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Il contrario di un sogno

di Fabrizio Gabrielli

Tra le 2 e le 4 di notte è caduto l’aereo che trasportava la Chapecoense per giocare la finale di Sudamericana. Stefano Borghi avrebbe dovuto fare la cronaca di quella partita.

Stamattina la prima cosa apparsa sulle timeline dei miei social è stata la notizia drammatica di un disastro aereo, resa ancora più drammatica dalla mention per la Chapecoense, squadra brasiliana che si stava andando a giocare la finale di Copa Sudamericana. L’aereo si è schiantato tentando un atterraggio di emergenza vicino a Medellin (la causa non è certa) alle 2:30 della mattina italiana, e l’ufficialità dell’incidente è arrivata alle 4:34. La Chapecoense avrebbe dovuto giocare nella notte tra mercoledì e giovedì e la partita sarebbe andata in onda su Fox, con la telecronaca di Stefano Borghi, collaboratore di Ultimo Uomo e mio amico. Ho deciso di chiamarlo per parlarne.

Ciao Stefano, come hai appreso la notizia e qual è stata la tua prima reazione ? Anche considerando che in questi giorni stavi studiando il Chapecoense, ti stavi preparando per la cronaca della finale…

"Sconcerto, ovviamente. Per me è stato molto improvviso perché oggi in teoria avevo il giorno libero. Mi ha chiamato il mio direttore questa mattina e mi ha dato la notizia. Ho avuto 5-10 secondi di incomprensione totale, di incredulità, e poi dentro: sono venuto al lavoro, saremo in diretta bene o male tutto il giorno per questa cosa. Ma è stato veramente un fulmine anche perché ti tornano ricordi, storie lette, anche in parte vissute. Come se ti colpisse un fulmine. All’inizio le informazioni erano abbastanza complicate da ricostruire anche perché i salvataggi sono stati difficili in Antioquia, in Colombia, zona montagnosa. Ma ci sono delle cose che colpiscono: ad esempio il fatto che l’aereo fosse lo stesso utilizzato dall’Argentina 18 giorni fa. E non doveva essere il loro aereo per il Brasile. Perché, per disposizioni internazionali, loro dovevano viaggiare su un volo charter diretto da San Paolo. Invece c’è stato questo cambio con lo scalo a La Paz, in Bolivia, e questo aereo che li stava portando a Medellin che è arrivato fin quasi all’aeroporto di destinazione. E poi c’è stato questo contatto con la torre di controllo per un guasto elettrico e alla fine lo schianto. Le informazioni sono ancora frammentarie. La cosa francamente più difficile da seguire, da accettare, sono le notizie riguardanti proprio la condizione dei passeggeri… Danilo che sembrava essersi salvato e invece purtroppo no. È veramente la parte più difficile del nostro lavoro, sembra retorica, sembra scontato ma è così. È una giornata in cui vorresti fare un lavoro diverso, vorresti essere da un’altra parte".

A proposito del discorso sulla retorica: era davvero la partita più importante della loro storia. Cioè questi nel 2009 facevano la quarta serie brasiliana e domani si sarebbero andati a giocare la finale di un torneo continentale.

"È assurdo. La Chapecoense era la così detta favola del semestre. Noi che seguiamo il calcio sudamericano ci abbiamo fatto quasi il callo con ‘ste cose. Nel senso che diventa quasi una cosa che si guarda diversamente. L’anno scorso in Europa abbiamo vissuto l’epopea del Leicester ed è stata una cosa che ha un po’ unito tutti, ma in Sudamerica succede quasi ogni sei mesi. Nella scorsa Libertadores c’era l’Independiente del Valle, quest’anno nel Sudamericano c’era la Chapecoense. Questo suscita quasi il sentimento: "Ma no, speriamo che vinca una grande". Fa quasi più storia la restaurazione di una grande che la sorpresa. Però la Chapecoense era una cosa diversa, era un progetto che era fiorito negli anni. Meno di dieci anni fa questo era un club di quarta divisione, poco più di cinque anni fa sembrava destinato a sparire. Quando Bruno Rangel ha firmato per la Chapecoense nel 2013 non c’era campo d’allenamento, non c’era palestra, non c’era nulla. Erano neopromossi in seconda divisione e adesso erano arrivati fin qua, ma progressivamente. Va ricordato che l’anno scorso sono arrivati fino ai quarti di finale della Coppa Sudamericana, hanno battuto il River Plate. Era una squadra pronta per arrivare a giocarsi veramente la storia all’interno di una grandissima storia. Perché contro l’Atletico Nacional de Medellin che poteva essere la prima e l’ultima nel calcio sudamericano a vincere Libertadores e Sudamericana nello stesso anno. Per cui c’erano veramente tutti i tasselli per raccontare ancora qualcosa di mitico, di unico, di bellissimo. E invece ci tocca raccontare questo".

