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Ciro Esposito 3.05.2014 Altri Articoli
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CIRO VIVE Onlus

Lo Stato nel pallone, via i vertici del calcio

di Roberto Saviano

Lo scrittore commenta i fatti di Napoli-Fiorentina di Coppa Italia, con lo stadio in balia dei tifosi.

Le vicende accadute allo Stadio Olimpico - dentro e fuori - hanno dell'incredibile, e non semplicemente per il grado di violenza raggiunto. Genny 'a carogna è diventato il simbolo mediatico di Napoli-Fiorentina per il suo soprannome buffo e feroce, per le foto che lo ritraggono cavalcioni sulle transenne dello stadio, che ricordano le immagini di Ivan Bogdanov, detto "Ivan il Terribile", l'ultrà serbo che a Marassi il 12 ottobre 2010 guidò gli scontri che portarono all'interruzione di Italia-Serbia. Ma la fama di Genny 'a carogna dipende da altro: è lui che ha evitato una vera e propria rivolta dopo la sparatoria fuori dall'Olimpico. C'è tutta una parte di società civile e di istituzioni che è stata letteralmente salvata dalle decisioni di Genny 'a carogna. Perché la diffusione delle notizie avrebbe potuto far insorgere la tifoseria mettendo a ferro e fuoco una Roma impreparata. Il questore di Roma, Massimo Mazza, dice che non c'è stata trattativa. È ovvio che formalmente non è stato chiesto a Genny 'a carogna se svolgere o meno la partita ma che semplicemente è stato accordato a Marek Hamsik il permesso di informare la curva del Napoli sulla situazione del tifoso ferito, visto che giravano voci che fosse morto. E dover avvertire un capo ultras del calibro di Genny 'a carogna non è trattare ? Come se ciò non bastasse, Genny 'a carogna non sarebbe solo un uomo che ha precedenti per droga e un Daspo, ma è segnalato più volte dai pentiti come una sorta di anello di congiunzione tra camorra e tifoseria. Emiliano Zapata Misso, che è nipote di Giuseppe Misso, capo storico della camorra napoletana, parla di una tifoseria eterodiretta dai clan e fa riferimento proprio a Genny, che è figlio di Ciro De Tommaso, ritenuto affiliato al clan Misso. E in passato Genny aveva fatto parte dei Mastifss, i mastini, storico gruppo napoletano. D'improvviso ora ci si accorge che nelle tifoserie organizzate la camorra ha un ruolo importante. Eppure basta leggere le inchieste degli ultimi anni, le dichiarazioni dei pentiti. Testimonianze che parlano di un altro gruppo ultrà chiamato Rione Sanità, comandato da Gianluca De Marino, non un tifoso qualsiasi, ma il fratello di un membro dell'ala militare del clan Misso. E potremmo raccontare ancora dei rapporti tra il gruppo Masseria Cardone e il clan Licciardi, o dell'infiltrazione dei Mazzarella nei Fedayn o nelle Teste matte. Secondo le forze dell'ordine, a sparare a Ciro Esposito, il trentenne di Scampia ora in pericolo di vita, sarebbe stato un ultrà della Roma, Daniele De Santis, detto Gastone.

Le tifoserie romane e laziali non sono libere da pressioni criminali, tutt'altro. Non esiste curva che non raccolga un tifo organizzato in continua dialettica con la criminalità. Ricordate la scena del nipote di Giuseppe Morabito "U Tiradrittu", Giuseppe Sculli, durante la partita Genoa-Siena del 22 aprile 2012 ? Quando gli ultras del Genoa, per protesta, chiesero ai giocatori di levarsi le magliette, fu Sculli in persona ad andare a mediare con loro. Giuseppe Sculli viene spesso considerato vittima del nonno, capo 'ndranghetista indiscusso, ma in realtà non ha mai preso le distanze dalle 'ndrine di San Luca, anzi, ha ribadito in diverse occasioni la fedeltà a suo nonno e al suo sangue. Due anni prima fece discutere la fotografia che ritraeva Antonio Lo Russo, figlio di Salvatore, capo dell'omonimo clan camorristico, a bordo campo al San Paolo di Napoli nel corso della partita Napoli-Fiorentina del 13 marzo 2010. Lo Russo è appena stato arrestato a Nizza, era latitante e ora attende l'estradizione. Quindi non stupiamoci se si è scelto di andare a parlare (o a trattare, la sostanza cambia poco) con chi ha più potere delle istituzioni in quel contesto, perché ha una struttura organizzata. Lo Stato c'era, ma era nascosto dietro le spalle di Hamsik. Il calcio è intoccabile, ogni critica genera tifo, non analisi. Qualsiasi riferimento sembra essere contro una squadra o a favore di un'altra. Ma gli ultras sono molto più che persone talvolta violente: hanno un ruolo di consenso e di business. Una parte della tifoseria organizzata fa sacrifici e si svena per seguire i propri idoli, ma i vertici cosa fanno ? Chi vende hashish, erba e coca ? Ogni domenica gli stadi diventano mercati di droga, teatri di guerra non controllati in cui gli ultras portano bombe carta e bengala. Eppure questo non si può dire, per la solita, ingenua storia che continuiamo a raccontarci sul calcio che unisce. Al calcio tutto è concesso e tutto è permesso e in un Paese dove la corruzione ha travolto tutto. L'inchiesta partita da Napoli di Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice cercò proprio di individuare i punti di contatto tra calcio corrotto e potere dei clan. Poi tutto si fermò. Ora, gli ultras dello sport sono i primi ad agire: ma cosa succederà quando gli ultras della rabbia politica si riverseranno nelle strade ? Ci si rivolgerà al Genny 'a carogna della situazione per non far accadere il peggio ? Il presidente del Senato Pietro Grasso che consegnava le medaglie ha suggellato il senso della serata. Una sparatoria, feriti, bombe carta su calciatori e forze dell'ordine. E le istituzioni consegnano medaglie. Sapete come si chiama, ad esempio, il presidente della Figc, quell'organo che un ruolo nella riforma del calcio pure avrebbe dovuto averlo ? Forse non ne conoscete il nome, ma il volto sì, poiché predilige essere intervistato al termine delle partite della nazionale: nei momenti fatui. Giancarlo Abete, nominato presidente della Figc il 2 aprile 2007, due mesi dopo la morte di Filippo Raciti a Catania. Da allora sono passati sette anni, un'eternità. Nulla è cambiato e ciò che è accaduto descrive lo stato comatoso dello sport più importante in Italia. Perché c'è bisogno di un presidente della Figc se il risultato è questo ? Perché, come sempre in Italia, i vertici non hanno alcuna responsabilità dei fallimenti ? Chiedetevi chi è Giancarlo Abete e quali sono stati i risultati del suo lavoro. Altrimenti De André avrà per sempre ragione e continueremo ad assistere inermi all'ennesima occasione in cui lo "Stato si costerna, si indigna e si impegna, poi getta la spugna con gran dignità.

