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INTERVISTE
HEYSEL
FRANCESCO CAREMANI |
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Heysel, Francesco Caremani:
"Rabbia per la mancanza di memoria di una strage"
di Alberto Mauro
Francesco Caremani, autore del
libro "Heysel: le verità di una strage annunciata" ha
parlato in esclusiva ai nostri microfoni. Le sue parole.
Da 35 anni il 29 maggio è una data
che fa male, malissimo. Una data che molti vorrebbero
dimenticare ma che invece deve essere ricordata per far
in modo che non accada più. Il 29 maggio del 1985 39
persone morirono in una delle più grandi tragedie
calcistiche. 39 vite spezzate prima del fischio d’inizio
della finale di Coppa Campioni allo stadio Heysel tra
Juventus e Liverpool. Francesco Caremani, autore del
libro "Heysel: le verità di una strage annunciata" è uno
di quelli che più si è speso negli anni per ricordare e
commemorare le vittime di quella immane tragedia. Queste
le sue parole in esclusiva ai microfoni
di calcionews24.com.
Alberto Mauro:
35 anni dopo cosa rimane di una
delle più grandi tragedie sportive in Italia e nel mondo
?
"Secondo me rimane la figura di
Otello Lorentini. Rimane la figura di Otello per il
semplice motivo che è lui che decide di fondare
l’associazione dei famigliari, è lui che decide di
portare i responsabili a processo perché non accettava
che l’unico figlio fosse morto per una partita di
calcio. Roberto (il figlio NdR), tra l’altro, era un
giovane medico volontario con medaglia d’argento al
valore civile: morì tentando di salvare un connazionale
nella curva Z. Facendo condannare i responsabili portò
alla luce tutto. Una delle tante cose che non si
ricordano dell’Heysel è che il caso ha fatto
giurisprudenza. La Uefa prima prendeva l’81% degli
incassi degli stadi ma non era responsabile di quello
che poteva succedere. Con quella sentenza si è assunta
le proprie responsabilità, se oggi le Coppe europee
vengono programmate, organizzate e gestite in un certo
modo lo dobbiamo solo ad Otello Lorentini".
Alberto Mauro:
Quali sono le conseguenze che ha
avuto la tragedia dell’Heysel nel breve e adesso 35 anni
dopo ?
"Nel breve la conseguenza più
concreta fu l’esclusione delle squadre inglesi dalle
coppe europee per alcuni anni. Però, secondo me, noi
paghiamo ancora dazio per la mancata memoria. Io ho
scritto il libro perché Otello me l’ha chiesto e me l’ha
chiesto perché non accettava che questi morti fossero
dimenticati. Per lui era come se li avessero uccisi due
volte. Questa mancata memoria cosa ci ha portato ? Basta
fare due passi indietro: dal 1985 ad oggi cosa è
successo negli stadi italiani ? Di tutto, perché ci
siamo dimenticati l’Heysel. Quindi la mancata memoria,
non solo della Juve, ma anche di Lega e Figc ha portato
a quello che vediamo. Quando non si contrasta la
violenza verbale e di altro genere poi si arriva alla
violenza fisica. Nel 1995 con Vincenzo Spagnolo a Genova
c’erano gli ospiti che abbandonavano le trasmissioni e
gli studi… Sono storie".
Alberto Mauro:
Come anche l’ispettore Raciti o il
motorino giù dalla curva…
"La cosa che mi fa arrabbiare è che
tutti parlano di Heysel ma nessuno ha mai studiato.
Nessuno l’ha voluto capire e si continua a fare
retorica".
Alberto Mauro:
All’interno del tuo libro quali
sono gli episodi che ti hanno colpito di più e ti hanno
lasciato di più perplesso ?
"La cosa che mi fa ancora
arrabbiare è che bastava pochissimo per evitare quella
strage. Io la chiamo strage perché non si tratta di
tragedia o fatalità. Innanzitutto il settore Z non
esisteva perché c’erano X,Y e Z come M,N e O per gli
juventini. Quindi creano il settore Z con una rete da
giardino, vendono questi biglietti e lì non dovevano
esserci le famiglie italiane, se le metti di fianco agli
hooligans deve esserci la polizia. Se vedi che succede
quello che succede intervieni prontamente ed eviti la
strage. È stato scelto lo stadio sbagliato visto che era
in ristrutturazione e gli hooligans hanno potuto armarsi
in un cantiere lì vicino. Uno stadio dove c’era già
stato un morto. Quello che ho sempre detto è che la UEFA
e le istituzioni sportive belga sono stati i mandanti,
gli hooligans gli assassini materiali di 39 persone,
cioè hanno disorganizzato l’ordine pubblico. Questo è
spaventoso. Quello che succedeva ad Heysel poteva
succedere a Basilea l’anno prima (Finale Coppa delle
Coppe 1984 NdR). Quello stadio era allucinante, ci
passava quasi una ferrovia solo che per fortuna non
c’era rivalità tra i tifosi. Quelli del Porto erano
tranquilli così come quelli della Juve. Questo mi ha
impressionato sinceramente, cioè l’idea di andare a
vedere una partita come Juventus-Liverpool, che era
considerata la finale del secolo, in pratica quasi con
la consapevolezza di andare a perdere la vita perché
c’erano condizioni inaccettabili per qualsiasi partita
di calcio, figuriamoci per una finale di Coppa di
campioni. Poi c’è un’altra cosa che mi ha colpito…".
Alberto Mauro:
Prego…
"Al di là dei biglietti bagarinati
all’interno, del fatto che ci hanno lucrato sopra, mi ha
colpito il fatto che delle persone arrivate lì una volta
vista la situazione hanno detto: "Ma io mio figlio a
farlo ammazzare dagli inglesi non ce lo porto" e
clamorosamente trovano biglietti o scambiano il
biglietto della curva Z per andare da altre parti.
Perché c’erano altri posti oltretutto".
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Alberto Mauro:
Quindi c’era consapevolezza
del pericolo, non si trattava solo di una fatalità… Tu ti sei confrontato con qualche
superstite o qualche famigliare di superstite, qual è la
cosa che ti ha toccato di più e che ti porti dentro
ancora ?
