Terrore a Catania
Agguato mortale a un
poliziotto
Oltre 150 i feriti
di Alessio D’Urso e di
Sebastiano Vernazza
Prima la sospensione per
i fumogeni, poi la guerriglia
urbana al derby Catania-Palermo:
decine di delinquenti hanno
assaltato fuori dallo stadio le
camionette degli agenti. Una
bomba carta è stata fatale per
l’ispettore capo Filippo Raciti,
morto all’ospedale. Dopo gli
incidenti sono stati effettuati
oltre 20 fermi e diverse
perquisizioni.
Dai nostri inviati.
CATANIA - La notizia si è sparsa
attorno alle 21. "È morto un
poliziotto". Filippo Raciti, 38
anni, sposato con due figli,
ispettore capo della Questura di
Catania, residente a
Misterbianco, un paese della
provincia, è caduto
nell’esercizio del suo dovere,
per tenere a bada una massa di
imbecilli. Catania-Palermo era
un derby ad altissimo rischio e
purtroppo le paure hanno trovato
conferma. Ieri sera si è
scatenato il terrore. Scene di
guerriglia urbana, genere G8 di
Genova estate 2001. Camionette e
jeep delle forze dell’ordine
assaltate da decine di
tifosi-delinquenti armati di
coltelli, bastoni e lamiere. Da
un gruppo di teppisti ultrà -
non si sa se del Palermo o del
Catania - è stata lanciata una
bomba carta, che è finita dentro
un mezzo della polizia: Filippo
Raciti, 38 anni, ispettore capo
della Questura di Catania, è
stato così gravemente ustionato
al volto e al torace. Secondo
una prima ricostruzione,
l’ordigno sarebbe stato gettato
dagli spalti, dall’interno dello
stadio, e avrebbe colpito Raciti
appena uscito dalla vettura, ma
non ci sono conferme. Filtra
però la versione dell’assalto
frontale: l’auto con Raciti a
bordo sarebbe stata oggetto di
un arrembaggio perché ci sarebbe
stato un fermato della squadra
rivale. Trasportato all’ospedale
"Garibaldi" per un estremo
tentativo di rianimazione,
Raciti non ce l’ha fatta. Una
morte orribile e annunciata. Si
sapeva che a Catania-Palermo
sarebbe potuto succedere di
tutto. Lo Stato si è attrezzato,
mille e cinquecento gli uomini
impiegati (poliziotti,
carabinieri, baschi verdi delle
Fiamme Gialle), però non è
bastato. È una notte tragica, il
calcio italiano subisce un colpo
tremendo. Una giornata
impossibile da dimenticare. ORE
15.30 La situazione fuori e
dentro lo stadio è tranquilla.
Gli ultrà palermitani sono in
viaggio e quelli catanesi
preparano le coreografie. ORE 18
La partita comincia e mancano
gli ultrà del Palermo. Voci
disparate sul loro ritardato
arrivo: "Hanno sbagliato
strada"; "Li hanno bloccati
sulla circonvallazione perché
trovati in possesso di armi
improprie"; "Stanno devastando
ciò che trovano sul loro
cammino". Prima del calcio
d’inizio, sul tratto di pista
d’atletica sottostante la curva
Sud, occupata da tifosi del
Catania, si tiene un singolare
spettacolo di fuochi
d’artificio. Botti sul campo e
non sugli spalti, botti in
qualche modo autorizzati. Da chi
? E perché ? Impressionante,
poi, lo spettacolo dei fumogeni:
ma non erano vietatissimi ? Non
si doveva procedere
all’immediata sospensione di
ogni gara nel momento in cui
veniva acceso un candelotto ?
ORE 18.50 Arrivano gli ultrà del
Palermo. Alle 19 comincia il
secondo tempo, il Palermo segna
con Caracciolo. Si sentono colpi
tremendi, tipo spari ed
esplosioni. Dalla curva Nord
(ultrà locali) piovono fumogeni,
le forze di polizia rispondono
coi lacrimogeni, l’aria è
irrespirabile. La gente con le
sciarpe alla bocca scappa. ORE
19.15 CIRCA L’arbitro Farina
sospende la partita. Una fitta
nebbia artificiale avvolge la
curva Nord del Cibali, che si
svuota: la teppaglia catanese
cerca di lasciare lo stadio per
scontrarsi con i palermitani.
Guerriglia pura. Decine di
agenti si frappongono fra le due
fazioni. Tanti feriti, tra loro
Raciti, il più grave:
l’ambulanza lo trasporta
all’ospedale Garibaldi per un
disperato tentativo di
rianimazione. Poi la partita
riprende, il Palermo vince e
verso le 20.30 Farina fischia la
fine. Si alzano gli elicotteri
della polizia, rumore di pale e
faro che squarcia la luce. Una
scena sinistra. ORE 21 Comincia
a girare una voce agghiacciante:
"È morto un poliziotto". Poco
dopo l’amministratore delegato
del Catania, Pietro Lo Monaco,
annuncia la tragedia in tv, ma
la conferma ufficiale non
arriva. L’agenzia Ansa dà per
sicuro il decesso, ma un tam tam
sotterraneo lascia aperta la
porta alla speranza. Alle 22.15
arriva una notizia, sotto forma
di dichiarazione del capo della
Squadra Mobile: "Il cuore è
ripartito, forse ce la fa". ORE
22.30 Il dottor Sergio Pintaudi,
capo del dipartimento Emergenza
dell’ospedale Garibaldi,
incontra i cronisti assieme al
sindaco Umberto Scapagnini e non
ci sono più dubbi, Raciti è
morto. È avvisata la moglie,
Marisa, volontaria della Croce
Rossa. Raciti era padre di una
ragazza di 15 anni, Fabiana, e
di un bimbo di 6, Alessio. Per
niente appassionato di calcio,
impiegava il tempo libero nel
sociale. PRIMO BILANCIO Ci sono
oltre 150 feriti, alcuni gravi,
in buona parte tra le forze
dell’ordine. Anche decine di
teppisti hanno subìto lesioni,
ma per non essere identificati
si sono tenuti lontani dai
Pronto Soccorso e si sono fatti
medicare privatamente. Giuseppe
Navarria, direttore del
Garibaldi: "In rianimazione è
entrato solo un poliziotto, il
deceduto. Da noi ci sono venti
feriti tra poliziotti e
carabinieri, divisi in due
reparti, medicina e chirurgia
vascolare. Gli altri sono stati
distribuiti tra gli ospedali
Nesima e San Luigi".
Contraddittorie le voci sulle
condizioni del collega di
Raciti, un ventenne in auto con
lui: per alcuni è grave, per
altri no. Immediato vertice in
Questura con i magistrati
incaricati del caso di omicidio
e lesioni gravi. A incidenti in
corso nella zona dello stadio
sono stati effettuati oltre
venti fermi, nella notte
perquisizioni a tappeto. Arresti
in arrivo, stamane il quadro
dovrebbe essere più chiaro.
3 febbraio 2007
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
© Fotografia: Ilgiornale.it
Guerra allo stadio,
muore un agente
CATANIA - Tragedia al
derby siciliano. Un agente di
polizia, Filippo Raciti, 38
anni, è morto dopo essere stato
colpito da una bomba carta al
termine della partita fra
Catania e Palermo. L’ispettore
era in strada per cercare di
sedare le violenze degli ultras
scoppiate dopo il match e che
hanno portato al ferimento di
oltre cento persone. La notizia
ha sconvolto l’intero mondo del
calcio. Il commissario
straordinario della Federcalcio
Luca Pancalli ha disposto la
sospensione di tutti i
campionati e il rinvio delle
partite della Nazionale in
programma la settimana prossima.
Poi ha aggiunto: "Senza misure
drastiche non si riparte". In
campo anche il governo: "Bisogna
fermare la degenerazione dello
sport", ha dichiarato il premier
Romano Prodi. "Se continua così
non manderò più agenti negli
stadi", ha spiegato il ministro
dell’Interno Giuliano Amato. Il
presidente Napolitano: "Le
autorità devono reagire".
3 febbraio 2007
Fonte: La Repubblica
Follia a Catania, agente
arresta ultrà viene aggredito ed
ucciso da bomba carta
Scontri fra ultrà della
squadra etnea e la polizia
funestano il derby con il
Palermo. Altro poliziotto grave,
una novantina di feriti. Nove
arrestati, fra loro 4 minorenni.
CATANIA - Un colpo di
spranga e poi una bomba carta
tirata dentro l'auto di
servizio. È morto così
l'ispettore del reparto Mobile,
Filippo Raciti, di 38 anni,
sposato con due figli, ucciso in
una notte di follia calcistica
dopo il derby Catania-Palermo.
Ma il bilancio della tragedia è
ancora più grave: un altro
agente è ricoverato all'ospedale
Garibaldi in gravi condizioni,
ma non sarebbe in pericolo di
vita. Centinaia i feriti: oltre
70 sarebbero agenti di polizia.
