Heysel, venticinque
anni dopo
"Il calcio cambiò per
sempre"
di Enrico Sisti
Il ricordo di Ian
Rush: "Noi del Liverpool volevamo scappare. Quella sera
non giocammo: facemmo solo il nostro lavoro. Non so se
fu una gara vera. Dovevano punire l'UEFA che ci fece
giocare in una baracca decrepita".
ROMA - La sera del 29 maggio 1985 l'orrore colpì il
calcio. Due lettere, la Z e la Y, furono i cromosomi di
quella tragedia. In teoria la zona Z dell'Heysel sarebbe
dovuta essere quasi deserta: "Era destinata ai belgi
neutrali", balbettò l’UEFA. Una specie di cuscino di
seggiolini vuoti e aria fra juventini organizzati e
tifosi inglesi del settore Y. Ci finirono gli ultimi
arrivati. "Mi vergogno di essere inglese", urlò Bobby
Charlton. Gli hooligans invasero la zona Z e
schiacciarono gli juventini dei settori O, N e M* (Ndr:
Errato ! Quelli costituivano la curva opposta che
ospitava la tifoseria organizzata bianconera).
La partita si giocò
con i fantasmi intorno. Morì anche lei. Senza nascere...
"E io sono ancora qui che
penso: cosa ci passò per la testa ?".
Cosa vi passò per la
testa, Ian Rush ?
"Non conoscevamo l'entità
della tragedia, il che paradossalmente era anche peggio.
Qualcuno di noi voleva scappare, altri incoraggiavano i
più spaventati. C'era anche chi temeva per i suoi cari,
con cui era impossibile comunicare. La tragedia si
svolse in una zona dove non era possibile che ci fossero
anche le nostre famiglie, ma ripeto: noi non sapevamo
esattamente quello che era successo né dove".
Dopo vi sentiste un
po' carnefici, con quella teppaglia assassina al seguito
?
"No. Credo che quel giorno
fummo tutti vittime. Quel giorno il calcio cambiò per
sempre".
Per prendere quale
direzione ?
"Da quel momento fu chiaro che
prima viene il pubblico e poi lo spettacolo. L’UEFA fece
una pessima figura. Sia i nostri che i dirigenti della
Juve implorarono un cambio di sede. L'Heysel era una
baracca, privo di qualunque sbarramento per dividere le
tifoserie. Non poteva reggere alcun peso, figuriamoci
una follia collettiva. Il nostro A. D. spedì missive di
fuoco: "È uno stadio decrepito, inadatto ! Non lo
ascoltarono".
Aveste
la sensazione di una partita "finta" ?
"Forse sì, forse no. Ma tutto
quello che posso dirle ora, con tanto spazio in mezzo, è
una sorta di abuso di potere sulla verità. Diciamo che
ci sentimmo in dovere di continuare a fare il nostro
lavoro".
Approvò la sanzione
contro l'intero calcio inglese ?
"No. Allora anche l’UEFA
avrebbe dovuto sanzionare se stessa. La tragedia fu
anche provocata dalla sconvolgente assenza di strutture
e di controllo".
Alcuni tifosi del
Liverpool continuano a dire: "Li odiavamo". Ci sono
ancora dei blog in cui manca sempre l'elemento chiave:
il pentimento.
"Non si può sradicare la
follia. Anche intorno alla Kop, come nelle altre curve,
c'è chi propaganda l'odio, il male, teorie devastanti.
Estremisti".
Lei fu un cardine
della riconciliazione fra Juventus e Liverpool.
"Quando andai alla Juve, nel
1987, i rapporti fra i due club migliorarono. I tifosi
bianconeri mi accolsero comunque benissimo. Non ricordo
alcuna allusione all'Heysel".
Heysel: forse sarebbe
stato più corretto lasciarlo in piedi come monito
imperituro.
"Forse. O forse basta ciò che
abbiamo vissuto per non tornare al medioevo del pallone.
La speranza di essere migliori, quella volta, costò
tante vite".
Ma senza speranza, come recita l'inno del
Liverpool, non si vive ("walk on with hope in your heart").
"È l'inno del genere umano,
You'll never walk alone (scritta nel '45 da Rodgers
& Hammerstein II,
NdR), non del Liverpool".
Fonte: La
Repubblica
© 28 maggio 2010
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