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LIBRI e HEYSEL 2010
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Heysel Le verità di una strage... Francesco Caremani 2010
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  INTERVISTE HEYSEL  FRANCESCO CAREMANI
 

Heysel, Francesco Caremani:

"Rabbia per la mancanza di memoria di una strage"

di Alberto Mauro

Francesco Caremani, autore del libro "Heysel: le verità di una strage annunciata" ha parlato in esclusiva ai nostri microfoni. Le sue parole.

Da 35 anni il 29 maggio è una data che fa male, malissimo. Una data che molti vorrebbero dimenticare ma che invece deve essere ricordata per far in modo che non accada più. Il 29 maggio del 1985 39 persone morirono in una delle più grandi tragedie calcistiche. 39 vite spezzate prima del fischio d’inizio della finale di Coppa Campioni allo stadio Heysel tra Juventus e Liverpool. Francesco Caremani, autore del libro "Heysel: le verità di una strage annunciata" è uno di quelli che più si è speso negli anni per ricordare e commemorare le vittime di quella immane tragedia. Queste le sue parole in esclusiva ai microfoni di calcionews24.com.

Alberto Mauro: 35 anni dopo cosa rimane di una delle più grandi tragedie sportive in Italia e nel mondo ?

"Secondo me rimane la figura di Otello Lorentini. Rimane la figura di Otello per il semplice motivo che è lui che decide di fondare l’associazione dei famigliari, è lui che decide di portare i responsabili a processo perché non accettava che l’unico figlio fosse morto per una partita di calcio. Roberto (il figlio NdR), tra l’altro, era un giovane medico volontario con medaglia d’argento al valore civile: morì tentando di salvare un connazionale nella curva Z. Facendo condannare i responsabili portò alla luce tutto. Una delle tante cose che non si ricordano dell’Heysel è che il caso ha fatto giurisprudenza. La Uefa prima prendeva l’81% degli incassi degli stadi ma non era responsabile di quello che poteva succedere. Con quella sentenza si è assunta le proprie responsabilità, se oggi le Coppe europee vengono programmate, organizzate e gestite in un certo modo lo dobbiamo solo ad Otello Lorentini".

Alberto Mauro: Quali sono le conseguenze che ha avuto la tragedia dell’Heysel nel breve e adesso 35 anni dopo ?

"Nel breve la conseguenza più concreta fu l’esclusione delle squadre inglesi dalle coppe europee per alcuni anni. Però, secondo me, noi paghiamo ancora dazio per la mancata memoria. Io ho scritto il libro perché Otello me l’ha chiesto e me l’ha chiesto perché non accettava che questi morti fossero dimenticati. Per lui era come se li avessero uccisi due volte. Questa mancata memoria cosa ci ha portato ? Basta fare due passi indietro: dal 1985 ad oggi cosa è successo negli stadi italiani ? Di tutto, perché ci siamo dimenticati l’Heysel. Quindi la mancata memoria, non solo della Juve, ma anche di Lega e Figc ha portato a quello che vediamo. Quando non si contrasta la violenza verbale e di altro genere poi si arriva alla violenza fisica. Nel 1995 con Vincenzo Spagnolo a Genova c’erano gli ospiti che abbandonavano le trasmissioni e gli studi… Sono storie".

Alberto Mauro: Come anche l’ispettore Raciti o il motorino giù dalla curva…

"La cosa che mi fa arrabbiare è che tutti parlano di Heysel ma nessuno ha mai studiato. Nessuno l’ha voluto capire e si continua a fare retorica".

Alberto Mauro: All’interno del tuo libro quali sono gli episodi che ti hanno colpito di più e ti hanno lasciato di più perplesso ?

"La cosa che mi fa ancora arrabbiare è che bastava pochissimo per evitare quella strage. Io la chiamo strage perché non si tratta di tragedia o fatalità. Innanzitutto il settore Z non esisteva perché c’erano X,Y e Z come M,N e O per gli juventini. Quindi creano il settore Z con una rete da giardino, vendono questi biglietti e lì non dovevano esserci le famiglie italiane, se le metti di fianco agli hooligans deve esserci la polizia. Se vedi che succede quello che succede intervieni prontamente ed eviti la strage. È stato scelto lo stadio sbagliato visto che era in ristrutturazione e gli hooligans hanno potuto armarsi in un cantiere lì vicino. Uno stadio dove c’era già stato un morto. Quello che ho sempre detto è che la UEFA e le istituzioni sportive belga sono stati i mandanti, gli hooligans gli assassini materiali di 39 persone, cioè hanno disorganizzato l’ordine pubblico. Questo è spaventoso. Quello che succedeva ad Heysel poteva succedere a Basilea l’anno prima (Finale Coppa delle Coppe 1984 NdR). Quello stadio era allucinante, ci passava quasi una ferrovia solo che per fortuna non c’era rivalità tra i tifosi. Quelli del Porto erano tranquilli così come quelli della Juve. Questo mi ha impressionato sinceramente, cioè l’idea di andare a vedere una partita come Juventus-Liverpool, che era considerata la finale del secolo, in pratica quasi con la consapevolezza di andare a perdere la vita perché c’erano condizioni inaccettabili per qualsiasi partita di calcio, figuriamoci per una finale di Coppa di campioni. Poi c’è un’altra cosa che mi ha colpito…".

Alberto Mauro: Prego…

"Al di là dei biglietti bagarinati all’interno, del fatto che ci hanno lucrato sopra, mi ha colpito il fatto che delle persone arrivate lì una volta vista la situazione hanno detto: "Ma io mio figlio a farlo ammazzare dagli inglesi non ce lo porto" e clamorosamente trovano biglietti o scambiano il biglietto della curva Z per andare da altre parti. Perché c’erano altri posti oltretutto".

Alberto Mauro: Quindi c’era consapevolezza del pericolo, non si trattava solo di una fatalità… Tu ti sei confrontato con qualche superstite o qualche famigliare di superstite, qual è la cosa che ti ha toccato di più e che ti porti dentro ancora ?

"Io mi porto dietro tante cose. La frase di Carla (NdR: Rosalina) Gonnelli che ha detto: "Quando si dice che il tempo è galantuomo vuol dire che non si è mai passato cose del genere". Perché lei ha perso il marito, l’ha visto partire e poi l’ha rivisto dentro una bara. Dopo tanti anni ha detto che ha un vuoto ancora più profondo. Quindi la tristezza che si aggiunge a tristezza. Questa mancanza di memoria da parte di tutti ha contribuito ad acuire la tristezza. Io conoscevo bene Roberto Lorentini, frequentava casa mia quando avevo 15 anni. Pensa io dovevo andare con loro all’Heysel".

Alberto Mauro: E poi ?

"Avevo fatto una scommessa con mio padre in seconda liceo: avevo latino un po’ barcollante e l’ultimo compito prendo 5 quindi perdo la scommessa e non vado. Ho dei ricordi molto forti di Roberto ed è una storia molto personale. Oppure Giuseppina Conti che proprio da questo punto di vista è il mio contraltare. Anche lei di Arezzo, liceale, pagella bellissima e il padre come premio la porta all’Heysel e lui è tornato con la figlia nella bara. Aveva 17 anni".

Alberto Mauro: Per un 5 in pagella non sei andato lì ma come hai vissuto quella partita sapendo che potevi essere lì e che avevi un amico di famiglia in quello stadio ?

"Io l’ho vista male perché la partita non iniziava e tutti ci chiedevamo perché. Ovviamente a quel tempo non c’erano i cellulari, i social e i mezzi di cui disponiamo ora, c’era una tecnologia abbastanza immobile. Eravamo a casa di un amico e arriva la telefonata di mia madre che mi dice: "Roberto è ferito". Ovviamente non era vero ma non lo sapeva neanche lei in quel momento perché Otello, prima di dire alla moglie che l’unico figlio era morto, ci ha messo un po’ di tempo ma quando mia madre mi chiamò Roberto era già morto. Io sono andato a casa di un altro amico a dormire, ovviamente con il morale a pezzi, mentre ad Arezzo come in altre città si scatenava la festa e i caroselli e questo mi ha ferito molto. Poi la mattina mi sono alzato con la notizia che Roberto era morto e andare a scuola è stato parecchio pesante per me: c’erano i ragazzini che prendevano in giro la Juve e la coppa insanguinata. La cosa brutta è che da ragazzini si è sciocchi e ignoranti per definizione però purtroppo quelle battute sono durate anche in età adulta e lì diciamo che non sto neanche più zitto".