5 maggio 2014

Fonte: Repubblica.it

© Fotografie: Cirovive.it - Huffingtonpost.it - Tg24.sky.it - Sport.sky.it

L'avvocato di Maradona

"Papa Francesco benedirà la mamma che ha perdonato"

Ha saputo della sparatoria di Tor di Quinto e di quel trentenne napoletano che le radio davano in fin di vita, a Milano dopo aver accompagnato il "Pibe de oro" a Dubai. Angelo Pisani, avvocato di Maradona, angelo custode di un campione alle prese coi guai per Equitalia, non ci ha pensato due volte. Ieri pomeriggio era già a Roma al Gemelli. Al capezzale di Ciro Esposito "per aiutare la famiglia di un bravo ragazzo che si spacca la schiena e ha i calli sotto le mani a forza di lavare auto". Da questo momento in poi sarà lui, Esposito il legale del tifoso biancoazzurro e lo sarà con l'appoggio di tutta la camera penale di Napoli.

Avvocato, è stato il richiamo d'amore per la stessa maglia a farle prendere la decisione ?

"Certo, tifo Napoli e di Scampia, dove vive Ciro, sono il presidente della municipalità. Ma questo c'entra fino a un certo punto. Ho accettato per la madre Antonella, per l'appello accorato e dignitoso che ha lanciato "Qualcuno ci aiuti, non abbiamo i soldi per affrontare una causa". Una gran donna: ha già perdonato chi ha sparato a suo figlio. Solo per questo va sostenuta e spero tanto che la chiami il Papa. E guardi, sono quasi certo che papa Francesco lo farà".

Un figlio, vittima di una storia allucinante, ma che da ieri è piantonato in ospedale. L' accusa è rissa.

"La notizia la so dai media e al momento nessun provvedimento di arresto è stato notificato. In più non abbiamo ancora acquisito le carte, i video. Non sappiamo quali reati si ipotizzano contro di lui. Ma una cosa è certa. Prima di accettare l'incarico abbiamo preso informazioni: la famiglia del ragazzo è una famiglia per bene, di gran lavoratori. Gli zii sono ex consiglieri comunali del Pd. Sono tutti qui al Gemelli insieme ai genitori, al fratello e alla fidanzata di Ciro. E comunque... I responsabili sono altri".

Qualcuno oltre a chi ha sparato ?

"Sicuro. L'ordine pubblico è stato organizzato male. Ciro è arrivato in auto da Napoli. L'ha lasciata a Saxa Rubra, così come sono stati costretti gli alti tifosi. E si è incamminato a piedi verso l'Olimpico. Nessuno a scortarli. È mai possibile far passare dei tifosi napoletani davanti a quel chiosco di romanisti ? Qual è la logica ? Le vittime in tutta questa brutta storia sono tre: il Napoli, lo sport e il povero Ciro".

È riuscito a vederlo ? Come sta ?

"Cerca di muovere le palpebre. Ma non parla. È intubato e lotta per sopravvivere in un letto della rianimazione".

È vero che molti tifosi laziali sono venuti al Policlinico e hanno dato sostegno alla famiglia ?

"Sì hanno pagato la prima notte in albergo ai genitori. E una persona, che non è né della Lazio né della Roma metterà la sua casa a disposizione della famiglia per tutto maggio".

Ha commentato con la "Mano di Dio", l’altro suo assistito, quanto è accaduto fuori dall’ Olimpico ?

"Ancora no. So che ripartiva per l'Argentina. Ma sarà super informato. Del resto, le immagini hanno fatto il giro del mondo. E già mi sembra di sentirlo: "Questo non è il calcio di Maradona".

