Il contrario di un sogno
di Fabrizio Gabrielli
Tra le 2 e le 4 di notte
è caduto l’aereo che trasportava
la Chapecoense per giocare la
finale di Sudamericana. Stefano
Borghi avrebbe dovuto fare la
cronaca di quella partita.
Stamattina la prima cosa apparsa
sulle timeline dei miei social è
stata la notizia drammatica di
un disastro aereo, resa ancora
più drammatica dalla mention per
la Chapecoense, squadra
brasiliana che si stava andando
a giocare la finale di Copa
Sudamericana. L’aereo si è
schiantato tentando un
atterraggio di emergenza vicino
a Medellin (la causa non è
certa) alle 2:30 della mattina
italiana, e l’ufficialità
dell’incidente è arrivata alle
4:34. La Chapecoense avrebbe
dovuto giocare nella notte tra
mercoledì e giovedì e la partita
sarebbe andata in onda su Fox,
con la telecronaca di Stefano
Borghi, collaboratore di Ultimo
Uomo e mio amico. Ho deciso di
chiamarlo per parlarne.
Ciao Stefano, come hai
appreso la notizia e qual è
stata la tua prima reazione ?
Anche considerando che in questi
giorni stavi studiando il
Chapecoense, ti stavi preparando
per la cronaca della finale…
"Sconcerto, ovviamente. Per me è
stato molto improvviso perché
oggi in teoria avevo il giorno
libero. Mi ha chiamato il mio
direttore questa mattina e mi ha
dato la notizia. Ho avuto 5-10
secondi di incomprensione
totale, di incredulità, e poi
dentro: sono venuto al lavoro,
saremo in diretta bene o male
tutto il giorno per questa cosa.
Ma è stato veramente un fulmine
anche perché ti tornano ricordi,
storie lette, anche in parte
vissute. Come se ti colpisse un
fulmine. All’inizio le
informazioni erano abbastanza
complicate da ricostruire anche
perché i salvataggi sono stati
difficili in Antioquia, in
Colombia, zona montagnosa. Ma ci
sono delle cose che colpiscono:
ad esempio il fatto che l’aereo
fosse lo stesso utilizzato
dall’Argentina 18 giorni fa. E
non doveva essere il loro aereo
per il Brasile. Perché, per
disposizioni internazionali,
loro dovevano viaggiare su un
volo charter diretto da San
Paolo. Invece c’è stato questo
cambio con lo scalo a La Paz, in
Bolivia, e questo aereo che li
stava portando a Medellin che è
arrivato fin quasi all’aeroporto
di destinazione. E poi c’è stato
questo contatto con la torre di
controllo per un guasto
elettrico e alla fine lo
schianto. Le informazioni sono
ancora frammentarie. La cosa
francamente più difficile da
seguire, da accettare, sono le
notizie riguardanti proprio la
condizione dei passeggeri…
Danilo che sembrava essersi
salvato e invece purtroppo no. È
veramente la parte più difficile
del nostro lavoro, sembra
retorica, sembra scontato ma è
così. È una giornata in cui
vorresti fare un lavoro diverso,
vorresti essere da un’altra
parte".
A proposito del discorso
sulla retorica: era davvero la
partita più importante della
loro storia. Cioè questi nel
2009 facevano la quarta serie
brasiliana e domani si sarebbero
andati a giocare la finale di un
torneo continentale.
"È assurdo. La Chapecoense era
la così detta favola del
semestre. Noi che seguiamo il
calcio sudamericano ci abbiamo
fatto quasi il callo con ‘ste
cose. Nel senso che diventa
quasi una cosa che si guarda
diversamente. L’anno scorso in
Europa abbiamo vissuto l’epopea
del Leicester ed è stata una
cosa che ha un po’ unito tutti,
ma in Sudamerica succede quasi
ogni sei mesi. Nella scorsa
Libertadores c’era
l’Independiente del Valle,
quest’anno nel Sudamericano
c’era la Chapecoense. Questo
suscita quasi il sentimento: "Ma
no, speriamo che vinca una
grande". Fa quasi più storia la
restaurazione di una grande che
la sorpresa. Però la Chapecoense
era una cosa diversa, era un
progetto che era fiorito negli
anni. Meno di dieci anni fa
questo era un club di quarta
divisione, poco più di cinque
anni fa sembrava destinato a
sparire. Quando Bruno Rangel ha
firmato per la Chapecoense nel
2013 non c’era campo
d’allenamento, non c’era
palestra, non c’era nulla. Erano
neopromossi in seconda divisione
e adesso erano arrivati fin qua,
ma progressivamente. Va
ricordato che l’anno scorso sono
arrivati fino ai quarti di
finale della Coppa Sudamericana,
hanno battuto il River Plate.
Era una squadra pronta per
arrivare a giocarsi veramente la
storia all’interno di una
grandissima storia. Perché
contro l’Atletico Nacional de
Medellin che poteva essere la
prima e l’ultima nel calcio
sudamericano a vincere
Libertadores e Sudamericana
nello stesso anno. Per cui
c’erano veramente tutti i
tasselli per raccontare ancora
qualcosa di mitico, di unico, di
bellissimo. E invece ci tocca
raccontare questo".
Che tipo di squadra era
? Madonna è terribile
utilizzare…
"…Terribile. Utilizzare
l’imperfetto. Era una squadra
vera, forgiata dalla crescita
dal basso verso l’alto. Con
tanti profili differenti. Chi
viveva il sogno, chi lo stava
per vivere. Perché c’erano
giocatori come Thiego, come
Dener che erano pronti a
capitalizzare questa grande
epopea firmando per grandi club
come il Santos o il San Paolo.
