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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL |
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Sono
un sopravvissuto della curva Z. Io la "signora in nero"
l'ho toccata con mano e mentre avevo ormai salutato
mentalmente i miei cari e la vita, trovandomi
schiacciato tra migliaia di persone che cercavano di
sfuggire alla morte, un'ennesima spinta mi ha proiettato
verso l'alto, non so neanch’io come (le immagini
televisive lo testimoniano), passando sopra inermi
tifosi caduti, calpestati e urlanti dolore o già morti,
mi sono ritrovato in campo sano e salvo ! Questo,
perciò, è un debito di coscienza: io mi auguro, con
questo memoriale-verità, di poter nel mio piccolo,
contribuire affinché queste vittime, con il loro
sacrificio, non siano morte invano, ma siano state le
ultime di questa pseudo-società che rifiuta di vedere e
di capire anche davanti all'evidenza.
Nereo Ferlat
Fonte:
L'ultima curva (Novantico
Editrice)
© 25 Aprile 2015
Era
da poco passata l'infausta notte della tragedia quando
Nereo, sopravvissuto per puro miracolo (come ebbe più
volte a dichiarare), scrisse quello che è da ritenersi
il primo libro-romanzo sull'Heysel. Un testo che viene
ora riprodotto dalla Novantico editrice nella collana
"Tracce di vita urbana" (di mia conduzione). A compendio
del testo, corretto nelle forse troppe "omissioni"
grammaticali di allora, le principali copertine dei
giornali italiani ed europei di allora, alcune poesie di
gentile concessione del Museo virtuale dell'Heysel. La
copertina è creazione dell'estrosa mano di Gianni Valle.
Sembrava doveroso riproporlo come testimonianza storica
a trent'anni esatti dalla tragedia. A trent’anni di
distanza da quel fatidico evento, la perseveranza da
parte di migliaia di tifosi juventini che hanno passato
il timone del ricordo alle generazioni a venire, fa sì
che i 39 Angeli dell'Heysel siano al nostro fianco.
Nessuna persona è veramente morta se non muore nel cuore
di chi resta, e se è un cuore grande come quello di
Nereo e dei tanti che ne tramandano perseveranti Ia
memoria, i Martiri dell’ Heysel rimarranno con noi. Per
sempre. Beppe Franzo
Fonte: Associazione
Quelli di... Via Filadelfia
© 25 Aprile 2015
Fotografie:
Novantico Editrice © Nereo Ferlat
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Reggio Emilia, diretta
su YouTube del Comitato Vittime Heysel
Ferlat: io e le parole
di Giglio Panza
di Nereo Ferlat
È proprio così "L'uomo propone e Dio dispone". Ci
eravamo promessi lo scorso anno davanti al Monumento
alle vittime dello Stadio Heysel a Reggio Emilia: "Nel
2020 ricorrerà il 35° anniversario e dovremmo fare le
cose in grande per ricordare i nostri 39 angeli". Invece
questo virus piombatoci addosso ci ha fatto recedere dai
nostri buoni proponimenti e nelle ristrettezze in cui ci
si è trovati: si farà una no-stop via web sul sito del
Comitato e sul canale YouTube dello stesso, con
centinaia di interventi e testimonianze. La memoria di
queste 39 persone immolatesi in quel fatiscente stadio
belga, in una serata dove il rosso del tramonto si è
mescolato con il loro sangue innocente, non deve essere
dimenticata. Deve sempre essere presente nei nostri
cuori e davanti ai nostri occhi. A Reggio Emilia sono
presenti bandiere e gagliardetti di tante squadre uniti
in un solo respiro e la commozione si staglia nell'aria
davanti alle 39 steli. Partecipano anche parenti di
quelle innocenti vittime che purtroppo vengono
dileggiate da chi cova un tifo becero. Ogni anno si
spera che le cose cambino, ma la rabbia che cova in
corpo di certi tifosi sembra non finire mai ! Gente che
non era magari neanche nata ma che viene coinvolta in
queste tristi sequele canore. L'Heysel non è stato un
olocausto soltanto juventino ma nazionale. Cerano anche
tifosi di altre squadre in quei 39 morti, non solo
italiani ma anche quattro belgi, due francesi ed un
irlandese. Se siamo ancora qui a sputare odio non
abbiamo capito cosa sia successo quella sera ! È
importante educare le nuove generazioni ad un tifo sano,
un tifo per e non un tifo contro, se no si rischia (come
sta puntualmente avvenendo) di far morire questi 39
angeli un'altra volta. L'Heysel è tragedia italiana e
non juventina e che i giovani vanno educati perché
vivano lo sport nel modo giusto e senza violenza. E a
tal proposito riprendo le parole di un grande
giornalista che è stato anche direttore di Tuttosport,
Giglio Panza: "Questa tragedia dello Stadio Heysel ci
impegna tutti nella ricerca dell'onesto, ricerca
difficile ma con un po' di buona volontà, non
impossibile. Ricerca giusta. ricerca doverosa, perché il
29 maggio sia considerato un punto di partenza verso uno
sport più serio più pulito.
Fonte:
Tuttosport
© 29 maggio 2020
(Testo
© Fotografia)
Icona: Itcleanpng.com ©
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Il sopravvissuto
"Il ricordo di 39 angeli resta vivo"
Significativo
nel giorno dell'anniversario anche il pensiero dl Nereo
Ferlat, uno dei sopravvissuti della Curva Z e oggi
autore di libri, uno dei più bravi e attenti manutentori
della memoria, che spiega: "Aggiungiamo un altro anno
alla memoria di quella triste sera del 29 maggio 1985
dove allo Stadio Heysel di Bruxelles morirono 39 inermi
tifosi. Noi testimoni di quella mattanza dobbiamo sempre
tenere accesa la fiamma della memoria in modo che sia
sempre vivo il ricordo dei nostri 39 angeli. Quest’ anno
sono rimasto piacevolmente sorpreso dall'iniziativa di
Domenico Beccaria che ha esposto uno striscione con su
scritto +39 rispetto allo Stadio Grande Torino. Esempio
di tifo etico e non becero dove la morte non ha colore
ma unisce tutti in un unico abbraccio. Domani poi, a
Cherasco, a Grugliasco, al Comune dl Torino, ed in altri
luoghi cl saranno diverse cerimonie per ricordare le
vittime dell’Heysel. Il 2 giugno ci sarà la
commemorazione al Monumento delle vittime a Reggio
Emilia. Breve, toccante e coinvolgente. Con interventi
di testimoni e con la partecipazione di parenti. Verrà
di nuovo lanciato il proclama: il seme è stato lanciato
e pian piano tenendo sempre viva la memoria ed educando
le nuove generazioni la piantina potrà crescere sana".
Fonte:
Tuttosport
© 29 maggio 2019
Fotografia: Comitato
Heysel Reggio Emilia
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Tifosi, il rispetto è
nel ricordo
di Nereo Ferlat
Caro
Direttore, visto ciò che è successo in questi giorni
dove da più pulpiti si chiede scusa per offese ricevute
e rinviate al mittente: dove si rischia di far esplodere
il prossimo derby in concomitanza delle festività
natalizie, dove sui social sta montando una rabbia
ingiustificata, dove si sta spalmando di violenza
verbale quello che dovrebbe essere solo un evento
sportivo e basta, dove stanno spuntando da entrambe le
parti striscioni e cori (tutti colpevoli), vorrei
segnalare che ci sono anche granata e juventini che da
anni stanno cercando di tendersi una mano e di
combattere ogni forma di violenza nel nome dello sport.