"Io mi porto dietro tante cose. La
frase di Carla (NdR: Rosalina)
Gonnelli che ha detto:
"Quando si dice che il tempo è galantuomo vuol dire che
non si è mai passato cose del genere". Perché lei ha
perso il marito, l’ha visto partire e poi l’ha rivisto
dentro una bara. Dopo tanti anni ha detto che ha un
vuoto ancora più profondo. Quindi la tristezza che si
aggiunge a tristezza. Questa mancanza di memoria da
parte di tutti ha contribuito ad acuire la tristezza. Io
conoscevo bene Roberto Lorentini, frequentava casa mia
quando avevo 15 anni. Pensa io dovevo andare con loro
all’Heysel".
Alberto Mauro:
E poi ?
"Avevo fatto una scommessa con mio
padre in seconda liceo: avevo latino un po’ barcollante
e l’ultimo compito prendo 5 quindi perdo la scommessa e
non vado. Ho dei ricordi molto forti di Roberto ed è una
storia molto personale. Oppure Giuseppina Conti che
proprio da questo punto di vista è il mio contraltare.
Anche lei di Arezzo, liceale, pagella bellissima e il
padre come premio la porta all’Heysel e lui è tornato
con la figlia nella bara. Aveva 17 anni".
Alberto Mauro:
Per un 5 in pagella non sei andato
lì ma come hai vissuto quella partita sapendo che potevi
essere lì e che avevi un amico di famiglia in quello
stadio ?
"Io l’ho vista male perché la
partita non iniziava e tutti ci chiedevamo perché.
Ovviamente a quel tempo non c’erano i cellulari, i
social e i mezzi di cui disponiamo ora, c’era una
tecnologia abbastanza immobile. Eravamo a casa di un
amico e arriva la telefonata di mia madre che mi dice:
"Roberto è ferito". Ovviamente non era vero ma non lo
sapeva neanche lei in quel momento perché Otello, prima
di dire alla moglie che l’unico figlio era morto, ci ha
messo un po’ di tempo ma quando mia madre mi chiamò
Roberto era già morto. Io sono andato a casa di un altro
amico a dormire, ovviamente con il morale a pezzi,
mentre ad Arezzo come in altre città si scatenava la
festa e i caroselli e questo mi ha ferito molto. Poi la
mattina mi sono alzato con la notizia che Roberto era
morto e andare a scuola è stato parecchio pesante per
me: c’erano i ragazzini che prendevano in giro la Juve e
la coppa insanguinata. La cosa brutta è che da ragazzini
si è sciocchi e ignoranti per definizione però purtroppo
quelle battute sono durate anche in età adulta e lì
diciamo che non sto neanche più zitto".
Alberto Mauro: Parlami di questa associazione che
hai citato prima…
"L’associazione che ha fondato
Andrea Lorentini (nipote di Otello) sta crescendo.
Otello muore nel 2014 e Andrea diventa giornalista come
me e dirige un settimanale qui in città. Come si fa a
difendere i morti e i cari che vengono continuamente
offesi ? Ha rifondato l’associazione con tutti i
famigliari. È stata un’operazione molto importante per
la memoria, con un concetto fondamentale: seminare non
fare che questa diventi un feticcio. Cioè non onore ai
morti in senso paramilitare. Meglio andare nelle scuole,
fare dei convegni, seminare in un Paese dove tutti ti
dicono: "ma tanto non cambierà mai niente", noi facciamo
guerriglia da questo punto di vista contro un esercito
numerosissimo cercando di seminare un po’ di cultura
sportiva e insegnare che agli stadi ci si deve andare in
altro modo".
Alberto Mauro:
Che effetto fa quando vedi degli
striscioni canaglia da parte dei tifosi avversari ?
"Soffro tanto. Sofferenza fisica e
mi dà molto fastidio, una sofferenza fisica visto che
conoscevo Roberto e soffro ancora di più quando vedo
offendere Superga piuttosto che Facchetti ecc. In questo
voglio fare una riflessione: quelli che offendono i
morti dell’Heysel o di Superga o tutti gli altri morti
sono gli stessi che oggi chiedono di non giocare per
rispetto dei morti e c’è il rischio che quando
torneranno negli stadi torneranno a offendersi ognuno i
morti dell’altro. Ci vorrebbe un pochino in più di
coerenza, onestà intellettuale e memoria. Senza memoria
condivisa dell’Heysel, guarda caso, si fa più fatica
spiegare queste cose".
Fonte:
Calcionews24.com © 29 maggio
2020
Fotografie:
Bradipolibri © Francesco Caremani © GETTY IMAGES
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for Commercial Use)
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Heysel 1985, la strage annunciata
di Giovanni Zambito
Fattitaliani intervista Francesco
Caremani: "Heysel, una strage: Uefa e Belgio i mandanti
e gli hooligans gli assassini".
La strage dell'Heysel fu una
tragedia accaduta il 29 maggio 1985, poco prima
dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio
tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles
nel settore Z, in cui morirono 39 persone, di cui 32
italiane, e oltre 600 rimasero ferite. Tante le cose che
sono state dette e contraddette nel corso degli anni e a
distanza di più di trent'anni la verità dai più non è
conosciuta. Il giornalista Francesco Caremani ha
pubblicato il volume "Heysel, le verità di una strage
annunciata" (Bradipolibri nella collana Arcadinoè, pagg.
248, €15). Di recente, l'autore ne ha parlato ad Arezzo
davanti a studenti del liceo Francesco Redi, della
scuola europea 3 di Bruxelles e del liceo Primo Levi di
Torino nell'ambito del progetto "Un pallone per la
memoria". Fattitaliani lo ha intervistato.
Giovanni Zambito:
Sintetizzare è complesso, ma quali
sono "le verità" che hanno reso "annunciata" la strage
dell’Heysel ?
