Privacy Policy Cookie Policy
PORTO SAID 2012
www.saladellamemoriaheysel.it   Sala della Memoria Heysel   Museo Virtuale Multimediale
Port Said Stadium 1.02.2012 Giustizia e Caos
   PORT SAID    Pagine della Memoria    Morire di Calcio    Superga 1949    Tragedia Ballarin 1981  
     
 

Egitto, protesta per la strage allo stadio

Scontri a Tahrir, 400 intossicati.

Dopo i gravi incidenti alla fine di una partita di calcio a Port Said saltano i responsabili locali e i vertici della Federcalcio. Ma la polemica diventa politica: migliaia di giovani marciano sulla piazza dove sono accampati gli oppositori anti-regime e si uniscono alla loro manifestazione accusando i vertici militari di voler coprire i veri responsabili del massacro. Secondo alcuni tifosi c'erano sostenitori di Hosni Mubarak infiltrati tra i sostenitori dell'Al Masri.

IL CAIRO - Migliaia di tifosi dell'Al Ahli hanno marciato per le strade del Cairo chiedendo "giustizia" per la strage di mercoledì nello stadio di Port Said in cui almeno 73 persone hanno perso la vita. Negli scontri con la polizia almeno 400 persone sono rimaste intossicate dai gas lacrimogeni. I supporter della squadra della capitale si sono ritrovati davanti alla sede del club, nel quartiere Zamalek e il corteo è arrivato a piazza Tahrir, dove ha ricevuto la solidarietà dei manifestanti accampati. I dimostranti, in gran parte molto giovani, hanno chiesto a gran voce le dimissioni del capo di Stato provvisorio Mohamed Hussein Tantawi. "La polizia è responsabile del massacro, i responsabili devono andare in carcere", ha detto un sostenitore del Zamalek, club rivale dell'Al Ahli, ma ora unito all'eterno nemico dalla rabbia contro le autorità. Secondo alcuni tifosi c'erano sostenitori di Hosni Mubarak infiltrati tra i sostenitori dell'Al Masri, responsabili dell'aggressione che ha causato la strage. I manifestanti hanno infine raggiunto la sede del ministero dell'Interno, prossima a piazza Tahrir e presidiata da militari e polizia dopo gli assalti dello scorso dicembre. Testimonianze in Rete riferiscono di scontri e lanci di gas lacrimogeni. Il Feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, attuale capo dell'Egitto, ha voluto incontrare i giocatori dell'Al Alhy in un aeroporto militare nei pressi del Cairo, dove sono stati trasportati dagli elicotteri che erano andati a soccorrerli a Port Said. E restano tante, comunque, le ombre su quanto accaduto ieri. La linea di difesa di chi sostiene le forze dell'ordine è che - a differenza di quanto accadeva sotto Mubarak - i poliziotti non erano sufficienti e non sono più preparati a fronteggiare la violenza, da qui un certo immobilismo di fronte a quello che stava accadendo: i tifosi entrati nello stadio armati di coltelli e sbarre metalliche anche se poi, riportano fonti ufficiali, le morti sono state causate soprattutto da profonde ferite alla testa e soffocamenti dovuti alla calca. Ma le prime "teste" cominciano a cadere: azzerati i vertici della Federcalcio egiziana, sospesi e arrestati i responsabili della sicurezza di Port Said mentre si è dimesso il governatore della città. Il campionato, intanto, è stato sospeso a tempo indeterminato mentre la Caf, la Confederazione africana, farà osservare un minuto di silenzio prima di ogni quarto di finale della Coppa d'Africa.

2 febbraio 2012

Fonte: Repubblica.it

© Fotografia: Ilsecoloxix.it

La polizia sotto accusa per la strage in Egitto

di Filippo Maria Ricci

Tre giocatori dell’Al Ahly, tutti nazionali, hanno annunciato il ritiro dal calcio. Troppi errori ai cancelli: tante delle 74 morti sono state causate da calpestamento e asfissia. Sospetti su un corpo speciale.

Una rivalità calcistica come pretesto, la guerra civile come sfondo. Tante domande senza risposta, ancora violenza, rabbia, frustrazione. Il giorno dopo la tragedia di Port Said, dove 74 persone sono morte e centinaia sono rimaste ferite negli scontri scoppiati alla fine della gara di campionato tra Al Masry e Al Ahly, è quasi altrettanto brutto. E non è esatto parlare di day after. L' attesa Da quando i tifosi del Masry hanno cominciato la caccia all' uomo l’Egitto non si è più fermato. I giocatori dell’Al Ahly sono stati riscattati dall' esercito e riportati in aereo al Cairo ammaccati ma salvi, i tifosi hanno preso il treno e quando sono arrivati in stazione ad attenderli c’era una folla incredibile. Parenti e amici che cercavano i propri cari. Dalla stazione i tifosi sono immediatamente andati verso Tahrir Square, la piazza storica della rivolta anti Mubarak. Per manifestare la propria rabbia nei confronti di un regime che ritengono responsabile di una tragedia che ha travolto il calcio, ma sembra avere altri moventi.

Le domande - Ieri in Egitto tv, giornali e la gente sul web si chiedevano soprattutto tre cose: perché i cancelli che dalla curva del Masry danno accesso al terreno di gioco sono stati aperti, perché i poliziotti hanno assistito senza muovere un dito all' invasione del campo, perché i cancelli che dalla curva dell’Ahly davano verso la strada sono stati chiusi. Sì: gran parte delle vittime è morta per asfissia e calpestamento, senza via d' uscita. "La polizia non ha fatto assolutamente nulla - ha detto Pedro Barny, assistente dell’allenatore portoghese dell’Al Ahly Manuel Jose (già rientrato in patria) - né durante la gara, quando già i tifosi locali tiravano oggetti di ogni tipo, né alla fine". L' aveva già detto Mohamed Abou Treika, simbolo del calcio egiziano che ieri ha annunciato il ritiro come i compagni di club e nazionale Barakat e Motaeb. L' ultimo ha detto che tornerà se la situazione si normalizzerà. Per ora, è complicato.

