Al Ahly e Al Masry in campo dopo la
strage del febbraio 2012
di Andrea Luchetta
A Port Said ci furono 72 morti per gli
scontri tra tifosi, oggi si gioca a porte
chiuse.
Tre anni e 120 morti dopo, Al Ahly e Al Masry
torneranno a guardarsi negli occhi su un campo
da calcio. Il 1° febbraio del 2012 finì in
strage: al fischio finale 3-1 per l’Al Masry -
migliaia di persone invasero il terreno dello
stadio di Port Said, dirigendosi verso la curva
degli odiati cairoti. Nella folla erano nascoste
decine di sicari, armati di spranghe, coltelli,
alcuni perfino spade. Pochi minuti dopo, nel
buio e nel frastuono, si conteranno 72 vittime.
La polizia non mosse un dito, così come
all’ingresso si era astenuta dal perquisire gli
spettatori. Fino al colpo di Stato del 2013,
Port Said è rimasta la notte più sanguinosa
dell’Egitto post-rivoluzionario: forte,
fortissimo il sospetto di una vendetta del
vecchio regime, visto il ruolo decisivo degli
ultrà dell’Al Ahly, fanteria della rivoluzione
negli scontri di piazza. IL PROCESSO - Anche a
Port Said lamentano un’ingiustizia. Nel gennaio
2013 un tribunale ha condannato a morte 21
tifosi dell’Al Masry, molti dei quali arrestati
in modo arbitrario. Il verdetto ha scatenato un
mese e mezzo di guerra civile, costata la vita
ad almeno 50 persone. Il processo (ora in fase
di appello) si è trasformato in rompicapo:
rivedere le condanne significa incendiare Il
Cairo, confermarle vuol dire destabilizzare Port
Said, sbocco del Canale di Suez. Non c’è verso
di uscirne, e oggi si temono scontri non tanto
allo stadio (si giocherà a porte chiuse sul
neutro di El Gouna, il deserto a separarla dal
Cairo e Port Said) quanto nelle due città.
Martedì le famiglie dei "martiri" dell’Al Ahly
hanno fatto irruzione nella sede del club,
chiedendo di boicottare l’incontro fino alla
fine del processo. Li spalleggiavano gli Ultras
Ahlawy che, malgrado la repressione, restano uno
dei gruppi più organizzati del Paese. DUE RINVII
- Il club ha respinto la richiesta, ma fino
all’ultimo non si escludono sorprese: la partita
era in calendario già il 20 dicembre e il 3
gennaio, e in entrambi i casi è slittata. Questa
sembra la volta buona, anche se con ogni
probabilità non lo sarà per il giocatore più
emblematico: Momen Zakaria, neoacquisto dell’Al
Ahly, il 1° febbraio 2012 era in campo con la
maglia dell’Al Masry, con cui segnò una
doppietta. È stato sospeso dopo che i rivali
dello Zamalek lo hanno denunciato per aver
sottoscritto un accordo anche con loro.
Difficilmente rimpiangerà di non essere in
campo.
10 gennaio 2015
Fonte: La
Gazzetta dello Sport
© Fotografia: Ilsecoloxix.it
Ultras egiziani - Intervista a Amr
Guevara
Il 1 febbraio 2012 è una data che per gli
egiziani rappresenta un trauma di portata
nazionale, un lutto che rimarrà a lungo una
macchia nera nella storia dell’Egitto moderno.
Era passata una settimana dai festeggiamenti del
primo anniversario della rivoluzione del 25
gennaio (anche se boicottati da molti partiti
laici e da molti attivisti), quando iniziarono a
scorrere delle immagini in televisione che
lasciavano sgomenti. Una vera lotta combattuta
sugli spalti all’interno dello stadio di Port
Said: lanci di sassi, di bottiglie, di petardi e
di molotov, caccia all’avversario,
accoltellamenti dei supporter locali (El Masry)
contro quelli del team cairota El Ahly.