"L’Uefa che insieme alle autorità,
sportive e politiche, belghe ha scelto uno stadio
fatiscente e inappropriato per la finale di Coppa dei
Campioni. L’ordine pubblico completamente disorganizzato
da parte del Belgio e l’inadeguatezza del numero di
poliziotti all’interno dello stadio. L’aver diviso il
settore Z da quelli X e Y per vendere più biglietti e
quindi mettere le famiglie dei tifosi italiani vicino
agli hooligans del Liverpool".
Giovanni Zambito:
Quali sono state, invece, le bugie
più clamorose ?
"Quella più clamorosa è scritta
nelle autopsie (fasulle), dove si certificava che 39
persone erano morte tutte accidentalmente intorno alla
mezzanotte, quando verso le 20 erano già decedute. Che i
calciatori non sapevano dei morti invece ne erano a
conoscenza. Infine che è stata una tragedia, l’Heysel è
stata una strage, con mandanti (Uefa e Belgio) e
assassini (hooligans)".
Giovanni Zambito:
C’è qualcuno che ha pagato per
quello che è successo ?
"Alcuni hooligans del Liverpool, il
capitano della polizia belga responsabile della
sicurezza allo stadio, ma soprattutto l’Uefa, condannata
in appello e Cassazione".
Giovanni Zambito:
Quali provvedimenti sono stati
presi allora ? Sono ancora in vigore ?
"La condanna dell’Uefa è storica,
ha fatto giurisprudenza, rendendola per sempre
corresponsabile delle manifestazioni che organizza. Per
quanto riguarda la sicurezza negli impianti sportivi i
provvedimenti più importanti sono stati presi alcuni
anni dopo, soprattutto in Inghilterra".
Giovanni Zambito:
Perché ha deciso di scrivere il
libro ?
"Perché me l’ha chiesto Otello
Lorentini, che all’Heysel ha perso l’unico figlio
Roberto, medico, medaglia d’argento al valore civile per
essere morto tentando di salvare un connazionale, poi
presidente dell’Associazione tra i familiari delle
vittime che, da solo contro tutti, ha fatto condannare
l’Uefa".
Giovanni Zambito:
Ci sono state in passato altre
inchieste simili sull’argomento ?
"Prima della mia no, anche perché
si voleva silenziare i familiari delle vittime. Dopo la
mia, che è stata la prima al mondo, tante".
Giovanni Zambito:
Come si è mosso nella ricerca delle
fonti ? Con chi ha parlato ?
"Be’ la voce narrante del mio libro
è Otello Lorentini, prima presidente poi memoria storica
dell’Associazione tra i familiari, aveva conservato
tutto: documenti, trasmissioni televisive, articoli
dell’epoca, tutto. Lui e i suoi documenti sono stati le
mie fonti".
Giovanni Zambito:
Conosceva personalmente alcune
vittime o i loro familiari ?
"Roberto Lorentini era un amico di
famiglia e collega di mio padre, una grande perdita per
tutta la nostra comunità. Era una persona
straordinaria".
Giovanni Zambito:
In tutto questo che figura ci fanno
il Belgio, la Juve e il Liverpool ?
"Il Belgio pessima perché era
colpevole e non ha pagato, perché non ha mai ricordato
quella strage e perché ancora oggi cerca di cancellarne
i luoghi. Juventus e Liverpool hanno avuto comportamenti
sbagliati dei quali non vanno fieri nemmeno oggi, per
questo rifuggono scioccamente la memoria e le verità
processuali di quello che è accaduto. Più grave alla
fine il comportamento della società inglese che non
ammette, dopo trentuno anni, le gravi responsabilità dei
propri hooligans".
Giovanni Zambito:
Se ci fosse stato internet a suo
tempo, sarebbe cambiato molto ?
"Tutto, dall’informazione alla
comunicazione, alla partita, al peggio che si può
immaginare".
Giovanni Zambito:
Quando parla dell’argomento
raccontando come sono andati i fatti, quale reazione è
la più comune fra il pubblico ?
"All’inizio diffidenza e
incredulità, poi rabbia, emozione, commozione e infine
consapevolezza".
Fonte:
Fattitaliani.it
© 6 ottobre 2016
Fotografie:
Francesco Caremani © Uefa.com ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Il manifesto Heysel, la verità di
una strage annunciata
di Luca Manes
Heysel 29 maggio 1985 allo stadio
Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool, morirono 39 tifosi
bianconeri. Morirono nel settore Z, schiacciati e
soffocati dalla calca, sotto i colpi degli hooligans
inglesi con l’evidente connivenza delle autorità e della
polizia belghe, incapaci di prevedere e d’intervenire.
In "Heysel, le verità di una strage annunciata",
Francesco Caremani, giornalista e juventino,
ricostruisce quanto accaduto in quelle drammatiche ore
di 30 anni fa, ma soprattutto quanto accadde dopo, nei
lunghi anni del processo che ha portato alla condanna di
una dozzina circa di hooligans del Liverpool, per pene
dai 4 ai 5 anni di reclusione. Anche l’Uefa è stata
dichiarata colpevole e obbligata a pagare i risarcimenti
(da un minimo di 14 a un massimo di 400 milioni di
vecchie lire) in quanto ritenuta responsabile per aver
fatto giocare una partita così importante come l’atto
conclusivo della Coppa dei Campioni in un impianto
fatiscente, dove la gestione dell’ordine pubblico e
della sicurezza da parte delle autorità locali fu, come
accennato, del tutto deficitaria e inadeguata. Edito nel
2003 dalla casa editrice Bradipolibri, nelle ultime
settimane è stato riproposto in libreria e ne è stata
prodotta una versione in inglese. È l’unica opera
ufficialmente riconosciuta dai parenti delle vittime
dell’Heysel, cosa di cui Francesco Caremani va
giustamente fiero, come ci ha ribadito di persona nel
corso dell’intervista che ci ha concesso.
LUCA MANES:
Qual è il tuo ricordo personale di
quel giorno ?
"Avevo 15 anni e in realtà sarei
dovuto essere anche io all’Heysel a incitare Platini e
compagni. Non ci andai solo perché avevo
un’insufficienza in latino e i miei non mi diedero il
permesso. Così vidi la partita a casa di un mio amico.