6 maggio 2014

Fonte: La Repubblica

© Fotografia: Angelopisani.it

Ultras, la verità sulla "trattativa" nella relazione degli "007" di Palazzi sul campo

Porta in calce la firma degli avvocati Giorgio Ricciardi, Paolo Mormando e Antonella Arpini, la Relazione della Procura federale della Figc che è ora nelle mani dei magistrati romani per capire se vi è stata trattativa o meno fra il capitano del Napoli, Marek Hamsik e il capo degli ultras dei Mastiffs, Gennaro De Tommaso, Genny ‘a carogna prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina, sabato scorso. Erano loro tre, incaricati da Palazzi del controllo gara sul match, che in quei lunghissimi minuti concitati e drammatici, si trovavano lì sotto la curva Nord dell’Olimpico, accanto ad Hamsik e a De Tommaso, mentre tutto lo stadio attendeva l’esito del colloquio fra il capitano della squadra partenopea e il capo tifoso. Non solo. Sugli spalti, ma in veste non ufficiale, c’erano anche altri due 007 di Palazzi che potrebbero aver udito nettamente le parole che si sono scambiati Hamsik e De Tommaso e potrebbero, anche loro, essere chiamati, nei prossimi giorni, dai magistrati romani a ricostruire lo scambio di battute per capire, in definitiva, se lo Stato si è piegato al ricatto di Genny ‘a carogna o meno. La relazione scritta dai tre ripercorre lo svolgersi degli eventi citando anche il momento in cui, negli spogliatoi, fra le 20 e 15 e le 20 e 30, prima dell’inizio del match e del confronto fra Hamsik e De Tommaso, si incontrano i tre responsabili del controllo gara, Ricciardi, Mormando e Arpini e l’arbitro e si decide, in quel momento, che la partita verrà giocata comunque. Dunque si era già deciso di giocare, durante la fase di preparazione, ben prima del colloquio fra Hamsik e De Tommaso. Poco dopo avviene il colloquio incriminato, una sorta di "comunicazione" a Genny ‘a carogna per far sapere che il tifoso del Napoli ferito a colpi di pistola non era morto, come si andava sostenendo fra gli ultras in una sorta di tam sugli spalti. La "comunicazione" avviene per depotenziare il clima che si stava surriscaldando fra i più esagitati e che rischiava di esplodere con atti di violenza incontrollabili. Per questo si decide di far spiegare direttamente dal capitano del Napoli ai tifosi la verità sull’agguato a colpi di pistola avvenuto poco prima in via Tor di Quinto da parte dell’ultrà della Roma, Daniele De Santis, contro i supporter del Napoli che stavano transitando in quel momento sulla grande strada alberata che porta all’Olimpico e che passa accanto ad una delle caserme più grandi dell’Arma. Lo scambio di parole fra Hamsik e Gennaro ‘a carogna, cristallizzate nel loro rapporto dai tre incaricati di Palazzi di seguire il controllo gara per conto della Procura Federale della Figc, racconta del capitano partenopeo che dice al capo ultrà: "con un tifoso morto non avremmo mai giocato, ma ci hanno assicurato che le cose non stanno così". Gennaro ‘a carogna sembra dubitare e, quindi, avverte Hamsik di non mentire. Il giocatore di rimando: "Ci sto mettendo la faccia. Sì, c’è un ferito, ma non per un agguato tra tifoserie". A quel punto il capo dei Mastiffs alza il pollice verso la curva. Poi, rivolto al suo interlocutore: "Allora okay, ci metto la faccia anche io.

Tanto tutti sappiamo chi siamo e dove siamo". Una frase, questa, che potrebbe suonare come un’intimidazione e, come tale, essere valutata dalla Procura romana. Ma che, comunque, non rappresenterebbe un elemento per sostenere che vi sia stata una trattativa. E, d’altra parte, è la stessa ricostruzione che fa anche lo zio del tifoso ferito sollecitando Hamsik a rivelare cosa è veramente avvenuto sotto la curva e a dire "la verità": "Non c’è stata trattativa tra forze dell’ordine ed ultrà del Napoli - sostiene lo zio di Ciro Esposito, Vincenzo - Chiedo ad Hamsik di spiegarlo. Girava voce che Ciro fosse arrivato morto in ospedale. Hamsik ha detto ai tifosi che non era morto, ma in fin di vita, e gli ultrà hanno risposto che non avrebbero fatto il tifo durante la gara e gli hanno chiesto di dire ai tifosi della Fiorentina di rispettare il loro dolore". Intanto si definisce la posizione dello sparatore, l’ultrà della Roma, Daniele De Santis. Secondo il gip romano, Giacomo Ebner, che ha convalidato l’arresto in carcere, De Santis, mostra una "natura incontenibile e specialmente violenta" e "la comprovata incapacità a misurare la gravità delle proprie azioni". Riferendosi a De Santis il giudice scrive, inoltre, che presenta "un generale atteggiamento di sfida nei confronti dell’ordinamento e delle sue regole", un comportamento che fonda, nel giudice, "il convincimento che ogni altra misura, al di fuori della custodia cautelare in carcere, risulti inadeguata". Per il gip la misura cautelare in carcere è legata all’esigenza di evitare che "possano essere commessi reati dello stesso tipo di quello contestato" e per la "violenza della condotta, la futilità dei motivi dell’azione, l’assoluta mancanza di controllo e la totale incapacità di ponderazione della misura e del senso del pericolo per sé e per gli altri". Il giudice, infine, fa riferimento alla "manifesta tendenza" di De Santis a farsi "giustizia da sé e i gravi, reiterati e specifici precedenti penali e carichi pendenti". Quanto all’azione vera e propria, il gip, citando la testimonianza di un testimone, un tifoso del Napoli, sottolinea che, "allo stato della documentazione in atti, si ritiene individuato in De Santis l’autore dei colpi d’arma da fuoco". "Attendibile - scrive il gip Giacomo Ebner - appare la dichiarazione del testimone il quale riferiva di aver visto con certezza la scena e di essere sicuro che l’uomo che aveva sparato era lo stesso che veniva picchiato dai tifosi del Napoli e che veniva poi identificato in Daniele De Santis". Lo stesso testimone parla inoltre di altre tre persone presenti sulla scena degli incidenti e che indossavano il casco. Dagli interrogatori di garanzia di ieri, ricorda il giudice, "è emerso che Ciro Esposito era accanto ad Alfonso Esposito quando quest’ultimo si è posto all’inseguimento di De Santis per regolare i conti", dopo che l’ex-ultrà della Roma aveva provocato i tifosi napoletani lanciando fumogeni contro i pullman che li stavano trasportando allo stadio. Il drammatico pre-partita del match di sabato scorso ha indotto ora il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, a rivedere l’organizzazione del prossimo delicatissimo incontro Roma-Juve: la partita verrà anticipata, si farà di pomeriggio. Quanto all’orario, Pecoraro, ha detto di non saperlo ancora, dovrà prima confrontarsi con il questore.