Scontri - Perché ieri al Cairo si è vissuta un’altra giornata di scontri durissimi. La folla ha cercato di assaltare il Ministero degli Interni e di distruggere il muro costruito qualche mese fa in sua difesa. Era una giornata simbolica: il primo anniversario della "Battaglia dei cammelli", altra giornata di violenza (11 morti) con gli Ultras di Ahly e Zamalek che difesero i dimostranti dalla brutalità della polizia speciale. Quel corpo che in Egitto è noto come Scaf (Consiglio Supremo delle Forze Armate) e che molti tra l’opinione pubblica ritengono il mandante della tragedia di Port Said: senza un ordine dall' alto le porte allo stadio non sarebbero state aperte e chiuse, e la polizia, che ieri al Cairo ha fatto uso indiscriminato dei potentissimi gas lacrimogeni di fabbricazione Usa, a Port Said non ne ha tirato nemmeno uno. La gente ritiene che la Scaf abbia pianificato una specie di strategia della tensione per sabotare il complesso processo di transizione in corso dal regime di Mubarak alla democrazia. Ieri il governo ha aperto un’inchiesta, ha accolto dimissioni, fatto cadere qualche testa, annunciato 3 giorni di lutto nazionale. Troppo poco per la gente che alla stazione del Cairo aspettando i propri cari gridava: "O avremo i nostri diritti, o moriremo come loro". Altro che calcio.

3 febbraio 2012

Fonte: La Gazzetta dello Sport

Egitto, tra gli ultrà della protesta

Ci stanno rubando la rivoluzione

di Fabio Scuto

CAIRO - Brucia come una pira il Palazzo delle Tasse lungo la Mohamed Mahmoud, la strada che da Piazza Tahrir porta verso l'odiato Ministero dell'Interno, la "mano nera" del potere egiziano, prima con il raìs Hosni Mubarak e ora con la Giunta militare che gli è succeduta. Nemmeno durante la rivoluzione di gennaio la rabbia, l'odio, il risentimento, aveva portato la guerriglia così dentro la cittadella del potere egiziano. In fondo alla strada, illuminate dalle molotov che esplodono a terra, colonne di blindati con il motore acceso. Da dietro questi mezzi militari partono decine e decine di lacrimogeni, un gas semi-letale come dimostrano le tre persone morte per un blocco respiratorio, millecinquecento i feriti portati via braccia per essere trasportati negli ospedali della capitale. "Questa strada dovrebbe cambiare nome subito e chiamarsi via dei Martiri, solo a novembre qui sono morti quaranta ragazzi quando chiedevamo, allora come oggi, la stessa cosa: i generali se ne devono andare". Ashraf, tifoso dell'Al-Ahly con la bandiera appoggiata a mo' di mantello sulle spalle e la maschera antigas "Made in China" sul viso, sta sull'angolo fra Piazza Tahrir e "Via dei martiri". Perché nel luogo simbolo della primavera egiziana, della contestazione prima contro il raìs e poi contro la Giunta guidata dal generale Tantawi, non ci sono più solo i tricolori con l'aquila di Saladino in mezzo. In piazza per quel che si vede tra i fumi degli incendi e quello gas sparati dalla polizia sventolano le bandiere dell'Al-Ahly e dello Zamalek, le squadre di calcio della capitale. Le tifoserie dopo la strage di Port Said di mercoledì, messo da parte un odio atavico, hanno fatto da due giorni fronte contro il nemico comune: la polizia. Sui muri attorno alla Piazza sono comparse scritte che uniscono gli ultras di tutto il mondo: ACAB (All Cops are Bastards). Ma sono tornati in strada anche i "ragazzi di gennaio", 28 tra gruppi e movimenti protagonisti della rivoluzione che ha cacciato un anno fa l'ultimo Faraone, hanno chiesto alla gente in tutto il Paese di tornare nelle piazze, perché "qualcuno sta rubando la rivoluzione". Invito raccolto a Alexandria, a Suez e in molte altre città d'Egitto con un'unica richiesta: l'immediata uscita di scena della Giunta militare e il passaggio dei poteri ai civili. "Guarda amico, guarda come sanno proteggere bene i palazzi del potere questi str... Ma uno stadio di calcio no ? La verità che è che ci hanno voluto punire, perché noi siano stati in prima fila contro di loro quando prendevano gli ordini da Mubarak", urla Hassan mentre un'altra ambulanza cerca di fendere la folla, perché nonostante la battaglia su via Mansour, Piazza Tahir è stracolma. Dal palo di un semaforo oscilla un fantoccio impiccato che simboleggia il maresciallo Tantawi. Con Ashraf sul motorino sfrecciamo via dalla Piazza, verso il Ponte 6 ottobre, verso Gezira, la grande isola in mezzo al Nilo dove abita l'upper class del Cairo. Ville con giardino, Palazzetti liberty, sporting club, circoli del tennis. Qui, proprio di fronte al Teatro dell'Opera, c'è il Quartier Generale dell'Al-Ahly che è un po' il Real Madrid d'Egitto, la sua storia calcistica si intreccia con quella del Paese dal 1907, uno dei team più blasonati al mondo con cinquanta milioni di tifosi. Sette egiziani su dieci tifano per questa maglia rossa. Il grande complesso sportivo - che ospita il Museo con i quasi cento trofei vinti e anche gli studi della tv che segue ogni passo della squadra - è semideserto, qualche migliaio di tifosi presidia l'ingresso principale. Lo shock per quanto i calciatori hanno visto mercoledì notte a Port Said è stato fortissimo. Una delle stelle del team Mohammed Abu Trika, raggiunto quasi per caso, dice: "Ho preso una decisione e non intendo tornare indietro, non giocherò mai più al calcio". Il suo compagno Mohamed Barakat in lacrime l'ha appena annunciato davanti alle telecamere: "Dopo mercoledì il calcio non esiste più in Egitto". Sherif Hassan, giornalista sportivo ed esperto di gruppi ultras era a Port Said mercoledì notte, a commentare la "partita maledetta" per Al-Nahar Tv. "Ho visto migliaia di partite nella mia vita e so cos'è la violenza nel calcio, ma ciò che è accaduto mercoledì sera...". Anche Bothaina Kamel era una giornalista tv prima che venisse licenziata per le sue posizioni liberali ed è anche l'unica donna che si è candidata alle prossime (?) elezioni presidenziali egiziane come indipendente. "È stata una strage premeditata", dice secca, "ogni volta che sta scadere lo stato d'emergenza succede sempre qualcosa, e i generali lo rinnovano". È questa l'accusa che fa tremare adesso Tantawi e i palazzi del potere egiziano, quella di aver orchestrato la violenza per mantenere l'Egitto sotto leggi che lasciano mano libera a esercito e polizia. L'intero Egitto è stato traumatizzato dalle immagini di mercoledì sera - rilanciate ieri da tutte le reti tv - dove si vedono i reparti della polizia anti-sommossa immobili mentre centinaia di supporter dell'Al-Masry invadevano il campo e poi davano l'assalto agli spalti dove c'erano i tifosi dell'Al-Ahly. "Non è stata una partita quella, è stata una guerra", dice Ashraf fermando il motorino davanti al mio albergo, "la nostra prima guerra del fùtbol".

