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Tifoso
F.C. Juventus
(Nel Settore Z allo Stadio Heysel il
29.05.1985) |
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"L’onda rossa, poi il buio. Da quella
notte all’Heysel la mia vita è un regalo"
di Antonio Barillà
Il ricordo di Carmelo Di Pilla, tifoso
della Juve sopravvissuto a Bruxelles. La sua
immagine è uno dei simboli della tragedia di 35
anni fa.
Trentacinque anni scivolati in un soffio. L’uomo
che vide la morte in faccia allo stadio Heysel è
un anziano signore con i baffi bianchi che tra
pochissimo diventerà nonno. Carmelo Di Pilla
sospira davanti alla fotografia che diventò
simbolo della tragedia della finale di Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool: lui esanime,
altri corpi immobili accanto, le braccia larghe
e gli occhi chiusi. "Pensavano fossi morto,
invece sono nato: il risveglio in ospedale, a
notte fonda, è stato il mio ritorno alla vita".
Carmelo Di Pilla, il destino la portò
nel Settore Z…
"Avevo prenotato la tribuna con tre amici,
scoprimmo d’essere in curva quando ritirammo i
biglietti e nemmeno ce la prendemmo più di
tanto: contava esserci ed eravamo felici,
volevamo cancellare la delusione di Atene dove
avevamo visto festeggiare l’Amburgo".
Da Isernia a Bruxelles seguendo la
passione bianconera…
"Raggiungemmo Ciampino in auto di buon’ora, il
volo in mattinata, un giro per la città e alle
cinque del pomeriggio già allo stadio. Si
respirava un clima di festa, eppure un paio di
cose mi trasmisero sensazioni bruttissime".
Racconti…
"Nel grande parco davanti all’Heysel sciamavano
gruppi di inglesi già ubriachi. E la struttura
mi apparve subito inadeguata: l’ingresso del
nostro settore era una porticina rugginosa".
I posti non erano assegnati…
"All’epoca era normale, ci sistemammo lungo la
scalinata centrale. Ricordo i gradoni
fatiscenti, i sorrisi delle persone attorno e le
bandiere della Juve, però mi inquietava
quell’onda rossa che diventava sempre più gonfia
e minacciosa: i tifosi del Liverpool urlavano e
spingevano, lanciavano sassi e bottiglie rotte,
guardavo dalla loro parte e li vedevo sempre più
vicini".
In un attimo l’inferno…
"Entrò in campo Grobbelaar, afferrai la macchina
fotografica e cominciai a scattare. Vidi che
erano le 18.50, la strage si consumò poco dopo".
Che cosa ricorda ?
"Grida e rumore. Paura e affanno. Gli hooligans
entrarono tutti insieme nel nostro settore,
l’onda rossa tracimò e travolse tutto: mi
mancava l’aria, non avevo voce per gridare
aiuto, mi sentii spinto in avanti e sballottato,
calca e dolore, poi soltanto buio".
Si risvegliò in ospedale ?
"Aprii gli occhi nella penombra, c’era odore di
medicine e disinfettante, un’infermiera mi
spiegò in breve cos’era successo. Io però ero
sotto choc, non mi rendevo conto di quello che
avevo rischiato e ignoravo le dimensioni della
tragedia. Chiesi il risultato della partita.
Solo più tardi realizzai che a casa potevano
essere in pensiero e cercai disperatamente un
telefono: mia moglie, per fortuna, non aveva
seguito la partita in tv e non sapeva, mi
emozionai sentendo la voce di mio figlio che
aveva appena quattro anni".
C’erano altri italiani feriti ?
"Sembrava di attraversare un sentiero di guerra.
In quella corsia come sull’aereo che ci riportò
a casa. Vedevo persone bendate e ingessate, visi
gonfi di lividi e vestiti insanguinati. Rimasi
di pietra vedendomi allo specchio: avevo il
volto tumefatto e continuavo a domandarmi se ero
io. I dolori erano forti, ma la voglia di
tornare a casa superiore, così mi misi in
processione con altri sopravvissuti: tornai in
Italia con un paio di pantofole di plastica che
mi avevano dato in ospedale".
Guardando l’immagine scattata allo
stadio, si sente un miracolato ?
"Vidi quella foto per la prima volta sull’aereo
che mi riportava a casa, era in prima pagina,
enorme, su un giornale che raccontava la
tragedia: tremavo e ringraziavo il cielo, le
persone attorno mi additavano. Oggi,
rivedendola, penso che la seconda metà della mia
vita è un regalo: avevo trentasei anni, ne sono
passati ancora trentacinque. Sono tornato allo
stadio infinite volte, per fare il mio mestiere
di fotografo e per ubbidire alla mia passione di
tifoso, ma quella notte è un ricordo
incancellabile: ci penso spesso, e penso a chi
non ha avuto la mia fortuna".
29 maggio 2020
Fonte: Lastampa.it
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