Insieme si è fatta una mostra itinerante "70 Angeli in
un unico cielo", dove erano accomunati in un unico
abbraccio i 31 caduti di Superga ed i 39 di Bruxelles
insieme; ogni 29 maggio ci si ritrova a Reggio Emilia al
monumento eretto a ricordo delle vittime di quella
tragedia in terra belga; insieme si va nelle scuole a
parlare ai giovani di queste tragedie affinché non
accadano mai più e perché si tifi solo per e non contro.
Il calcio va vissuto senza farsi forza con un coro o uno
striscione per infangare chi è morto per rincorrere un
sogno dietro ad un pallone.
Fonte:
Tuttosport
© 28
ottobre 2018
Fotografie:
GETTY IMAGES © (Not for commercial use) © Tuttosport
© Youtube
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Ferlat sopravvissuto a
Bruxelles: "dopo 33 anni quella lezione deve insegnarci
a rifiutare l'odio"
"Studiate l’Heysel"
di Guido Vaciago
"Il 29 maggio 1985 morirono anche tre interisti.
Assurdo che il tifo sia sempre più spesso contro e non a
favore".
Le
urla gli resteranno per sempre nella testa. "Non si
cancellano. Così come le immagini di quei secondi che mi
capitano di rivedere come in moviola, rivivendo ogni
volta la stessa angoscia". Trentatré anni fa, il 29
maggio del 1985, Nereo Ferlat era a Bruxelles, con un
biglietto della Curva Z dello stadio Heysel da una parte
e un destino benigno dall’altra. Dell’immane tragedia di
quella notte Ferlat è un sopravvissuto. E non sa bene
neppure lui come. Ha il ricordo della folla che lo
solleva per aria "come un tappo di champagne" e la
visione della rete di recinzione del campo che
finalmente cede e permette a molti di trovare la
salvezza, "purtroppo anche calpestando corpi di coloro
che non ce l’avevano fatta". La tragica crudezza della
notte dell’Heysel va rivissuta ogni anno, perché il
tempo non la trasformi in un’icona asettica o in un
santino, da celebrare o peggio ancora da insultare.
L’Heysel è paura, sangue e morte, tutte tremendamente
vere. Lo deve aver presente chi ricorda e lo deve sapere
chi infama. Perché l’Heysel è una lezione da studiare
anche a 33 anni di distanza, anzi forse soprattutto a 33
anni di distanza. "Siamo ancora qui a odiare. Significa
che il senso di quella notte non l’abbiamo capito ancora
molto bene. Negli stadi e sui social ci sono ancora
troppa rivalità e astio. Il tifo è quasi tutto contro e
sempre meno a favore della propria squadra. Sono logiche
perverse e malate. Bisogna ripassare la lezione
dell’Heysel. Sono felice che si ricordino le vittime di
Bruxelles ad ogni partita della Juventus, meno
entusiasta dell’idea che lo si faccia gridando "odio
Liverpool". Perché l’odio è proprio quello che dobbiamo
sconfiggere per evitare altri Heysel", spiega Ferlat.
Naturalmente ancora più atroce è chi insulta la memoria
di quei morti. "I tifosi avversari non capiscono, anche
loro probabilmente non sanno di quello che parlano o
cantano". Perché quella notte non sono morti 39
juventini, ma 39 appassionati di calcio, 39 persone che
potevano amare qualsiasi squadra e la cui vita è stata
spezzata in uno stadio dal destino e dalla colpevole
incompetenza delle autorità belga. "Ci sono anche tre
interisti fra le 39 vittime. Persone che avevano
accompagnato amici juventini", spiega Ferlat, rendendo
ancora più assurdo il gesto di chi insulta pensando di
insultare la Juventus in senso lato. "Bisogna educare.
Sì, l’unica via d’uscita è l’educazione. Spesso vado
nelle scuole a raccontare ai ragazzi l’esperienza
dell’Heysel, un fatto accaduto molti anni prima della
loro nascita, ma che può insegnare loro qualcosa. È
incoraggiante la loro reazione, mi fanno domande e sono
sempre molto interessati. Io cerco di spiegare loro
quanto la passione per il calcio sia una cosa positiva,
ma vada vissuta in un modo consapevole e civile. Sono
ottimista, quei semi gettati un giorno germoglieranno.
Certo, poi se vado a vedere una partita di calcio
giovanile, il comportamento dei genitori mi imbarazza".
Dalla cultura dell’insulto, infatti, nasce la violenza
verbale che può facilmente trasformarsi in violenza
autentica. Ripetere un Heysel, oggi, è più difficile
perché "passi in avanti per quanto piccoli ne sono stati
fatti", concorda Ferlat, ma - attenzione! – non è
impossibile rivivere una notte così nera se non si
inverte una preoccupante tendenza che, anche attraverso
i social, trasmette e propaga l’odio. "Domenica ero a
Reggio Emilia per la commemorazione davanti al monumento
che ricorda le vittime. C’era tanta gente, molte
bandiere e vessilli mandate dai club, anche una del
Liverpool. Oggi verrà inaugurata una piazza a Torino e
nel museo della Juventus c’è una stele davanti alla
quale ci si può raccogliere in preghiera. È importante
ricordare, ma lo è ancora di più imparare da questi
ricordi". Altrimenti c’è il rischio che quei 39 amici
muoiano un’altra volta.
Fonte:
Tuttosport
© 29 maggio 2018
Video: Ansa.it
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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"Una tragedia
nazionale non può cadere
nell’oblio":
intervista a Nereo Ferlat
di Daniela Russo
In occasione del triste anniversario della
tragedia di Bruxelles ascoltiamo la testimonianza di
Nereo Ferlat, sopravvissuto al massacro della Curva Z
dell’Heysel e portatore di un significativo messaggio.
La
memoria è un muscolo che va esercitato, ci dicevano
sempre a scuola. Ma la memoria è anche una risorsa, un
bene da tramandare affinché non si dimentichi; e la
tragedia dell’Heysel, quel 29 maggio 1985, è uno di
quegli eventi che nessuno dovrebbe permettersi di
ignorare. Ben lo sa Nereo Ferlat, che da quello stadio
in quella stessa notte è uscito - soltanto per miracolo
- indenne. Da trentatré anni ormai si è assunto il
compito, la responsabilità di preservare la memoria di
una tragedia calcistica che ha segnato per sempre la
storia della Juventus ma che riguarda tutto l’universo
del calcio. L’idea di scrivere subito un libro ("L’
ultima curva"), la partecipazione attiva alle
commemorazioni e a tutti gli eventi legati alla vicenda
belga che portò via 39 persone, di cui 32 italiani; il
forte legame con il "Comitato per non dimenticare
l’Heysel", di cui abbiamo tempo fa in questa redazione
illustrato il compito: sono soltanto alcuni dei modi in
cui Nereo ogni anno si impegna per fare in modo che
tutti, specie i più giovani, possano capire che quel
"-39", che sovente campeggia negli stadi senza criterio
alcuno, nasconde un enorme significato: non è uno
sfottò, e non possiamo permettere che diventi tale.