4 febbraio 2012

Fonte: La Repubblica

© Fotografia: Wikipedia.org

Egitto: 21 condanne a morte per strage stadio di Port Said

Un tribunale egiziano ha condannato a morte 21 persone per gli scontri del primo febbraio 2012 allo stadio di Port Said, che causarono 74 morti. La sentenza sarà trasmessa al Gran Muftì, la massima autorità religiosa del Paese che deve autorizzare le esecuzioni capitali. Dopo la lettura della sentenza, i parenti dei condannati hanno tentato di assaltare la prigione in cui sono rinchiusi gli imputati. Lo stadio di Port Said fu teatro di un'autentica battaglia tra i tifosi locali dell'Al-Masry e quelli della squadra cairota dell'Al-Alhy. Nelle successive proteste al Cairo ci furono altri 16 morti. Secondo molti osservatori gli incidenti furono pianificati dalla polizia o da nostalgici di Hosni Mubarak per vendicarsi degli Ultras dell'Al-Ahly che erano stati in prima linea nella rivoluzione contro il Rais.

26 gennaio 2013

Fonte: Repubblica.it

Strage Port Said, 21 condanne a morte.

Assalto alla prigione degli ultras, è strage

La sentenza sarà trasmessa al Gran Muftì, massima autorità religiosa del Paese che deve autorizzare le esecuzioni capitali. Negli scontri del 1 febbraio 2012 tra tifosi dell'Al-Masry e dell'Al-Alhy morirono 74 persone. Dopo l'udienza i parenti dei condannati hanno cercato di irrompere nel carcere.

IL CAIRO - L'Egitto brucia ancora. Oltre 27 persone sono rimaste uccise nell'assalto alla prigione del Cairo da parte degli ultras e dei parenti dei condannati alla pena di morte con la sentenza della corte d'Assise di Port Said, che oggi ha chiesto la pena capitale per 21 dei 73 imputati nel processo del massacro allo stadio di Port Said. Negli scontri tra le tifoserie dell'Al-Masry e dell'Al-Alhy, il primo febbraio 2012 morirono 74 supporter dell'Al-Ahly del Cairo. La sentenza deve essere ancora trasmessa al Gran Muftì, la massima autorità religiosa del Paese, per avere l'autorizzare finale alle esecuzioni. Nell'aula di tribunale i familiari delle vittime hanno alzato le mani al cielo e gridato "Allah Akbar", ossia Dio è grande, in arabo. Fuori il carcere migliaia di ultras della squadra avversaria, l'Al-Masry hanno invece cominciato a protestare con violenza tentando di assaltare la prigione in cui sono rinchiusi gli imputati. Tra le vittime ci sono due poliziotti, il tenente Ahmed El-Balki e l'agente Ayman Abdel. I feriti sono almeno 50. L'esercito è stato schierato nella città. Lo rendono noto fonti ufficiali. Testimoni hanno riferito di veicoli corazzati dell'esercito e polizia militare che pattugliano le strade e gli edifici pubblici della città sul canale di Suez. Secondo fonti mediche sono in corso sparatorie un po' ovunque e il numero di manifestanti continua ad aumentare. Ci sono stati anche dei colpi di arma da fuoco contro un traghetto greco nel porto, senza però provocare vittime. In una dichiarazione alla televisione di Stato, il giudice ha fatto sapere che annuncerà i verdetti degli altri 52 imputati il 9 marzo. Tra i 73 imputati ci sono anche 9 ufficiali di polizia e tre manager del club avversario. Per loro la sentenza rimane in sospeso. Sono accusati di avere permesso il massacro peggiore della storia del calcio. Durante l'udienza nelle gabbie degli imputati c'erano solo sei poliziotti. Lo stadio di Port Said fu teatro di un'autentica battaglia tra i tifosi locali dell'Al-Masry e quelli della squadra cairota dell'Al-Alhy. Nelle successive proteste al Cairo ci furono altri 16 morti. Secondo molti osservatori gli incidenti furono pianificati dalla polizia o da nostalgici di Hosni Mubarak per vendicarsi degli Ultras dell'Al Ahly che erano stati in prima linea nella rivoluzione contro il Rais. Fermato dopo la strage il campionato egiziano era ripartito 15 dicembre del 2012, poco meno di un anno dopo. Il presidente egiziano, Mohamed Morsi, riunisce oggi il Consiglio di difesa nazionale, il massimo organo della sicurezza, per far fronte al caos di proteste e violenze in cui sta precipitando il Paese. Per ora il governo ha risposto ordinando all'esercito di presidiare le strade e gli edifici pubblici a Suez, dove venerdì c'erano stati dieci morti, e a Port Said. Il Consiglio di difesa nazionale, di cui fanno parte Morsi, i vertici militari, i presidenti delle Camere, il premier e alcuni ministri, studierà misure per riportare la tranquillità nelle strade e assicurare alla giustizia i responsabili delle violenze.