L’invasione di campo dei cairoti fu una
conseguenza isterica e spontanea per scappare
alla violenza della tifoseria locale. Nel
guardare una domanda nasceva spontanea: come era
possibile che nessuno intervenisse per fermare
la battaglia ? Dove erano le forze di sicurezza
? Più di mille i feriti, settantaquattro fu il
numero delle vittime, la maggior parte delle
quali decedute per accoltellamenti ed emorragie
interne, o gettati nel vuoto dagli spalti alti
dello stadio, o schiacciati e morti per asfissia
perché la polizia non aprì i cancelli che
potevano permettere la fuga degli Ultras. La
stessa squadra de El Ahly rimase intrappolata
negli spogliatoi fino a quando un corpo speciale
dell’esercito intervenne con elicotteri; il suo
allenatore portoghese, Manuel José, ha affermato
che il massacro fu orchestrato ad hoc dalle alte
sfere governative. Una delle accuse mosse dagli
Ultras Ahlawy (de El Ahly) è che quanto accadde
a Port Said fu un vero e proprio complotto
ordito e studiato a tavolino dai servizi segreti
egiziani come atto di vendetta contro gli Ultras
per aver appoggiato la rivoluzione (gli Ultras
ebbero un ruolo fondamentale nel giorno della
"La Battaglia dei Cammelli" del 3-4 febbraio
2011, furono gli unici ad affrontare e a
cacciare da Tahrir gli scagnozzi del regime). La
tifoseria accusa gli agenti che erano presenti
nello stadio di non essersi frapposti fra le
tifoserie in campo per evitare che la tragedia
avesse luogo. Molti testimoni oculari dichiarano
che un copioso numero di persone furono fatte
entrare senza biglietto dagli uomini della
sicurezza dello stadio, veri e propri criminali
armati fino ai denti. Sono 70 gli imputati che
sono sotto processo presso il tribunale penale
de Il Cairo, di cui 9 ufficiali di polizia. Il
campionato egiziano è quindi fermo da febbraio
scorso, interrotto inizialmente per volontà
delle autorità centrali e poi da quella degli
Ultras. Una delle richieste di quest’ultimi per
riprendere il regolare svolgimento delle partite
è che i responsabili a livello istituzionale
siano processati, che gli indiziati siano
mandati a giudizio, altrimenti l’inizio della
stagione sarà bloccata sine die con
l’occupazione degli stadi, vietandone l’accesso
a chiunque. I media, la Federazione di Calcio
Egiziana (FGCE), i giornalisti, le squadre e
alcune tifoserie vorrebbero la ripresa del
campionato, per il ritorno alla normalità. Per
gli Ahlawy la richiesta è subordinata
all’interesse del business e non certo per la
pace e la tranquillità sociale come vorrebbero
far intendere le parti in causa.
Gli Ultras rossi (il colore de El Ahly e
dei suoi tifosi) nutrono un personale
risentimento verso i due giornalisti sportivi
Shubar e Medhat Shalaby, colpevoli agli occhi
degli Ultras di essere pro-Mubarak e di averli
etichettati come teppisti e drogati durante le
trasmissioni radiofoniche nazionali.
I fatti di Port Said sono solo il culmine di
provocazioni e destabilizzazioni create
appositamente dai foulul, come vengono
etichettati gli appartenenti al vecchio regime,
i quali, con l’appoggio delle istituzioni
corrotte e degli apparati segreti di stato, sono
riusciti a portare scompiglio e insicurezza nel
paese. Nei mesi successivi la caduta di Mubarak,
si è assistito alla riorganizzazione delle forze
reazionarie per fermare la spinta rivoluzionaria
di piazza Tahrir. Ci sono stati scontri tra le
forze di sicurezza e di polizia militare con i
cittadini a partire dal massacro dei copti (ott.
’11), passando per via Mohamed Mahmud (MM) e via
Qasr el Aini (rispettivamente nov e dic ’11).