Nereo, ci aiuta a ricostruire cosa successe quel
giorno ?
"Io ero a Bruxelles già a mezzogiorno, quel 29 maggio.
Per le strade della città incontravamo già gruppi di
tifosi dei Reds che dall’aspetto e dal comportamento
sembravano già carichi e facinorosi. Al momento
dell’ingresso allo stadio, sono riusciti a introdurre di
tutto all’interno: proprio lì accanto c’era un cantiere
al quale si poteva accedere senza alcun problema. Allora
i controlli certo non erano come oggi… Ad un certo punto
hanno incominciato a arretrare e avanzare, proprio come
una carica. Una moltitudine, una folla che si muove
quasi a voler sollevare una guerriglia. Eppure la curva
Z era piena di famiglie, nessuno che avesse intenti
bellicosi. Ho visto tantissima gente arrivare, eravamo
tutti impauriti. Ho gridato: "Scappiamo", poi il
delirio: sentivo chiaramente che nel fuggire c’erano già
persone a terra. Non avevo più aria né saliva, ho
cominciato a pregare convinto che sarei morto:
paradossalmente, il crollo del muretto è stato
provvidenziale. Sono stato sbalzato in aria, mi sono
ritrovato accanto a una crocerossina che mi ha dato
dell’acqua e mi ha aiutato a riprendermi. Poi mi sono
diretto verso la tribuna stampa, là dove Pizzul si
prodigava per dare notizie ai tanti telespettatori in
ansia. A lui ho portato testimonianza di quanto stava
accadendo".
Una vicenda terribile
che oggi viene accomunata a un banale sfottò da stadio…
"Sì, è pazzesco questo risvolto che ha assunto l’Heysel.
Questo accade perché molti ignorano i fatti, i più
giovani soprattutto. Altri conoscono la vicenda solo in
modo marginale, ignorandone la portata. Chi ha visto,
chi ha assistito dovrebbe incaricarsi della
responsabilità di divulgare la verità in modo che non
venga banalizzata. L’Heysel è stata una tragedia
nazionale. Non è solo un dolore che riguarda la
Juventus".
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La
struttura dell’impianto era davvero così terribile come
si dice ?
"Assolutamente. Dava l’impressione di potersi
sbriciolare da un momento all’ altro. Fatiscente,
inadeguato a un evento di tale portata. I pezzi di
porfido si staccavano con una facilità impressionante,
si vedeva crescere l’erba tra gli spalti: tutto gridava
al degrado. Non era nemmeno la prima volta che quello
stadio veniva imputato: nel 1980, in occasione di
Arsenal-Benfica valida per la Coppa delle Coppe,
l’allenatore della squadra inglese aveva sottolineato la
pericolosità della struttura. La Uefa tuttavia ritenne
opportuno ignorare la cosa…".
La Uefa tra l’altro ha
glissato a lungo sulla sua responsabilità.
"Ci sono voluti anni per avere
l’ufficialità della sentenza e più di 200 viaggi a
Bruxelles da parte di Otello Lorentini (padre di
Roberto, una delle vittime di quella notte, n.d.r.),
intenzionato insieme ad altri familiari a rendere
giustizia ai poveri defunti e a far emergere la verità
sulla Uefa, che ha lasciato per troppo tempo che fosse
la Juventus ad assumersi la maggior parte delle colpe.
Alla Juve è stato detto di tutto per aver accettato di
disputare la partita: ma non c’erano alternative,
svuotare lo stadio avrebbe trasformato il tutto in
un’ecatombe. L’ordine pubblico andava salvaguardato, e
non poteva certo farlo la polizia locale, tra l’altro
giunta in ritardo a cercare di contenere l’impatto degli
Hooligans. Sia la Juventus sia il Liverpool hanno
giocato, non hanno recitato una farsa: hanno fatto ciò
che era stato chiesto anche per quelle povere persone,
non c’è alcuna colpa in questo. Sicuramente, per quanto
io ne sappia, i bianconeri non avrebbero voluto
giocare".
Quando è nata l’idea di raccontare tutto nel suo
libro ?
Praticamente da subito. Quando sono rientrato a casa, ho
rivisto la partita e compreso la portata di quello che
era accaduto, nello stesso tempo mi rendevo conto che
tutto cadeva nel dimenticatoio troppo velocemente. E mi
sono detto che non andava bene, che non dovevo
permettere che si dimenticasse una cosa così: una
tragedia, non soltanto per la Juve. Non dimentichiamo
che tra gli italiani c’erano anche tre tifosi
dell’Inter, che si erano recati allo stadio per
accompagnare i loro cari. È una tragedia nazionale e
calcistica, senza colori".
Anche la Juventus è
uscita dal suo lungo silenzio…
"Al Museum ora c’è una sala
tutta dedicata all’Heysel, in cui si racconta tutto
dettagliatamente (NDR: Una stele con i nomi delle
vittime, senza spiegazioni); inizialmente in piazza
Crimea a Torino fu subito eretto un monumento. Le
commemorazioni si svolgono anche in altre città, ove si
radunano i parenti delle vittime. Da questo punto di
vista il "Comitato" di Reggio Emilia svolge un lavoro
encomiabile, grazie a Iuliana e Roberto Garlassi".
Proprio domenica Nereo Ferlat ha partecipato alla
cerimonia di Reggio Emilia, patria custode del celebre
monumento ai caduti dell’Heysel. Un luogo di ritrovo
tenuto vivo dall’amore: dall’amore per la memoria, per
il rispetto, per il dolore. Perché il 29 maggio non è
una data solo bianconera: è, come ha detto il nostro
amico, una tragedia di tutti quelli che amano e vivono
il calcio. E anche di chi non lo ama. Tutti, in qualche
modo, siamo chiamati a tramandarne il ricordo. Noi oggi
sentiamo di doverlo fare così: con le parole di chi,
neanche volendo, potrà mai dimenticare.
Fonte:
Golditacco.it
© 29 maggio 2018
Fotografie: Comitato
Heysel Reggio Emilia
© Tuttosport
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Heysel, una #memoria
dello sport degenerato
di Roberto Lauri
Nereo Ferlat era allo stadio
di Bruxelles per la partita Liverpool-Juventus deI 29
maggio 1985. Era in curva nel settore "Z", vicinissimo
ai settori degli hooligan deI Liverpool e deI Chelsea.
Le reti divisorie non bastarono a proteggere i tifosi:
morirono trentanove persone (32 italiani, 4 belgi, 2
francesi e 1 irlandese) e ci furono centinaia di feriti.
A distanza di trentun anni esce un memoriale che
vorrebbe arginare le persistenti degenerazioni della
foga sportiva.
Ventinove
maggio 1985, Stadio Heysel di Bruxelles, sono passati
poco più di trenta anni, ma molte persone hanno ancora
impresse negli occhi, le immagini di quella tragedia.