26 gennaio 2013

Fonte: Repubblica.it

© Fotografia: Ilpost.it

Strage a Port Said, l’Egitto nel caos

di Fabio Scuto

GERUSALEMME - La partita "maledetta" tornata a incendiare le piazze di Port Said, dando nuova linfa all' ondata di proteste già finite nel sangue venerdì in Egitto contro il regime islamista. Un anno dopo la strage allo stadio di Port Said dove a febbraio dell’anno scorso morirono 74 persone, nell' assalto dei tifosi della squadra locale contro i supporter dell’Al Ahly, il tribunale ha emesso ieri mattina la sentenza condannando a morte 21 degli imputati, tutti ultras dell’Al Masry. Alla lettura del verdetto, si è scatenata la rabbia e la folla a Port Said ha assediato il carcere locale per cercare di liberare gli imputati e assaltato due commissariati a colpi di pistola. Incidenti anche al Cairo dove ieri sera i fumi dei lacrimogeni avvolgevano tutto il centro città. Nell' assalto alla prigione di Port Said hanno perso la vita 30 persone, quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco e sparato gas lacrimogeni contro la folla. Tra le vittime anche un ufficiale e un agente di polizia, e due giocatori di calcio presi in mezzo in una sparatoria con i supporter dell’Al Masry. Centinaia i feriti, mentre l’esercito è stato schierato in strada. I militari stanno già pattugliando la città di Suez, dove venerdì otto persone hanno perso la vita nel corso delle manifestazioni per l’anniversario della rivoluzione contro Mubarak, rapidamente diventate proteste contro il nuovo corso impresso dal presidente Mohammed Morsi e dal nuovo governo guidato dalla Fratellanza musulmana. Mentre la battaglia infuriava a Port Said, migliaia di ultras e tifosi dell’Al-Ahly, la squadra di calcio del Cairo, hanno festeggiato la sentenza nei pressi del complesso grande del club, dove oltre allo stadio ci sono gli studi tv della squadra e il grande museo che ospita i quasi 100 trofei vinti dal 1907. Gli ultras della linea più dura avevano minacciato nuove violenze se il tribunale non avesse emesso condanne alla pena capitale per gli imputati. Gli Ultras Ahlawy sono un gruppo di grande compattezza, ben organizzato e numeroso: sette egiziani su dieci tifano per questa maglia rossa. Le tensioni fin dal giorno della strage non si sono mai placate, alimentate anche dai sospetti nei confronti delle forze di sicurezza, accusate di non aver agito per impedire la tragedia, anzi, di averla alimentata. Lo stadio di Port Said fu teatro di un’autentica battaglia tra i tifosi locali e quelli ospiti. Secondo molti osservatori gli incidenti furono pianificati dalla polizia o da nostalgici di Mubarak per vendicarsi degli ultras dell’Al Ahly che erano stati in prima linea nella rivoluzione contro il rais. Dopo la fine della partita vennero spente le luci dello stadio mentre la folla di tifosi locali assaltava gli spalti occupati dagli avversari. I sopravvissuti parlano di una scena infernale, con la polizia ferma, mentre la tifoseria di casa accoltellava i fan dell’Al Ahly, gettandoli poi giù dalle gradinate. Nessun verdetto ancora per altri 52 imputati e fra questi ci sono nove ufficiali di sicurezza, atteso per il 9 marzo. Secondo la nuova Costituzione islamista, approvata con un referendum la cui legittimità è contestata dall' opposizione, la sentenza dei giudici per diventare effettiva deve essere sottoposta per un parere alla più alta autorità islamica d' Egitto: il Gran Muftì. Dopo i nove morti durante le manifestazioni per l’anniversario della rivoluzione non si placa nemmeno lo scontro politico. E in serata i manifestanti hanno circondato l’abitazione del sindaco di Alessandria chiedendo le dimissioni del primo cittadino. Il Fronte di Salvezza Nazionale, il principale blocco di partiti all' opposizione degli islamisti, incalza l’inazione del presidente Mohammed Morsi, che ieri sera ha convocato il Consiglio di Difesa e annullato un viaggio all' estero, di fronte al precipitare della crisi - anche economica - nella quale si dibatte l’Egitto e chiede la formazione di un governo di "salvezza nazionale".

27 gennaio 2013

Fonte: La Repubblica

Strage di Port Said

Sentenza e caos: 30 morti, 300 feriti

di Filippo Conticello

Follia ultrà in Egitto dopo le 21 condanne capitali per il massacro allo stadio. Altri scontri al Cairo. Tutti rispettino la rivoluzione: si manifesti sempre pacificamente.

In principio fu il calcio: Al Masry-Al Ahly, match sentito come pochi nel Nord Africa. Era l'1 febbraio 2012 e l'Egitto viveva un altro giorno di guerra dopo i tanti sofferti per deporre Mubarak: nello stadio di Port Said violenze e 74 morti, tutti tifosi dell'Al-Ahly in trasferta. Ieri la Corte d'Assise della città ha condannato a morte 21 dei 73 imputati per uno dei massacri più grandi della storia del calcio. Ma alla lettura della sentenza è tornato il caos: parenti e ultrà hanno assaltato la prigione dove sono detenuti gli imputati. Tra sparatorie e lancio di lacrimogeni, oltre 300 feriti e altri 30 cadaveri, tra cui due agenti e due calciatori: Tamer el Fahla, ex portiere del Masry, e Mohamed el Dezwi del Marikh, altra squadra locale. Per ore nella città dove sbocca il canale di Suez l'esercito si è schierato per le strade, mentre al Cairo gli ultrà di casa esultavano al grido di "Allah Akhbar". In fiamme - Per legge, le condanne a morte dovranno essere confermate dal gran muftì d'Egitto, massima autorità religiosa, mentre la sentenza per gli altri imputati, tra cui 9 poliziotti e tre manager del club, arriverà il 9 marzo. Chi osserva la nuova, faticosa vita dell'Egitto post-Mubarak è da tempo convinto che la violenza di quel giorno sia stata premeditata dal Consiglio militare perché gli ultrà dell'Al Ahly erano stati attivi durante la rivoluzione. Oggi al timone c'è Mohammed Morsi, discusso presidente dei Fratelli Musulmani: ha riunito il Consiglio di difesa per sedare le proteste che divorano il Paese intero. C'è, infatti, da fare i conti con la solita piazza Tahrir, luogo ormai mitico nel cuore del Cairo: lì venerdì sono partite le celebrazioni per i due anni dall'inizio della rivoluzione e ancora ieri volavano lacrimogeni. L'anniversario ha fatto dilagare la rabbia contro la rivoluzione tradita nella Capitale e nelle altre grandi città: 10 morti e quasi 500 feriti in totale. Morsi ha, comunque, invitato il popolo a rigettare ogni forma di violenza e minacciato il coprifuoco. La sentenza su Port Said ha però incendiato l'aria egiziana ancora di più: ci sono ancora tracce di guerra civile, assai più forti delle rivalità calcistiche.

27 gennaio 2013

Fonte: La Gazzetta dello Sport

© Fotografia: Repubblica.it

Egitto, confermata condanna a morte tifosi.

È rivolta, Federcalcio in fiamme: tre morti

Violenti disordini a Port Said dopo il verdetto d'appello contro 21 persone coinvolte negli incidenti del febbraio scorso. Treni e traghetti bloccati, assalto a un circolo ricreativo della polizia.

