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Calciatore
Juventus Football Club
(In campo allo
Stadio Heysel il 29.05.1985)
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La Juventus ha battuto
il Liverpool in una finale che mai si doveva giocare
Paolo Rossi: "Giocammo senza sapere che c’erano
39 vittime"
di Julio Ocampo
La
tragedia dell'Heysel è un episodio nero nel mondo del
calcio. 39 tifosi morirono e 600 rimasero feriti prima
della finale di Coppa Europa che opponeva il Liverpool e
la Juventus. Vinse la Vecchia Signora (1-0), ma il
risultato era meno importante. Paolo Rossi, titolare con
i bianconeri, non dimentica ciò che è successo quella
notte maledetta.
Eravate a conoscenza
di tutto quanto successo prima della partita ?
"No, per niente. Noi eravamo
nello spogliatoio e non sapevamo quello che succedeva
sugli spalti. Ricordo che la partita è stata rimandata
di 30 o 40 minuti e che in tribuna c’era una certa
confusione quando siamo scesi in campo. La tragedia
dell’ Heysel ha segnato un prima e dopo. La Uefa ha
dovuto modificare le regole della sicurezza".
In nessun momento i
dirigenti della UEFA parlarono di morti ?
"Ci dettero notizie
frammentarie, però non si parlò di morti. C'era, ripeto,
molta confusione anche da parte dei dirigenti della
stessa Federazione".
L’ Uefa vi obbligò a
giocare ?
"A noi ci fu detto che la
partita si doveva disputare. Giocammo senza sapere che
erano morti 39 tifosi, la maggior parte della Juve.
C’era un’ atmosfera surreale… C’era silenzio, nessuna
festa da parte dei tifosi, ma non avevamo la percezione
di quanto accaduto. Non era per niente facile giocare
bene".
Avreste giocato se
aveste saputo della tragedia ?
"No. Noi non avremmo voluto
giocare senza nemmeno sapere la portata della notizia.
Si giocò per una questione di ordine pubblico, però
desidero chiarire che non sapevamo la verità. C’era
paura della sospensione, poiché questo poteva aggravare
la situazione. Non sono io chi deve dire cosa si doveva
fare, ma solo per un morto la partita doveva essere
sospesa. E‘ una questione di dignità. La maggior parte
delle vittime sono state schiacciate contro le
recinzioni di uno stadio senza uscite di sicurezza e in
cui il numero di tifosi ha superato la capienza".
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Questo dimostrò la
carenza di un vecchio stadio inadeguato per i nuovi
tempi del calcio ?
"E’ chiaro, anche a causa
della poca polizia e delle forze dell’ordine che
c’erano".
La Juventus vinse la
Coppa dei Campioni con un rigore di Platini.
Festeggiarono con tanta felicità ?
"Sì, perché non sapevamo
nulla. Quella gioia si trasformò in tristezza alla fine
dei 90 minuti, quando ce lo dissero. Poi, è arrivata la
delusione. Fu un momento molto difficile".
Tenendo in
considerazione i precedenti fra hooligans inglesi e
ultras italiani, nessuno aveva previsto niente ?
"Un tempo non c’era molta consapevolezza. Non c’era
molta organizzazione, e fu una chiara negligenza, ma
oggi penso che si sono fatti alcuni passi in questa
direzione".
Credi ?
"Le leggi sono fatte per migliorare la sicurezza, ma è
chiaro che ancora ci sono tifosi che fanno scandalo. Si
deve migliorare, perché qui c’è ancora la mancanza di
fiducia e la paura. Il problema è mentale, perché lo
sport non mette a fuoco bene. Negli Stati Uniti, ad
esempio, tutto è più tranquillo".
Sei mai tornato
all’Heysel ?
"Io non ci sono stato, perché
mi dà grande tristezza".
I Club inglesi furono
sanzionati cinque anni senza giocare in Europa. Li serba
rancore ?
"C’è sempre un po’ di risentimento. Sono tragedie queste
che si potevano evitare avendo strutture di polizia
adeguate".
Quale rapporto esiste
oggi tra Juventus e Liverpool ?
"Non lo so, anche se penso che
saranno un poco vicini. Se non è così, lo dovranno fare
per il bene di tutti.
Fonte:
Marca.com
© 29 maggio 2013
Fotografie:
Salvatore Giglio ©
GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
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Icone: Shutterstock.com
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Pngegg.com
© Gianni Valle
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L'INTERVISTA. Parla
Paolo Rossi, protagonista sul campo della terribile
notte della coppa Campioni
"Se quella sera
all’Heysel ci avessero detto tutto..."
di Lorenzo Miracle
Lo spettacolo
continua, una legge con cui lo sport sembra dover
imparare a convivere. Come a Imola, così all’Heysel,
nonostante i 39 morti. Ma Paolo Rossi, quella sera in
campo, dice: "Non avevamo notizie certe".
