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Ispettore Capo Filippo Raciti 2.02.2007 La Tragedia
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Terrore a Catania

Agguato mortale a un poliziotto

Oltre 150 i feriti

di Alessio D’Urso e di Sebastiano Vernazza

Prima la sospensione per i fumogeni, poi la guerriglia urbana al derby Catania-Palermo: decine di delinquenti hanno assaltato fuori dallo stadio le camionette degli agenti. Una bomba carta è stata fatale per l’ispettore capo Filippo Raciti, morto all’ospedale. Dopo gli incidenti sono stati effettuati oltre 20 fermi e diverse perquisizioni.

Dai nostri inviati. CATANIA - La notizia si è sparsa attorno alle 21. "È morto un poliziotto". Filippo Raciti, 38 anni, sposato con due figli, ispettore capo della Questura di Catania, residente a Misterbianco, un paese della provincia, è caduto nell’esercizio del suo dovere, per tenere a bada una massa di imbecilli. Catania-Palermo era un derby ad altissimo rischio e purtroppo le paure hanno trovato conferma. Ieri sera si è scatenato il terrore. Scene di guerriglia urbana, genere G8 di Genova estate 2001. Camionette e jeep delle forze dell’ordine assaltate da decine di tifosi-delinquenti armati di coltelli, bastoni e lamiere. Da un gruppo di teppisti ultrà - non si sa se del Palermo o del Catania - è stata lanciata una bomba carta, che è finita dentro un mezzo della polizia: Filippo Raciti, 38 anni, ispettore capo della Questura di Catania, è stato così gravemente ustionato al volto e al torace. Secondo una prima ricostruzione, l’ordigno sarebbe stato gettato dagli spalti, dall’interno dello stadio, e avrebbe colpito Raciti appena uscito dalla vettura, ma non ci sono conferme. Filtra però la versione dell’assalto frontale: l’auto con Raciti a bordo sarebbe stata oggetto di un arrembaggio perché ci sarebbe stato un fermato della squadra rivale. Trasportato all’ospedale "Garibaldi" per un estremo tentativo di rianimazione, Raciti non ce l’ha fatta. Una morte orribile e annunciata. Si sapeva che a Catania-Palermo sarebbe potuto succedere di tutto. Lo Stato si è attrezzato, mille e cinquecento gli uomini impiegati (poliziotti, carabinieri, baschi verdi delle Fiamme Gialle), però non è bastato. È una notte tragica, il calcio italiano subisce un colpo tremendo. Una giornata impossibile da dimenticare. ORE 15.30 La situazione fuori e dentro lo stadio è tranquilla. Gli ultrà palermitani sono in viaggio e quelli catanesi preparano le coreografie. ORE 18 La partita comincia e mancano gli ultrà del Palermo. Voci disparate sul loro ritardato arrivo: "Hanno sbagliato strada"; "Li hanno bloccati sulla circonvallazione perché trovati in possesso di armi improprie"; "Stanno devastando ciò che trovano sul loro cammino". Prima del calcio d’inizio, sul tratto di pista d’atletica sottostante la curva Sud, occupata da tifosi del Catania, si tiene un singolare spettacolo di fuochi d’artificio. Botti sul campo e non sugli spalti, botti in qualche modo autorizzati. Da chi ? E perché ? Impressionante, poi, lo spettacolo dei fumogeni: ma non erano vietatissimi ? Non si doveva procedere all’immediata sospensione di ogni gara nel momento in cui veniva acceso un candelotto ? ORE 18.50 Arrivano gli ultrà del Palermo. Alle 19 comincia il secondo tempo, il Palermo segna con Caracciolo. Si sentono colpi tremendi, tipo spari ed esplosioni. Dalla curva Nord (ultrà locali) piovono fumogeni, le forze di polizia rispondono coi lacrimogeni, l’aria è irrespirabile. La gente con le sciarpe alla bocca scappa. ORE 19.15 CIRCA L’arbitro Farina sospende la partita. Una fitta nebbia artificiale avvolge la curva Nord del Cibali, che si svuota: la teppaglia catanese cerca di lasciare lo stadio per scontrarsi con i palermitani. Guerriglia pura. Decine di agenti si frappongono fra le due fazioni. Tanti feriti, tra loro Raciti, il più grave: l’ambulanza lo trasporta all’ospedale Garibaldi per un disperato tentativo di rianimazione. Poi la partita riprende, il Palermo vince e verso le 20.30 Farina fischia la fine. Si alzano gli elicotteri della polizia, rumore di pale e faro che squarcia la luce. Una scena sinistra. ORE 21 Comincia a girare una voce agghiacciante: "È morto un poliziotto". Poco dopo l’amministratore delegato del Catania, Pietro Lo Monaco, annuncia la tragedia in tv, ma la conferma ufficiale non arriva. L’agenzia Ansa dà per sicuro il decesso, ma un tam tam sotterraneo lascia aperta la porta alla speranza. Alle 22.15 arriva una notizia, sotto forma di dichiarazione del capo della Squadra Mobile: "Il cuore è ripartito, forse ce la fa". ORE 22.30 Il dottor Sergio Pintaudi, capo del dipartimento Emergenza dell’ospedale Garibaldi, incontra i cronisti assieme al sindaco Umberto Scapagnini e non ci sono più dubbi, Raciti è morto. È avvisata la moglie, Marisa, volontaria della Croce Rossa. Raciti era padre di una ragazza di 15 anni, Fabiana, e di un bimbo di 6, Alessio. Per niente appassionato di calcio, impiegava il tempo libero nel sociale. PRIMO BILANCIO Ci sono oltre 150 feriti, alcuni gravi, in buona parte tra le forze dell’ordine. Anche decine di teppisti hanno subìto lesioni, ma per non essere identificati si sono tenuti lontani dai Pronto Soccorso e si sono fatti medicare privatamente. Giuseppe Navarria, direttore del Garibaldi: "In rianimazione è entrato solo un poliziotto, il deceduto. Da noi ci sono venti feriti tra poliziotti e carabinieri, divisi in due reparti, medicina e chirurgia vascolare. Gli altri sono stati distribuiti tra gli ospedali Nesima e San Luigi". Contraddittorie le voci sulle condizioni del collega di Raciti, un ventenne in auto con lui: per alcuni è grave, per altri no. Immediato vertice in Questura con i magistrati incaricati del caso di omicidio e lesioni gravi. A incidenti in corso nella zona dello stadio sono stati effettuati oltre venti fermi, nella notte perquisizioni a tappeto. Arresti in arrivo, stamane il quadro dovrebbe essere più chiaro.

3 febbraio 2007

Fonte: La Gazzetta dello Sport

© Fotografia: Ilgiornale.it

Guerra allo stadio, muore un agente

CATANIA - Tragedia al derby siciliano. Un agente di polizia, Filippo Raciti, 38 anni, è morto dopo essere stato colpito da una bomba carta al termine della partita fra Catania e Palermo. L’ispettore era in strada per cercare di sedare le violenze degli ultras scoppiate dopo il match e che hanno portato al ferimento di oltre cento persone. La notizia ha sconvolto l’intero mondo del calcio. Il commissario straordinario della Federcalcio Luca Pancalli ha disposto la sospensione di tutti i campionati e il rinvio delle partite della Nazionale in programma la settimana prossima. Poi ha aggiunto: "Senza misure drastiche non si riparte". In campo anche il governo: "Bisogna fermare la degenerazione dello sport", ha dichiarato il premier Romano Prodi. "Se continua così non manderò più agenti negli stadi", ha spiegato il ministro dell’Interno Giuliano Amato. Il presidente Napolitano: "Le autorità devono reagire".

3 febbraio 2007

Fonte: La Repubblica

Follia a Catania, agente arresta ultrà viene aggredito ed ucciso da bomba carta

Scontri fra ultrà della squadra etnea e la polizia funestano il derby con il Palermo. Altro poliziotto grave, una novantina di feriti. Nove arrestati, fra loro 4 minorenni.