IL CAIRO - La sede della Federcalcio data alle fiamme, disordini in strada, traghetti per i collegamenti nel Canale di Suez fermi e treni bloccati. E tre vittime negli scontri, tutte al Cairo. L'Egitto è precipitato di nuovo nel caos dopo che un tribunale del Cairo ha confermato in appello 21 condanne a morte per le violenze allo stadio di Port Said del primo febbraio 2012, in cui ci furono 74 morti. Per quanto riguarda gli altri 52 imputati, sono stati inflitti cinque ergastoli e 19 pene detentive più brevi mentre 28 sono stati assolti. La sentenza era molto attesa dopo le violenze innescate dalla precedente sentenza di fine gennaio nella città sul Canale di Suez, ormai apertamente in rivolta contro il governo islamista del presidente Mohamed Morsi. E i peggiori timori si sono avverati. Dopo la lettura del verdetto migliaia di persone si sono precipitate in strada scatenando la violenza. I manifestanti hanno dato alle fiamme il circolo ricreativo della polizia e il quartier generale della Federazione di calcio egiziana al Cairo. Gli ultras dell'al-Ahly, la squadra di calcio del Cairo coinvolta nella strage del febbraio 2012 a Port Said, hanno bloccato la circolazione della metropolitana della capitale, nella stazione Sadat a piazza Tahrir. Il responsabile delle Ferrovie egiziane Hussein Zakaria ha invece annunciato la sospensione dei treni verso e da Port Said per ragioni di sicurezza. Davanti alla sede del governatorato di Port Said si è invece riunita una folla che chiede un risarcimento per chi è rimasto ucciso negli scontri con le forze dell'ordine. Alcuni cameramen sono stati aggrediti dai manifestanti e la loro attrezzatura è stata danneggiata. Un gruppo di manifestanti ha tolto gli ormeggi a dei motoscafi utilizzati per i collegamenti nel Canale di Suez con l'obiettivo di ostacolare la navigazione delle altre imbarcazioni. Altre duemila persone hanno invece bloccato i traghetti in partenza dalla città. Tre le persone decedute negli scontri con la polizia al Cairo, nei pressi di piazza Tahrir, hanno riferito fonti mediche. Dopo il primo morto per intossicazione da gas lacrimogeni, una seconda persona è deceduta per asfissia, mentre una terza è stata raggiunta da colpi di arma da fuoco. Gli scontri del 2012 ebbero per vittime principalmente tifosi della squadra cairota dell'al-Ahly che avevano già minacciato violente proteste qualora ci fossero state assoluzioni, soprattutto tra i poliziotti. La sentenza ha condannato due alti ufficiali di polizia a 15 anni di carcere a testa, in particolare per non aver fatto aprire i cancelli impedendo così la fuga ai tifosi dell'al-Ahly rimasti schiacciati nella ressa. Gli altri sette agenti finiti sotto processo sono stati assolti. Le 21 condanne a morte "mediante impiccagione" inflitte in primo grado sono ancora sottoposte al vaglio del Gran Muftì, che normalmente avalla le decisioni dei tribunali ma in questo ha chiesto più tempo per esaminare il caso. Si era ipotizzato che in appello potessero essere congelate in attesa della pronuncia del Muftì, ma il tribunale le ha confermate.

9 marzo 2013

Fonte: Repubblica.it

Condanna di secondo grado dopo gli scontri del gennaio 2012.

Egitto, pena di morte confermata per 21 tifosi

Protesta a Port Said, tre morti al Cairo

Negli scontri di Port Said persero la vita 74 persone. Torna la violenza, tra i morti un bambino di otto anni.

La corte d'appello ha confermato la pena di morte per impiccagione per 21 tifosi coinvolti negli scontri dell'anno scorso allo stadio di Port Said, in Egitto, in cui rimasero uccise 74 persone. Altri cinque sono stati condannati all'ergastolo. Il tribunale ha inoltre condannato l'ex responsabile della sicurezza di Port Said, il generale Essam Samak, a 15 anni di carcere per le sue responsabilità nei disordini che sfociarono nella strage allo stadio. Altri 10 imputati sono stati condannati a pene detentive di 15 anni. Altri 28 imputati a vario titolo sono stati invece prosciolti dai giudici. Sono invece stati assolti alcuni poliziotti e responsabili del club Port Said.

SI RIACCENDE LA VIOLENZA IN STRADA - Per emettere la sentenza, la corte si è riunita al Cairo per motivi di sicurezza visto che dopo le sentenze di primo grado, lo scorso gennaio, Port Said è stata teatro di scontri tra polizia e famiglie degli imputati con un bilancio di una quarantina di morti. Da allora si sono verificati diversi scontri violenti con la polizia. Anche alla vigilia della pronuncia di secondo grado, migliaia di manifestanti, solidali con i tifosi imputati, sono scesi in strada per protestare. Diversi civili sono morti a seguito dell'intervento delle forze dell'ordine. Le manifestazioni si sono saldate alle proteste contro il presidente Mohammed Morsi.

TRE MORTI AL CAIRO - Un manifestante è rimasto ucciso durante gli scontri con la polizia a piazza Tahrir, al Cairo. La vittima "è morta asfissiata" sull'ambulanza mentre veniva trasportata in ospedale dopo aver respirato gas lacrimogeni sparati dalle forze dell'ordine per bloccare il lancio di pietre da parte dei manifestanti. Tra le vittime c'è anche un bambino di 8 anni. I feriti sarebbero almeno 65.

ASSALTATA LA SEDE DELLA FEDERCALCIO - Gli ultras dell'Ahly hanno dato alle fiamme il circolo della polizia nella capitale egiziana. Assaltata anche la sede della Federcalcio egiziana. Il capo dei vigili del fuoco del ministero degli Interni Abdel-Aziz Tawfiq ha fatto sapere che alle auto dei pompieri è stato impedito di raggiungere gli edifici in fiamme. Nella mattinata di sabato un gruppo di manifestanti ha tolto gli ormeggi a dei motoscafi utilizzati per i collegamenti nel Canale di Suez con l'obiettivo di ostacolare la navigazione delle altre imbarcazioni. La polizia militare ha recuperato cinque di questi motoscafi e li ha riportati nel molo di Port Said. Circa 2.000 persone hanno invece bloccato i traghetti in partenza dalla città. Nel pomeriggio la circolazione nel canale è ripresa regolarmente.

ESERCITO SCHIERATO A EL CAIRO - Di fronte all'intensificarsi della protesta, l'esercito egiziano ha schierato propri carri armati nel centro del Cairo per garantire la sicurezza davanti alla sede del governo e al Consiglio della Shura, l'equivalente del Senato.

GLI SCONTRI DELL'ANNO SCORSO - I fatti che sono alla base del processo risalgono al 28 gennaio del 2012 a Port Said, a seguito della partita tra la squadra locale di Port Said, il Masry e la rivale cairota dell’Ahly. Dopo il fischio finale della partita, i tifosi del Masri invasero il campo attaccando i giocatori dell'Ahly e inseguendoli fin dentro gli spogliatoi. In strada si scatenò la guerriglia, che contagiò presto anche la capitale el-Cairo. Intervenne la polizia e la repressione fu durissima.

9 marzo 2013

Fonte: Corriere.it

© Fotografia:Oggitreviso.it

EGITTO

Pena di morte per la strage allo stadio

Scontri al Cairo e a Port Said, tre morti

​Tre manifestanti, tra cui un bambino di 8 anni, sono morti al Cairo durante le violente proteste scoppiate a seguito del verdetto di appello relativo alla tragedia di un anno fa allo stadio Port Said, dove morirono 74 persone.

