Lo Stato nel pallone,
via i vertici del calcio
di Roberto Saviano
Lo scrittore commenta i
fatti di Napoli-Fiorentina di
Coppa Italia, con lo stadio in
balia dei tifosi.
Le
vicende accadute allo Stadio
Olimpico - dentro e fuori -
hanno dell'incredibile, e non
semplicemente per il grado di
violenza raggiunto. Genny 'a
carogna è diventato il simbolo
mediatico di Napoli-Fiorentina
per il suo soprannome buffo e
feroce, per le foto che lo
ritraggono cavalcioni sulle
transenne dello stadio, che
ricordano le immagini di Ivan
Bogdanov, detto "Ivan il
Terribile", l'ultrà serbo che a
Marassi il 12 ottobre 2010 guidò
gli scontri che portarono
all'interruzione di
Italia-Serbia. Ma la fama di
Genny 'a carogna dipende da
altro: è lui che ha evitato una
vera e propria rivolta dopo la
sparatoria fuori dall'Olimpico.
C'è tutta una parte di società
civile e di istituzioni che è
stata letteralmente salvata
dalle decisioni di Genny 'a
carogna. Perché la diffusione
delle notizie avrebbe potuto far
insorgere la tifoseria mettendo
a ferro e fuoco una Roma
impreparata. Il questore di
Roma, Massimo Mazza, dice che
non c'è stata trattativa. È
ovvio che formalmente non è
stato chiesto a Genny 'a carogna
se svolgere o meno la partita ma
che semplicemente è stato
accordato a Marek Hamsik il
permesso di informare la curva
del Napoli sulla situazione del
tifoso ferito, visto che
giravano voci che fosse morto. E
dover avvertire un capo ultras
del calibro di Genny 'a carogna
non è trattare ? Come se ciò non
bastasse, Genny 'a carogna non
sarebbe solo un uomo che ha
precedenti per droga e un Daspo,
ma è segnalato più volte dai
pentiti come una sorta di anello
di congiunzione tra camorra e
tifoseria. Emiliano Zapata
Misso, che è nipote di Giuseppe
Misso, capo storico della
camorra napoletana, parla di una
tifoseria eterodiretta dai clan
e fa riferimento proprio a
Genny, che è figlio di Ciro De
Tommaso, ritenuto affiliato al
clan Misso. E in passato Genny
aveva fatto parte dei Mastifss,
i mastini, storico gruppo
napoletano. D'improvviso ora ci
si accorge che nelle tifoserie
organizzate la camorra ha un
ruolo importante. Eppure basta
leggere le inchieste degli
ultimi anni, le dichiarazioni
dei pentiti. Testimonianze che
parlano di un altro gruppo ultrà
chiamato Rione Sanità, comandato
da Gianluca De Marino, non un
tifoso qualsiasi, ma il fratello
di un membro dell'ala militare
del clan Misso. E potremmo
raccontare ancora dei rapporti
tra il gruppo Masseria Cardone e
il clan Licciardi, o
dell'infiltrazione dei
Mazzarella nei Fedayn o nelle
Teste matte. Secondo le forze
dell'ordine, a sparare a Ciro
Esposito, il trentenne di
Scampia ora in pericolo di vita,
sarebbe stato un ultrà della
Roma, Daniele De Santis, detto
Gastone.
Le tifoserie romane e
laziali non sono libere da
pressioni criminali, tutt'altro.
Non esiste curva che non
raccolga un tifo organizzato in
continua dialettica con la
criminalità. Ricordate la scena
del nipote di Giuseppe Morabito
"U Tiradrittu", Giuseppe Sculli,
durante la partita Genoa-Siena
del 22 aprile 2012 ? Quando gli
ultras del Genoa, per protesta,
chiesero ai giocatori di levarsi
le magliette, fu Sculli in
persona ad andare a mediare con
loro. Giuseppe Sculli viene
spesso considerato vittima del
nonno, capo 'ndranghetista
indiscusso, ma in realtà non ha
mai preso le distanze dalle
'ndrine di San Luca, anzi, ha
ribadito in diverse occasioni la
fedeltà a suo nonno e al suo
sangue. Due anni prima fece
discutere la fotografia che
ritraeva Antonio Lo Russo,
figlio di Salvatore, capo
dell'omonimo clan camorristico,
a bordo campo al San Paolo di
Napoli nel corso della partita
Napoli-Fiorentina del 13 marzo
2010. Lo Russo è appena stato
arrestato a Nizza, era latitante
e ora attende l'estradizione.
Quindi non stupiamoci se si è
scelto di andare a parlare (o a
trattare, la sostanza cambia
poco) con chi ha più potere
delle istituzioni in quel
contesto, perché ha una
struttura organizzata. Lo Stato
c'era, ma era nascosto dietro le
spalle di Hamsik. Il calcio è
intoccabile, ogni critica genera
tifo, non analisi. Qualsiasi
riferimento sembra essere contro
una squadra o a favore di
un'altra. Ma gli ultras sono
molto più che persone talvolta
violente: hanno un ruolo di
consenso e di business. Una
parte della tifoseria
organizzata fa sacrifici e si
svena per seguire i propri
idoli, ma i vertici cosa fanno ?
Chi vende hashish, erba e coca ?
Ogni domenica gli stadi
diventano mercati di droga,
teatri di guerra non controllati
in cui gli ultras portano bombe
carta e bengala. Eppure questo
non si può dire, per la solita,
ingenua storia che continuiamo a
raccontarci sul calcio che
unisce. Al calcio tutto è
concesso e tutto è permesso e in
un Paese dove la corruzione ha
travolto tutto. L'inchiesta
partita da Napoli di Giuseppe
Narducci e Filippo Beatrice
cercò proprio di individuare i
punti di contatto tra calcio
corrotto e potere dei clan. Poi
tutto si fermò. Ora, gli ultras
dello sport sono i primi ad
agire: ma cosa succederà quando
gli ultras della rabbia politica
si riverseranno nelle strade ?
