L’ULTRA’ ACCUSATO DI TENTATO
OMICIDIO
Il
giallorosso De Santis: la
militanza a destra, le arti
marziali e la Roma
di
Fabrizio Caccia
Agli
amici della Sud diceva: "Le armi
? Da vigliacchi". Erano almeno
dieci anni che non andava allo
stadio, secondo gli amici della
curva.
Lui ha
sempre detto: "Io mi difendo da
solo, perché sono forte, sono un
karateka, e chi usa le armi è un
vigliacco...". Perciò adesso i
suoi vecchi amici di Curva Sud,
"Boys", "Opposta Fazione",
"Tradizione e Distinzione" -
quando la Curva Sud della Roma
era un’orgia di croci celtiche e
denti di lupo, parliamo
soprattutto degli anni Novanta e
dei primi Duemila - restano
perplessi all’idea che Daniele
De Santis sabato pomeriggio
abbia usato quella Beretta. "È
sempre stato un attaccabrighe ma
pistole mai", tagliano corto i
capi tifosi giallorossi di un
tempo, oggi navi da guerra in
disarmo, pescecani spiaggiati
anche per ragioni d’età. In
fondo come lui, ormai vicino ai
50. Perseguitato da un
soprannome, "Gastone", che non è
mai stato il suo ma di un altro
tifoso romanista quasi omonimo,
in realtà per tutti De Santis
era "Danielino" malgrado la
stazza e la consuetudine con la
boxe e le arti marziali: suo
padre Ivo, 73 anni, è maestro
storico di karate e il suo regno
era la palestra "Power Temple",
vicino alla Piramide Cestia e al
vecchio covo degli
"Irriducibili" della Lazio. Fu
proprio suo padre, ormai nel
lontano maggio 1999, a finire
gambizzato da ignoti mentre
viaggiava in motorino. Una
storia mai chiarita. E quella
era stata l’unica volta che in
casa De Santis si era parlato di
spari e rivoltelle. Fino a due
giorni fa. Ora dicono tutti:
"Con lo stadio Daniele aveva
chiuso almeno da dieci anni, mai
più visto in curva da allora, la
partita se la vedeva alla pay tv
del baretto del circolo sportivo
di Tor di Quinto dove lavorava
come custode dalla mattina alla
sera". "Daspato" e diffidato
com’era, in effetti, non poteva
più entrare all’Olimpico. Tifoso
indesiderato. L’ultima volta fu
il derby del 2004, quello
famigerato interrotto dagli
ultrà che andarono a parlare con
Francesco Totti dopo che si era
sparsa la voce (infondata) che
un ragazzino era morto negli
incidenti del prepartita. Ma
"Gastone" non era tra tutte
quelle facce poi immortalate dai
giornali e dalle tv. Un altro
equivoco che lo ha seguito fin
qui: "Stava con loro, ma non in
prima fila. Tutti ragazzi che
all’alba degli anni Novanta
avevano militato con me nel
Movimento Politico
Occidentale..." - ricorda
Maurizio Boccacci,
pluricondannato leader
dell’estrema destra romana, oggi
a capo di Militia. E proprio con
Boccacci, che oggi ha 56 anni,
De Santis fece il suo debutto
nella cronaca nera nel novembre
del ‘94, quando un gruppo di
ultrà giallorossi finì in
manette per l’accoltellamento a
Brescia del vicequestore Selmin:
"Io mi beccai 5 anni di condanna
- racconta Boccacci - Ma Daniele
non c’entrava e infatti poi fu
assolto". E anche risarcito
dallo Stato italiano: 2 milioni
e 900 mila lire per quasi due
mesi di ingiusta detenzione,
ricorda il suo avvocato
d’allora, Gianni Dell’Aiuto. Due
anni dopo, 1996, fu coinvolto (e
in seguito ancora assolto)
nell’inchiesta sui presunti
ricatti della tifoseria ai danni
del presidente Franco Sensi:
biglietti gratis in cambio di
pace allo stadio. "Finimmo sotto
processo in sette - ricorda
Giuliano Castellino - Io,
Danielino, Marione, Peppone, il
Mortadella, il Mafia e Guglielmo
il Farmacista. Tutti assolti. Ma
Mortadella e Mafia purtroppo non
ci sono più, sono morti da
tempo". Già. Ma forse è tutto un
mondo che non c’è più, un mondo
che è sparito, insieme a una
certa idea del calcio e della
curva: "Hanno introdotto la
tessera del tifoso, i tornelli,
i controlli e che hanno ottenuto
? Hanno forse sconfitto la
violenza ?" - s’interroga amaro
Guido Zappavigna, un tempo capo
dei temutissimi "Boys" (di cui
De Santis faceva parte) e oggi
cinquantasettenne gestore di
un’amena trattoria in zona
Castel Sant’Angelo. "La Curva
Sud della Roma oggi è diventata
anarcoide, la destra rispetto a
dieci anni fa non comanda più
niente, oggi ci trovi perfino le
bandiere No Tav e la cosa in
fondo manco mi dispiace, perché
i No Tav per me hanno ragione",
dice Boccacci. E poi la politica
che pensava di far proseliti
allo stadio ha sempre
regolarmente fallito: lo stesso
De Santis, alle amministrative
del 2008, si candidò con una
lista civica, "Il Popolo della
Vita". Daniele prese 44 voti.
Non lo votarono manco tutti gli
amici della palestra.
5
maggio 2014
Fonte:
Corriere.it
© Fotografie:
Gazzetta.it -
Corriere.it
Parla
la madre di "Gastone": "Mio
figlio vittima dell'agguato dei
tifosi napoletani"
di
Lorenzo D'albergo
Nel
cortile c'è una bandiera del
Movimento sociale italiano, un
busto di Mussolini. E un'altra
donna che sventola carte e
quelli che sembrano essere
assegni. Litiga con la madre di
"Gastone". "Non è vero. Mio
figlio non andava in giro a
chiedere soldi - urla Franca - è
un ragazzo che lavora". Poi il
cellulare squilla: "Hanno
arrestato Ciro Esposito ?" E
certo, è lui che ha aggredito
mio figlio".
Signora, lei è davvero convinta
che Daniele sia stato costretto
a difendersi ? "Sono venuti fino
da Napoli per beccarlo. Lo
conoscevano e gli hanno fatto un
agguato. Purtroppo non posso
ricostruire l'esatta dinamica,
non c'ero mentre lo picchiavano.
Ma una cosa è sicura. Mio figlio
non va all'Olimpico da tanti
anni ormai, non va più in curva
Sud. È diffidato e ormai ha
rinunciato allo stadio".
E
perché, secondo lei, i tifosi
del Napoli sarebbero venuti a
prenderlo ? "Io so che prima
della partita lui si deve essere
messo in mezzo a una lite tra
ultrà, tra un gruppo di
romanisti e un gruppo di
napoletani. Non so cosa sia
successo durante quell'incontro.
Ma lui deve aver detto qualcosa…
Non lo so, giuro. Ma i
napoletani sapevano che lui
stava qui, ne sono sicura".
La
polizia ha spiegato che suo
figlio aveva bombe carta e
diversi petardi. Li avrebbe
tirati contro i supporter
napoletani. "Non lo so, non lo
so che ha fatto o cosa aveva in
casa. Ma loro lo hanno
massacrato, me l'hanno quasi
ammazzato. Erano in 50 e mio
figlio era da solo".
E la
pistola ? "Non lo so. Se ha
sparato davvero, deve averla
trovata da qualche parte proprio
mentre lo aggredivano. Può anche
averla trovata a terra".