È salito ad almeno tre morti, tra cui un bambino di soli 8 anni, e 65 feriti il bilancio provvisorio degli scontri scoppiati al Cairo dopo la sentenza che ha confermato in appello 21 condanne a morte per le violenze allo stadio di Port Said del primo febbraio 2012, in cui ci furono 74 morti. Lo riferisce il sito web del quotidiano al-Arham specificando che gli scontri proseguono nei pressi del ponte Qasr el-nil sul Nilo. La Corte di appello ha oggi confermato la condanna a morte per impiccagione a 21 tifosi per i fatti Port Said, decretando anche cinque ergastoli ed una pena di 15 anni per due alti funzionari di polizia per le responsabilità legate alla gestione dell'emergenza. La sentenza - che già dopo la pronuncia in primo grado aveva scaturito forti violenze - sta nuovamente precipitando il paese nel caos: violenti disordini si registrano nel Paese, al Cairo gli ultras dell'al-Ahly, la squadra di calcio del Cairo coinvolta nella strage del febbraio 2012 a Port Said, hanno dato alle fiamme una stazione di polizia e assalito la sede della Federcalcio egiziana.

9 marzo 2013

Fonte: Avvenire.it

Tre morti e 65 feriti. Il Cairo va in fiamme.

Egitto, è guerra ultrà

di Andrea Luchetta

Scontri con la polizia dopo le condanne per Port Said. Tra le vittime un bambino, molotov sulla Federcalcio.

IL CAIRO (Egi) - Di fronte allo stadio dell'Al Ahly, nella Cairo bene, i tifosi sono incerti. Non sanno come giudicare l'ultima sentenza per il massacro di Port Said, dove nel febbraio 2012 persero la vita 72 loro compagni. La conferma delle 21 condanne a morte comminate a gennaio scatena una gioia selvaggia. Canti, fumogeni, razzi, balli. Ma è il minimo del minimo. La partita si gioca sul destino di 9 poliziotti e 3 funzionari dell'Al Masry, accusati di aver favorito il massacro. La sentenza di ieri è una polpetta avvelenata: regala contentini a tutti e sparge fiele in egual misura. Difficile immaginare un nodo più intricato. Gli ultras dell'Al Ahly vogliono la condanna dei poliziotti e dei dirigenti dell'Al Masry. Ma se il tribunale li accontentasse, Port Said esploderebbe, e la polizia in sciopero da giorni minaccerebbe di abbandonare il governo. Alla fine i giudici decidono di non decidere: due funzionari delle forze dell'ordine condannati a 15 anni, e 7 assolti, come i dirigenti dell'Al Masry. Sullo stadio dell'Al Ahly piomba una cappa di incertezza. La base vuole vendetta, e alcune centinaia di tifosi si dirigono verso il ministero dell'Interno mentre i leader tentano di placare gli animi. Gamal, 26 anni, allo stadio di Port Said è sfuggito a due ultrà dell'Al Masry che lo inseguivano con una spada, mentre la polizia guardava. Ma oggi predica calma: "Dovete capire che in Egitto i poliziotti non vengono mai condannati. Mai. La sentenza di oggi è un piccolo progresso". Pistole e fumo Gamal teme che nella tifoseria si crei una spaccatura. Per un'ora regna l'incertezza, e la rabbia cresce. La valvola di sfogo si trova a poche centinaia di metri. Un fiume di ultrà lascia lo stadio. Dopo pochi minuti due nuvoloni di fumo oscurano il cielo di Zamalek. Bruciano un dopolavoro della polizia e la sede della Federcalcio. Incontriamo alcuni funzionari di fronte ai resti del palazzo. "Sono arrivati in 5-600, hanno rubato i trofei e appiccato il fuoco con le molotov. I poliziotti non sono intervenuti, no". Di ritorno dalla scorribanda gli animi sono più distesi. I leader annunciano la linea: "Avremo la nostra vendetta, non temete. Ma non oggi: ci sono troppi minorenni in giro. Un passo alla volta". Vince la linea della pazienza, e un ragazzino festeggia sfoderando la pistola: due colpi per aria mentre la folla rinnova l'invito a fottere Port Said. TRE VITTIME - Nel pomeriggio, come ogni giorno, gli scontri intasano l'area fra il Nilo e Piazza Tahrir. La polizia carica e spara lacrimogeni, frotte di ragazzini fra i 7 e i 15 anni imbastiscono sassaiole. Ogni tanto compaiono i passamontagna dei black bloc, che alzano la tensione con razzi e molotov. La polizia arretra per pochi metri, prima di lanciare cariche coi blindati. Poco distante, in una moschea su Piazza Tahrir, spirano un bimbo di 8 anni e un uomo colpito alla schiena mentre soccorreva un ferito. Secondo Al Ahram sarebbero stati uccisi dai pallettoni della polizia. Poche ore dopo una terza vittima, mentre i feriti sono 65. Gli ultrà negano di aver partecipato agli scontri, fedeli alla linea del mattino. Nel frattempo, a pochi chilometri, vanno a fuoco una scuola e due ristoranti. Il tutto mentre a Port Said gli ultrà dell'Al Masry tentano senza successo di bloccare il Canale di Suez, slegando le barche ormeggiate e lanciando pneumatici in fiamme. Le sentenze hanno permesso di scongiurare l'esplosione del Cairo e l'ammutinamento della polizia. Difficile però scommettere sulla tenuta di un equilibrio così precario. "Forse avrete notizie degli ultrà già nei prossimi giorni" conclude Gamal.