C’era anche il veterano, Cléber
Santana: ne aveva vissute tante
in Sudamerica, in Europa. Era il
leader di questa squadra. Bruno
Rangel, di cui ti parlavo poco
fa. Kempes, che era la sua
riserva. Era un altro
trentaquattrenne che, dopo
innumerevoli viaggi, aveva
firmato per un anno e viveva la
sua ultima grande avventura, e
la stava vivendo benissimo: nove
gol nel Brasilerao. Era una
squadra che aveva meritato
assolutamente di arrivare fino
alla finale eliminando
Independiente, San Lorenzo.
Quella parata sulla linea
all’ultimo secondo della
semifinale di ritorno. Piede
sulla linea a tirar fuori il
pallone, a fare la storia, a
regalare grande avventura… Forse
adesso ti viene da pensare che
era meglio se quel pallone fosse
entrato".
E adesso che succede ?
"Non lo so, ci pensavo
stamattina venendo al lavoro. Si
possono fare tante cose. Questa
partita non so se si giocherà,
come verrà giocata. Forse non
bisognerebbe assegnare la coppa
o forse bisognerebbe darla alla
Chapecoense. Non lo so. Quando
successe la tragedia del Grande
Torino, il Torino aveva già
vinto matematicamente il
campionato e ci fu la straziante
scena della partita dopo giocata
dalla Primavera con i giocatori
del Genoa che appuntarono lo
scudetto sulle maglie di questi
ragazzi. Non so cosa si deciderà
di fare e sarà una decisione
molto complicata. Tutto quello
che decidono va bene,
sostanzialmente. Ormai questa
Coppa Sudamericana non ha più
senso".
Hai fatto un accenno al
Torino: il Torino ha fatto un
tweet che ti strappa il cuore da
dentro, dicendo "Uniti nello
stesso destino". Ma secondo me
il tweet più straziante in
assoluto è quello che ritrae la
foto dello spogliatoio con i
calciatori che non sono andati.
Non so se hai avuto modo di
vederlo.
"L’ho visto. Ti riporto le
parole di Sauro Tomà, che è
l’unico del Grande Torino che si
è salvato perché si era fatto
male prima della trasferta di
Lisbona e non è mai partito con
la squadra. Lui dice a un certo
punto che ha pensato più volte
che avrebbe preferito essere su
quell’aereo con i suoi compagni.
E questo ci dice tutto. Perché
il dolore più grande quando
succedono queste cose è sempre
in chi rimane, effettivamente.
Loro non ci sono più. Tu ci sei
ancora e la tua vita è segnata.
E non c’è altro da dire,
fondamentalmente".
29 novembre 2016
Fonte: Sportal.it
© Fotografia:
Repubblica.it
Morire a un passo dalla
gloria
L’incidente aereo
che ha cancellato il Chapecoense
di Piero Vietti
Nella notte tra lunedì e
martedì, un aereo partito dalla
Bolivia e diretto in Colombia si
è schiantato sulle montagne
vicino a Medellín, dove avrebbe
dovuto atterrare. Trasportava
77 persone: 71 sono morte, sei
sono state trasportate vive nel
più vicino ospedale. Sul volo
c'era l’intera squadra di calcio
brasiliana del Chapecoense.
Nella notte tra lunedì e
martedì, un aereo partito dalla
Bolivia e diretto in Colombia si
è schiantato sulle montagne
vicino a Medellín, dove avrebbe
dovuto atterrare. Trasportava 77
persone: 71 sono morte, sei sono
state portate vive nel più
vicino ospedale. Sul volo c'era
l’intera squadra di calcio del
Chapecoense, in viaggio per
giocare l’andata della finale di
Copa Sudamericana, l’equivalente
della nostra Europa League. Era
la prima finale internazionale
del club fondato nel 1973 e
partito sette anni fa dalla
serie D. Una cavalcata che aveva
fatto gridare al miracolo in
tanti, soprattutto perché la
società aveva i conti a posto in
un campionato dove fallimenti e
corruzione sono all’ordine del
giorno. A feroce memoria di ciò
che poteva essere e non sarà
mai, sui siti di tutto il mondo
stanno girando gli ultimi video
e le foto postate sui social
network dai giocatori prima di
partire, in aeroporto e
sull’aereo. Seguono di pochi
giorni quelli della festa negli
spogliatoi dopo la vittoria in
semifinale contro il San
Lorenzo, dove si vedono i
giocatori piangere di gioia e
ringraziare Dio per la loro
prima, inaspettata finale. Non
si può fingere che questa
tragedia sia diversa da altre
simili proprio per la morte di
questi ragazzi. Il 4 maggio del
1949 l’aereo che riportava a
casa i giocatori del Grande
Torino fece la stessa fine,
schiantandosi contro la collina
di Superga. Il giorno dopo, Dino
Buzzati spiegava così la
commozione che aveva investito
il paese intero: "Ecco che cosa
sono i grandi calciatori. Nella
mediocre vita delle grandi città
essi portano ogni domenica un
soffio di fantasia e di nuova
vita; senza sangue né ira
ridestano negli uomini stanchi
qualcosa di eroico; proprio
così, la parola non è troppo
esagerata". Sono passati quasi
settant’anni, il calcio e il
mondo sono cambiati, ma questa
percezione è rimasta la stessa,
intatta. Nonostante tutto. Per
questo ieri tanti tifosi di
tutto il mondo piangevano la
morte dei giocatori del
Chapecoense, anche se fino al
giorno prima non sapevano
neppure della loro esistenza.