Il
racconto si interrompe. Dal
chiosco all'improvviso esce un
uomo, forse il padre di Daniele,
Ivo. Alle spalle ha una lunga
carriera da karateka e in mano
un martello. Con lui ci sono i
cani del figlio, un pitbull e un
rottweiler.
6
maggio 2014
Fonte:
La Repubblica
Daniele
"Gastone" De Santis, ecco chi è
l’uomo
accusato di aver sparato
al tifoso del Napoli
Estremista di destra, sul suo
profilo Facebook ha postato
diverse foto sotto il motto
"Boia chi molla". È l’unico
indagato per tentato omicidio. E
sui social network nascono
gruppi che inneggiano alla sua
liberazione.
Daniele
"Gastone" De Santis è indagato
con l’accusa di aver sparato al
tifoso del Napoli Ciro Esposito.
E ora, spuntano le immagini del
suo bunker. Che riflette
chiaramente la sua personalità
da estremista di destra. BOIA
CHI MOLLA - Lo chiamano Gastone.
E sul suo profilo di Facebook,
sotto al nickname c’è la
dicitura "Boia chi molla". Al
secolo è invece Daniele De
Santis, o Danielino, ed è
l’unico indagato per tentato
omicidio negli scontri fuori
dallo stadio Olimpico di Roma,
prima che si svolgesse la finale
Napoli-Fiorentina. LA TRATTATIVA
- Una partita che si è potuto
giocare, pare, solo dopo che è
stato interpellato il capo dei
Mastiffs, gli ultras del Napoli,
ossia Genny ‘a Carogna. Un fatto
che ha suscitato innumerevoli
polemiche e molta ironia su
twitter, quanto al ruolo
interpretato dal tifoso
partenopeo. IDENTIKIT DI GASTONE
- Ma se sul capo ultras del
Napoli, colpito da Daspo per
cinque anni, sappiamo ormai
tutto, ecco che Facebook regala
un identikit eloquente sulla
personalità da estremista di
destra di Gastone, con le foto -
che lui stesso ha pubblicato-
che lo vedono ritratto nel suo
"bunker".
LA PROVA DELLO STUB - Secondo
gli inquirenti sarebbe stato lui
a sparare e ferire gravemente il
tifoso napoletano Ciro Esposito.
De Santis si proclama innocente.
La prova dello stub non lo
inchioda, perché non ci sono
tracce sufficienti a dire che
abbia premuto il grilletto della
pistola.
TESTIMONE OCULARE - Ci sarebbe
però un testimone oculare che si
è presentato spontaneamente alla
polizia: R.P, tifoso del Napoli.
Ha raccontato che, mentre stava
dirigendosi allo stadio con due
amici "la mia attenzione è stata
attratta da una persona che
urlava inveendo nei confronti di
passeggeri di un autobus di
colore bianco con a bordo tifosi
del Napoli, tra i quali vi erano
anche donne e bambini". Una
persona che, durante la sosta
dell’autobus, aveva preso il
mezzo a calci e pugni,
terrorizzando gli occupanti. È a
quel punto che i sostenitori del
Napoli, una cinquantina, gli
sarebbero andati incontro
minacciosi. E tra gli
inseguitori c’era pure lui, R.P.
LA SPARATORIA - Il teste
ha detto di aver visto De Santis
e altre tre persone. Poi De
Santis è caduto e
"improvvisamente si è rialzato
girandosi verso di noi,
puntandoci contro una pistola e
facendo fuoco ad altezza uomo,
esplodendo alcuni colpi. In tale
contesto ho notato un mio amico,
che so chiamarsi Ciro, accusare
un forte malore al petto e
accasciarsi al suolo; ho
prestato soccorso a Ciro
rivolgendomi ad alcuni
appartenenti alle forze
dell’ordine perché chiamassero i
soccorsi".
IL FERIMENTO DI CIRO
ESPOSITO - "Mentre stavo
soccorrendo Ciro ho visto che
altri tifosi napoletani hanno
iniziato a picchiare la persona
che aveva sparato, riuscendo a
raggiungerla in quanto aveva
smesso di sparare. Io ho atteso
vicino a Ciro l’arrivo
dell’ambulanza, che è giunta
dopo circa venti-trenta minuti.
Mentre attendevo, ho constatato
che alcuni miei conterranei,
quando si sono accorti che Ciro
era stato colpito, sono tornati
nella stradina con l’intento di
picchiare nuovamente lo
sparatore".
RICOSTRUZIONE ATTENDIBILE - La
ricostruzione coincide, per gli
inquirenti, con quello della
doppia aggressione a De Santis e
con il racconto della donna che,
durante il pestaggio del tifoso
romanista, aveva visto a terra e
nascosto l’arma in un secchio
dell’immondizia per evitare il
peggio.
UNA SOLA PISTOLA - Intanto,
mentre le condizioni di Ciro
Esposito restano gravi, ma
stazionarie, la Procura di Roma
smentisce voci di stampa secondo
cui era apparsa, nel corso della
sparatoria, una seconda pistola:
"La notizia di una seconda
pistola è destituita di
fondamento e rischia di
interferire negativamente sulle
indagini in corso e sulle
delicate determinazioni che
dovranno essere assunte in
giornata".
UN GRUPPO INNEGGIA A DE SANTIS -
De Santis è sotto
interrogatorio. Nel frattempo su
Facebook è già nato un folto
gruppo dal titolo "De Santis
libero", che, dopo la prova
negativa dello stub difende il
tifoso romanista e che fa il
verso alla maglietta indossata
da Genny ‘a Carogna, "Speziale
libero", costata al capo dei
Mastiffs il Daspo per cinque
anni. (E. M.)
7
maggio 2014
Fonte:
Oggi.it
Minacce
all'ultrà Gastone e un manichino
impiccato
di
Irene de Arcangelis
"Ciro,
non faremo festa finché di
Gastone non avremo la testa.
Romano infame". E poi: "Gastone,
sarà il giorno più bello della
tua vita". Tre striscioni che
compaiono sulla facciata di un
palazzo in via Fontanelle. E poi
c'è un manichino giallorosso
impiccato tra i lenzuoli con le
scritte offensive. Omaggio della
Sanità a Gastone, al secolo
Daniele De Santis, l'ultrà
romanista coinvolto della
sparatoria in cui è rimasto
gravemente ferito il tifoso del
Napoli Ciro Esposito prima della
finale di Coppa Italia a Roma
del 3 maggio scorso. Striscioni
inattesi, dopo tanto tempo, che
poco dopo gli uomini della Digos
diretta dal vice questore Luigi
Bonagura vanno a sequestrare.
Con inevitabile apertura di un
fascicolo da inviare in Procura
con l'ipotesi di reato di
minacce. Non tanto per le frasi
scritte con il pennarello rosso,
quanto per quel manchino di
stoffa imbottita impiccato con
una corda alla derivazione di un
tubo del gas dell'edificio. La
polizia ora indaga anche sui
residenti dell'edificio di via
Fontanelle che dovrebbero sapere
chi ha attaccato quegli
striscioni tardivi. Ma intanto è
certa che si tratta di un
episodio sporadico, per
distogliere l'attenzione da
Genny ‘a Carogna - il tifoso
napoletano protagonista sugli
spalti della serata di tensione
all'Olimpico - qualche giorno fa
chiamato in causa da un pentito
nei panni di spacciatore.
Intanto il tifoso Ciro non
migliora, è ancora sedato e
intubato. Il 6 giugno prossimo
incidente probatorio a Roma
sull'arma che lo ha ferito.
