheggiati
ogni poche centinaia di metri. I
tentativi di bloccare le navi
sono tutti falliti. Mohammed
scuote la testa col cerottone
bianco, deluso: "Qui non
succederà più molto, mica puoi
attaccare l'esercito".
Strategia della tensione
- Port Said si presenta come un
laboratorio per il futuro.
L’Egitto è un Paese lacerato,
stanco, sfinito da due anni di
"sovversione permanente".
L’economia sprofonda, i Fratelli
musulmani dividono come e più di
Mubarak, e molti papaveri del
vecchio regime sono ancora al
loro posto. Piazza Tahrir,
centro simbolico della
rivoluzione, è ormai in mano a
sbandati e bambini di strada,
che sfogano una rabbia
esistenziale in sassaiole
quotidiane (e sarà proprio un
bimbo di 9 anni, con un sorriso
ironico per gli stranieri
inesperti, a spiegarci come
lenire gli effetti dei primi
lacrimogeni). Bassem Sabry,
storico blogger dissidente, è
netto: "La situazione potrebbe
raggiungere un punto tale da
rendere un intervento
dell’esercito non solo logico,
ma perfino auspicabile".
Esattamente quello che è
successo a Port Said. Poco prima
di dimettersi, nel febbraio
2011, Mubarak ha messo in
guardia gli egiziani: "Senza di
me sarà il caos". Il massacro
del primo febbraio 2012 ne è
stato l’assaggio più amaro. Una
trappola capace di dividere il
fronte degli oppositori, mettere
una città contro l’altra e
soprattutto contribuire a una
spirale di violenza in confronto
alla quale il vecchio regime,
imperniato sull’esercito, appare
un miracolo di stabilità. Non è
un caso che le voci più decise
per un ritorno dei militari
siano risuonate nei giorni del
secondo verdetto sulla strage.
Sin dal principio della
rivoluzione un apparato in crisi
ha giocato la carta del terrore,
presentandosi come sola
alternativa alla guerra civile.
Una sorta di strategia della
tensione, in cui il massacro di
Port Said si presenta come un
tassello fondamentale. Non
sapremo mai se la strage è stata
concepita in queste proporzioni,
o se davvero si è trattato di
una "piccola vendetta" sfuggita
di mano. Quello che conta è
l’impatto sul destino della
rivoluzione. E oggi, a più di un
anno di distanza, appare chiaro
che chi ha scelto la via del
caos per preservare lo status
quo sta vincendo la sua
scommessa. (ha collaborato Luca
Gambardella)
23 aprile 2013
Fonte: Gazzetta.it
© Fotografia:
Ilsecoloxix.it
Egitto, strage di Port
Said: confermata condanna a
morte per dieci ultras
La Cassazione egiziana
ha confermato la pena capitale i
mandanti della strage del
febbraio del 2012, in cui
persero la vita 74 tifosi. A
loro si aggiunge un ultras già
sanzionato nel giugno 2015.
ROMA - La Corte Suprema
d'Egitto ha confermato la
condanna a morte per dieci
ultras, esecutori materiali dei
disordini che hanno direttamente
causato la strage di Port Said
del febbraio 2012: durante la
sentita partita di calcio tra Al
Ahly e Al Masry 74 persone hanno
perso la vita a seguito degli
scontri scoppiati nei pressi
dello stadio della città
portuale egiziana. La sentenza
della corte di Cassazione ha
tenuto conto della violenza
dell'assalto dei tifosi e dello
sfondo politico della
manifestazione. Numerosi tifosi
hanno perso la vita calpestati
dalla folla in fuga, o cadendo
dalle tribune, dopo l'invasione
di campo della frangia violenta
dell'Al-Masry. In totale gli
ultras puniti con la pena
capitale sono 11, essendo già in
atto una condanna a morte - dal
giugno 2015 - per uno degli
esecutori della strage,
attualmente latitante. Pene
detentive per altre 40 persone
(tra cui manager delle squadre e
corpo di polizia) tra i 5 e 15
anni, per aver messo i tifosi
nelle condizioni di mettere a
ferro e fuoco lo stadio. Una
vicenda che ha lasciato profondi
strascichi nel paese, tra i
quali un assalto alle prigioni
nelle quali erano reclusi gli
ultras dell'Al Masry. Nel
tentativo di liberare i
"colleghi" e parenti, nel
gennaio 2013, altre 27 persone
sono rimaste uccise dopo un
sanguinoso scontro con la
polizia. Da anni in Egitto si
gioca a porte chiuse per il
timore che gli estremisti
politici possano utilizzare gli
stadi come palcoscenici per le
loro rivendicazioni.
20 febbraio 2017
Fonte: Repubblica.it
© Fotografia: Sport.sky.it
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