Ci si rivolgerà al Genny 'a
carogna della situazione per non
far accadere il peggio ? Il
presidente del Senato Pietro
Grasso che consegnava le
medaglie ha suggellato il senso
della serata. Una sparatoria,
feriti, bombe carta su
calciatori e forze dell'ordine.
E le istituzioni consegnano
medaglie. Sapete come si chiama,
ad esempio, il presidente della
Figc, quell'organo che un ruolo
nella riforma del calcio pure
avrebbe dovuto averlo ? Forse
non ne conoscete il nome, ma il
volto sì, poiché predilige
essere intervistato al termine
delle partite della nazionale:
nei momenti fatui. Giancarlo
Abete, nominato presidente della
Figc il 2 aprile 2007, due mesi
dopo la morte di Filippo Raciti
a Catania. Da allora sono
passati sette anni, un'eternità.
Nulla è cambiato e ciò che è
accaduto descrive lo stato
comatoso dello sport più
importante in Italia. Perché c'è
bisogno di un presidente della
Figc se il risultato è questo ?
Perché, come sempre in Italia, i
vertici non hanno alcuna
responsabilità dei fallimenti ?
Chiedetevi chi è Giancarlo Abete
e quali sono stati i risultati
del suo lavoro. Altrimenti De
André avrà per sempre ragione e
continueremo ad assistere inermi
all'ennesima occasione in cui lo
"Stato si costerna, si indigna e
si impegna, poi getta la spugna
con gran dignità.
5 maggio 2014
Fonte: Repubblica.it
© Fotografie: Cirovive.it -
Huffingtonpost.it - Tg24.sky.it
- Sport.sky.it
L'avvocato di Maradona
"Papa Francesco benedirà
la mamma che ha perdonato"
Ha
saputo della sparatoria di Tor
di Quinto e di quel trentenne
napoletano che le radio davano
in fin di vita, a Milano dopo
aver accompagnato il "Pibe de
oro" a Dubai. Angelo Pisani,
avvocato di Maradona, angelo
custode di un campione alle
prese coi guai per Equitalia,
non ci ha pensato due volte.
Ieri pomeriggio era già a Roma
al Gemelli. Al capezzale di Ciro
Esposito "per aiutare la
famiglia di un bravo ragazzo che
si spacca la schiena e ha i
calli sotto le mani a forza di
lavare auto". Da questo momento
in poi sarà lui, Esposito il
legale del tifoso biancoazzurro
e lo sarà con l'appoggio di
tutta la camera penale di
Napoli.
Avvocato, è stato il
richiamo d'amore per la stessa
maglia a farle prendere la
decisione ?
"Certo,
tifo Napoli e di Scampia, dove
vive Ciro, sono il presidente
della municipalità. Ma questo
c'entra fino a un certo punto.
Ho accettato per la madre
Antonella, per l'appello
accorato e dignitoso che ha
lanciato "Qualcuno ci aiuti, non
abbiamo i soldi per affrontare
una causa". Una gran donna: ha
già perdonato chi ha sparato a
suo figlio. Solo per questo va
sostenuta e spero tanto che la
chiami il Papa. E guardi, sono
quasi certo che papa Francesco
lo farà".
Un figlio, vittima di
una storia allucinante, ma che
da ieri è piantonato in
ospedale. L' accusa è rissa.
"La
notizia la so dai media e al
momento nessun provvedimento di
arresto è stato notificato. In
più non abbiamo ancora acquisito
le carte, i video. Non sappiamo
quali reati si ipotizzano contro
di lui. Ma una cosa è certa.
Prima di accettare l'incarico
abbiamo preso informazioni: la
famiglia del ragazzo è una
famiglia per bene, di gran
lavoratori. Gli zii sono ex
consiglieri comunali del Pd.
Sono tutti qui al Gemelli
insieme ai genitori, al fratello
e alla fidanzata di Ciro. E
comunque... I responsabili sono
altri".
Qualcuno oltre a chi ha
sparato ?
"Sicuro. L'ordine pubblico è
stato organizzato male. Ciro è
arrivato in auto da Napoli. L'ha
lasciata a Saxa Rubra, così come
sono stati costretti gli alti
tifosi. E si è incamminato a
piedi verso l'Olimpico. Nessuno
a scortarli. È mai possibile far
passare dei tifosi napoletani
davanti a quel chiosco di
romanisti ? Qual è la logica ?
Le vittime in tutta questa
brutta storia sono tre: il
Napoli, lo sport e il povero
Ciro".
È riuscito a vederlo ?
Come sta ?
"Cerca
di muovere le palpebre. Ma non
parla. È intubato e lotta per
sopravvivere in un letto della
rianimazione".
È vero che molti tifosi
laziali sono venuti al
Policlinico e hanno dato
sostegno alla famiglia ?
"Sì
hanno pagato la prima notte in
albergo ai genitori. E una
persona, che non è né della
Lazio né della Roma metterà la
sua casa a disposizione della
famiglia per tutto maggio".
Ha commentato con la
"Mano di Dio", l’altro suo
assistito, quanto è accaduto
fuori dall’ Olimpico ?
"Ancora
no. So che ripartiva per
l'Argentina. Ma sarà super
informato. Del resto, le
immagini hanno fatto il giro del
mondo. E già mi sembra di
sentirlo: "Questo non è il
calcio di Maradona".