Nella capitale belga c'era in programma la finale di
Coppa Campioni, tra il Liverpool e la Juventus; quando
alle 18,30 lo stadio si trasformò prima in un campo di
battaglia, poi in un cimitero. Morirono 39 persone,
delle quali 32 erano italiane, e ne rimasero ferite
oltre 600. Una tragedia, che a parte qualche rara
commemorazione fatta nel suo trentennale, se ne è voluta
perdere memoria. Tramite amicizie comuni, ho avuto modo
di conoscere, Nereo Ferlat, un sopravvissuto a quella
tragedia o come lui stesso si definisce, un vero
miracolato di quella funesta giornata, per intercessione
di un santo al quale è molto devoto. Nereo ha ancora
vivo il ricordo dei quei drammatici momenti e ha voluto
per noi fissare alcuni ricordi. Prima però ripercorriamo
la storia e gli avvenimenti di quel 29 Maggio di 31 anni
fa. A quella attesissima finale erano presenti
moltissimi tifosi italiani, quelli organizzati dai vari
club di supporter, furono assegnate le tribune delle
curve MNO, che si trovava nella parte opposta a quella
riservata ai tifosi inglesi. Molti altri tifosi
juventini, che erano giunti a Bruxelles in maniera
autonoma, furono sistemati nella tribuna Z. Questa era
separata da due basse reti metalliche dalla curva dei
tifosi del Liverpool, ai quali si unirono anche tifosi
del Chelsea, famosi per la loro violenza. Circa un'ora
prima della partita i tifosi inglesi più esagitati, gli
hooligan, cominciarono a spingersi ad ondate, verso il
settore Z, cercando di sfondare le fragili reti
divisorie. I tifosi inglesi caricarono più volte gli
spettatori juventini, che impauriti, cominciarono ad
arretrare, ammassandosi contro il muro opposto al
settore della curva, occupato dai sostenitori del
Liverpool. Non ci fu nessun intervento da parte delle
forze di polizia, per ristabilire l'ordine anzi,
cercarono di ostacolare la fuga degli italiani verso il
campo di gioco, caricandoli e colpendoli con i
manganelli. Ci fu una grande confusione e nella ressa
alcuni spettatori si lanciarono nel vuoto per evitare di
rimanere schiacciati; altri cercarono di scavalcare gli
ostacoli per entrare nel settore adiacente, altri si
ferirono contro le recinzioni. Il muro, per le spinte e
per il peso esercitato su di esso dai tifosi, ad un
certo punto crollò, molte persone rimasero schiacciate,
oppure calpestate dalla folla e rimasero uccise. Lo
speaker e i capitani delle due squadre invitarono i
tifosi alla calma, la maggior parte dei quali lontani
dai settori coinvolti negli scontri, non riuscivano a
capire quello che stava realmente accadendo. Gli
scampati alla tragedia si rivolsero ai giornalisti in
tribuna stampa perché telefonassero in Italia, per
rassicurare i familiari. Alla fine i morti furono 39,
dei quali: 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1
irlandese, oltre a 600 feriti. La diretta televisiva
della Rai si aprì con il video volontariamente oscurato,
mentre il commentatore Bruno Pizzul cercava
maldestramente di attribuire l'imprevisto a cause
tecniche. Sull'altro canale Rai invece il telegiornale
mostrava le immagini degli incidenti e di spettatori
distesi a terra senza vita. Dopo quasi un'ora e mezzo di
rinvio, alle 21.40 le due squadre entrarono in campo. Si
decise di giocare ugualmente la partita, nonostante
quello che era successo. La decisione fu presa dalle
forze dell'ordine belghe e dai dirigenti UEFA, per
evitare ulteriori tensioni. La televisione tedesca si
rifiutò di trasmettere la partita, mentre quella
austriaca, pur non interrompendo la diretta, sospese la
radiocronaca, mettendo in sovrimpressione una scritta
che recitava: "Questa che andiamo a trasmettere non è
una manifestazione sportiva". La partita fu vinta dalla
Juventus e Michel Platini, autore della rete decisiva,
fu molto criticato per essersi lasciato andare a
esultanze eccessive vista la gravità degli eventi. Lo
stesso Platini il giorno dopo, quando venne a conoscenza
della morte di 39 persone, dichiarò che di fronte a una
tragedia di quel genere, i festeggiamenti sportivi
dovevano passare in secondo piano. Il sindaco di Torino,
Giorgio Cardetti, censurò l'esultanza nelle strade di
alcune frange di tifosi. Dieci anni dopo, Zbigniew
Boniek dichiarò che non avrebbe voluto giocare quella
finale, non ritirando per questo il premio partita per
quella vittoria. Alcuni dirigenti juventini con Michel
Platini si recarono a fare visita ai feriti negli
ospedali della città. Nella camera mortuaria allestita
all'interno di una caserma, i parenti delle vittime
furono accolti dai reali Belgi: Re Baldovino e dalla
consorte Fabiola.
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Nereo
c'è una lettera che segna la tua vita, prima e dopo, la
lettera Z. Il 29 maggio del 1985, eri nella curva Z
dello stadio Heysel di Bruxelles, la curva maledetta,
dove morirono 39 persone, che ricordi hai di quella
giornata ?
"Sono passati più di 30 anni,
ora sono in pensione e le partite della mia Juve
preferisco vederle in televisione. Ma il ricordo di quel
giorno resta indelebile nella mia mente. L'Heysel non è
mai passato. Penso spesso a quel giorno, a ciò che ho
vissuto. Avevo percepito una situazione di pericolo già
entrando nello stadio. Capii che i tifosi inglesi
avrebbero potuto accedere facilmente nel nostro settore
e creare molta confusione e disordini".
Tutto era iniziato in
un clima di festa, la partenza per il Belgio con gli
amici, la speranza di vincere l'ambita coppa.
"All'inizio non volevo andare
a Bruxelles, però dopo molto insistere da parte di un
mio amico, decisi di seguirlo nella trasferta belga,
dove la mia amata Juventus cercava per la terza volta di
portare a casa la coppa. Ricordo la carovana dei pullman
che partì alla volta del Brabante, nello scirocco di una
sera di fine maggio. A bordo c'erano tante speranze, di
poter far festa la sera successiva. Ricordo che la notte
la trascorsi senza quasi chiudere occhio, durante tutto
il viaggio e poi Parigi apparve ai miei occhi, in una
mattinata con tanto sole. Poi giungemmo in Belgio, la
consideravamo la nostra terra di conquista, "vade retro
Liverpool" urlavamo in coro. E poi Bruxelles, entrammo
dal quartiere di Anderlecht, alla sua periferia. Notai
subito che non c'era nessun cartello, nessuna
segnalazione, nulla. Ma non si giocava la finale di
Coppa ? Ai belgi non solleticava affatto
quell'avvenimento sportivo".
Mi hai raccontato che
quando hai visto la tifoseria inglese, che si agitava,
che urlava, hai cominciato a avere un po’ di paura, vero
?
Sì, vedemmo i tifosi inglesi,
quanti erano ? Tanti, Tantissimi. Eh già ! Era facile
per loro arrivare in Belgio. Erano sbarcati, fin dalla
notte, ad Ostenda e inondavano di bandiere rosse la
Grand Place ! C'era molta tensione. I capi comitiva
continuavano a dirci, non nascondendo la loro
preoccupazione: "Non provocate, non rispondete alle
provocazioni, loro sono la maggioranza e sono tra loro
molto uniti". In città, in centro, c'erano in terra,
cocci di centinaia di bottiglie di birra e whisky.