CATANIA - Un colpo di spranga e poi una bomba carta tirata dentro l'auto di servizio. È morto così l'ispettore del reparto Mobile, Filippo Raciti, di 38 anni, sposato con due figli, ucciso in una notte di follia calcistica dopo il derby Catania-Palermo. Ma il bilancio della tragedia è ancora più grave: un altro agente è ricoverato all'ospedale Garibaldi in gravi condizioni, ma non sarebbe in pericolo di vita. Centinaia i feriti: oltre 70 sarebbero agenti di polizia. Nove tifosi del Catania, cinque adulti e quattro minorenni, sono stati arrestati. Una situazione insostenibile che ha spinto il commissario straordinario della Federcalcio Luca Pancalli a fermare a tempo indeterminato tutti i campionati, comprese le squadre Nazionali. Non sono serviti a nulla gli appelli alla correttezza rivolti nei giorni scorsi alle due tifoserie, né le massicce misure di sicurezza adottate dalle forze dell'ordine: dal divieto di ingresso allo stadio agli sportivi sprovvisti di biglietto, all'imponente servizio di scorta per i tifosi palermitani. Gli ultras delle due squadre non sono venuti a contatto, separati da una rete guardata a vista da centinaia di agenti. Ma gli scontri ci sono stati: questa volta tra tifosi e forze dell'ordine. E il bilancio è pesantissimo. La cronaca del derby della follia comincia all'inizio del secondo tempo. Il Palermo ha appena segnato il gol del vantaggio. I tifosi rosanero, arrivati allo stadio a partita iniziata per un errore degli autisti dei pullman che avrebbero sbagliato strada, raggiungono gli ingressi, scortati dalla polizia. Un gruppo di ultras catanesi, rimasti fuori dal "Massimino", prova ad avvicinarsi agli avversari. Gli agenti fanno muro e impediscono il contatto. La reazione dei supporters etnei è immediata: una pioggia di petardi e sassi, investe le forze dell'ordine che reagiscono lanciando i lacrimogeni. Il fumo arriva nello stadio: l'arbitro Farina ferma la partita. Fuori dallo stadio si assiste a scene di guerriglia: l'aria è irrespirabile, gli agenti ormai caricano i tifosi catanesi. Alle 19:48, quaranta minuti dopo la sospensione, si torna a giocare. Si contano i primi feriti. Col passare dei minuti decine di persone si presentano all'ospedale Garibaldi. Contusioni, intossicazione da lacrimogeni, lievi escoriazioni per la maggior parte di loro. Non ci sono casi gravi. Subito gravissimo appare, invece, l'agente Raciti. Il poliziotto si trovava in auto all'esterno della Curva nord, aveva arrestato con un collega un ultrà del Catania dopo ripetuti scontri. Subito dopo la pattuglia è stata aggredita da una banda di teppisti e Raciti è stato colpito da un oggetto contundente al torace. Successivamente all'interno della sua auto sono esplose una bomba carta e un petardo: l'inalazione dei fumi sprigionati, assieme al trauma toracico subito poco prima, avrebbero causato la morte del poliziotto. Il ferito viene portato in ospedale, i medici cercano di rianimarlo. È in arresto cardio-respiratorio per le esalazioni della bomba carta, ma il cuore non riprende a battere. I medici lo dichiarano morto alle 22:10. In condizioni serie è anche un collega della vittima: è in prognosi riservata ma, secondo i sanitari, non sarebbe in pericolo di vita. Intanto intorno allo stadio si susseguono gli scontri con lanci di pietre, oggetti incendiati, scene di vera e propria guerriglia urbana che vanno avanti per ore con i tifosi del Palermo, l'arbitro e le squadre chiuse nello stadio mentre fuori impazza una violenza tanto stupida quanto cieca. Solo dopo un paio di ore la polizia riesce a disperdere le bande di teppisti scatenati e a riportare la pace nella città semidistrutta.

3 febbraio 2007

Fonte: Repubblica.it

Il dramma all’ospedale

L’ispettore non si salva

Moglie e figli distrutti

di Alessio D'Urso

CATANIA - Ieri l’inferno si è trasferito all’Ospedale Garibaldi: in un’ora si è portato via un poliziotto, Filippo Raciti, 38 anni, un padre di famiglia, dilaniato da una bomba carta. Erano le 20.30, quando il pronto soccorso catanese si è trasformato in un luogo di pianto e disperazione. La morte a Catania. IL DRAMMA Voci rotte dall’emozione si rincorrevano, facce stravolte, i colleghi del povero agente in lacrime. Un dramma senza fine. Un rimpallo di notizie non confermate, la speranza che vive e poi s'inabissa. "Si è ripreso, si è ripreso", dicono gli infermieri, "il cuore ha ripreso a battere, il defibrillatore ci sta aiutando...". Il capo del reparto mobile Piero Gambuzza detta ai microfoni: "Il cuore di Raciti ha ripreso a battere, c'è stato un primo arresto cardiaco, ma...". Ci credono tutti, anzi no, non ci crede nessuno. Eppure in quel fazzoletto di cemento armato dove le sirene impazzite delle ambulanze si rincorrono si aspetta un colpo di scena. Niente. La bugia raccontata alla mamma disperata di Raciti dai colleghi stravolti e feriti serve soltanto ad alleviare sul momento un dolore insopportabile. La donna viene portata via in barella. Respira a fatica: "Ditemi che non è vero, vi prego, ditemi che non è vero...". L’ANNUNCIO Alle 21.50 il dottor Sergio Pintaudi, capo dipartimento emergenza del Garibaldi, emette il terribile verdetto: "Filippo Raciti, arrivato in condizioni gravissime al pronto soccorso, non ce l’ha fatta. Abbiamo tentato di fargli riprendere l’attività cardiaca e per un lasso di tempo abbiamo avuto la speranza, ma poi si è verificato il decesso". Accanto al primario, il direttore generale dell’azienda Garibaldi, Giuseppe Navarria, conferma e recita la tristissima contabilità dei feriti: "Venti sono qui da noi, altri sono stati trasferiti in altri ospedali, Nesima e San Luigi, ma non versano in gravi condizioni. Sono tutti poliziotti e carabinieri". Il sindaco Umberto Scapagnini ha vissuto gli ultimi attimi di vita di Filippo Raciti: indossa il camice, non resiste al pianto. E dice: "Siamo sconvolti, non crediamo ai nostri occhi". LA DISPERAZIONE Tra una selva di uomini e donne, divise, stelle nelle mostrine, si fanno largo i parenti del morto: la mamma, già arrivata con la moglie di Filippo Raciti, Marisa, casalinga e volontaria alla Croce Rossa, è già sull’ascensore per l’inferno. Sorretta a stento da un familiare, entra al pronto soccorso alle 22.30 la figlia di Raciti, Fabiana, 15 anni, giubbotto arancione, nel pieno della sua gioventù. Dopo qualche minuto è accompagnata fuori dalla corsia principale del pronto soccorso, e piange in preda ad una crisi. I poliziotti spingono fuori i giornalisti, li pregano di non guardare nemmeno quel volto sconvolto da dolore. Ma è il dolore di tutti in questa notte senza parole. Fabiana cerca riparo nel fidanzato, i cui genitori mulinano le braccia: "È una sofferenza insopportabile, Dio mio, perché ?", singhiozza la ragazza, protetta da un cordone di poliziotti. Il fratellino, Alessio, 6 anni, è rimasto a casa. A Misterbianco. I familiari serrano le mascelle e urlano contro il cielo. Subito un desiderio: "Non festeggiate Sant' Agata, per favore, con un uomo morto così non è proprio il caso". BASTA Lo spiazzo antistante l’ospedale Garibaldi diventa un teatro greco immaginario che condanna la violenza feroce dei teppisti da stadio. Arrivano tutti. Politici, giudici, gente comune. Tutti pronunciano parole durissime. E puntano l’indice sul male oscuro (nemmeno tanto) che attanaglia questa città così contraddittoria. Il presidente del Catania Antonino Pulvirenti dice senza mezzi termini: "Bisogna lasciare il calcio in questa città, basta. Tutti i nostri sacrifici sono stati distrutti in una notte di follia". Il presidente della Provincia Raffaele Lombardo: "È una mostruosità, che pena infinita". Il magistrato di turno Ignazio Fonzo: "Vogliamo capire se le norme di sicurezza previste dalla legge state adottate. La legislazione è troppo blanda e le forze dell’ordine non riescono a fronteggiare quest' emergenza". Le luci delle telecamere, i flash dei fotografi si posano sulla gente che va via commossa e consapevole che, ancora una volta, l’ennesima, si è consumato un dramma, un padre è stato strappato all’affetto dei suoi cari e si è distrutta una famiglia: per nulla. E l’angoscia, atroce, dispotica, pianta il suo nero vessillo sul cranio chino di questa città ferita.