6 maggio 2014
Fonte: La Repubblica
© Fotografia:
Angelopisani.it
Ultras, la verità sulla
"trattativa" nella relazione
degli "007" di Palazzi sul campo
Porta
in calce la firma degli avvocati
Giorgio Ricciardi, Paolo
Mormando e Antonella Arpini, la
Relazione della Procura federale
della Figc che è ora nelle mani
dei magistrati romani per capire
se vi è stata trattativa o meno
fra il capitano del Napoli,
Marek Hamsik e il capo degli
ultras dei Mastiffs, Gennaro De
Tommaso, Genny ‘a carogna prima
della finale di Coppa Italia
Napoli-Fiorentina, sabato
scorso. Erano loro tre,
incaricati da Palazzi del
controllo gara sul match, che in
quei lunghissimi minuti
concitati e drammatici, si
trovavano lì sotto la curva Nord
dell’Olimpico, accanto ad Hamsik
e a De Tommaso, mentre tutto lo
stadio attendeva l’esito del
colloquio fra il capitano della
squadra partenopea e il capo
tifoso. Non solo. Sugli spalti,
ma in veste non ufficiale,
c’erano anche altri due 007 di
Palazzi che potrebbero aver
udito nettamente le parole che
si sono scambiati Hamsik e De
Tommaso e potrebbero, anche
loro, essere chiamati, nei
prossimi giorni, dai magistrati
romani a ricostruire lo scambio
di battute per capire, in
definitiva, se lo Stato si è
piegato al ricatto di Genny ‘a
carogna o meno. La relazione
scritta dai tre ripercorre lo
svolgersi degli eventi citando
anche il momento in cui, negli
spogliatoi, fra le 20 e 15 e le
20 e 30, prima dell’inizio del
match e del confronto fra Hamsik
e De Tommaso, si incontrano i
tre responsabili del controllo
gara, Ricciardi, Mormando e
Arpini e l’arbitro e si decide,
in quel momento, che la partita
verrà giocata comunque. Dunque
si era già deciso di giocare,
durante la fase di preparazione,
ben prima del colloquio fra
Hamsik e De Tommaso. Poco dopo
avviene il colloquio
incriminato, una sorta di
"comunicazione" a Genny ‘a
carogna per far sapere che il
tifoso del Napoli ferito a colpi
di pistola non era morto, come
si andava sostenendo fra gli
ultras in una sorta di tam sugli
spalti. La "comunicazione"
avviene per depotenziare il
clima che si stava
surriscaldando fra i più
esagitati e che rischiava di
esplodere con atti di violenza
incontrollabili. Per questo si
decide di far spiegare
direttamente dal capitano del
Napoli ai tifosi la verità
sull’agguato a colpi di pistola
avvenuto poco prima in via Tor
di Quinto da parte dell’ultrà
della Roma, Daniele De Santis,
contro i supporter del Napoli
che stavano transitando in quel
momento sulla grande strada
alberata che porta all’Olimpico
e che passa accanto ad una delle
caserme più grandi dell’Arma. Lo
scambio di parole fra Hamsik e
Gennaro ‘a carogna,
cristallizzate nel loro rapporto
dai tre incaricati di Palazzi di
seguire il controllo gara per
conto della Procura Federale
della Figc, racconta del
capitano partenopeo che dice al
capo ultrà: "con un tifoso morto
non avremmo mai giocato, ma ci
hanno assicurato che le cose non
stanno così". Gennaro ‘a carogna
sembra dubitare e, quindi,
avverte Hamsik di non mentire.
Il giocatore di rimando: "Ci sto
mettendo la faccia. Sì, c’è un
ferito, ma non per un agguato
tra tifoserie". A quel punto il
capo dei Mastiffs alza il
pollice verso la curva. Poi,
rivolto al suo interlocutore:
"Allora okay, ci metto la faccia
anche io.
Tanto tutti sappiamo
chi siamo e dove siamo". Una
frase, questa, che potrebbe
suonare come un’intimidazione e,
come tale, essere valutata dalla
Procura romana. Ma che,
comunque, non rappresenterebbe
un elemento per sostenere che vi
sia stata una trattativa. E,
d’altra parte, è la stessa
ricostruzione che fa anche lo
zio del tifoso ferito
sollecitando Hamsik a rivelare
cosa è veramente avvenuto sotto
la curva e a dire "la verità":
"Non c’è stata trattativa tra
forze dell’ordine ed ultrà del
Napoli - sostiene lo zio di Ciro
Esposito, Vincenzo - Chiedo ad
Hamsik di spiegarlo. Girava voce
che Ciro fosse arrivato morto in
ospedale. Hamsik ha detto ai
tifosi che non era morto, ma in
fin di vita, e gli ultrà hanno
risposto che non avrebbero fatto
il tifo durante la gara e gli
hanno chiesto di dire ai tifosi
della Fiorentina di rispettare
il loro dolore". Intanto si
definisce la posizione dello
sparatore, l’ultrà della Roma,
Daniele De Santis. Secondo il
gip romano, Giacomo Ebner, che
ha convalidato l’arresto in
carcere, De Santis, mostra una
"natura incontenibile e
specialmente violenta" e "la
comprovata incapacità a misurare
la gravità delle proprie
azioni". Riferendosi a De Santis
il giudice scrive, inoltre, che
presenta "un generale
atteggiamento di sfida nei
confronti dell’ordinamento e
delle sue regole", un
comportamento che fonda, nel
giudice, "il convincimento che
ogni altra misura, al di fuori
della custodia cautelare in
carcere, risulti inadeguata".
Per il gip la misura cautelare
in carcere è legata all’esigenza
di evitare che "possano essere
commessi reati dello stesso tipo
di quello contestato" e per la
"violenza della condotta, la
futilità dei motivi dell’azione,
l’assoluta mancanza di controllo
e la totale incapacità di
ponderazione della misura e del
senso del pericolo per sé e per
gli altri". Il giudice, infine,
fa riferimento alla "manifesta
tendenza" di De Santis a farsi
"giustizia da sé e i gravi,
reiterati e specifici precedenti
penali e carichi pendenti".
