Cabrini: "Fu giusto
restare in campo e alla fine esultai per la vittoria"
di Roberto Perrone
Antonio Cabrini non aveva ancora 28 anni la sera
del 29 maggio 1985. Era il terzino sinistro più forte
del mondo, era l'idolo delle ragazzine che tenevano in
camera il suo poster accanto a quello di Simon Le Bon.
Mescolava forza a spensieratezza. La forza gli rimase
ancora per molti anni, la spensieratezza sfiorì quella
notte. "Fu una sera difficile per tutti: la partita fu
giocata regolarmente anche se il pensiero andava a
quello che era successo sulle tribune".
E ancora dieci anni dopo ci si domanda: fu
giusto andare in campo ?
"Rilievi assurdi. Noi,
inizialmente, ci eravamo rifiutati di giocare. Poi
l'Uefa decise di far disputare la partita. Fu la scelta
giusta. Se avessero annullato Juve-Liverpool sarebbe
stato peggio. Quella notte in città ci sarebbe stata una
guerra civile. Invece, giocando, abbiamo circoscritto la
tragedia, abbiamo riportato la gente a una realtà
sportiva, facendola ragionare il meno possibile".
Altra accusa: perché esultare alla fine ? Ce
n'era ragione ?
"Era il modo di dedicare quella Coppa a tutti quelli che
erano venuti lì a vederci facendo grandi sacrifici. Fu
un modo di risarcirli".
Vale quella Coppa ?
"La partita fu regolare, il valore sportivo c'è tutto.
Non vale sotto l'aspetto umano, che poi è il più
importante".
Molte le domande,
terribili i ricordi personali.
"Mi restano impressi quegli spogliatoi dove entravano
decine di persone, alcune stravolte, altre insanguinate.
Il padre che cercava il figlio, l'amico che chiedeva
dell'amico. Leggevamo nei loro occhi la disperazione, la
speranza delusa". Dieci anni dopo, oltre il ricordo va
ricercato l'insegnamento".
Che cosa ha cambiato l'Heysel ?
"Poco. Ma almeno ora certe finali, certe partite a
rischio vengono disputate in stadi sicuri, protetti. Non
disorganizzati come l'Heysel. Però, come fatti recenti
hanno dimostrato, non si debella la violenza nello sport
senza l'educazione civica e sportiva e questa la deve
dare la scuola, fin dalle elementari. Se dieci anni fa
avessimo preso i bambini di 6, 7, 10 anni, li avessimo
educati, adesso i ventenni ragionerebbero in modo
diverso. La legge, da sola, non basta".
Fonte: Il
Corriere della Sera
© 28 maggio 1995
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