Alberto MauroParlami di questa associazione che hai citato prima…

"L’associazione che ha fondato Andrea Lorentini (nipote di Otello) sta crescendo. Otello muore nel 2014 e Andrea diventa giornalista come me e dirige un settimanale qui in città. Come si fa a difendere i morti e i cari che vengono continuamente offesi ? Ha rifondato l’associazione con tutti i famigliari. È stata un’operazione molto importante per la memoria, con un concetto fondamentale: seminare non fare che questa diventi un feticcio. Cioè non onore ai morti in senso paramilitare. Meglio andare nelle scuole, fare dei convegni, seminare in un Paese dove tutti ti dicono: "ma tanto non cambierà mai niente", noi facciamo guerriglia da questo punto di vista contro un esercito numerosissimo cercando di seminare un po’ di cultura sportiva e insegnare che agli stadi ci si deve andare in altro modo".

Alberto Mauro: Che effetto fa quando vedi degli striscioni canaglia da parte dei tifosi avversari ?

"Soffro tanto. Sofferenza fisica e mi dà molto fastidio, una sofferenza fisica visto che conoscevo Roberto e soffro ancora di più quando vedo offendere Superga piuttosto che Facchetti ecc. In questo voglio fare una riflessione: quelli che offendono i morti dell’Heysel o di Superga o tutti gli altri morti sono gli stessi che oggi chiedono di non giocare per rispetto dei morti e c’è il rischio che quando torneranno negli stadi torneranno a offendersi ognuno i morti dell’altro. Ci vorrebbe un pochino in più di coerenza, onestà intellettuale e memoria. Senza memoria condivisa dell’Heysel, guarda caso, si fa più fatica spiegare queste cose". Fonte: Calcionews24.com © 29 maggio 2020 Fotografie: Bradipolibri © Francesco Caremani © GETTY IMAGES © (Not for Commercial Use) Icona: Itcleanpng.com ©

 

Heysel 1985, la strage annunciata

di Giovanni Zambito

Fattitaliani intervista Francesco Caremani: "Heysel, una strage: Uefa e Belgio i mandanti e gli hooligans gli assassini".

La strage dell'Heysel fu una tragedia accaduta il 29 maggio 1985, poco prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles nel settore Z, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e oltre 600 rimasero ferite. Tante le cose che sono state dette e contraddette nel corso degli anni e a distanza di più di trent'anni la verità dai più non è conosciuta. Il giornalista Francesco Caremani ha pubblicato il volume "Heysel, le verità di una strage annunciata" (Bradipolibri nella collana Arcadinoè, pagg. 248, €15). Di recente, l'autore ne ha parlato ad Arezzo davanti a studenti del liceo Francesco Redi, della scuola europea 3 di Bruxelles e del liceo Primo Levi di Torino nell'ambito del progetto "Un pallone per la memoria". Fattitaliani lo ha intervistato.

Giovanni Zambito: Sintetizzare è complesso, ma quali sono "le verità" che hanno reso "annunciata" la strage dell’Heysel ?

"L’Uefa che insieme alle autorità, sportive e politiche, belghe ha scelto uno stadio fatiscente e inappropriato per la finale di Coppa dei Campioni. L’ordine pubblico completamente disorganizzato da parte del Belgio e l’inadeguatezza del numero di poliziotti all’interno dello stadio. L’aver diviso il settore Z da quelli X e Y per vendere più biglietti e quindi mettere le famiglie dei tifosi italiani vicino agli hooligans del Liverpool".

Giovanni Zambito: Quali sono state, invece, le bugie più clamorose ?

"Quella più clamorosa è scritta nelle autopsie (fasulle), dove si certificava che 39 persone erano morte tutte accidentalmente intorno alla mezzanotte, quando verso le 20 erano già decedute. Che i calciatori non sapevano dei morti invece ne erano a conoscenza. Infine che è stata una tragedia, l’Heysel è stata una strage, con mandanti (Uefa e Belgio) e assassini (hooligans)".

Giovanni Zambito: C’è qualcuno che ha pagato per quello che è successo ?

"Alcuni hooligans del Liverpool, il capitano della polizia belga responsabile della sicurezza allo stadio, ma soprattutto l’Uefa, condannata in appello e Cassazione".

Giovanni Zambito: Quali provvedimenti sono stati presi allora ? Sono ancora in vigore ?

"La condanna dell’Uefa è storica, ha fatto giurisprudenza, rendendola per sempre corresponsabile delle manifestazioni che organizza. Per quanto riguarda la sicurezza negli impianti sportivi i provvedimenti più importanti sono stati presi alcuni anni dopo, soprattutto in Inghilterra".

Giovanni Zambito: Perché ha deciso di scrivere il libro ?

"Perché me l’ha chiesto Otello Lorentini, che all’Heysel ha perso l’unico figlio Roberto, medico, medaglia d’argento al valore civile per essere morto tentando di salvare un connazionale, poi presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime che, da solo contro tutti, ha fatto condannare l’Uefa".

Giovanni Zambito: Ci sono state in passato altre inchieste simili sull’argomento ?

"Prima della mia no, anche perché si voleva silenziare i familiari delle vittime. Dopo la mia, che è stata la prima al mondo, tante".

Giovanni Zambito: Come si è mosso nella ricerca delle fonti ? Con chi ha parlato ?

"Be’ la voce narrante del mio libro è Otello Lorentini, prima presidente poi memoria storica dell’Associazione tra i familiari, aveva conservato tutto: documenti, trasmissioni televisive, articoli dell’epoca, tutto. Lui e i suoi documenti sono stati le mie fonti".

Giovanni Zambito: Conosceva personalmente alcune vittime o i loro familiari ?

"Roberto Lorentini era un amico di famiglia e collega di mio padre, una grande perdita per tutta la nostra comunità. Era una persona straordinaria".

Giovanni Zambito: In tutto questo che figura ci fanno il Belgio, la Juve e il Liverpool ?

"Il Belgio pessima perché era colpevole e non ha pagato, perché non ha mai ricordato quella strage e perché ancora oggi cerca di cancellarne i luoghi. Juventus e Liverpool hanno avuto comportamenti sbagliati dei quali non vanno fieri nemmeno oggi, per questo rifuggono scioccamente la memoria e le verità processuali di quello che è accaduto. Più grave alla fine il comportamento della società inglese che non ammette, dopo trentuno anni, le gravi responsabilità dei propri hooligans".

Giovanni Zambito: Se ci fosse stato internet a suo tempo, sarebbe cambiato molto ?

"Tutto, dall’informazione alla comunicazione, alla partita, al peggio che si può immaginare".

Giovanni Zambito: Quando parla dell’argomento raccontando come sono andati i fatti, quale reazione è la più comune fra il pubblico ?

"All’inizio diffidenza e incredulità, poi rabbia, emozione, commozione e infine consapevolezza". Fonte: Fattitaliani.it © 6 ottobre 2016 Fotografie: Francesco Caremani © Uefa.com © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Il manifesto Heysel, la verità di una strage annunciata

di Luca Manes

Heysel 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, morirono 39 tifosi bianconeri. Morirono nel settore Z, schiacciati e soffocati dalla calca, sotto i colpi degli hooligans inglesi con l’evidente connivenza delle autorità e della polizia belghe, incapaci di prevedere e d’intervenire. In "Heysel, le verità di una strage annunciata", Francesco Caremani, giornalista e juventino, ricostruisce quanto accaduto in quelle drammatiche ore di 30 anni fa, ma soprattutto quanto accadde dopo, nei lunghi anni del processo che ha portato alla condanna di una dozzina circa di hooligans del Liverpool, per pene dai 4 ai 5 anni di reclusione. Anche l’Uefa è stata dichiarata colpevole e obbligata a pagare i risarcimenti (da un minimo di 14 a un massimo di 400 milioni di vecchie lire) in quanto ritenuta responsabile per aver fatto giocare una partita così importante come l’atto conclusivo della Coppa dei Campioni in un impianto fatiscente, dove la gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza da parte delle autorità locali fu, come accennato, del tutto deficitaria e inadeguata. Edito nel 2003 dalla casa editrice Bradipolibri, nelle ultime settimane è stato riproposto in libreria e ne è stata prodotta una versione in inglese. È l’unica opera ufficialmente riconosciuta dai parenti delle vittime dell’Heysel, cosa di cui Francesco Caremani va giustamente fiero, come ci ha ribadito di persona nel corso dell’intervista che ci ha concesso.

LUCA MANES: Qual è il tuo ricordo personale di quel giorno ?

"Avevo 15 anni e in realtà sarei dovuto essere anche io all’Heysel a incitare Platini e compagni. Non ci andai solo perché avevo un’insufficienza in latino e i miei non mi diedero il permesso. Così vidi la partita a casa di un mio amico. Lì l’anno prima avevamo visto la finale di Coppa delle Coppe che la Juve vinse con il Porto e quindi ci sembrava giusto non cambiare "sede". Dell’incontro non ricordo assolutamente nulla, sebbene l’abbia visto. Rammento solo perfettamente che mia madre mi chiamò per dirmi che Roberto Lorentini, un nostro amico di famiglia, era ferito. In realtà era una bugia, perché il padre Otello, che era con lui, sapeva già della morte del figlio. Quando tornai a casa vidi delle persone che festeggiavano nel centro di Arezzo, la mia città. Ci rimasi molto male. Poi la mattina abbiamo scoperto la terribile verità sulla sorte del nostro amico. Roberto Lorentini era un medico e, nonostante si fosse salvato dopo la prima carica degli inglesi, ritornò indietro per soccorrere un bambino ferito, secondo alcune testimonianze Andrea Casula, la vittima più giovane di quella tragedia (aveva solo 11 anni, NdR). Morì travolto da una seconda carica degli hooligans mentre era chinato a praticargli la respirazione artificiale".

