Giornalista
e Telecronista
Rai
(Telecronista Rai allo Stadio Heysel il
29.05.1985)
audio
repertorio Diretta Tv
stadio Heysel 29.05.1985
Heysel 29-05-‘85: "Quella tragedia non
ci ha insegnato niente"
Intervista a Bruno Pizzul
di Barbara Scaramucci
Bruno Pizzul è un gentiluomo d’altri tempi,
aggiornatissimo su tutto il mondo dello sport e
non solo, lucido nei suoi ricordi che racconta
con quella bella voce e quell’italiano ricco e
preciso che avevano i tele e i radiocronisti
della Rai parecchio tempo fa. E, 30 anni dopo, è
un uomo che si emoziona ancora profondamente
ricordando la notte dello stadio Heysel, dove 30
anni si consumò la più grande tragedia del
calcio europeo. Con le colpe di molti e
l’indifferenza di altri. Allora ci fu la
speranza che almeno quel dramma - 39 morti e
decine di feriti - servisse come lezione perché
le cose cambiassero: non è andata così.
Dopo 30 anni, quell’evento ormai
storicizzato cosa ha lasciato dentro al
telecronista di un dramma che fino a quel
momento era inimmaginabile ?
"Per me in questi anni è stato come riandare
continuamente anche con la mia coscienza a
rivivere quella sera, che se si potesse vorrei
cancellare dalla mia memoria, ma questo non
sarebbe giusto perché la collettività deve
ricordare una tragedia del genere e dovrebbe
trarne delle conseguenze. Io ho analizzato e
rianalizzato quei momenti terribili, le cause,
le responsabilità, il mio comportamento, le
difficoltà: credo che le colpe degli
organizzatori siano state gravi ed evidenti, e
del resto per tutti questi anni, ancora oggi, le
autorità belghe cercano di non ricordare, di
cancellare quel ricordo, pesa su di loro come un
macigno. Noi cronisti sapevamo da alcuni giorni
che erano stati venduti molti biglietti falsi e
la sera prima finalmente gli organizzatori
mandarono in giro per Bruxelles delle auto con
altoparlante per allertare la popolazione su
questo problema, ma niente di più. La ressa ai
cancelli era visibile da ore, le reti di
divisione erano come quelle di un piccolo
pollaio, i poliziotti pochi e completamente
privi di esperienza. Io queste cose cercai di
dirle durante quella telecronaca surreale che
feci per obbedire alle disposizioni dei miei
superiori e delle autorità, che palesemente non
erano in grado di sospendere la partita e far
defluire la folla dopo quello che era successo".
Si è sempre discusso di quanto sapessero
i giocatori di quello che era avvenuto, le
polemiche sul giro di campo della Juventus con
la coppa non si sono mai placate in questi tre
decenni, secondo te come andarono le cose ?
"Che fosse successo qualcosa di molto grave i
giocatori lo avevano capito, anche se nessuno
sapeva il numero delle vittime. Comunque c’erano
feriti, anche gravi, portati di corsa negli
spogliatori delle squadre, il senso della
tragedia era chiaro e le squadre effettivamente
avrebbero preferito non giocare. Poi, dopo un
primo tempo giocato in un clima assolutamente
surreale - che credo sia arrivato in casa a
tutti gli spettatori - la partita lentamente
diventò quasi "normale", compreso il rigore un
po’ dubbio, la vittoria e l’esultanza. Certo, si
può pensare che lasciare quella coppa sul campo
o portarla nella curva Z, quella dove ci furono
le vittime, sarebbe stato il gesto più giusto,
ma in quei momenti era tutto difficile e credo
che ancora a fine partita nessuno pensasse che
c’erano così tanti morti. Mi colpisce ancora
oggi l’assoluto silenzio dei giocatori che erano
in campo nella notte dell’Heysel, un silenzio
impenetrabile, nessuno ne ha mai voluto parlare,
a parte Boniek, che rifiutò la coppa, e Tardelli
che si è scusato anni dopo per i festeggiamenti
di quella sera. E’ chiaro che tutti lo sentono
come un macigno sulle loro spalle".
La più grande tragedia del calcio
europeo ha contribuito a cambiare qualcosa,
nello sport, nella comunicazione, nei tifosi ?