30
maggio 2014
Fonte:
La Repubblica
"Gastone", l’ultras solitario
con la pistola tra politica e
fede giallorossa
di
Katia Andreoletti
Roma,
25 Giu. -
Da leader indiscusso
della curva sud romanista,
sempre in gruppi di estrema
destra, capace di interrompere
un derby della Capitale o di
ricattare l’allora presidente
della Roma Sensi, fino alla
scelta, forse obbligata dai
tanti Daspo, di stare lontano
dagli stadi. Daniele De Santis
da ieri è in carcere con
l’accusa di aver sparato ai
tifosi napoletani oltre che di
aver ferito gravemente Ciro
Esposito. Daniele De Santis chi
è ? Non ha una moglie, non ha
figli, l’unica passione, tatuata
ripetutamente sul suo corpo, la
"magica Roma". Da alcuni anni
faceva il custode di un campo
sportivo con annesso chiosco
proprio a poca distanza dallo
stadio Olimpico. Una parabola
discendente quella di Daniele De
Santis, 48 anni, che da
candidato nel 2008 nella lista
"Il Popolo della Vita per
Alemanno" nel XX municipio,
ideata da Luciano Castellino,
(ma l’ufficio stampa di Gianni
Alemanno precisa: "Daniele De
Santis non era un candidato
della lista civica di Alemanno.
Nelle elezioni del 2008 era un
candidato della lista "Il popolo
della vita". Questa non era la
lista civica di Alemanno, ma una
lista promossa da diversi
movimenti di ispirazione
cattolica") lo ha portato a
sparare cinque colpi di pistola
all’indirizzo di tre tifosi
napoletani, quattro dei quali
sono andati a segno. Se, come
sostiene la ricostruzione
ufficiale, De Santis ha fatto
tutto da solo: dal lanciare
decine di petardi contro i
pullman dei tifosi napoletani
che passavano vicino al suo
chiosco fino a sparare, dopo
essere scivolato e per evitare
di essere "pestato" da coloro
che per primo, aveva aggredito,
la dice lunga su come era finito
"Gastone": da leader indiscusso
a "cane sciolto", ormai isolato
ma sempre violento. Lui è uno
dei tifosi arrestati per
estorsione in danno dell’ex
presidente della Roma, il mitico
Sensi. Con altri ultrà chiedeva,
con pesanti minacce, i biglietti
per l’ingresso all’Olimpico.
Un’altra finale di Coppa Italia
funestata dalle gesta di Daniele
De Santis, fu quella del maggio
del 2008, quando sul campo i
giallorossi si fronteggiarono
con l’Inter. Poco prima del
calcio di inizio 5 supporter
giallorossi furono arrestati per
gli scontri che avvennero con le
forze dell’ordine, tra le cui
fila rimasero feriti in sei. Fu
sempre De Santis uno degli
indagati per la violazione della
legge sulla sicurezza degli
stadi perché il 21 marzo del
2004 scavalcò il recinto e
invase il campo di gioco,
insieme ad altri sei romanisti e
di fatto fece sospendere il
secondo tempo del derby
capitolino. Ma il reato cadde in
prescrizione e non fu mai
processato. Fu accusato anche di
aver fatto parte del commando
che il 20 novembre ’94,
all’esterno dello stadio
"Rigamonti" prima della partita
Brescia-Roma, accoltellò
l’allora vice questore di
Brescia Giovanni Selmin, mentre
una quindicina di agenti di
polizia vennero ricoverati
perché aggrediti con asce,
bastoni e bombe carta. Secondo
l’accusa, la spedizione dei
romanisti a Brescia aveva il
duplice scopo di far recuperare
prestigio e nuovi elementi al
gruppo neonazista di Maurizio
Boccacci, ex leader del
Movimento Politico Occidentale,
in crisi dopo lo scioglimento
per incitamento all’odio
razziale. Ma alla fine De Santis
fu assolto per non aver commesso
il fatto e ottenne anche un
risarcimento di due milioni e
900 mila lire dopo aver
trascorso 30 giorni nel carcere
di Brescia e altri 20 ai
"domiciliari". De Santis fu
arrestato anche il 22 marzo del
’98 nei pressi dello stadio
Romeno Menti, al termine della
partita Vicenza-Roma. (Fonte:
PositanoNews)
25
giugno 2014
Fonte:
Sostenitori.info
"Dovevo
morire io invece è toccato a
Ciro Ma non ho sparato"
di
Federica Angeli
"Dovevo
morire io, invece è morto lui.
Non ci posso pensare che è
morto. Più che altro non ci
voglio credere". Daniele De
Santis, il tifoso della Roma
accusato di omicidio (non più di
tentato omicidio), affida il suo
commento per la morte di Ciro
Esposito ai propri genitori, Ivo
e Franca. Dal reparto di
ortopedia del Policlinico
Umberto I, dove era ricoverato
dopo il pestaggio subìto, ieri,
a metà mattinata, è stato
trasferito al carcere di
Viterbo, portato via su una
sedia a rotelle e un pigiama
indosso. Alle 14 gli inquirenti
hanno ripetuto su di lui la
prova dello stub che, la prima
volta, aveva dato esito
negativo. Malgrado questo, il
tifoso giallorosso è l'uomo che
la procura di Roma vede come il
solo indagato per la morte di
Esposito. Un supertestimone,
tifoso del Napoli, in incidente
probatorio lo avrebbe
identificato come la persona che
ha impugnato una pistola facendo
fuoco fino a esaurire tutti i
proiettili quel sabato 3 maggio
nel prepartita di Coppa Italia
Fiorentina-Napoli.
26
giugno 2014
Fonte:
La Repubblica
Le
lacrime, la rabbia, i cani sulla
porta dentro la casa blindata
dei De Santis
Quando
ci presentiamo al palazzo dove
vive la famiglia De Santis - i
genitori, il fratello Alessandro
e, fino a 12 anni fa, anche
Daniele - l'accoglienza non è di
quelle da tappeto rosso. Al
citofono ci liquidano con un:
"ai giornalisti non abbiamo
niente da dire". Insistiamo. E
ci presentiamo al primo piano
della palazzina del quartiere
Monteverde che fa parte di un
comprensorio enorme. A partire
da ieri pomeriggio hanno
garantito alla famiglia che ci
sarà una vigilanza sotto casa
per evitare rappresaglie contro
di loro. Ad aprirci la porta,
con diffidenza, è la mamma di
Daniele, la signora Franca. Che
non smette di piangere un solo
momento, dall'inizio alla fine
del colloquio con noi. "Mio
marito stava sul letto, si sta
infilando i pantaloni e arriva".
Prende un mazzo di chiavi e si
chiude alle spalle la porta di
casa. Dentro ci sono due molossi
ed è meglio parlare sul
pianerottolo. Qualche minuto e
ci raggiunge Ivo De Santis. Sono
da poco tornati dal Policlinico
Umberto I, hanno parlato con
Daniele che da lì, dopo la morte
di Ciro Esposito, è stato
trasferito in carcere con un
capo d'imputazione che da
tentato omicidio è diventato
omicidio. "Adesso noi, dopo
quello che è successo,
assolutamente non vogliamo
parlare coi giornalisti", dice
Ivo, per 50 anni istruttore di
Karate, sguardo puntato dritto
negli occhi del suo
interlocutore, come a dire, "non
ce n'è, state solo perdendo
tempo". Prosegue la moglie,
Franca, mentre lui continua a
scrutarci dalla testa ai piedi.