Gli unici capaci di tener testa ai poliziotti
erano gli Ultras, allenati negli scontri corpo a
corpo e meglio organizzati di altri gruppi
rivoluzionari. La risposta delle autorità è
stata quella di erigere mura di blocchi di
cemento armato nelle strade della capitale
egiziana per evitare che i manifestanti
arrivassero ai palazzi del potere come il
Ministero degli Interni (MdI). Questa la dice
lunga sulla voglia di comunicare delle autorità
militari. Dopo Port Said una vera e propria orda
di tifosi rossi confluì da tutte le regioni
dell’Egitto per scagliarsi contro il MdI,
aprendosi un varco con la forza delle sole mani
tra le barriere innalzate dai militari. La
battaglia al centro de Il Cairo fu cruenta, e
molti analisti-giornalisti pensarono di essere
sull’orlo di una guerra civile con l’avvento di
un regime ancora più autoritario e repressivo di
quello di Mubarak. Gli Ultras possiedono una
grande forza organizzativa. Prenotano interi
treni per portare i fans alle trasferte de El
Ahly, si organizzano allo stadio con un nocciolo
duro, scandiscono i cori della curva,
stabiliscono le strategie di attacco e di difesa
contro i celerini e le truppe antisommossa. La
loro rete è capillare e trasversale, ben diffusa
dentro il territorio, da nord a sud del paese,
tra ricchi e poveri esiste un corporativismo e
un cameratismo profondo permeato da una forte
mutuale solidarietà tra i membri. Parzialmente e
idealmente sono uno dei gruppi più numerosi e
meglio organizzati che porta avanti le richieste
della rivoluzione, anche se non è loro volontà
essere politicizzati. Odiano la politica e le
corporation speculative del business. Tengono
duro sulle loro posizioni, bloccando un settore
(quello del calcio) che porta ingenti quantità
di soldi ai club, ai dirigenti, alla pubblicità
e ai media. Forse la loro lotta è impari, come
quella dei precari, disoccupati, giovani,
metalmeccanici, sindacalisti che sono scesi in
tutte le piazze d’Europa il 14 novembre per far
capire che la gente non vuole assoggettarsi ai
dettami di una Troika che impone delle politiche
economiche più vicine a un Ancién Regime che
allo spirito dei padri fondatori e costituenti
dell’Europa democratica di metà secolo scorso.
Gli stessi corrotti poteri neoliberisti hanno
portato sull’orlo del baratro l’Egitto, un paese
fatto di sudditi e mai di cittadini, dove la
polizia e le istituzioni negli ultimi trent’anni
non sono mai stati al servizio del popolo, ma
solo a quello dei propri superiori.
Amr Guevara è un giornalista, portavoce
del Movimento giovanile Giustizia e Libertà,
co-blogger del giornale Ribelle Impenetrabile,
speaker radio, membro del partito Alleanza
Popolare Socialista e Ultras de El Ahly. Durante
i primi giorni della rivoluzione di gennaio 2011
è stato colpito da 6 colpi da arma da fuoco, ha
ancora una pallottola all’altezza del femore
perché non è stato possibile rimuoverla. Perché
gli Ultras dell’Ahly pensano che i responsabili
degli eventi di Port Said siano da attribuire al
MdI e allo SCAF (Supreme Coulcil of Armed
Forces) ?
"Siamo convinti al 100% che è stato un piano
ordito dallo SCAF e dai criminali del MdI che
hanno ordinato ai teppisti di invadere il Canale
di Suez e il Sinai, per poi deviarli a Port
Said. È stata una vendetta contro gli Ultras per
il ruolo che hanno avuto nella rivoluzione fin
dall’inizio. Mi riferisco agli Ultras Ahlawi e
ai White Knights della squadra del Zamalek.
Siamo sempre stati in prima linea contro il
governo militare dello SCAF, per questo è
accaduto il massacro di Port Said".
Ci sono relazioni tra gli Ultras delle
diverse squadre ?
"Ovviamente quando scendevamo in piazza durante
la rivoluzione eravamo tutti insieme, ma prima
di Port Said esistevano solo gemellaggi tra
tifoserie; dopo sono nati stretti legami e
relazioni, lo scambio di comunicazioni è
diventato intenso e continuo".
Gli Ultras hanno una strategia comune ?
"Ci siamo messi d’accordo affinché il campionato
non abbia inizio fino a quando i giudici non si
pronunceranno sugli avvenimenti di Port Said.
Siamo una forza unitaria e compatta, rimaniamo
sulle nostre posizioni, su questo non si
transige. Ovviamente alcuni tifosi vorrebbero
che il campionato riprendesse, per tornare allo
stadio, ma dall’inizio gli Ahlawi e i Zamalkawi
si sono rifiutati categoricamente fino a quando
i responsabili delle morti di Port Said non
saranno giudicati secondo un regolare processo".