Lì l’anno prima avevamo visto la finale di Coppa delle
Coppe che la Juve vinse con il Porto e quindi ci
sembrava giusto non cambiare "sede". Dell’incontro non
ricordo assolutamente nulla, sebbene l’abbia visto.
Rammento solo perfettamente che mia madre mi chiamò per
dirmi che Roberto Lorentini, un nostro amico di
famiglia, era ferito. In realtà era una bugia, perché il
padre Otello, che era con lui, sapeva già della morte
del figlio. Quando tornai a casa vidi delle persone che
festeggiavano nel centro di Arezzo, la mia città. Ci
rimasi molto male. Poi la mattina abbiamo scoperto la
terribile verità sulla sorte del nostro amico. Roberto
Lorentini era un medico e, nonostante si fosse salvato
dopo la prima carica degli inglesi, ritornò indietro per
soccorrere un bambino ferito, secondo alcune
testimonianze Andrea Casula, la vittima più giovane di
quella tragedia (aveva solo 11 anni, NdR). Morì
travolto da una seconda carica degli hooligans mentre
era chinato a praticargli la respirazione artificiale".
LUCA MANES:
Ci racconti un po’ la genesi del
libro ?
"In realtà non avevo mai pensato di
scrivere un libro sull’Heysel, sebbene conoscessi molto
bene come ti ho detto Otello Lorentini, che poi è
diventato il presidente dell’Associazione dei parenti
delle vittime. Fu proprio lui a chiedermi di farlo. Fui
colpito dalla luce nei suoi occhi, dalla sua voglia che
si facesse finalmente chiarezza su come i familiari dei
39 tifosi morti quel maledetto 29 maggio fossero stati
lasciati soli, dimenticati e soprattutto messi a tacere.
Tanto per farti capire che cosa intendo, Otello in
quegli anni è stato intervistato più dalle televisioni
straniere che da quelle italiane, soprattutto nel decimo
e nel ventesimo anniversario. Eppure lui è stato un
testimone diretto di quanto accaduto nel settore Z e di
quello che si è verificato dopo, in particolare durante
il processo. Per questo io dico sempre che il mio è un
libro di parte, la parte giusta".
LUCA MANES:
Perché dici che i parenti delle
vittime sono stati messi a tacere ?
"Perché era meglio non parlare di
Heysel, era un argomento scomodo. La polemica tra il
direttore della Gazzetta dello Sport, il compianto
Candido Cannavò, e il presidente della Juventus
sull’opportunità di restituire o meno la Coppa è
esemplificativa. Per Boniperti quella coppa doveva
rimanere nella bacheca del club. La posizione della Juve
era che i giocatori non sapevano nulla di quanto
accaduto nel settore Z prima di entrare in campo, eppure
prima Stefano Tacconi nel 1995 e poi Paolo Rossi nel
2004 hanno fatto dichiarazioni che vanno in direzione
contraria. Con l’avvento di Andrea Agnelli la società
bianconera ha iniziato a fare qualcosa per ricordare
l’Heysel. C’è una sezione sulla tragedia nel museo dello
Stadium e nel 2010 è stata celebrata una messa in
ricordo delle vittime. Anche il prossimo 29 maggio ci
sarà una messa, ma credo che si dovrebbe fare molto di
più".
LUCA MANES:
Eppure le colpe di quanto accaduto
non sono certo della Juventus…
"Esatto, sono degli hooligans del
Liverpool, delle autorità e della polizia belga e, non
dimentichiamolo, dell’UEFA, come dimostrano le sentenze
emesse dal tribunale di Bruxelles".
LUCA MANES:
Chi ti ha aiutato di più a scrivere
il libro ?
"Otello, che purtroppo dall’anno
scorso non c’è più, è stato senza dubbio di
un’importanza fondamentale, era il mio Omero che mi ha
trascinato all’interno di quel dramma. Ma non vorrei
dimenticare Daniel Vedovatto, avvocato italo belga e
all’epoca consulente dell’ambasciata italiana a
Bruxelles, che nella causa si è battuto contro principi
del foro assoldati dal governo belga, dall’Uefa e dagli
hooligans inglesi e che mi ha dato una grossa mano per
redigere l’appendice del libro dedicata agli atti
processuali. Vedovatto è convinto che, visti i mezzi a
disposizione all’epoca e nonostante precedenti
giurisprudenziali non favorevoli, giustizia sia stata".
LUCA MANES:
Che cosa stai facendo in queste
settimane che precedono l’anniversario ?
"Molte presentazioni del libro un
po’ in tutta Italia; in particolare, nella settimana
dell’anniversario, in varie località del Piemonte ne ho
anche 3 – 4 al giorno ! Nelle scuole superiori incontro
ragazzi che nel 1985 non erano nemmeno nati. È
importante spiegare loro che cosa ha voluto dire quella
tragedia e anche che cosa voglia dire andare allo
stadio, vivere il momento della partita nella maniera
più giusta e corretta possibile. Questa esperienza mi
sta arricchendo molto e sono molto rincuorato dalla
reazione dei ragazzi. In una scuola di Bologna hanno
apprezzato così tanto l’incontro che mi hanno chiesto di
tornare nel giro di un mese".
LUCA MANES:
Come vivono il ricordo i tifosi
della Juve ?
"In maniera non del tutto omogenea.
Tanti ultrà criticano il gesto di aver alzato la coppa.
C’è un gruppo che si chiama Nucleo1985 proprio in
memoria dell’Heysel. Però altri la pensano in maniera
differente e purtroppo spesso ci sono polemiche che io
ritengo a dir poco sterili, come quando la rinata
Associazione dei parenti delle vittime ha chiesto di
ritirare (simbolicamente) la maglia numero 39 della
Nazionale e tanti juventini hanno criticato questa
iniziativa".
LUCA MANES:
Quale lezione ha tratto il mondo
del calcio in generale e il calcio italiano in
particolare dalla tragedia dell’Heysel ?
"Il calcio italiano non ha imparato
nulla. Nei nostri stadi si è continuato a morire e
nemmeno le norme emergenziali hanno risolto un granché.