Che tipo di squadra era ? Madonna è terribile utilizzare…

"…Terribile. Utilizzare l’imperfetto. Era una squadra vera, forgiata dalla crescita dal basso verso l’alto. Con tanti profili differenti. Chi viveva il sogno, chi lo stava per vivere. Perché c’erano giocatori come Thiego, come Dener che erano pronti a capitalizzare questa grande epopea firmando per grandi club come il Santos o il San Paolo. C’era anche il veterano, Cléber Santana: ne aveva vissute tante in Sudamerica, in Europa. Era il leader di questa squadra. Bruno Rangel, di cui ti parlavo poco fa. Kempes, che era la sua riserva. Era un altro trentaquattrenne che, dopo innumerevoli viaggi, aveva firmato per un anno e viveva la sua ultima grande avventura, e la stava vivendo benissimo: nove gol nel Brasilerao. Era una squadra che aveva meritato assolutamente di arrivare fino alla finale eliminando Independiente, San Lorenzo. Quella parata sulla linea all’ultimo secondo della semifinale di ritorno. Piede sulla linea a tirar fuori il pallone, a fare la storia, a regalare grande avventura… Forse adesso ti viene da pensare che era meglio se quel pallone fosse entrato".

E adesso che succede ?

"Non lo so, ci pensavo stamattina venendo al lavoro. Si possono fare tante cose. Questa partita non so se si giocherà, come verrà giocata. Forse non bisognerebbe assegnare la coppa o forse bisognerebbe darla alla Chapecoense. Non lo so. Quando successe la tragedia del Grande Torino, il Torino aveva già vinto matematicamente il campionato e ci fu la straziante scena della partita dopo giocata dalla Primavera con i giocatori del Genoa che appuntarono lo scudetto sulle maglie di questi ragazzi. Non so cosa si deciderà di fare e sarà una decisione molto complicata. Tutto quello che decidono va bene, sostanzialmente. Ormai questa Coppa Sudamericana non ha più senso".

Hai fatto un accenno al Torino: il Torino ha fatto un tweet che ti strappa il cuore da dentro, dicendo "Uniti nello stesso destino". Ma secondo me il tweet più straziante in assoluto è quello che ritrae la foto dello spogliatoio con i calciatori che non sono andati. Non so se hai avuto modo di vederlo.

"L’ho visto. Ti riporto le parole di Sauro Tomà, che è l’unico del Grande Torino che si è salvato perché si era fatto male prima della trasferta di Lisbona e non è mai partito con la squadra. Lui dice a un certo punto che ha pensato più volte che avrebbe preferito essere su quell’aereo con i suoi compagni. E questo ci dice tutto. Perché il dolore più grande quando succedono queste cose è sempre in chi rimane, effettivamente. Loro non ci sono più. Tu ci sei ancora e la tua vita è segnata. E non c’è altro da dire, fondamentalmente".

29 novembre 2016

Fonte: Sportal.it

© Fotografia: Repubblica.it

Morire a un passo dalla gloria

L’incidente aereo che ha cancellato il Chapecoense

di Piero Vietti

Nella notte tra lunedì e martedì, un aereo partito dalla Bolivia e diretto in Colombia si è schiantato sulle montagne vicino a Medellín, dove avrebbe dovuto atterrare. Trasportava 77 persone: 71 sono morte, sei sono state trasportate vive nel più vicino ospedale. Sul volo c'era l’intera squadra di calcio brasiliana del Chapecoense.

Nella notte tra lunedì e martedì, un aereo partito dalla Bolivia e diretto in Colombia si è schiantato sulle montagne vicino a Medellín, dove avrebbe dovuto atterrare. Trasportava 77 persone: 71 sono morte, sei sono state portate vive nel più vicino ospedale. Sul volo c'era l’intera squadra di calcio del Chapecoense, in viaggio per giocare l’andata della finale di Copa Sudamericana, l’equivalente della nostra Europa League. Era la prima finale internazionale del club fondato nel 1973 e partito sette anni fa dalla serie D. Una cavalcata che aveva fatto gridare al miracolo in tanti, soprattutto perché la società aveva i conti a posto in un campionato dove fallimenti e corruzione sono all’ordine del giorno. A feroce memoria di ciò che poteva essere e non sarà mai, sui siti di tutto il mondo stanno girando gli ultimi video e le foto postate sui social network dai giocatori prima di partire, in aeroporto e sull’aereo. Seguono di pochi giorni quelli della festa negli spogliatoi dopo la vittoria in semifinale contro il San Lorenzo, dove si vedono i giocatori piangere di gioia e ringraziare Dio per la loro prima, inaspettata finale. Non si può fingere che questa tragedia sia diversa da altre simili proprio per la morte di questi ragazzi. Il 4 maggio del 1949 l’aereo che riportava a casa i giocatori del Grande Torino fece la stessa fine, schiantandosi contro la collina di Superga. Il giorno dopo, Dino Buzzati spiegava così la commozione che aveva investito il paese intero: "Ecco che cosa sono i grandi calciatori. Nella mediocre vita delle grandi città essi portano ogni domenica un soffio di fantasia e di nuova vita; senza sangue né ira ridestano negli uomini stanchi qualcosa di eroico; proprio così, la parola non è troppo esagerata". Sono passati quasi settant’anni, il calcio e il mondo sono cambiati, ma questa percezione è rimasta la stessa, intatta. Nonostante tutto. Per questo ieri tanti tifosi di tutto il mondo piangevano la morte dei giocatori del Chapecoense, anche se fino al giorno prima non sapevano neppure della loro esistenza. Avrebbero dovuto giocare la prima partita della finale domani, in casa dell’Atlético Nacional: la squadra colombiana ha già fatto sapere di volere cedere la coppa al Chapecoense, o a quello che ne resta. Tre calciatori si sono infatti salvati, ma sarà durissima per loro ricominciare. Da tutto il mondo sono arrivati messaggi di cordoglio, tantissimi calciatori hanno postato messaggi di vicinanza e preghiera. "E’ un destino che ci lega indissolubilmente", ha scritto l’account ufficiale del Torino, che ha giocato in Coppa Italia con il lutto al braccio e osservando un minuto di silenzio prima di iniziare la partita. I granata sono forse quelli che più di altri conoscono il dolore di una perdita del genere, assieme ai tifosi del Manchester United che nel 1958 persero otto dei loro migliori calciatori in un incidente aereo a Monaco. Centinaia di persone sono scese in strada a Chapecó, mettendosi a pregare davanti allo stadio. Verrà il momento per capire meglio le cause dell’incidente - si parla di avaria elettrica, con il pilota che aveva chiesto un atterraggio di emergenza alla torre di controllo, per poi interrompere ogni comunicazione - adesso la sensazione che circonda questa storia è l’ineluttabilità, già pronta a trasformarsi in epica. Dopo l’incidente di Superga ci fu chi scomodò il mito greco, con gli dei che regalavano agli eroi l’onore di una morte in giovane età. Succederà lo stesso per i ragazzi del Chapecoense, destinati loro malgrado a rimanere nella storia del calcio per una fine ingiusta. Avrebbero preferito farlo altrimenti, vincendo la Copa Sudamericana in una finale che non giocheranno mai. Ma chi li cercherà nei corpi bruciati dallo schianto o nei resti ricomposti nelle bare durante i tre giorni di lutto nazionale non li troverà. Tutti i tifosi del mondo sanno che i calciatori brasiliani morti ieri stanno già giocando da un’altra parte, di nuovo e per sempre.