Quando entrammo nello stadio la tensione era molto alta,
cominciammo ad avere paura. Nell'avvicinarci alla nostra
curva, la Z, vedemmo che i tifosi inglesi portavano
dentro lo stadio di tutto, lo avevano prelevato da un
cantiere edile abbandonato. A noi italiani, la polizia
belga, all'ingresso dello stadio, ci toglieva anche le
aste delle bandiere !".
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Si
è sempre affermato, che la polizia, sottovalutò il
pericolo presente e non fu capace di intervenire in
tempo e in maniera adeguata, per placare gli animi,
soprattutto quelli dei supporter inglesi.
"Ma no, che paura c'era,
dicevano. Il porfido che divelto dalla pavimentazione,
diventava arma, che pericolo poteva rappresentare ? Un
razzo sparato nella nostra direzione, che pericolo era ?
La rete divisoria, che era proprio una rete per polli
che s'affloscia e cade, non richiede nessun intervento
della polizia, perché ? Sono ricordi amari, molto amari,
ho perso degli amici quel giorno. Ancora ricordo come
fosse ieri, di quando i tifosi inglesi ci attaccarono e
di noi che impauriti, indietreggiando cercavamo la
salvezza. Poi quando ci trovammo a migliaia in pochi
metri quadrati, schiacciati contro un muro. Schiacciati
l'uno contro l'altro, ci mancava il respiro, mi mancava
il respiro. Ricordo solo che in quel momento ho pensato
di morire e dicevo: "Ciao affetti che siete a casa, ciao
mamma, ciao figlia, ciao moglie. Ricordatemi così,
figlio, marito e padre". Poi mi sono rivolto a Padre
Pio, al quale ero e sono molto devoto: "Padre Pio,
aiutami! Salvami ! Ti prego, salvami !". Poi
all'improvviso, come uno scrollone che ti fa schizzare
in alto, come un tappo di champagne. Non so come sia
successo, schizzato via da quel groviglio di corpi, come
un tappo di champagne. Quando rivedo il filmato che
ritrae quei secondi, mi viene ancora la pelle d'oca !
Poi arrivai in campo salvo. Una suora dopo alcuni minuti
mi ha chiesto come stavo e lì ho realizzato di essere
ancora vivo".
Un vero miracolo, sei
uscito illeso da quella calca, sbalzato via "Come un
tappo di Champagne", dopo aver invocato l'aiuto di Padre
Pio ! So che per molto tempo hai tenuto questa cosa come
un segreto tra te e Padre Pio. Solo da poco tempo hai
deciso di parlarne. Dopo che sei arrivato sul campo di
gioco, cosa è successo ?
"La triste conta dei
superstiti e dei feriti. Di chi era a fianco a te ed ora
non c'è più. Il ritorno a casa e quegli incubi che non
passavano. Non riuscivo più a dormire, il pensiero delle
vittime pesava come un macigno. Il volto sorridente del
signor Gianfranco Sarto di Contarina, che avevo
conosciuto sul pullman e ora non c'era più, continuava a
tornarmi in mente.
Hai voluto mettere i
tuoi ricordi e quelli di chi era presente quel giorno
tutti in un libro, vero ?
"E' vero, così è nato il
libro: "L'ultima curva". Sì, proprio l'ultima, quella
che tifosi, come me hanno potuto calpestare per l'ultima
volta, per colpa di una partita di pallone. Un libro che
vuole essere una sfida a chi vuole dimenticare. Non si
possono dimenticare 39 persone che sono morte, per una
violenza cieca, inutile. Per dare una testimonianza a
coloro che quella sera non erano ancora nati".
Fonte:
La Croce Quotidiano
© 25 febbraio 2016
Video: RAI ©
Fotografie: La Croce Quotidiano © GETTY IMAGES © (Not for commercial use)
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Il dono del ricordo
di Smemorato
Fuori
da ogni ricorrenza o anniversario, l’idea di ricordare
quel lontano 29 maggio 1985 mi è tornata in mente, dopo
aver visto la puntata, del 2 gennaio 2016, della nota
trasmissione televisiva di Rai Uno "Il dono", condotta
per l’occasione da Paola Perego. Un dono, fra gli altri
della puntata, è stato il racconto di Vittorio che,
allora sedicenne tifoso juventino, fu coinvolto insieme
al padre Leopoldo nella tragedia che, riguardò tifosi
inglesi ed italiani, durante la finale di Coppa dei
Campioni disputatasi, allo Stadio Heysel di Bruxelles,
il 29 maggio del 1985 fra Juventus e Liverpool. Degli
incidenti sappiamo oramai tutto. Leopoldo, ferito nel
terribile parapiglia che anticipò la Finale, venne
soccorso da un tifoso del Liverpool, Jeff Conrad, che
gli prestò i primi semplici soccorsi, lo mise disteso
per facilitarne la respirazione spontanea, gli diede da
bere acqua per lenire lo spavento. Quando capì che
poteva andarsene riprese la sua strada. Vittorio poteva
cavarsela da solo per i successivi soccorsi a Leopoldo.
Gli anni sono passati, ma il desiderio di rivedere il
salvatore ha coinvolto padre e figlio fino ad avvalersi
dei mezzi della trasmissione televisiva per ritrovare e
abbracciare Jeff, la cosa naturalmente è avvenuta ed è
stata registrata dalle telecamere. I due hanno donato a
Jeff la maglietta con il numero di Platini (il 10) che
Vittorio indossava quella sera. Jeff a sua volta ha
regalato a Vittorio la sciarpa del Liverpool con scritto
"non camminerete mai soli". Molti sono i libri
pubblicati sulla tragedia, cito fra gli altri, per
averli letti: "Quella notte all’Heysel" di Emilio Targia
ed. Sperling &Kupfer e "Il ragazzo con lo zaino
arancione" di Francesco Ceniti e Alberto Tufano ed.