3 febbraio 2007

Fonte: La Gazzetta dello Sport

Il calcio in guerra ucciso un poliziotto

di Emanuele Lauria

CATANIA - Un poliziotto morto e sessanta feriti, al termine di un derby siciliano che ha trasformato Catania nel teatro di una guerra civile. E ha spinto il mondo del calcio a dire basta: sospesi i campionati, si ferma anche la nazionale. A perdere la vita un ispettore capo della Questura di Catania, Filippo Raciti di 38 anni, colpito al viso da una bomba carta. L’agente è stato raggiunto dall’ordigno lanciato dagli spalti mentre, durante la gara, era all’interno dalla sua auto in servizio sotto la curva nord, appena fuori dallo stadio "Angelo Massimino". Il collega che era al suo fianco racconta di averlo visto impallidire: "Dopo qualche secondo dall’esplosione - dice - mi ha detto di non sentirsi bene e mi ha chiesto di accompagnarlo in ospedale". Di lì la folle corsa al Garibaldi, dove i medici hanno tentato invano di rianimare Raciti con un massaggio cardiaco: il poliziotto è morto dopo tre quarti d'ora d'agonia. Lascia una giovane moglie e due figli. L’epilogo di una giornata di follia, cominciata un’ora prima del fischio d’inizio di Catania-Palermo, quando il pullman della squadra ospite, giungendo allo stadio, è stato bersaglio di lanci di bottiglie e lattine. La partita è cominciata senza gli ultras palermitani, trattenuti fuori dallo stadio per oltre un tempo della gara. I mille tifosi rosanero, protetti da un fitto cordone di polizia, sono entrati solo all’ottavo minuto della ripresa, al termine di un percorso di avvicinamento al "Massimino" segnato da una fitta sassaiola. All’ingresso sugli spalti dei supporters del Palermo è iniziato un lancio di oggetti e fumogeni tra le due tifoserie. Per sedare gli scontri le forze dell’ordine sono state costrette a ricorrere ai lacrimogeni. A questo punto l’arbitro Farina ha deciso di sospendere la partita, con il Palermo in vantaggio per 1-0. I giocatori sono rimasti negli spogliatoi per 25 minuti. Hanno provato a rientrare in campo una prima volta, ma alla fine sono stati costretti a riparare ancora nel sottopassaggio. Solo dopo altri 15 minuti di pausa, quaranta in totale, la partita è ripresa, si è conclusa con una vittoria del Palermo per 2-1 passata immediatamente in secondo piano, dietro le scene di battaglia continuate al termine della gara. Il senso della tragedia che si stava compiendo l’ha data Pietro Lo Monaco, amministratore delegato del Catania, che ai microfoni di Sky ha annunciato la notizia sconvolgente della morte di un agente, mentre i dirigenti delle società litigavano sulle responsabilità dei disordini. Subito smentita, poco dopo, la notizia di un altro agente in fin di vita. Il bilancio finale resterà quello di un morto e una sessantina di feriti, tra esponenti delle forze dell’ordine e tifosi, che si sono fatti medicare negli ospedali Garibaldi e Vittorio Emanuele. La Procura della Repubblica di Catania ha aperto un’inchiesta. Nella notte fermati venti tifosi catanesi. Nove arrestati, cinque dei quali minorenni. Attorno allo stadio, nel quartiere di Cibali, un tappeto di vetri rotti, resti di cassonetti e auto bruciate. La famiglia dell’agente ucciso chiede che si annulli la festa di Sant' Agata, in programma domani. La città attendeva i botti delle celebrazioni per la patrona, ha scoperto i fuochi e il lutto di un derby di follia.

3 febbraio 2007

Fonte: La Repubblica

Allo stadio come in guerra

di Valerio Tripi

CATANIA - Petardi come missili accendono il cielo intorno al "Massimino" ed è un poliziotto centrato al volto da una bomba carta a rimetterci la pelle, in una serata andata oltre l’immaginabile con alcune decine di feriti e venti fermati portati in Questura. Una follia collettiva ha scatenato il finimondo trasformando in guerra un evento che nulla ha di sportivo. La morte cala sul derby dell’infamia finito sul 2 a 1 per i rosa quando i tifosi palermitani sono appena arrivati allo stadio. La partita è iniziata. A frapporsi agli ultrà del Catania che attendono fuori, pronti all’imboscata ci sono gli uomini del reparto Mobile. Tra loro c’è l’ispettore Filippo Raciti, 38 anni, è un attimo. La bomba investe l’abitacolo della sua auto, mentre insieme con i colleghi prova a fare da scudo ai rosanero che sciamano verso l’ingresso. È un attacco concentrico. I poliziotti lì a parare i colpi che arrivano tutto intorno. È un gruppo nutrito quanto rabbioso che lancia di tutto. È armato. Di petardi e ordigni ben più consistenti. Le prime bordate si infrangono sul pullman dei rosa. Quando iniziano le operazioni per l’accesso è l’inferno. Partono le bombe. L’auto dell’ispettore è investita in pieno. Raciti si accascia tenendosi il volto. Diranno i medici che a ucciderlo siano state le esalazioni dello scoppio che in un istante hanno saturato l’abitacolo. Lo soccorrono i colleghi. Lo caricano su un’ambulanza che parte per il Garibaldi. Raciti muore un’ora dopo il ricovero in Rianimazione, in un rincorrersi di voci che nessuno aveva voglia di confermare. È andato in arresto cardiaco, poi si è ripreso, quindi la sua fibra ha ceduto. Dentro lo stadio si giocava la partita. Altri scontri, altre fiammate, la sospensione. La decisione di tornare in campo. Il risultato scatena la guerra quando ancora la notizia della morte di Raciti è appesa all’altalena di voci e di fiduciose smentite. Non ascolta chi imbraccia tutto quello che capita a tiro. Con i blindati costretti a una gimkana forsennata per arginare la folla scatenata. È Beirut, è il G8 di Genova. È un lancio continuo. Di tutto. Giovani e meno giovani agguantano bastoni, si impadroniscono di bidoni, rovesciano di tutto e lanciano sassi verso la polizia. Un gruppo di agenti presidia un crocevia. Si chiude dietro gli scudi. Tiene a bada la folla che avanza e indietreggia, si arma e tenta l’affondo. I poliziotti sanno a malapena del loro collega morto, sanno qualcosa dei feriti che intanto a grappoli finiscono al Garibaldi. A fine serata ne contano almeno cinquanta, non gravi, tra loro parecchi agenti. In strada la sassaiola si alterna alle scariche dei petardi. Intorno allo stadio tutto si accende di rosso. Al fronte dei poliziotti si contrappongono ondate che si gonfiano di follia. In cielo volteggiano gli elicotteri. Serve capire dall’alto come la rabbia abbia trovato un’organizzazione, un metodo. Perché questo è quel che sembra vedendo da lontano quello sciamare di cappucci e cappellini, quell’agitarsi di braccia che si armano di tutto quello che capita a tiro. Difficile dire se girino anche pistole e coltelli. Difficile ma non impossibile, stando ai racconti dei tifosi rosanero che narrano di minacce ai caselli con armi spianate durante il tragitto autostradale in direzione Catania dei sostenitori arrivati alla spicciolata. Mentre fuori è la guerra, a partita finita, i rosanero rimangono confinati nello stadio nel quale erano entrati a secondo tempo già iniziato. Con loro i poliziotti che hanno scortato i gruppi organizzati fin dalla partenza dal capoluogo. Usciranno a notte fonda. Quando Catania fa i conti della distruzione e della morte e il mondo, quello del calcio per primo, si interroga sul da farsi. Su come fronteggiare ciò che era nelle previsioni e che si sperava di riuscire a evitare. Si immaginava bastassero i mille e più poliziotti schierati. Gli inviti alla ragionevolezza e le tante precauzioni. Che sarebbe stato difficile lo si è capito quando gli ultrà del Palermo sono stati bloccati alle 17 all’altezza della zona industriale alle porte di Catania e lì sono rimasti per oltre un’ora. C’era già la sommossa a Catania. E c’erano le perquisizioni da fare. I ritardi hanno innescato una protesta della tifoseria che scesa dai pullman ha occupato la tangenziale. Ristabilita la calma è iniziato il viaggio verso il Massimino. Viaggio difficile. Nel tentativo di dribblare le imboscate, la carovana si è persa per strada finendo nell’imbuto di altre sassaiole. Poi l’arrivo che doveva essere la fine di un incubo. E invece ha spalancato le porte dell’inferno.

3 febbraio 2007

Fonte: La Repubblica

IL RACCONTO. Le ultime parole dell'agente colpito a morte raccolte da un suo amico. "È diventato tutto nero ed è svenuto".