29 novembre 2016

Fonte: Ilfoglio.it

© Fotografie: Corriere.it - Repubblica.it

ESTERO / IL RICORDO

Tragedia Chapecoense, Romulo: "Conoscevo tante di quelle persone..."

Nel 2009, il centrocampista del Verona aveva giocato nel club brasiliano, vittima della sciagura aerea in Colombia. "Oggi è un giorno triste, è una tragedia tremenda - racconta - Prego per i familiari delle vittime".

Non solo la militanza di Machado nella Salernitana o il legame indissolubile, nella sciagura aerea, con il Torino. La tragedia della Chapecoense si lega all'Italia anche nella figura di Romulo, centrocampista del Verona, naturalizzato italiano e preconvocato dalla Nazionale per il Mondiale Brasiliano. L'ex esterno della Juventus, infatti, nella Chapecoense, aveva militato nel 2009. "Oggi è un giorno triste - spiega Romulo a Sky Sport - Conoscevo tanti di quelli che erano a bordo dell'aereo, non solo calciatori, ma anche alcuni tra dirigenti e giornalisti. È una tragedia tremenda". RICORDI VIVIDI - "Ricordo molto bene quando ho giocato lì e con molti di quei ragazzi abbiamo conquistato la finale del campionato dello stato di Santa Catarina - prosegue il centrocampista italo-brasiliano - Non ho sentito nessuno della società, anche perché il 99% dei dirigenti era a bordo dell'aereo. Prego per i familiari delle vittime". Il legame del Verona con la tragedia, comunque, è a doppio filo: lo scorso anno, nel club gialloblù, aveva giocato anche Winck, scampato alla sciagura perché non convocato. "Il mio procuratore ha sentito il padre: Claudio sta bene ma è molto triste e scosso per i suoi compagni e i familiari delle vittime - conclude Romulo - Anche Nenem e Nivaldo li conosco bene e pure loro si sono salvati perché non convocati".

29 novembre 2016

Fonte: Gazzetta.it (Testo © Fotografia)

L'allenatore del Chapecoense dopo la qualificazione alla finale:

"Se morissi oggi, morirei felice"

"Se morissi oggi, morirei felice". Questo aveva detto solo una settimana fa Caio Júnior, l'allenatore del Chapecoense, la squadra di calcio rimasta coinvolta nel terribile incidente aereo in Colombia che ha provocato la morte di 81 persone di cui la metà composta dai giocatori della squadra di calcio brasiliana che si stava recando in Sudamerica per giocarsi un titolo importante come la Copa Sudamericana, pari alla nostra Europa League. Una finale quella contro l'Atletico Nacional di Medellin agognata, sudata, desiderata. Per questo Caio Junior era felice. Così felice da pronunciare quelle parole, come riporta Radiohuancavilca.com, che oggi sembrano sinistramente profetiche. L'ex allenatore di Palmeiras, Gremio e Flamengo è, infatti, tra le persone rimaste uccise nel disastro del volo British Aerospace 146 operato dalla LaMia. La carriera di Caio era in ascesa, scrive il sito. Stava facendo la storia con il Chapecoense, un piccolo club di una cittadina industriale brasiliana con poco più di 200mila abitanti che giocava nell'equivalente della nostra serie D e che aveva conosciuto una scalata memorabile.