Gazzetta dello Sport, entrambi pubblicati nel 2015 a
ricordo del trentennale della tragedia. Quello che più
mi ha coinvolto personalmente è "L’ultima curva" di
Nereo Ferlat. Nei primi giorni di giugno del 1985 il mio
amico e collega Nereo Ferlat, scosso dagli eventi
straordinari che gli erano accaduti a cominciare dal
pomeriggio del 29 maggio 1985 a Bruxelles, mi chiese di
scrivere qualche riga su quell’avvenimento tragico e
terrificante che porta il nome di strage dello stadio
Heysel. Accettai di buon grado perché ero rimasto
estremamente colpito ed addolorato da quell’avvenimento
che aveva tolto la vita a 38 persone (aumentate
successivamente a 39) e spento i miei sogni di tifoso. Dovevo
attendere il 1996 per vedere vincere alla Juventus la
sua prima Coppa dei Campioni. Oggi la chiamano
Champions, ma per me resta sempre Coppa dei Campioni
d’Europa. Scrissi allora le mie impressioni, un paio di
pagine dattiloscritte, niente di più, ma non le lasciai
pubblicare, forse pensavo di dover rinunciare
definitivamente a qualcosa di mio. Conservai quei fogli
e li usai come segnalibro quando Nereo mi consegnò una
copia de "L’ultima curva". Credo che siano ancora lì, ma
non trovo più il libro che sicuramente giace nei cartoni
di un trasloco di vent’anni fa. Non ci ho messo tanto a
procurarmi una copia della riedizione del libro, appena
l’ho saputo, edizione rinnovata ed accresciuta di testi
e molte immagini significative per i tipi della Novativo
Editrice. Un’altra occasione di memoria. In effetti a
oltre trent’anni di distanza da quel fatidico evento, la
perseveranza di migliaia di tifosi juventini che hanno
passato e passano il testimone del ricordo alle
generazioni successive, fa sì che i 39 Angeli
dell’Heysel siano sempre al nostro fianco. Nessuna
persona è veramente morta se non muore nel cuore di chi
resta, per sempre, e se è un cuore grande come quello di
Nereo e dei tanti, come me, che ne tramandano la memoria
senza stancarsene i Martiri dell’Heysel sono destinati a
rimanere con noi finché ci saremo. Naturalmente la nuova
edizione del libro di Nereo Ferlat "29-5-1985 "Z" -
L’ultima curva" farà la sua parte per conservare questa
memoria. Il libro ha una prefazione scritta da Beppe
Franzo, il quale ha voluto riprendere e sottolineare la
frase "Nessuna persona è veramente morta se non muore
nel cuore di chi resta, per sempre" riportata anche dai
tifosi dello Stadium sullo striscione che hanno dedicato
ai 39 morti all’Heysel durante la partita dello scorso
campionato, giocata in casa dalla Juventus contro il
Napoli e vinta per 3 a 1. Fra l’altro, nella nuova
edizione, si può leggere la poesia "39 angeli
all’Heysel" di Domenico Laudadio, il gestore del sito
della memoria dell’Heysel. Inoltre è presente una scelta
di riproduzioni fotografiche di giornali dell’epoca e le
fotografie di quella triste giornata scattate da Paolo
Gugliotta, fotografo della polizia scientifica di Roma.
Molte buone ragioni per leggerlo e conservarlo.
Fonte:
Losmemoratodicollegno.wordpress.com
© 4 gennaio 2016
Fotografie: Gazzetta.it
©
Comitato Heysel Reggio Emilia
Icona: Itcleanpng.com ©
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Heysel quella ferita
che non si rimargina
di Nereo Ferlat
A trent'anni di una delle
più tragiche stragi legati allo sport a Bruxelles gioca
la nazionale di calcio. Un torinese sopravvissuto al
settore Z ricorda.
Trent'anni
sono passati quasi invano da quella tragedia consumatasi
sugli spalti di quel vetusto stadio di Bruxelles. La
violenza non è stata debellata, l'odio e l'ignoranza
sono cresciuti a dismisura nelle menti di chi crede che
un coro o una scritta possano colpire una certa
tifoseria senza nemmeno immaginare che se la Juventus ed
i suoi tifosi hanno fatto da cavie, quella sera chiunque
si trovasse lì, avrebbe subito la stessa sorte. Ce
l'avevano giurata già dall'anno prima quando
all'Olimpico e nella città di Roma ci sono stati scontri
tra le tifoserie italiche ed inglesi. Quella sera
c'eravamo noi ma potevano esserci i fiorentini, i
milanesi, i napoletani, chiunque ! Fatalità volle che
chi poteva rendere pan per focaccia a quelle orde di
inglesi accumunati dal tifo e dalla violenza (c'erano
oltre i tifosi del Liverpool anche le teste calde del
Chelsea ed altri uniti contro di noi), era relegata
nell'altra curva mentre, divisi da quella rete posticcia
per polli c'erano tifosi pacifici, intere famiglie,
gente non abituata alla guerriglia da stadio... Già lo
stadio... Fatiscente ma allora l'Uefa non era
responsabile degli eventuali incidenti. Lo recitava la
scritta stampata sul biglietto e solo grazie alla
cocciutaggine del compianto Otello Lorentini si è giunti
alla sua responsabilizzazione non indolore ! Quello
stadio dove potevi battere con la scarpa e staccare i
pezzi di porfido, dove l'erba cresceva nelle gradinate,
dove le tribune erano di legno, dove le autorità
gigioneggiavano ! Ora è stato rifatto non c'è più
pericolo, è un modello, c'è anche un piccolo carcere per
chi si macchia di qualche violenza durante gli
incontri... Ma quella sera, quella triste sera è stato
testimone dell'incuria di molti cervelli e cervelloni !
Sono passati trent'anni non bisogna dimenticare ma
battere sempre il tasto della memoria, alimentare le
future generazioni con l'esempio, educarle nel rispetto,
far sì che anche una sconfitta possa essere
propedeutica, che si possa gioire ed anche piangere per
la propria squadra ma... Mai morire ! Io quando ormai
pensavo di essere arrivato al capolinea quella sera mi
batterò sempre perché si possa rendere questo gioco una
festa e non un incubo ! "Si era partiti pieni di
speranza, si era tornati a brandelli ma ancora vivi!".
Fonte:
Lavocedeltempo.it
© 13 novembre 2015
Fotografia:
GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
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Nereo Ferlat:
l’Ultima curva
di Smemorato
Nei primi giorni di giugno del 1985 il mio amico
ed allora collega Nereo Ferlat, scosso dagli eventi
straordinari che gli erano accaduti a cominciare dal
pomeriggio del 29 maggio 1985 a Bruxelles, capitale
d’Europa, mi chiese di scrivere qualche riga su
quell’avvenimento tragico e terrificante che porta il
nome di strage dello stadio Heysel.
Accettai
di buon grado perché ero rimasto estremamente colpito ed
addolorato da quell’avvenimento che aveva tolto la vita
a 38 persone (aumentate successivamente a 39) e spento i
miei sogni di tifoso. Dovevo attendere il 1996 per
vedere vincere alla Juventus la sua prima Coppa dei
Campioni. Oggi la chiamano Champions, ma per me resta
sempre Coppa dei Campioni d’Europa. Scrissi allora le
mie impressioni, un paio di pagine dattiloscritte,
niente di più. Le consegnai a Nereo, ma inspiegabilmente
non volli firmare la manleva che serviva all’editore per
la cessione dei diritti d’autore. Sinceramente non so
ancora spiegarmi il perché. Conservai quei fogli e li
usai come segnalibro quando Nereo mi consegnò una copia
de "L’ultima curva". Credo che siano ancora lì, ma non
trovo più il libro che sicuramente giace nei cartoni di
un trasloco di vent’anni fa. Prometto che se lo ritrovo
lo pubblicherò su queste pagine. Non ci ho messo tanto a
procurarmi una copia della riedizione del libro, appena
ho saputo tramite i miei contatti Facebook che Nereo
l’aveva data alle stampe rinnovata ed accresciuta di
testi e molte immagini significative. Un’altra occasione
di memoria. In effetti a trent’anni di distanza da quel
fatidico evento, la perseveranza di migliaia di tifosi
juventini che hanno passato e passano il testimone del
ricordo alle generazioni successive, fa sì che i 39
Angeli dell’Heysel siano sempre al nostro fianco.