"Qui sotto ci metteranno le
guardie a controllare che non ci
succeda nulla. Siamo stati
all'ospedale da mio figlio e
c'erano 20 poliziotti a
piantonare la sua stanza. Non
rilasciamo nemmeno mezza
dichiarazione perché bisogna
vedere prima quello che è
successo".
Andiamo
con ordine. Chi è Daniele De
Santis ? "E' un ragazzo buono",
dice la madre. Ma subito Ivo le
ruba la parola: "Ma quale buono,
quello è uno stronzo, che ha
preso le botte da tutto il
mondo... Fosse venuto una volta
a dimme "papà m'hanno menato".
Che poi ce pensavo io, invece
no. Se l'è prese sempre tutte".
Ma
Daniele cosa vi ha raccontato di
quel pomeriggio di follia ?
"Lui ha detto che gli hanno
menato, poi non se ricorda più
niente... Poi quel taglio che
c'ha qui (indicando il
sopracciglio, ndr), il giudice
ha detto che è stato il calcio
di una pistola che gliel'hanno
sfonnato in testa. La pistola ce
l'avevano in mano l'artri. Non
Daniele".
Quando arrivarono al Ciak i
tifosi del Napoli, Daniele
dov'era ?
"Lui c'ha le chiavi del cancello
del centro Ciak, dove l'hanno
picchiato. Quando ha visto che
stavano arrivando, s'è fatto
accompagnare per un pezzo da uno
che lui non riesce a camminare
perché è zoppo dopo un incidente
col motorino, ha cercato di
chiudere il cancello col
lucchetto, c'erano due squadre
di bambini che giocavano al
campo di pallone lì. Ha visto e
capito quello che stava
succedendo e che ci sarebbero
state le botte e allora ha
cercato di chiudere coi
lucchetti per non fare entrare
quei tifosi lì dentro. Ha capito
?".
Lui ha sostenuto con gli
inquirenti di non aver sparato.
A voi cosa ha detto ?
"Lui ha sempre detto a noi che
non c'entra niente e che non ha
mai sparato. L'abbiamo spinto a
parlare che crede che la passava
così senza darci spiegazioni a
noi ? E lui ha detto: "A pa'
quanno m'hanno acchiappato io
non ho visto più niente". Mio
figlio non aveva la pistola. E
se voleva fa' una cazzata di
rissa se sarebbe messo una
scialletta in faccia quantomeno,
non pensa ? Invece no, a volto
scoperto era. Un jeans e ‘na
maglietta, così tutto
sbracciato".
E se
suo figlio, signor Ivo, le
avesse mentito ?
L'uomo prima di rispondere dà un
pugno contro la porta di casa.
"Io ve dico la verità: se mio
figlio l'ha ammazzato facesse 30
anni di carcere. Mio figlio ha
detto: "Io non sono stato papà".
E basta. E io ce credo. Poi
tireranno fuori le prove e
vediamo ‘ste prove e se mi fijo
m'ha detto una cavolata...
Quanto è vero Dio ce penso io a
lui. Ma non è mai successo da
quando è nato. A me quando lo
guardo me parla, pure co l'occhi
me parla".
Un
pensiero ora da genitori a
genitori. Alla mamma di Ciro,
cosa volete dire ?
Scoppiano in lacrime entrambi.
"Quello è come se fosse mio
figlio, me sta a capì ?", dice
Ivo. Ora è Franca che gli parla
sopra: "Non ci stanno parole per
quella donna. È da ieri che
piango per quella donna e per
quel ragazzo che non doveva
morì. Spero che trovino il
colpevole al più presto".
26
giugno 2014
Fonte:
La Repubblica
Gli
ultrà della Roma "Solidali con
De Santis addolorati per Ciro"
ROMA -
I tifosi della Roma prendono la
parola sulla morte di Ciro
Esposito. Con un comunicato,
firmato da "gli Ultras della
Roma", tornano sulla vicenda
esprimendo solidarietà al
presunto assassino Daniele
"Gastone" De Santis, noto ultrà
romanista, ma anche cordoglio
per la scomparsa del tifoso del
Napoli: "La Curva Sud rimane e
rimarrà sempre al fianco di un
suo figlio. Non rinnegheremo mai
un nostro fratello, giusto o
sbagliato che sia, questo ci ha
insegnato la vita, questo ci ha
insegnato la strada. Rimaniamo
comunque colpiti e addolorati
dal tragico epilogo di questa
brutta vicenda e ci stringiamo
al dolore della famiglia di Ciro
Esposito. La morte non ha colori
né bandiere". Il testo, comparso
sul sito Asromaultras.org, è
stato accolto con rassegnazione
dalla mamma di Ciro, Antonella
Leardi: "Se hanno deciso di non
prendere le distanze da De
Santis si vede che io non posso
cambiare la loro mentalità, le
loro dinamiche".
2
luglio 2014
Fonte:
La Repubblica
De
Santis ammette "Sì, ho sparato
io perché avevo paura"
ROMA -
"Sono stato coinvolto in una
rissa e ho temuto per la mia
vita, dunque ho avuto paura e ho
sparato". Così Daniele De
Santis, l'ultrà romanista
accusato dell'omicidio di Ciro
Esposito il 3 maggio scorso in
viale di Tor di Quinto a Roma,
prima della finale di Coppa
Italia Napoli-Fiorentina,
ammette per la prima volta di
aver fatto fuoco verso un gruppo
di tifosi del Napoli. Lo scrive
di suo pugno, in una lettera di
due pagine in stampatello
inviata lunedì via fax ai pm e
con la quale annuncia di non
sentirsi pronto a sostenere
l'interrogatorio fissato per il
9 ottobre. Finora aveva sempre
detto di non aver sparato. Nella
perizia del Ris i tecnici
sostengono che De Santis fu
prima "sopraffatto dagli
aggressori" e poi sparò.
8
ottobre 2014
Fonte:
La Repubblica
Omicidio Esposito, De Santis
confessa "Mi hanno assalito, ho
sparato per paura"
di
Francesco Salvatore
"Sono
stato preso alle spalle,
presumibilmente da Ciro
Esposito, e sono caduto. Poi
sono da terra mi sono girato e
ho sparato". Parla per la prima
volta Daniele De Santis e
confessa. A distanza di mesi
dagli scontri nel prepartita
della finale di Coppa Italia tra
Napoli e Fiorentina, che hanno
portato alla morte del 29enne di
Scampia Ciro Esposito, l'uomo
accusato di omicidio volontario
ha fornito la sua versione con
una lettera indirizzata ai pm
Eugenio Albamonte e Antonino Di
Maio. Nella missiva inviata via
fax in procura, il 48enne romano
ha ammesso di "essere stato
coinvolto nella rissa" e di aver
fatto fuoco con la pistola per
"paura". L'uomo, inoltre, ha
aggiunto di voler posticipare
l'interrogatorio del 9 ottobre a
causa della sua condizione
fisica, di recente ha avuto
un'ischemia e soprattutto
rischia di perdere la gamba.
Inoltre ha dichiarato di essere
"preoccupato" dal clima di
tensione che si è creato intorno
alla vicenda e dal fatto che
"girano su Internet l'indirizzo
di casa dei miei genitori e la
foto di mio padre". Una lettera
scritta di suo pugno, quella
arrivata in procura ieri, in cui
De Santis ha spiegato perché ha
sparato e perché non è ancora
pronto per un faccia a faccia
con i magistrati. I pm, però,
giovedì saranno all'ospedale
Belcolle di Viterbo, dove
l'ultrà è ricoverato, per far
scrivere a verbale anche solo
ciò che l'uomo, accusato di
omicidio volontario, ha messo
nero su bianco. "La lettera è
una spiegazione abbastanza
articolata di quello che in
questo momento sta vivendo il
nostro assistito" hanno detto i
legali di De Santis, Michele
D'Urso e Tommaso Politi. De
Santis, nel descrivere la sua
condizione ha sottolineato di
"non essere un mostro" e di
essere sicuro che "la verità su
quanto accaduto stia emergendo".