LUCA MANES: Ci racconti un po’ la genesi del libro ?

"In realtà non avevo mai pensato di scrivere un libro sull’Heysel, sebbene conoscessi molto bene come ti ho detto Otello Lorentini, che poi è diventato il presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime. Fu proprio lui a chiedermi di farlo. Fui colpito dalla luce nei suoi occhi, dalla sua voglia che si facesse finalmente chiarezza su come i familiari dei 39 tifosi morti quel maledetto 29 maggio fossero stati lasciati soli, dimenticati e soprattutto messi a tacere. Tanto per farti capire che cosa intendo, Otello in quegli anni è stato intervistato più dalle televisioni straniere che da quelle italiane, soprattutto nel decimo e nel ventesimo anniversario. Eppure lui è stato un testimone diretto di quanto accaduto nel settore Z e di quello che si è verificato dopo, in particolare durante il processo. Per questo io dico sempre che il mio è un libro di parte, la parte giusta".

LUCA MANES: Perché dici che i parenti delle vittime sono stati messi a tacere ?

"Perché era meglio non parlare di Heysel, era un argomento scomodo. La polemica tra il direttore della Gazzetta dello Sport, il compianto Candido Cannavò, e il presidente della Juventus sull’opportunità di restituire o meno la Coppa è esemplificativa. Per Boniperti quella coppa doveva rimanere nella bacheca del club. La posizione della Juve era che i giocatori non sapevano nulla di quanto accaduto nel settore Z prima di entrare in campo, eppure prima Stefano Tacconi nel 1995 e poi Paolo Rossi nel 2004 hanno fatto dichiarazioni che vanno in direzione contraria. Con l’avvento di Andrea Agnelli la società bianconera ha iniziato a fare qualcosa per ricordare l’Heysel. C’è una sezione sulla tragedia nel museo dello Stadium e nel 2010 è stata celebrata una messa in ricordo delle vittime. Anche il prossimo 29 maggio ci sarà una messa, ma credo che si dovrebbe fare molto di più".

LUCA MANES: Eppure le colpe di quanto accaduto non sono certo della Juventus…

"Esatto, sono degli hooligans del Liverpool, delle autorità e della polizia belga e, non dimentichiamolo, dell’UEFA, come dimostrano le sentenze emesse dal tribunale di Bruxelles".

LUCA MANES: Chi ti ha aiutato di più a scrivere il libro ?

"Otello, che purtroppo dall’anno scorso non c’è più, è stato senza dubbio di un’importanza fondamentale, era il mio Omero che mi ha trascinato all’interno di quel dramma. Ma non vorrei dimenticare Daniel Vedovatto, avvocato italo belga e all’epoca consulente dell’ambasciata italiana a Bruxelles, che nella causa si è battuto contro principi del foro assoldati dal governo belga, dall’Uefa e dagli hooligans inglesi e che mi ha dato una grossa mano per redigere l’appendice del libro dedicata agli atti processuali. Vedovatto è convinto che, visti i mezzi a disposizione all’epoca e nonostante precedenti giurisprudenziali non favorevoli, giustizia sia stata".

LUCA MANES: Che cosa stai facendo in queste settimane che precedono l’anniversario ?

"Molte presentazioni del libro un po’ in tutta Italia; in particolare, nella settimana dell’anniversario, in varie località del Piemonte ne ho anche 3 – 4 al giorno ! Nelle scuole superiori incontro ragazzi che nel 1985 non erano nemmeno nati. È importante spiegare loro che cosa ha voluto dire quella tragedia e anche che cosa voglia dire andare allo stadio, vivere il momento della partita nella maniera più giusta e corretta possibile. Questa esperienza mi sta arricchendo molto e sono molto rincuorato dalla reazione dei ragazzi. In una scuola di Bologna hanno apprezzato così tanto l’incontro che mi hanno chiesto di tornare nel giro di un mese".

LUCA MANES: Come vivono il ricordo i tifosi della Juve ?

"In maniera non del tutto omogenea. Tanti ultrà criticano il gesto di aver alzato la coppa. C’è un gruppo che si chiama Nucleo1985 proprio in memoria dell’Heysel. Però altri la pensano in maniera differente e purtroppo spesso ci sono polemiche che io ritengo a dir poco sterili, come quando la rinata Associazione dei parenti delle vittime ha chiesto di ritirare (simbolicamente) la maglia numero 39 della Nazionale e tanti juventini hanno criticato questa iniziativa".

LUCA MANES: Quale lezione ha tratto il mondo del calcio in generale e il calcio italiano in particolare dalla tragedia dell’Heysel ?

"Il calcio italiano non ha imparato nulla. Nei nostri stadi si è continuato a morire e nemmeno le norme emergenziali hanno risolto un granché. La mancata memoria di quell’evento così luttuoso è la cartina di tornasole di un movimento malato, dove non c’è cultura sportiva, tutto è subordinato alle vittorie e le società continuano a essere ricattate dalla parte negativa del mondo ultrà, i "fucking idiot" per intendersi. Nonostante la richiesta di una memoria condivisa da parte dei parenti, in un’Italia spaccata tra antijuventini e juventini i cori a dileggio dei morti dell’Heysel ci sono sempre stati. Ci hanno messo 29 anni prima di sanzionare gli ultrà della Fiorentina che li facevano (cioè la società, NdR), tanto per farti un esempio".

LUCA MANES: Invece in Inghilterra le cose sono cambiate…

"Sì, è vero, ma non dopo l’Heysel. C’è voluta un’altra tragedia, quella dell’Hillsborough, quando 96 tifosi del Liverpool morirono schiacciati in una curva dello stadio dello Sheffield Wednesday, per far sì che anche loro imparassero la lezione". Fonte: Il Manifesto © 23 maggio 2015 Fotografie: Il Manifesto © Francesco Caremani © Icona: Itcleanpng.com ©

 

29 anni fa, l'Heysel

"Rispetto per la memoria e una nuova cultura sportiva"

di Federico Casotti

Goal Italia ha intervistato Francesco Caremani, giornalista e scrittore tra i più attivi nel ricordo delle 39 persone morte 29 anni fa all'Heysel prima di Juventus-Liverpool.

Da 29 anni, il 29 maggio è una data che fa male, una data che deve essere ricordata. Il 29 maggio 1985 39 persone morirono allo stadio Heysel di Bruxelles poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Da allora molto si è detto e scritto, a volte a sproposito e spesso perdendo di vista l’unica cosa che conta: il mantenimento della memoria e della verità, nel rispetto delle vittime e dei loro famigliari. Una delle persone che più si è spesa in questo senso è Francesco Caremani, giornalista aretino, per sua stessa definizione "Juventino ma non tifoso", riconoscendo alla parola "tifoso" un’accezione negativa purtroppo rinsaldata dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Il suo libro "Heysel: una strage annunciata" è uno dei più efficaci memoriali su ciò che accadde quella sera. Per questo, in occasione del 29 maggio, noi di Goal Italia lo abbiamo intervistato.

Federico Casotti: La storia di Caremani è legata a doppio filo a quella notte, che non lo vide spettatore diretto solo per un fortuito caso della vita...

"Dovevo andare anch’io a Bruxelles insieme a Roberto Lorentini, amico di famiglia, ma presi un brutto voto in latino, e per punizione per il sicuro esame a settembre i miei genitori non mi lasciarono partire".

Federico Casotti: Nel libro di Caremani, uscito nel 2003, la Juventus - intesa come dirigenza - non ne esce bene.

"La cosa che imputo maggiormente alla società è di aver ostentato troppo quella Coppa. Boniperti ne era ossessionato, soprattutto dopo Atene, e la dirigenza anche negli anni successivi si è dimostrata assente al fianco dei familiari delle vittime, soprattutto durante gli anni del processo".

Federico Casotti: Fortunatamente, negli ultimi anni si sta assistendo a un’inversione di tendenza.

"Andrea Agnelli ha fatto in pochi anni più di tutti i suoi predecessori messi assieme. La Santa Messa in memoria delle vittime del 2010 fu un primo, significativo passo, così come lo spazio dedicato al Museo all’interno dello Juventus Stadium, o la presenza della società all’inaugurazione del monumento in memoria a Reggio Emilia, fino alla delegazione inviata recentemente al funerale di Otello Lorentini, una delle persone che più si è spesa per la conservazione della memoria".