8 maggio 2014

Fonte: Secoloditalia.it

© Fotografie: Huffingtonpost.it - Lastampa.it - Napolitime.it

Quando il calcio diventa una bestemmia

di Claudio Cafasso

Gli editoriali di VCB - Avremmo preferito non scriverlo questo pezzo, ne avevamo parlato in redazione e speravamo che Ciro Esposito ce la facesse. Ci rifiutavamo di pensare che il calcio potesse mietere l’ennesima vittima. Invece no, maledette complicazioni, maledetti cinquanta giorni di speranze smorzate, maledetto tutto. No, questa non ci voleva davvero, ma non ce ne frega nulla del calcio stavolta, c’è talmente dolore in quest’assurda vicenda da togliere il fiato perfino a chi non s’interessa di pallone e soprattutto di pallonate come questa. Perché la scomparsa d’un ragazzo - che scavalca di gran lunga l’essere tifosi, l’essere gente di parte, fanatici del football o semplici astanti che scattano selfie a più non posso pur di dire "io c’ero" - è come una pallonata in faccia, di quelle che fanno male e lasciano il segno. Che colpa ha una partita di calcio ? Quella di non saper essere organizzata nei minimi dettagli. Sempre, a ogni latitudine. Pure la partitella fra amici, la più classica delle scapoli-ammogliati… Quante volte manca qualcuno per fare una squadra ? Quello che sta male, quello che non riesce a scappare dal lavoro e quello che domattina si deve alzare presto. Poi cambia la scena e mancano i bus per accompagnare le squadrette di eccellenza o gli juniores in trasferta, e gli arbitri di prima categoria che fischiano per sbarcare il lunario e i genitori a inveire contro l’arbitro. Poi cambia ancora lo scenario, fra chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, club gestiti da traffichini, novelli Zeman in panchina e pseudo funamboli del pallone capaci di giurare che "senza quell’infortunio lì… adesso starei in serie A". E genitori che sognano un futuro da Paperoni preferendo per i figli la conquista di una classifica cannonieri più d’una buona pagella; e mamme ornai abituate a dar del cornuto al direttore di gara pure mentre parlottano al mercato davanti a insalatine e mele ranette. Che bestemmia il calcio, tutto fa parte del gioco, perfino i rigori non dati in serie A, i falli degli stopper e le volate lungo la fascia delle ali, e financo il morso di Luis Suarez, e chissà chi se lo ricorda che con l’Inter d’inizio anni Sessanta c’era uno che aveva lo stesso nome e lo stesso carisma senza bisogno di immedesimarsi nella macchietta di Hannibal the cannibal… Si è dimesso il presidente della Federcalcio, ma non per la morte di Ciro Esposito. L’ha fatto per una cocente sconfitta della nostra nazionale, al secondo mondiale di fila che ci ha visto protagonisti negativi neanche fossimo la nazionale della Patagonia, dove il calcio è rappresentato solo dal sogno d’averci giocato l’inesistente Mondiale del 1942. Povero Ciro, povera famiglia.

25 giugno 2014

Fonte: Vignaclarablog.it

© Fotografia: Roma.Corriere.it

Giustizia senza violenza

di Fabrizio Giustino

Ciro Esposito, ci sono nomi più napoletani di questo ? Oggi la città piange l'ennesima morte di un suo giovane innocente, il cui unico desiderio era di andare ad assistere a una partita di calcio della sua squadra. Ciro non era un eroe, come è scritto sullo striscione di Scampia, non era un ultrà, come lo definisce la stampa del Nord. Non c'è bisogno di essere eroi per avere il diritto di vivere e non c'è bisogno di essere ultrà per spiegare una morte che non ha giustificazioni. Ciro è morto nelle stesse ore in cui la Nazionale toccava uno dei punti più bassi della sua storia. È stato detto, giustamente, che mai come ora ci sono le condizioni per affondare le mani nel mondo del calcio e rifondarlo. Ma temiamo che restino solo parole. Sono anni che vediamo le curve governate dai delinquenti; che negli impianti entra di tutto, ogni tipo di droga e vere e proprie bombe a mano; che si vendono fuori degli stadi magliette e sciarpe contraffatte, già di per sé fuori legge, con slogan violenti e volgari contro le squadre avversarie. Certo, quello del calcio non è un mondo separato, con la droga, le armi, la delinquenza facciamo i conti tutti i giorni. Non possiamo cambiare il sistema e sarebbe ingenuo pensare che il mondo del calcio, scommesse e affari sporchi compresi, possa cambiare solo per effetto delle buone intenzioni. Possiamo però contare sull'etica utilitaristica, sulla salvaguardia degli interessi: se si vuole arrestare il declino del calcio italiano, certificato da un dossier della Figc, bisogna cominciare dalla base, anche dall'educazione dei giovani giocatori e dei tifosi alla lealtà, al rispetto delle regole e dell'avversario. Ora attendiamo che venga resa giustizia a Ciro Esposito e vengano accertate, su ciò che è accaduto il 3 maggio a Roma, tutte le responsabilità: dell'assassino, dei complici e di chi era responsabile dell'ordine pubblico. E meditiamo in silenzio sulle parole della madre: "Nel nome di Ciro, basta con la violenza". Se il mondo, anche quello del calcio, fosse governato dalle madri e da chi ha conosciuto il dolore vero, sarebbe sicuramente un mondo migliore.