29 novembre 2016

Fonte: Huffingtonpost.it

© Fotografia: Ilfattoquotidiano.it

Il pallone che piange per la Superga dei brasiliani

di Riccardo Lorenzetti

Pochi fino a ieri in Italia sapevano chi fossero i giocatori della Chapecoense. O cosa fosse la Chapecoense… Ora lo sanno tutti perché quella squadra brasiliana e i suoi giocatori hanno fatto la fine del Grande Torino a Superga… Viaggiavano su un aereo per vivere una favola sportiva e l’aereo è caduto. A bordo c’erano più di 70 passeggeri. Si sono salvati in sei. Dei calciatori brasiliani solo 3. Stavano andando a giocare la finale di coppa contro il Nacional di Medellin in Colombia. Era la partita più importante che la squadra avesse mai giocato… Non la giocherà mai. Le autorità del calcio sudamericano pensano di assegnare la coppa a entrambe le squadre. Ma sarà magra consolazione per quella società di provincia, partita dalle serie inferiori e arrivata a giocare una gara storica. E per tutto il calcio brasiliano. Qui di seguito il commento alla tragedia scritto a caldo su facebook da Riccardo Lorenzetti, un appassionato e innamorato del pallone e in particolare del pallone, spesso intriso di lacrime e saudade con cui s gioca nel paese di Pelè e di Altafini detto Mazzola, di Garrincha e Socrates, il paese in cui la libertà è un colpo di tacco. Eccolo:

"I can’t believe the news today". È l’incipit di uno dei pezzi più belli (e drammatici) degli U2: fu scritta in occasione del tristemente noto "Bloody Sunday", a Derry. Nel 1972, dove morirono 26 persone. Non è che la morte di uno sportivo valga più della morte di un idraulico. O di un commercialista. Colpisce di più, quello è certo… Perché lo sportivo, in genere, è giovane e bello; come gli eroi della famosa canzone. E colpisce soprattutto l’incidente aereo, che è quanto di più totale e terribile. Un incidente aereo non lascia scampo… Se cadi da lassù, le possibilità di poterlo raccontare sono pari allo zero virgola. Adesso penso ai Brasiliani. Al loro dolore, ma anche a quell’entusiasmo così bambinesco (e così Sudamericano) che riversano nel gioco. Un posto dove c’è la gioia per la vittoria, e subito dietro l’angolo un "Maracanazo" per il quale piangere. Dove si amano i vincenti, come Pelè. Ma anche quelli che perdono, come Garrincha. Perché soprattutto i perdenti ci ricordano (in quel poderoso calderone dove il "futebol" è vita, e viceversa) che polvere siamo. E polvere ritorneremo. Da oggi nei loro cuori ci sarà spazio anche per il piccolo Chape. Questo Chievo dei Tropici che non era né il Flamengo, né il Corinthians… Era una piccola squadra di provincia partita dal nulla e che si apprestava a giocare una partita importante. La più importante della sua storia. E che non giocherà mai più. Come non ha più giocato il Grande Torino. O il Manchester di Duncan Edwards, che era giovane e bello come belli e giovani erano i calciatori della Chapecoense. "Dite ai medici che mi rimettano in piedi, perché sabato abbiamo la partita con lo Sheffield", sussurrò nell’ultimo barlume di lucidità mentre stava morendo… Aveva il corpo dilaniato, ma si sentiva ancora il Capitano. E un Capitano non si arrende mai. Furono le sue ultime parole. Spirò quella sera stessa. Leggo i nomi dei caduti: Mario Sergio, Cleber Santana, Bruno Rangel… Sono nomi tipicamente brasiliani. Nomi perfetti per quelle telecronache svolazzanti piene di "gooooool" gridati a squarciagola, con la "o" che non finisce mai. Anzi: nomi di ragazzi che non potresti immaginare altrove, se non in un campo di calcio. Dove, probabilmente, saranno adesso. Perché il Paradiso, se esiste, è quella roba lì. Come mi disse il povero Valerio, quando morì Fulvio Benvenuti. "Ci sono tanti campi sportivi, l’uno in fila all’altro. E vi si giocano bellissime partite a tutte le ore del giorno e della notte… E il vostro piccolo GS Petroio, da stasera, è quello che gioca meglio di tutti". Ero un ragazzo. Ma l’immagine mi piacque molto. E seppe consolarmi. Buon viaggio, Chapecoense".

30 novembre 2016

Fonte: Primapaginachiusi.it

© Fotografia: Repubblica.it

Tragedia Chape, le ultime parole della copilota e modella

Non solo la Chape. Anche la Bolivia piange i suoi morti nella sciagura di Medellin. Tra le cinque persone di La Paz che hanno perso la vita in Colombia c'è Sisy Arias, una ragazza di 29 anni, modella e che era la copilota del volo LaMia. A renderlo noto è la stampa locale, precisando che Sisy lavorava spesso quale modella.