Avrebbero dovuto giocare la
prima partita della finale
domani, in casa dell’Atlético
Nacional: la squadra colombiana
ha già fatto sapere di volere
cedere la coppa al Chapecoense,
o a quello che ne resta. Tre
calciatori si sono infatti
salvati, ma sarà durissima per
loro ricominciare. Da tutto il
mondo sono arrivati messaggi di
cordoglio, tantissimi calciatori
hanno postato messaggi di
vicinanza e preghiera. "E’ un
destino che ci lega
indissolubilmente", ha scritto
l’account ufficiale del Torino,
che ha giocato in Coppa Italia
con il lutto al braccio e
osservando un minuto di silenzio
prima di iniziare la partita. I
granata sono forse quelli che
più di altri conoscono il dolore
di una perdita del genere,
assieme ai tifosi del Manchester
United che nel 1958 persero otto
dei loro migliori calciatori in
un incidente aereo a Monaco.
Centinaia di persone sono scese
in strada a Chapecó, mettendosi
a pregare davanti allo stadio.
Verrà il momento per capire
meglio le cause dell’incidente -
si parla di avaria elettrica,
con il pilota che aveva chiesto
un atterraggio di emergenza alla
torre di controllo, per poi
interrompere ogni comunicazione
- adesso la sensazione che
circonda questa storia è
l’ineluttabilità, già pronta a
trasformarsi in epica. Dopo
l’incidente di Superga ci fu chi
scomodò il mito greco, con gli
dei che regalavano agli eroi
l’onore di una morte in giovane
età. Succederà lo stesso per i
ragazzi del Chapecoense,
destinati loro malgrado a
rimanere nella storia del calcio
per una fine ingiusta. Avrebbero
preferito farlo altrimenti,
vincendo la Copa Sudamericana in
una finale che non giocheranno
mai. Ma chi li cercherà nei
corpi bruciati dallo schianto o
nei resti ricomposti nelle bare
durante i tre giorni di lutto
nazionale non li troverà. Tutti
i tifosi del mondo sanno che i
calciatori brasiliani morti ieri
stanno già giocando da un’altra
parte, di nuovo e per sempre.
29 novembre 2016
Fonte: Ilfoglio.it
© Fotografie: Corriere.it
- Repubblica.it
ESTERO / IL RICORDO
Tragedia Chapecoense,
Romulo: "Conoscevo tante di quelle persone..."
Nel 2009, il
centrocampista del Verona aveva
giocato nel club brasiliano,
vittima della sciagura aerea in
Colombia. "Oggi è un giorno
triste, è una tragedia tremenda
- racconta - Prego per i
familiari delle vittime".
Non solo la militanza di Machado
nella Salernitana o il legame
indissolubile, nella sciagura
aerea, con il Torino. La
tragedia della Chapecoense si
lega all'Italia anche nella
figura di Romulo, centrocampista
del Verona, naturalizzato
italiano e preconvocato dalla
Nazionale per il Mondiale
Brasiliano. L'ex esterno della
Juventus, infatti, nella
Chapecoense, aveva militato nel
2009. "Oggi è un giorno triste -
spiega Romulo a Sky Sport -
Conoscevo tanti di quelli che
erano a bordo dell'aereo, non
solo calciatori, ma anche alcuni
tra dirigenti e giornalisti. È
una tragedia tremenda". RICORDI
VIVIDI - "Ricordo molto bene
quando ho giocato lì e con molti
di quei ragazzi abbiamo
conquistato la finale del
campionato dello stato di Santa
Catarina - prosegue il
centrocampista italo-brasiliano
- Non ho sentito nessuno della
società, anche perché il 99% dei
dirigenti era a bordo
dell'aereo. Prego per i
familiari delle vittime". Il
legame del Verona con la
tragedia, comunque, è a doppio
filo: lo scorso anno, nel club
gialloblù, aveva giocato anche
Winck, scampato alla sciagura
perché non convocato. "Il mio
procuratore ha sentito il padre:
Claudio sta bene ma è molto
triste e scosso per i suoi
compagni e i familiari delle
vittime - conclude Romulo -
Anche Nenem e Nivaldo li conosco
bene e pure loro si sono salvati
perché non convocati".
29 novembre 2016
Fonte: Gazzetta.it
(Testo © Fotografia)
L'allenatore del
Chapecoense dopo la qualificazione alla finale:
"Se morissi oggi,
morirei felice"
"Se morissi oggi, morirei
felice". Questo aveva detto solo
una settimana fa Caio Júnior,
l'allenatore del Chapecoense, la
squadra di calcio rimasta
coinvolta nel terribile
incidente aereo in Colombia che
ha provocato la morte di 81
persone di cui la metà composta
dai giocatori della squadra di
calcio brasiliana che si stava
recando in Sudamerica per
giocarsi un titolo importante
come la Copa Sudamericana, pari
alla nostra Europa League. Una
finale quella contro l'Atletico
Nacional di Medellin agognata,
sudata, desiderata. Per questo
Caio Junior era felice. Così
felice da pronunciare quelle
parole, come riporta
Radiohuancavilca.com, che oggi
sembrano sinistramente
profetiche. L'ex allenatore di
Palmeiras, Gremio e Flamengo è,
infatti, tra le persone rimaste
uccise nel disastro del volo
British Aerospace 146 operato
dalla LaMia. La carriera di Caio
era in ascesa, scrive il sito.
Stava facendo la storia con il
Chapecoense, un piccolo club di
una cittadina industriale
brasiliana con poco più di
200mila abitanti che giocava
nell'equivalente della nostra
serie D e che aveva conosciuto
una scalata memorabile.