Quanto all’azione vera e
propria, il gip, citando la
testimonianza di un testimone,
un tifoso del Napoli, sottolinea
che, "allo stato della
documentazione in atti, si
ritiene individuato in De Santis
l’autore dei colpi d’arma da
fuoco". "Attendibile - scrive il
gip Giacomo Ebner - appare la
dichiarazione del testimone il
quale riferiva di aver visto con
certezza la scena e di essere
sicuro che l’uomo che aveva
sparato era lo stesso che veniva
picchiato dai tifosi del Napoli
e che veniva poi identificato in
Daniele De Santis". Lo stesso
testimone parla inoltre di altre
tre persone presenti sulla scena
degli incidenti e che
indossavano il casco. Dagli
interrogatori di garanzia di
ieri, ricorda il giudice, "è
emerso che Ciro Esposito era
accanto ad Alfonso Esposito
quando quest’ultimo si è posto
all’inseguimento di De Santis
per regolare i conti", dopo che
l’ex-ultrà della Roma aveva
provocato i tifosi napoletani
lanciando fumogeni contro i
pullman che li stavano
trasportando allo stadio. Il
drammatico pre-partita del match
di sabato scorso ha indotto ora
il prefetto di Roma, Giuseppe
Pecoraro, a rivedere
l’organizzazione del prossimo
delicatissimo incontro
Roma-Juve: la partita verrà
anticipata, si farà di
pomeriggio. Quanto all’orario,
Pecoraro, ha detto di non
saperlo ancora, dovrà prima
confrontarsi con il questore.
8 maggio 2014
Fonte: Secoloditalia.it
© Fotografie:
Huffingtonpost.it -
Lastampa.it - Napolitime.it
Quando il calcio
diventa una bestemmia
di Claudio Cafasso
Gli
editoriali di VCB - Avremmo
preferito non scriverlo
questo pezzo, ne avevamo
parlato in redazione e
speravamo che Ciro Esposito
ce la facesse. Ci
rifiutavamo di pensare che
il calcio potesse mietere
l’ennesima vittima. Invece
no, maledette complicazioni,
maledetti cinquanta giorni
di speranze smorzate,
maledetto tutto. No, questa
non ci voleva davvero, ma
non ce ne frega nulla del
calcio stavolta, c’è
talmente dolore in
quest’assurda vicenda da
togliere il fiato perfino a
chi non s’interessa di
pallone e soprattutto di
pallonate come questa.
Perché la scomparsa d’un
ragazzo - che scavalca di
gran lunga l’essere tifosi,
l’essere gente di parte,
fanatici del football o
semplici astanti che
scattano selfie a più non
posso pur di dire "io c’ero"
- è come una pallonata in
faccia, di quelle che fanno
male e lasciano il segno.
Che colpa ha una partita di
calcio ? Quella di non saper
essere organizzata nei
minimi dettagli. Sempre, a
ogni latitudine. Pure la
partitella fra amici, la più
classica delle
scapoli-ammogliati… Quante
volte manca qualcuno per
fare una squadra ? Quello
che sta male, quello che non
riesce a scappare dal lavoro
e quello che domattina si
deve alzare presto. Poi
cambia la scena e mancano i
bus per accompagnare le
squadrette di eccellenza o
gli juniores in trasferta, e
gli arbitri di prima
categoria che fischiano per
sbarcare il lunario e i
genitori a inveire contro
l’arbitro. Poi cambia ancora
lo scenario, fra chi la
vuole cotta e chi la vuole
cruda, club gestiti da
traffichini, novelli Zeman
in panchina e pseudo
funamboli del pallone capaci
di giurare che "senza
quell’infortunio lì… adesso
starei in serie A". E
genitori che sognano un
futuro da Paperoni
preferendo per i figli la
conquista di una classifica
cannonieri più d’una buona
pagella; e mamme ornai
abituate a dar del cornuto
al direttore di gara pure
mentre parlottano al mercato
davanti a insalatine e mele
ranette. Che bestemmia il
calcio, tutto fa parte del
gioco, perfino i rigori non
dati in serie A, i falli
degli stopper e le volate
lungo la fascia delle ali, e
financo il morso di Luis
Suarez, e chissà chi se lo
ricorda che con l’Inter
d’inizio anni Sessanta c’era
uno che aveva lo stesso nome
e lo stesso carisma senza
bisogno di immedesimarsi
nella macchietta di Hannibal
the cannibal… Si è dimesso
il presidente della
Federcalcio, ma non per la
morte di Ciro Esposito. L’ha
fatto per una cocente
sconfitta della nostra
nazionale, al secondo
mondiale di fila che ci ha
visto protagonisti negativi
neanche fossimo la nazionale
della Patagonia, dove il
calcio è rappresentato solo
dal sogno d’averci giocato
l’inesistente Mondiale del
1942. Povero Ciro, povera
famiglia.
25 giugno 2014
Fonte:
Vignaclarablog.it
© Fotografia: Roma.Corriere.it
Giustizia senza
violenza
di Fabrizio Giustino
Ciro Esposito, ci sono nomi
più napoletani di questo ?
Oggi la città piange
l'ennesima morte di un suo
giovane innocente, il cui
unico desiderio era di
andare ad assistere a una
partita di calcio della sua
squadra. Ciro non era un
eroe, come è scritto sullo
striscione di Scampia, non
era un ultrà, come lo
definisce la stampa del
Nord. Non c'è bisogno di
essere eroi per avere il
diritto di vivere e non c'è
bisogno di essere ultrà per
spiegare una morte che non
ha giustificazioni. Ciro è
morto nelle stesse ore in
cui la Nazionale toccava uno
dei punti più bassi della
sua storia. È stato detto,
giustamente, che mai come
ora ci sono le condizioni
per affondare le mani nel
mondo del calcio e
rifondarlo. Ma temiamo che
restino solo parole. Sono
anni che vediamo le curve
governate dai delinquenti;
che negli impianti entra di
tutto, ogni tipo di droga e
vere e proprie bombe a mano;
che si vendono fuori degli
stadi magliette e sciarpe
contraffatte, già di per sé
fuori legge, con slogan
violenti e volgari contro le
squadre avversarie. Certo,
quello del calcio non è un
mondo separato, con la
droga, le armi, la
delinquenza facciamo i conti
tutti i giorni. Non possiamo
cambiare il sistema e
sarebbe ingenuo pensare che
il mondo del calcio,
scommesse e affari sporchi
compresi, possa cambiare
solo per effetto delle buone
intenzioni. Possiamo però
contare sull'etica
utilitaristica, sulla
salvaguardia degli
interessi: se si vuole
arrestare il declino del
calcio italiano, certificato da un dossier della Figc,
bisogna cominciare dalla
base, anche dall'educazione
dei giovani giocatori e dei
tifosi alla lealtà, al
rispetto delle regole e
dell'avversario. Ora
attendiamo che venga resa
giustizia a Ciro Esposito e
vengano accertate, su ciò
che è accaduto il 3 maggio a
Roma, tutte le
responsabilità:
dell'assassino, dei complici
e di chi era responsabile
dell'ordine pubblico. E
meditiamo in silenzio sulle
parole della madre: "Nel
nome di Ciro, basta con la
violenza". Se il mondo,
anche quello del calcio,
fosse governato dalle madri
e da chi ha conosciuto il
dolore vero, sarebbe
sicuramente un mondo
migliore.