La mancata memoria di quell’evento così luttuoso è la
cartina di tornasole di un movimento malato, dove non
c’è cultura sportiva, tutto è subordinato alle vittorie
e le società continuano a essere ricattate dalla parte
negativa del mondo ultrà, i "fucking idiot" per
intendersi. Nonostante la richiesta di una memoria
condivisa da parte dei parenti, in un’Italia spaccata
tra antijuventini e juventini i cori a dileggio dei
morti dell’Heysel ci sono sempre stati. Ci hanno messo
29 anni prima di sanzionare gli ultrà della Fiorentina
che li facevano (cioè la società, NdR), tanto per
farti un esempio".
LUCA MANES:
Invece in Inghilterra le cose sono
cambiate…
"Sì, è vero, ma non dopo l’Heysel.
C’è voluta un’altra tragedia, quella dell’Hillsborough,
quando 96 tifosi del Liverpool morirono schiacciati in
una curva dello stadio dello Sheffield Wednesday, per
far sì che anche loro imparassero la lezione".
Fonte:
Il Manifesto © 23 maggio 2015
Fotografie: Il
Manifesto © Francesco Caremani ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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29 anni fa, l'Heysel
"Rispetto per la memoria e una
nuova cultura sportiva"
di Federico Casotti
Goal Italia ha intervistato
Francesco Caremani, giornalista e scrittore tra i più
attivi nel ricordo delle 39 persone morte 29 anni fa
all'Heysel prima di Juventus-Liverpool.
Da 29 anni, il 29 maggio è una data
che fa male, una data che deve essere ricordata. Il 29
maggio 1985 39 persone morirono allo stadio Heysel di
Bruxelles poco prima dell’inizio della finale di Coppa
dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Da allora molto
si è detto e scritto, a volte a sproposito e spesso
perdendo di vista l’unica cosa che conta: il
mantenimento della memoria e della verità, nel rispetto
delle vittime e dei loro famigliari. Una delle persone
che più si è spesa in questo senso è Francesco Caremani,
giornalista aretino, per sua stessa definizione
"Juventino ma non tifoso", riconoscendo alla parola
"tifoso" un’accezione negativa purtroppo rinsaldata
dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Il suo libro
"Heysel: una strage annunciata" è uno dei più efficaci
memoriali su ciò che accadde quella sera. Per questo, in
occasione del 29 maggio, noi di Goal Italia lo abbiamo
intervistato.
Federico Casotti: La storia di Caremani è legata a
doppio filo a quella notte, che non lo vide spettatore
diretto solo per un fortuito caso della vita...
"Dovevo andare anch’io a Bruxelles
insieme a Roberto Lorentini, amico di famiglia, ma presi
un brutto voto in latino, e per punizione per il sicuro
esame a settembre i miei genitori non mi lasciarono
partire".
Federico Casotti: Nel libro di Caremani, uscito nel
2003, la Juventus - intesa come dirigenza - non ne esce
bene.
"La cosa che imputo maggiormente
alla società è di aver ostentato troppo quella Coppa.
Boniperti ne era ossessionato, soprattutto dopo Atene, e
la dirigenza anche negli anni successivi si è dimostrata
assente al fianco dei familiari delle vittime,
soprattutto durante gli anni del processo".
Federico Casotti:
Fortunatamente, negli ultimi anni
si sta assistendo a un’inversione di tendenza.
"Andrea Agnelli ha fatto in pochi
anni più di tutti i suoi predecessori messi assieme. La
Santa Messa in memoria delle vittime del 2010 fu un
primo, significativo passo, così come lo spazio dedicato
al Museo all’interno dello Juventus Stadium, o la
presenza della società all’inaugurazione del monumento
in memoria a Reggio Emilia, fino alla delegazione
inviata recentemente al funerale di Otello Lorentini,
una delle persone che più si è spesa per la
conservazione della memoria".
Federico Casotti:
Già, la memoria. Caremani si scaglia con convinzione
contro la logica amico-nemico che l’ha macchiata in
tutti questi anni, sottolineando tanti aspetti nascosti
o peggio ancora ignorati...
"Otello Lorentini era un tifoso
della Fiorentina, e ha speso il resto della sua vita a
non disperdere la memoria di suo figlio Roberto e delle
altre vittime. In pochi lo sanno, ma tra i 39 c’erano
anche tre tifosi interisti, che erano all’Heysel
semplicemente perché amavano il calcio e volevano
vedersi dal vivo la finale di Coppa dei Campioni".
Federico Casotti: Va detto che le iniziative
anche in tempi recenti non sono mancate, in
contrapposizione all’inciviltà vista troppo spesso sulle
tribune...
"Abbiamo organizzato una mostra
congiunta Superga-Heysel presso il museo del Grande
Torino, volendo gettare un seme di cultura sportiva: un
invito recepito da tante persone, comunque più di quelle
invece (e inspiegabilmente) contrarie. Un segnale di
vicinanza è arrivato anche dalla Banda Bagaj, gruppo
"atipico" di tifosi interisti, che ha esposto uno
striscione in segno di rispetto per le vittime di
entrambe le tragedie".
Federico Casotti:
Ma allora, a distanza di quasi 30
anni, come inquadrare storicamente quella serata ?
"Lasciando perdere le critiche
pelose degli anti-juventini, ritengo che ognuno debba
pensarla come vuole. Io credo che quella Coppa sia in
qualche modo fittizia, ma ad esempio i familiari di
Giuseppina Conti, che quando morì all’Heysel aveva 17
anni, la pensano all’opposto e io non me la sento di
criticarli. A posteriori, va detto che far giocare la
partita fu necessario per ragioni di sicurezza, e che
una volta in campo, le due squadre giocarono per
davvero, con il Liverpool che, se avesse vinto, avrebbe
tranquillamente festeggiato. D’altra parte è ormai
assodato, dalle parole di Tacconi e Rossi, che i
giocatori della Juventus fossero perfettamente al
corrente delle dimensioni della tragedia prima di
scendere in campo".