29 novembre 2016
Fonte: Huffingtonpost.it
© Fotografia: Ilfattoquotidiano.it
Il pallone che
piange per la Superga dei brasiliani
di Riccardo Lorenzetti
Pochi fino a ieri in Italia
sapevano chi fossero i giocatori
della Chapecoense. O cosa fosse
la Chapecoense… Ora lo sanno
tutti perché quella squadra
brasiliana e i suoi giocatori
hanno fatto la fine del Grande
Torino a Superga… Viaggiavano su
un aereo per vivere una favola
sportiva e l’aereo è caduto. A
bordo c’erano più di 70
passeggeri. Si sono salvati in
sei. Dei calciatori brasiliani
solo 3. Stavano andando a
giocare la finale di coppa
contro il Nacional di Medellin
in Colombia. Era la partita più
importante che la squadra avesse
mai giocato… Non la giocherà
mai. Le autorità del calcio
sudamericano pensano di
assegnare la coppa a entrambe le
squadre. Ma sarà magra
consolazione per quella società
di provincia, partita dalle
serie inferiori e arrivata a
giocare una gara storica. E per
tutto il calcio brasiliano. Qui
di seguito il commento alla
tragedia scritto a caldo su
facebook da Riccardo Lorenzetti,
un appassionato e innamorato del
pallone e in particolare del
pallone, spesso intriso di
lacrime e saudade con cui s
gioca nel paese di Pelè e di
Altafini detto Mazzola, di
Garrincha e Socrates, il paese
in cui la libertà è un colpo di
tacco. Eccolo:
"I can’t believe the news
today". È l’incipit di uno dei
pezzi più belli (e drammatici)
degli U2: fu scritta in
occasione del tristemente noto
"Bloody Sunday", a Derry. Nel
1972, dove morirono 26 persone.
Non è che la morte di uno
sportivo valga più della morte
di un idraulico. O di un
commercialista. Colpisce di più,
quello è certo… Perché lo
sportivo, in genere, è giovane e
bello; come gli eroi della
famosa canzone. E colpisce
soprattutto l’incidente aereo,
che è quanto di più totale e
terribile. Un incidente aereo
non lascia scampo… Se cadi da
lassù, le possibilità di poterlo
raccontare sono pari allo zero
virgola. Adesso penso ai
Brasiliani. Al loro dolore, ma
anche a quell’entusiasmo così
bambinesco (e così Sudamericano)
che riversano nel gioco. Un
posto dove c’è la gioia per la
vittoria, e subito dietro
l’angolo un "Maracanazo" per il
quale piangere. Dove si amano i
vincenti, come Pelè. Ma anche
quelli che perdono, come
Garrincha. Perché soprattutto i
perdenti ci ricordano (in quel
poderoso calderone dove il
"futebol" è vita, e viceversa)
che polvere siamo. E polvere
ritorneremo. Da oggi nei loro
cuori ci sarà spazio anche per
il piccolo Chape. Questo Chievo
dei Tropici che non era né il
Flamengo, né il Corinthians… Era
una piccola squadra di provincia
partita dal nulla e che si
apprestava a giocare una partita
importante. La più importante
della sua storia. E che non
giocherà mai più. Come non ha
più giocato il Grande Torino. O
il Manchester di Duncan Edwards,
che era giovane e bello come
belli e giovani erano i
calciatori della Chapecoense.
"Dite ai medici che mi rimettano
in piedi, perché sabato abbiamo
la partita con lo Sheffield",
sussurrò nell’ultimo barlume di
lucidità mentre stava morendo…
Aveva il corpo dilaniato, ma si
sentiva ancora il Capitano. E un
Capitano non si arrende mai.
Furono le sue ultime parole.
Spirò quella sera stessa. Leggo
i nomi dei caduti: Mario Sergio,
Cleber Santana, Bruno Rangel…
Sono nomi tipicamente
brasiliani. Nomi perfetti per
quelle telecronache svolazzanti
piene di "gooooool" gridati a
squarciagola, con la "o" che non
finisce mai. Anzi: nomi di
ragazzi che non potresti
immaginare altrove, se non in un
campo di calcio. Dove,
probabilmente, saranno adesso.
Perché il Paradiso, se esiste, è
quella roba lì. Come mi disse il
povero Valerio, quando morì
Fulvio Benvenuti. "Ci sono tanti
campi sportivi, l’uno in fila
all’altro. E vi si giocano
bellissime partite a tutte le
ore del giorno e della notte… E
il vostro piccolo GS Petroio, da
stasera, è quello che gioca
meglio di tutti". Ero un
ragazzo. Ma l’immagine mi
piacque molto. E seppe
consolarmi. Buon viaggio,
Chapecoense".
30 novembre 2016
Fonte:
Primapaginachiusi.it
© Fotografia: Repubblica.it
Tragedia Chape, le
ultime parole della copilota e
modella
Non solo la Chape. Anche
la Bolivia piange i suoi morti
nella sciagura di Medellin. Tra
le cinque persone di La Paz che
hanno perso la vita in Colombia
c'è Sisy Arias, una ragazza di
29 anni, modella e che era la
copilota del volo LaMia. A
renderlo noto è la stampa
locale, precisando che Sisy
lavorava spesso quale modella.