Federico Casotti: Già, la memoria. Caremani si scaglia con convinzione contro la logica amico-nemico che l’ha macchiata in tutti questi anni, sottolineando tanti aspetti nascosti o peggio ancora ignorati...

"Otello Lorentini era un tifoso della Fiorentina, e ha speso il resto della sua vita a non disperdere la memoria di suo figlio Roberto e delle altre vittime. In pochi lo sanno, ma tra i 39 c’erano anche tre tifosi interisti, che erano all’Heysel semplicemente perché amavano il calcio e volevano vedersi dal vivo la finale di Coppa dei Campioni".

Federico Casotti: Va detto che le iniziative anche in tempi recenti non sono mancate, in contrapposizione all’inciviltà vista troppo spesso sulle tribune...

"Abbiamo organizzato una mostra congiunta Superga-Heysel presso il museo del Grande Torino, volendo gettare un seme di cultura sportiva: un invito recepito da tante persone, comunque più di quelle invece (e inspiegabilmente) contrarie. Un segnale di vicinanza è arrivato anche dalla Banda Bagaj, gruppo "atipico" di tifosi interisti, che ha esposto uno striscione in segno di rispetto per le vittime di entrambe le tragedie".

Federico Casotti: Ma allora, a distanza di quasi 30 anni, come inquadrare storicamente quella serata ?

"Lasciando perdere le critiche pelose degli anti-juventini, ritengo che ognuno debba pensarla come vuole. Io credo che quella Coppa sia in qualche modo fittizia, ma ad esempio i familiari di Giuseppina Conti, che quando morì all’Heysel aveva 17 anni, la pensano all’opposto e io non me la sento di criticarli. A posteriori, va detto che far giocare la partita fu necessario per ragioni di sicurezza, e che una volta in campo, le due squadre giocarono per davvero, con il Liverpool che, se avesse vinto, avrebbe tranquillamente festeggiato. D’altra parte è ormai assodato, dalle parole di Tacconi e Rossi, che i giocatori della Juventus fossero perfettamente al corrente delle dimensioni della tragedia prima di scendere in campo".

Federico Casotti: Tra un anno ricorrerà il 30° dell’Heysel. Per Caremani…

"E’ necessario creare un luogo che sia insieme catartico e di incontro e memoria per tutti i tifosi, non solo bianconeri. Serve un luogo fisico dove riunirsi e pregare, ma servono anche provvedimenti seri per la difesa della memoria: trovo scandaloso che non sia mai stato preso un singolo provvedimento contro chi inneggia all’Heysel. I comitati dei famigliari delle vittime dell'Heysel faranno sentire la loro voce contro chi infangherà questa e le altre tragedie del calcio italiano. Con l’auspicio che nel frattempo possa finalmente attecchire anche da noi una nuova cultura sportiva". Fonte: Goal.com © 29 maggio 2014 Fotografia: Francesco Caremani © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Intervista a Francesco Caremani

di Benedetto Croce

Fra le persone meravigliose che posso annoverare fra le mie amicizie un posto speciale spetta sicuramente a Giulia Iuliana Bodnari, per me semplicemente Giulia. Ci siamo conosciuti grazie alla nostra passione per la Juventus e ne è nata un’intesa e una stima reciproca veramente notevole. E' cosi che un giorno in previsione della commemorazione annuale delle vittime dell'Heysel, che quest'anno si terra il 1 Giugno, Giulia mi ha chiesto testuale: "Ale tu che scrivi così bene scrivi qualcosa per me per la commemorazione". Ho preso subito alla lettera "l'ordine" di Giulia. Potevo scrivere sicuramente dei ricordi di bambino di quel brutto giorno. Avevo 12 anni ed ero davanti alla tv con mio fratello e mio papà. Ricordo tutto. Un giorno forse racconterò anche questa storia. Questa volta, per Giulia ho deciso invece di realizzare questa intervista. Di lasciare la parola a chi sicuramente sull'Heysel è più informato di me e ha cose più interessanti da far conoscere al pubblico. Questa intervista è per Giulia e suo marito Rossano, per Carla e Giancarlo, per Mimmo che se vorrà metterla nel suo museo ne sarò onorato. (Alessandro Magno)

Benedetto Croce: Francesco Caremani giornalista, scrittore, noto tifoso juventino, conosciuto al pubblico soprattutto per il suo impegno: la ricerca della verità sulla triste vicenda dell’Heysel. Ciao Francesco cercherò di farti delle domande diverse dalle consuete, intanto ti ho presentato bene ?

"Noto tifoso juventino ? Non direi, per vari motivi (e non per colpa mia). Il primo e più semplice è che da ragazzo tifavo Juventus, nel senso più appassionato del termine, ma oggi non mi riconosco affatto nella parola "tifoso" dietro la quale si nascondono in troppi dopo aver detto e fatto le peggio cose. Il secondo, banale, è che sono un giornalista, ho fatto tanta fatica per diventarlo e secondo me un giornalista tifoso non è un buon giornalista; un giornalista deve essere credibile piuttosto che tifoso e le due cose spesso (nel calcio italiano) sono l’una contraria dell’altra. Il terzo risale a qualche tempo fa, dopo una bellissima presentazione del libro sull’Heysel a Mantova con Bruno Pizzul su Facebook arriva un commento che augura la morte all’ex telecronista Rai accusato di essere antijuventino, cosa per me inaccettabile, così controbatto in maniera forte e decisa, la risposta ? Guai a me se mi consideravo juventino (e non era la prima volta). Oggi c’è tanta voglia di rilasciare patenti, di mettere le persone in un contenitore (forse perché chi ha un pensiero indipendente, non catalogabile, crea diffidenza, paura, panico, crisi d’ansia, come una figurina fuori posto, ma per fortuna siamo uomini), con me o contro di me. Ho 43 anni e "vengo" da un altro calcio, un calcio in cui gli avversari si ammiravano, dove s’imparavano ad amare quando vestivano tutti insieme la maglia della Nazionale, l’odio verso la quale per me è pura blasfemia, quindi puoi ben capire quanto le ragioni (se di ragione si tratta) del tifo siano lontane dal mio modo di pensare, intendere e raccontare il calcio, lo sport più in generale. Se penso a me come tifoso penso a me come tifoso della Nazionale. Però, c’è un però, c’è stato un momento in cui molti giornalisti che fino al momento prima avevano beatificato la Juventus le si sono rivoltati contro per mera sopravvivenza (gli stessi che adesso le si stanno riavvicinando), per contingenza e puro calcolo personale. Ecco, quando non conveniva non ho nascosto la mia passione giovanile e la squadra per cui facevo il tifo (che poi ti resta attaccata addosso per sempre), sono fatto così, sono un giornalista nel bene e nel male, quello che conviene lo lascio agli altri, tifosi compresi, come dimostra il libro sull’Heysel: se una cosa è accaduta, quindi vera, lo è a prescindere dai colori sociali. A pensarci bene sono anch’io un ultrà: del giornalismo e delle cose in cui credo, come il fair play, per esempio. Poi siamo in democrazia e ognuno può affibbiarmi le patenti che vuole, questo non cambierà quello che sono, tanto meno le mie idee. Ovviamente grazie per il "noto", troppo buono".

Benedetto Croce: Sinceramente, ti spiace essere conosciuto più che altro per i tuoi scritti sull’Heysel, dato che è una vicenda triste e in fondo hai scritto tanti altri libri, o è un qualcosa che non ti pesa affatto ?

"Il mio nome è legato indissolubilmente all’Heysel (grazie a Otello Lorentini, già presidente dell’Associazione fra le famiglie delle vittime di Bruxelles, voce narrante del libro) e in un Paese dove si cerca di dimenticare, soprattutto le tragedie con precise responsabilità, capisci quanto abbia pesato e pesi dal punto di vista professionale. A me non interessano le mode (complimenti a chi sa cavalcarle; oggi, per esempio, va a ruba il giornalista schierato) a me interessa fare le cose giuste e l’Heysel lo è stata. Questa domanda mi ha fatto molto piacere perché quando uno fa il giornalista sportivo si occupa di tanti argomenti diversi, è un cammino con tante tappe, alcune più corte altre più lunghe, alcune sono delle semplici gare in linea, altre parte di un tour, alcuni di questi hanno una conclusione, altri no, ci accompagnano nel nostro cammino professionale. Se c’è una cosa che amo del mio lavoro sono le persone, quelle che racconti, quelle che incontri per caso, ognuna ti resta attaccata addosso in maniera diversa, come nella vita di tutti i giorni. Otello Lorentini è una di queste, una di quelle persone che porterò sempre con me, perché mi ha insegnato tante cose, come la dignità, la voglia di giustizia e verità, l’amore incondizionato per i figli (lui al suo, morto all’Heysel, ha dedicato tutta una vita), l’umiltà e l’orgoglio di chi ha tutto da perdere e scende ugualmente sul campo di battaglia con le poche certezze che possiede: se lo dovrebbero ricordare soprattutto quelli (troppi) che parlano (troppo spesso) a vanvera di ciò che è accaduto il 29 maggio 1985 e dopo. Io ho scritto altri libri, alcuni più belli dal punto di vista squisitamente narrativo, ma per tutti i motivi che ho elencato quello sull’Heysel resta il più importante".