Nove tifosi del Catania, cinque
adulti e quattro minorenni, sono
stati arrestati. Una situazione
insostenibile che ha spinto il
commissario straordinario della
Federcalcio Luca Pancalli a
fermare a tempo indeterminato
tutti i campionati, comprese le
squadre Nazionali. Non sono
serviti a nulla gli appelli alla
correttezza rivolti nei giorni
scorsi alle due tifoserie, né le
massicce misure di sicurezza
adottate dalle forze
dell'ordine: dal divieto di
ingresso allo stadio agli
sportivi sprovvisti di
biglietto, all'imponente
servizio di scorta per i tifosi
palermitani. Gli ultras delle
due squadre non sono venuti a
contatto, separati da una rete
guardata a vista da centinaia di
agenti. Ma gli scontri ci sono
stati: questa volta tra tifosi e
forze dell'ordine. E il bilancio
è pesantissimo. La cronaca del
derby della follia comincia
all'inizio del secondo tempo. Il
Palermo ha appena segnato il gol
del vantaggio. I tifosi
rosanero, arrivati allo stadio a
partita iniziata per un errore
degli autisti dei pullman che
avrebbero sbagliato strada,
raggiungono gli ingressi,
scortati dalla polizia. Un
gruppo di ultras catanesi,
rimasti fuori dal "Massimino",
prova ad avvicinarsi agli
avversari. Gli agenti fanno muro
e impediscono il contatto. La
reazione dei supporters etnei è
immediata: una pioggia di
petardi e sassi, investe le
forze dell'ordine che reagiscono
lanciando i lacrimogeni. Il fumo
arriva nello stadio: l'arbitro
Farina ferma la partita. Fuori
dallo stadio si assiste a scene
di guerriglia: l'aria è
irrespirabile, gli agenti ormai
caricano i tifosi catanesi. Alle
19:48, quaranta minuti dopo la
sospensione, si torna a giocare.
Si contano i primi feriti. Col
passare dei minuti decine di
persone si presentano
all'ospedale Garibaldi.
Contusioni, intossicazione da
lacrimogeni, lievi escoriazioni
per la maggior parte di loro.
Non ci sono casi gravi. Subito
gravissimo appare, invece,
l'agente Raciti. Il poliziotto
si trovava in auto all'esterno
della Curva nord, aveva
arrestato con un collega un
ultrà del Catania dopo ripetuti
scontri. Subito dopo la
pattuglia è stata aggredita da
una banda di teppisti e Raciti è
stato colpito da un oggetto
contundente al torace.
Successivamente all'interno
della sua auto sono esplose una
bomba carta e un petardo:
l'inalazione dei fumi
sprigionati, assieme al trauma
toracico subito poco prima,
avrebbero causato la morte del
poliziotto. Il ferito viene
portato in ospedale, i medici
cercano di rianimarlo. È in
arresto cardio-respiratorio per
le esalazioni della bomba carta,
ma il cuore non riprende a
battere. I medici lo dichiarano
morto alle 22:10. In condizioni
serie è anche un collega della
vittima: è in prognosi riservata
ma, secondo i sanitari, non
sarebbe in pericolo di vita.
Intanto intorno allo stadio si
susseguono gli scontri con lanci
di pietre, oggetti incendiati,
scene di vera e propria
guerriglia urbana che vanno
avanti per ore con i tifosi del
Palermo, l'arbitro e le squadre
chiuse nello stadio mentre fuori
impazza una violenza tanto
stupida quanto cieca. Solo dopo
un paio di ore la polizia riesce
a disperdere le bande di
teppisti scatenati e a riportare
la pace nella città
semidistrutta.
3 febbraio 2007
Fonte: Repubblica.it
Il dramma all’ospedale
L’ispettore non si salva
Moglie e figli distrutti
di Alessio D'Urso
CATANIA - Ieri l’inferno
si è trasferito all’Ospedale
Garibaldi: in un’ora si è
portato via un poliziotto,
Filippo Raciti, 38 anni, un
padre di famiglia, dilaniato da
una bomba carta. Erano le 20.30,
quando il pronto soccorso
catanese si è trasformato in un
luogo di pianto e disperazione.
La morte a Catania. IL DRAMMA
Voci rotte dall’emozione si
rincorrevano, facce stravolte, i
colleghi del povero agente in
lacrime. Un dramma senza fine.
Un rimpallo di notizie non
confermate, la speranza che vive
e poi s'inabissa. "Si è ripreso,
si è ripreso", dicono gli
infermieri, "il cuore ha ripreso
a battere, il defibrillatore ci
sta aiutando...". Il capo del
reparto mobile Piero Gambuzza
detta ai microfoni: "Il cuore di
Raciti ha ripreso a battere, c'è
stato un primo arresto cardiaco,
ma...". Ci credono tutti, anzi
no, non ci crede nessuno. Eppure
in quel fazzoletto di cemento
armato dove le sirene impazzite
delle ambulanze si rincorrono si
aspetta un colpo di scena.
Niente. La bugia raccontata alla
mamma disperata di Raciti dai
colleghi stravolti e feriti
serve soltanto ad alleviare sul
momento un dolore
insopportabile. La donna viene
portata via in barella. Respira
a fatica: "Ditemi che non è
vero, vi prego, ditemi che non è
vero...". L’ANNUNCIO Alle 21.50
il dottor Sergio Pintaudi, capo
dipartimento emergenza del
Garibaldi, emette il terribile
verdetto: "Filippo Raciti,
arrivato in condizioni
gravissime al pronto soccorso,
non ce l’ha fatta. Abbiamo
tentato di fargli riprendere
l’attività cardiaca e per un
lasso di tempo abbiamo avuto la
speranza, ma poi si è verificato
il decesso". Accanto al
primario, il direttore generale
dell’azienda Garibaldi, Giuseppe
Navarria, conferma e recita la
tristissima contabilità dei
feriti: "Venti sono qui da noi,
altri sono stati trasferiti in
altri ospedali, Nesima e San
Luigi, ma non versano in gravi
condizioni. Sono tutti
poliziotti e carabinieri". Il
sindaco Umberto Scapagnini ha
vissuto gli ultimi attimi di
vita di Filippo Raciti: indossa
il camice, non resiste al
pianto. E dice: "Siamo
sconvolti, non crediamo ai
nostri occhi". LA DISPERAZIONE
Tra una selva di uomini e donne,
divise, stelle nelle mostrine,
si fanno largo i parenti del
morto: la mamma, già arrivata
con la moglie di Filippo Raciti,
Marisa, casalinga e volontaria
alla Croce Rossa, è già
sull’ascensore per l’inferno.
Sorretta a stento da un
familiare, entra al pronto
soccorso alle 22.30 la figlia di
Raciti, Fabiana, 15 anni,
giubbotto arancione, nel pieno
della sua gioventù. Dopo qualche
minuto è accompagnata fuori
dalla corsia principale del
pronto soccorso, e piange in
preda ad una crisi. I poliziotti
spingono fuori i giornalisti, li
pregano di non guardare nemmeno
quel volto sconvolto da dolore.
Ma è il dolore di tutti in
questa notte senza parole.
Fabiana cerca riparo nel
fidanzato, i cui genitori
mulinano le braccia: "È una
sofferenza insopportabile, Dio
mio, perché ?", singhiozza la
ragazza, protetta da un cordone
di poliziotti. Il fratellino,
Alessio, 6 anni, è rimasto a
casa. A Misterbianco. I
familiari serrano le mascelle e
urlano contro il cielo. Subito
un desiderio: "Non festeggiate
Sant' Agata, per favore, con un
uomo morto così non è proprio il
caso". BASTA Lo spiazzo
antistante l’ospedale Garibaldi
diventa un teatro greco
immaginario che condanna la
violenza feroce dei teppisti da
stadio. Arrivano tutti.
Politici, giudici, gente comune.
Tutti pronunciano parole
durissime. E puntano l’indice
sul male oscuro (nemmeno tanto)
che attanaglia questa città così
contraddittoria. Il presidente
del Catania Antonino Pulvirenti
dice senza mezzi termini:
"Bisogna lasciare il calcio in
questa città, basta. Tutti i
nostri sacrifici sono stati
distrutti in una notte di
follia". Il presidente della
Provincia Raffaele Lombardo: "È
una mostruosità, che pena
infinita". Il magistrato di
turno Ignazio Fonzo: "Vogliamo
capire se le norme di sicurezza
previste dalla legge state
adottate. La legislazione è
troppo blanda e le forze
dell’ordine non riescono a
fronteggiare quest' emergenza".
Le luci delle telecamere, i
flash dei fotografi si posano
sulla gente che va via commossa
e consapevole che, ancora una
volta, l’ennesima, si è
consumato un dramma, un padre è
stato strappato all’affetto dei
suoi cari e si è distrutta una
famiglia: per nulla. E
l’angoscia, atroce, dispotica,
pianta il suo nero vessillo sul
cranio chino di questa città
ferita.