Al collega prima di morire: "Forza, portami in ospedale"

di Massimo Norrito

Quando i tifosi del Palermo sono arrivati allo stadio (solo nel secondo tempo) è scoppiato il finimondo.

CATANIA - "Non preoccuparti, non è grave. Però portami in ospedale che non mi sento tanto bene". Sono state queste le ultime parole di Filippo Raciti, poliziotto siciliano, morto a 38 anni per una partita di pallone. A raccoglierle, inginocchiato su di lui ai piedi degli spalti, fuori dallo stadio, un suo collega di reparto. Ha visto tutto. E lo racconta così: "Filippo era in auto, sotto la curva Nord, quella dei tifosi del Catania. Ha fatto per scendere e, proprio in quel momento, dall’alto, è stata lanciata una bomba carta. L’ha colpito in pieno. E poi gli è esplosa. Un botto tremendo. Io mi sono precipitato per soccorrerlo e lui mi ha detto di non preoccuparmi. Poi è ammutolito. È diventato tutto nero ed è svenuto". E pensare che, Catania-Palermo, il derby di Sicilia era stato anticipato a ieri sera proprio per paura di problemi di ordine pubblico in concomitanza con i festeggiamenti di Sant' Agata, la patrona di Catania. Ma non è servito a nulla, la demenza era innescata. Ne è venuta fuori una serata da incubo, con una partita di calcio surreale, iniziata con un minuto di raccoglimento in ricordo di Ermanno Licursi il dirigente ammazzato qualche giorno fa e poi sospesa due volte per via del fumo dei lacrimogeni, mentre sugli spalti e fuori dallo stadio si combatteva la solita guerra senza senso. Il solito violento e stupido tutti contro tutti alla fine del quale il bollettino racconta di cento feriti - alcuni dei quali anche in maniera seria - tra tifosi e agenti. La partita era cominciata da quasi un’ora quando Filippo Raciti, trentotto anni, originario di Misterbianco, sposato con una volontaria della Croce rossa e padre di due figli, è stato raccolto dall’ambulanza chiamata dal collega. Era in piena crisi cardiocircolatoria. Il resto lo racconta il rianimatore, Sergio Pintaudi: "Raciti è arrivato qui in condizioni disperate - dice il primario del reparto di rianimazione dell’ospedale Garibaldi di Catania - era in arresto cardiaco. Praticamente morto. Abbiamo cominciato le pratiche di rianimazione e di massaggio cardiaco e l’attività cardiaca è ripartita, il paziente ha avuto diversi tentativi di ripresa e il suo cuore ha battuto per cinquanta minuti poi si è fermato e non c’è più stato niente da fare". Proprio mentre Raciti lottava contro la morte, a pochi chilometri di distanza, i fumi di lacrimogeni, come per annunciare la tragedia, entravano in campo costringendo l’arbitro a fermare, per la prima volta la partita. I giocatori rientravano negli spogliatoi. Ma la tregua non è stata rispettata sugli spalti. Anzi. I tifosi hanno continuato a tirare da una parte all’altra dello stadio tutto quello che riuscivano a divellere: sedie, rubinetti, anche un paio di water, oltre, ovviamente, alle solite bombe carta e ai fumogeni. Negli altri settori dello stadio era tutto un fuggire, un ripararsi: la rabbia dei tifosi si era impossessata dell’intero impianto. Hanno seguito, trentaquattro minuti di guerriglia. In tutta la zona della città, non solo tra la curva Nord e la curva ospiti. Dopo i quali, l’arbitro Farina aveva cercato di fare riprendere una prima volta il gioco, ma era stato costretto a rinunciare per l’arrivo in campo di altri lacrimogeni. Alla fine, in qualche modo, Farina è riuscito a farla finire, la partita, che però era ormai già diventata un dettaglio. Perché ovunque, c’era l’inferno. Un inferno che si è riuscito a fermare solamente a tarda notte, quando già tutta l’Italia aveva assistito allo scempio in diretta tv. Che non sarebbe stata una gara come un’altra, lo si era capito già dal primo pomeriggio, quando gli agenti della polizia stradale avevano intercettato ai caselli autostradali un’automobile proveniente da Palermo che trasportava oltre alle solite bombe carta anche una pistola. Un paio d’ore prima del match, i pullman che trasportavano a Catania i tifosi del Palermo erano stati scortati all’interno di un’area di sosta nella zona industriale alle porte della città etnea. I tifosi del Palermo erano stati controllati uno per uno. Operazioni che erano andate per le lunghe mentre la partita iniziava e aumentava il nervosismo tra i sostenitori rosanero. Anche perché nel frattempo i tifosi del Catania avevano sfondato le barriere che separavano le due tifoserie e avevano cominciato ad aggredire quei pochi palermitani che avevano raggiunto lo stadio con mezzi propri.

3 febbraio 2007

Fonte: Repubblica.it

"Vi prego fatemi vedere mio figlio"

di Michela Giuffrida

"Fatemelo vedere, voglio vedere mio figlio". La mamma di Filippo Raciti, il poliziotto morto ieri durante gli scontri tra tifosi del Catania e del Palermo, entra all’ospedale Garibaldi disperata. Raciti, 38 anni, ispettore capo del reparto mobile della polizia catanese lascia una moglie e due figli. Ieri sera per lui non c’è stato nulla da fare. È stato ricoverato dopo aver ricevuto una bomba carta in faccia negli scontri fuori dallo stadio prima dell’inizio della partita. Alle 19 è arrivato al pronto soccorso dell’ospedale Garibaldi con il cuore che aveva smesso di battere. Poi per un attimo i medici della rianimazione erano riusciti nel miracolo, facendo riprendere il battito cardiaco. La speranza è durata cinquanta minuti. Fuori dall’ospedale erano già arrivati decine di famigliari e una ventina di poliziotti suoi colleghi. Alle 22 Sergio Pintaudi, primario del reparto di rianimazione dà l’annuncio: "è morto". Il medico è sconvolto: "Quando è arrivato sono partiti subito i tentativi di ripresa del cuore - ha aggiunto Pintaudi - e per circa tre quarti d’ora ha continuato a battere dopo una prima ripresa. Alla fine le pupille però si sono dilatate e non c’è stato più nulla da fare". Piero Gambuzza, comandante del reparto della mobile di Catania è sconvolto: "Era un ragazzo splendido, originario di Misterbianco che lavorava con noi, abbiamo noi stessi avvertito la moglie". Poi Gambuzza si interrompe, non riesce a parlare: "Lasciatemi stare, sono distrutto". Subito scatta la rabbia dei colleghi: "Non possiamo fare questa vita - dicono - Non è possibile morire per una partita, conoscevamo bene Raciti, era un ragazzo eccezionale, è morto facendo il proprio dovere per una partita di calcio, siamo pieni di rabbia, non riusciamo a spiegarci perché è morto un nostro collega per una partita di pallone". La sorella di Raciti arriva di corsa al pronto soccorso, chiede di Filippo, è distrutta: "Ditemi che non è vero, non è possibile che questo sia successo a mio fratello, lui non ha mai fatto del male a nessuno". La moglie Marisa, che fa la casalinga, arriva all’ospedale tenendo per mano la figlia Fabiana di 15 anni, piange non riesce a dire nulla, grida per il dolore, la soccorrono alcuni colleghi del marito. L’altro figlio di sei anni, Alessio, è rimasto a casa, ancora non sa nulla. Intanto gli altri medici dell’ospedale cercano di soccorrere gli altri feriti: "In questo ospedale ci sono una ventina tra poliziotti e carabinieri ricoverati in chirurgia di urgenza, chirurgia vascolare e medicina, ma nessuno di loro è grave - dice Giuseppe Navarria, manager del Garibaldi - Tutti sono in cura per fratture e ferite dovute al lancio di pietre, sono feriti da guerriglia urbana".

3 febbraio 2007

Fonte: La Repubblica

Anche una poesia per l'ispettore capo Raciti: "Vi regalo un fiore"

Il lutto della polizia: "Era solo una partita..."

Sul sito il ricordo dell'agente ucciso durante la guerriglia a Catania: "Il calcio si ferma, noi no. Lasciateci salutare Filippo".