"E’ la mia più grande amarezza, non è cambiato
nulla. Già all’inizio del campionato 85-86
cominciarono a comparire gli striscioni orrendi
che vediamo anche oggi, da noi la componente
terribile del tifo "contro" è aumentata e tutti
noi vediamo ogni settimana quello che succede.
Anche la storia della tifoseria inglese che dopo
l’Heysel sarebbe cambiata è un falso: negli
stadi inglesi stanno fermi e tranquilli perché
li arrestano subito e li tengono in galera
piuttosto a lungo, quindi hanno paura. Appena
seguono le squadre all’estero si scatenano… Il
peso della comunicazione, del giornalismo
sportivo, è forte in tutto il mondo: se si
mandano messaggi giusti un po’ di effetto si
vede. Tra l’altro, al tempo dell’Heysel, i mezzi
erano quelli che erano: io non riuscivo a
comunicare con Carlo Nesti che era a bordo campo
e a fatica parlavo con il sistema dei "quattro
fili" con Roma. Oggi si vede tutto, i dettagli
più incredibili, si comunica continuamente, si
sente il rombo dei motori… Diciamo che è tutto
più semplice ma la responsabilità del
giornalista rimane, anzi, forse aumenta.
Comunque io credo che quello di cui si ha più
bisogno sia l’educazione allo sport. Si dovrebbe
partire dai bambini piccoli, nelle scuole, e
purtroppo spesso l’educazione ai valori forti
della disciplina sportiva dovrebbero essere
inculcati anche ai genitori, oltre che ai figli
!".
29 maggio 2015
Fonte: Articolo21.org
IL TELECRONISTA Pizzul: "Serata
angosciante"
di Massimo Meroi
Se fosse un libro, il titolo sarebbe "La
telecronaca più difficile della mia carriera".
Bruno Pizzul, quella sera, era la voce della
Rai. 39 morti, immagini strazianti che la tv
ovviamente censurò e il cronista chiamato a un
compito improbo: quello di raccontare cercando
di non accentuare i toni per non creare il
panico tra chi aveva parenti o amici allo
stadio.
Da dove partono i ricordi ?
"Il ricordo è angoscioso dal punto di vista
umano e professionale. Non è accettabile che per
una partita ci possano essere tanti morti. Ho
provato a rimuovere, poi mi rendo conto che non
è giusto dimenticare perché certe tragedie
devono essere monito e insegnamento".
Ma è davvero così ?
"Purtroppo no. Dopo, mi aspettavo maggiore
tolleranza, educazione e rispetto negli stadi.
Invece gli striscioni tipo "uno, cento, mille
Heysel" abbondarono, a dimostrazione che c’è una
frangia violenta difficile da reprimere".
Veniva informato in tempo reale di ciò
che accadeva ?
"No, anzi. Il flusso delle notizie era lento e
contraddittorio. Osservando la curva Z ci si
rendeva conto che la situazione era critica ma
non sapevamo delle vittime".
Quando veniste informati che c’erano dei
morti ?
"Poco prima dell’inizio della gara. Fino a quel
momento avevo cercato di centellinare le notizie
per non creare panico. Ero convinto che non si
sarebbe giocato, a spingere furono le autorità
belghe che non erano in grado di garantire lo
sfollamento".
Ma si sarebbe potuto non giocare senza
correre rischi ?
"Non lo so. Posso dire che l’impreparazione
delle forze dell’ordine fu evidente".
Il momento più difficile durante la
telecronaca ?
"Quando piombarono nella mia postazione un paio
di ragazzi che mi chiesero se potevo rassicurare
le loro famiglie in diretta tv. Non lo feci
proprio per non creare ulteriore paura. Lì per
lì si risentirono, poi qualche giorno dopo
compresero e me ne parlarono".
Ha mai pensato di non fare la
telecronaca ?
"Sì, inizialmente pensai che sarebbe stata la
cosa migliore mandare in onda immagini senza
commento anche perché la partita non aveva
significato. I giocatori all’inizio neanche
andavano in contrasto. Il livello agonistico
salì con il passare dei minuti".
Dopo la accusarono di non aver censurato
abbastanza l’esultanza dei giocatori.
"Dissi che avrebbero potuto andare a deporre la
coppa sotto il settore della tragedia, ma anche
quella poi, ripensandoci, avrebbe potuto essere
considerata una provocazione".
I colleghi inglesi ?
"Dopo la gara andai negli Usa per un torneo
premondiale e la prima gara era
Italia-Inghilterra. C’era la fila per chiedere
scusa".