27 giugno 2014

Fonte: La Repubblica

© Fotografia: Napolimagazine.com

FUNERALE CIRO ESPOSITO

"Io sono morto, ma tu per che cosa vivi ?"

di Maddalena Bertolini

Ieri si sono svolti a Scampia (Napoli) i funerali di Ciro Esposito, l’ultrà del Napoli colpito da un proiettile prima della finale di Coppa Italia del 3 maggio scorso.

Il funerale non è una cerimonia che serve ai morti, il rito si celebra per i vivi: gli psicologi ci possono rivelare molti risvolti, le numerose implicazioni e le conseguenze che però riguardano i viventi, coloro che dicono addio al defunto, in modi diversi secondo le più diverse culture. Spesso gli antropologi studiano i rituali funebri per identificare un popolo, e certamente, da come un essere umano viene ultimamente accompagnato, si capisce la sua importanza sociale, economica, culturale; se la morte è uguale per tutti, ogni funerale è diverso. Ciro Esposito ieri ha avuto il suo funerale; assolutamente speciale. Napoli, in particolare il quartiere di Scampia, era da tempi immemorabili che non vedeva una tale folla, una così grande partecipazione, corale, sentita. Pur essendoci molte autorità, queste non hanno contato più di tanto, i protagonisti sono stati tutti i suoi amici, la fidanzata, la madre in particolare, e soprattutto le diverse tifoserie riunitesi in piazza che addirittura per l’occasione è stata ribattezzata "piazza Ciro Esposito" con tanto di porta-insegna. La bara era letteralmente nascosta dalle sciarpe, dalle maglie, dai simboli delle tifoserie, portata a spalla sembrava galleggiare sul mare delle teste, ondose, piene di pensieri inquietanti. Numerosissimi gli appelli alla calma, alla pace, all’amore. Frasi molto belle sono state pronunciate alla fine del rito evangelico, breve funzione che prevede proprio le testimonianze-ricordo del caro perduto, come nei telefilm americani. Ma il cantante Nino D’Angelo e Genny a ‘carogna non sono certo dentro certi sceneggiati. Non è mancato neanche il twitter di Roberto Saviano che recita testualmente: "Dolore infinito. E vergogna. Abete si dimette per la sconfitta della nazionale e non per i fatti di Roma". Vedendo i funerali di Ciro non ho potuto far a meno di pensare se anche quelli di Masaniello sono stati tali: la parola "eroe" è stata pronunciata molte volte, anche quella di "martire" o "difensore di innocenti". Tali innocenti sono tifosi del Napoli, non vedove e orfani, né il popolo oppresso. Ma forse, per certi aspetti, è così. Si sentono i napoletani di Scampia un popolo oppresso ? Davvero davanti a tanta sollevazione e emozione popolare possiamo solo vederci un tifoso ucciso, barbaramente, colpito alle spalle, intenzionalmente, durante una rissa… Sono pur sempre inquietanti tutti quei richiami alla calma, quasi si temessero vendette odiose, gli appelli alla pace e all’amore, significa che ce n’è davvero tanto bisogno, e infine il trasferimento del presunto colpevole in una struttura diversa, guardato a vista. Ma se avessero ammazzato un poliziotto, giovane, sposato, magari con bambini piccoli, nello svolgimento del suo dovere cioè nel servizio di difesa dei cittadini che lui ha giurato di fare dedicando loro la vita, ci sarebbe stata tale partecipazione ? O chiunque altro, fate voi… Tutto questo dolore è per Ciro, solo per Ciro, o per quello che lui rappresenta ? Se sì, cosa rappresenta ? Il calcio ? Il suo marciume, la sua sconfitta ? Cosa rappresenta il calcio davvero: sportività, lealtà, gioco, divertimento ? Altro ? E perché, se il Calcio con la maiuscola ha fallito, hanno ricoperto la bara di Ciro con i suoi simboli ? Si può dire allora che il calcio, anzi, la fede calcistica (la squadra del cuore, i compagni ultrà, i cori, gli amici, metteteci quello che volete) è questione di vita o di morte: per essa vale la pena di morire, vale la pena vivere. Entrambe affermazioni stupide, me ne assumo la responsabilità. Chiunque viva esclusivamente per la sua squadra di calcio, ha un ben vivere misero; mi spiace, credo che il vero amore sia altro, abbia bisogno di altro, magari di una donna, innamorata anche lei. Dare la vita per la squadra, cioè mettere la propria vita a rischio, la propria e quella degli altri (non intendo riferirmi a Ciro, sia chiaro, ma a chi porta coltelli, mazze, bottiglie incendiarie, pistole, alle partite) è peggio che stupido, spero siate d’accordo. Eppure succede. Perché ? Verrebbe da dire: non hanno di meglio da fare ? Non ci sono ideali migliori per cui combattere, metaforicamente parlando ? Non ci sono altri valori da amare, più profondi, più reali, più veri ? Anche se la Nazionale ha perso, non smettiamo di lavorare, di crescere i figli, di sperare in un futuro migliore; ma forse, ci sentiamo meno fieri di essere italiani ? Ci sentiamo traditi ? Chiedo scusa per tutte queste domande, il dolore spesso provoca domande, fa affiorare dubbi che vanno oltre i sentimenti e le emozioni. È in questo modo che il dolore smuove la ragione, chiede, anzi pretende a chi resta di essere consapevole, responsabile, cioè in grado (o almeno in cerca) di dare una risposta. È come se Ciro ci guardasse in faccia e ci dicesse: io sono morto, ma tu, per cosa, per chi ancora vivi ?