Quali probabilità ci sono che gli Ultras
ottengano giustizia dalla sentenza del tribunale
?
"Siamo in attesa della decisione della corte. Ci
sono degli indiziati alla sbarra, dovremmo
attendere che il processo segua il suo corso,
ascolteremo la sentenza finale e poi vedremo".
Come è stato possibile un numero così
elevato di vittime ?
"I teppisti e criminali si sono mischiati ai
tifosi, chi ha fatto in modo che ciò accadesse è
stata la polizia, con il tacito appoggio del MdI
e dello SCAF. Il piano era quello di mettere a
tacere gli Ultras Ahlawi. Nella partita della
settimana precedente era accaduta la stessa
cosa, ma in quell’occasione la polizia si è
frapposta tra le due tifoserie. Sono convinto
che da questa situazione ne usciamo rafforzati".
Ma la FGEC, i media, i giornalisti e
alcuni tifosi vorrebbero che il campionato
iniziasse di nuovo…
"Il problema è che non ci sono le condizioni di
sicurezza generali. Quello che è accaduto a Port
Said la prossima volta può capitare ai supporter
del Zamalek o di Ismailiyya".
Perché gli Ultras sono contro i media ?
"I media ci hanno descritto come criminali e
teppisti, guardano solamente ai soldi e non alle
persone che sono morte dentro lo stadio. Non è
possibile rimuovere quei giornalisti che ci
hanno denigrato, perché lavorano per emittenti
private, ma quello che abbiamo fatto come Ultras
è spegnere la TV o cambiare canale".
Quale è la posizione del MdI e
dell’attuale governo ?
"Il MdI non vuole rapporti con gli Ultras. Il
governo, come il parlamento e il presidente
pensano ai propri affari. Gli Ultras non hanno
molta fiducia in Morsi, che cosa ha fatto nei
suoi primi 100 giorni da quando è stato
insediato ? Niente !".
Pensi che gli Ultras stiano portando
avanti le richieste e i valori della prima fase
della rivoluzione ?
"Noi siamo stati in piazza fino dal primo
all’ultimo giorno dei 18 passati a Tahrir prima
che Mubarak si dimettesse. Siamo stati gli unici
che si sono scontrati con il MdI e i suoi
scagnozzi anche prima della rivoluzione. Non
vogliamo abbandonare il campo dopo tutto il
sangue versato dai martiri della rivoluzione.
Siamo diventati più concentrati e più coscienti
dopo Port Said, perché i giovani morti nello
stadio erano nostri amici… Ora siamo gli unici
che difendono la rivoluzione, i fotografi, i
giornalisti… Siamo quelli che scendono ancora in
piazza a prescindere dalle manifestazioni
ufficiali. Manifesteremo il 19 in Via MM per
l’anniversario degli scontri dello scorso
novembre".
Non ti sembra incredibile che non ci
siano ancora dei responsabili per quei fatti ?
"Ci sono
video e foto che testimoniano i crimini commessi
dalla polizia militare, a oggi solo il cecchino
degli occhi, Mahmoud Sobhi el Shirawi, è sotto
processo. Chi è al comando del MdI non è
cambiato, sono le stesse persone che c’erano
sotto il regime di Mubarak. Il presidente Morsi
non ha voluto segnare una linea di discontinuità
con il passato, confermando molti ministri del
precedente governo Ganzuri".
Quale è la struttura degli Ultras ? Chi
è il gruppo dirigente ?
"Siamo molto uniti e organizzati, ci muoviamo
insieme e ci aiutiamo a vicenda, ci capiamo
benissimo e siamo diffusi nel territorio. Siamo
come gli Ultras negli altri paesi nel mondo,
come in Italia, Brasile…
E numericamente aumentiamo ogni giorno".
Quanti iscritti annumerate ?
"Non abbiamo una tessera di riconoscimento, ma
la cifra si aggira tra i 500 mila e un milione.