Nel memoriale De Santis ha
raccontato il pomeriggio del 3
maggio scorso in via Tor di
Quinto. "Sono stato coinvolto in
una rissa e ho temuto per la mia
vita dunque ho avuto paura". Poi
alcune righe più avanti
"Gastone" entra più nello
specifico: "Sono stato preso da
dietro, presumibilmente da Ciro
Esposito. Sono caduto a terra,
mi sono girato e ho sparato".
Per quanto riguarda i motivi che
lo hanno spinto a scrivere ai pm
per posticipare la sua audizione
De Santis ha sottolineato di non
essere ancora pronto: "Voglio
prima risolvere i miei problemi
di salute. La mia gamba rischia
di essere amputata per le
lesioni subite". Prossima tappa
dell'inchiesta l'interrogatorio
di giovedì all'ospedale di
Viterbo, in cui De Santis potrà
ripetere quello scritto nella
lettera o fornire ulteriori
spiegazioni. Poi il 13 ottobre
proseguirà l'incidente
probatorio sulla perizia dei
tecnici del Racis dei
carabinieri.
8
ottobre 2014
Fonte:
La Repubblica
De
Santis ai pm "Sono disperato". E
su Facebook mostra le ferite.
L'assassino del tifoso: "mi
hanno messo contro un'intera
città"
Daniele
De Santis, l'ultrà della Roma
che il 3 maggio scorso, alla
vigilia della finale di Coppa
Italia, sparò a un gruppo di
tifosi napoletani uccidendo Ciro
Esposito, ha consegnato una
lettera ai pm di Roma, in cui
sostiene di sentirsi "disperato"
per l'accaduto, ma di aver
sparato per paura. "Alla fine i
colpi l'ho esplosi io, ma senza
mirare. Ero pieno di sangue
dappertutto. Mi stavano
ammazzando punto e basta". Poi
aggiunge: "Mi hanno messo
l'intera città contro". Su
Facebook girano le sue foto con
i pantaloni abbassati, mentre
mostra le coltellate fra addome
e gluteo e una cicatrice sul
volto. Agli arresti in ospedale,
ma evidentemente in grado di
farsi fotografare in posa.
"Hanno detto che volevo
aggredire donne e bambini, mai
fatto in vita mia. Mi stanno
mettendo contro un'intera città
come una guerra", scrive ai pm
di Roma Daniele De Santis,
l'ultrà della Roma che il 3
maggio scorso, alla vigilia
della finale di Coppa Italia,
sparò all'indirizzo di un gruppo
di tifosi napoletani uccidendo
Ciro Esposito. De Santis ha
consegnato una lettera di due
pagine dove sostiene di sentirsi
"disperato" per l'accaduto, ma
di aver sparato per paura. Con i
pm, De Santis si è avvalso della
facoltà di non rispondere,
riportandosi alla missiva. "Alla
fine i colpi l'ho esplosi io -
ammette - ma senza mirare. Ero
pieno di sangue dappertutto. Mi
stavano ammazzando punto e
basta". De Santis nega di aver
lanciato bombe: "Ho solo
raccolto un fumogeno che stava
per terra e l'ho tirato". Quindi
aggiunge: "Sono davvero
disperato per quello che è
successo. Mi porto dentro tutto
il dolore per la morte di Ciro.
Non volevo uccidere proprio
nessuno, però purtroppo alla
fine un ragazzo è morto". Scuote
il capo la mamma di Ciro,
Antonella Leardi: "Dice di
essere disperato ? Allora ha una
coscienza. Ma non credo che
abbia sparato per paura, è una
bugia". Gli avvocati Angelo e
Sergio Pisani, legali della
famiglia Esposito parlano di
"ricostruzione strumentale, in
contrasto con le risultanze
delle indagini". (d. d. p.)
10
ottobre 2014
Fonte:
La Repubblica
Omicidio Esposito la verità di
De Santis
"Sparai
senza mirare sono disperato"
di
Francesco Salvatore
Voglio
dire che è vero, alla fine i
colpi li ho esplosi io, ma senza
mirare. Ero pieno di sangue
dappertutto, mi stavano
ammazzando, punto e basta. Sennò
non sarei qui vivo, anche se
posso perdere la gamba". Ammette
le sue responsabilità e si
giustifica Daniele De Santis.
Fornisce spiegazioni, ma non
indica nessuna delle persone che
nel pomeriggio del 3 maggio
scorso, in via Tor di Quinto,
hanno preso parte alla rissa
culminata nella morte del 29enne
di Scampia Ciro Esposito, ucciso
proprio per mano sua. La
versione di "Gastone" è tutta
nella lettera spedita tre giorni
fa in procura e ribadita ieri,
nel suo contenuto, ai pm Eugenio
Albamonte e Antonino Di Maio
all'ospedale Belcolle di
Viterbo. "Danielino",
accompagnato dai legali Tommaso
Politi e Michele D'Urso, ha
riferito ai magistrati di non
essere ancora pronto a
sottoporsi all'interrogatorio,
ma ha fatto dichiarazioni
spontanee sui drammatici momenti
del pre-partita della finale di
Coppa Italia Napoli-Fiorentina.
Ha spiegato di avere paura per
sé e per i suoi familiari, di
non voler accusare chi l'ha
ferito "a coltellate e
bastonate" perché le sue parole
potrebbero essere
strumentalizzate e qualcuno
potrebbe prendersela con loro.
Tutte cose già spiegate nella
lettera: "Le mie parole
verrebbero usate per far
crescere odio. Fin quando non si
scatena qualche pazzo. Hanno
detto che volevo aggredire donne
e bambini. Mai fatto in vita
mia. Mi stanno mettendo contro
un'intera città (Napoli, ndr)
come una guerra". "Sto ancora
male - scrive De Santis in due
fogli in stampatello - non solo
fisicamente. Mi devono
rioperare, ho avuto un'ischemia,
forse perdo la gamba e di certo
rimarrò zoppo. Ma soprattutto ho
paura per me e i miei familiari.
In questi mesi ho sentito di
tutto, come se fossi un mostro.
I giornali hanno pubblicato la
foto di mio padre e su internet
hanno messo l'indirizzo di casa
dei miei". Il 48enne accusato di
omicidio volontario nel
ricostruire gli scontri si
giustifica dicendo che non
"voleva uccidere proprio
nessuno, però purtroppo alla
fine un ragazzo è morto". Questo
il racconto: "Sono uscito dalla
Boreale (dove vivo) per chiudere
il cancello, perché si sentiva
un casino di bomboni e fumogeni
e dentro stavano giocando i
ragazzi. Non ho tirato nessuna
bomba. Quando sono uscito ho
solo raccolto un fumogeno che
stava per terra e l'ho ritirato
e ho strillato al conducente del
pullman di levarsi da là, quando
ho visto che c'erano dei casini.
A quel punto mi hanno rincorso
in trenta o forse più. Ho
provato a scappare e già di
spalle mi hanno preso a
bastonate, mi hanno dato le tre
prime coltellate e le bastonate.