28 giugno 2014

Fonte: Ilsussidiario.net

© Fotografia: Napolipiu.it

Il tormento di Simona

"Spero che il sacrificio non sia stato inutile"

di Antonio Di Costanzo

"Ho paura che il sacrificio di Ciro non basti. Spero che non sia stato inutile, ma temo che non servirà a cambiare le cose. Le istituzioni devono fare molto di più perché c'è troppa violenza".

La pensa così Simona Rainone, 25 anni, fidanzata di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli morto dopo 55 giorni di agonia. La ragazza durante i funerali del ventinovenne ha chiesto che la "violenza fosse seppellita per non uccidere di nuovo Ciro". Una speranza portata avanti con determinazione da tutta la famiglia Esposito che ha affrontato il lutto con estrema compostezza. "Ciro si è sacrificato per difendere delle persone aggredite - ribadisce Simona - si è sacrificato per gli altri. Lui è il vero simbolo, lui è l'unico esempio da seguire. Eppure all'inizio qualcuno ha provato a infangare il suo nome. Subito dopo il ferimento qualcuno provò a far credere che era un ultrà, un delinquente. E solo perché era di Napoli e per di più viveva a Scampia. Poi la verità è venuta fuori: Ciro era un bravo ragazzo. E questo nessuno lo potrà negare". Simona ricorda alcuni momenti di quel maledetto 3 maggio. "Era andato a Roma per vedere la finale di Coppa Italia. Ciro era tifosissimo del Napoli, io, invece, non sono mai andata a vedere una partita. Non mi piace l'ambiente dello stadio. Glielo dicevo e su questo argomento litigavamo. Quel giorno lo chiamai e lui mi rispose che aveva appena parcheggiato. Un'ora dopo telefonò suo cugino: "Hanno sparato a Ciro", mi disse. Fu tremendo. Da quel giorno la mia vita è completamente cambiata. Ci dovevamo sposare, adesso devo mettermi subito a cercare un lavoro". Intanto, proprio a Scampia, si sono vissuti momenti di forte tensione e si è temuto il linciaggio di alcuni nomadi, quasi a sancire che la "pace" è terminata ad appena 24 ore del commovente funerale. Colpa di un'auto in fuga che per sfuggire ai carabinieri non ha esitato a speronare le "macchine" che si trovavano davanti e persino la gazzella che inseguiva. A bordo c'erano cinque nomadi, i militari hanno provato a fermarli sull'asse mediano all'altezza dello svincolo di Casoria. I nomadi hanno tentato la fuga provocando persino il ribaltamento di un'auto che hanno incrociato, il cui conducente è finito in ospedale per farsi medicare una ferita e una contusione al capo. Alla fine la caccia all'uomo si è conclusa in piena Scampia all'incrocio tra via Galimberti e via Labriola, davanti a una Vela. Qui i fuggitivi hanno speronato anche la gazzella dei militari. I carabinieri hanno esploso alcuni colpi in aria a scopo intimidatorio, mentre i cinque hanno tentato di allontanarsi a piedi. In quattro sono stati bloccati immediatamente, mentre un quinto membro della banda ha cercato di rifugiarsi all'interno della Vela. Dalle case vicine si sono riversate in strada decine di persone preoccupate per quanto stava accadendo. Si è diffusa anche la voce, per fortuna dimostratasi del tutto infondata, che i nomadi avessero investito un ragazzino della zona. Tanto che qualcuno tra la folla ha proposto di organizzare una missione punitiva nel campo rom, mentre la folla inferocita si è scagliata contro l'uomo che si era rifugiato nel condominio. Fasi concitate e l'incubo che avvenisse un linciaggio. Il pronto intervento delle forze dell'ordine ha chiarito la vera dinamica della vicenda ed è servito a tranquillizzare gli animi. Il tutto è avvenuto a pochi metri da dove venerdì si sono celebrati i funerali di Ciro. Tra l'altro proprio sul luogo dello scontro tre le due auto c'è un grande manifesto con il volto del giovane tifoso ucciso. C'è scritto: "Scampia ha perso un altro dei suoi figli".