ROMA - L’attività agonistica,
la condizione fisica, la gioventù, tutto questo è alla
base dello sport, del confronto per superare gli altri e
se stessi. Nulla di tutto questo è lontano dal concetto
di morte, eppure ciclicamente anche il mondo dello sport
viene colpito dal lutto, dalla tragedia. Accade con
l'automobilismo ed il motorismo in genere, dei quali,
anzi, si dice che la morte sia quasi una componente, ma
anche altre discipline ne sono state direttamente o
indirettamente toccate. È successo ad esempio al calcio
di dover entrare in diretto contatto con il lutto. Le
immagini della sera del 29 maggio 1985 che documentavano
la tragedia in corso allo stadio Heysel di Bruxelles
sono infatti difficilmente cancellabili. E quei 39 morti
che si contarono alla fine di una serata di follia
restano nella memoria di questo sport. Tra i
protagonisti di quella serata c’era anche Paolo Rossi
allora centravanti della Juventus: di fronte ai
bianconeri i "reds" di Liverpool, i cui supporters - gli
"hooligans" - diedero vita a un’assurda caccia al tifoso
juventino".
Ancora una volta il mondo
dello sport viene colpito da una tragedia. Lei fu
testimone e protagonista di un'altra giornata di sport e
morte, all’Heysel. E la storia si ripete.
"È vero, ma credo che non si debbano cercare molti
paragoni tra quanto accadde quella sera a Bruxelles e
ciò che è successo a Imola. L'unico punto di contatto è,
purtroppo, la morte. Il calcio non può essere
considerato uno sport violento, magari un gioco maschio,
rude, ma certo non violento. Sugli spalti o fuori degli
stadi avvengono episodi di violenza, ma questi non
riguardano il calcio, come sport. Per l’automobilismo il
discordo è diverso, i piloti sanno che rischiano la vita
ogni secondo, e forse subiscono anche il fascino di
questo rischio continuo".
A dire il vero
un'altra cosa unisce Imola e l’Heysel. Domenica, come
allora non ci si è fermati davanti alla morte, lo
spettacolo è andato avanti comunque.
"Questo è un discorso da approfondire senz’altro.
Personalmente ritengo che non dovrebbe esistere nessun
interesse superiore al rispetto della vita umana. Noi
quella sera giocammo più che altro per motivi di ordine
pubblico, ci dissero che la polizia attendeva dei
rinforzi e che era meglio non fare uscire la gente dallo
stadio altrimenti non avrebbero avuto modo di tenere
divise le due tifoserie".
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È difficile
comprendere lo stato d'animo con cui ieri i piloti hanno
corso dopo l’incidente. Voi con quale umore scendeste In
campo ?
"Noi sapevamo e non sapevamo.
Prima ci dissero che c’erano dei feriti poi smentirono
anche quella voce. Vedevamo soltanto una grande
confusione in campo e sugli spalti, non riuscivamo a
capire cosa stesse succedendo. Giocammo senza avere
alcuna notizia certa magari se avessimo saputo che
c'erano 39 morti…".
Magari non avreste
giocato ?
"Probabilmente, no. Anche
perché una tragedia del genere cancella qualsiasi
successo. Siamo venuti a conoscenza di quello che era
realmente avvenuto soltanto quando siamo rientrati in
albergo, e a quel punto nessuno di noi ha avuto voglia
di festeggiare. C'era solo un grande scoramento, una
grande tristezza. Detto questo, però, non so con quale
stato d’animo ieri i piloti siano scesi in pista. Certo,
il rischio fa parte della Formula Uno, ma già c’era
stata la morte di Ratzenberger, e poi l’incidente di
Senna".
Troppi indizi di colpevolezza per una disciplina
che sta diventando forse troppo pericolosa, lei, da
appassionato, cosa ne pensa ?
Sicuramente è un grande spettacolo, ma non riesco più a
capire se prevale l’aspetto tecnologico o quello umano.
Il week-end di Imola mi fa pensare a un grande disastro
tecnologico, dove il fattore umano entra pochissimo.
Quando avvengono cose del genere si rimane talmente
sconvolti che non si sa nemmeno da dove cominciare a
mettere le mani, però da qualche parte si dovrà pure
iniziare. Ad esempio mi pare incredibile che con tutti i
progressi che si stanno compiendo sulle macchine quei
due ragazzi siano andati a finire contro un muro. È
davvero assurdo che manchino anche le più elementari
forme di sicurezza".
Ma l'automobilismo è,
o è ancora, uno sport ?
"Anche se è una disciplina che
mi piace personalmente non riesco a capire chi la
pratica. Non arrivo a comprendere quel gusto di essere
costantemente esposti a un rischio mortale. Né credo lo
facciano per soldi, uno come Senna, ad esempio, con i
miliardi che aveva guadagnato nel corso della sua
carriera, da tempo si poteva ritirare a una lussuosa
vita privata. C’è evidentemente quel piacere, quel gusto
che sono una componente dell’agonismo".
Fonte:
L’Unità ©
3 maggio 1994
Fotografie: © GETTY IMAGES
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for Commercial Use)
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Pngegg.com
© Gianni Valle
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