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Tifoso
F.C. Juventus
(Nel Settore Z allo Stadio Heysel il 29.05.1985) |
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Parla Carpitelli, sopravvissuto
all’Heysel: "Non ho mai voluto vedere nulla
di quella notte prima di 7-8 anni. Mio
fratello mi cercava tra i cadaveri"
di Fabio Marzano
Gianni Carpitelli, tifoso juventino e
sopravvissuto all’inferno dell’Heysel, ha
rilasciato delle dichiarazioni in esclusiva alla
nostra redazione.
TORINO - Sono trascorsi quasi 35 anni da quando
è stata scritta una delle più brutte pagine
della storia del calcio, quando il 29 maggio del
1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, perdevano
la vita 39 persone, in occasione della finale di
Champions League tra Juventus e Liverpool.
Ancora oggi però, quella drammatica e tragica
notte non viene mai dimenticata e anzi, ogni
anno viene commemorata dai parenti delle vittime
e da tutto il popolo bianconero. A tenere vivo
il ricordo è stato un tifosissimo della Vecchia
Signora, Gianni Carpitelli che quella serata
infernale l’ha vissuta sulla sua pelle,
riuscendo però a salvarla e a tornare in Italia
da solo, quando era ancora un minorenne.
Cosa rappresenta la Juve per lei ?
"La Juventus per me è la vita. A livello
sportivo ha sempre rappresentato qualcosa che va
oltre il tifo. È la mia seconda pelle, va al di
là di una partita di calcio. L’ho sempre sentita
in maniera particolare, quando ero giovane
chiaramente molto di più, ora tra lavoro e
famiglia sono un po’ limitato ma è sempre al
centro dei miei pensieri".
Questo senso di appartenenza ai colori
bianconeri, è incrementato dopo quella tragica
notte ?
"No. Io avendola vissuta in prima persona e
avendo rischiato di non tornare quella notte
sono rimasto un po’ deluso da tutto l’ambiente
circostante, politica compresa. Per quanto
riguarda la squadra, io quella partita non l’ho
vissuta perché, fortunatamente mi trovavo in
tutt’altro posto dallo stadio nel momento in cui
stavano giocando. Non ho mai voluto vedere
niente di quella notte prima dei 7-8 anni, non
ci riuscivo. Però non ho mai avuto un distacco
dalla squadra dal punto di vista sportivo anche
se per me quella Coppa non esiste. Per quanto
riguarda quella serata e quella partita ho
rimosso tutto, però l’attaccamento alla squadra
e ai colori è rimasto tale. Ho rivisto tutte le
finali negli anni successivi, sia in tv che
andando allo stadio. L’unico momento in cui ho
avuto veramente paura quella notte è stato
quando mi hanno trascinato fuori lo stadio e mi
hanno caricato su una camionetta insieme a due
tifosi inglesi. Mi hanno messo le manette e
siamo partiti a 200 all’ora. Io ho avuto paura
perché non conoscendo le leggi del Belgio e non
sapendo perché ero finito lì, facevo anche
pensieri folli del tipo: "Ora ci portano in un
campo e ci sparano", in quei frangenti pensi a
tutto. Poi fortunatamente, avendo studiato
francese a scuola, sono riuscito a cavarmela e
la notte mi hanno rilasciato".
Che atmosfera si respirava prima del
match ? Temevate gli inglesi o pensavate di
passare una serata di sport ?
"Noi siamo partiti con il pullman da Firenze e
abbiamo saputo che qualcosa non andava con i
biglietti solamente a Strasburgo. Ci siamo
fermati lì la notte a mangiare una cosa e a bere
una birra insieme agli altri tifosi. Ci hanno
voluto dare gli ultimi biglietti rimasti che
erano quelli per la curva Z e solo allora
abbiamo appreso che si trattava del settore
accanto ai tifosi inglesi. Però lì per lì
l’abbiamo presa in maniera molto tranquilla,
senza neanche pensarci troppo. Poi la mattina
successiva abbiamo saputo che ci furono alcuni
incidenti e tafferugli nella piazza centrale di
Bruxelles. Io mi ricordo benissimo che feci una
battuta del tipo: "Si dovrebbe restare qui a
guardarla in tv", pensandoci dopo con il senno
di poi, ti rendi conto che era destino. Arrivati
fuori dallo stadio si vedeva già che c’erano dei
casini, con gente sdraiata a terra. Prima della
partita in quella situazione li, speri di non
pensarci e vai dentro, poi però una volta
entrato, quando mi sono reso conto delle
condizioni che c’erano all’interno, con una rete
da pollaio che divideva noi dai tifosi inglesi e
con soli 3 poliziotti, ti accorgi in che
situazione delicata ti trovi.