"Più che le passerelle la sua
passione erano gli aerei. Il
tragico volo di Medellin - il
primo che faceva per LaMia -
rientrava nelle pratiche che
doveva svolgere quale pilota
civile, studi che aveva iniziato
due anni fa negli Stati Uniti,
dove viveva", ricordano i media
di La Paz. "Era rientrata in
Bolivia per raggiungere le mille
ore di volo, in modo di poter
entrare in una grande compagnia
aerea", ricordano ancora i
media, precisando che "non era
impiegata della LaMia". Sisy
lascia due figli (Matias, di 10
anni, e Mariana, 7) ed è a sua
volta la figlia minore del
giornalista Jorge Arias, molto
noto a La Paz dove è
proprietario di una rete tv. "È
stato Arias a dare la notizia
della morte, pubblicando su
sulle reti sociali la triste
notizia", sottolineano i media
locali, precisando che l'uomo si
trova ora a Medellin per
riportare a La Paz il corpo
della figlia. "Sisy aveva
rifiutato la sicurezza economica
che rappresentavano le imprese
del padre, amava la libertà dei
cieli", ricordano i media, che
dedicano articoli e immagini
alla giovane modella-pilota.
Tempo fa, precisa il quotidiano
El Deber, nel commentare il
mestiere che aveva scelto quale
professione, la ragazza aveva
sottolineato che "la sensazione
di stare lassù è incredibile,
anche se è vero che qualche
volta pensi al fatto che i
motori possono avere un guasto,
ma so anche che volare è un modo
per arrivare dove vuoi". "Che
Dio ti accolga nella gloria,
bambina mia, ti amerò sempre: te
ti sei solo anticipata di un
po’, e questo non è un addio",
ha scritto il padre su Facebook.
1 dicembre 2016
Fonte: Leggo.it
© Fotografia: Thesun.co.uk
Le ali della Chapecoense
di Miky Di Corato
L’aereo, decollato da
San Paolo, in Brasile, aveva
fatto scalo in Bolivia, prima di
schiantarsi, nella notte di
lunedì, sulla catena montuosa
colombiana. Certe creature sono
così perfette che neppure Dio
vuole che invecchino.
L’ala, un ruolo fondamentale nel
calcio, è l’esterno che salta
l’uomo, crossa e serve assist in
zona gol. Ma le ali, stavolta,
hanno servito un assist al
destino, assurdo, impenitente,
crudele. La favola della
Chapecoense si è trasformata
nell’incubo della Chapecoense.
La squadra brasiliana avrebbe
dovuto disputare, mercoledì 30
novembre, a Medellin, la finale
di Copa Sudamericana contro
l’Atletico Nacional, una storia
incredibile, un successo
sportivo senza eguali per un
gruppo di ragazzi di provincia.
Quella Coppa l’hanno portata a
casa, ora è lì nella sede del
club, o, se preferite, tra le
macerie di un British Aerospace
146. L’aereo, decollato da San
Paolo, in Brasile, aveva fatto
scalo in Bolivia, prima di
schiantarsi, nella notte di
lunedì, sulla catena montuosa
colombiana. Secondo l’Ente
colombiano, Aerocivil, a bordo
c’erano 77 persone, di cui 22
giocatori e 28 funzionari della
Società. Il terzino Alan Ruschel
e il secondo portiere Jackson
Ragnar Follman sono
sopravvissuti all’impatto,
mentre Helio Zampier, giunto in
gravi condizioni all’ospedale di
Medellin, non ce l’ha fatta. La
tragedia della Chapecoense
segue, tragicamente, le orme di
altre squadre sconfitte da
incidenti aerei. Grande Torino,
Manchester United e Bayern
Monaco (NDR: a Monaco di Baviera
avvenne soltanto l’incidente del
Manchester) sono solo gli esempi
più importanti di un complotto
divino. No, nessuna dietrologia,
solo la consapevolezza di essere
invincibili. Come si disse dopo
la strage di Superga, certe
creature sono così perfette che
neppure Dio vuole che
invecchino. Le richiama a sé per
delineare, forse, la caducità di
atleti che, da vivi, possono
scrivere la storia ma, da lassù,
la imprimono nella memoria di
grandi e piccini. Chissà, anche
questa potrebbe essere una
metafora divina, salire in cielo
per poi sprofondare tra le
pagine di una limitata cronaca
sportiva a tinte nere. Già, il
nero. Come quella scatola che
racchiude segreti indicibili,
misteri che lasciano a casa l’ex
difensore del Verona, Claudio
Winck, mentre offrono un
biglietto all’altro "italiano",
Felipe Machado, segnato da un
passato granata (Ndr:
Salernitana), epitaffica
maledizione di una maglia
tatuata sul cuore. Un biglietto
di prima classe, eleganza di cui
un giocatore di talento non può
far a meno. Da Pelè a Maradona,
da Neymar a Messi, il cordoglio
dei Campioni è lì, in calce,
sotto un contratto che li
legherà per sempre alla
Chapecoense. Ronaldinho e
Riquelme, pur di onorare il
ricordo delle vittime, sono
pronti a firmare in bianco. La
Federazione Brasiliana, dal
canto suo, ha promesso che la
nuova Chapecoense sarà, per
almeno tre anni, immune da
qualsiasi retrocessione.
D’altronde, quando ottieni la
promozione tra gli angeli, non
puoi più scendere nella
categoria dei vinti e
dimenticati.
5 dicembre 2016
Fonte: Odysseo.it
© Fotografia: Gazzetta.it
Quando un aereo
consegna lo sport alla storia
La tragica caduta dell’ormai
noto velivolo a 50 km dalla
città colombiana di Medellín ha
consegnato alla storia una rosa
di ragazzi straordinari che
erano pronti a giocarsi con
tutte le loro forze la Copa
Sudamericana contro l’Atlético
Nacional. Si sta parlando della
Chapecoense, la cui drammatica
storia ha commosso il mondo,
così come ha commosso il gesto
degli avversari, i quali hanno
richiesto ed ottenuto che il
trofeo venga comunque assegnato
ai brasiliani. Un gesto
meraviglioso che la CONMEBOL ha
concretizzato. Quella dei
brasiliani, tuttavia, rimane
solo l’ultima delle tragedie
aeree avvenute nella storia
dello sport. Una serie di eventi
molto variegata, sia dal punto
di vista degli sport sia dal
punto di vista delle dinamiche.