Una bandiera tricolore a mezz'asta in homepage. E una scritta che dice tutto: "Un giorno triste". Il lutto dei colleghi per la perdita di Filippo Raciti viene raccontato sul sito della polizia di Stato. "Uno di noi non ce l'ha fatta - è scritto - a tornare a casa dal servizio. Morire è sempre ingiusto ma in quel modo è anche assurdo. È vero, noi abbiamo l'obbligo giuridico di esporci al pericolo. Però era solo una partita. Ora il calcio si ferma ma la Polizia no. Lasciateci però salutare Filippo e poi torneremo come sempre su strada". Tra i tanti messaggi di solidarietà ricevuti dopo la morte dell'agente nei tafferugli di Catania viene pubblicata una poesia che un cittadino ha lasciato sotto la porta d'ingresso del commissariato Politeama di Palermo. S'intitola: "Vi regalo un fiore, perché dai fiori nasce l'amor".

3 febbraio 2007

Fonte: Corrieredellasera.it

"Un’imboscata, ci tiravano addosso di tutto"

di Sebastiano Vernazza

Dal nostro inviato. CATANIA - È sistemato in un angolo del reparto Emergenza dell’ospedale Garibaldi, aspetta di essere visitato. Colorito bianco, occhi impauriti, braccia nerastre. Salvatore Renda, detto Salvo, 24 anni, agente scelto del Reparto Mobile della polizia di Catania, stava a pochi passi da Filippo Raciti, quando una bomba carta (e forse qualcos'altro) ha ucciso l’ispettore originario di Misterbianco. La voce di Renda è fioca: "È successo l’inferno, ci tiravano addosso di tutto. Stavamo scortando un gruppo di tifosi del Palermo, quando siamo stati accerchiati dagli ultrà del Catania. Un’imboscata, un’aggressione premeditata. Ho sentito i botti, il fumo mi ha preso alla gola e sono svenuto. I catanesi ce l’avevano con le forze dell’ordine, dei palermitani non gli importava niente". Dov'era l’ispettore Raciti ? "Era rimasto un po' indietro, in piazza Spedini, noi avevamo già imboccato viale Rapisardi. L’ho saputo in ospedale che era morto. Un dolore immenso. Un professionista stimato da tutti. Che tragedia, non si può andare all’altro mondo per una partita di pallone". Perché si diventa poliziotti ? Non certo per lo stipendio. "No, per i soldi no (sorride, ndr). Sono entrato in polizia per scelta e lo rifarei. Il mestiere mi piace, lo sento. Ho lavorato a Roma, da quattro anni sono tornato nella mia città". Le piace il calcio ? No, io vado a cavallo, seguo l’equitazione". Valeria, la fidanzata, è sconvolta: "Il calcio non vale una vita. I poliziotti sono esseri umani, non robot, al servizio di non si sa che cosa. Salvo crede in quello che fa, io non so più cosa pensare". LESIONI INTERNE All’ospedale Garibaldi sono stati ricoverati circa 60 feriti. Contusioni, fratture, ustioni. Oggi l’autopsia dell’ispettore caduto in servizio. Il professor Sergio Pintaudi, capo del dipartimento Emergenza, ipotizza: "Credo che Raciti sia morto per gravi lesioni interne causate dal forte spostamento d’aria che si è avuto per effetto della bomba. "Baro-trauma", si chiama in linguaggio medico. Raciti ha respirato gas e fumi terribili, è arrivato cianotico, in arresto cardiaco. Non presentava nessun danno esterno". L’ispettore ha lottato, è stato defibrillato, il suo cuore è ripartito. "Lo abbiamo "ripreso" - racconta un soccorritore - sembrava che ce la facesse, poi ci ha lasciato definitivamente". Pintaudi è amareggiato: "Venerdì notte il Garibaldi pareva un ospedale di guerra. Avevamo il piazzale pieno di feriti, tanti li abbiamo medicati senza registrarli perché non c’era il tempo. Al pronto soccorso sono stati effettuati più di cento interventi volanti". Un’altra cinquantina di feriti è stata curata negli altri due nosocomi cittadini, il Vittorio Emanuele e il Cannizzaro. Impossibile essere precisi nelle stime, parecchi ultrà si sono affidati a medici privati per evitare di essere interrogati. Un poliziotto è stato travolto da una moto, le sue condizioni sembravano gravi, ma per fortuna la situazione è migliorata. Salvatore Renda è rimasto ferito: "Il fumo mi ha fatto svenire". Il medico: "L’agente è morto per le lesioni interne provocate dallo spostamento d’aria".

4 febbraio 2007

Fonte: La Gazzetta dello Sport

Quelli gliel'avevano giurata e si erano beffati di lui

di Michela Giuffrida

CATANIA - "Nelle settimane scorse Filippo aveva deposto ad un processo a carico di un ultrà del Catania, accusato di aver preso parte, a Palermo, ad altri atti di aggressione, di guerriglia. Era stato lui ad inchiodarlo, aveva ricostruito le scene di un’altra partita da incubo in quell’aula di tribunale". Alterna rabbia a commozione Claudio Anzalone, responsabile catanese del sindacato di polizia Uilps e amico dell’ispettore Filippo Raciti. "Era stato proprio Filippo - ricorda il poliziotto - a raccontarmi com’ era finita. Quel ragazzo, che ha patteggiato la pena, è uscito dell’aula facendosi beffe di lui. Ora anche quest' episodio - conclude - può avere un significato, anche se nessuno ha mai prestato attenzione alle nostre denunce". "Era un uomo, un collega splendido - ricorda Giovanni Nicotra, portavoce dei sindacalisti di polizia che ieri mattina attendevano l’arrivo di Gianni De Gennaro davanti alla questura di Catania - uno che amava stare in prima linea, sul campo. Non lo spaventava niente, aveva chiesto lui di tornare al reparto mobile, anziché stare in ufficio". Donava il sangue - ricorda un altro - assieme alla moglie, volontaria della Croce Rossa, aveva fatto tanto bene. E lo faceva in silenzio, senza mai dire di sé. Sapeva che c’è gente allo stadio che considera il poliziotto "il nemico" ma questo non lo spaventava". Nella casa di via Donizetti, ad Acireale, ad una ventina di chilometri da Catania, dove Filippo, 38 anni, viveva con la moglie Marisa Grasso, porte e finestre sono sprangate. Qui tutti conoscono la famiglia Grasso, che gestisce un commercio di importazione ortofrutticola, ma nessuno ha voglia di parlare. "Dall’alto qui non si fa vedere nessuno - dice un vicino - ho grande pena per Marisa, per Fabiana ed Alessio, i due figli, di 15 e 9 anni, di Filippo Raciti. Perdere il marito e il padre - dice ancora l’uomo - per una partita di calcio è davvero una cosa pazzesca". Marisa, capelli scuri come le lenti che nascondono le lacrime, è rimasta per tutto il giorno accanto alla lastra di marmo su cui hanno composto il corpo del marito, all’obitorio dell’ospedale Garibaldi. Gli accarezza le mani, avvicina la sua guancia a quella di lui, continua a singhiozzare in silenzio. Accanto a lei c’è Fabiana, che assomiglia in maniera impressionante al padre. "Voglio restare qui - dice la ragazza a chi la esorta a riposarsi un po' - qui, con lui". Nel primo pomeriggio Marisa chiede di essere accompagnata allo stadio. "Voglio vedere dove lo hanno ucciso - dice - portatemi lì". Un mazzo di fiori in mano, Marisa si ferma sotto la Curva Nord, dove suo marito era di servizio quando al Massimino si è scatenato l’inferno. Sulle inferriate di uno dei muretti c’è un lenzuolo bianco con su scritto "Catania svegliati, Catania sdegnati". Marisa lo fissa, abbassa lo sguardo. Poi si ferma davanti ad uno dei cancelli d' accesso all’impianto, dove spiccano i sigilli di polizia giudiziaria. Lì, la donna si piega sulle ginocchia e sosta per qualche attimo, dopo aver appoggiato al muro i fiori che ha portato con sé. Assieme al mazzo c’è un biglietto, l’ultimo che Marisa dedica a suo marito. "Filippo, ti amiamo - c’è scritto - resterai sempre nei nostri cuori".

4 febbraio 2007

Fonte: La Repubblica

Lettera del premier alla famiglia di Raciti:

"Il governo non dimenticherà questa tragedia"

Prodi alla vedova: "Italia commossa. Non accetteremo altra violenza". Marisa Grasso ringrazia per "le belle parole".