Io sono stato fortunato perché sono
riuscito a farmi trascinare verso il basso, dove
c’era una porticina che affacciava sulla pista
di atletica, dove inizialmente i poliziotti non
facevano neanche passare e provavano a chiudere,
siamo riusciti a passare in circa 20 persone e
io sarò stato il 19esimo, un vero colpo di
fortuna. Solo che a differenza degli altri che
sono andati tutti sotto la tribuna dei
giornalisti, dove c’erano le ambulanze per farsi
medicare, io sono andato dalla parte opposta
della curva. Questo perché due anni prima ero ad
Atene e avevo conosciuto 3 ragazzi di un fan
club della Juve che erano lì anche loro e
speravo che magari vedendomi mi riconoscessero,
ma era una follia. Era un’atmosfera da
guerriglia, sapevamo degli Hooligans, però
cerchi sempre di non pensarci finché non lo
provi realmente. Le gradinate si rompevano come
fossero pezzi di carta, credo non ci sia stato
neanche il momento di pensare più a niente, se
non il fatto di indietreggiare e cercare di
ripararsi. Nella mischia ho perso anche mio
fratello e l’ho ritrovato dopo due giorni a
casa, per farti capire in che clima eravamo,
ognuno pensava a salvare sé stesso".
Cosa è accaduto realmente all’interno
del settore Z ?
"Mi ricordo vagamente alcune cose. Mi ricordo
che siamo entrati dentro lo stadio ed è accaduto
poco tempo dopo che noi eravamo li. Loro
iniziarono prima a fare dei cori, poi secondo
me, quando la curva era completamente piena,
quando anche l’alcool era risalito bene e noi
invece eravamo ancora pochi tifosi, con molti
spazi vuoti, li è successo il vero dramma. Credo
mancasse circa un’ora e mezzo prima che la gara
iniziasse. Dopo un po’ abbiamo iniziato a vedere
questo lancio di oggetti di qualsiasi tipo che
ci sfioravano le teste, poi dalla parte alta
dello stadio ci siamo accorti che gli inglesi
avevano iniziato a sfondare la rete e a passare
nel nostro settore, con sassi, bottiglie rotte,
aste delle bandiere e da lì sinceramente non ho
più visto nulla, se non in televisione. Mi sono
ritrovato in questa ondata di gente, saremo
state circa 5000 persone e non potevi andare
dove ti pareva, ma venivi trascinato dalla
folla, questo era testimoniato dal fatto che
altrimenti anche le 39 vittime sarebbero volute
andare in tutt’altro posto. La mia salvezza è
stata il fatto che io sono stato spinto verso il
basso, vicino alla porta della pista di atletica
dalla quale sono riuscito ad uscire. Altri
invece si sono buttati verso l’alto dove erano
gli inglesi e si sono salvati. Diciamo che
ognuno ha usato la sua tattica per mettersi in
salvo, ma chi era veramente al centro di quel
settore, ha passato l’inferno. Poteva andare
peggio ma poteva andare anche molto molto
meglio".
Lei una volta arrivato sulla pista di
atletica, si è accorto subito della situazione o
pensava che ci fossero solo dei feriti ?