3 febbraio 2007
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Il calcio in guerra
ucciso un poliziotto
di Emanuele Lauria
CATANIA - Un poliziotto
morto e sessanta feriti, al
termine di un derby siciliano
che ha trasformato Catania nel
teatro di una guerra civile. E
ha spinto il mondo del calcio a
dire basta: sospesi i
campionati, si ferma anche la
nazionale. A perdere la vita un
ispettore capo della Questura di
Catania, Filippo Raciti di 38
anni, colpito al viso da una
bomba carta. L’agente è stato
raggiunto dall’ordigno lanciato
dagli spalti mentre, durante la
gara, era all’interno dalla sua
auto in servizio sotto la curva
nord, appena fuori dallo stadio
"Angelo Massimino". Il collega
che era al suo fianco racconta
di averlo visto impallidire:
"Dopo qualche secondo
dall’esplosione - dice - mi ha
detto di non sentirsi bene e mi
ha chiesto di accompagnarlo in
ospedale". Di lì la folle corsa
al Garibaldi, dove i medici
hanno tentato invano di
rianimare Raciti con un
massaggio cardiaco: il
poliziotto è morto dopo tre
quarti d'ora d'agonia. Lascia
una giovane moglie e due figli.
L’epilogo di una giornata di
follia, cominciata un’ora prima
del fischio d’inizio di
Catania-Palermo, quando il
pullman della squadra ospite,
giungendo allo stadio, è stato
bersaglio di lanci di bottiglie
e lattine. La partita è
cominciata senza gli ultras
palermitani, trattenuti fuori
dallo stadio per oltre un tempo
della gara. I mille tifosi
rosanero, protetti da un fitto
cordone di polizia, sono entrati
solo all’ottavo minuto della
ripresa, al termine di un
percorso di avvicinamento al
"Massimino" segnato da una fitta
sassaiola. All’ingresso sugli
spalti dei supporters del
Palermo è iniziato un lancio di
oggetti e fumogeni tra le due
tifoserie. Per sedare gli
scontri le forze dell’ordine
sono state costrette a ricorrere
ai lacrimogeni. A questo punto
l’arbitro Farina ha deciso di
sospendere la partita, con il
Palermo in vantaggio per 1-0. I
giocatori sono rimasti negli
spogliatoi per 25 minuti. Hanno
provato a rientrare in campo una
prima volta, ma alla fine sono
stati costretti a riparare
ancora nel sottopassaggio. Solo
dopo altri 15 minuti di pausa,
quaranta in totale, la partita è
ripresa, si è conclusa con una
vittoria del Palermo per 2-1
passata immediatamente in
secondo piano, dietro le scene
di battaglia continuate al
termine della gara. Il senso
della tragedia che si stava
compiendo l’ha data Pietro Lo
Monaco, amministratore delegato
del Catania, che ai microfoni di
Sky ha annunciato la notizia
sconvolgente della morte di un
agente, mentre i dirigenti delle
società litigavano sulle
responsabilità dei disordini.
Subito smentita, poco dopo, la
notizia di un altro agente in
fin di vita. Il bilancio finale
resterà quello di un morto e una
sessantina di feriti, tra
esponenti delle forze
dell’ordine e tifosi, che si
sono fatti medicare negli
ospedali Garibaldi e Vittorio
Emanuele. La Procura della
Repubblica di Catania ha aperto
un’inchiesta. Nella notte
fermati venti tifosi catanesi.
Nove arrestati, cinque dei quali
minorenni. Attorno allo stadio,
nel quartiere di Cibali, un
tappeto di vetri rotti, resti di
cassonetti e auto bruciate. La
famiglia dell’agente ucciso
chiede che si annulli la festa
di Sant' Agata, in programma
domani. La città attendeva i
botti delle celebrazioni per la
patrona, ha scoperto i fuochi e
il lutto di un derby di follia.
3 febbraio 2007
Fonte: La Repubblica
Allo stadio come in
guerra
di Valerio Tripi
CATANIA - Petardi come
missili accendono il cielo
intorno al "Massimino" ed è un
poliziotto centrato al volto da
una bomba carta a rimetterci la
pelle, in una serata andata
oltre l’immaginabile con alcune
decine di feriti e venti fermati
portati in Questura. Una follia
collettiva ha scatenato il
finimondo trasformando in guerra
un evento che nulla ha di
sportivo. La morte cala sul
derby dell’infamia finito sul 2
a 1 per i rosa quando i tifosi
palermitani sono appena arrivati
allo stadio. La partita è
iniziata. A frapporsi agli ultrà
del Catania che attendono fuori,
pronti all’imboscata ci sono gli
uomini del reparto Mobile. Tra
loro c’è l’ispettore Filippo
Raciti, 38 anni, è un attimo. La
bomba investe l’abitacolo della
sua auto, mentre insieme con i
colleghi prova a fare da scudo
ai rosanero che sciamano verso
l’ingresso. È un attacco
concentrico. I poliziotti lì a
parare i colpi che arrivano
tutto intorno. È un gruppo
nutrito quanto rabbioso che
lancia di tutto. È armato. Di
petardi e ordigni ben più
consistenti. Le prime bordate si
infrangono sul pullman dei rosa.
Quando iniziano le operazioni
per l’accesso è l’inferno.
Partono le bombe. L’auto
dell’ispettore è investita in
pieno. Raciti si accascia
tenendosi il volto. Diranno i
medici che a ucciderlo siano
state le esalazioni dello
scoppio che in un istante hanno
saturato l’abitacolo. Lo
soccorrono i colleghi. Lo
caricano su un’ambulanza che
parte per il Garibaldi. Raciti
muore un’ora dopo il ricovero in
Rianimazione, in un rincorrersi
di voci che nessuno aveva voglia
di confermare. È andato in
arresto cardiaco, poi si è
ripreso, quindi la sua fibra ha
ceduto. Dentro lo stadio si
giocava la partita. Altri
scontri, altre fiammate, la
sospensione. La decisione di
tornare in campo. Il risultato
scatena la guerra quando ancora
la notizia della morte di Raciti
è appesa all’altalena di voci e
di fiduciose smentite. Non
ascolta chi imbraccia tutto
quello che capita a tiro. Con i
blindati costretti a una gimkana
forsennata per arginare la folla
scatenata. È Beirut, è il G8 di
Genova. È un lancio continuo. Di
tutto. Giovani e meno giovani
agguantano bastoni, si
impadroniscono di bidoni,
rovesciano di tutto e lanciano
sassi verso la polizia. Un
gruppo di agenti presidia un
crocevia. Si chiude dietro gli
scudi. Tiene a bada la folla che
avanza e indietreggia, si arma e
tenta l’affondo. I poliziotti
sanno a malapena del loro
collega morto, sanno qualcosa
dei feriti che intanto a
grappoli finiscono al Garibaldi.
A fine serata ne contano almeno
cinquanta, non gravi, tra loro
parecchi agenti. In strada la
sassaiola si alterna alle
scariche dei petardi. Intorno
allo stadio tutto si accende di
rosso. Al fronte dei poliziotti
si contrappongono ondate che si
gonfiano di follia. In cielo
volteggiano gli elicotteri.
Serve capire dall’alto come la
rabbia abbia trovato
un’organizzazione, un metodo.
Perché questo è quel che sembra
vedendo da lontano quello
sciamare di cappucci e
cappellini, quell’agitarsi di
braccia che si armano di tutto
quello che capita a tiro.
Difficile dire se girino anche
pistole e coltelli. Difficile ma
non impossibile, stando ai
racconti dei tifosi rosanero che
narrano di minacce ai caselli
con armi spianate durante il
tragitto autostradale in
direzione Catania dei
sostenitori arrivati alla
spicciolata. Mentre fuori è la
guerra, a partita finita, i
rosanero rimangono confinati
nello stadio nel quale erano
entrati a secondo tempo già
iniziato. Con loro i poliziotti
che hanno scortato i gruppi
organizzati fin dalla partenza
dal capoluogo. Usciranno a notte
fonda. Quando Catania fa i conti
della distruzione e della morte
e il mondo, quello del calcio
per primo, si interroga sul da
farsi. Su come fronteggiare ciò
che era nelle previsioni e che
si sperava di riuscire a
evitare. Si immaginava
bastassero i mille e più
poliziotti schierati. Gli inviti
alla ragionevolezza e le tante
precauzioni. Che sarebbe stato
difficile lo si è capito quando
gli ultrà del Palermo sono stati
bloccati alle 17 all’altezza
della zona industriale alle
porte di Catania e lì sono
rimasti per oltre un’ora. C’era
già la sommossa a Catania. E
c’erano le perquisizioni da
fare. I ritardi hanno innescato
una protesta della tifoseria che
scesa dai pullman ha occupato la
tangenziale. Ristabilita la
calma è iniziato il viaggio
verso il Massimino. Viaggio
difficile. Nel tentativo di
dribblare le imboscate, la
carovana si è persa per strada
finendo nell’imbuto di altre
sassaiole. Poi l’arrivo che
doveva essere la fine di un
incubo. E invece ha spalancato
le porte dell’inferno.
3 febbraio 2007
Fonte: La Repubblica
IL RACCONTO. Le ultime
parole dell'agente colpito a
morte raccolte da un suo amico.
"È diventato tutto nero ed è
svenuto".