Poi ho provato a chiudere il
primo cancello ma non ci sono
riuscito e mi sono rotto la
gamba lì sotto. Comunque non
volevo uccidere proprio nessuno
però purtroppo un ragazzo è
morto". Nell'ultima parte del
memoriale, il mea culpa: "Vi
prego di credermi che sono
davvero disperato per quello che
è successo. E mi porto dentro
tutto il dolore per la morte di
Ciro Esposito. Spero che
continuerete le indagini perché
quello che ho detto è la
verità". La mamma di Ciro,
Antonella Leardi, però non gli
crede: "Lui dice che è disperato
per la morte di mio figlio ? Mi
fa piacere, significa che allora
ha una coscienza. Però non credo
che ha sparato perché aveva
paura, è una bugia. È uscito
attrezzato per fare del male".
10
ottobre 2014
Fonte:
La Repubblica
Daniele
De Santis: "Ho sparato a Ciro
Esposito solo per salvarmi"
di
Giovanna Gueci
L'intervista all'ultrà della
Roma, condannato a 26 anni,
pubblicata da Panorama un anno
fa.
I
giudici della Terza Corte
d'assise di Roma hanno
condannato a 26 anni di carcere
Daniele De Santis, l'ultrà
romanista accusato della morte
di Ciro Esposito, avvenuta nel
2014 a Roma. Il giovane tifoso
del Napoli venne ferito
gravemente il 3 maggio di due
anni fa, poco prima della finale
di Coppa Italia tra Fiorentina e
Napoli e morì dopo un'agonia
durata 53 giorni. Il 3 maggio
2014 allo stadio Olimpico di
Roma è in programma la finale di
Coppa Italia tra Fiorentina e
Napoli. Mentre i tifosi
affluiscono verso lo stadio, su
viale di Tor di Quinto si
verificano violenti scontri
durante i quali Daniele De
Santis, 48 anni, ex ultrà
romanista, ferisce il tifoso
napoletano Ciro Esposito, 30
anni, che muore 50 giorni dopo,
il 25 giugno. Per la prima volta
De Santis accetta di parlare e,
in questa intervista esclusiva a
Panorama, racconta la sua
versione dei fatti (che si basa
sulla legittima difesa) riguardo
alla morte del giovane
napoletano. Nei mesi scorsi ha
rilasciato una dichiarazione
spontanea ai pubblici ministeri,
ammettendo di aver esploso il
colpo che ha portato alla morte
di Esposito. "Nelle intenzioni
di De Santis" spiega il suo
avvocato, Tommaso Politi, "la
notizia doveva rimanere
riservata. Invece è filtrata,
come al solito in maniera
distorta. È vero, la
dichiarazione non spiega come
quella pistola sia finita in
mano sua. Su questo l’unico a
poter dire qualcosa è lui
stesso. Di certo il processo
mediatico non ha aiutato: il
pregiudizio è tale che molti
faticano a credere alla stessa
perizia del Ris, che è
assolutamente favorevole alla
difesa". La chiusura delle
indagini è attesa tra gennaio e
febbraio, il processo dovrebbe
cominciare entro tre mesi.
Daniele
De Santis, come ha vissuto i
mesi trascorsi dalla morte di
Ciro Esposito ? Che cosa ricorda
di quel giorno ? "Penso sempre a
quel maledetto giorno. Sono
passati otto lunghi mesi durante
i quali, immobile in un letto,
non ho fatto altro che pensare.
Questa è e rimane una tragedia
per tutti. Per la famiglia di
Ciro e anche per la mia
famiglia. A volte mi domando: se
per salvarmi la vita, oltre alle
sofferenze fisiche, devo veder
soffrire tanto, non era meglio
che mi avessero ammazzato ?".
Si può
dire qualcosa a chi è rimasto
colpito da quell’episodio ? La
famiglia di Ciro, innanzitutto,
ma anche le persone che seguono
il calcio con passione ? "Non mi
sono mai rivolto alla famiglia
di Ciro non perché non abbia
provato sofferenza, l’ho provata
eccome ! E ho provato a
immaginare se, anziché a quei
genitori, fosse toccato ai miei:
proprio per questo qualsiasi
parola avrebbe provocato solo
rabbia perché, per quanto
potessi esprimere rammarico,
avrei dovuto comunque chiedere
scusa per essermi salvato la
vita. Cosa gli avrei detto ?
Riguardo all’opinione pubblica,
purtroppo conosco bene il modo
vergognoso in cui verrebbe
strumentalizzata ogni mia frase,
vista come qualcosa di utile
solo alla mia difesa. Troppe
logiche evidenze sono state
ignorate palesemente, quindi
volutamente. Per cui, a me
interessa solo che siano i
giudici a valutarle. Del circo
mediatico a me non è mai fregato
niente, a gente che guadagna
speculando sulle disgrazie non
do altra legna da ardere. Non
sarò un chierichetto, ma ritengo
che la sofferenza non sia merce
da vendere in tv".
Lei non
era lì per caso quel giorno.
Perché aveva scelto di vivere in
quel posto "occupato" ? "Vivo lì
perché, oltre alle spese per la
sopravvivenza, devo accudire i
miei cinque cani e con lo
stipendio delle Poste, di cui
sono dipendente, non ce l’ho più
fatta a pagare il mutuo di casa.
In cambio, mi occupavo della
manutenzione degli spazi e di
fare da guardiano".
Lei era
a casa sua, dunque. Poi che cosa
è successo ? "Stava succedendo
il finimondo. Sono uscito a
vedere, anche perché sui campi
occupati stavano giocando a
calcio alcuni ragazzini. Si
vedevano i fumogeni e si
sentivano esplodere i "bomboni".
Da casa mia al viale di Tor di
Quinto ci sono 150 metri, lungo
i quali si passa davanti a un
gabbiotto dei Carabinieri. La
cosa che ricordo di aver fatto,
l’unica che non avrei dovuto
fare, è stata raccogliere un
fumogeno e rilanciarlo verso un
pullman parcheggiato sul
controviale che chiudeva
completamente l’accesso. C’era
già casino, ma non si vedeva
bene, un po’ per il pullman, un
po’ per i fumogeni.
Improvvisamente, sono spuntate
almeno 30 persone. Se fosse
andata come sostiene chi mi
accusa, avrei dovuto sparare al
primo che mi capitava, no ?".
Invece
? "Sono stato aggredito, ho
cominciato a fuggire e ho preso
bastonate e le prime coltellate.
Ho provato anche a chiudere il
cancello che divide i campi dal
viale, dove si trovava la mia
abitazione, provando a bloccarlo
con le braccia e con una gamba
che è rimasta sotto e che, per
questo, si è quasi staccata
completamente dal corpo, come
dicono i referti, rimanendo
attaccata solo con qualche
brandello di muscoli e pelle. Ho
arrancato ancora per qualche
metro, poi li ho avuti ancora
addosso. Ero convinto di vivere
gli ultimi momenti della mia
vita".
E
subito dopo, lo sparo. "Sì. E se
non avessi premuto quel
grilletto, sarei morto. Credo
che in quel momento nessuno al
mondo avrebbe potuto fare
altrimenti. Parlare ora, a
freddo, non è semplice. E non
per strategia. Ho pensato e
ripensato a quegli attimi, anche
se ricordare tutto in maniera
fotografica non è semplice. Ciò
che ricordo di più è il dolore
violento, un dolore assurdo, e
poi il frastuono e l’orda di
gente su di me. Comunque l’ho
detto ai magistrati, non ho
mirato, non volevo uccidere
nessuno".