"No, io in teoria ero convinto non ci fossero
neanche i feriti. In quel momento pensavo a
salvarmi, ho detto tra me e me vado di là per
via dei ragazzi di Atene che dicevo prima, ma è
stato un gesto stupido se ci penso ora. Se fossi
andato sotto la tribuna magari mi sarei reso
conto più da vicino cosa fosse realmente
accaduto, o per lo meno sarei riuscito a
mettermi in contatto con mio fratello e i miei
genitori e forse sarebbe andata meglio. Io non
mi sono reso conto di nulla all’inizio. Durante
la notte però, ho visto che arrivavano in
continuazione a portare dei sacchi neri vicino
alla cella dove ero io, tutti contenenti abiti
insanguinati. Chiesi gentilmente cosa fosse
successo a un gendarme e lui mi rispose in
maniera squallida: "Ci sono stati degli
incidenti, ci sono stati dei morti", poi fece
una battuta e disse: "Cosa te ne frega tanto
avete vinto". Me lo ricordo molto bene perché se
potessi tornare indietro lo prenderei a calci.
Avevo solo 17 anni, stavo passando una notte da
incubo ma sapevo che prima o poi mi avrebbero
rilasciato perché non avevo fatto nulla".
Da tifoso juventino e avendo vissuto
quella serata, lei condanna o giustifica il
gesto di Platini ?
"Sono molto combattuto su questa cosa. Avendo
vissuto la serata e se non ci fosse stato quello
che è accaduto, da sportivo dico che è un gesto
che chiunque farebbe se segna un gol in finale
di Champions, da quel punto di vista posso anche
capire. Riportando il nastro indietro però penso
che quella partita non l’avrei mai fatta
giocare. C’è stata veramente mancanza di ordine
pubblico, lo stadio crollava a pezzi, non
c’erano poliziotti, è stato sottovalutato
veramente tutto, compreso il fatto di mettere
gli italiani accanto agli inglesi. Per quanto
riguarda l’esultanza in sé per sé ti ci devi
trovare, perché per uno sportivo segnare un gol
così importante può essere comprensibile che
reagisca cosi. Certo però, mi sarei risparmiato
di scendere all’aeroporto di Torino con la Coppa
in mano. Sinceramente io l’avrei lasciata nella
stiva dell’aereo".
Molti giocatori hanno sempre dichiarato
di non essersi accorti di nulla, pensi che sia
possibile ?
"Io non credo proprio. Chiunque potesse
interessarsi dell’accaduto si sarebbe reso conto
che fosse accaduto qualcosa, magari non capivi
se ci fossero stati morti, però che fosse
successo qualcosa di serio era inevitabile
capirlo. Un conto poi è essere protagonisti in
curva e un conto è esserlo all’interno, dove hai
tutti gli occhi del mondo addosso e i vertici
dell’UEFA presenti, che ti pressano per far sì
che la partita venga giocata, è sempre tutto da
valutare. Documentandomi poi posso dirti che non
mi è piaciuto anche il gesto dello stesso
Boniperti".
Come è riuscito poi a tornare in Italia
?
"Io sono riuscito perché la mattina successiva
alla stazione di Bruxelles, ho sentito due
persone parlare italiano, un giornalista de La
Stampa e un padre con il figlio. Mi hanno
prestato i soldi per arrivare in Lussemburgo,
altrimenti poi non li avrebbero avuti per
tornare loro. A me bastava uscire dal Belgio,
potevano mandarmi anche in Finlandia basta che
uscissi da lì, era il mio unico desiderio. A
Lussemburgo alcuni poliziotti del posto mi
comprarono il biglietto e riuscii a tornare in
Italia. Nel frattempo i miei genitori erano già
all’aeroporto di Pisa per andare a Bruxelles,
convinti di venirmi a prendere in una bara
perché non avevano più notizie mie di nessun
tipo, né dai morti, né dai feriti gravi, mio
fratello non riusciva a dargli spiegazioni. Io
sono riuscito ad avvisare a casa, a una nostra
amica di famiglia che era rimasta lì a prendere
le telefonate. Di conseguenza avvisò la polizia
italiana della mia chiamata e riuscii poi a
ritrovare la mia famiglia. Dal mercoledì sera io
sono tornato di sabato mattina alle 4″.
Gli eventi di quella notte hanno poi
causato degli effetti collaterali sulla vita
quotidiana ?