CATANIA - "Il sacrificio di suo marito e di vostro padre, l'ispettore capo Filippo Raciti, ha colpito e commosso l'Italia". Queste le parole del presidente del Consiglio Romano Prodi in una lettera alla vedova Marisa Grasso e ai figli Fabiana e Alessio. E la signora Raciti ha ringraziato il premier "per le belle parole che ha rivolto a mio marito e alla nostra famiglia". "Vogliamo che conosca il nostro apprezzamento", ha aggiunto annunciando che presto risponderà "personalmente al presidente del Consiglio con una lettera della famiglia". Nella missiva, il cui contenuto è stato reso noto dagli stessi familiari di Raciti, Prodi sottolinea che "è inaccettabile che una persona impegnata a fare il proprio dovere debba pagare questo con la vita". "Anche per questo - continua - l'indignazione che ha avvolto il Paese non è meno forte dell'abbraccio col quale io e tutto il governo ci stringiamo a voi, a tutti i familiari e gli amici che hanno avuto il privilegio di voler bene al suo Filippo". Il testo completo della lettera di Prodi.

"Carissima signora Marisa, cari Fabiana e Alessio, è difficile per non dire impossibile trovare parole che possano in qualche modo lenire un dolore così grande. Ma non posso farvi mancare il mio personale abbraccio e quello dell'intero governo in questo momento di profonda tristezza. Il sacrificio di suo marito e di vostro padre, l'ispettore capo Filippo Raciti ha colpito e commosso l'Italia. Morire in un giorno di festa, durante una manifestazione di sport che decine di criminali hanno trasformato in guerriglia, è, se possibile, ancora più assurdo. È inaccettabile che una persona impegnata a fare il proprio dovere debba pagare questo con la vita. Anche per questo l'indignazione che ha avvolto il Paese non è meno forte dell'abbraccio con il quale io e tutto il governo ci stringiamo a voi, a tutti i familiari e gli amici che hanno avuto il privilegio di volere bene al 'suo' Filippo. Domani un impegno ufficiale all'estero mi impedirà di essere fisicamente a Catania, e me ne scuso, per rendere omaggio a un servitore dello Stato davanti al quale lo Stato stesso deve inchinarsi nel rispetto e nella promessa che ci saranno giustizia, fermezza e provvedimenti che saranno di esempio sia a chi ama lo sport sia a chi cerca di distruggerlo. Vi scrivo questo con un profondo dolore e un grande sdegno nei confronti di quanti feriscono il paese e tutti noi trasformando in odio anche i momenti di serenità, come il calcio e lo sport. Il governo non accetterà altri fatti di violenza e di follia e non dimenticherà la tragedia che ha distrutto la vita della vostra famiglia. Non perderà un minuto per restituire al calcio e allo sport i suoi valori. È un impegno che assumo con voi. È un impegno che assumo con quel Paese che Filippo ha servito fino al sacrificio della vita".

5 febbraio 2007

Fonte: Repubblica.it

"Noi con lui al G8"

Gli amici piangono attorno a Raciti

di Alessio D’Urso

Dalla sua Acireale a Catania: il dolore della moglie, dei figli e dell’intera città.

Dal nostro inviato. ACIREALE (Catania) - Difficile raggiungerla, è una stradina stretta, senza sbocco: poi all’improvviso si allarga. Via Donizetti, quartiere San Martino, Acireale: lì, al terzo piano di una palazzina bianca, viveva Filippo Raciti. E qui comincia il viaggio della memoria, attraverso le strade dove l’ispettore passava tutti i giorni tra la gente in divisa e offriva il suo viso rassicurante. È una corale raccolta di ricordi, una triste "Spoon River", che non sta riunita in un piccolo cimitero sulla collina, come nella splendida antologia di Edgar Lee Masters, ma è sparsa negli angoli più lontani di Acireale come di Catania, dove Filippo ha vissuto nel quartiere San Cristoforo, ad un tiro di schioppo dal mare, perché il padre Nazareno lavorava in una fabbrica alle spalle del faro. Un itinerario di dediche, amnesie, vaghe indicazioni e bellissime poesie. IN PIAZZA Tutti sono dispiaciuti e mostrano il loro sdegno. E così che Filippo Raciti, in fondo, continua a parlare senza che il tempo possa in qualche modo mitigare lo stridore assordante di quella domanda irrisolta che tutti si fanno: perché ? "Era un uomo buono, una persona perbene. Non lo vedevi in giro spesso, in comitiva. Usciva con la moglie Marisa, era più facile incontrarlo a Catania dove lavorava", dice Mimmo Lo Giudice, ispettore di Polizia Municipale, in piazza Indirizzo, di fronte ai Giardini Pubblici, al seguito di uno dei tanti carri allegorici che animano il Carnevale di Acireale, inaugurato ieri con un giorno di ritardo per onorare la memoria di Filippo. L’AMICO Una lettera così, alla disperata (la riportiamo a parte): l’ha scritta l’amico del cuore, con rabbia e orgoglio, il compagno di mille missioni sul selciato delle guerre metropolitane. Lui è Gioacchino Lunetto, vive ad Aci Sant'Antonio ed è sostituto commissario, collega di Filippo Raciti, spalla a spalla al G8 di Genova e ai G7 di Napoli e Trieste. La sua testimonianza, raccontata con gli occhi umidi di chi ha perso una persona cara, è intrisa di sentimento: "Eri un generoso, amavi la giustizia...". E continua: "Partivamo insieme in trasferta, perché eravamo quelli con più esperienza. Facemmo servizio d’ordine anche ad Acireale, insegnava alle nuove leve tecniche d’ordine pubblico. Ricordo che al G8 condividemmo il soggiorno su una delle navi greche ancorate nel porto di Genova, dove dormivamo. Gli hanno teso un’imboscata. Un fratello...". Sopravvissuto al G8, morto al Cibali. CROCE ROSSA In via Etnea, a Catania, la moglie Marisa Grasso, frequentava il corso di infermiera volontaria presso la Croce Rossa e il marito, Filippo, donava periodicamente sangue. Proprio due settimane fa, in piazza Duomo, dove a mezzogiorno verrà celebrato il suo funerale, Raciti presenziò ad una raccolta con altri volontari a bordo dell’autoemoteca. CAMERA ARDENTE Il giorno della memoria ha avuto il suo epicentro in corso Italia dove, al X reparto Mobile, è stata aperta la camera ardente. La moglie Marisa, vestita di nero, ha vegliato la bara con grande compostezza insieme ai figli. Un silenzioso popolo di catanesi ha deposto mazzi di fiori accanto alla bara e lasciato bigliettini con un saluto al concittadino di cui vanno orgogliosi: "Mi vergogno", "Morte assurda", "Questa sciarpa è un pezzo del mio cuore, adesso è solo per te". Hanno reso omaggio alla salma l’a.d. del Catania Pietro Lo Monaco e tante personalità cittadine. In visita anche Emanuele Filiberto. Affisso alla porticina d’ingresso del reparto mobile un foglio emblematico con su scritto: "Catania si scusa col mondo intero per via di quella schifosa minoranza che non la rappresenta. Firmato un catanese onesto". ZAMPARINI Un altro grande gesto di solidarietà arriva dal presidente del Palermo Maurizio Zamparini che ha aderito alla sottoscrizione di un quotidiano locale a favore della famiglia Raciti con una donazione di 100.000 euro.

5 febbraio 2007

Fonte: La Gazzetta dello Sport

"Si perdonano gli uomini, non le bestie..."

di Alessio D’Urso

Il terribile racconto della moglie.

Dal nostro inviato. ACIREALE (Catania) - "Onore, dignità, lealtà, sincerità, altruismo, rispetto, generosità, disponibilità, fedeltà, alto senso del dovere, dolce marito e padre affettuoso: questo era l’Ispettore capo Filippo Raciti. La moglie". L’epitaffio di un eroe moderno nelle parole scavate nella roccia da una vedova che non ha più lacrime, ma che dentro ha una grande forza spirituale. È la forza di Marisa Grasso, icona senza volerlo di una catanesità da ritrovare. E da rilanciare all’occhio dell’opinione pubblica. È la forza di una giovane madre 34enne che, all’improvviso, deve sdoppiarsi per non far mancar nulla ai beni più preziosi che Filippo le ha lasciato: Fabiana, 15 anni, e Alessio, 9. All’alba del primo sole senza la sua luce quotidiana, provata nel fisico e nell’animo, costretta a raccogliere al X Reparto Mobile di Catania gli effetti personali del marito, la vedova Raciti lascia scorrere brevi ma intense frasi in un giorno che non potrà mai dimenticare.