Un
passo indietro. In che modo ha
iniziato a far parte del mondo
degli ultrà ? "Se avesse due
giorni di tempo glielo
racconterei. È un mondo che ho
frequentato per oltre
trent’anni. Sono abbonato dal
1978 con la Roma, da quando
avevo 13 anni. Mi affascinava il
fatto che il calcio fosse uno
sport così diverso da quello che
praticavo io, il karate. Allo
stadio conosco tutti e tutti mi
conoscono, ma non sono mai stato
un leader né ho mai capeggiato
un gruppo. Non c’ho mai nemmeno
provato. Tra le tante sorprese,
dai giornali ho saputo che avrei
un soprannome, Gastone. Nessuno
mi ha mai chiamato così. Mi
chiamano Danielino dai tempi in
cui pesavo 50 chili di meno".
Quello
degli ultrà è un ambiente libero
oppure è condizionato da fattori
esterni ? "In curva c’è di
tutto. E poi negli anni ho visto
tendenze politiche diverse, a
seconda delle mode. Le mie
simpatie politiche le ho sempre
tenute al di fuori del mio
grande amore per la Roma e chi
mi conosce può confermarlo".
È però
di pochi giorni fa il
riferimento a suoi collegamenti
con l’inchiesta Mafia Capitale
in base a intercettazioni
telefoniche. "Ci mancava solo la
mafia. Se non stessi vivendo una
tragedia mi verrebbe da ridere.
Perché finora ho sentito di
tutto: che ero il braccio destro
di Gianni Alemanno, che non ho
neanche mai visto; che farei
parte dei servizi segreti
deviati e adesso la mafia. Cose
che mi provocano più dolore
delle ferite fisiche. Forse chi
dice queste cose ci crede o
comunque, a forza di dirle,
qualcuno ci crederà. Risponderle
mi sembra quasi assurdo: lo
faccio comunque per chiarezza,
specificando che delle persone
coinvolte in Mafia Capitale non
ne conosco nemmeno una e di quei
fatti non so proprio nulla. Ma
avete visto dove vivevo ?
Torniamo alla realtà, per
cortesia: vivevo in una specie
di casa occupata, facevo il
guardiano a dei campi di calcio,
conoscevo tutti i ragazzi e i
genitori dei ragazzi che
andavano a giocarci. Le somme
tiratele voi".
È
d’accordo sul fatto che le
violenze commesse dagli ultrà
siano il male principale del
calcio italiano ?
"Di
certo non faccio il santo, per
cui non negherò che mi sia
capitato di fare a pugni allo
stadio. Ma la violenza non è
prerogativa solo dello stadio.
Gli episodi più gravi successi
in passato, l’accoltellamento di
un tifoso o altri incidenti
mortali, sono sembrate sempre
cose assurde anche a me. Chi mi
conosce bene sa che io, se
proprio devo, affronto lealmente
le persone e che in vita mia non
ho mai usato un’arma, nemmeno un
taglierino. Figuriamoci un’arma
da fuoco. Diversamente, non
avrei aspettato di arrivare a 48
anni per usarla".
Colpisce che lei abbia avuto un
passato importante da sportivo.
Che esperienza è stata ?
"Quasi
mi dispiace di smontare il
mostro a cui la gente si è
abituata. Il mio percorso
sportivo forse stupirà chi di me
conosce soltanto ciò che è stato
conveniente dipingere. Sono
stato campione italiano di
karate, ho anche avuto il
diploma al merito sportivo in
questa disciplina che ti forma
non solo sportivamente, ma anche
umanamente, un percorso iniziato
da bambino e che ho seguitato a
insegnare ai bambini. Uno sport
di autodifesa e non di attacco.
Sono figlio di un maestro di
karate, che mi ha trasferito i
valori di questa disciplina come
la lealtà, l’autocontrollo, il
rispetto dell’avversario,
considerando l’uso delle armi
uno sminuimento della dignità.
Tutto questo è ciò che ho
cercato di portare con me non
solo nelle gare, ma anche nella
vita".
Quali
sono le sue attuali condizioni ?
"Sono cosciente di non
poter tornare più a camminare
normalmente, anche se non ho mai
smesso di lottare per cercare di
evitare almeno l’amputazione
della gamba. In seguito agli
scontri di quel giorno, ho
un’osteomielite cronicizzata per
la quale, secondo i medici del
carcere di Regina Coeli prima e
di Belcolle di Viterbo ora, devo
essere rioperato. In Italia
esistono solo tre centri
specializzati in grado di
potermi accogliere: a Savona, al
Rizzoli di Bologna e a Cortina.
Cortina si era resa disponibile
anche con il posto letto.
Invece, nonostante il Gip mi
abbia autorizzato per qualunque
ospedale sia in grado di
accogliermi, per motivi
burocratici il trasferimento dal
carcere non è ancora possibile:
assurdo, mentre si gioca con la
burocrazia lo si sta facendo
anche con la mia vita. La mia
situazione non è trattata come
altre analoghe: il mio fisico è
ormai a pezzi a causa dei
farmaci assunti senza sosta da
quasi nove mesi".
Ha
qualche paura ? "Certo.
La mia prima preoccupazione è
stata che alcune mie
dichiarazioni avrebbero messo in
pericolo l’incolumità
soprattutto della mia famiglia
anche perché la stampa, molto
coscienziosamente, ha pensato
bene di rendere pubblici i loro
nomi, cognomi e indirizzi. E
ancora vi chiedete perché non
voglio parlare ? Mi hanno messo
un’intera città contro, compresi
i suoi ambienti più pericolosi.
Quindi, prima di mettere a
rischio i miei cari con
dichiarazioni che verrebbero
solo strumentalizzate, ho
preferito rimanere in silenzio,
almeno fino al processo. Penso
che se fossi morto anch’io, oggi
probabilmente l’avversario non
sarebbe il pregiudizio, ma
soltanto chi ha tentato di
uccidermi. A volte, quando vengo
ferito dalle parole di chi parla
senza sapere la verità, vorrei
anche solo per un secondo che si
fossero trovati nella mia
situazione".
Lei
parla di pregiudizio.
"Sì,
il pregiudizio che non ti
affronta mai ad armi pari.
Specie quando hai la sfortuna di
incarnare mediaticamente il
perfetto stereotipo di mostro da
sbattere in prima pagina. Lì
combatti contro la soluzione più
comoda per tutti. Non devi
stupirti che non ci sia più
nessuna logica, che di colpo
scompaia anche la più ovvia
delle evidenze, come le
coltellate che ho preso, fino a
quando almeno questa verità non
è emersa dalle perizie. Si è
dato spazio a qualsiasi ipotesi,
anche la più assurda, pur di
mantenere il punto. Partendo dal
folle gesto di un pazzo
scatenato arrivando con
disinvoltura all’esatto opposto:
l’agguato studiato e premeditato
per motivi misteriosi, passando
per i servizi segreti e
arrivando addirittura a Mafia
Capitale. Quando il tuo nemico è
il pregiudizio, tutto può
accadere e la verità diventa un
pessimo affare".
Le
indagini, però, hanno messo in
evidenza anche elementi diversi
da questo.
"Per
fortuna c’è ancora chi non ha
voglia di soluzioni di comodo.