27 giugno 2014
Fonte: La Repubblica
© Fotografia:
Napolimagazine.com
FUNERALE CIRO ESPOSITO
"Io sono morto, ma tu
per che cosa vivi ?"
di Maddalena Bertolini
Ieri si sono svolti a
Scampia (Napoli) i funerali di
Ciro Esposito, l’ultrà del
Napoli colpito da un proiettile
prima della finale di Coppa
Italia del 3 maggio scorso.
Il
funerale non è una cerimonia che
serve ai morti, il rito si
celebra per i vivi: gli
psicologi ci possono rivelare
molti risvolti, le numerose
implicazioni e le conseguenze
che però riguardano i viventi,
coloro che dicono addio al
defunto, in modi diversi secondo
le più diverse culture. Spesso
gli antropologi studiano i
rituali funebri per identificare
un popolo, e certamente, da come
un essere umano viene
ultimamente accompagnato, si
capisce la sua importanza
sociale, economica, culturale;
se la morte è uguale per tutti,
ogni funerale è diverso. Ciro
Esposito ieri ha avuto il suo
funerale; assolutamente
speciale. Napoli, in particolare
il quartiere di Scampia, era da
tempi immemorabili che non
vedeva una tale folla, una così
grande partecipazione, corale,
sentita. Pur essendoci molte
autorità, queste non hanno
contato più di tanto, i
protagonisti sono stati tutti i
suoi amici, la fidanzata, la
madre in particolare, e
soprattutto le diverse tifoserie
riunitesi in piazza che
addirittura per l’occasione è
stata ribattezzata "piazza Ciro
Esposito" con tanto di
porta-insegna. La bara era
letteralmente nascosta dalle
sciarpe, dalle maglie, dai
simboli delle tifoserie, portata
a spalla sembrava galleggiare
sul mare delle teste, ondose,
piene di pensieri inquietanti.
Numerosissimi gli appelli alla
calma, alla pace, all’amore.
Frasi molto belle sono state
pronunciate alla fine del rito
evangelico, breve funzione che
prevede proprio le
testimonianze-ricordo del caro
perduto, come nei telefilm
americani. Ma il cantante Nino
D’Angelo e Genny a ‘carogna non
sono certo dentro certi
sceneggiati. Non è mancato
neanche il twitter di Roberto
Saviano che recita testualmente:
"Dolore infinito. E vergogna.
Abete si dimette per la
sconfitta della nazionale e non
per i fatti di Roma". Vedendo i
funerali di Ciro non ho potuto
far a meno di pensare se anche
quelli di Masaniello sono stati
tali: la parola "eroe" è stata
pronunciata molte volte, anche
quella di "martire" o "difensore
di innocenti". Tali innocenti
sono tifosi del Napoli, non
vedove e orfani, né il popolo
oppresso. Ma forse, per certi
aspetti, è così. Si sentono i
napoletani di Scampia un popolo
oppresso ? Davvero davanti a
tanta sollevazione e emozione
popolare possiamo solo vederci
un tifoso ucciso, barbaramente,
colpito alle spalle,
intenzionalmente, durante una
rissa… Sono pur sempre
inquietanti tutti quei richiami
alla calma, quasi si temessero vendette odiose, gli appelli
alla pace e all’amore, significa
che ce n’è davvero tanto
bisogno, e infine il
trasferimento del presunto
colpevole in una struttura
diversa, guardato a vista. Ma se
avessero ammazzato un
poliziotto, giovane, sposato,
magari con bambini piccoli,
nello svolgimento del suo dovere
cioè nel servizio di difesa dei
cittadini che lui ha giurato di
fare dedicando loro la vita, ci
sarebbe stata tale
partecipazione ? O chiunque
altro, fate voi… Tutto questo
dolore è per Ciro, solo per
Ciro, o per quello che lui
rappresenta ? Se sì, cosa
rappresenta ? Il calcio ? Il suo
marciume, la sua sconfitta ?
Cosa rappresenta il calcio
davvero: sportività, lealtà,
gioco, divertimento ? Altro ? E
perché, se il Calcio con la
maiuscola ha fallito, hanno
ricoperto la bara di Ciro con i
suoi simboli ? Si può dire
allora che il calcio, anzi, la
fede calcistica (la squadra del
cuore, i compagni ultrà, i cori,
gli amici, metteteci quello che
volete) è questione di vita o di
morte: per essa vale la pena di
morire, vale la pena vivere.
Entrambe affermazioni stupide,
me ne assumo la responsabilità.
Chiunque viva esclusivamente per
la sua squadra di calcio, ha un
ben vivere misero; mi spiace,
credo che il vero amore sia
altro, abbia bisogno di altro,
magari di una donna, innamorata
anche lei. Dare la vita per la
squadra, cioè mettere la propria
vita a rischio, la propria e
quella degli altri (non intendo
riferirmi a Ciro, sia chiaro, ma
a chi porta coltelli, mazze,
bottiglie incendiarie, pistole,
alle partite) è peggio che
stupido, spero siate d’accordo.