Nessuna persona è veramente morta se non muore nel cuore
di chi resta, per sempre, e se è un cuore grande come
quello di Nereo e dei tanti, come me, che ne tramandano
la memoria senza stancarsene i Martiri dell’Heysel sono
destinati a rimanere con noi finché ci saremo.
Naturalmente la nuova edizione del libro di Nereo Ferlat
"29-5-1985 "Z" - L’ultima curva" farà la sua parte per
conservare questa memoria. Il libro ha una prefazione
scritta da Beppe Franzo, il quale ha voluto riprendere e
sottolineare la frase "Nessuna persona è veramente morta
se non muore nel cuore di chi resta, sempre" riportata
anche dai tifosi dello Stadium sullo striscione che
hanno dedicato ai 39 morti all’Heysel durante l’ultima
partita di campionato giocata in casa dalla Juventus
contro il Napoli e vinta per 3 a 1. Fra l’altro, nella
nuova edizione, si può leggere la poesia "39 angeli
all’Heysel" di Domenico Laudadio, il gestore del sito
della memoria. Inoltre è presente una scelta di
riproduzioni fotografiche di giornali dell’epoca e le
fotografie di quella triste giornata scattate da Paolo
Gugliotta, fotografo della polizia scientifica di Roma.
Molte buone ragioni per leggerlo e conservarlo.
Fonte:
Losmemoratodicollegno.wordpress.com
© 9 giugno 2015
Fotografia: Novantico Editrice
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Heysel, "io
sopravvissuto a quella maledetta curva Z"
di Fabrizia Argano
La testimonianza a
Tuttosport.com di Nereo Ferlat, che il 29 maggio di 30
anni fa era all’Heysel e ha un messaggio per chi allo
stadio intona cori contro le sue vittime.
TORINO
- Nella vita di Nereo Ferlat c'è una lettera che segna
il prima e il dopo. La Z. Il 29 maggio del 1985, era
nella curva Z dello stadio Heysel di Bruxelles, quella
curva maledetta dove morirono 39 persone, poco prima
della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool.
INDELEBILE -
Sono passati 30 anni, ora è in pensione e le partite
della sua Juve preferisce vederle in tv. Ma il ricordo
di quel giorno resta indelebile: "L'Heysel non è mai
passato. Penso quasi ogni giorno a quello che ho vissuto
in quegli attimi", racconta a Tuttosport.com. Aveva 30
anni quel giorno e tutto l’entusiasmo di chi segue la
sua squadra del cuore in una trasferta all’estero per la
prima volta: "Avevo percepito una situazione di pericolo
entrando allo stadio, si vedeva che i tifosi inglesi
avrebbero potuto accedere facilmente nel nostro
settore".
L’INFERNO -
Ma mai avrebbe immaginato di vivere quello che poi è
successo: "Dopo i primi attacchi, un razzo sparato ad
altezza uomo ha generato il panico e ci siamo ritrovati
in migliaia di persone in pochi metri quadrati. Ero
schiacciato, non riuscivo a respirare e pensavo che
sarei morto. Quando il muretto è crollato, sono stato
sbalzato verso l’alto e mi sono ritrovato in campo. Una
suora dopo alcuni minuti mi ha chiesto come stavo e lì
ho realizzato di essere ancora vivo".
LA PARTITA - Dopo l’inferno, la
partita in un clima irreale, che Ferlat ha visto in uno
stato di incoscienza: "E’ stato giusto giocare per
motivi di ordine pubblico, ma francamente i
festeggiamenti, i cortei, i clacson che sono venuti dopo
non hanno avuto senso".
IL RITORNO - Poi il ritorno a
casa e quegli incubi che non passavano: "Non riuscivo
più a dormire, il pensiero delle vittime pesava come un
macigno, il volto sorridente del signor Gianfranco Sarto
da San Donà di Piave che avevo conosciuto sul pullman e
ora non c’era più continuava a tornarmi in mente".
Ricordi che Ferlat ha deciso di mettere per iscritto,
quasi per esorcizzarli. Ne è nato un libro intitolato
"L’ultima curva", "quella che tifosi come me hanno
potuto calpestare per l’ultima volta per colpa di una
partita di pallone", spiega Ferlat.
LA LEZIONE -
Da quel giorno è cambiato qualcosa nel
calcio ? "E’ stata una lezione per gli inglesi, con
tutte le misure prese per la sicurezza e contro la
violenza - dice - in Italia sembra di no, basta sentire
i cori sulle vittime dell’Heysel e su quelle di Superga
che ciclicamente vengono intonati negli stadi. Quando li
sento, mi vengono i brividi. Restiamo il Paese dei
comuni e delle signorie, invece di tifare per la propria
squadra si tifa contro. Cosa vorrei dire a chi intona
quei cori beceri ? Semplicemente di crescere dentro".
LA RICORRENZA - Ferlat
parteciperà alla cerimonia di commemorazione del 2
giugno a Reggio Emilia: "Il ricordo è doveroso nei
confronti delle vittime e come monito per le future
generazioni, affinché le famiglie possano tornare allo
stadio senza paura e si debelli la violenza. Un tifo
sano non può essere un’utopia, così come l’Heysel non è
stato un incubo ma una realtà a cui cercare di dare un
senso".
Fonte:
Tuttosport.com
© 27 maggio 2015
Fotografia: Associazione Quelli di... Via
Filadelfia
©
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L’Ultima Curva di Nereo Ferlat
di Marco Sanfelici
Per i vecchi chierichetti come
me, il mese di maggio ha sempre rappresentato un momento
di preghiere mariane. Il parroco andava di cortile in
cortile radunando i fedeli nei luoghi di vita
quotidiana. Rituali di secoli fa e memoria perduta nei
meandri della lotta giornaliera per l’affermazione
personale. Per Torino maggio è diventato anche e
purtroppo il mese di ricorrenze tragiche, che hanno
segnato intere generazioni di sportivi e di appassionati
delle squadre cittadine. Se la tragedia di Superga ha
indelebilmente sfregiato la collina attorno alla città e
squarciato il cuore di tanti tifosi granata, l’orrenda
serata dell’Heysel ha gettato intere famiglie nella
disperazione ed un popolo, quello bianconero, nel
ricordo e nella strenua difesa di 39 vittime della
violenza bestiale. Il nostro magazine ha l’onore di
ospitare in redazione un testimone non solo oculare, ma
protagonista in prima persona di ciò che avvenne nella
maledetta curva Z. Si tratta di Nereo Ferlat ed a lui
cedo la parola per dare inizio a questa intervista.
Caro Nereo, ti vuoi presentare per sommi capi ?
"Sono nato a Gorizia nel 1952
e a sei anni sono approdato in Piemonte a seguito dei
miei che avevano in quel di Lucento una Alleanza
Cooperativa Torinese. Promettevo anche come calciatore
ma un giorno di maggio dopo un doppio dribbling mi sono
ritrovato al Maria Vittoria con la gamba in trazione e
con la carriera andata a farsi benedire. A 17 anni sono
rimasto orfano di papà e quindi il sogno di fare il
giornalista l’ho dovuto abbandonare per aiutare mia
mamma dopo la scuola nel negozio. Ho cominciato a
seguire la Juve già nel 1958 con Sivori, Charles e
Boniperti. Ho visto trionfare i bianconeri campioni
d’Italia per 24 volte ! Sono sempre stato un betteghiano
doc e quando quel giorno di febbraio appresi della
malattia rimasi molto ma molto male. Tralasciando
Belgrado ed Atene, per la prima volta andai a seguito
della Juve, quella fatidica sera a Bruxelles… Ah,
dimenticavo ! Sono sposato con Maurizia da 40 anni, ho
una figlia di 37 ed un nipotino di 7 ed un cane di 14,
bianconero pure lui !".