"Più che le passerelle la sua passione erano gli aerei. Il tragico volo di Medellin - il primo che faceva per LaMia - rientrava nelle pratiche che doveva svolgere quale pilota civile, studi che aveva iniziato due anni fa negli Stati Uniti, dove viveva", ricordano i media di La Paz. "Era rientrata in Bolivia per raggiungere le mille ore di volo, in modo di poter entrare in una grande compagnia aerea", ricordano ancora i media, precisando che "non era impiegata della LaMia". Sisy lascia due figli (Matias, di 10 anni, e Mariana, 7) ed è a sua volta la figlia minore del giornalista Jorge Arias, molto noto a La Paz dove è proprietario di una rete tv. "È stato Arias a dare la notizia della morte, pubblicando su sulle reti sociali la triste notizia", sottolineano i media locali, precisando che l'uomo si trova ora a Medellin per riportare a La Paz il corpo della figlia. "Sisy aveva rifiutato la sicurezza economica che rappresentavano le imprese del padre, amava la libertà dei cieli", ricordano i media, che dedicano articoli e immagini alla giovane modella-pilota. Tempo fa, precisa il quotidiano El Deber, nel commentare il mestiere che aveva scelto quale professione, la ragazza aveva sottolineato che "la sensazione di stare lassù è incredibile, anche se è vero che qualche volta pensi al fatto che i motori possono avere un guasto, ma so anche che volare è un modo per arrivare dove vuoi". "Che Dio ti accolga nella gloria, bambina mia, ti amerò sempre: te ti sei solo anticipata di un po’, e questo non è un addio", ha scritto il padre su Facebook.

1 dicembre 2016

Fonte: Leggo.it

© Fotografia: Thesun.co.uk

Le ali della Chapecoense

di Miky Di Corato

L’aereo, decollato da San Paolo, in Brasile, aveva fatto scalo in Bolivia, prima di schiantarsi, nella notte di lunedì, sulla catena montuosa colombiana. Certe creature sono così perfette che neppure Dio vuole che invecchino.

L’ala, un ruolo fondamentale nel calcio, è l’esterno che salta l’uomo, crossa e serve assist in zona gol. Ma le ali, stavolta, hanno servito un assist al destino, assurdo, impenitente, crudele. La favola della Chapecoense si è trasformata nell’incubo della Chapecoense. La squadra brasiliana avrebbe dovuto disputare, mercoledì 30 novembre, a Medellin, la finale di Copa Sudamericana contro l’Atletico Nacional, una storia incredibile, un successo sportivo senza eguali per un gruppo di ragazzi di provincia. Quella Coppa l’hanno portata a casa, ora è lì nella sede del club, o, se preferite, tra le macerie di un British Aerospace 146. L’aereo, decollato da San Paolo, in Brasile, aveva fatto scalo in Bolivia, prima di schiantarsi, nella notte di lunedì, sulla catena montuosa colombiana. Secondo l’Ente colombiano, Aerocivil, a bordo c’erano 77 persone, di cui 22 giocatori e 28 funzionari della Società. Il terzino Alan Ruschel e il secondo portiere Jackson Ragnar Follman sono sopravvissuti all’impatto, mentre Helio Zampier, giunto in gravi condizioni all’ospedale di Medellin, non ce l’ha fatta. La tragedia della Chapecoense segue, tragicamente, le orme di altre squadre sconfitte da incidenti aerei. Grande Torino, Manchester United e Bayern Monaco (NDR: a Monaco di Baviera avvenne soltanto l’incidente del Manchester) sono solo gli esempi più importanti di un complotto divino. No, nessuna dietrologia, solo la consapevolezza di essere invincibili. Come si disse dopo la strage di Superga, certe creature sono così perfette che neppure Dio vuole che invecchino. Le richiama a sé per delineare, forse, la caducità di atleti che, da vivi, possono scrivere la storia ma, da lassù, la imprimono nella memoria di grandi e piccini. Chissà, anche questa potrebbe essere una metafora divina, salire in cielo per poi sprofondare tra le pagine di una limitata cronaca sportiva a tinte nere. Già, il nero. Come quella scatola che racchiude segreti indicibili, misteri che lasciano a casa l’ex difensore del Verona, Claudio Winck, mentre offrono un biglietto all’altro "italiano", Felipe Machado, segnato da un passato granata (Ndr: Salernitana), epitaffica maledizione di una maglia tatuata sul cuore. Un biglietto di prima classe, eleganza di cui un giocatore di talento non può far a meno. Da Pelè a Maradona, da Neymar a Messi, il cordoglio dei Campioni è lì, in calce, sotto un contratto che li legherà per sempre alla Chapecoense. Ronaldinho e Riquelme, pur di onorare il ricordo delle vittime, sono pronti a firmare in bianco. La Federazione Brasiliana, dal canto suo, ha promesso che la nuova Chapecoense sarà, per almeno tre anni, immune da qualsiasi retrocessione. D’altronde, quando ottieni la promozione tra gli angeli, non puoi più scendere nella categoria dei vinti e dimenticati.