"Io forse no. Poi ognuno di noi pensa di essere
sempre invincibile, comunque a livello pratico
non ne ho risentito in maniera particolare. Io
dopo quella partita sono andato da solo a Monaco
in treno, a vedere la partita contro il
Borussia, sono andato a Manchester da solo a
vedere quella con il Milan, insomma ho sempre
continuato ad andare allo stadio e a fare le mie
cose. ho partecipato a manifestazioni di ogni
tipo e posso dire che l’ho catalogato come un
incidente di percorso. Mio fratello invece è
rimasto segnato, va ancora in cura dallo
psicologo, lui poi ha trascorso il tempo a
sollevare i cadaveri per vedere se mi trovava in
mezzo ai corpi delle persone morte e questo
credo lo abbia traumatizzato. Non riesce più a
fare la fila neanche per andare a fare la spesa,
poi ha un carattere spigoloso e differente dal
mio. Forse alcune cose che io non ho visto a lui
hanno cambiato il corso delle cose".
Ringraziamo cortesemente Gianni
Carpitelli per la disponibilità.
15 luglio 2019
Fonte:
Juvenews.eu
Castelfiorentino
"Una tragedia che mi ha segnato la vita"
di Marco Gargini
Stadio Heysel, una ferita ancora aperta
dopo 33 anni. Due castellani, la Juve e gli
hooligans. I fratelli Carpitelli erano nel
settore Z.
Il 29 maggio 1985 all'Heysel una partita di
calcio si trasformò in una guerra in cui caddero
39 persone, tra cui quattro toscani. Furono
centinaia i tifosi della Juventus partiti dalla
nostra regione per andare a seguire la finale di
Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Tra
questi anche due giovani di Castelfiorentino,
Enrico e Gianni Carpitelli. Quest'ultimo, oggi
affermato commerciante di 50 anni, è tornato
indietro nel tempo a quella sera. Una sera in
cui avrebbe dovuto trasformare lo sport, ma che
si trasformò in una tragedia che tutto il mondo
seguì in diretta televisiva.
Se Le dico Heysel, qual è la prima cosa
che Le viene in mente ?
"È difficile mettere in fila tutti i ricordi
perché dalla partenza al ritorno fu tutta una
avventura particolare. Sicuramente il fatto di
essermi ritrovato nelle carceri belghe fu una
cosa completamente fuori programma rispetto a
quelle che erano le aspettative iniziali. C'era
tanta paura: avendo all'epoca 17 anni ed essendo
minorenne ti vengono i brividi tutte le volte
che ci ripensi. Perché è una cosa senza senso
partire per vedere una partita di calcio e
ritrovarti praticamente in una guerra. Avevo
anche il timore di non poter far rientro a casa,
senza sapere quello che effettivamente era
accaduto perché fui "arrestato" prima della
caduta del muro".
Come fu prelevato e portato in carcere ?
"Eravamo nel settore Z. Eravamo entrati dentro
lo stadio con un sentore abbastanza strano. Lo
stadio era fatiscente, con delle reti, come
quelle che usiamo per le galline, che ci
dividevano da questa orda di gente per lo più
ubriaca. La preoccupazione fu subito molta. Però
quando sei a una festa dello sport tendi a
minimizzare tutto. Quindi, io e mio fratello
Enrico, che era il mio "tutore" quella sera,
abbiamo preso posto ognuno con i propri amici a
due scaloni di distanza. Quando cominciò tutta
la confusione, con gli inglesi che avevano
iniziato a tirarci le cose addosso, mi resi
subito conto che non si andava più dove si
voleva, ma dove la folla ci portava.
Nell'indietreggiare con cinquemila persone, ti
ritrovi alzato venti centimetri da terra e di
conseguenza segui l'onda e la corrente. Fui fra
le uniche venti, trenta persone ad avere la
fortuna di attraversare la rete che divideva i
gradoni bassi dalla pista di atletica. Su questa
pista c'erano solamente tre poliziotti che ci
guardavano e non agivano. Anzi, cercavano di
tenerci dentro il settore. Penso di essere stato
uno degli ultimi a passare di lì e, invece di
andare sotto alla tribuna che stava alla nostra
destra, dove c'erano gli spogliatoi della
Juventus, i giornalisti etc., andai verso
l'altra curva. Perché ? Dentro di me, ho questo
flash, mi ricordavo che due anni prima eravamo
stati ad Atene ed avevo conosciuto alcuni club
di Fucecchio e di Capannori. Lì per lì mi prese
questa vana speranza che qualcuno mi notasse.