10 marzo 2013

Fonte: La Gazzetta dello Sport

Pena di morte agli ultrà, Egitto in fiamme

Rivolta a piazza Tahrir, ucciso un bimbo

di Fabio Scuto

IL CAIRO - La prima guerra del football, quella scatenata dalla strage di tifosi allo stadio di Port Said un anno fa, ha conosciuto ieri un’altra giornata di sangue. Con scene da guerra civile, assalti contro la polizia, palazzi in fiamme nella capitale, ponti bloccati, scontri con le forze dell’ordine. Un bilancio provvisorio annuncia tre vittime al Cairo: due ragazzi morti nei pressi di Piazza Tahrir, e un bambino di otto anni. I feriti sono quasi cento. È successo di tutto tra il Cairo e Port Said, dopo la sentenza che ieri mattina ha confermato la pena di morte per 21 ultrà e condannato a 15 anni il capo della sicurezza di Port Said, ma ha mandato assolte 28 persone, fra cui sette poliziotti accusati di aver favorito - aprendo i cancelli interni - l’assalto dei sostenitori dell’Al Masri contro quelli della tifoseria ospite. La maggior parte delle condanne riguarda tifosi dell’Al Masri. A giudizio anche altri 52 imputati, per cinque dei quali è scattato l’ergastolo. Sentenze che hanno scontentato tutti. Al Cairo sono stati i tifosi dell’Al Alhy - 74 i suoi supporter uccisi l’anno scorso a Port Said - a guidare le proteste: le assoluzioni di sette agenti ne hanno scatenata la furia, al punto da dare alle fiamme la sede della Federcalcio e quella di una squadra di calcio della polizia nell' elegante isola di Zamalek. Un gruppo ha bloccato il Ponte 6 Ottobre, uno dei più importanti del Cairo. I tifosi dell’Al Alhy - la squadra più blasonata d' Egitto - minacciano di non fermarsi finché non avranno giustizia e annunciano sul loro sito web: "Questo è solo l’inizio. Aspettatevi altro ancora se tutti gli altri elementi coinvolti nel massacro non salteranno fuori". Mentre calava la notte, gli scontri dilagavano verso Piazza Tahrir. A Port Said sono scoppiati altri tafferugli con circa duemila persone, in gran parte legate agli imputati. La folla si è diretta verso i moli dove diverse imbarcazioni sono state liberate dagli ormeggi e lasciate alla deriva nel tentativo di impedire la navigazione del Canale di Suez. L' esercito è stato costretto a intervenire. Il traffico navale è ripreso regolarmente in serata. Ma l’Egitto è in preda al caos, con un governo e un presidente islamista che non sembrano in grado di affrontare le emergenze. Decine di migliaia di poliziotti hanno iniziato uno sciopero a oltranza contro il ministro degli Interni della Fratellanza musulmana. La protesta, partita dal Sinai, si è allargata a tutto il Paese. Gli agenti chiedono più armi e mezzi per far fronte alla mancanza di sicurezza anche nelle zone urbane, al dilagare della piccola malavita: furti e rapine nelle vie del Cairo sono ormai decine ogni giorno. Inoltre il ministero degli Interni ha annunciato ieri lo stato di emergenza nel Sinai: i rapporti dell’intelligence annunciano possibili attacchi jihadisti contro la polizia nella Penisola e contro il confine israeliano.

10 marzo 2013

Fonte: La Repubblica

© Fotografia: Valigiablu.it

Port Said, la verità: la notte che ha ucciso la rivoluzione in Egitto

di Andrea Luchetta

IL CAIRO (Egitto), 02 aprile 2013 - Dopo le 21 condanne a morte per il massacro dei 72 tifosi dell'Al Ahly, parlano poliziotti, attivisti e ultrà. E rivelano che chi ha voluto la strage sta vincendo la scommessa. La notte che ha fottuto una rivoluzione, Gamal si è trovato due tizi alle calcagna. Uno brandiva un bastone, l’altro una spada. "Una spada, cazzo, hai presente ? Prima l’avevo vista soltanto nei film. Mi son lanciato giù dalla curva, sarà stato un salto di 4-5 metri". Poi di corsa nel tunnel d’uscita. Solo un cancello lo separava dalla salvezza, ma qualcuno lo aveva chiuso a chiave. Prima di vederlo crollare sono morti a decine. "Saremo stati schiacciati in 500. Sopra di me due o tre corpi, tutto intorno gente svenuta. E quegli altri che frugavano, rubavano, bastonavano…". Negli occhi il buio - una mano aveva spento i riflettori all’inizio dell’assalto - nelle orecchie la musica vomitata dagli altoparlanti. Al fischio finale di Al Masry-Al Ahly (3-1) migliaia di spettatori hanno invaso il campo nell’indifferenza della polizia. Il varco di accesso alla curva ospiti - gli Ultras Ahlawy - era incredibilmente aperto. Nel fiume di invasori si nascondevano decine di assassini. E così, nel blackout che ha avvolto lo stadio (costato 15 anni di prigione al responsabile delle luci), Gamal ha pianto 72 compagni. Fanti della rivoluzione - Era la notte del primo febbraio 2012, e già all’alba in pochi credevano a un semplice scontro fra tifoserie. Tutti i testimoni che abbiamo incontrato - poliziotti, ultrà, attivisti, spettatori - sottolineano gli stessi punti oscuri: le mancate perquisizioni, i teppisti armati, il cancello della curva aperto e quello d’uscita sprangato, l’inerzia della polizia e il blackout improvviso. Troppo per parlare di fatalità o negligenza. La maggior parte dei testimoni, Gamal compreso, crede che l’assalto sia sfuggito di mano. Probabilmente qualcuno cercava un paio di morti "simbolici" per impartire una lezione agli Ahlawy, decisivi nel difendere piazza Tahrir dalle cariche di esercito e polizia. Allo stadio di Port Said, in altre parole, si sarebbe consumata la vendetta del vecchio regime contro la fanteria della rivoluzione.

Attivisti vs ultrà - Nove marzo 2013. Migliaia di ultrà si accalcano fuori dallo stadio dell’Al Ahly, nel cuore della Cairo bene. Aspettano il secondo verdetto sul massacro. Il 26 gennaio un tribunale ha condannato a morte 21 tifosi dell’Al Masry, rinviando a oggi la sentenza per altri 52 imputati, fra cui nove poliziotti. Molti Ahlawy nascondono una pistola sotto la maglia, Gamal ci mostra ridacchiando una mazza ripiegabile ("picchiare uno sbirro è come perdere la verginità" assicura). All’improvviso tutto si fa silenzio. Una voce annuncia la conferma delle 21 condanne a morte, che avverranno "per impiccagione". È il delirio. Cori rabbiosi invadono il cielo del Cairo, mentre intorno esplodono razzi, canti, balli, colpi di pistola. Poi di nuovo silenzio. Il capo della polizia di Port Said e il suo vice condannati a 15 anni, gli altri 7 poliziotti assolti. Qualcuno festeggia, altri gridano, il padre di un ragazzo assassinato è furioso. I leader predicano calma, ma a centinaia ruggiscono "Guerra ! Guerra !". Ritornano allo stadio solo dopo aver incendiato la sede della Federcalcio. Poco lontano attivisti e bambini di strada si scontrano con la polizia. Il grosso dei tifosi però non si vede: la strage ha messo a dura prova l’alleanza manifestanti-ultrà, creando interessi divergenti. Il massacro è la sola preoccupazione degli Ahlawy, mentre gli attivisti rimangono concentrati su un discorso politicamente più strutturato. "Big Pharaoh", uno dei primi blogger a sfidare la censura di Mubarak, non nasconde la tensione: "Abbiamo sbagliato a politicizzare gli ultrà. Molti sono veri rivoluzionari, ma ad altri della politica non frega nulla".