Benedetto Croce: A distanza di molti anni per chi vuole cercare e informarsi c’è direi abbastanza materiale, ritieni sia stato scritto tutto sull’argomento, c’è ancora qualche zona d’ombra ?

"Io ritengo che sull’Heysel sia stato scritto tutto, per chi vuole sapere e per chi vuole informarsi decentemente, ma non solo grazie a me, anzi credo sia opportuno citare altri autori, quattro in particolare: Nereo Ferlat, Jean-Philippe Leclaire, Domenico Laudadio e Riccardo Gambelli. In verità, una zona d’ombra è rimasta, difficile da illuminare dopo tanti anni. Il settore Z era destinato a un pubblico neutrale o a chi accaparrava per primo i biglietti ? Vista la divisione dello stadio è facile pensare alla prima ipotesi e allora cos’è accaduto ? Da qui il secondo quesito: chi ha spacciato in Italia i tagliandi della curva Z ? Quanto ci ha guadagnato ? Poi basta leggere i racconti di chi per avere un biglietto all’ultimo minuto si è ritrovato nella famigerata curva, chi invece è riuscito a cambiarlo perché non voleva portare il figlio in quel posto così vicino agli inglesi e così via. Dopo quasi 28 anni capisco che può sembrare come discutere del sesso degli angeli, ma alla fine è iniziato tutto da lì, nonostante nello stadio ci fossero altri posti disponibili, come dimostrato da chi è riuscito a scappare dopo la tragedia".

Benedetto Croce: Un fatto che mi ha sempre incuriosito e credo nessuno ti abbia mai chiesto se non io privatamente. Chi è quell’uomo sulla copertina di: "Heysel, le verità di una strage annunciata". Cosa sta facendo e se ti è mai venuto in mente di cercarlo o se lui si è mai riconosciuto in quella foto ?

"La foto è di Salvatore Giglio, come tutte le altre nel libro, ed è storica: chi non ricorda la copertina del Guerin Sportivo diretto da Italo Cucci col titolo "Olocausto", a me ne hanno regalata una copia e quando con Bradipolibri abbiamo ripubblicato il libro nel 2010 l’abbiamo scelta per la copertina, anche se meno cruda dell’originale. L’uomo disperato esprime tutta la follia dell’Heysel: morire per assistere a una partita di calcio, inaccettabile, ieri come oggi. Una foto che racconta tutto prim’ancora di leggere il testo. L’uomo con lo sguardo rivolto al cielo e che, presumibilmente, si chiede perché, com’è potuto accadere, tiene la testa di un altro tifoso sulle ginocchia, in mezzo alla calca e ai soccorsi. Non so se si sia mai fatto vivo con Giglio o il Guerin Sportivo e senza le fonti è stato impossibile sapere chi fosse".

Benedetto Croce: Il tuo libro che sopra abbiamo citato è stato definito "La Bibbia sull’Heysel", vorrei sapere se sai chi ha coniato questa definizione, se ti lusinga come credo di sì e perché è considerato tale ?

"È stata Emanuela Casula, che a Bruxelles ha perso il padre, Giovanni, e il fratello, Andrea, la vittima più piccola. Nel 2005 Sky produsse un documentario sui vent’anni dell’Heysel e in quell’occasione, dopo essere stati ad Arezzo dalla famiglia Lorentini e da me, riuscirono a contattare Emanuela che viveva vicino Roma. Parlando col giornalista di Sky lei pronunciò quelle parole riferite al mio libro, il collega fu poi così corretto da riportarmele. Per me valgono più di qualsiasi recensione o classifica di vendite, sono la consapevolezza che ho fatto la cosa giusta e che l’ho fatta nel migliore dei modi, da giornalista, appassionato, arrabbiato, di parte (come spiega bene Roberto Beccantini nell’introduzione), e da uomo. Con Emanuela ci siamo sentiti più avanti, sono rimasto molto colpito dalla sua lucidità e dall’elaborazione di quella tragedia, da come era rimasta sorpresa dalle scuse di Marco Tardelli che da Giovanni Minoli vedeva per la prima volta certe immagini. Senza dimenticare che Otello Lorentini, il quale in curva Z ha perso l’unico figlio Roberto (medaglia d’argento al valore civile per essere morto tentando di salvare un connazionale, forse lo stesso Andrea), già presidente dell’Associazione fra le famiglie delle vittime di Bruxelles, quando abbiamo dato il ‘visto si stampi’ mi ha detto: "Ecco, questa è la verità". Troppo spesso ci si dimentica, infatti, che i familiari delle vittime sono stati "silenziati" per diciotto lunghi anni e che il mio libro, volenti o nolenti, è stato il primo ad aprire uno squarcio sul velo di omertà che ha sempre coperto la tragedia dell’Heysel, mi sono chiesto spesso cos’abbia fermato penne ben più importanti e famose della mia, chissà. Il loro riconoscimento per me è la cosa più importante, anche se per onestà intellettuale devo dire che c’è chi, tra i familiari, mi ha rimproverato per essere stato troppo crudo e diretto nel racconto".

Benedetto Croce: Hai letto altre cose sull’Heysel se puoi dirmi un altro libro che mi consiglieresti e consiglieresti ai nostri lettori ?

"L’ultima curva" di Nereo Ferlat, "Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare" di Jean-Philippe Leclaire e "Coriandoli bianconeri" di Riccardo Gambelli; poi consiglio la lettura del sito di Domenico Laudadio saladellamemoriaheysel.it".

BENedetto Croce: Ogni tanto noto che hai degli scontri verbali, specie su Facebook, con degli ultras, soprattutto juventini. Il tuo rapporto con loro mi pare sia stato sempre molto severo nei loro confronti, nonostante molti ultras bianconeri oggi hanno mitizzato questa cosa dell’Heysel, non hai fatto mai loro nessuno sconto. Mi spieghi perché ?

"Be’ quando si parla di Heysel io non faccio sconti a nessuno, nemmeno a me, e poi dipende sempre dall’approccio e dall’educazione. In troppi, in generale, pensano che sui social o per mail si possa aggredire senza pagare dazio, per giunta con tanta, troppa, disinformazione alle spalle. Ma la cosa che più mi dà fastidio sono coloro che parlano della tragedia di Bruxelles bypassando i familiari delle vittime, come se non contassero, come se non dovessero dire la loro, come se non fossero il fulcro di tutto: dove ci sono i morti, c’è un dolore enorme che il tempo ha acuito, lì ci sono famiglie e familiari che meritano memoria e rispetto, se non altro per l’enorme dignità dimostrata in tutti questi anni, soprattutto verso chi ha cercato di dimenticarli. Hai detto bene "hanno mitizzato", innalzato, messo su un piedistallo senza però farci i conti veramente, perché è dura, perché è difficile, perché significherebbe fare i conti fino in fondo anche con la storia della Juventus e con una coppa che per me non ha alcun valore sportivo. Dopo di che, per correttezza, devo sottolineare come ci siano familiari che la pensano nello stesso modo e altri che invece considerano quella coppa un trofeo da tenere nello scranno più alto della bacheca, questa libertà di pensiero loro se la sono conquistata col sangue quindi merita il massimo rispetto, gli altri no. Comunque, è vero, i problemi più grandi li ho incontrati con i tifosi juventini, da una parte dimostrando quanto non sia per niente banale o capziosa la mia prima risposta, dall’altra, però, andrebbe chiesto a loro il perché. Un morto non è un vessillo, una sciarpa, un trofeo, non si può sbandierare, si può solo rispettare, se ne siamo capaci, come Claudio "Il Rosso" che porta allo stadio il solito striscione in onore dei 39 morti. Anche lui è un ultrà, anche lui è un tifoso della Juventus, ne difende i colori, la memoria, così come quella della curva che ha vissuto in pieno, eppure ci siamo sempre confrontati con grande civiltà, stima e rispetto. Allora la domanda la faccio io agli altri, perché ?".

Benedetto Croce: In passato mi sono occupato anche io di questo argomento, sono amico di Carla Gonnelli che ha perso suo papà e che ha rischiato lei stessa di perdere la vita all'Heysel, e sono amico di Giulia Bodnari che con suo marito Rossano si occupano del monumento ai caduti dell’Heysel di Reggio Emilia. Occupandomi di questo argomento ho trovato spesso che le stesse famiglie delle vittime forse con un grande senso di pudore e di dignità hanno rinunciato forse un poco troppo a raccontare le loro storie. Non so se tu hai questa sensazione ? È forse accaduto che il dolore le ha fatte chiudere esageratamente a riccio. Perché è avvenuto questo ?