5 dicembre 2016

Fonte: Odysseo.it

© Fotografia: Gazzetta.it

Quando un aereo consegna lo sport alla storia

La tragica caduta dell’ormai noto velivolo a 50 km dalla città colombiana di Medellín ha consegnato alla storia una rosa di ragazzi straordinari che erano pronti a giocarsi con tutte le loro forze la Copa Sudamericana contro l’Atlético Nacional. Si sta parlando della Chapecoense, la cui drammatica storia ha commosso il mondo, così come ha commosso il gesto degli avversari, i quali hanno richiesto ed ottenuto che il trofeo venga comunque assegnato ai brasiliani. Un gesto meraviglioso che la CONMEBOL ha concretizzato. Quella dei brasiliani, tuttavia, rimane solo l’ultima delle tragedie aeree avvenute nella storia dello sport. Una serie di eventi molto variegata, sia dal punto di vista degli sport sia dal punto di vista delle dinamiche. Non solo tragedie in cui hanno perso la vita numerosi giocatori di un team. Nella storia ci sono stati incidenti che hanno coinvolto anche singoli atleti, allenatori ed addetti ai lavori del mondo dello sport. Il primo registrato fu quello di Giovanni Monti, bandiera del Padova per 11 stagioni ed inabissatosi nel Lago di Garda nel 1931 con il suo aereo. Poi fu il turno di due arbitri: Ermanno Silvano muore a causa di un incidente aereo mentre era diretto a Roma, mentre nel 2011 il fischietto russo Vladimir Pettay ci lasciò per un incidente causato dalla nebbia nei pressi dell’aeroporto di destinazione, ovvero quello della città russa di Petrozavodsk. Nel 1996 fu invece il vice presidente del Chelsea, Matthew Harding, a morire a causa di un incidente durante il rientro da una trasferta a Bolton, questa volta però in elicottero. E questi sono solo alcuni dei casi individuali. Ha scosso l’opinione pubblica la storia di Claudio Winck, difensore in forza alla Chapecoense reduce da una breve esperienza al Verona, in Serie A. Il calciatore di Portão non è rimasto coinvolto nell’incidente poiché non convocato a causa di un infortunio, e quindi ancora in vita. Un destino che ha accomunato parecchi atleti nella storia degli incidenti aerei in cui sono stati coinvolti uomini di sport.

Nel 1950 si verificò un incidente nei pressi dell’odierna Ekaterinburg, in Russia, in cui persero la vita 11 tesserati della VVS Mosca, la polisportiva dell’aviazione militare russa. Furono in due a salvarsi: trattasi degli hockeysti e calciatori Viktor Shuvalov e Vsevolod Bobrov, rispettivamente infortunato ed in treno a causa di un suo ritardo all’aeroporto. Erik Birger Dyreborg si salvò invece nel 1960 dall’incidente in cui rimase coinvolta una rosa di giocatori danesi che si stava recando a fare un provino per le Olimpiadi di Roma 1960. L’attaccante danese si salvò lasciando spazio ai suoi bagagli, decidendo di imbarcarsi nel volo successivo. Nel 1961 furono alcuni calciatori cileni a salvarsi da un imminente disastro aereo. La rosa del Green Cross, società calcistica di Santiago del Cile, fu suddivisa in due voli differenti in occasione del rientro da una trasferta ad Osorno in Copa Chile. La maggior parte dei giocatori si ritrovò sul secondo velivolo, schiantatosi sulle Ande, mentre gli altri si salvarono. Si salvarono così come si salvò il difensore peruviano Juan Reynoso Guzmán, futuro vincitore della Copa Concacaf con il Cruz Azul nel 1996, graziato da un infortunio che gli impedì di partecipare ad una sfida di campionato del suo Allianz Lima a Pucallpa nel 1987. Al ritorno il velivolo su cui viaggiavano i suoi compagni di squadra precipitò nell’Oceano Pacifico nei pressi dell’aeroporto. Curioso come solo nel 2015 vennero ritrovati alcuni resti dell’aereo, situati a tremila metri d’altezza e trovati da un gruppo di alpinisti. Anche gli uzbeki del Pakhtakor Tashkent si resero loro malgrado protagonisti di un incidente aereo che costò la vita a quasi tutta la rosa. Era il 1979 quando l’aereo su cui viaggiava la squadra si schiantò in altitudine con un secondo velivolo, nei pressi della città ucraina di Dneprodzeržins’k. Come riporta Damiano Benzoni su East Journal, alcuni giocatori si salvarono grazie ad infortuni ed anche l’allenatore Oleg Bazilevič evitò la tragedia grazie ad un permesso per andare a trovare i familiari in Crimea. Le altre società dell’allora campionato sovietico si strinsero intorno agli uzbeki, premendo perché ne fosse bloccata la retrocessione per tre stagioni e prestando gratuitamente alcuni giocatori. Secondo la stampa estera starebbe succedendo lo stesso con la Chapecoense, con alcuni giocatori che addirittura si sarebbero candidati gratuitamente per risollevare le sorti della società: si è parlato di due ipotesi suggestive come quelle di Ronaldinho e Juan Román Riquelme, così come di una realistica come quella dell’attaccante islandese Eiður Guðjohnsen.