Andai sotto all'altra curva e mi scambiarono per
un facinoroso e dopo trenta secondi mi presero
per il braccio e mi portarono fuori fino al
furgoncino della Polizia e mi ammanettarono. Fu
dei momenti in cui ebbi più paura perché, quando
partimmo, ero con due inglesi. II furgoncino
partì a velocità elevata e, essendo in un Paese
straniero, mi chiesi: "Dove ci portano" ?. Lì mi
passò la vita davanti agli occhi. Ebbi la
sensazione che ci portassero in campagna per
spararci un colpo. Non sapevo proprio dove sarei
finito. Arrivati in gendarmeria, mi tolsero
tutto il poco che avevo. Aveva tutto mio
fratello, documenti compresi, mentre io avevo le
sciarpe, le sigarette e poco altro. Mi
collocarono in una cella, non di quelle chiuse,
ma di quelle con le sbarre aperte con gli
inglesi accanto. E lì ci passai praticamente più
di metà nottata".
Gli Inglesi che erano con lei come si
comportarono ?
"Nella camionetta eravamo in uno spazio di mezzo
metro quadrato per cui stavano tranquilli anche
perché avevamo delle manette speciali molto
strette. Arrivati in cella, mi ricordo che mi
sputarono quasi tutta la sera. Ad un certo punto
mi addormentai ripiegato su me stesso. Mi
svegliai quando mi chiamarono per aprire la
cella perché cominciavano a portare i sacchi
neri con dentro le sciarpe insanguinate della
Juventus. Da lì cominciai ad avere il sentore
che fosse successo qualcosa di molto grave.
Chiesi ad un gendarme, sapendo il francese, cosa
fosse accaduto e la sua risposta fu abbastanza
granitica perché mi riferì che c'erano stati
degli incidenti gravi e poi mi disse addirittura
"che te ne frega ? Tanto avete vinto".
Fondamentalmente della gravità degli incidenti
lo seppi in una fase successiva. I gendarmi mi
interrogarono fino a verso le 2 di notte e mi
promisero che mi avrebbero riaccompagnato in
hotel a 180 chilometri da Bruxelles, ma fui
sbattuto fuori intorno alle 4. Da lì riuscii in
qualche modo a raggiungere la stazione
ferroviaria che era chiusa visto che apriva alle
6 e lì davanti c'erano cinquecento inglesi
sdraiati. Perciò buttai via le sciarpe, ma poi
sentii parlare italiano. Da lì cominciò un'altra
storia perché un giornalista de La Stampa e
altre due persone mi portarono in giro a
rifocillarmi e mi raccontarono un po' quello che
era successo, anche se loro non avevano la
percezione del numero dei morti. In tutto questo
pensavo solamente a uscire velocemente dal
Belgio. Sapevo che mio fratello potesse essere
in pensiero perché non mi trovava più. La mia
priorità, però, era di andare via, uscire dal
Belgio e vedere cosa sarebbe successo. Quando
aprì la stazione, il giornalista mi pagò il
biglietto fino in Lussemburgo".
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E suo fratello Enrico ?
"Mio fratello se l'è vista molto peggio di me
perché fin dall'inizio non mi trovava più.
Dovette guardare praticamente quasi tutti i
morti per vedere se mi riconosceva tra quelli
fuori dello stadio. Poi fu portato in ambasciata
e gli furono dati dei calmanti. Ha vissuto male
tutta la situazione anche perché, oltre a essere
responsabile di un fratello minore, non sapeva
che dire ai miei genitori che videro cosa stava
succedendo in diretta al maxischermo nella
discoteca di Castelfiorentino. Tornarono a casa
e cominciò la loro odissea nel telefonare al
consolato, all'ambasciata. Enrico diceva loro
che non ero nella lista dei morti, né in quella
dei feriti gravi e che non sapeva dove cercarmi.