Non solo tragedie in cui hanno
perso la vita numerosi giocatori
di un team. Nella storia ci sono
stati incidenti che hanno
coinvolto anche singoli atleti,
allenatori ed addetti ai lavori
del mondo dello sport. Il primo
registrato fu quello di Giovanni
Monti, bandiera del Padova per
11 stagioni ed inabissatosi nel
Lago di Garda nel 1931 con il
suo aereo. Poi fu il turno di
due arbitri: Ermanno Silvano
muore a causa di un incidente
aereo mentre era diretto a Roma,
mentre nel 2011 il fischietto
russo Vladimir Pettay ci lasciò
per un incidente causato dalla
nebbia nei pressi dell’aeroporto
di destinazione, ovvero quello
della città russa di
Petrozavodsk. Nel 1996 fu invece
il vice presidente del Chelsea,
Matthew Harding, a morire a
causa di un incidente durante il
rientro da una trasferta a
Bolton, questa volta però in
elicottero. E questi sono solo
alcuni dei casi individuali. Ha
scosso l’opinione pubblica la
storia di Claudio Winck,
difensore in forza alla
Chapecoense reduce da una breve
esperienza al Verona, in Serie
A. Il calciatore di Portão non è
rimasto coinvolto nell’incidente
poiché non convocato a causa di
un infortunio, e quindi ancora
in vita. Un destino che ha
accomunato parecchi atleti nella
storia degli incidenti aerei in
cui sono stati coinvolti uomini
di sport.
Nel 1950 si verificò un
incidente nei pressi
dell’odierna Ekaterinburg, in
Russia, in cui persero la vita
11 tesserati della VVS Mosca, la
polisportiva dell’aviazione
militare russa. Furono in due a
salvarsi: trattasi degli
hockeysti e calciatori Viktor
Shuvalov e Vsevolod Bobrov,
rispettivamente infortunato ed
in treno a causa di un suo
ritardo all’aeroporto. Erik
Birger Dyreborg si salvò invece
nel 1960 dall’incidente in cui
rimase coinvolta una rosa di
giocatori danesi che si stava
recando a fare un provino per le
Olimpiadi di Roma 1960.
L’attaccante danese si salvò
lasciando spazio ai suoi
bagagli, decidendo di imbarcarsi
nel volo successivo. Nel 1961
furono alcuni calciatori cileni
a salvarsi da un imminente
disastro aereo. La rosa del
Green Cross, società calcistica
di Santiago del Cile, fu
suddivisa in due voli differenti
in occasione del rientro da una
trasferta ad Osorno in Copa
Chile. La maggior parte dei
giocatori si ritrovò sul secondo
velivolo, schiantatosi sulle
Ande, mentre gli altri si
salvarono. Si salvarono così
come si salvò il difensore
peruviano Juan Reynoso Guzmán,
futuro vincitore della Copa
Concacaf con il Cruz Azul nel
1996, graziato da un infortunio
che gli impedì di partecipare ad
una sfida di campionato del suo
Allianz Lima a Pucallpa nel
1987. Al ritorno il velivolo su
cui viaggiavano i suoi compagni
di squadra precipitò nell’Oceano
Pacifico nei pressi
dell’aeroporto. Curioso come
solo nel 2015 vennero ritrovati
alcuni resti dell’aereo, situati
a tremila metri d’altezza e
trovati da un gruppo di
alpinisti. Anche gli uzbeki del
Pakhtakor Tashkent si resero
loro malgrado protagonisti di un
incidente aereo che costò la
vita a quasi tutta la rosa. Era
il 1979 quando l’aereo su cui
viaggiava la squadra si schiantò
in altitudine con un secondo
velivolo, nei pressi della città
ucraina di Dneprodzeržins’k.
Come riporta Damiano Benzoni su
East Journal, alcuni giocatori
si salvarono grazie ad infortuni
ed anche l’allenatore Oleg
Bazilevič evitò la tragedia
grazie ad un permesso per andare
a trovare i familiari in Crimea.
Le altre società dell’allora
campionato sovietico si
strinsero intorno agli uzbeki,
premendo perché ne fosse
bloccata la retrocessione per
tre stagioni e prestando
gratuitamente alcuni giocatori.
Secondo la stampa estera
starebbe succedendo lo stesso
con la Chapecoense, con alcuni
giocatori che addirittura si
sarebbero candidati
gratuitamente per risollevare le
sorti della società: si è
parlato di due ipotesi
suggestive come quelle di
Ronaldinho e Juan Román
Riquelme, così come di una
realistica come quella
dell’attaccante islandese Eiður
Guðjohnsen.