I giocatori cosa le raccontarono ?
"Mi limito a dire solo questo: ancora oggi
alcuni juventini che erano in campo si rifiutano
di parlare di quello che accadde quella sera".
29 maggio 2015
Fonte: Il Mattino di Padova
Pizzul: "Vi racconto l'Heysel"
di Valerio Rosa
L'ex telecronista Rai ripercorre gli
strazianti momenti vissuti a Bruxelles prima
della finale tra la Juve e il Liverpool.
TORINO - Ore 20:10 del 29 maggio 1985.
Rai 1 si collega in diretta con lo stadio Heysel
di Bruxelles, per trasmettere la finale di Coppa
dei Campioni tra il Liverpool, detentore del
trofeo, e la Juventus di Platini, che l'anno
prima ha alzato al cielo la Coppa delle Coppe.
Il telecronista, Bruno Pizzul, ancora non sa che
sta per vivere uno dei momenti più difficili
della sua carriera.
"Eppure c'era stata qualche avvisaglia di quello
che sarebbe successo, ancora prima che si
cominciasse a gravitare intorno all'Heysel.
Giravano per la città delle macchine con
altoparlanti, che invitavano gli appassionati ad
andare per tempo allo stadio, anche se in
possesso di biglietti regolari, perché girava
una grande quantità di biglietti falsi. E
infatti entrarono allo stadio molte più persone
del dovuto, determinando un sovraffollamento nel
settore in cui erano stati ammucchiati in
maniera invereconda troppi tifosi inglesi. La
situazione si fece critica quando gli hooligans
debordarono verso il settore occupato dagli
italiani, dai quali erano stati separati da una
recinzione ridicola, quasi una rete da pollaio.
L'impianto, del resto, era vecchio, fatiscente,
con mura che davano davvero l'idea di poter
crollare alla minima pressione. Tutti fattori
che le autorità belghe avevano clamorosamente
sottovalutato".
Tra le tante immagini di quella sera,
fece scalpore l'indolenza dei gendarmi a
cavallo.
"Le poche forze dell'ordine a disposizione,
compresi i signori a cavallo, non presero alcun
tipo di iniziativa. Osservavano quasi stupiti
quello che stava accadendo, senza accennare a un
minimo intervento. Forse non avrebbero risolto
nulla, dal momento che non era stato predisposto
un apparato per contrastare situazioni come
quella che si stava creando, ma almeno avrebbero
dato la sensazione di provare a mettere un po'
d'ordine. Ma anche negli anni successivi in
Belgio hanno cercato in tutti i modi di
rimuovere quella serata, parlandone il meno
possibile e mostrandosi riluttanti ad ogni
commemorazione, perché a distanza di anni si
rendono conto di avere fatto una figuraccia".
Dalla sua postazione che informazioni
aveva ? Che cosa sapeva di quello che stava
accadendo ?
"Niente, nulla di più di quello che riuscivo a
vedere. Il crollo del muraglione sulla curva Z,
ovvero l'evento che causò tutte le vittime,
avvenne più o meno alla stessa altezza della
tribuna centrale che ospitava le nostre
postazioni di telecronisti. Sentimmo il tonfo,
vedemmo la gente sciamare all'interno del campo
di gioco, ma le notizie che ci arrivavano erano
centellinate, contraddittorie e prive di
qualsiasi certezza. A lungo nessuno parlò di
morti, poi si seppe che c'era qualche ferito,
anche se le immagini che fluivano lasciavano
presupporre un bilancio più grave. D'altra
parte, io ero lì, da solo, appeso al microfono,
e non potevo andare a sincerarmi di persona. E
non è che i colleghi della carta stampata, dalla
tribuna, fossero in condizioni migliori delle
mie".
Le difficoltà non saranno state solo di
natura professionale. Avrà vissuto, immagino, un
conflitto tra l'uomo e il professionista, che
deve raccontare ciò che vede ricacciando in gola
la rabbia.
"Furono momenti angosciosi, in cui fui costretto
a prendere decisioni dolorose. Ricordo un paio
di ragazzi, che erano riusciti a raggiungere la
mia postazione. Mi chiesero di dire alle loro
mamme che erano vivi. Io risposi che non potevo
accontentarli, per non far preoccupare le mamme
e i parenti degli altri ragazzi presenti allo
stadio, anche se mi rendevo conto che ai loro
occhi avrei potuto fare la figura di uno senza
cuore. E invece, con mia soddisfazione, qualche
tempo dopo mi chiamarono per dirmi che avevano
capito le ragioni della mia decisione. In casi
del genere ti trovi ad affrontare dilemmi
tremendi, perché la realtà da raccontare è
assolutamente fuori dai normali parametri della
cronaca".