Eppure succede. Perché ?
Verrebbe da dire: non hanno di
meglio da fare ? Non ci sono
ideali migliori per cui
combattere, metaforicamente
parlando ? Non ci sono altri
valori da amare, più profondi,
più reali, più veri ? Anche se
la Nazionale ha perso, non
smettiamo di lavorare, di
crescere i figli, di sperare in
un futuro migliore; ma forse, ci
sentiamo meno fieri di essere
italiani ? Ci sentiamo traditi ?
Chiedo scusa per tutte queste
domande, il dolore spesso
provoca domande, fa affiorare
dubbi che vanno oltre i
sentimenti e le emozioni. È in
questo modo che il dolore smuove
la ragione, chiede, anzi
pretende a chi resta di essere
consapevole, responsabile, cioè
in grado (o almeno in cerca) di
dare una risposta. È come se
Ciro ci guardasse in faccia e ci
dicesse: io sono morto, ma tu,
per cosa, per chi ancora vivi ?
28 giugno 2014
Fonte: Ilsussidiario.net
© Fotografia:
Napolipiu.it
Il tormento di Simona
"Spero che il sacrificio
non sia stato inutile"
di Antonio Di Costanzo
"Ho paura che il
sacrificio di Ciro non basti.
Spero che non sia stato inutile,
ma temo che non servirà a
cambiare le cose. Le istituzioni
devono fare molto di più perché
c'è troppa violenza".
La
pensa così Simona Rainone, 25
anni, fidanzata di Ciro
Esposito, il tifoso del Napoli
morto dopo 55 giorni di agonia.
La ragazza durante i funerali
del ventinovenne ha chiesto che
la "violenza fosse seppellita
per non uccidere di nuovo Ciro".
Una speranza portata avanti con
determinazione da tutta la
famiglia Esposito che ha
affrontato il lutto con estrema
compostezza. "Ciro si è
sacrificato per difendere delle
persone aggredite - ribadisce
Simona - si è sacrificato per
gli altri. Lui è il vero
simbolo, lui è l'unico esempio
da seguire. Eppure all'inizio
qualcuno ha provato a infangare
il suo nome. Subito dopo il
ferimento qualcuno provò a far
credere che era un ultrà, un
delinquente. E solo perché era
di Napoli e per di più viveva a
Scampia. Poi la verità è venuta
fuori: Ciro era un bravo
ragazzo. E questo nessuno lo
potrà negare". Simona ricorda
alcuni momenti di quel maledetto
3 maggio. "Era andato a Roma per
vedere la finale di Coppa
Italia. Ciro era tifosissimo del
Napoli, io, invece, non sono mai
andata a vedere una partita. Non
mi piace l'ambiente dello
stadio. Glielo dicevo e su
questo argomento litigavamo.
Quel giorno lo chiamai e lui mi
rispose che aveva appena
parcheggiato. Un'ora dopo
telefonò suo cugino: "Hanno
sparato a Ciro", mi disse. Fu
tremendo. Da quel giorno la mia
vita è completamente cambiata.
Ci dovevamo sposare, adesso devo
mettermi subito a cercare un
lavoro". Intanto, proprio a
Scampia, si sono vissuti momenti
di forte tensione e si è temuto
il linciaggio di alcuni nomadi,
quasi a sancire che la "pace" è
terminata ad appena 24 ore del
commovente funerale. Colpa di
un'auto in fuga che per sfuggire
ai carabinieri non ha esitato a
speronare le "macchine" che si
trovavano davanti e persino la
gazzella che inseguiva. A bordo
c'erano cinque nomadi, i
militari hanno provato a
fermarli sull'asse mediano
all'altezza dello svincolo di
Casoria. I nomadi hanno tentato
la fuga provocando persino il
ribaltamento di un'auto che
hanno incrociato, il cui
conducente è finito in ospedale
per farsi medicare una ferita e
una contusione al capo. Alla
fine la caccia all'uomo si è
conclusa in piena Scampia
all'incrocio tra via Galimberti
e via Labriola, davanti a una
Vela. Qui i fuggitivi hanno
speronato anche la gazzella dei
militari. I carabinieri hanno
esploso alcuni colpi in aria a
scopo intimidatorio, mentre i
cinque hanno tentato di
allontanarsi a piedi. In quattro
sono stati bloccati
immediatamente, mentre un quinto
membro della banda ha cercato di
rifugiarsi all'interno della
Vela. Dalle case vicine si sono
riversate in strada decine di
persone preoccupate per quanto
stava accadendo. Si è diffusa
anche la voce, per fortuna
dimostratasi del tutto
infondata, che i nomadi avessero
investito un ragazzino della
zona. Tanto che qualcuno tra la
folla ha proposto di organizzare
una missione punitiva nel campo
rom, mentre la folla inferocita
si è scagliata contro l'uomo che
si era rifugiato nel condominio. Fasi concitate e l'incubo che
avvenisse un linciaggio. Il
pronto intervento delle forze
dell'ordine ha chiarito la vera
dinamica della vicenda ed è
servito a tranquillizzare gli
animi. Il tutto è avvenuto a
pochi metri da dove venerdì si
sono celebrati i funerali di
Ciro. Tra l'altro proprio sul
luogo dello scontro tre le due
auto c'è un grande manifesto con
il volto del giovane tifoso
ucciso. C'è scritto: "Scampia ha
perso un altro dei suoi figli".
Nell'auto, sprovvista di
tagliando assicurativo, i
carabinieri hanno trovato alcuni
salumi e della carne congelata.
Non si esclude che possa essere
parte del bottino di un furto in
una casa. Anche ieri, intanto,
moltissime persone sono andate a
casa della famiglia Esposito per
portare il proprio cordoglio.