Merita uno spazio a sé la
tragedia aerea che vide
coinvolti 15 calciatori olandesi
originari del Suriname,
convocati per una partita
benefica a Paramaribo, capitale
dell’ex colonia olandese. Il
velivolo si schiantò nei pressi
dell’aeroporto a causa di un
urto contro un albero dovuto
all’errore del pilota. Radjin de
Haan, Edu Nandlal e Sigi Lens,
tre atleti convocati nella
suddetta squadra benefica
Colourful 11, riuscirono
miracolosamente a salvarsi
nonostante l’impatto. Il Milan
aveva impedito ai suoi Frank
Rijkaard e Ruud Gullit di
partecipare all’amichevole,
mentre due giocatori dell’Ajax,
Henny Meijer e Stanley Menzo,
decisero di partire nonostante
il veto della società,
salvandosi grazie al viaggio su
un altro volo di linea. E come
non citare la drammatica storia
di Los Vejos Cristianos,
compagine uruguayana di rugby
che si schiantò sulle Ande ad
oltre quattromila metri
d’altitudine mentre era diretta
da Montevideo a Santiago del
Cile. Un gruppo di sedici
ragazzi si salvò dall’impatto e
fu costretto a sopravvivere in
condizioni climatiche estreme,
dovendo anche cibarsi della
carne umana dei ragazzi che
invece non ce l’avevano fatta,
resistendo per 72 giorni prima
di essere ritrovati. La storia è
stata anche raccontata al cinema
nel film Alive - Sopravvissuti,
uscito nel 1993 e diretto dal
regista americano Frank
Marshall. Nella storia dello
sport c’è stato anche un caso di
attentato terroristico. Trattasi
del 1976, anno in cui un
velivolo della Cubana de
Aviación diretto in Giamaica
esplose a causa di due ordigni
piazzati al suo interno,
riconducibili ad alcuni uomini
esiliati da Fidel Casto.
Morirono 73 persone, tra cui 24
atleti della nazionale giovanile
di scherma cubana, di ritorno
dai Campionati Centramericani e
Caraibici.
Due sono invece i misteri ancora
irrisolti. In primis quello di
Luigi Barbesino, campione
d’Italia con il Casale nel
1913/14, scomparso nel 1941
durante un suo viaggio in aereo
tra la Sicilia e Malta. In
secundis non sono ancora chiare,
a distanza di 48 anni, le cause
del disastro aereo avvenuto nel
1979 in cui perse la vita la
maggior parte degli atleti di
The Strongest, compagine
calcistica boliviana, vincitrice
due anni prima della Liga de
Fútbol Profesional Boliviano. La
distribuzione geografica di
questi incidenti è molto varia,
anche se la maggior parte di
essi si è verificata nel
continente americano. Il più
grande incidente fu quello del
1970 in West Virginia, in cui
furono coinvolti i giocatori
della squadra di football
americano Marshall University.
Essa rappresenta la più grande
tragedia aerea sportiva della
storia americana, in cui persero
la vita 71 tra giocatori, coach
e tifosi. Il tutto ad un anno di
distanza dall’incidente aereo in
cui persero la vita 14 giocatori
del Wichita State, diretti in
Utah per una trasferta.
L’incidente più famoso nel
continente africano fu invece
quello che vide coinvolta la
nazionale dello Zambia nel 1993,
quando l’aereo su cui viaggiava
la maggior parte degli atleti
zambiani si inabissò nell’Oceano
Atlantico a largo di Libreville,
capitale del Gabon, mentre la
selezione era diretta a Dakar
per una sfida contro il Senegal.
Molti anche gli altri sport
coinvolti in questa tragica
serie di incidenti. Nel 1966 fu
la volta della Generazione d’Oro
del nuoto italiano, che perse
sette atleti a causa della
famosa "Tragedia di Brema", con
il velivolo che era partito da
Francoforte. Poi anche il
football americano nei già
citati casi, così come la
pallacanestro nel 1977 con
l’incidente che colpì la squadra
universitaria di Evansville, in
Indiana. Ma anche il pugilato,
con il pugile francese Marcel
Cerdan, campione del mondo dei
pesi medi dal 1948 al 1949,
rimasto coinvolto nella tragedia
aerea nei pressi dell’isola São
Miguel, nell’arcipelago delle
Azzorre. Una tragedia di cui fu
colpevole involontariamente la
cantante transalpina Édith Piaf,
fidanzata che lo invitò a
raggiungerla in areo e non via
nave per accelerare i tempi. Nel
2011 fu la volta dell’hockey con
la tragedia della Lokomotiv
Jaroslavl’, il cui aereo
precipitò mentre era diretto a
Minsk, città bielorussa nella
quale la Loko avrebbe disputato
la prima sfida stagionale di
Kontinental Hockey League.
Proseguendo poi con il già
citato caso della scherma
cubana, fino all’incidente in
cui rimase coinvolta la
nazionale americana di
pattinaggio nel 1961, diretta
verso i Mondiali di Praga in
seguito annullati. Infine, sono
due i casi che hanno consegnato
due squadre alla storia.
Due casi che con il passare
degli anni hanno assunto
contorni epici e che hanno
segnato per sempre la storia dei
due club: trattasi di Torino e
Manchester United. Nel 1949, di
ritorno da un’amichevole contro
il Benfica a Lisbona per aiutare
economicamente il capitano
lusitano Francisco Ferreira, il
velivolo su cui viaggiavano i
Granata si schiantò sulla
collina di Superga, nella città
della Mole Antonelliana. Quella
squadra era reduce da cinque
Scudetti consecutivi e
costituiva quasi interamente la
Nazionale italiana. Una tragedia
che ancora oggi è viva tra i
tifosi, tramandata di
generazione in generazione, in
onore di quello che fu il Grande
Torino, celebrato dalla FIFA nel
2015 con l’istituzione della
Giornata Mondiale del Gioco del
Calcio nella ricorrenza della
tragedia. Nel 1958, invece, il
Manchester United era di ritorno
dalla trasferta a Belgrado
contro la Stella Rossa in Coppa
dei Campioni, il cui pareggio
regalava ai Red Devils le
semifinali. Dopo aver ritardato
il volo di un’ora a causa
dell’attaccante Johnny Berry, il
quale non trovava il passaporto,
la squadra ritardò di un’ora il
rientro, facendo tappa a Monaco
di Baviera per fare rifornimento
di carburante. Quando l’aereo
cercò di decollare in direzione
Inghilterra ci furono dei
problemi ed il velivolo si
schiantò prima contro la
recinzione e poi contro
un’abitazione. Il pilota James
Thain si salvò ed in seguito
ammise le sue colpe, fu
licenziato e morì per un attacco
di cuore a 53 anni. Morirono
otto giocatori dei Red Devils,
mentre si salvarono in nove, tra
cui Bobby Charlton, campione del
mondo in seguito nel 1966 con
l’Inghilterra e Pallone d’Oro
nello stesso anno. Jimmy Murphy,
secondo allenatore, era assente
a causa di un impegno come
selezionatore della nazionale
gallese e quindi si salvò.