Al collega prima di
morire: "Forza, portami in
ospedale"
di Massimo Norrito
Quando i tifosi del
Palermo sono arrivati allo
stadio (solo nel secondo tempo)
è scoppiato il finimondo.
CATANIA - "Non
preoccuparti, non è grave. Però
portami in ospedale che non mi
sento tanto bene". Sono state
queste le ultime parole di
Filippo Raciti, poliziotto
siciliano, morto a 38 anni per
una partita di pallone. A
raccoglierle, inginocchiato su
di lui ai piedi degli spalti,
fuori dallo stadio, un suo
collega di reparto. Ha visto
tutto. E lo racconta così:
"Filippo era in auto, sotto la
curva Nord, quella dei tifosi
del Catania. Ha fatto per
scendere e, proprio in quel
momento, dall’alto, è stata
lanciata una bomba carta. L’ha
colpito in pieno. E poi gli è
esplosa. Un botto tremendo. Io
mi sono precipitato per
soccorrerlo e lui mi ha detto di
non preoccuparmi. Poi è
ammutolito. È diventato tutto
nero ed è svenuto". E pensare
che, Catania-Palermo, il derby
di Sicilia era stato anticipato
a ieri sera proprio per paura di
problemi di ordine pubblico in
concomitanza con i
festeggiamenti di Sant' Agata,
la patrona di Catania. Ma non è
servito a nulla, la demenza era
innescata. Ne è venuta fuori una
serata da incubo, con una
partita di calcio surreale,
iniziata con un minuto di
raccoglimento in ricordo di
Ermanno Licursi il dirigente
ammazzato qualche giorno fa e
poi sospesa due volte per via
del fumo dei lacrimogeni, mentre
sugli spalti e fuori dallo
stadio si combatteva la solita
guerra senza senso. Il solito
violento e stupido tutti contro
tutti alla fine del quale il
bollettino racconta di cento
feriti - alcuni dei quali anche
in maniera seria - tra tifosi e
agenti. La partita era
cominciata da quasi un’ora
quando Filippo Raciti, trentotto
anni, originario di
Misterbianco, sposato con una
volontaria della Croce rossa e
padre di due figli, è stato
raccolto dall’ambulanza chiamata
dal collega. Era in piena crisi
cardiocircolatoria. Il resto lo
racconta il rianimatore, Sergio
Pintaudi: "Raciti è arrivato qui
in condizioni disperate - dice
il primario del reparto di
rianimazione dell’ospedale
Garibaldi di Catania - era in
arresto cardiaco. Praticamente
morto. Abbiamo cominciato le
pratiche di rianimazione e di
massaggio cardiaco e l’attività
cardiaca è ripartita, il
paziente ha avuto diversi
tentativi di ripresa e il suo
cuore ha battuto per cinquanta
minuti poi si è fermato e non
c’è più stato niente da fare".
Proprio mentre Raciti lottava
contro la morte, a pochi
chilometri di distanza, i fumi
di lacrimogeni, come per
annunciare la tragedia,
entravano in campo costringendo
l’arbitro a fermare, per la
prima volta la partita. I
giocatori rientravano negli
spogliatoi. Ma la tregua non è
stata rispettata sugli spalti.
Anzi. I tifosi hanno continuato
a tirare da una parte all’altra
dello stadio tutto quello che
riuscivano a divellere: sedie,
rubinetti, anche un paio di
water, oltre, ovviamente, alle
solite bombe carta e ai
fumogeni. Negli altri settori
dello stadio era tutto un
fuggire, un ripararsi: la rabbia
dei tifosi si era impossessata
dell’intero impianto. Hanno
seguito, trentaquattro minuti di
guerriglia. In tutta la zona
della città, non solo tra la
curva Nord e la curva ospiti.
Dopo i quali, l’arbitro Farina
aveva cercato di fare riprendere
una prima volta il gioco, ma era
stato costretto a rinunciare per
l’arrivo in campo di altri
lacrimogeni. Alla fine, in
qualche modo, Farina è riuscito
a farla finire, la partita, che
però era ormai già diventata un
dettaglio. Perché ovunque, c’era
l’inferno. Un inferno che si è
riuscito a fermare solamente a
tarda notte, quando già tutta
l’Italia aveva assistito allo
scempio in diretta tv. Che non
sarebbe stata una gara come
un’altra, lo si era capito già
dal primo pomeriggio, quando gli
agenti della polizia stradale
avevano intercettato ai caselli
autostradali un’automobile
proveniente da Palermo che
trasportava oltre alle solite
bombe carta anche una pistola.
Un paio d’ore prima del match, i
pullman che trasportavano a
Catania i tifosi del Palermo
erano stati scortati all’interno
di un’area di sosta nella zona
industriale alle porte della
città etnea. I tifosi del
Palermo erano stati controllati
uno per uno. Operazioni che
erano andate per le lunghe
mentre la partita iniziava e
aumentava il nervosismo tra i
sostenitori rosanero. Anche
perché nel frattempo i tifosi
del Catania avevano sfondato le
barriere che separavano le due
tifoserie e avevano cominciato
ad aggredire quei pochi
palermitani che avevano
raggiunto lo stadio con mezzi
propri.
3 febbraio 2007
Fonte: Repubblica.it
"Vi prego fatemi vedere
mio figlio"
di Michela Giuffrida
"Fatemelo vedere, voglio
vedere mio figlio". La mamma di
Filippo Raciti, il poliziotto
morto ieri durante gli scontri
tra tifosi del Catania e del
Palermo, entra all’ospedale
Garibaldi disperata. Raciti, 38
anni, ispettore capo del reparto
mobile della polizia catanese
lascia una moglie e due figli.
Ieri sera per lui non c’è stato
nulla da fare. È stato
ricoverato dopo aver ricevuto
una bomba carta in faccia negli
scontri fuori dallo stadio prima
dell’inizio della partita. Alle
19 è arrivato al pronto soccorso
dell’ospedale Garibaldi con il
cuore che aveva smesso di
battere. Poi per un attimo i
medici della rianimazione erano
riusciti nel miracolo, facendo
riprendere il battito cardiaco.
La speranza è durata cinquanta
minuti. Fuori dall’ospedale
erano già arrivati decine di
famigliari e una ventina di
poliziotti suoi colleghi. Alle
22 Sergio Pintaudi, primario del
reparto di rianimazione dà
l’annuncio: "è morto". Il medico
è sconvolto: "Quando è arrivato
sono partiti subito i tentativi
di ripresa del cuore - ha
aggiunto Pintaudi - e per circa
tre quarti d’ora ha continuato a
battere dopo una prima ripresa.
Alla fine le pupille però si
sono dilatate e non c’è stato
più nulla da fare". Piero
Gambuzza, comandante del reparto
della mobile di Catania è
sconvolto: "Era un ragazzo
splendido, originario di
Misterbianco che lavorava con
noi, abbiamo noi stessi
avvertito la moglie". Poi
Gambuzza si interrompe, non
riesce a parlare: "Lasciatemi
stare, sono distrutto". Subito
scatta la rabbia dei colleghi:
"Non possiamo fare questa vita -
dicono - Non è possibile morire
per una partita, conoscevamo
bene Raciti, era un ragazzo
eccezionale, è morto facendo il
proprio dovere per una partita
di calcio, siamo pieni di
rabbia, non riusciamo a
spiegarci perché è morto un
nostro collega per una partita
di pallone". La sorella di
Raciti arriva di corsa al pronto
soccorso, chiede di Filippo, è
distrutta: "Ditemi che non è
vero, non è possibile che questo
sia successo a mio fratello, lui
non ha mai fatto del male a
nessuno". La moglie Marisa, che
fa la casalinga, arriva
all’ospedale tenendo per mano la
figlia Fabiana di 15 anni,
piange non riesce a dire nulla,
grida per il dolore, la
soccorrono alcuni colleghi del
marito. L’altro figlio di sei
anni, Alessio, è rimasto a casa,
ancora non sa nulla. Intanto gli
altri medici dell’ospedale
cercano di soccorrere gli altri
feriti: "In questo ospedale ci
sono una ventina tra poliziotti
e carabinieri ricoverati in
chirurgia di urgenza, chirurgia
vascolare e medicina, ma nessuno
di loro è grave - dice Giuseppe
Navarria, manager del Garibaldi
- Tutti sono in cura per
fratture e ferite dovute al
lancio di pietre, sono feriti da
guerriglia urbana".
3 febbraio 2007
Fonte: La Repubblica
Anche una poesia per
l'ispettore capo Raciti: "Vi
regalo un fiore"
Il lutto della polizia:
"Era solo una partita..."
Sul sito il ricordo
dell'agente ucciso durante la
guerriglia a Catania: "Il calcio
si ferma, noi no. Lasciateci
salutare Filippo".
Una bandiera tricolore a
mezz'asta in homepage. E una
scritta che dice tutto: "Un
giorno triste". Il lutto dei
colleghi per la perdita di
Filippo Raciti viene raccontato
sul sito della polizia di Stato.