Alla fine venne fuori che io ero l'unico
italiano "arrestato" prima della partita e senza
motivo. Ci rivedemmo due giorni dopo a casa".
Come fece ad avvisare i suoi genitori ?
"La mattina dopo riuscii a telefonare dal
Lussemburgo mentre i miei genitori stavano
andando all'aeroporto di Pisa per volare in
Belgio, convinti di ritornare con una bara. Fu
una cosa abbastanza buffa perché, mentre mia
madre scendeva per andare a comprare i biglietti
e mio padre andava a parcheggiare, la Polizia
dello scalo di Pisa chiamò i signori Carpitelli
per dare loro una comunicazione. I poliziotti si
avvicinarono a mia mamma, le dissero che avevo
chiamato a casa e che stavo bene. A casa c'era
un'amica di famiglia a rispondere alle chiamate.
Mamma si mise a piangere per l'emozione, babbo
entrò in aeroporto in un momento successivo e,
vedendo mia madre piangere, inizialmente pensò
al peggio. Poi presi il treno dal Lussemburgo e
tornai a Firenze dove mi venne a prendere mio
padre".
Come fu il ritorno a casa ?
E,
poi, ha più rimesso piede in uno stadio ?
"Mia madre di colpo era invecchiata di venti
anni. Mi immagino quello che passarono i miei
familiari. Forse, tra tutti e quattro, io fui
quello a vivere meglio questa vicenda perché
sapevo dove ero e di essere vivo. Magari non
potevo avvisare, però ero abbastanza sveglio
perché in certe situazioni te la devi saper
cavare. Forse incise anche il fatto di non aver
vissuto direttamente la tragedia nel suo essere,
cioè il muro caduto ed i morti in terra. La
paura ci fu soltanto all'inizio e quel fatto di
essere riuscito a sfuggire subito, e di non
essermi reso conto di quello che era successo,
sicuramente mi aiutò a superare la tragedia.
Infatti, in seguito sono sempre andato a vedere
tutte le finali di Champions League della
Juventus. Andai da solo a Monaco, ad
Amsterdam... Mio fratello ha sofferto
notevolmente, anche attacchi di panico. Non ha
voluto più frequentare posti dove c'è tanta
folla, come per esempio i concerti. È
sicuramente rimasto traumatizzato da questa
cosa. Considera che al ritorno al pullman
fissato per mezzanotte mancavamo in due: io ed
il pratese Bruno Balli, che morì. Mio fratello
visse quest'esperienza con Otello Lorentini che
aveva perso il figlio Roberto. All'ambasciata si
facevano coraggio insieme".
Negli anni ci sono state delle
iniziative tra Juventus e Liverpool e la
tifoseria dei "Reds" invocò a chiare lettere
l'"amicizia". Che ne pensa ?
"Credo che nella vita tutti abbiano
l'opportunità di potersi rifare. Sarebbe
sbagliato fermarsi al primo errore e condannare
definitivamente uno per tutta la vita per quello
che ha fatto. A Bruxelles ci fu una
sottovalutazione molto più ampia. Si sapeva che
gli inglesi si ubriacavano e che quindi
perdevano il controllo, ma io credo che ci siano
state enormi responsabilità dall'Uefa a
scendere. Gli hooligans andavano fermati prima e
non andavano probabilmente neanche dati i
biglietti. lo sarei rimasto a casa perché quei
biglietti comparvero all'improvviso nelle
agenzie di viaggio. Non so se un giorno ci sarà
mai una pacificazione. Quello che fanno a
livello istituzionale fra i dirigenti conta
relativamente. Non ce l'ho neanche tanto con
loro anche se, mi raccontava mio fratello, che
lan Rush, che poi venne a giocare a Torino, dal
pullman alzò il dito medio nei confronti di
coloro che erano giù e che stavano subendo le
pene dell'Inferno fuori dallo stadio. lo
personalmente non ho risentimenti perché guardo
al calcio come a una sorgente di vita, a una
passione, ad una fede spropositata che ho, ma mi
fermo lì".