 

Merita uno spazio a sé la tragedia aerea che vide coinvolti 15 calciatori olandesi originari del Suriname, convocati per una partita benefica a Paramaribo, capitale dell’ex colonia olandese. Il velivolo si schiantò nei pressi dell’aeroporto a causa di un urto contro un albero dovuto all’errore del pilota. Radjin de Haan, Edu Nandlal e Sigi Lens, tre atleti convocati nella suddetta squadra benefica Colourful 11, riuscirono miracolosamente a salvarsi nonostante l’impatto. Il Milan aveva impedito ai suoi Frank Rijkaard e Ruud Gullit di partecipare all’amichevole, mentre due giocatori dell’Ajax, Henny Meijer e Stanley Menzo, decisero di partire nonostante il veto della società, salvandosi grazie al viaggio su un altro volo di linea. E come non citare la drammatica storia di Los Vejos Cristianos, compagine uruguayana di rugby che si schiantò sulle Ande ad oltre quattromila metri d’altitudine mentre era diretta da Montevideo a Santiago del Cile. Un gruppo di sedici ragazzi si salvò dall’impatto e fu costretto a sopravvivere in condizioni climatiche estreme, dovendo anche cibarsi della carne umana dei ragazzi che invece non ce l’avevano fatta, resistendo per 72 giorni prima di essere ritrovati. La storia è stata anche raccontata al cinema nel film Alive - Sopravvissuti, uscito nel 1993 e diretto dal regista americano Frank Marshall. Nella storia dello sport c’è stato anche un caso di attentato terroristico. Trattasi del 1976, anno in cui un velivolo della Cubana de Aviación diretto in Giamaica esplose a causa di due ordigni piazzati al suo interno, riconducibili ad alcuni uomini esiliati da Fidel Casto. Morirono 73 persone, tra cui 24 atleti della nazionale giovanile di scherma cubana, di ritorno dai Campionati Centramericani e Caraibici.

Due sono invece i misteri ancora irrisolti. In primis quello di Luigi Barbesino, campione d’Italia con il Casale nel 1913/14, scomparso nel 1941 durante un suo viaggio in aereo tra la Sicilia e Malta. In secundis non sono ancora chiare, a distanza di 48 anni, le cause del disastro aereo avvenuto nel 1979 in cui perse la vita la maggior parte degli atleti di The Strongest, compagine calcistica boliviana, vincitrice due anni prima della Liga de Fútbol Profesional Boliviano. La distribuzione geografica di questi incidenti è molto varia, anche se la maggior parte di essi si è verificata nel continente americano. Il più grande incidente fu quello del 1970 in West Virginia, in cui furono coinvolti i giocatori della squadra di football americano Marshall University. Essa rappresenta la più grande tragedia aerea sportiva della storia americana, in cui persero la vita 71 tra giocatori, coach e tifosi. Il tutto ad un anno di distanza dall’incidente aereo in cui persero la vita 14 giocatori del Wichita State, diretti in Utah per una trasferta. L’incidente più famoso nel continente africano fu invece quello che vide coinvolta la nazionale dello Zambia nel 1993, quando l’aereo su cui viaggiava la maggior parte degli atleti zambiani si inabissò nell’Oceano Atlantico a largo di Libreville, capitale del Gabon, mentre la selezione era diretta a Dakar per una sfida contro il Senegal. Molti anche gli altri sport coinvolti in questa tragica serie di incidenti. Nel 1966 fu la volta della Generazione d’Oro del nuoto italiano, che perse sette atleti a causa della famosa "Tragedia di Brema", con il velivolo che era partito da Francoforte. Poi anche il football americano nei già citati casi, così come la pallacanestro nel 1977 con l’incidente che colpì la squadra universitaria di Evansville, in Indiana. Ma anche il pugilato, con il pugile francese Marcel Cerdan, campione del mondo dei pesi medi dal 1948 al 1949, rimasto coinvolto nella tragedia aerea nei pressi dell’isola São Miguel, nell’arcipelago delle Azzorre. Una tragedia di cui fu colpevole involontariamente la cantante transalpina Édith Piaf, fidanzata che lo invitò a raggiungerla in areo e non via nave per accelerare i tempi. Nel 2011 fu la volta dell’hockey con la tragedia della Lokomotiv Jaroslavl’, il cui aereo precipitò mentre era diretto a Minsk, città bielorussa nella quale la Loko avrebbe disputato la prima sfida stagionale di Kontinental Hockey League. Proseguendo poi con il già citato caso della scherma cubana, fino all’incidente in cui rimase coinvolta la nazionale americana di pattinaggio nel 1961, diretta verso i Mondiali di Praga in seguito annullati. Infine, sono due i casi che hanno consegnato due squadre alla storia.