Ci sono organi investigativi
come il Racis che si fermano
solo davanti alla verità
(secondo i carabinieri del
Racis, De Santis avrebbe fatto
fuoco su tre tifosi del Napoli
mentre veniva aggredito e
ferito, ndr) ed è solo grazie a
loro che tutti sono ora
obbligati a farsi domande
logiche, a cercare formule
diverse, meno frettolose, dal
definirmi un mostro. Per ora la
verità, oltre a chi c’era, la sa
solo Dio. Le mie parole servono
a poco. Spero davvero che chi
avrà l’autorità di giudicarmi
non sarà condizionato e che, nel
frattempo, gli ulteriori
accertamenti della procura
chiariscano definitivamente quei
momenti".
9
gennaio 2015
Fonte:
Panorama.it
Violenza, De Santis: ''Ho
sparato a Ciro solo per
salvarmi''
Per la
prima volta dopo gli incidenti
di Coppa Italia durante i quali
ha perso la vita Esposito, parla
l'ultrà giallorosso arrestato
con l'accusa di omicidio: "Penso
sempre a quei momenti e forse
era meglio che mi avessero
ammazzato. Quando ho avuto
addosso tutte quelle persone
pensavo di morire e ho dovuto
premere il grilletto".
ROMA -
"Se non avessi premuto quel
grilletto sarei morto". Sono le
parole di Daniele De Santis,
l’ultrà della Roma accusato
dell’omicidio del tifoso
napoletano Ciro Esposito, in una
lunga intervista esclusiva che
il settimanale Panorama pubblica
sul numero in edicola da domani,
mercoledì 14 gennaio.
"MEGLIO
SE MI AVESSERO AMMAZZATO" - De
Santis parla per la prima volta
degli incidenti avvenuti il 3
maggio 2014 prima della finale
di Coppa Italia tra Fiorentina e
Napoli a Roma: "Penso sempre a
quel giorno e questa è e rimane
una tragedia per tutti - afferma
a Panorama - Per la famiglia di
Ciro e anche per la mia. A volte
mi domando: se per salvarmi la
vita, oltre alle sofferenze
fisiche, devo veder soffrire
tanto, non era meglio che mi
avessero ammazzato ?".
"MIO
ERRORE LANCIARE UN FUMOGENO" -
"L’unica cosa che non avrei
dovuto fare" - prosegue il
racconto di De Santis a Panorama
- "è stata raccogliere un
fumogeno e rilanciarlo verso un
pullman parcheggiato sul
controviale che chiudeva
completamente l’accesso.
Improvvisamente sono spuntate
almeno 30 persone. Se fosse
andata come sostiene chi mi
accusa, avrei dovuto sparare al
primo che mi capitava, no ?". De
Santis, invece, racconta di
essere fuggito e raggiunto da
quelle persone; di avere preso
"le prime bastonate e
coltellate" e, mentre tentava di
chiudere il cancello di accesso
all’area dove abitava, "una
gamba è rimasta sotto e si è
staccata quasi completamente dal
corpo. Ho arrancato per qualche
metro e li ho avuti ancora
addosso. Ero convinto di vivere
gli ultimi momenti della vita.
Se non avessi premuto quel
grilletto sarei morto".
13
gennaio 2015
Fonte:
Repubblica.it
Ciro
Esposito: l'intervista a De
Santis e la posizione di
Panorama
L'ultrà
della Roma parla in esclusiva
nel magazine in edicola e
scatena la reazione del legale
della famiglia. Ma perché non
dare la sua versione ?
Com'era
lecito attendersi, l'intervista
esclusiva a Daniele De Santis
(l'ultrà della Roma in carcere
per l'omicidio del tifoso
napoletano Ciro Esposito)
pubblicata sul numero 3 di
Panorama ora in edicola ha
provocato numerose reazioni. In
particolare l'avvocato Angelo
Pisani, legale della famiglia
Esposito, in un'intervista a
Radio Crc di Napoli ha detto che
"è vergognoso come il De Santis
possa rilasciare dichiarazioni
per fuorviare l'opinione
pubblica raccontando una tesi
non solo infondata, ma anche
insostenibile. Chiederei al De
Santis che cosa ci faceva armato
con una pistola detenuta
illegalmente a lanciare fumogeni
che non erano per terra. Ha
rischiato di incendiare un
pullman composto da donne e
bambini, non con l'intenzione di
esercitare il diritto del
tifoso. Purtroppo le parole del
De Santis hanno un'eco
importante, più del dolore della
famiglia Esposito".
Nell'intervista De Santis
fornisce la sua versione dei
fatti ripetendo quello che aveva
già detto ai magistrati, ai
quali spetterà l'accertamento
della verità. "Ho sparato per
salvarmi", afferma De Santis,
sostenendo di aver lanciato un
fumogeno in direzione di un
pullman e di essere stato
aggredito subito dopo da molte
persone con pugni e coltellate,
restando bloccato sotto un
cancello che tentava di chiudere
e che gli ha quasi staccato una
gamba. Secondo una perizia del
Ris dei Carabinieri, De Santis
ha sparato mentre veniva
aggredito. "Abbiamo deciso di
chiamare in campo il ministro
della Giustizia per chiedere
come sia possibile mandare foto
o parlare attraverso Panorama
senza rispettare i tempi e le
modalità di diritto" - aggiunge
l'avvocato Pisani. "Il Ministro
ce lo deve spiegare perché la
violazione delle norme c'è
tutta. Un soggetto in stato
detentivo non può rilasciare
dichiarazioni, non è
ipotizzabile, è illegittimo.
Solo il magistrato può
autorizzare una dichiarazione
del genere, ma non penso sia
andata così. Dobbiamo renderci
conto che queste entrate a gamba
tesa possono essere pericolose
anche per il prosieguo del
campionato perché la gente si
aspetta una verità processuale".
Panorama, invece, ha esercitato
semplicemente il diritto di
cronaca realizzando l'intervista
attraverso domande scritte
consegnate all'avvocato di De
Santis, Tommaso Politi, che ha
incontrato il suo assistito in
carcere e ne ha ottenuto le
risposte. È fuori luogo, dunque,
chiedere l'intervento del
ministro della Giustizia perché,
naturalmente, non c'è stato
nessun contatto diretto tra il
giornale e il detenuto. Non si
tratta di entrate a gamba tesa
ed è grave giudicare
un'intervista (che molti altri
giornali hanno inutilmente
cercato di ottenere nei mesi
scorsi) "pericolosa" per il
prosieguo del Campionato e
addirittura "illegale": non si
può sostenere, come fa
l'avvocato Pisani, che Panorama
"avrebbe dovuto dedicare la
stessa attenzione e quindi le
stesse pagine alle famiglie
della vittima ed invece tutto
ciò non è stato fatto. C'è una
disparità di trattamento e
un'intervista illegale". Nei
confronti della vittima e del
dolore della sua famiglia
abbiamo espresso e scritto
parole chiarissime com'era
giusto e ovvio. Ma la prima
intervista a De Santis è di per
sé un fatto giornalisticamente
rilevante, ascoltare la sua
versione dei fatti è addirittura
un dovere per chi fa giornalismo
e ha l'obbligo di sentire tutte
le parti in causa. Panorama non
ha sposato le tesi di De Santis,
non ha condotto un'operazione di
disinformazione. Al contrario:
ha correttamente interpretato la
missione che ogni giornalista
deve avere riportando fedelmente
il pensiero di una delle parti
in causa. Se la magistratura
riterrà di approfondire le
modalità di concessione
dell'intervista, troverà come
sempre in Panorama un
interlocutore disponibile a
fornire tutti gli elementi
necessari. Ciò che non sarà mai
accettato da Panorama è la
censura o, peggio,
l'autocensura.
16
gennaio 2015
Fonte:
Panorama.it
© Fotografia:
Corriere.it
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