Federico Casotti:
Tra un anno ricorrerà il 30°
dell’Heysel. Per Caremani…
"E’ necessario creare un luogo che
sia insieme catartico e di incontro e memoria per tutti
i tifosi, non solo bianconeri. Serve un luogo fisico
dove riunirsi e pregare, ma servono anche provvedimenti
seri per la difesa della memoria: trovo scandaloso che
non sia mai stato preso un singolo provvedimento contro
chi inneggia all’Heysel. I comitati dei famigliari delle
vittime dell'Heysel faranno sentire la loro voce contro
chi infangherà questa e le altre tragedie del calcio
italiano. Con l’auspicio che nel frattempo possa
finalmente attecchire anche da noi una nuova cultura
sportiva".
Fonte:
Goal.com
© 29 maggio 2014
Fotografia:
Francesco Caremani
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Intervista a Francesco Caremani
di Benedetto Croce
Fra le persone meravigliose che
posso annoverare fra le mie amicizie un posto speciale
spetta sicuramente a Giulia Iuliana Bodnari, per me
semplicemente Giulia. Ci siamo conosciuti grazie alla
nostra passione per la Juventus e ne è nata un’intesa e
una stima reciproca veramente notevole. E' cosi che un
giorno in previsione della commemorazione annuale delle
vittime dell'Heysel, che quest'anno si terra il 1
Giugno, Giulia mi ha chiesto testuale: "Ale tu che
scrivi così bene scrivi qualcosa per me per la
commemorazione". Ho preso subito alla lettera "l'ordine"
di Giulia. Potevo scrivere sicuramente dei ricordi di
bambino di quel brutto giorno. Avevo 12 anni ed ero
davanti alla tv con mio fratello e mio papà. Ricordo
tutto. Un giorno forse racconterò anche questa storia.
Questa volta, per Giulia ho deciso invece di realizzare
questa intervista. Di lasciare la parola a chi
sicuramente sull'Heysel è più informato di me e ha cose
più interessanti da far conoscere al pubblico. Questa
intervista è per Giulia e suo marito Rossano, per Carla
e Giancarlo, per Mimmo che se vorrà metterla nel suo
museo ne sarò onorato. (Alessandro Magno)
Benedetto Croce:
Francesco Caremani
giornalista, scrittore, noto tifoso juventino,
conosciuto al pubblico soprattutto per il suo impegno:
la ricerca della verità sulla triste vicenda
dell’Heysel. Ciao Francesco cercherò di farti delle
domande diverse dalle consuete, intanto ti ho presentato
bene ?
"Noto tifoso juventino ? Non direi,
per vari motivi (e non per colpa mia). Il primo e più
semplice è che da ragazzo tifavo Juventus, nel senso più
appassionato del termine, ma oggi non mi riconosco
affatto nella parola "tifoso" dietro la quale si
nascondono in troppi dopo aver detto e fatto le peggio
cose. Il secondo, banale, è che sono un giornalista, ho
fatto tanta fatica per diventarlo e secondo me un
giornalista tifoso non è un buon giornalista; un
giornalista deve essere credibile piuttosto che tifoso e
le due cose spesso (nel calcio italiano) sono l’una
contraria dell’altra. Il terzo risale a qualche tempo
fa, dopo una bellissima presentazione del libro
sull’Heysel a Mantova con Bruno Pizzul su Facebook
arriva un commento che augura la morte all’ex
telecronista Rai accusato di essere antijuventino, cosa
per me inaccettabile, così controbatto in maniera forte
e decisa, la risposta ? Guai a me se mi consideravo
juventino (e non era la prima volta). Oggi c’è tanta
voglia di rilasciare patenti, di mettere le persone in
un contenitore (forse perché chi ha un pensiero
indipendente, non catalogabile, crea diffidenza, paura,
panico, crisi d’ansia, come una figurina fuori posto, ma
per fortuna siamo uomini), con me o contro di me. Ho 43
anni e "vengo" da un altro calcio, un calcio in cui gli
avversari si ammiravano, dove s’imparavano ad amare
quando vestivano tutti insieme la maglia della
Nazionale, l’odio verso la quale per me è pura
blasfemia, quindi puoi ben capire quanto le ragioni (se
di ragione si tratta) del tifo siano lontane dal mio
modo di pensare, intendere e raccontare il calcio, lo
sport più in generale. Se penso a me come tifoso penso a
me come tifoso della Nazionale. Però, c’è un però, c’è
stato un momento in cui molti giornalisti che fino al
momento prima avevano beatificato la Juventus le si sono
rivoltati contro per mera sopravvivenza (gli stessi che
adesso le si stanno riavvicinando), per contingenza e
puro calcolo personale. Ecco, quando non conveniva non
ho nascosto la mia passione giovanile e la squadra per
cui facevo il tifo (che poi ti resta attaccata addosso
per sempre), sono fatto così, sono un giornalista nel
bene e nel male, quello che conviene lo lascio agli
altri, tifosi compresi, come dimostra il libro
sull’Heysel: se una cosa è accaduta, quindi vera, lo è a
prescindere dai colori sociali. A pensarci bene sono
anch’io un ultrà: del giornalismo e delle cose in cui
credo, come il fair play, per esempio. Poi siamo in
democrazia e ognuno può affibbiarmi le patenti che
vuole, questo non cambierà quello che sono, tanto meno
le mie idee. Ovviamente grazie per il "noto", troppo
buono".
Benedetto Croce:
Sinceramente, ti
spiace essere conosciuto più che altro per i tuoi
scritti sull’Heysel, dato che è una vicenda triste e in
fondo hai scritto tanti altri libri, o è un qualcosa che
non ti pesa affatto ?