Ci sono diversi capi che dirigono le diverse
tifoserie e settori nello stadio, ma non esiste
un apparato dirigente. Per il 99% gli Ultras in
Egitto assomigliano agli Ultras italiani: nei
cori, nell’intonazione, nel ritmo, nelle parole
(tradotte)…".
Nella conversazione generale Amr mi dice
che in Italia tifa per il Milan. Parlando di
vittime menziono Gabriele Sandri e il poliziotto
colpevole di omicidio volontario che dovrà
scontare 6 anni di galera.
"In Egitto nessun poliziotto va in prigione,
perché qui chi governa e manda avanti questo
paese è la polizia. Il vecchio regime voleva la
gente povera e analfabeta per poterla
controllare, se in Egitto fossimo tutti ricchi e
acculturati la polizia non avrebbe gioco facile.
Per questo gli Ultras sono contro la dittatura e
la combattiamo a modo nostro".
Ma come è possibile che siate riusciti a
far cadere la dittatura di Mubarak e a dare il
paese in mano ai FM ?
"Non siamo stati noi. Lo SCAF ha cercato in ogni
modo di opporsi alla rivoluzione, hanno trovato
nei FM quella forza politica diffusa nel
territorio che però ascolta le loro parole, non
quelle della piazza. Noi egiziani abbiamo
imparato una lezione con la rivoluzione. Siamo
stati 60 anni senza votare, gli ultimi 30
Mubarak falsificava le elezioni, quindi non
abbiamo esperienza. I FM questa volta hanno
ammaliato gli elettori, ma le prossime elezioni
non otterranno lo stesso risultato".
Possono gli Ultras insegnare qualcosa
agli attivisti e ai politici laici su come
organizzarsi come forza unitaria ?
"Sono un attivista politico dal 2004, siamo
politici solo a livello individuale. Posso dire
che dagli Ultras abbiamo appreso
l’organizzazione, la strategia, il coraggio di
affrontare gli agenti antisommossa, il non avere
mai paura in strada, il senso di giustizia e la
forza di non arrendersi davanti alle difficoltà…
E che la libertà purtroppo ha un prezzo
che spesso si paga con il sangue. Sono appena
tornato ieri da una conferenza delle
associazioni politiche giovanili ad Assuan che
ha coinvolto ragazzi di tutte le regioni
d’Egitto. Ho partecipato come portavoce del
movimento giovanile "Giustizia e libertà". È
stata una conferenza incentrata sui media,
impostata sullo scambio di esperienze e di
tecniche di apprendimento. Il prossimo anno la
vogliamo allargare a molti paesi stranieri, per
confrontarci, in modo da capire che cosa è stato
l’esperimento (palestra) della rivoluzione
egiziana, come i giovani egiziani vivono, quali
sono i loro sogni, quali sono le loro proposte.
Chiedono pane, equità sociale, istruzione,
sviluppo sostenibile per estirpare
l’ingiustizia. Siamo collegati con gli
Indignados di Madrid, con Occupy Wall Street,
con i greci e i tunisini, esiste già un network,
ma gli Ultras non sono membri di alcuna
associazione o formazione politica. Andiamo alle
adunate allo stadio per tifare la nostra squadra
e scendiamo in piazza per la rivoluzione,
nient’altro".
Che previsioni ci sono sulla durata del
processo di Port Said ?
"Non si sa, i giudici potrebbero impiegarci
mesi, forse anni, devono seguire l’iter
giudiziario, ma una cosa è certa: non ci sarà
campionato finché le persone morte a Port Said
non troveranno giustizia, anche se dovessero
passare 20 anni !".
Lunedì 19 novembre gli Ultras, insieme a tutti
gli attivisti e i giovani della rivoluzione
torneranno in via Mohamed Mahmud, per ricordare
le 43 vittime dello scorso anno. I graffitisti
già sono all’opera, Ammar Abu Bakr ha iniziato a
srotolare il suo "giornale" sul muro, ricordano
le vittime di Masbiro, di via MM, di via Qasr el
Aini, di Port Said e dell’Abbassia causate dalla
violenza spropositata della polizia militare e
dei suoi scagnozzi.
24 novembre 2012
Fonte: Alias (Il Manifesto)
© Fotografie: Vincenzomattei.com -
Reuters - Ilsecoloxix.it
|