"Giulia in questi ultimi anni sta facendo un lavoro enorme che non potrò mai smettere di ammirare e ringraziare. In merito ai familiari delle vittime credo di aver già risposto approfonditamente sui tanti perché. Alla fine mi rendo conto della fortuna che ho avuto con Otello Lorentini, lui che aveva assistito a tutte le udienze del processo in vece delle altre famiglie, lui che aveva conservato tutto il materiale di quegli anni, ha permesso di addentrarmi in quella tragedia dalla porta principale senza dover disturbare (troppo) il dolore degli altri familiari, non sarebbe stato facile, non sarebbe stata la stessa cosa, al contempo ho rischiato molto, sia da uomo che da giornalista, ma Otello è una persona speciale. Ci sono mogli che non hanno più rivisto il marito e mi hanno detto che dopo 28 anni il vuoto è ancora più profondo, un gorgo impossibile da colmare, ecco basterebbe questo, basterebbero le vite stravolte di tante persone per capire che l’Heysel è innanzi tutto la loro storia e solo in un secondo momento lo è anche della Juventus. Poteva essere diverso, invece... Ergo, senza rispetto di modi e parole meglio tacere, tanto nessuno potrà mai cambiare la storia di quella tragedia e le sue verità".

Benedetto Croce: Con enorme mia sorpresa il tuo libro anche a distanza di tantissimi anni dall’accaduto è uno dei libri ancora più venduti, perché questa necessità della gente di leggere di questo argomento ?

"Non ho una spiegazione precisa, voglio solo sperare che il mio libro piaccia e che ci sia la volontà di saperne di più su una tragedia troppo spesso e troppo in fretta dimenticata. Più venduto, però, non vuol dire automaticamente più successo, per tutto ciò che ci siamo detti fino ad ora affermerei che così aumentano i miei estimatori ma anche i miei detrattori (permettimi la battuta)".

Benedetto Croce: I responsabili dell’accaduto hanno pagato tutti o c’è chi l’ha fatta franca ?

"In primo grado furono tutti assolti, ma alla fine possiamo dire che c’è stata una giustizia. Era, però, impossibile pensare che il Belgio riuscisse a condannare le proprie istituzioni, che l’hanno fatta letteralmente franca, così ha pagato il capitano della polizia, Mahieu, per tutti. In compenso la condanna dell’Uefa è stata storica e ha fatto giurisprudenza, cosa anche questa mal raccontata e buttata troppo presto nella soffitta dei ricordi; grazie al coraggio di Otello Lorentini e dell’avvocato italo-belga Daniel Vedovatto che l’hanno citata in giudizio. Anche gli hooligans l’hanno fatta franca, in relazione a quello che era accaduto, ma la condanna dell’Uefa andrebbe studiata ancora oggi (soprattutto da Platini e soci), in questo senso l’appendice dell’avvocato Vedovatto è illuminante".

Benedetto Croce: Hai avuto problemi che so di querele, minacce, o quant’altro, da qualcuno che magari non ha gradito come hai riportato i fatti ? Se puoi dirmi anche chi se è possibile, mi piacerebbe.

"C’è stata una querela ma solo per colpa del vecchio editore e dei suoi collaboratori, subito ritirata nei miei confronti quando è stato chiaro l’errore. Per il resto non avevo nulla da temere con due certificazioni di qualità come quelle di Otello Lorentini e Daniel Vedovatto. Questo non toglie che il libro abbia dato fastidio a molti, ma una cosa mi ha letteralmente scioccato. Ero insieme ad altri colleghi a una trasmissione televisiva dedicata all’Heysel e in un momento di pausa uno si avvicina e mi fa: "Ma tu sei matto ?". "Perché ?", rispondo io. "Dare contro alla Juventus" chiosa. Non so come devo averlo guardato. Una cosa è chiara, il libro non fa sconti a nessuno e ognuno sa come si è comportato, chi ha fatto e detto cosa, ci sono immagini e foto che raccontano più di ogni libro, ci sono famiglie che aspettano ancora le scuse, dopo 28 anni. Mi dispiace ma io non faccio sconti a nessuno, troppo dolore e poca memoria. Poi ci sarebbe una mail… Che ho promesso di non rivelare a chi me l’ha girata, sono un uomo di parola e non tradisco".

Benedetto Croce: La Juventus del Presidente Andrea Agnelli che rapporto ha con questa tragedia è cambiato qualcosa rispetto al passato ? Trovi che la Juventus come giocatori e come squadra dovrebbe ricordare ogni anno questa ricorrenza magari anche con dei fiori allo stadio o qualcos’altro ?

"Andrea Agnelli ha il merito, enorme, di aver riaperto il libro dell’Heysel dopo 25 anni in casa Juventus, un atto di coraggio con la messa e con una parte del museo dedicata alla tragedia di Bruxelles (spero che abbiano corretto un cognome di una delle vittime, inizialmente sbagliato). Mi piacerebbe che continuasse, non so se hai visto come a Liverpool (già, proprio loro) ricordano Hillsborough ogni anno, l’Heysel è la Superga della Juventus, dovrebbero ricordarla con identico onore e rispetto".

Benedetto Croce: I giocatori della Juventus attuale non mi sembrano granché coinvolti nella cosa è giusto cosi o andrebbero maggiormente informati ? In fondo anche i più anziani come Buffon e Pirlo all’epoca dei fatti erano piccolissimi, figuriamoci gli altri.

"Loro non c’erano, ma Pioli c’era e pare essersene completamente dimenticato, come Prandelli d’altronde, peccato li stimo molto come tecnici. A questi giocatori, a questa nuova Juventus possiamo chiedere solo il rispetto della memoria, quello che una grande società deve a una tragedia del genere, basta imparare da chi ha saputo fare meglio in tutti questi anni. Il post più emozionante lo ha scritto Del Piero quando era ancora a Torino, un ricordo di quella notte da bambino, uno dei suoi "gol" più belli in maglia bianconera".

Benedetto Croce: Ti vedremo a Reggio Emilia quest’anno ?

"Sono un freelance in balia della professione, quindi non posso fare promesse: se il lavoro me lo permette ci sarò".

BEnedetto Croce: Grazie a Francesco Caremani.

Fonte: Ilblogdialessandromagno.it © 22 maggio 2013 Fotografie: Francesco Caremani © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) © Salvatore Giglio © Juventus.com © Icona: Itcleanpng.com ©

 

 ESCLUSIVA SALADELLAMEMORIAHEYSEL.IT 

"Le verità sull'Heysel"

Intervista esclusiva di Domenico Laudadio a Francesco Caremani.

DOMENICO LAUDADIO: Carissimo Francesco, innanzi tutto, grazie per avermi concesso in esclusiva per il museo virtuale multimediale "39 Angeli all’Heysel" questo prezioso estratto dei tuoi sentimenti. La casa degli Angeli è anche casa tua. Hai intitolato il tuo libro "Le verità sull’Heysel": allora io, un po’ maliziosamente, proprio come Pilato fece con Gesù, ti domando: "Che cos’è la verità ?".

"Un titolo è un titolo, necessità di sintesi e di forza contemporaneamente e questo n’è stato il risultato. Personalmente rifuggo le categorie assolute, giusto-sbagliato, vero-falso, ma ho enorme rispetto per il dolore altrui, rispetto come uomo, che può tradursi anche nel silenzio, rispetto come giornalista, che può tradursi, si è tradotto, in un libro scritto in punta di dita e con la supervisione di Otello Lorentini, il presidente dell’Associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles (che da ogni parte si è cercato di mettere a tacere per quasi vent’anni), colui che, da solo, ha sconfitto l’UEFA in tribunale, facendo giurisprudenza e rendendola responsabile degli eventi che organizza, colui, l’unico, che ha seguito ogni udienza del processo e che quel 29 maggio 1985 era nella curva Z e ha perso Roberto, l’unico figlio, medaglia d’argento al valor civile per essere morto mentre tentava di salvare un connazionale, d’argento e non d’oro per evitargli la diaria, tristezze tutte italiche…".

DOMENICO LAUDADIO: Se c’è una verità chi invece ci ha raccontato tante bugie sull’Heysel ?

"Su tutti le istituzioni belghe e gli inglesi, le prime per rifuggire le evidenti responsabilità organizzative prima e legali poi, i secondi per evitare, così com’è successo, di andare in galera. L’UEFA sull’agibilità di uno stadio che oggi non sarebbe omologato nemmeno per una gara di Terza categoria. In parte i giocatori della Juventus, con una premessa che rende il loro ostracismo, per me che nasco tifoso bianconero, per me che li vedevo come degli eroi moderni, ancora più grave. L’ovvia premessa è che i giocatori e la società non hanno mai avuto alcuna responsabilità per ciò che è accaduto, allora perché raccontare solo in parte quello che era successo nei momenti precedenti la partita ? Perché raccontare che non sapevano dei morti, quando i feriti si erano fatti curare dal medico sociale ? Perché continuare a stare in silenzio per tutti questi anni ? Per non parlare poi del premio partita, ancora non è dato sapere, dei 100 milioni che la Juventus consegnò alla Fondazione Umberto Agnelli, chi li ha dati e in quale percentuale, alla luce anche della promessa di Boniek di donarlo in toto…".