Due casi che con il passare degli anni hanno assunto contorni epici e che hanno segnato per sempre la storia dei due club: trattasi di Torino e Manchester United. Nel 1949, di ritorno da un’amichevole contro il Benfica a Lisbona per aiutare economicamente il capitano lusitano Francisco Ferreira, il velivolo su cui viaggiavano i Granata si schiantò sulla collina di Superga, nella città della Mole Antonelliana. Quella squadra era reduce da cinque Scudetti consecutivi e costituiva quasi interamente la Nazionale italiana. Una tragedia che ancora oggi è viva tra i tifosi, tramandata di generazione in generazione, in onore di quello che fu il Grande Torino, celebrato dalla FIFA nel 2015 con l’istituzione della Giornata Mondiale del Gioco del Calcio nella ricorrenza della tragedia. Nel 1958, invece, il Manchester United era di ritorno dalla trasferta a Belgrado contro la Stella Rossa in Coppa dei Campioni, il cui pareggio regalava ai Red Devils le semifinali. Dopo aver ritardato il volo di un’ora a causa dell’attaccante Johnny Berry, il quale non trovava il passaporto, la squadra ritardò di un’ora il rientro, facendo tappa a Monaco di Baviera per fare rifornimento di carburante. Quando l’aereo cercò di decollare in direzione Inghilterra ci furono dei problemi ed il velivolo si schiantò prima contro la recinzione e poi contro un’abitazione. Il pilota James Thain si salvò ed in seguito ammise le sue colpe, fu licenziato e morì per un attacco di cuore a 53 anni. Morirono otto giocatori dei Red Devils, mentre si salvarono in nove, tra cui Bobby Charlton, campione del mondo in seguito nel 1966 con l’Inghilterra e Pallone d’Oro nello stesso anno. Jimmy Murphy, secondo allenatore, era assente a causa di un impegno come selezionatore della nazionale gallese e quindi si salvò. L’allenatore, Matt Busby, ricevette invece in due occasioni l’estrema unzione per la gravità delle sue condizioni, ma alla fine si salvò. Quella squadra era soprannominata la squadra dei Busby Babes per via della giovane età della rosa, che impreziosisce a maggiora ragione i due campionati inglesi vinti nel 1966 e 1967, nonché le semifinali Coppa dei Campioni raggiunte contro i futuri vincitori del Real Madrid nel 1957. (Pubblicato su Io Gioco Pulito, inserto sportivo online de Il Fatto Quotidiano il 7.12.2016)

7 dicembre 2016

Fonte: Matteocalautti.com

© Fotografie: Sportal.it - Ansa.it -  Corriere.it - Todaysport.it

La Chapecoense dopo la tragedia: una rinascita senza lieto fine

Ricostruita dopo l'incidente aereo, la Chapecoense ha conquistato due salvezze di fila. Ma ora è in B e in gravi difficoltà economiche.

A Chapecó, comune di quasi 170.000 abitanti del Sud del Brasile, il 28 novembre non è una data come le altre. Nel 2016, la tragedia aerea che distrusse la Chapecoense sconvolgendo l'intero mondo del calcio: 71 morti tra i 77 passeggeri che stavano volando verso la Colombia per la finale d'andata della Copa Sudamericana contro l'Atletico Nacional. E nel 2019, sempre lo stesso giorno, la prima retrocessione dalla A alla B brasiliana. Una sorta di fine di un ciclo. Iniziato a fine 2013 con la prima, storica promozione nella massima serie, e proseguito negli anni seguenti tra salvezze miracolose, imprese, viaggi continentali. Nel calderone pure una partecipazione alla Libertadores nel 2017, con l'illusione di accedere agli ottavi di finale svanita solo con un ko a tavolino per aver schierato nei gironi un difensore (Luiz Otavio) squalificato. Il capolavoro, la Chapecoense lo compie proprio nel 2017. Nonostante abbia in rosa quasi una trentina di calciatori nuovi rispetto a 12 mesi prima, e nonostante durante l'annata si susseguano tre allenatori in panchina, la formazione catarinense conquista un'insperata salvezza e, come se non bastasse, chiude all'ottavo posto qualificandosi per la seconda volta di fila per la Libertadores. L'avventura finirà già ai preliminari, contro gli uruguaiani del Nacional, ma l'impresa resta scolpita nella storia del club. Nel 2018 altra salvezza sofferta, raggiunta all'ultima giornata, poi le cose iniziano a complicarsi irrimediabilmente. L'alchimia non funziona più e, nel 2019, la squadra chiude mestamente al penultimo posto della classifica. Se mai il calcio brasiliano ripartirà, dovrà disputare la Serie B nazionale. I volti noti della rinascita sono più di uno. Non i Ronaldinho e i Riquelme, il cui aiuto gratuito alla ricostruzione della Chape dopo l'incidente si è sostanzialmente rivelato un fake, ma, più modestamente, qualche elemento passato anche per la Serie A: l'ex romanista Artur in porta, l'ex Palermo Tulio de Melo in attacco, più l'ex Fiorentina ed Hellas Gustavo Campanharo. L'unico apporto concreto, alla fine, lo dà Tulio, autore di 7 reti nel 2017. I familiari delle vittime decedute nell'incidente aereo di fine 2016, intanto, sono costantemente in contatto con il club, che fa pervenire loro un sostegno economico mensile in collaborazione con un'associazione creata proprio da Tulio de Melo. Ma da mesi la situazione, complici la retrocessione e l'emergenza Coronavirus, si è aggravata in maniera quasi irreparabile. La favola, insomma, non sta avendo un lieto fine. Prima dello stop del calcio - europeo e pure brasiliano - la Chapecoense aveva vinto appena due delle nove partite del campionato catarinense, venendo eliminata precocemente dalla Copa do Brasil. In tre mesi ha già cacciato tecnico e direttore generale. Uno dei volti più conosciuti (o meno sconosciuti…) a livello nazionale è il centravanti Anselmo Ramon, 31 anni, arrivato dal Vitoria e passato senza fortuna anche per i romeni del Cluj. Ma i tempi continuano a essere duri per una realtà che, dopo Medellin, era stata adottata dall'intero Brasile. E che oggi, a poco più di tre anni dalla tragedia, è tornata nel dimenticatoio.

9 aprile 2020

Fonte: Goal.com

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