"Uno di noi non ce l'ha fatta -
è scritto - a tornare a casa dal
servizio. Morire è sempre
ingiusto ma in quel modo è anche
assurdo. È vero, noi abbiamo
l'obbligo giuridico di esporci
al pericolo. Però era solo una
partita. Ora il calcio si ferma
ma la Polizia no. Lasciateci
però salutare Filippo e poi
torneremo come sempre su
strada". Tra i tanti messaggi di
solidarietà ricevuti dopo la
morte dell'agente nei tafferugli
di Catania viene pubblicata una
poesia che un cittadino ha
lasciato sotto la porta
d'ingresso del commissariato
Politeama di Palermo.
S'intitola: "Vi regalo un fiore,
perché dai fiori nasce l'amor".
3 febbraio 2007
Fonte:
Corrieredellasera.it
"Un’imboscata, ci
tiravano addosso di tutto"
di Sebastiano Vernazza
Dal nostro inviato.
CATANIA - È sistemato in un
angolo del reparto Emergenza
dell’ospedale Garibaldi, aspetta
di essere visitato. Colorito
bianco, occhi impauriti, braccia
nerastre. Salvatore Renda, detto
Salvo, 24 anni, agente scelto
del Reparto Mobile della polizia
di Catania, stava a pochi passi
da Filippo Raciti, quando una
bomba carta (e forse
qualcos'altro) ha ucciso
l’ispettore originario di
Misterbianco. La voce di Renda è
fioca: "È successo l’inferno, ci
tiravano addosso di tutto.
Stavamo scortando un gruppo di
tifosi del Palermo, quando siamo
stati accerchiati dagli ultrà
del Catania. Un’imboscata,
un’aggressione premeditata. Ho
sentito i botti, il fumo mi ha
preso alla gola e sono svenuto.
I catanesi ce l’avevano con le
forze dell’ordine, dei
palermitani non gli importava
niente". Dov'era l’ispettore
Raciti ? "Era rimasto un po'
indietro, in piazza Spedini, noi
avevamo già imboccato viale
Rapisardi. L’ho saputo in
ospedale che era morto. Un
dolore immenso. Un
professionista stimato da tutti.
Che tragedia, non si può andare
all’altro mondo per una partita
di pallone". Perché si diventa
poliziotti ? Non certo per lo
stipendio. "No, per i soldi no
(sorride, ndr). Sono entrato in
polizia per scelta e lo rifarei.
Il mestiere mi piace, lo sento.
Ho lavorato a Roma, da quattro
anni sono tornato nella mia
città". Le piace il calcio ? No,
io vado a cavallo, seguo
l’equitazione". Valeria, la
fidanzata, è sconvolta: "Il
calcio non vale una vita. I
poliziotti sono esseri umani,
non robot, al servizio di non si
sa che cosa. Salvo crede in
quello che fa, io non so più
cosa pensare". LESIONI INTERNE
All’ospedale Garibaldi sono
stati ricoverati circa 60
feriti. Contusioni, fratture,
ustioni. Oggi l’autopsia
dell’ispettore caduto in
servizio. Il professor Sergio
Pintaudi, capo del dipartimento
Emergenza, ipotizza: "Credo che
Raciti sia morto per gravi
lesioni interne causate dal
forte spostamento d’aria che si
è avuto per effetto della bomba.
"Baro-trauma", si chiama in
linguaggio medico. Raciti ha
respirato gas e fumi terribili,
è arrivato cianotico, in arresto
cardiaco. Non presentava nessun
danno esterno". L’ispettore ha
lottato, è stato defibrillato,
il suo cuore è ripartito. "Lo
abbiamo "ripreso" - racconta un
soccorritore - sembrava che ce
la facesse, poi ci ha lasciato
definitivamente". Pintaudi è
amareggiato: "Venerdì notte il
Garibaldi pareva un ospedale di
guerra. Avevamo il piazzale
pieno di feriti, tanti li
abbiamo medicati senza
registrarli perché non c’era il
tempo. Al pronto soccorso sono
stati effettuati più di cento
interventi volanti". Un’altra
cinquantina di feriti è stata
curata negli altri due nosocomi
cittadini, il Vittorio Emanuele
e il Cannizzaro. Impossibile
essere precisi nelle stime,
parecchi ultrà si sono affidati
a medici privati per evitare di
essere interrogati. Un
poliziotto è stato travolto da
una moto, le sue condizioni
sembravano gravi, ma per fortuna
la situazione è migliorata.
Salvatore Renda è rimasto
ferito: "Il fumo mi ha fatto
svenire". Il medico: "L’agente è
morto per le lesioni interne
provocate dallo spostamento
d’aria".
4 febbraio 2007
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Quelli gliel'avevano
giurata e si erano beffati di
lui
di Michela Giuffrida
CATANIA - "Nelle
settimane scorse Filippo aveva
deposto ad un processo a carico
di un ultrà del Catania,
accusato di aver preso parte, a
Palermo, ad altri atti di
aggressione, di guerriglia. Era
stato lui ad inchiodarlo, aveva
ricostruito le scene di un’altra
partita da incubo in quell’aula
di tribunale". Alterna rabbia a
commozione Claudio Anzalone,
responsabile catanese del
sindacato di polizia Uilps e
amico dell’ispettore Filippo
Raciti. "Era stato proprio
Filippo - ricorda il poliziotto
- a raccontarmi com’ era finita.
Quel ragazzo, che ha patteggiato
la pena, è uscito dell’aula
facendosi beffe di lui. Ora
anche quest' episodio - conclude
- può avere un significato,
anche se nessuno ha mai prestato
attenzione alle nostre denunce".
"Era un uomo, un collega
splendido - ricorda Giovanni
Nicotra, portavoce dei
sindacalisti di polizia che ieri
mattina attendevano l’arrivo di
Gianni De Gennaro davanti alla
questura di Catania - uno che
amava stare in prima linea, sul
campo. Non lo spaventava niente,
aveva chiesto lui di tornare al
reparto mobile, anziché stare in
ufficio". Donava il sangue -
ricorda un altro - assieme alla
moglie, volontaria della Croce
Rossa, aveva fatto tanto bene. E
lo faceva in silenzio, senza mai
dire di sé. Sapeva che c’è gente
allo stadio che considera il
poliziotto "il nemico" ma questo
non lo spaventava". Nella casa
di via Donizetti, ad Acireale,
ad una ventina di chilometri da
Catania, dove Filippo, 38 anni,
viveva con la moglie Marisa
Grasso, porte e finestre sono
sprangate. Qui tutti conoscono
la famiglia Grasso, che gestisce
un commercio di importazione
ortofrutticola, ma nessuno ha
voglia di parlare. "Dall’alto
qui non si fa vedere nessuno -
dice un vicino - ho grande pena
per Marisa, per Fabiana ed
Alessio, i due figli, di 15 e 9
anni, di Filippo Raciti. Perdere
il marito e il padre - dice
ancora l’uomo - per una partita
di calcio è davvero una cosa
pazzesca". Marisa, capelli scuri
come le lenti che nascondono le
lacrime, è rimasta per tutto il
giorno accanto alla lastra di
marmo su cui hanno composto il
corpo del marito, all’obitorio
dell’ospedale Garibaldi. Gli
accarezza le mani, avvicina la
sua guancia a quella di lui,
continua a singhiozzare in
silenzio. Accanto a lei c’è
Fabiana, che assomiglia in
maniera impressionante al padre.
"Voglio restare qui - dice la
ragazza a chi la esorta a
riposarsi un po' - qui, con
lui". Nel primo pomeriggio
Marisa chiede di essere
accompagnata allo stadio.
"Voglio vedere dove lo hanno
ucciso - dice - portatemi lì".
Un mazzo di fiori in mano,
Marisa si ferma sotto la Curva
Nord, dove suo marito era di
servizio quando al Massimino si
è scatenato l’inferno. Sulle
inferriate di uno dei muretti
c’è un lenzuolo bianco con su
scritto "Catania svegliati,
Catania sdegnati". Marisa lo
fissa, abbassa lo sguardo. Poi
si ferma davanti ad uno dei
cancelli d' accesso
all’impianto, dove spiccano i
sigilli di polizia giudiziaria.
Lì, la donna si piega sulle
ginocchia e sosta per qualche
attimo, dopo aver appoggiato al
muro i fiori che ha portato con
sé. Assieme al mazzo c’è un
biglietto, l’ultimo che Marisa
dedica a suo marito. "Filippo,
ti amiamo - c’è scritto -
resterai sempre nei nostri
cuori".
4 febbraio 2007
Fonte: La Repubblica
Lettera del premier alla
famiglia di Raciti:
"Il governo non
dimenticherà questa tragedia"
Prodi alla vedova:
"Italia commossa. Non
accetteremo altra violenza".
Marisa Grasso ringrazia per "le
belle parole".
CATANIA - "Il sacrificio
di suo marito e di vostro padre,
l'ispettore capo Filippo Raciti,
ha colpito e commosso l'Italia".