Seppure immagino che dovrai rinvangare in ricordi
drammatici, vuoi darci ragione di alcuni particolari del
come si sono svolte le cose in quella curva ?
"Entrati in quel fatiscente
impianto da un’ unica porticina, tolte le aste delle
bandiere e indirizzati da cerberi con poco cervello, e
vedendo le gradinate, dove tra i ciottoli cresceva
l’erba, ho raggiunto delle persone che avevano viaggiato
con me da Torino ed il mio primo pensiero, buttando
l’occhio verso il settore inglese, diviso solo da una
rete posticcia e da qualche gendarme, è stato quello di
auspicare che tutto si svolgesse nel migliore dei modi
senza nessuna provocazione. Mentre si stava svolgendo un
incontro tra due squadre giovanili belghe, sono entrati
i giocatori del Liverpool e la loro folla li ha accolti
con urla di giubilo. Poi, improvvisamente, un bengala
lanciato ad altezza d’uomo dagli inglesi ha spaventato e
non poco i tifosi presenti, numerose famiglie, gente non
abituata alla guerriglia ed alla lotta, che ha
cominciato a cercare di scappare. Molti non hanno capito
subito il pericolo, nonostante il lancio di petardi e
"sampietrini". Così le orde di inglesi hanno iniziato la
conquista di quel settore e la gente si è accalcata a
migliaia in pochi metri di spazio e tanti sono stati
sopraffatti. Altri si sono tirati giù la rete e sono
morti soffocati. Al crollo del muretto chi non era
caduto è riuscito, schivando le manganellate di chi non
aveva capito che una via di salvezza era quella, ad
arrivare in campo. Cosa che ho fatto anch’io e per
fortuna una crocerossina mi ha dato da bere ed ho potuto
riprendere pian piano le forze".
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A che cosa ti ha
spinto questa agghiacciante esperienza ?
"Arrivato
a casa, la notte non riuscivo a prendere sonno. Rivivevo
lo schiacciamento, i minuti interminabili, le grida
d’aiuto, di rabbia, sul mio corpo e nella mia mente. Era
un martellamento ed un’angoscia pazzesca. Avevo anche
visto molti "struzzi" nascondere o ridimensionare la
portata di quella tragica sera. Così una notte mi sono
messo a buttare giù ciò che avevo vissuto in modo che
non venisse dimenticato questo olocausto. Ho raccolto
testimonianze di chi era in Belgio e di chi aveva
vissuto alla televisione la tragedia. E dopo venti
giorni è uscito il libro che ora viene riproposto per il
trentennale grazie all’interessamento di un amico".
Ci faresti la cortesia
di citare titolo ed editore, oltre al nome dell’autore
della prefazione ?
"L’Ultima Curva, (La tragedia
dello Stadio Heysel), Novantico Editore, prefazione di
Beppe Franzo".
Perfetto ! Illustraci per sommi capi come si
articola la narrazione, senza togliere ben inteso la
curiosità di comprarlo e di leggerlo.
"Prefazione, poesia 39 angeli
all’Heysel di Domenico Laudadio, il gestore del sito
della memoria, presentazione (dalla prima edizione) del
sindaco di allora, Giorgio Cardetti, un pezzo del grande
Giglio Panza e poi, dopo i nomi delle 39 vittime e le
mie considerazioni rapportate ad oggi, il via con i
capitoli "Il massacro", "I soccorsi", "Lo stadio
Heysel", "Il nostro arrivo a Bruxelles, "Il ritorno a
casa", e le testimonianze, con alla fine una carrellata
di giornali di allora e nel mezzo le fotografie di
quella triste sera scattate dal fotografo della polizia
scientifica di Roma, Paolo Gugliotta".
Dove è reperibile "L’ultima curva" ?
"Io ho una trentina di copie,
l’editore l’ha distribuita con i suoi canali: glielo
chiedo e poi sarò meglio in grado di rispondere a questo
quesito".
Quali sono gli insegnamenti che hai tratto
dall’Heysel e quali senti di dover trasmettere ai più
giovani di quella tragica serata ?
"Nel vedere cosa succede negli
stati e zone limitrofe, sembra che nessuno abbia capito
niente. Chi espone striscioni e chi grida offese si
qualifica da solo. Ai giovani mi sento di dire che
bisogna tifare per la propria squadra e non contro !
Quando mi invitano a parlare dico che non bisogna farci
rubare lo sport più bello del mondo e che bisogna essere
degli educatori nei confronti degli altri".
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In
tutti questi anni ti sei fatto un’idea del come possa
essere capitata una tragedia simile ?
"A parte la cervellotica
decisione di far disputare la partita in quello stadio a
pezzi, ho letto, mi sono informato, ho interrogato, sono
ritornato di nuovo là con il comune amico Hervè (Bricca,
N.D.R.), abbiamo visitato e filmato (di nascosto) quella
curva, mi sento di dire che molto va ascritto all’anno
precedente, a Roma-Liverpool, quando gli hooligans sono
stati "impacchettati", scortati e portati allo stadio
senza possibilità di "esibirsi" e chi lo ha fatto, ha
avuto il suo. Così è scattata la ritorsione e chi poteva
render loro pan per focaccia, assisteva al dramma nella
curva opposta !".
Quindi secondo te il dramma dell’Heysel esce dai
connotati juventini per divenire un fatto nazionale ?
"I morti non sono stati tutti juventini, anche belgi, un
interista ed un irlandese. Sarà sempre e solo un dramma
nostro ma forse volevano vendicarsi (questo lo pensano
in molti) e quell’anno, sfortunatamente c’eravamo noi…".
Restano questi dubbi
atroci sospesi a livello delle coscienze del questore di
Roma nell’84, dei tifosi romanisti che hanno riservato
un’accoglienza "speciale" agli inglesi, della U.E.F.A.
che organizzò in uno stadio fatiscente una finale così
importante, della gendarmeria belga assolutamente
inadeguata e di orde più simili ai britanni di cesarea
memoria che di gente civile.
"A proposito della Questura di
Roma, c’è una testimonianza dove è soppesato l’operato a
Roma ed a Bruxelles. Non penso che rimorda la coscienza
a chi ha operato per l’ordine pubblico… Anzi chapeau !
Grazie per la disponibilità accordatami e che non
accadano mai più tragedie come questa !".
E’ con questa speranza, radicata nei cuori di milioni di
tifosi "sani" che caro Nereo ci salutiamo dandoci
appuntamento alla fine del mese per la commemorazione
ufficiale. Grazie per avere privilegiato JUWELCOME come
magazine di riferimento per il tuo libro. A presto.
Fonte:
Juwelcome.com
© 13 maggio 2015
Fotografie: Novamtico Editrice
© Nereo Ferlat
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