Signora, che ricordo ha del tragico venerdì della settimana scorsa ? "Era un giorno come tutti gli altri, ad Acireale. Avendo una sola macchina, per non restare senza, avevo accompagnato Filippo alla fermata dell’autobus che l’avrebbe condotto in ufficio. Lì ci siamo dati l’ultimo bacio".

Poi che cosa è successo ? "Ero davanti alla tv. E la cosa che mi ha amareggiato di più è l’aver appreso la notizia dai giornalisti. Non stavo seguendo i programmi sportivi. Poi, girando canale, ho visto quella scritta in sovrimpressione... Il mio Filippo morto quando in realtà non era ancora deceduto. Ho atteso qualche minuto, ma non ho potuto evitare che i miei figli rimanessero davanti al fatto compiuto. Cioè davanti alla tv".

I colleghi di Filippo l’hanno chiamata subito dalla centrale ? "Mi hanno detto, immediatamente dopo che avevo visto quella scritta in televisione, che mio marito era in gravi condizioni e che di lì a poco sarebbero venuti a prendermi. Ma sono salita in macchina e con i miei figli ho raggiunto l’ospedale Garibaldi. Poi...".

Ci racconta qualcosa della sua famiglia, signora ? "Semplice. Un solo stipendio, quello di Filippo. Una famiglia normale. Fino a venerdì io non lavoravo, mi sono sempre dedicata all’educazione dei miei due figli unitamente a mio marito. Facevamo volontariato alla Croce Rossa. I miei genitori abitano di fronte alla nostra casa: volevamo comprarne un’altra per Fabiana".

Quando ha conosciuto Filippo ? "Eh... L’ho conosciuto che ero molto giovane e, poco più che maggiorenne, è arrivata la nostra primogenita".

Signora, rispettiamo il suo intimo dolore, ma vorremmo sapere che cosa pensa dei criminali che hanno strappato suo marito all’affetto della famiglia. "Io non odio nessuno, il perdono spetta a chi sta sopra di me. Si possono perdonare gli uomini, ma chi si macchia di questi reati può essere considerato solo una bestia".

Lei, in Cattedrale, ha detto che suo marito deve diventare un educatore anche da morto. "Viviamo un’epoca in cui la violenza e la sopraffazione la fanno da padroni: Filippo con il suo comportamento ha sempre cercato di trasmettere messaggi positivi alla realtà che lo ha circondato. Su questo episodio deve scattare dentro l’animo delle persone oneste, la molla per arrivare sempre più in alto, per dare di più. Il mondo cambia se noi lo vogliamo".

Catania, descritta come una Beirut dei primi anni Ottanta, ha partecipato commossa al saluto a suo marito. "Ringrazio sentitamente quanti realmente si sono uniti al nostro dolore".

L’immagine del suo bellissimo figlio Alessio, vestito da poliziotto quasi a voler proteggere lei e Fabiana, ha fatto il giro del mondo. "Spero che Alessio cresca seguendo l’esempio di un padre dolce, meraviglioso, pieno di affetto nei confronti del prossimo e della sua famiglia. Questo era Filippo. Questo era mio marito. Grazie".

7 febbraio 2007

Fonte: La Gazzetta dello Sport

Parla Marisa Grasso: "Ho saputo della morte dalla televisione".

"Mio marito è dentro di me. Mi darà la forza di crescere i ragazzi"

Vedova Raciti: "Pena per quei ragazzi ma non posso dire che perdono".

CATANIA - "Per questi ragazzi provo solo pena, nient'altro. La parola perdono è grossa e come fa qualcuno potrei anche pronunciarla con superficialità senza che però nasca dal profondo del mio cuore. Quello di cui sono certa è invece che non ho nessun proposito di vendetta". A parlare è Marisa Grasso, la moglie di Filippo Raciti, l'ispettore di polizia ucciso venerdì sera durante i disordini fuori dallo stadio Massimino. In alcune interviste raccolte da diversi quotidiani, la vedova Raciti ricorda "l'onore, la dignità, la lealtà, l'altruismo" del marito. Rivive il momento in cui ha saputo della morte di Filippo, pensa al futuro dei figli. "Mio marito è dentro di me. Sento mio marito dentro di me - racconta - Filippo mi dà tanta forza da lassù e so che mi aiuterà a crescere i nostri figli. Bisogna avere una grande fede per provare queste sensazioni e io sono felice di averla. La tv diceva che era morto, ma non era vero ancora". La signora Raciti racconta di come ha saputo della notizia della morte del marito. "L'ho appreso dalla televisione e la cosa più assurda è che il magistrato, i colleghi di Filippo che nel frattempo mi avevano chiamato al telefono, giuravano che era in vita. Ed era vero. I telegiornali - dice ancora - avevano dato una notizia falsa: un vero sciacallaggio. Mi sono così messa subito in auto diretta all'ospedale Garibaldi, ho fatto la strada con la morte nel cuore sperando che Filippo fosse solo ferito. Torrone e bancarelle e a fianco la guerriglia: assurdo, la processione doveva finire. Percorrevo le strade di Catania e mi sembrava assurdo - aggiunge la signora Grasso - una follia che mentre la guerriglia si scatenava ancora toccando perfino il viale Mario Rapisardi all'angolo con via Fava, i catanesi gustassero torrone, olivette e roba simile nelle bancarelle parate a festa. Mi sarebbe sembrato giusto che la santa patrona di Catania restasse in cattedrale e i catanesi andassero solo in chiesa per pregare davanti la statua in un momento veramente funesto per la città. Non solo niente fuochi d'artificio, bisognava smontare anche le bancarelle, niente baldoria e roba simile. Lo sa che mentre tantissimi catanesi venivano a rendere omaggio alla salma di mio marito alle spalle della caserma si festeggiava e la processione andava avanti tra schiamazzi e vendite di palloncini ? Ha fatto bene Pippo Baudo a chiedere la sospensione della festa, l'ho apprezzato". "Quei ragazzi riflettano: la violenza fa male". Marisa Grasso invita gli assassini "a riflettere, a cambiare strada perché la violenza fa male, troppo male". "Adesso i ministri passino ai fatti". La vedova di Filippo Raciti si augura che il sacrificio del marito "serva a cambiare questo mondo violento". "Da anni mio marito e gli altri agenti - ricorda - tornavano a casa dopo il servizio di ordine pubblico con le divise sporche di sputi, pomodori e roba simile lanciata dalle tribune. Rientravano dal servizio feriti e contusi, ma pronti a servire lo Stato già il giorno dopo. Ecco, vorrei che i ministri adesso passassero ai fatti, altrimenti la prossima volta che ci sarà una tragedia sarebbe meglio che non andassero da nessuna parte". "Ora voglio silenzio". "Adesso credo di avere diritto a un momento di silenzio. Perché ora che Filippo non c'è più il dolore lancinante, incalcolabile sarà solo mio, di Fabiana e Alessio. Spero che Alessio cresca seguendo l'esempio di un padre dolce, meraviglioso, pieno d'affetto nei confronti del prossimo e della sua famiglia. Questo era Filippo. Questo era mio marito".

7 febbraio 2007

Fonte: Repubblica.it

"Penso a quei ragazzi"

CATANIA - "In queste ore penso alle famiglie dei giovani che sono stati arrestati: è importante l’educazione che viene dalla famiglia, dalla scuola, dalla società. È anche importante insegnare rispetto per la divisa". Lo ha detto Marisa Grasso, vedova dell’ispettore capo Filippo Raciti, in un messaggio letto nella sede della Questura di Catania. Dopo aver ringraziato "tutte le persone, tantissime, che in questi giorni ci sono state vicino", Marisa Grasso ha notato che "sono stati arrestati ragazzi molto giovani che hanno la stessa età di mia figlia. E Filippo - ha ricordato commossa - quando tornava a casa dal lavoro mi diceva: "Lo sai Marisa che hanno tutti l’età di Fabiana ?" Li guardava come padre. Gli dispiaceva che a creare disordini fossero dei ragazzini".

8 febbraio 2007

Fonte: La Gazzetta dello Sport

"Sono vivo per miracolo Mi hanno scagliato un motorino addosso"

di Alessio D’Urso

Il racconto del poliziotto salvato dai colleghi durante l’assalto "Volevano farci pagare le retate.