Queste le parole del presidente
del Consiglio Romano Prodi in
una lettera alla vedova Marisa
Grasso e ai figli Fabiana e
Alessio. E la signora Raciti ha
ringraziato il premier "per le
belle parole che ha rivolto a
mio marito e alla nostra
famiglia". "Vogliamo che conosca
il nostro apprezzamento", ha
aggiunto annunciando che presto
risponderà "personalmente al
presidente del Consiglio con una
lettera della famiglia". Nella
missiva, il cui contenuto è
stato reso noto dagli stessi
familiari di Raciti, Prodi
sottolinea che "è inaccettabile
che una persona impegnata a fare
il proprio dovere debba pagare
questo con la vita". "Anche per
questo - continua -
l'indignazione che ha avvolto il
Paese non è meno forte
dell'abbraccio col quale io e
tutto il governo ci stringiamo a
voi, a tutti i familiari e gli
amici che hanno avuto il
privilegio di voler bene al suo
Filippo". Il testo completo
della lettera di Prodi.
"Carissima signora
Marisa, cari Fabiana e Alessio,
è difficile per non dire
impossibile trovare parole che
possano in qualche modo lenire
un dolore così grande. Ma non
posso farvi mancare il mio
personale abbraccio e quello
dell'intero governo in questo
momento di profonda tristezza.
Il sacrificio di suo marito e di
vostro padre, l'ispettore capo
Filippo Raciti ha colpito e
commosso l'Italia. Morire in un
giorno di festa, durante una
manifestazione di sport che
decine di criminali hanno
trasformato in guerriglia, è, se
possibile, ancora più assurdo. È
inaccettabile che una persona
impegnata a fare il proprio
dovere debba pagare questo con
la vita. Anche per questo
l'indignazione che ha avvolto il
Paese non è meno forte
dell'abbraccio con il quale io e
tutto il governo ci stringiamo a
voi, a tutti i familiari e gli
amici che hanno avuto il
privilegio di volere bene al
'suo' Filippo. Domani un impegno
ufficiale all'estero mi impedirà
di essere fisicamente a Catania,
e me ne scuso, per rendere
omaggio a un servitore dello
Stato davanti al quale lo Stato
stesso deve inchinarsi nel
rispetto e nella promessa che ci
saranno giustizia, fermezza e
provvedimenti che saranno di
esempio sia a chi ama lo sport
sia a chi cerca di distruggerlo.
Vi scrivo questo con un profondo
dolore e un grande sdegno nei
confronti di quanti feriscono il
paese e tutti noi trasformando
in odio anche i momenti di
serenità, come il calcio e lo
sport. Il governo non accetterà
altri fatti di violenza e di
follia e non dimenticherà la
tragedia che ha distrutto la
vita della vostra famiglia. Non
perderà un minuto per restituire
al calcio e allo sport i suoi
valori. È un impegno che assumo
con voi. È un impegno che assumo
con quel Paese che Filippo ha
servito fino al sacrificio della
vita".
5 febbraio 2007
Fonte: Repubblica.it
"Noi con lui al G8"
Gli amici piangono
attorno a Raciti
di Alessio D’Urso
Dalla sua Acireale a
Catania: il dolore della moglie,
dei figli e dell’intera città.
Dal nostro inviato.
ACIREALE (Catania) - Difficile
raggiungerla, è una stradina
stretta, senza sbocco: poi
all’improvviso si allarga. Via
Donizetti, quartiere San
Martino, Acireale: lì, al terzo
piano di una palazzina bianca,
viveva Filippo Raciti. E qui
comincia il viaggio della
memoria, attraverso le strade
dove l’ispettore passava tutti i
giorni tra la gente in divisa e
offriva il suo viso
rassicurante. È una corale
raccolta di ricordi, una triste
"Spoon River", che non sta
riunita in un piccolo cimitero
sulla collina, come nella
splendida antologia di Edgar Lee
Masters, ma è sparsa negli
angoli più lontani di Acireale
come di Catania, dove Filippo ha
vissuto nel quartiere San
Cristoforo, ad un tiro di
schioppo dal mare, perché il
padre Nazareno lavorava in una
fabbrica alle spalle del faro.
Un itinerario di dediche,
amnesie, vaghe indicazioni e
bellissime poesie. IN PIAZZA
Tutti sono dispiaciuti e
mostrano il loro sdegno. E così
che Filippo Raciti, in fondo,
continua a parlare senza che il
tempo possa in qualche modo
mitigare lo stridore assordante
di quella domanda irrisolta che
tutti si fanno: perché ? "Era un
uomo buono, una persona perbene.
Non lo vedevi in giro spesso, in
comitiva. Usciva con la moglie
Marisa, era più facile
incontrarlo a Catania dove
lavorava", dice Mimmo Lo
Giudice, ispettore di Polizia
Municipale, in piazza Indirizzo,
di fronte ai Giardini Pubblici,
al seguito di uno dei tanti
carri allegorici che animano il
Carnevale di Acireale,
inaugurato ieri con un giorno di
ritardo per onorare la memoria
di Filippo. L’AMICO Una lettera
così, alla disperata (la
riportiamo a parte): l’ha
scritta l’amico del cuore, con
rabbia e orgoglio, il compagno
di mille missioni sul selciato
delle guerre metropolitane. Lui
è Gioacchino Lunetto, vive ad
Aci Sant'Antonio ed è sostituto
commissario, collega di Filippo
Raciti, spalla a spalla al G8 di
Genova e ai G7 di Napoli e
Trieste. La sua testimonianza,
raccontata con gli occhi umidi
di chi ha perso una persona
cara, è intrisa di sentimento:
"Eri un generoso, amavi la
giustizia...". E continua:
"Partivamo insieme in trasferta,
perché eravamo quelli con più
esperienza. Facemmo servizio
d’ordine anche ad Acireale,
insegnava alle nuove leve
tecniche d’ordine pubblico.
Ricordo che al G8 condividemmo
il soggiorno su una delle navi
greche ancorate nel porto di
Genova, dove dormivamo. Gli
hanno teso un’imboscata. Un
fratello...". Sopravvissuto al
G8, morto al Cibali. CROCE ROSSA
In via Etnea, a Catania, la
moglie Marisa Grasso,
frequentava il corso di
infermiera volontaria presso la
Croce Rossa e il marito,
Filippo, donava periodicamente
sangue. Proprio due settimane
fa, in piazza Duomo, dove a
mezzogiorno verrà celebrato il
suo funerale, Raciti presenziò
ad una raccolta con altri
volontari a bordo
dell’autoemoteca. CAMERA ARDENTE
Il giorno della memoria ha avuto
il suo epicentro in corso Italia
dove, al X reparto Mobile, è
stata aperta la camera ardente.
La moglie Marisa, vestita di
nero, ha vegliato la bara con
grande compostezza insieme ai
figli. Un silenzioso popolo di
catanesi ha deposto mazzi di
fiori accanto alla bara e
lasciato bigliettini con un
saluto al concittadino di cui
vanno orgogliosi: "Mi vergogno",
"Morte assurda", "Questa sciarpa
è un pezzo del mio cuore, adesso
è solo per te". Hanno reso
omaggio alla salma l’a.d. del
Catania Pietro Lo Monaco e tante
personalità cittadine. In visita
anche Emanuele Filiberto.
Affisso alla porticina
d’ingresso del reparto mobile un
foglio emblematico con su
scritto: "Catania si scusa col
mondo intero per via di quella
schifosa minoranza che non la
rappresenta. Firmato un catanese
onesto". ZAMPARINI Un altro
grande gesto di solidarietà
arriva dal presidente del
Palermo Maurizio Zamparini che
ha aderito alla sottoscrizione
di un quotidiano locale a favore
della famiglia Raciti con una
donazione di 100.000 euro.
5 febbraio 2007
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
"Si perdonano gli
uomini, non le bestie..."
di Alessio D’Urso
Il terribile racconto
della moglie.
Dal nostro inviato.
ACIREALE (Catania) - "Onore,
dignità, lealtà, sincerità,
altruismo, rispetto, generosità,
disponibilità, fedeltà, alto
senso del dovere, dolce marito e
padre affettuoso: questo era
l’Ispettore capo Filippo Raciti.
La moglie". L’epitaffio di un
eroe moderno nelle parole
scavate nella roccia da una
vedova che non ha più lacrime,
ma che dentro ha una grande
forza spirituale. È la forza di
Marisa Grasso, icona senza
volerlo di una catanesità da
ritrovare. E da rilanciare
all’occhio dell’opinione
pubblica. È la forza di una
giovane madre 34enne che,
all’improvviso, deve sdoppiarsi
per non far mancar nulla ai beni
più preziosi che Filippo le ha
lasciato: Fabiana, 15 anni, e
Alessio, 9. All’alba del primo
sole senza la sua luce
quotidiana, provata nel fisico e
nell’animo, costretta a
raccogliere al X Reparto Mobile
di Catania gli effetti personali
del marito, la vedova Raciti
lascia scorrere brevi ma intense
frasi in un giorno che non potrà
mai dimenticare.