DOMENICO LAUDADIO: Francesco, tu hai sempre paragonato al diavolo in persona l’Heysel, in che senso ?

"Non mi riconosco in questa definizione, ma dopo averne parlato per anni non nego che possa anche averlo detto. Di certo, se Juventus-Liverpool, sportivamente parlando, era la partita del secolo, per i valori in campo allora, quello che è accaduto è stata la tragedia del secolo, non solo per il numero dei morti (altri stadi, purtroppo, ne hanno contati molti di più) ma soprattutto per le modalità…".

DOMENICO LAUDADIO: Si poteva non giocare quella partita ?

"Non credo, così come ho scritto nel libro e come, a freddo, ha anche pienamente affermato Otello Lorentini. Ogni uomo che possa chiamarsi tale può solo immaginare cosa può aver provato chi aveva un figlio, un genitore, un amico o un parente morto, accatastato in un angolo dello stadio, veder iniziare la partita. Con il senno di poi, ma solo con il senno di poi, possiamo dire che fu l’unica scelta decente di quella maledetta notte di follia per evitare ulteriori scontri e, forse, morti. Ma dopo aver saputo tutto quello che era successo, mi chiedo come si potesse esultare e partecipare ai caroselli per strada. Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma è da queste cose, per me, che s’inizia a discriminare l’uomo dalla bestia. Esultare sui corpi ancora caldi di 39 tifosi della Juventus, è bene ricordarlo per gli smemorati, falsi e ipocriti, rappresenta, secondo il mio umile parere, un punto di non ritorno".

DOMENICO LAUDADIO: Secondo te, comunque, la partita fu una partita vera o l’arbitro, per volontà della UEFA, ne pilotò l’esito dell’incontro, così da risarcire con la vittoria sportiva la Juventus che non avrebbe voluto giocarla ?

"Troppa dietrologia alla fine stanca. Il distinguo è sempre la premessa: è possibile considerare una partita di calcio quello che accadde dopo la strage ? Secondo me no. Se, invece, si afferma che quella era, comunque, una partita di calcio allora dobbiamo ammettere che fu vera, con grandi parate di Tacconi e, purtroppo per la Juventus, con una vittoria arrivata con un rigore che non c’era, il che ha reso il racconto "sportivo", per chi aveva/ha ancora orecchie e voglia di ascoltarlo, ancora più triste, volgare e pieno di inutili dietrologie. D’altra parte, in anni più recenti, l’UEFA ha fatto giocare un turno di Champions lo stesso giorno dell’attacco alle Twin Towers, di cosa meravigliarsi quindi, il punto di non ritorno, anche in questo caso, ha sempre la stessa data: 29 maggio 1985".

DOMENICO LAUDADIO: Hai mai parlato con qualcuno dei calciatori della Juventus di quella finale ? Cosa ti hanno detto ?

"Con Paolo Rossi allo "Sciagurato Egidio" su Sky Sport, con Marco Tardelli ad Arezzo quando ha allenato la squadra locale e io stavo preparando un dvd commemorativo. Paolo Rossi, incalzato da Porrà (ho ancora la registrazione) ammise che i giocatori sapevano dei morti prima di scendere in campo, anche se poi in successive uscite pubbliche ha detto il contrario. Marco Tardelli è stato ermetico e ha detto che certe cose nel calcio non dovrebbero accadere… Ogni commento è ovviamente superfluo e non sto parlando di due giocatori della Primavera o di due panchinari, ma di due campioni del mondo, di due colonne portanti di quella squadra, quindi ognuno può tirare le proprie somme".

DOMENICO LAUDADIO: Secondo te cosa sarà mai scattato nella mente di Platini quando, ricevuta informalmente in una scatola di legno la Coppa negli spogliatoi, dopo che già si era consumato l’iter concordato dei festeggiamenti della squadra, è ritornato in campo con due o tre compagni a mostrarla ai tifosi ?

"Be’, penso che oggi Platini è presidente dell’Uefa e che per diventarlo ha certamente messo l’Heysel nel dimenticatoio. Per il resto non sono così presuntuoso, come quasi sempre chi mi attacca lo è con me, di sapere chi è Michel Platini come uomo e di sapere cosa poteva scattare nella sua testa in quel momento. Ma la tesi dei due-tre compagni è una falso storico e a dimostrare il contrario ci sono le foto, mi dispiace, ma nel mio libro ce n’è una con Marco Tardelli, Antonio Cabrini, Paolo Rossi e un quarto accanto, credo Sergio Brio, ma non ne sono sicuro, che esultano circondati dai tifosi. E siamo già a quattro, ma ci sono altre immagini video dove i giocatori della Juventus sono molti di più, questi sono documenti, poi siamo in Italia e ognuno la storia se la racconta come vuole".

DOMENICO LAUDADIO: Cosa pensi quando vedi due coppe dei campioni nella sala dei trofei della Juventus ?

"Che la finale di Roma con l’Ajax è stata stupenda e quella squadra meritava di vincere 3-1, dopo una magistrale lezione di calcio agli olandesi, peccato per tutti gli errori di Gianluca Vialli sotto rete. La mia memoria sportiva si ferma qui…".

DOMENICO LAUDADIO: Esiste ancora uno stile Juventus, o mai è esistito prima e dopo l’Heysel ?

"Credo di no, così come non esiste uno stile Milan, Inter, Fiorentina, Roma, Lazio, ecc. Basterebbe citare i cori sui 39 morti juventini per capire la bassezza di certi frequentatori di stadi. Ogni società farebbe e fa di tutto pur di riempire la propria bacheca, evidentemente questo è il tipo di dirigente e di calcio che piace, visto che in molti hanno continuato e continuano a seguirlo nel peggiore dei modi".

DOMENICO LAUDADIO: Tu eri un grandissimo tifoso della Juventus da bambino. Cosa pensi quando vedi una maglia della Juventus oggi ?

"Penso che è bella, ma io sono uno sportivo vero, non partecipo all’italico sport del tifare contro o dei club anti qualcosa o qualcuno, se vedo un errore dell’arbitro a favore dei bianconeri e quando mi rendo conto che non meritiamo la vittoria non ci provo gusto. Se poi c’è un disegno naturale per alimentare le trasmissioni degli urlatori post moderni e dei movioloni non m’importa, quello non è giornalismo, così come parlare di arbitri non è parlare di calcio".

DOMENICO LAUDADIO: Ian Rush era in borghese, durante la ricognizione del campo, insieme a altri due o tre giocatori del Liverpool ad aizzare la folla ruggente mentre già inveiva violentemente con lanci di oggetti e cori aggressivi contro gli inermi tifosi juventini del settore Z. Lo sapevano, secondo te, i dirigenti della Juventus quando lo acquistarono tre anni dopo dal Liverpool ?

"Spero di no, inoltre le stagioni alla Juventus dell’attaccante gallese sono state assolutamente indecorose. La cosa peggiore, però, è che quell’acquisto l’abbiano digerito i tifosi e gli ultrà, ma tant’è…".

DOMENICO LAUDADIO: Sempre Ian Rush, ventitré anni dopo ad Anfield Road, nel giro di campo insieme a Platini, invocava "l’amicizia". Si può perdonare ? Chi ? Come ?

"Perdonare ? Questo lo possono fare solo i parenti delle vittime, i feriti gravi e chi ancora ha gli incubi per quanto accadde quel 29 maggio del 1985. Non spetta a noi perdonare. D’altra parte quello che è accaduto nel 2005 è il risultato di tutti gli equivoci e i silenzi durati vent’anni e nati subito dopo la tragedia, per mettere a tacere i parenti delle vittime ed evitare, addirittura, che potessero chiedere giustizia".

DOMENICO LAUDADIO: Nel libro parli del tuo rimorso, di un ragazzino che giocava a pallone, nonostante sapesse della morte del collega amico di tuo padre, Roberto Lorentini. Pensi che proprio il calcio possa rimarginare certe ferite ed eventualmente in che modo ?

"Una volta ci credevo, o forse ci volevo credere, oggi sono sicuro di no".

DOMENICO LAUDADIO: Quando sei stato a Bruxelles la prima volta sul luogo della tragedia ? Puoi cercare di trovare qualche parola che rievochi le tue emozioni e i tuoi ricordi ?