CATANIA - È il racconto terribile, incalzante, di un sopravvissuto: "un miracolato, credetemi, scampato all’inferno di Catania". Lui è Giuseppe Cassisi, 49 anni, sostituto commissario di Polizia alla Questura di Catania, 31 anni di servizio, 5 figli, e venerdì scorso è stato salvato appena in tempo dai colleghi nel corso di uno dei più aspri combattimenti lungo il selciato di via Giuseppe Fava, uno dei teatri dei gravi incidenti nella notte del derby Catania-Palermo: durante il convulso trasporto all’ospedale il poliziotto, colpito al capo da un motorino (sì, un motorino) aveva perso i sensi e le sue condizioni erano considerate gravissime, al pari di quelle del povero Filippo Raciti. Poi il risveglio e la lenta ripresa al nosocomio San Luigi, dove è ricoverato e dove la direttrice sanitaria Serafina Motta conta di dimetterlo nei prossimi giorni. Che cosa ricorda di quei drammatici momenti ? "All’arrivo dei tifosi del Palermo mi trovavo in via Cifali, in prossimità della curva Nord, e fronteggiavo l’emergenza con lo schieramento di Polizia arrivato da Reggio Calabria e guidato dal dottor Paolo Leone. Dal secondo anello della curva ci tiravano di tutto: un lavandino in lamiera, mattonelle, bombe carta, fumogeni e pietre... Abbiamo lanciato i lacrimogeni e la partita è stata sospesa per la prima volta. Poi sono stato richiamato dai dirigenti dietro la curva Sud per dar man forte ad una squadra assalita da un cospicuo numero di delinquenti. Anche lì ci hanno tirato di tutto: sassi, spranghe, calcinacci, perfino un lampadario da un balcone, incredibile ! Gli assalti partivano ad intermittenza. Noi caricavamo ad oltranza: ad un certo punto, sono riuscito ad afferrare per il giubbotto uno di questi criminali incappucciati...". E che cosa è successo ? "Trascinandolo, per identificarlo, sono stato investito da un motorino scagliato da un gruppo di giovani bendati. Sono caduto sopra il delinquente. In quel momento ho perso i sensi. In 5, 6 mi hanno sferrato calci ovunque, alle gambe, al fegato, al costato. Anche in testa. Nella terribile pioggia di colpi ho perso la pistola e il casco protettivo, ho avuto la sensazione che mi volessero strappare i vestiti, ero inerme per terra ma, almeno, aggrappandomi all’aggressore nella caduta, ero riuscito a prendergli il portafoglio con i documenti all’interno. E difatti lui è stato poi subito identificato. Vorrei ringraziare pubblicamente le persone che mi hanno salvato la vita, e cioè i colleghi Carmelo Privitera, che mi ha preso da terra e mi ha portato vicino all’ambulanza, e Pietro Russo che è salito con me in ambulanza: pensate, tre ore dopo aveva ancora il casco in testa al pronto soccorso, tanta era l’apprensione per le mie condizioni". In barella dallo stadio all’ospedale Garibaldi: una corsa contro il tempo. "Il medico mi chiedeva cosa mi sentivo, io non sentivo niente. Per 5' in ambulanza ho perso i sensi. Al pronto soccorso ricordo di aver perso la funzionalità della parte sinistra del corpo. Una forte nausea, ma non riuscivo a vomitare. Dalla risonanza magnetica è emerso un ematoma alla testa: ce l’avevo gonfia, avevo dolore. In più, contusioni ed escoriazioni in tutto il corpo. Mi hanno trasferito all’ospedale San Luigi, dove sono stato subito visitato e, per fortuna, avendo riportato solo un’emorragia di capillari, non c’è stato bisogno di operarmi. Ne avrò per un’altra settimana. Credo che il mio ferimento sia avvenuto intorno alle 21.15, mentre Raciti era stato colpito a morte un quarto d’ora prima. Sono stati minuti di autentico terrore". Quando è venuto a conoscenza della morte del collega Filippo ? "Solo domenica sera, e ho pianto. Lui era un grande uomo. Entrerà in paradiso con tutti i vestiti e le scarpe... Era un faro per noi. Ricordo che parlavamo spesso del G8 di Genova, cui lui aveva partecipato, e della scomparsa di Carlo Giuliani. Lui diceva che la morte negli scontri per l’ordine pubblico non dovrebbe mai verificarsi... Voglio ringraziare anche il questore di Catania Capomacchia, un dirigente superiore che non esita a schierarsi col casco in prima linea e che è venuto a trovarmi in ospedale col questore Barboso. Tanti colleghi mi hanno dimostrato affetto, e mi fa piacere ricordare Rodolfo Turrisi, un dirigente di polizia in pensione, attualmente comandante dei vigili urbani di Ragusa". Gli scontri fuori dallo stadio, secondo lei, hanno avuto una stretta relazione con il derby ? "No. Questi criminali hanno solo aspettato l’occasione giusta, e la partita lo era, per colpirci. È stata un’azione premeditata. Questa gente voleva farci pagare le ultime retate a Librino, un quartiere a rischio della città, dove recentemente abbiamo sequestrato armi e droga. Non si spiegherebbe tanto accanimento contro di noi: succede ogni domenica nei pressi della curva Nord. E non dimentichiamoci del grave ferimento dei due colleghi prima del derby col Messina, entrambi vittime di un’imboscata". Ritornerà allo stadio ? "Sì, devo farlo anche per Filippo Raciti. Nella mia vita non mi sono mai defilato. Dico ai criminali di venerdì scorso: avete sbagliato tutto".

8 febbraio 2007

Fonte: La Gazzetta dello Sport

Quarrata, sabato stadio intitolato a Raciti

Alla cerimonia sarà presente anche la vedova dell'agente.

Si svolgerà sabato la cerimonia di intitolazione dello stadio comunale di Quarrata, in provincia di Pistoia, a Filippo Raciti. Alla cerimonia, che inizierà alle 9.30, è stata annunciata la presenza della vedova Marisa Grasso Raciti e dei figli. Dopo il saluto del sindaco Sabrina Sergio Gori, verranno letti alcuni messaggi da parte di rappresentanti delle istituzioni. Verrà poi scoperta la targa intitolata a Raciti, posta all'ingresso dell'impianto.

8 Marzo 2007

Fonte: Ansa.it

Catania, la rabbia della vedova Raciti

Mio marito lapidato, e noi con lui

di Michela Giuffrida

CATANIA - "Mio marito non è morto di malattia, né per un incidente. Mio marito è stato massacrato". Il volto indurito dal dolore e la voce che a tratti trema, Marisa Grasso, vedova di Filippo Raciti, non vuole commentare la decisione del gip di Catania che ha revocato l’ordine d’arresto per il minorenne accusato di aver ucciso l’ispettore durante gli scontri del 2 febbraio. "Io so solo che Filippo la sera non torna più a casa perché è morto. E che l’unica cosa certa sono le scene di violenza che tutti quella sera abbiamo visto. Non so come dirlo - prosegue Marisa Raciti - mio marito è stato lapidato e sicuramente ha sofferto moltissimo, chissà se ha gridato, chissà cosa ha pensato in quell’attimo. Hanno massacrato, non soltanto lui ma anche me, i suoi figli, i suoi genitori. Sono trascorsi quattro mesi ed io sono qui ad indossare la medaglia d’oro che mi hanno dato in sua memoria". Dal palco d’onore, assieme agli invitati alla cerimonia per la festa dei carabinieri Marisa Raciti ha assistito alla parata, ha ascoltato le parole di ricordo dedicate al marito. E, ancora una volta, ha tradotto la sua rabbia nell’interrogativo che lei rilancia sempre, in ogni manifestazione pubblica. "Perché chi indossa la divisa - ha ripetuto - deve mettere in conto di poter morire ? Non svolge forse un lavoro per la gente, in mezzo alla gente ?". Intanto il procuratore della Repubblica per i minorenni Gaspare La Rosa ha riunito i suoi sostituti per valutare nuove iniziative del suo ufficio ed ha annunciato che "quasi certamente presenterà ricorso contro la decisione del gip" perché, ha aggiunto il magistrato, "sul provvedimento è opportuna una valutazione di altri giudici, anche perché quattro occhi vedono meglio di due". Tra gli atti che la procura per i minori vuole sottoporre al tribunale del riesame figura anche la perizia di parte degli ufficiali della polizia scientifica di Roma che il Gip Alessandra Chierego non ha ammesso. Sul fronte della difesa invece i legali del diciassettenne, che resta comunque in carcere perché accusato di resistenza a pubblico ufficiale, hanno già pronto un nuovo ricorso per chiederne la scarcerazione effettiva. Il procuratore La Rosa ieri ha anche disposto il dissequestro della curva nord dello stadio Massimino.

6 giugno 2007

Fonte: La Repubblica

© Fotografia: Ilgiornale.it
 
     
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