"Il nostro è il dolore vero di
un quartiere - dice Vincenzo
Esposito, zio di Ciro - ma anche
di tutta la città. In questi
giorni il Vomero si è unito a
Scampia. Ora non dobbiamo
disperdere questo patrimonio di
dignità. Non ci deve essere
desiderio di vendetta, ma
soltanto voglia di giustizia.
Chi invoca vendetta in nome di
Ciro non fa altro che tradire il
suo sacrificio. Abbiamo
dimostrato il vero volto di
Scampia, dove abitano brave
persone. Abbiamo demolito uno
stereotipo". Torna a parlare
della vicenda anche Angelo
Pisani, avvocato della famiglia
Esposito e presidente
dell'ottava municipalità.
"Piazza Grandi eventi - annuncia
Pisani - resterà piazza Ciro
Esposito come recita la targa in
marmo sistemata al posto di
quella ufficiale dagli amici del
ragazzo morto per una partita di
calcio. Anche il Comune non è
intenzionato a ripristinare la
vecchia denominazione. Insomma,
ormai Piazza Grandi eventi è
diventata Piazza Ciro Esposito,
anche se il cambio di
toponomastica non è ancora stato
ufficializzato. "Scampia ha
risposto, ma la politica è
assente e colpevole - aggiunge
Pisani - De Laurentiis e de
Magistris hanno dato la loro
partecipazione e ne siamo stati
onorati, ma le altre istituzioni
dove sono ? La gente voleva i
ministri, ma non sono venuti".
Chiede più attenzione per il
quartiere Ciro Esposito,
consigliere municipale, omonimo
del ragazzo morto: "Bisogno fare
di più per le periferie
abbandonate". Gli amici di Ciro
lanciano anche un appello a non
abbandonare Giovanni e
Antonella, i genitori dello
sfortunato ragazzo ucciso: "Per
loro - ripetono più voci -
adesso inizia la fase più
delicata e dovranno
metabolizzare che il figlio non
c'è più". La pensa così anche
Maria Puddù: "Sono ormai
diventata amica della famiglia.
Tutti dobbiamo tenere alta
l'attenzione, non vorrei che tra
un mese venissero dimenticati".
29 giugno 2014
Fonte: La Repubblica
© Fotografie:
Corrieredelmezzogiorno.corriere.it
- Panorama.it -
Ilfattoquotidiano.it
"Ciro Esposito, ragazzo
di Scampia"
Viaggio in un mondo che
non fa notizia
di Luca Monaco e Lorenzo
D'albergo
Lo zio sociologo del
tifoso morto dopo i tragici
fatti della finale di coppa
Italia, ripropone in un libro
(Dante&Descartes)
l'analisi dei fatti, sullo
sfondo del mondo ultrà e dei
media, nella speranza che nella
Napoli lontana dai salotto del
potere qualcosa possa veramente
cambiare.
"La
vicenda che ha portato alla
morte di Ciro ha generato una
catarsi. Scampia e Napoli sono
divenute un tutt'uno,
scrollandosi di dosso luoghi
comuni e vittimismo. Ma a
differenza della cittadinanza,
continua a esserci una fetta
della nostra politica che non
riesce ad identificarsi con
l'anima vera di questa città,
non riesce a essere classe
dirigente". La notte è appena
calata sul piazzale che porta il
nome di Ciro, all'ombra delle
Vele. Vincenzo Esposito si sfila
la cravatta di Marinella
indossata per il rito collettivo
dei funerali, accende il pc e
inizia a scrivere. La
riflessione a caldo sulla scelta
dei consiglieri comunali che
proprio nel giorno del lutto non
seppero rinunciare alla festa
organizzata a Palazzo Reale per
i 100 anni del Re delle
cravatte, diventa il punto di
partenza per un libro
sull'omicidio di Coppa Italia.
In "Ciro Esposito, ragazzo di
Scampia" (Dante&Descartes, 133
pagine, 10 euro) "lo zio Enzo",
come lo chiamano nel quartiere,
non ripercorre solo la tragica
vicenda familiare. "Qui - spiega
l'autore - la mia figura di
sociologo si sovrappone a quella
di semplice parente della
vittima e inizia un percorso di
analisi degli avvenimenti oltre
che del panorama ultrà
italiano". Vincenzo lo fa
selezionando 24 articoli
pubblicati nel corso dei 53
giorni di agonia del 29enne. Ci
sono, tra gli altri, i
contributi di Erri De Luca, Aldo
Masullo, Luigi de Magistris,
Luca di Bartolomei (figlio
dell'indimenticato capitano
della Roma suicida nel 1994),
del cardinale Crescenzio Sepe.
Punti di vista diversi per
provare a fare luce sui tanti
aspetti che questa storia
racchiude, a partire proprio dal
corto circuito dei media, che
nell'immediatezza della
sparatoria, bollano
l'aggressione come un
regolamento di conti tra
camorristi. Sarà pur vero che
spacciano droga in qualche
strada di Scampia. "Ma è meno
offensivo dello spaccio di
notizie false - scrive Erri De
Luca nella prefazione - Ciro e i
feriti con lui nell'attentato
vengono piantonati in ospedale
da uno Stato che non ha saputo
difendere le loro vite e vuole
farle passare per colpevoli.
Solo la forza d'animo del
quartiere prima, della città
subito dopo, riesce a stracciare
in faccia al mondo le carte
false, a ristabilire la minima
decenza della verità". Del covo
dell'estrema destra lasciato
inspiegabilmente scoperto dalle
forze dell'ordine infatti si
parlerà solo successivamente. Le
aperture dei telegiornali sono
dedicate a Jenny 'a carogna e al
colloquio con Marek Hamsik. Il
capo della Curva A lascerà lo
stadio subito dopo il fischio
d'inizio per raggiungere Ciro al
policlinico Gemelli. Se ne
accorgerà solo la famiglia
Esposito. "Ai funerali - ricorda
il giornalista del Mattino
Pietro Treccagnoli - nella
piazza dei Grandi Eventi del
quartiere nord della città
intitolata spontaneamente, senza
passare per commissioni
toponomastiche e con tanto di
insegna di marmo, proprio a Ciro
Esposito", Antonella e Simona
invitano gli ultrà a "sotterrare
la violenza". Ma chi sono questi
ultrà ? Vincenzo non li conosce.