Nell'auto, sprovvista di tagliando assicurativo, i carabinieri hanno trovato alcuni salumi e della carne congelata. Non si esclude che possa essere parte del bottino di un furto in una casa. Anche ieri, intanto, moltissime persone sono andate a casa della famiglia Esposito per portare il proprio cordoglio. "Il nostro è il dolore vero di un quartiere - dice Vincenzo Esposito, zio di Ciro - ma anche di tutta la città. In questi giorni il Vomero si è unito a Scampia. Ora non dobbiamo disperdere questo patrimonio di dignità. Non ci deve essere desiderio di vendetta, ma soltanto voglia di giustizia. Chi invoca vendetta in nome di Ciro non fa altro che tradire il suo sacrificio. Abbiamo dimostrato il vero volto di Scampia, dove abitano brave persone. Abbiamo demolito uno stereotipo". Torna a parlare della vicenda anche Angelo Pisani, avvocato della famiglia Esposito e presidente dell'ottava municipalità. "Piazza Grandi eventi - annuncia Pisani - resterà piazza Ciro Esposito come recita la targa in marmo sistemata al posto di quella ufficiale dagli amici del ragazzo morto per una partita di calcio. Anche il Comune non è intenzionato a ripristinare la vecchia denominazione. Insomma, ormai Piazza Grandi eventi è diventata Piazza Ciro Esposito, anche se il cambio di toponomastica non è ancora stato ufficializzato. "Scampia ha risposto, ma la politica è assente e colpevole - aggiunge Pisani - De Laurentiis e de Magistris hanno dato la loro partecipazione e ne siamo stati onorati, ma le altre istituzioni dove sono ? La gente voleva i ministri, ma non sono venuti". Chiede più attenzione per il quartiere Ciro Esposito, consigliere municipale, omonimo del ragazzo morto: "Bisogno fare di più per le periferie abbandonate". Gli amici di Ciro lanciano anche un appello a non abbandonare Giovanni e Antonella, i genitori dello sfortunato ragazzo ucciso: "Per loro - ripetono più voci - adesso inizia la fase più delicata e dovranno metabolizzare che il figlio non c'è più". La pensa così anche Maria Puddù: "Sono ormai diventata amica della famiglia. Tutti dobbiamo tenere alta l'attenzione, non vorrei che tra un mese venissero dimenticati".

29 giugno 2014

Fonte: La Repubblica

© Fotografie: Corrieredelmezzogiorno.corriere.it - Panorama.it - Ilfattoquotidiano.it

"Ciro Esposito, ragazzo di Scampia"

Viaggio in un mondo che non fa notizia

di Luca Monaco e Lorenzo D'albergo

Lo zio sociologo del tifoso morto dopo i tragici fatti della finale di coppa Italia, ripropone in un libro (Dante&Descartes) l'analisi dei fatti, sullo sfondo del mondo ultrà e dei media, nella speranza che nella Napoli lontana dai salotto del potere qualcosa possa veramente cambiare.

"La vicenda che ha portato alla morte di Ciro ha generato una catarsi. Scampia e Napoli sono divenute un tutt'uno, scrollandosi di dosso luoghi comuni e vittimismo. Ma a differenza della cittadinanza, continua a esserci una fetta della nostra politica che non riesce ad identificarsi con l'anima vera di questa città, non riesce a essere classe dirigente". La notte è appena calata sul piazzale che porta il nome di Ciro, all'ombra delle Vele. Vincenzo Esposito si sfila la cravatta di Marinella indossata per il rito collettivo dei funerali, accende il pc e inizia a scrivere. La riflessione a caldo sulla scelta dei consiglieri comunali che proprio nel giorno del lutto non seppero rinunciare alla festa organizzata a Palazzo Reale per i 100 anni del Re delle cravatte, diventa il punto di partenza per un libro sull'omicidio di Coppa Italia. In "Ciro Esposito, ragazzo di Scampia" (Dante&Descartes, 133 pagine, 10 euro) "lo zio Enzo", come lo chiamano nel quartiere, non ripercorre solo la tragica vicenda familiare. "Qui - spiega l'autore - la mia figura di sociologo si sovrappone a quella di semplice parente della vittima e inizia un percorso di analisi degli avvenimenti oltre che del panorama ultrà italiano". Vincenzo lo fa selezionando 24 articoli pubblicati nel corso dei 53 giorni di agonia del 29enne. Ci sono, tra gli altri, i contributi di Erri De Luca, Aldo Masullo, Luigi de Magistris, Luca di Bartolomei (figlio dell'indimenticato capitano della Roma suicida nel 1994), del cardinale Crescenzio Sepe. Punti di vista diversi per provare a fare luce sui tanti aspetti che questa storia racchiude, a partire proprio dal corto circuito dei media, che nell'immediatezza della sparatoria, bollano l'aggressione come un regolamento di conti tra camorristi. Sarà pur vero che spacciano droga in qualche strada di Scampia. "Ma è meno offensivo dello spaccio di notizie false - scrive Erri De Luca nella prefazione - Ciro e i feriti con lui nell'attentato vengono piantonati in ospedale da uno Stato che non ha saputo difendere le loro vite e vuole farle passare per colpevoli. Solo la forza d'animo del quartiere prima, della città subito dopo, riesce a stracciare in faccia al mondo le carte false, a ristabilire la minima decenza della verità". Del covo dell'estrema destra lasciato inspiegabilmente scoperto dalle forze dell'ordine infatti si parlerà solo successivamente. Le aperture dei telegiornali sono dedicate a Jenny 'a carogna e al colloquio con Marek Hamsik. Il capo della Curva A lascerà lo stadio subito dopo il fischio d'inizio per raggiungere Ciro al policlinico Gemelli. Se ne accorgerà solo la famiglia Esposito. "Ai funerali - ricorda il giornalista del Mattino Pietro Treccagnoli - nella piazza dei Grandi Eventi del quartiere nord della città intitolata spontaneamente, senza passare per commissioni toponomastiche e con tanto di insegna di marmo, proprio a Ciro Esposito", Antonella e Simona invitano gli ultrà a "sotterrare la violenza". Ma chi sono questi ultrà ? Vincenzo non li conosce. E adesso che Ciro è morto per una stupida partita di pallone, i "fedeli alla tribù", per dirla con John King, decide di studiarli. Vuole parlare con loro. E allora prende l'auto e viaggia: Bergamo, Brescia, Firenze, Ancona. "Ho incontrato i duri e puri delle curve d'Italia - rileva - quando ho detto loro che dovevamo lottare contro la violenza mi hanno detto di evitare il buonismo. Allora ho cambiato prospettiva, ho cercato di comprendere le dinamiche del tifo. Mi sono reso conto che in una società come la nostra, nella quale prevalgono l'effimero e il vuoto, il tifo è diventato una delle poche forme di identità sociale rimaste, anzi la più importante. Identità territoriali che si sviluppano attraverso rituali che dobbiamo provare a capire se vogliamo risolvere. La repressione, da sola, non serve. Se vogliamo provare a debellare la violenza, dobbiamo condurre una battaglia per aprire gli stadi, renderli fruibili, prendere atto che la violenza è insita nel meccanismo simbolico che gli ultras si sono scelti, e bisogna ricollocarla in un sistema allegorico che neutralizzi le spinte violente usando gli stadi, trasformandoli di nuovo in un'arena simbolica". Al centro della trama del libro però, c'è Scampia. La sua componente migliore. "Che non fa notizia e non va in televisione - scrive Dario Del Porto di Repubblica - una Napoli lontana dai salotti e dal potere. Un mondo cresciuto proprio ai piedi delle Vele, le stesse dove un quarto di secolo fa Giovanni Paolo II invitò ad organizzare la speranza ma dove, da allora, poco o nulla è cambiato davvero". Eppure da quel maledetto 3 di maggio ha iniziato a soffiare una lieve brezza di cambiamento. "Io ho un sogno - dice ancora l'autore - che le ceneri di Ciro possano essere il nutrimento dal quale Scampia, Napoli, possano rinascere come l'Araba fenice e, come l'Araba fenice, affermare: "Dopo la morte torno ad alzarmi".