"E' stata un’emozione fortissima, mi sono seduto nel punto in cui una volta finiva la curva Z e c’era la rete che separava i tifosi della Juventus da quelli del Liverpool, mi guardavo intorno, cercavo d’immaginare, cercavo di capire, sentivo il dolore dentro di me e mi sono perso negli occhi di Otello e Andrea Lorentini, primogenito di Roberto".

DOMENICO LAUDADIO: Con tutto il suo fardello di dolore, misto a rabbia e impotenza, per una giustizia invocata, ma lenta, frammentaria e non imparziale, a tratti beffarda, secondo te da uno a dieci quanta giustizia è stata fatta agli angeli dell’Heysel ?

"Da un punto di vista processuale direi 6, per tutta la fatica fatta in un paese straniero ostile, in quanto messo sotto processo, e con un diritto diverso dal nostro. Da un punto di vista umano 0, per tutte le umiliazioni che i parenti delle vittime hanno dovuto subire e per la mancata memoria che dura ancora oggi, al di là del libro di Nereo Ferlat, "L’ultima curva", del mio e di quello di Jean-Philippe Leclaire".

DOMENICO LAUDADIO: Si può ancora fare qualcosa legalmente per onorarne la memoria ?

"Non so cosa tu intenda per legalmente, basterebbe farlo umanamente. Comunque una giornata bianconera della memoria non guasterebbe, ogni 29 maggio, una giornata al Lingotto di Torino in cui parlare di violenza negli stadi, fair play e cultura dello sport, parlando soprattutto di calcio come difficilmente accade in questo paese con istruttori e personaggi qualificati, pagata dalla Juventus e organizzata dal tuo sito in collaborazione con tutte quelle intelligenze e sensibilità che vogliono partecipare".

DOMENICO LAUDADIO: C’è ancora tempo, e in che modo, di riparare moralmente all’oblio di questi ventiquattro anni di silenzio da parte della società F.C. Juventus per quei 39 caduti, ricoperti dalle sue stesse bandiere ?

"Forse in molti non si rendono conto che quando una persona perde un proprio caro in modo così cruento e ingiusto, quando alla fine nessuno, o quasi, paga con la galera per 39 morti, quando le autorità cercano di dimenticare è come se quei morti, nei cuori di chi li ha amati veramente, morissero una seconda volta. Riparare, oramai, è impossibile, troppi silenzi, troppi errori, troppe offese. Più che riparare direi che bisognerebbe ripartire da zero, anche se dopo ventiquattro anni molti gesti non avrebbero più il senso che potevano avere allora, si sono perse e sprecate tante occasioni".

DOMENICO LAUDADIO: Il Liverpool ha una pagina commemorativa con i 39 nomi e cognomi delle vittime nel suo sito ufficiale, la Juventus no. Inserendo la parola Heysel nel motore di ricerca non si trova nulla. Ti sembra mai possibile ?

"E' uno dei motivi per cui ho scritto il libro, trovo e trovavo assurdo che una tragedia così grande potesse essere dimenticata, cancellata dalla memoria sportiva italiana. Anche se non dobbiamo dimenticare che in Inghilterra continuano a raccontarsi le bugie sui perché di quella tragedia".

DOMENICO LAUDADIO: Due grandi lampade accese nel simbolo del Liverpool, dopo la tragedia di Hillsborough. Quale sarebbe, invece, il segno più efficace e tangibile per le vecchie e le nuove generazioni nel logo della Juventus per legarlo alla memoria perenne dell’Heysel ?

"Non saprei, non ci ho mai pensato e nemmeno sperato…".

DOMENICO LAUDADIO: Sei favorevole a un museo della memoria nel nuovo stadio in costruzione ?

"Sì, ma credo che nessuno avrà mai la forza e il coraggio per farlo".

DOMENICO LAUDADIO: Potrebbe avere senso spostare quella Coppa dei Campioni dalla bacheca in una sala alla memoria con una sciarpa appesa a una delle grandi orecchie accerchiata dalle foto dei 39 caduti ?

"Non credo, di fronte a 39 morti, dimenticati e mai commemorati come meritavano e meritano servono gesti, per chi ci crede, più netti".

DOMENICO LAUDADIO: Ho conosciuto in un forum di tifosi juventini un ferito scampato alla morte nel settore Z, pur apprezzando la mia iniziativa, avrebbe preferito rispettassi il dolore di quel giorno con il silenzio... Cosa rispondergli ?

"Rispetto il suo dolore, come ho rispettato la voglia di Otello Lorentini, che all’Heysel ha perso l’unico figlio, di ricordare, raccontare, non far dimenticare, accompagnandolo in questo cammino".

DOMENICO LAUDADIO: Secondo te c’è qualcosa che ancora non è stato scritto e detto che riguardi la mattanza dell’Heysel ?

"E' stato detto e scritto molto, forse tutto, ma sui biglietti della Curva Z arrivati in Italia credo ci sarebbe ancora da dire e scrivere, perché le responsabilità non furono mai del tutto accertate".

DOMENICO LAUDADIO: C’è qualcosa ancora che vorresti dire o scrivere tu ed a chi ? Prenditi tutto lo spazio che vuoi.

"Credo di avere detto e scritto molto anch’io sull’Heysel. La sorella di Andrea e figlia di Giovanni Casula, due delle trentanove vittime, ha definito il mio libro la sua personale Bibbia, molti tifosi juventini invece non hanno apprezzato il mio lavoro e la mia battaglia a fianco di Otello Lorentini. Be’ con chi pensa che quella coppa sia vera, che sia stato comunque giusto festeggiarla e fregiarsene non ho assolutamente niente da spartire, né ora né mai".

DOMENICO LAUDADIO: Stilando un bilancio conclusivo, dal punto di vista umano e professionale, quanto t' ha arricchito e quanto invece ti è costato l’Heysel ?

"Dal punto di vista umano tantissimo, l’amicizia di Otello e Andrea Lorentini su tutto insieme con la stima e il rispetto di tante persone che non mi conoscevano come uomo e come giornalista. Dal punto di vista professionale, invece, mi è costato molto e preferisco non dilungarmi, diciamo che ho pagato e sto pagando con gli interessi un atto di civiltà".

DOMENICO LAUDADIO: Ad Arezzo è sorta da anni un’associazione di volontariato contro la violenza nello sport, intitolata a Roberto Lorentini e Giuseppina Conti. Ce ne parli un po’ più dettagliatamente ?

"Il "Comitato Lorentini-Conti contro la violenza nello sport" si batte per veicolare attraverso manifestazioni sportive e culturali i valori più sani delle e nelle discipline sportive. Tra le altre cose si è battuto perché, dopo vent’anni, ad Arezzo fossero intitolati il piazzale davanti allo stadio a Roberto Lorentini e quello davanti al palasport a Giuseppina Conti".

DOMENICO LAUDADIO: Un tempo nelle arene perivano innocenti sbranati dalle fiere per il sollazzo di paganti. A Bruxelles sono morti paganti innocenti fra gli spalti a causa del sollazzo delle fiere. Dai martiri cristiani sappiamo bene cosa è nato, quale fiore spunterà dal seme di sangue dei nostri angeli all’Heysel ? O sono morti invano ?

"A ben guardare quello che è accaduto negli stadi italiani negli ultimi ventiquattro anni direi che sono morti invano. Io, però, continuo a nutrire un barlume di speranza e a pensare che se degnamente ricordati e commemorati ogni anno, quei 39 angeli possono ancora insegnarci molto, soprattutto ai tifosi della Juventus, che sembrano i primi ad averli dimenticati".

DOMENICO LAUDADIO: Francesco tu sei credente come me. Pensi mai al momento in cui riabbraccerai Roberto Lorentini magari nell’altra dimensione oltre la vita ?

"Purtroppo non possiedo una visione così ampia della mia vita terrena ed extra, però mi piacerebbe sapere che ne pensa del lavoro che ho fatto insieme con suo padre e suo figlio per recuperare una memoria che in troppi hanno cercato di cancellare".

DOMENICO LAUDADIO: Ammesso tu ne voglia fare menzione pubblica, hai mai ricevuto segnali medianici occupandoti dell’Heysel ?

"No, mai".

DOMENICO LAUDADIO: Carissimo Francesco, ti ringrazio ancora di cuore e ti abbraccio per il privilegio di questa intervista. Ti prego di portare un mio affettuoso saluto alla famiglia Lorentini. Hai tutto lo spazio che vuoi per le tue conclusioni finali.

"Il privilegio è stato mio e grazie a te per quello che stai facendo, con la speranza che nessuno possa ancora infangare il tuo lavoro e la memoria dell’Heysel".

DOMENICO LAUDADIO: Grazie di cuore, Francesco, da parte di tutti quelli che non hanno dimenticato i caduti dell'Heysel. Fonte: Saladellamemoriaheysel.it © 16 Maggio 2009 Fotografie: GETTY IMAGES © (Not for commercial use) © Bradipolibri © Francesco Caremani © Curvafiladelfia.wordpress.com © Icona: Itcleanpng.com ©

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