E adesso che Ciro è morto per
una stupida partita di pallone,
i "fedeli alla tribù", per dirla
con John King, decide di
studiarli. Vuole parlare con
loro. E allora prende l'auto e
viaggia: Bergamo, Brescia,
Firenze, Ancona. "Ho incontrato
i duri e puri delle curve
d'Italia - rileva - quando ho
detto loro che dovevamo lottare
contro la violenza mi hanno
detto di evitare il buonismo.
Allora ho cambiato prospettiva,
ho cercato di comprendere le
dinamiche del tifo. Mi sono reso
conto che in una società come la
nostra, nella quale prevalgono
l'effimero e il vuoto, il tifo è
diventato una delle poche forme
di identità sociale rimaste,
anzi la più importante. Identità
territoriali che si sviluppano
attraverso rituali che dobbiamo
provare a capire se vogliamo
risolvere. La repressione, da
sola, non serve. Se vogliamo
provare a debellare la violenza,
dobbiamo condurre una battaglia
per aprire gli stadi, renderli
fruibili, prendere atto che la
violenza è insita nel meccanismo
simbolico che gli ultras si sono
scelti, e bisogna ricollocarla
in un sistema allegorico che
neutralizzi le spinte violente
usando gli stadi, trasformandoli
di nuovo in un'arena simbolica".
Al centro della trama del libro
però, c'è Scampia. La sua
componente migliore. "Che non fa
notizia e non va in televisione
- scrive Dario Del Porto di
Repubblica - una Napoli lontana
dai salotti e dal potere. Un
mondo cresciuto proprio ai piedi
delle Vele, le stesse dove un
quarto di secolo fa Giovanni
Paolo II invitò ad organizzare
la speranza ma dove, da allora,
poco o nulla è cambiato
davvero". Eppure da quel
maledetto 3 di maggio ha
iniziato a soffiare una lieve
brezza di cambiamento. "Io ho un
sogno - dice ancora l'autore -
che le ceneri di Ciro possano
essere il nutrimento dal quale
Scampia, Napoli, possano
rinascere come l'Araba fenice e,
come l'Araba fenice, affermare:
"Dopo la morte torno ad
alzarmi".
1 gennaio 2015
Fonte: Repubblica.it
© Fotografie: Ansa.it -
Fondazionerrideluca.com
DOPO LA SENTENZA
Ciro Esposito e Daniele
De Santis: storia di una
vittima,
di un assassino e di un
Paese senza giustizia
di Maurizio Zaccone
Pena
ridotta in appello a 16 anni.
Nessuna legittima difesa,
nessuna ricostruzione astrusa. I
Giudici hanno deciso proprio
così: 16 anni per un omicidio
volontario. In questa vicenda il
tifo non c’entra nulla. Lo sport
nemmeno. Questa è solo la storia
di un assassino e di una vittima
innocente. Di un criminale che
ha assaltato un bus di tifosi
con petardi e bombe carta armato
di pistola e poi, inseguito, ha
sparato. Ha ucciso. La storia di
un uomo con una sfilza di Daspo.
La storia di uno Stato incapace.
Perché o questo soggetto è la
più grande vittima di errori
giudiziari della storia o c’è
qualcosa che non va in questa
giustizia. Fu già arrestato nel
1994 con l’accusa di aver preso
parte al commando che prima
della partita Brescia-Roma
accoltellò l’allora vice
questore di Brescia Giovanni
Selmin, mentre una quindicina di
agenti di polizia vennero
ricoverati perché aggrediti con
asce, bastoni e bombe carta. Si
fece 30 giorni di carcere e poi
fu assolto per non aver commesso
il fatto. Tante scuse e un
risarcimento di 3 milioni di
lire. Nel 1996 De Santis fu poi
arrestato con importanti
esponenti del tifo romanista e
dell’estremismo di destra per
una storia di ricatti all’allora
presidente giallorosso Franco
Sensi, costretto a consegnare ai
capo ultrà pacchetti di
biglietti gratuiti sia per le
partite all’Olimpico sia in
trasferta. "Se non ci dai i
biglietti facciamo lo sciopero
del tifo, e allo stadio non ci
verrà più nessuno. Oppure
sfasciamo tutto, vedi un po’ se
ti conviene". Ma anche in quel
caso fu assolto, insieme a tutti
gli altri. De Santis fu poi
arrestato anche il 22 marzo del
’98 nei pressi dello stadio
Romeno Menti, al termine della
partita Vicenza-Roma. Con altri
tre supporter giallorossi armato
di spranghe danneggiò cinque
vetture di alcune emittenti
parcheggiate nel settore stampa.
Se la cavò con 400 mila lire di
ammenda. Nel 2004 indagato per
aver fatto sospendere il derby
capitolino con la falsa storia
del bimbo ucciso da una volante
della polizia, non fu mai
processato perché il reato cadde
in prescrizione. Nel maggio
2008, finale di Coppa Italia
Roma-Inter fu arrestato con
altri 4 per gli scontri che
avvennero con le forze
dell’ordine. Al processo 4 ultrà
vennero condannati ed uno
assolto. Non so chi dei 5, ma
non ci sembra difficile
immaginarlo… Adesso, per
omicidio, pena ridotta a 16
anni. Che, come sottolineato dal
nostro Sindaco De Magistris, con
il nostro sistema "sarà libero
tra cinque o sei anni". Ora lo
spiegassero i Giudici alla
famiglia di Ciro che una
giustizia esiste. Perché qui
nessuno se ne è accorto.
28 Giugno 2017
Fonte:
Identitainsorgenti.com
© Fotografie:
Associazionecirovive.it
- Golditacco.it
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