1 gennaio 2015

Fonte: Repubblica.it

© Fotografie: Ansa.it - Fondazionerrideluca.com

DOPO LA SENTENZA

Ciro Esposito e Daniele De Santis: storia di una vittima,

di un assassino e di un Paese senza giustizia

di Maurizio Zaccone

Pena ridotta in appello a 16 anni. Nessuna legittima difesa, nessuna ricostruzione astrusa. I Giudici hanno deciso proprio così: 16 anni per un omicidio volontario. In questa vicenda il tifo non c’entra nulla. Lo sport nemmeno. Questa è solo la storia di un assassino e di una vittima innocente. Di un criminale che ha assaltato un bus di tifosi con petardi e bombe carta armato di pistola e poi, inseguito, ha sparato. Ha ucciso. La storia di un uomo con una sfilza di Daspo. La storia di uno Stato incapace. Perché o questo soggetto è la più grande vittima di errori giudiziari della storia o c’è qualcosa che non va in questa giustizia. Fu già arrestato nel 1994 con l’accusa di aver preso parte al commando che prima della partita Brescia-Roma accoltellò l’allora vice questore di Brescia Giovanni Selmin, mentre una quindicina di agenti di polizia vennero ricoverati perché aggrediti con asce, bastoni e bombe carta. Si fece 30 giorni di carcere e poi fu assolto per non aver commesso il fatto. Tante scuse e un risarcimento di 3 milioni di lire. Nel 1996 De Santis fu poi arrestato con importanti esponenti del tifo romanista e dell’estremismo di destra per una storia di ricatti all’allora presidente giallorosso Franco Sensi, costretto a consegnare ai capo ultrà pacchetti di biglietti gratuiti sia per le partite all’Olimpico sia in trasferta. "Se non ci dai i biglietti facciamo lo sciopero del tifo, e allo stadio non ci verrà più nessuno. Oppure sfasciamo tutto, vedi un po’ se ti conviene". Ma anche in quel caso fu assolto, insieme a tutti gli altri. De Santis fu poi arrestato anche il 22 marzo del ’98 nei pressi dello stadio Romeno Menti, al termine della partita Vicenza-Roma. Con altri tre supporter giallorossi armato di spranghe danneggiò cinque vetture di alcune emittenti parcheggiate nel settore stampa. Se la cavò con 400 mila lire di ammenda. Nel 2004 indagato per aver fatto sospendere il derby capitolino con la falsa storia del bimbo ucciso da una volante della polizia, non fu mai processato perché il reato cadde in prescrizione. Nel maggio 2008, finale di Coppa Italia Roma-Inter fu arrestato con altri 4 per gli scontri che avvennero con le forze dell’ordine. Al processo 4 ultrà vennero condannati ed uno assolto. Non so chi dei 5, ma non ci sembra difficile immaginarlo… Adesso, per omicidio, pena ridotta a 16 anni. Che, come sottolineato dal nostro Sindaco De Magistris, con il nostro sistema "sarà libero tra cinque o sei anni". Ora lo spiegassero i Giudici alla famiglia di Ciro che una giustizia esiste. Perché qui nessuno se ne è accorto.

28 Giugno 2017

Fonte: Identitainsorgenti.com

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