Soprattutto
a Firenze, ma anche in altri stadi, molti
offendono la memoria delle vittime dell'Heysel.
Cosa ne pensa ? Cosa dovrebbero fare le società
?
"Quelli sono imbecilli a prescindere. Le società
? Fanno poco o nulla perché c'è questo
sub-accordo tra società e tifosi in cui l'una ha
bisogno degli altri. Quindi difficilmente c'è
una chiara presa di posizione. Tornando agli
imbecilli, credo che sull'imbecillità delle
persone ci si possa fare ben poco. Devi sperare
che ce ne vadano sempre meno allo stadio. In
Italia manca la cultura sportiva. Già quando si
va a vedere le partite delle giovanili, la
domenica è un vero manicomio mentale a partire
dai genitori. I figli sono il meno, ma
apprendono dai loro genitori questa "educazione"
che è vera e propria ignoranza, cattiveria verso
l'altro. Il calcio c'entra, comunque, poco:
questi andrebbero a far danni ovunque, in
birreria, ad un concerto etc. Quando hai in
mente l'antagonismo non puoi essere ottimista e
altruista. lo ho tanti amici in Curva Fiesole e
sono persone che hanno vissuto e che sanno cosa
sia l'amicizia. Purtroppo ci sono tante altre
persone che si sfogano negli stadi e sui social.
lo, sinceramente, non me la sento di litigare
per il calcio. Ok lo sfottò, ma finisce lì. Di
andare oltre, con tutti i problemi che ci sono,
ne faccio volentieri a meno".
Tornando a quella sera, cosa pensa di
quella Coppa e dei festeggiamenti ?
"Prima di tutto, non la sento una coppa vinta.
L'unica coppa che sento di aver vinto è quella
di Roma contro l'Ajax nel 1996. Credo che quella
sera sia stata architettata una cosa per non
creare ulteriori problemi di ordine pubblico.
Avendo vissuto la situazione al di fuori dello
stadio prima della partita, non voglio neanche
immaginarmi cosa sarebbe successo lasciando
migliaia di persone di contrapposte fazioni a
giro per Bruxelles. Gli inglesi non so neanche
se ce la facevano fisicamente a guardare il
secondo tempo per come erano conciati e credo
che non avrebbero più potuto fare ulteriori
danni. Il fatto di aver giocato quella partita
fu una decisione presa da tutti gli organi
federali, forse l'unica giusta. La coppa è
insanguinata ed io, se fossi stato in Giampiero
Boniperti, l'avrei lasciata lì. La Juventus,
successivamente, ha peccato di insensibilità nei
confronti di chi subì quella tragedia. Mi è
sembrato molto strano che all'epoca, da parte
della società, non ci sia stata un'attenzione
maggiore verso le famiglie".
Questa esperienza come l'ha segnata
nella vita ?
"Ti segna anche negli atteggiamenti, soprattutto
inconsapevolmente. Te ne rendi conto sempre a
posteriori di come ti comporti e di come ti
atteggi. C'è sempre un po' di paura e un po' più
di attenzione verso certe cose. Alla fine è
tutta una crescita e la crescita avviene
attraverso anche i traumi e le cose negative.
Queste sono delle situazioni, se riesci
fortunatamente ad uscirne vivo come successe a
me ed a mio fratello, che comunque ti
accompagnano in maniera dolorosa, ma che ti
fanno anche superare in maniera più facile certi
aspetti e certe situazioni che poi ti ritrovi
difronte. E questo perché, comunque, hai passato
un qualcosa di indelebile che è molto, molto
peggio e molto più forte".
Domani la finale tra Real Madrid e
Liverpool. Per chi simpatizzerà ?
"Penso che a livello calcistico il Real sia
superiore e mi farebbe piacere veder vincere una
squadra diversa. Non ho risentimenti nei
confronti del Liverpool, soprattutto verso i
suoi giocatori che non c'entrano nulla con ciò
che successe quella sera. Che vinca il migliore
e che la successiva la vinca la Juventus".
25 Maggio 2018
Fonte: Chiantisette - Val D’Elsasette
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