"Il mio nome è legato
indissolubilmente all’Heysel (grazie a Otello Lorentini,
già presidente dell’Associazione fra le famiglie delle
vittime di Bruxelles, voce narrante del libro) e in un
Paese dove si cerca di dimenticare, soprattutto le
tragedie con precise responsabilità, capisci quanto
abbia pesato e pesi dal punto di vista professionale. A
me non interessano le mode (complimenti a chi sa
cavalcarle; oggi, per esempio, va a ruba il giornalista
schierato) a me interessa fare le cose giuste e l’Heysel
lo è stata. Questa domanda mi ha fatto molto piacere
perché quando uno fa il giornalista sportivo si occupa
di tanti argomenti diversi, è un cammino con tante
tappe, alcune più corte altre più lunghe, alcune sono
delle semplici gare in linea, altre parte di un tour,
alcuni di questi hanno una conclusione, altri no, ci
accompagnano nel nostro cammino professionale. Se c’è
una cosa che amo del mio lavoro sono le persone, quelle
che racconti, quelle che incontri per caso, ognuna ti
resta attaccata addosso in maniera diversa, come nella
vita di tutti i giorni. Otello Lorentini è una di
queste, una di quelle persone che porterò sempre con me,
perché mi ha insegnato tante cose, come la dignità, la
voglia di giustizia e verità, l’amore incondizionato per
i figli (lui al suo, morto all’Heysel, ha dedicato tutta
una vita), l’umiltà e l’orgoglio di chi ha tutto da
perdere e scende ugualmente sul campo di battaglia con
le poche certezze che possiede: se lo dovrebbero
ricordare soprattutto quelli (troppi) che parlano
(troppo spesso) a vanvera di ciò che è accaduto il 29
maggio 1985 e dopo. Io ho scritto altri libri, alcuni
più belli dal punto di vista squisitamente narrativo, ma
per tutti i motivi che ho elencato quello sull’Heysel
resta il più importante".
Benedetto Croce:
A distanza di molti
anni per chi vuole cercare e informarsi c’è direi
abbastanza materiale, ritieni sia stato scritto tutto
sull’argomento, c’è ancora qualche zona d’ombra ?
"Io ritengo che sull’Heysel sia
stato scritto tutto, per chi vuole sapere e per chi
vuole informarsi decentemente, ma non solo grazie a me,
anzi credo sia opportuno citare altri autori, quattro in
particolare: Nereo Ferlat, Jean-Philippe Leclaire,
Domenico Laudadio e Riccardo Gambelli. In verità, una
zona d’ombra è rimasta, difficile da illuminare dopo
tanti anni. Il settore Z era destinato a un pubblico
neutrale o a chi accaparrava per primo i biglietti ?
Vista la divisione dello stadio è facile pensare alla
prima ipotesi e allora cos’è accaduto ? Da qui il
secondo quesito: chi ha spacciato in Italia i tagliandi
della curva Z ? Quanto ci ha guadagnato ? Poi basta
leggere i racconti di chi per avere un biglietto
all’ultimo minuto si è ritrovato nella famigerata curva,
chi invece è riuscito a cambiarlo perché non voleva
portare il figlio in quel posto così vicino agli inglesi
e così via. Dopo quasi 28 anni capisco che può sembrare
come discutere del sesso degli angeli, ma alla fine è
iniziato tutto da lì, nonostante nello stadio ci fossero
altri posti disponibili, come dimostrato da chi è
riuscito a scappare dopo la tragedia".
Benedetto Croce:
Un fatto che mi ha
sempre incuriosito e credo nessuno ti abbia mai chiesto
se non io privatamente. Chi è quell’uomo sulla copertina
di: "Heysel, le verità di una strage annunciata". Cosa
sta facendo e se ti è mai venuto in mente di cercarlo o
se lui si è mai riconosciuto in quella foto ?
"La foto è di Salvatore Giglio,
come tutte le altre nel libro, ed è storica: chi non
ricorda la copertina del Guerin Sportivo diretto da
Italo Cucci col titolo "Olocausto", a me ne hanno
regalata una copia e quando con Bradipolibri abbiamo
ripubblicato il libro nel 2010 l’abbiamo scelta per la
copertina, anche se meno cruda dell’originale. L’uomo
disperato esprime tutta la follia dell’Heysel: morire
per assistere a una partita di calcio, inaccettabile,
ieri come oggi. Una foto che racconta tutto prim’ancora
di leggere il testo. L’uomo con lo sguardo rivolto al
cielo e che, presumibilmente, si chiede perché, com’è
potuto accadere, tiene la testa di un altro tifoso sulle
ginocchia, in mezzo alla calca e ai soccorsi. Non so se
si sia mai fatto vivo con Giglio o il Guerin Sportivo e
senza le fonti è stato impossibile sapere chi fosse".
Benedetto Croce:
Il tuo libro che
sopra abbiamo citato è stato definito "La Bibbia
sull’Heysel", vorrei sapere se sai chi ha coniato questa
definizione, se ti lusinga come credo di sì e perché è
considerato tale ?
"È stata Emanuela Casula, che a
Bruxelles ha perso il padre, Giovanni, e il fratello,
Andrea, la vittima più piccola. Nel 2005 Sky produsse un
documentario sui vent’anni dell’Heysel e in
quell’occasione, dopo essere stati ad Arezzo dalla
famiglia Lorentini e da me, riuscirono a contattare
Emanuela che viveva vicino Roma. Parlando col
giornalista di Sky lei pronunciò quelle parole riferite
al mio libro, il collega fu poi così corretto da
riportarmele. Per me valgono più di qualsiasi recensione
o classifica di vendite, sono la consapevolezza che ho
fatto la cosa giusta e che l’ho fatta nel migliore dei
modi, da giornalista, appassionato, arrabbiato, di parte
(come spiega bene Roberto Beccantini nell’introduzione),
e da uomo. Con Emanuela ci siamo sentiti più avanti,
sono rimasto molto colpito dalla sua lucidità e
dall’elaborazione di quella tragedia, da come era
rimasta sorpresa dalle scuse di Marco Tardelli che da
Giovanni Minoli vedeva per la prima volta certe
immagini. Senza dimenticare che Otello Lorentini, il
quale in curva Z ha perso l’unico figlio Roberto
(medaglia d’argento al valore civile per essere morto
tentando di salvare un connazionale, forse lo stesso
Andrea), già presidente dell’Associazione fra le
famiglie delle vittime di Bruxelles, quando abbiamo dato
il ‘visto si stampi’ mi ha detto: "Ecco, questa è la
verità". Troppo spesso ci si dimentica, infatti, che i
familiari delle vittime sono stati "silenziati" per
diciotto lunghi anni e che il mio libro, volenti o
nolenti, è stato il primo ad aprire uno squarcio sul
velo di omertà che ha sempre coperto la tragedia
dell’Heysel, mi sono chiesto spesso cos’abbia fermato
penne ben più importanti e famose della mia, chissà. Il
loro riconoscimento per me è la cosa più importante,
anche se per onestà intellettuale devo dire che c’è chi,
tra i familiari, mi ha rimproverato per essere stato
troppo crudo e diretto nel racconto".