E nel frattempo che indicazioni le
arrivavano dalla redazione di Roma ?
"Ad un certo momento mi dissero anche: non
esagerare coi morti. Io non sapevo nemmeno che
ci fossero dei morti, anzi fino al termine della
partita nessuno ne ebbe la certezza, per quanto
con i telecronisti vicini cercassimo di
scambiarci le poche informazioni che avevamo.
Eravamo convinti che non si sarebbe dovuto
giocare, e neanche i giocatori, come poi venimmo
a sapere, erano propensi a scendere in campo. Ma
le autorità belghe chiesero alle squadre di
giocare, per organizzare per tempo e con un
minimo di ordine il successivo deflusso dallo
stadio. E lì ebbi un altro dubbio: per un po'
pensai di non commentare quella partita, ma poi
lo feci, ripromettendomi di essere il più
asettico e impersonale possibile".
I giocatori non erano propensi, ma poi
esultarono...
"All'inizio l'impegno era molto annacquato, non
c'erano contrasti, poi prevalse quasi
un'abitudine all'agonismo, essendo lì in campo.
Su quell'esultanza esagerata si polemizza ancora
oggi e qualcuno sostiene che anch'io non
censurai in maniera netta i festeggiamenti dei
giocatori della Juve. Ma una volta che sei lì il
coinvolgimento finisce per essere inevitabile,
anche se oggi alcuni di loro si rifiutano di
rievocare quella serata, è difficilissimo
gestire situazioni di questo tipo. Sicuramente
non ha senso pretendere che la Juve non si fregi
di quella coppa".
Il calcio continua a proporre episodi
sconcertanti. A Roma, dopo il derby, si tirano
sospiri di sollievo perché non c'è scappato il
morto.
"Che ci si consoli per questa ragione è
veramente imbarazzante e denota quasi la
convinzione che sia impossibile evitare che per
una partita di pallone si mobilitino le forze
dell'ordine. E se nella Capitale del Paese si
può giocare solo alla luce del sole, nel resto
dell'Italia sono troppe le partite etichettate
come pericolose. Non tutti gli episodi di
violenza sono strettamente collegati al mondo
del tifo calcistico, perché ci sono chiare
ingerenze di mestatori di professione, ma è
evidente che il mondo del calcio non riesce a
produrre dentro di sé gli anticorpi per rendere
la situazione un po' più accettabile. E la gente
si sta stancando, come dimostra la progressiva
desertificazione dei nostri stadi. Tutte le
componenti devono darsi da fare, ma non è
facile, quando gli stessi rappresentanti del
nostro calcio ogni volta che aprono bocca
rischiano di combinare guai. Non sarebbe male,
per esempio, se comprendessimo tutti che il tifo
non può essere, come accade da noi, soprattutto
un tifo contro. Il tifo deve essere espressione
gioiosa di appoggio ai propri colori ma al tempo
stesso di rispetto e tolleranza verso gli altri.
A me dispiace sottolineare che anche adesso che
siamo alla vigilia di un'altra finale europea
con la Juventus protagonista, metà degli
italiani non si dispiacerebbe se i bianconeri
dovessero perdere. Questo non è bello,
francamente".
Ad ogni episodio di violenza si invocano
misure drastiche, citando l'esempio inglese del
dopo-Heysel. Lei è d'accordo ?
"Facciamo spesso riferimento agli inglesi, senza
considerare che non hanno educato gli hooligans:
li hanno spaventati. Là chi commette qualcosa di
illecito viene immediatamente fermato, anche
durante la partita, e paga severe conseguenze di
carattere penale. Ma appena vanno all'estero,
dove sanno che bene o male la faranno franca, si
comportano sempre male. Occorre la certezza
della pena, senza nuove regole ma applicando
quelle che già ci sono. Però ci vuole serietà
anche da parte di chi dirige il calcio. Se
l'Uefa premia l'Olanda, i cui tifosi hanno
distrutto Roma, è chiaro che ci stanno prendendo
in giro".