La pistola più veloce - È stata Port Said a pagare il conto più salato per la strage. Le condanne a morte hanno scatenato un mese e mezzo di guerra civile, costata 50 morti e 800 feriti. Gli scontri si sono conclusi solo dopo il ritiro della polizia e l’ingresso dei carri armati. Arriviamo in città al termine di un viaggio in pullman da film di Tarantino. Alla prima fermata un uomo ben piantato, sui 30 anni, si siede di fianco a noi. Prima però svuota le tasche e appoggia una pistola nel portaoggetti, lasciando la canna puntata verso le nostre rotule. Diventiamo subito amici. Scopriamo così che è un poliziotto e che la notte del massacro era allo stadio. "Da spettatore" tiene ad aggiungere. Che cosa pensa della condanna del capo della polizia ? Riflette un attimo e poi spara: "Guarda, quella sera - e solo quella sera - il comandante ha ordinato di non intervenire nemmeno di fronte a due spettatori che si ammazzano. Ce l’ha detto il nuovo comandante: lo abbiamo messo alle strette quando la città si è rivoltata contro di noi".

I tank sul canale - Mohammed, un rivoluzionario della prima ora, ci accoglie in un bar del centro. Il naso è gonfio fino a scoppiare, coperto da un cerotto che pare un lenzuolo. "Un poliziotto", spiega. "Mi ha sparato un lacrimogeno dritto in faccia da 10 metri. Qui la rivoluzione è arrivata col processo. Le condanne a morte ci hanno fatto sentire un’ingiustizia fortissima, scatenando la rabbia covata per il declino della città". La gente di Port Said concorda sul movente politico della strage, ma crede che le persone destinate al patibolo siano innocenti, cadute in retate casuali solo per placare l’ira del Cairo. Oggi la città è sotto occupazione militare. I soldati dirigono il traffico al centro degli incroci, paletta in una mano e mitra nell’altra, mentre a decine montano la guardia ai centri più sensibili. La popolazione pare serena: l’esercito è amato più che altrove, complice la storia di una città che la geografia ha posto sulla linea del fronte nelle guerre con Israele. Perfino le sponde del Canale di Suez sembrano tranquille, non fosse per i tank parcheggiati ogni poche centinaia di metri. I tentativi di bloccare le navi sono tutti falliti. Mohammed scuote la testa col cerottone bianco, deluso: "Qui non succederà più molto, mica puoi attaccare l'esercito".

Strategia della tensione - Port Said si presenta come un laboratorio per il futuro. L’Egitto è un Paese lacerato, stanco, sfinito da due anni di "sovversione permanente". L’economia sprofonda, i Fratelli musulmani dividono come e più di Mubarak, e molti papaveri del vecchio regime sono ancora al loro posto. Piazza Tahrir, centro simbolico della rivoluzione, è ormai in mano a sbandati e bambini di strada, che sfogano una rabbia esistenziale in sassaiole quotidiane (e sarà proprio un bimbo di 9 anni, con un sorriso ironico per gli stranieri inesperti, a spiegarci come lenire gli effetti dei primi lacrimogeni). Bassem Sabry, storico blogger dissidente, è netto: "La situazione potrebbe raggiungere un punto tale da rendere un intervento dell’esercito non solo logico, ma perfino auspicabile". Esattamente quello che è successo a Port Said. Poco prima di dimettersi, nel febbraio 2011, Mubarak ha messo in guardia gli egiziani: "Senza di me sarà il caos". Il massacro del primo febbraio 2012 ne è stato l’assaggio più amaro. Una trappola capace di dividere il fronte degli oppositori, mettere una città contro l’altra e soprattutto contribuire a una spirale di violenza in confronto alla quale il vecchio regime, imperniato sull’esercito, appare un miracolo di stabilità. Non è un caso che le voci più decise per un ritorno dei militari siano risuonate nei giorni del secondo verdetto sulla strage. Sin dal principio della rivoluzione un apparato in crisi ha giocato la carta del terrore, presentandosi come sola alternativa alla guerra civile. Una sorta di strategia della tensione, in cui il massacro di Port Said si presenta come un tassello fondamentale. Non sapremo mai se la strage è stata concepita in queste proporzioni, o se davvero si è trattato di una "piccola vendetta" sfuggita di mano. Quello che conta è l’impatto sul destino della rivoluzione. E oggi, a più di un anno di distanza, appare chiaro che chi ha scelto la via del caos per preservare lo status quo sta vincendo la sua scommessa. (ha collaborato Luca Gambardella)

23 aprile 2013

Fonte: Gazzetta.it

© Fotografia: Ilsecoloxix.it

Egitto, strage di Port Said: confermata condanna a morte per dieci ultras

La Cassazione egiziana ha confermato la pena capitale i mandanti della strage del febbraio del 2012, in cui persero la vita 74 tifosi. A loro si aggiunge un ultras già sanzionato nel giugno 2015.

ROMA - La Corte Suprema d'Egitto ha confermato la condanna a morte per dieci ultras, esecutori materiali dei disordini che hanno direttamente causato la strage di Port Said del febbraio 2012: durante la sentita partita di calcio tra Al Ahly e Al Masry 74 persone hanno perso la vita a seguito degli scontri scoppiati nei pressi dello stadio della città portuale egiziana. La sentenza della corte di Cassazione ha tenuto conto della violenza dell'assalto dei tifosi e dello sfondo politico della manifestazione. Numerosi tifosi hanno perso la vita calpestati dalla folla in fuga, o cadendo dalle tribune, dopo l'invasione di campo della frangia violenta dell'Al-Masry. In totale gli ultras puniti con la pena capitale sono 11, essendo già in atto una condanna a morte - dal giugno 2015 - per uno degli esecutori della strage, attualmente latitante. Pene detentive per altre 40 persone (tra cui manager delle squadre e corpo di polizia) tra i 5 e 15 anni, per aver messo i tifosi nelle condizioni di mettere a ferro e fuoco lo stadio. Una vicenda che ha lasciato profondi strascichi nel paese, tra i quali un assalto alle prigioni nelle quali erano reclusi gli ultras dell'Al Masry. Nel tentativo di liberare i "colleghi" e parenti, nel gennaio 2013, altre 27 persone sono rimaste uccise dopo un sanguinoso scontro con la polizia. Da anni in Egitto si gioca a porte chiuse per il timore che gli estremisti politici possano utilizzare gli stadi come palcoscenici per le loro rivendicazioni.

20 febbraio 2017

Fonte: Repubblica.it

© Fotografia: Sport.sky.it
 
     
www.saladellamemoriaheysel.it  Domenico Laudadio  ©  Copyrights  22.02.2009  (All rights reserved)