Signora, che ricordo ha
del tragico venerdì della
settimana scorsa ? "Era un
giorno come tutti gli altri, ad
Acireale. Avendo una sola
macchina, per non restare senza,
avevo accompagnato Filippo alla
fermata dell’autobus che
l’avrebbe condotto in ufficio.
Lì ci siamo dati l’ultimo
bacio".
Poi che cosa è successo
? "Ero davanti alla tv. E la
cosa che mi ha amareggiato di
più è l’aver appreso la notizia
dai giornalisti. Non stavo
seguendo i programmi sportivi.
Poi, girando canale, ho visto
quella scritta in
sovrimpressione... Il mio
Filippo morto quando in realtà
non era ancora deceduto. Ho
atteso qualche minuto, ma non ho
potuto evitare che i miei figli
rimanessero davanti al fatto
compiuto. Cioè davanti alla tv".
I colleghi di Filippo
l’hanno chiamata subito dalla
centrale ? "Mi hanno detto,
immediatamente dopo che avevo
visto quella scritta in
televisione, che mio marito era
in gravi condizioni e che di lì
a poco sarebbero venuti a
prendermi. Ma sono salita in
macchina e con i miei figli ho
raggiunto l’ospedale Garibaldi.
Poi...".
Ci racconta qualcosa
della sua famiglia, signora ?
"Semplice. Un solo stipendio,
quello di Filippo. Una famiglia
normale. Fino a venerdì io non
lavoravo, mi sono sempre
dedicata all’educazione dei miei
due figli unitamente a mio
marito. Facevamo volontariato
alla Croce Rossa. I miei
genitori abitano di fronte alla
nostra casa: volevamo comprarne
un’altra per Fabiana".
Quando ha conosciuto
Filippo ? "Eh... L’ho conosciuto
che ero molto giovane e, poco
più che maggiorenne, è arrivata
la nostra primogenita".
Signora, rispettiamo il
suo intimo dolore, ma vorremmo
sapere che cosa pensa dei
criminali che hanno strappato
suo marito all’affetto della
famiglia. "Io non odio nessuno,
il perdono spetta a chi sta
sopra di me. Si possono
perdonare gli uomini, ma chi si
macchia di questi reati può
essere considerato solo una
bestia".
Lei, in Cattedrale, ha
detto che suo marito deve
diventare un educatore anche da
morto. "Viviamo un’epoca in cui
la violenza e la sopraffazione
la fanno da padroni: Filippo con
il suo comportamento ha sempre
cercato di trasmettere messaggi
positivi alla realtà che lo ha
circondato. Su questo episodio
deve scattare dentro l’animo
delle persone oneste, la molla
per arrivare sempre più in alto,
per dare di più. Il mondo cambia
se noi lo vogliamo".
Catania, descritta come
una Beirut dei primi anni
Ottanta, ha partecipato commossa
al saluto a suo marito.
"Ringrazio sentitamente quanti
realmente si sono uniti al
nostro dolore".
L’immagine del suo
bellissimo figlio Alessio,
vestito da poliziotto quasi a
voler proteggere lei e Fabiana,
ha fatto il giro del mondo.
"Spero che Alessio cresca
seguendo l’esempio di un padre
dolce, meraviglioso, pieno di
affetto nei confronti del
prossimo e della sua famiglia.
Questo era Filippo. Questo era
mio marito. Grazie".
7 febbraio 2007
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Parla Marisa Grasso: "Ho
saputo della morte dalla
televisione".
"Mio marito è dentro di
me. Mi darà la forza di crescere
i ragazzi"
Vedova Raciti: "Pena per
quei ragazzi ma non posso dire
che perdono".
CATANIA - "Per questi
ragazzi provo solo pena,
nient'altro. La parola perdono è
grossa e come fa qualcuno potrei
anche pronunciarla con
superficialità senza che però
nasca dal profondo del mio
cuore. Quello di cui sono certa
è invece che non ho nessun
proposito di vendetta". A
parlare è Marisa Grasso, la
moglie di Filippo Raciti,
l'ispettore di polizia ucciso
venerdì sera durante i disordini
fuori dallo stadio Massimino. In
alcune interviste raccolte da
diversi quotidiani, la vedova
Raciti ricorda "l'onore, la
dignità, la lealtà, l'altruismo"
del marito. Rivive il momento in
cui ha saputo della morte di
Filippo, pensa al futuro dei
figli. "Mio marito è dentro di
me. Sento mio marito dentro di
me - racconta - Filippo mi dà
tanta forza da lassù e so che mi
aiuterà a crescere i nostri
figli. Bisogna avere una grande
fede per provare queste
sensazioni e io sono felice di
averla. La tv diceva che era
morto, ma non era vero ancora".
La signora Raciti racconta di
come ha saputo della notizia
della morte del marito. "L'ho
appreso dalla televisione e la
cosa più assurda è che il
magistrato, i colleghi di
Filippo che nel frattempo mi
avevano chiamato al telefono,
giuravano che era in vita. Ed
era vero. I telegiornali - dice
ancora - avevano dato una
notizia falsa: un vero
sciacallaggio. Mi sono così
messa subito in auto diretta
all'ospedale Garibaldi, ho fatto
la strada con la morte nel cuore
sperando che Filippo fosse solo
ferito. Torrone e bancarelle e a
fianco la guerriglia: assurdo,
la processione doveva finire.
Percorrevo le strade di Catania
e mi sembrava assurdo - aggiunge
la signora Grasso - una follia
che mentre la guerriglia si
scatenava ancora toccando
perfino il viale Mario Rapisardi
all'angolo con via Fava, i
catanesi gustassero torrone,
olivette e roba simile nelle
bancarelle parate a festa. Mi
sarebbe sembrato giusto che la
santa patrona di Catania
restasse in cattedrale e i
catanesi andassero solo in
chiesa per pregare davanti la
statua in un momento veramente
funesto per la città. Non solo
niente fuochi d'artificio,
bisognava smontare anche le
bancarelle, niente baldoria e
roba simile. Lo sa che mentre
tantissimi catanesi venivano a
rendere omaggio alla salma di
mio marito alle spalle della
caserma si festeggiava e la
processione andava avanti tra
schiamazzi e vendite di
palloncini ? Ha fatto bene Pippo
Baudo a chiedere la sospensione
della festa, l'ho apprezzato".
"Quei ragazzi riflettano: la
violenza fa male". Marisa Grasso
invita gli assassini "a
riflettere, a cambiare strada
perché la violenza fa male,
troppo male". "Adesso i ministri
passino ai fatti". La vedova di
Filippo Raciti si augura che il
sacrificio del marito "serva a
cambiare questo mondo violento".
"Da anni mio marito e gli altri
agenti - ricorda - tornavano a
casa dopo il servizio di ordine
pubblico con le divise sporche
di sputi, pomodori e roba simile
lanciata dalle tribune.
Rientravano dal servizio feriti
e contusi, ma pronti a servire
lo Stato già il giorno dopo.
Ecco, vorrei che i ministri
adesso passassero ai fatti,
altrimenti la prossima volta che
ci sarà una tragedia sarebbe
meglio che non andassero da
nessuna parte". "Ora voglio
silenzio". "Adesso credo di
avere diritto a un momento di
silenzio. Perché ora che Filippo
non c'è più il dolore
lancinante, incalcolabile sarà
solo mio, di Fabiana e Alessio.
Spero che Alessio cresca
seguendo l'esempio di un padre
dolce, meraviglioso, pieno
d'affetto nei confronti del
prossimo e della sua famiglia.
Questo era Filippo. Questo era
mio marito".
7 febbraio 2007
Fonte: Repubblica.it
"Penso a quei ragazzi"
CATANIA - "In queste ore
penso alle famiglie dei giovani
che sono stati arrestati: è
importante l’educazione che
viene dalla famiglia, dalla
scuola, dalla società. È anche
importante insegnare rispetto
per la divisa". Lo ha detto
Marisa Grasso, vedova
dell’ispettore capo Filippo
Raciti, in un messaggio letto
nella sede della Questura di
Catania. Dopo aver ringraziato
"tutte le persone, tantissime,
che in questi giorni ci sono
state vicino", Marisa Grasso ha
notato che "sono stati arrestati
ragazzi molto giovani che hanno
la stessa età di mia figlia. E
Filippo - ha ricordato commossa
- quando tornava a casa dal
lavoro mi diceva: "Lo sai Marisa
che hanno tutti l’età di Fabiana
?" Li guardava come padre. Gli
dispiaceva che a creare
disordini fossero dei
ragazzini".
8 febbraio 2007
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
"Sono vivo per miracolo
Mi hanno scagliato un motorino
addosso"
di Alessio D’Urso
Il racconto del
poliziotto salvato dai colleghi
durante l’assalto "Volevano
farci pagare le retate.