L’allenatore, Matt Busby,
ricevette invece in due
occasioni l’estrema unzione per
la gravità delle sue condizioni,
ma alla fine si salvò. Quella
squadra era soprannominata la
squadra dei Busby Babes per via
della giovane età della rosa,
che impreziosisce a maggiora
ragione i due campionati inglesi
vinti nel 1966 e 1967, nonché le
semifinali Coppa dei Campioni
raggiunte contro i futuri
vincitori del Real Madrid nel
1957.
(Pubblicato su Io Gioco
Pulito, inserto sportivo online
de Il Fatto Quotidiano il
7.12.2016)
7 dicembre 2016
Fonte:
Matteocalautti.com
© Fotografie:
Sportal.it - Ansa.it - Corriere.it - Todaysport.it
La Chapecoense dopo la
tragedia: una rinascita senza
lieto fine
Ricostruita dopo
l'incidente aereo, la
Chapecoense ha conquistato due
salvezze di fila. Ma ora è in B
e in gravi difficoltà
economiche.
A Chapecó, comune di quasi
170.000 abitanti del Sud del
Brasile, il 28 novembre non è
una data come le altre. Nel
2016, la tragedia aerea che
distrusse la Chapecoense
sconvolgendo l'intero mondo del
calcio: 71 morti tra i 77
passeggeri che stavano volando
verso la Colombia per la finale
d'andata della Copa Sudamericana
contro l'Atletico Nacional. E
nel 2019, sempre lo stesso
giorno, la prima retrocessione
dalla A alla B brasiliana. Una
sorta di fine di un ciclo.
Iniziato a fine 2013 con la
prima, storica promozione nella
massima serie, e proseguito
negli anni seguenti tra salvezze
miracolose, imprese, viaggi
continentali. Nel calderone pure
una partecipazione alla
Libertadores nel 2017, con
l'illusione di accedere agli
ottavi di finale svanita solo
con un ko a tavolino per aver
schierato nei gironi un
difensore (Luiz Otavio)
squalificato. Il capolavoro, la
Chapecoense lo compie proprio
nel 2017. Nonostante abbia in
rosa quasi una trentina di
calciatori nuovi rispetto a 12
mesi prima, e nonostante durante
l'annata si susseguano tre
allenatori in panchina, la
formazione catarinense conquista
un'insperata salvezza e, come se
non bastasse, chiude all'ottavo
posto qualificandosi per la
seconda volta di fila per la
Libertadores. L'avventura finirà
già ai preliminari, contro gli
uruguaiani del Nacional, ma
l'impresa resta scolpita nella
storia del club. Nel 2018 altra
salvezza sofferta, raggiunta
all'ultima giornata, poi le cose
iniziano a complicarsi
irrimediabilmente. L'alchimia
non funziona più e, nel 2019, la
squadra chiude mestamente al
penultimo posto della
classifica. Se mai il calcio
brasiliano ripartirà, dovrà
disputare la Serie B nazionale.
I volti noti della rinascita
sono più di uno. Non i
Ronaldinho e i Riquelme, il cui
aiuto gratuito alla
ricostruzione della Chape dopo
l'incidente si è sostanzialmente
rivelato un fake, ma, più
modestamente, qualche elemento
passato anche per la Serie A:
l'ex romanista Artur in porta,
l'ex Palermo Tulio de Melo in
attacco, più l'ex Fiorentina ed
Hellas Gustavo Campanharo.
L'unico apporto concreto, alla
fine, lo dà Tulio, autore di 7
reti nel 2017. I familiari delle
vittime decedute nell'incidente
aereo di fine 2016, intanto,
sono costantemente in contatto
con il club, che fa pervenire
loro un sostegno economico
mensile in collaborazione con
un'associazione creata proprio
da Tulio de Melo. Ma da mesi la
situazione, complici la
retrocessione e l'emergenza
Coronavirus, si è aggravata in
maniera quasi irreparabile. La
favola, insomma, non sta avendo
un lieto fine. Prima dello stop
del calcio - europeo e pure
brasiliano - la Chapecoense
aveva vinto appena due delle
nove partite del campionato
catarinense, venendo eliminata
precocemente dalla Copa do
Brasil. In tre mesi ha già
cacciato tecnico e direttore
generale. Uno dei volti più
conosciuti (o meno sconosciuti…)
a livello nazionale è il
centravanti Anselmo Ramon, 31
anni, arrivato dal Vitoria e
passato senza fortuna anche per
i romeni del Cluj. Ma i tempi
continuano a essere duri per una
realtà che, dopo Medellin, era
stata adottata dall'intero
Brasile. E che oggi, a poco più
di tre anni dalla tragedia, è
tornata nel dimenticatoio.
9 aprile 2020
Fonte: Goal.com
© Fotografia: Conmebol.com
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