CATANIA - È il racconto
terribile, incalzante, di un
sopravvissuto: "un miracolato,
credetemi, scampato all’inferno
di Catania". Lui è Giuseppe
Cassisi, 49 anni, sostituto
commissario di Polizia alla
Questura di Catania, 31 anni di
servizio, 5 figli, e venerdì
scorso è stato salvato appena in
tempo dai colleghi nel corso di
uno dei più aspri combattimenti
lungo il selciato di via
Giuseppe Fava, uno dei teatri
dei gravi incidenti nella notte
del derby Catania-Palermo:
durante il convulso trasporto
all’ospedale il poliziotto,
colpito al capo da un motorino
(sì, un motorino) aveva perso i
sensi e le sue condizioni erano
considerate gravissime, al pari
di quelle del povero Filippo
Raciti. Poi il risveglio e la
lenta ripresa al nosocomio San
Luigi, dove è ricoverato e dove
la direttrice sanitaria Serafina
Motta conta di dimetterlo nei
prossimi giorni. Che cosa
ricorda di quei drammatici
momenti ? "All’arrivo dei tifosi
del Palermo mi trovavo in via
Cifali, in prossimità della
curva Nord, e fronteggiavo
l’emergenza con lo schieramento
di Polizia arrivato da Reggio
Calabria e guidato dal dottor
Paolo Leone. Dal secondo anello
della curva ci tiravano di
tutto: un lavandino in lamiera,
mattonelle, bombe carta,
fumogeni e pietre... Abbiamo
lanciato i lacrimogeni e la
partita è stata sospesa per la
prima volta. Poi sono stato
richiamato dai dirigenti dietro
la curva Sud per dar man forte
ad una squadra assalita da un
cospicuo numero di delinquenti.
Anche lì ci hanno tirato di
tutto: sassi, spranghe,
calcinacci, perfino un
lampadario da un balcone,
incredibile ! Gli assalti
partivano ad intermittenza. Noi
caricavamo ad oltranza: ad un
certo punto, sono riuscito ad
afferrare per il giubbotto uno
di questi criminali
incappucciati...". E che cosa è
successo ? "Trascinandolo, per
identificarlo, sono stato
investito da un motorino
scagliato da un gruppo di
giovani bendati. Sono caduto
sopra il delinquente. In quel
momento ho perso i sensi. In 5,
6 mi hanno sferrato calci
ovunque, alle gambe, al fegato,
al costato. Anche in testa.
Nella terribile pioggia di colpi
ho perso la pistola e il casco
protettivo, ho avuto la
sensazione che mi volessero
strappare i vestiti, ero inerme
per terra ma, almeno,
aggrappandomi all’aggressore
nella caduta, ero riuscito a
prendergli il portafoglio con i
documenti all’interno. E difatti
lui è stato poi subito
identificato. Vorrei ringraziare
pubblicamente le persone che mi
hanno salvato la vita, e cioè i
colleghi Carmelo Privitera, che
mi ha preso da terra e mi ha
portato vicino all’ambulanza, e
Pietro Russo che è salito con me
in ambulanza: pensate, tre ore
dopo aveva ancora il casco in
testa al pronto soccorso, tanta
era l’apprensione per le mie
condizioni". In barella dallo
stadio all’ospedale Garibaldi:
una corsa contro il tempo. "Il
medico mi chiedeva cosa mi
sentivo, io non sentivo niente.
Per 5' in ambulanza ho perso i
sensi. Al pronto soccorso
ricordo di aver perso la
funzionalità della parte
sinistra del corpo. Una forte
nausea, ma non riuscivo a
vomitare. Dalla risonanza
magnetica è emerso un ematoma
alla testa: ce l’avevo gonfia,
avevo dolore. In più, contusioni
ed escoriazioni in tutto il
corpo. Mi hanno trasferito
all’ospedale San Luigi, dove
sono stato subito visitato e,
per fortuna, avendo riportato
solo un’emorragia di capillari,
non c’è stato bisogno di
operarmi. Ne avrò per un’altra
settimana. Credo che il mio
ferimento sia avvenuto intorno
alle 21.15, mentre Raciti era
stato colpito a morte un quarto
d’ora prima. Sono stati minuti
di autentico terrore". Quando è
venuto a conoscenza della morte
del collega Filippo ? "Solo
domenica sera, e ho pianto. Lui
era un grande uomo. Entrerà in
paradiso con tutti i vestiti e
le scarpe... Era un faro per
noi. Ricordo che parlavamo
spesso del G8 di Genova, cui lui
aveva partecipato, e della
scomparsa di Carlo Giuliani. Lui
diceva che la morte negli
scontri per l’ordine pubblico
non dovrebbe mai verificarsi...
Voglio ringraziare anche il
questore di Catania Capomacchia,
un dirigente superiore che non
esita a schierarsi col casco in
prima linea e che è venuto a
trovarmi in ospedale col
questore Barboso. Tanti colleghi
mi hanno dimostrato affetto, e
mi fa piacere ricordare Rodolfo
Turrisi, un dirigente di polizia
in pensione, attualmente
comandante dei vigili urbani di
Ragusa". Gli scontri fuori dallo
stadio, secondo lei, hanno avuto
una stretta relazione con il
derby ? "No. Questi criminali
hanno solo aspettato l’occasione
giusta, e la partita lo era, per
colpirci. È stata un’azione
premeditata. Questa gente voleva
farci pagare le ultime retate a
Librino, un quartiere a rischio
della città, dove recentemente
abbiamo sequestrato armi e
droga. Non si spiegherebbe tanto
accanimento contro di noi:
succede ogni domenica nei pressi
della curva Nord. E non
dimentichiamoci del grave
ferimento dei due colleghi prima
del derby col Messina, entrambi
vittime di un’imboscata".
Ritornerà allo stadio ? "Sì,
devo farlo anche per Filippo
Raciti. Nella mia vita non mi
sono mai defilato. Dico ai
criminali di venerdì scorso:
avete sbagliato tutto".
8 febbraio 2007
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
Quarrata, sabato stadio
intitolato a Raciti
Alla cerimonia sarà
presente anche la vedova
dell'agente.
Si svolgerà sabato la
cerimonia di intitolazione dello
stadio comunale di Quarrata, in
provincia di Pistoia, a Filippo
Raciti. Alla cerimonia, che
inizierà alle 9.30, è stata
annunciata la presenza della
vedova Marisa Grasso Raciti e
dei figli. Dopo il saluto del
sindaco Sabrina Sergio Gori,
verranno letti alcuni messaggi
da parte di rappresentanti delle
istituzioni. Verrà poi scoperta
la targa intitolata a Raciti,
posta all'ingresso
dell'impianto.
8 Marzo 2007
Fonte: Ansa.it
Catania, la rabbia della
vedova Raciti
Mio marito lapidato, e
noi con lui
di Michela Giuffrida
CATANIA - "Mio marito
non è morto di malattia, né per
un incidente. Mio marito è stato
massacrato". Il volto indurito
dal dolore e la voce che a
tratti trema, Marisa Grasso,
vedova di Filippo Raciti, non
vuole commentare la decisione
del gip di Catania che ha
revocato l’ordine d’arresto per
il minorenne accusato di aver
ucciso l’ispettore durante gli
scontri del 2 febbraio. "Io so
solo che Filippo la sera non
torna più a casa perché è morto.
E che l’unica cosa certa sono le
scene di violenza che tutti
quella sera abbiamo visto. Non
so come dirlo - prosegue Marisa
Raciti - mio marito è stato
lapidato e sicuramente ha
sofferto moltissimo, chissà se
ha gridato, chissà cosa ha
pensato in quell’attimo. Hanno
massacrato, non soltanto lui ma
anche me, i suoi figli, i suoi
genitori. Sono trascorsi quattro
mesi ed io sono qui ad indossare
la medaglia d’oro che mi hanno
dato in sua memoria". Dal palco
d’onore, assieme agli invitati
alla cerimonia per la festa dei
carabinieri Marisa Raciti ha
assistito alla parata, ha
ascoltato le parole di ricordo
dedicate al marito. E, ancora
una volta, ha tradotto la sua
rabbia nell’interrogativo che
lei rilancia sempre, in ogni
manifestazione pubblica. "Perché
chi indossa la divisa - ha
ripetuto - deve mettere in conto
di poter morire ? Non svolge
forse un lavoro per la gente, in
mezzo alla gente ?". Intanto il
procuratore della Repubblica per
i minorenni Gaspare La Rosa ha
riunito i suoi sostituti per
valutare nuove iniziative del
suo ufficio ed ha annunciato che
"quasi certamente presenterà
ricorso contro la decisione del
gip" perché, ha aggiunto il
magistrato, "sul provvedimento è
opportuna una valutazione di
altri giudici, anche perché
quattro occhi vedono meglio di
due". Tra gli atti che la
procura per i minori vuole
sottoporre al tribunale del
riesame figura anche la perizia
di parte degli ufficiali della
polizia scientifica di Roma che
il Gip Alessandra Chierego non
ha ammesso. Sul fronte della
difesa invece i legali del
diciassettenne, che resta
comunque in carcere perché
accusato di resistenza a
pubblico ufficiale, hanno già
pronto un nuovo ricorso per
chiederne la scarcerazione
effettiva. Il procuratore La
Rosa ieri ha anche disposto il
dissequestro della curva nord
dello stadio Massimino.
6 giugno 2007
Fonte: La Repubblica
© Fotografia: Ilgiornale.it
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