Benedetto Croce:
Hai letto altre cose
sull’Heysel se puoi dirmi un altro libro che mi
consiglieresti e consiglieresti ai nostri lettori ?
"L’ultima curva" di Nereo Ferlat,
"Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di
dimenticare" di Jean-Philippe Leclaire e "Coriandoli
bianconeri" di Riccardo Gambelli; poi consiglio la
lettura del sito di Domenico Laudadio
saladellamemoriaheysel.it".
BENedetto Croce:
Ogni tanto noto che
hai degli scontri verbali, specie su Facebook, con degli
ultras, soprattutto juventini. Il tuo rapporto con loro
mi pare sia stato sempre molto severo nei loro
confronti, nonostante molti ultras bianconeri oggi hanno
mitizzato questa cosa dell’Heysel, non hai fatto mai
loro nessuno sconto. Mi spieghi perché ?
"Be’ quando si parla di Heysel io
non faccio sconti a nessuno, nemmeno a me, e poi dipende
sempre dall’approccio e dall’educazione. In troppi, in
generale, pensano che sui social o per mail si possa
aggredire senza pagare dazio, per giunta con tanta,
troppa, disinformazione alle spalle. Ma la cosa che più
mi dà fastidio sono coloro che parlano della tragedia di
Bruxelles bypassando i familiari delle vittime, come se
non contassero, come se non dovessero dire la loro, come
se non fossero il fulcro di tutto: dove ci sono i morti,
c’è un dolore enorme che il tempo ha acuito, lì ci sono
famiglie e familiari che meritano memoria e rispetto, se
non altro per l’enorme dignità dimostrata in tutti
questi anni, soprattutto verso chi ha cercato di
dimenticarli. Hai detto bene "hanno mitizzato",
innalzato, messo su un piedistallo senza però farci i
conti veramente, perché è dura, perché è difficile,
perché significherebbe fare i conti fino in fondo anche
con la storia della Juventus e con una coppa che per me
non ha alcun valore sportivo. Dopo di che, per
correttezza, devo sottolineare come ci siano familiari
che la pensano nello stesso modo e altri che invece
considerano quella coppa un trofeo da tenere nello
scranno più alto della bacheca, questa libertà di
pensiero loro se la sono conquistata col sangue quindi
merita il massimo rispetto, gli altri no. Comunque, è
vero, i problemi più grandi li ho incontrati con i
tifosi juventini, da una parte dimostrando quanto non
sia per niente banale o capziosa la mia prima risposta,
dall’altra, però, andrebbe chiesto a loro il perché. Un
morto non è un vessillo, una sciarpa, un trofeo, non si
può sbandierare, si può solo rispettare, se ne siamo
capaci, come Claudio "Il Rosso" che porta allo stadio il
solito striscione in onore dei 39 morti. Anche lui è un
ultrà, anche lui è un tifoso della Juventus, ne difende
i colori, la memoria, così come quella della curva che
ha vissuto in pieno, eppure ci siamo sempre confrontati
con grande civiltà, stima e rispetto. Allora la domanda
la faccio io agli altri, perché ?".
Benedetto Croce:
In passato mi sono
occupato anche io di questo argomento, sono amico di
Carla Gonnelli che ha perso suo papà e che ha rischiato
lei stessa di perdere la vita all'Heysel, e sono amico
di Giulia Bodnari che con suo marito Rossano si occupano
del monumento ai caduti dell’Heysel di Reggio Emilia.
Occupandomi di questo argomento ho trovato spesso che le
stesse famiglie delle vittime forse con un grande senso
di pudore e di dignità hanno rinunciato forse un poco
troppo a raccontare le loro storie. Non so se tu hai
questa sensazione ? È forse accaduto che il dolore le ha
fatte chiudere esageratamente a riccio. Perché è
avvenuto questo ?
"Giulia in questi ultimi anni sta
facendo un lavoro enorme che non potrò mai smettere di
ammirare e ringraziare. In merito ai familiari delle
vittime credo di aver già risposto approfonditamente sui
tanti perché. Alla fine mi rendo conto della fortuna che
ho avuto con Otello Lorentini, lui che aveva assistito a
tutte le udienze del processo in vece delle altre
famiglie, lui che aveva conservato tutto il materiale di
quegli anni, ha permesso di addentrarmi in quella
tragedia dalla porta principale senza dover disturbare
(troppo) il dolore degli altri familiari, non sarebbe
stato facile, non sarebbe stata la stessa cosa, al
contempo ho rischiato molto, sia da uomo che da
giornalista, ma Otello è una persona speciale. Ci sono
mogli che non hanno più rivisto il marito e mi hanno
detto che dopo 28 anni il vuoto è ancora più profondo,
un gorgo impossibile da colmare, ecco basterebbe questo,
basterebbero le vite stravolte di tante persone per
capire che l’Heysel è innanzi tutto la loro storia e
solo in un secondo momento lo è anche della Juventus.
Poteva essere diverso, invece... Ergo, senza rispetto di
modi e parole meglio tacere, tanto nessuno potrà mai
cambiare la storia di quella tragedia e le sue verità".
Benedetto Croce:
Con enorme mia
sorpresa il tuo libro anche a distanza di tantissimi
anni dall’accaduto è uno dei libri ancora più venduti,
perché questa necessità della gente di leggere di questo
argomento ?
"Non ho una spiegazione precisa,
voglio solo sperare che il mio libro piaccia e che ci
sia la volontà di saperne di più su una tragedia troppo
spesso e troppo in fretta dimenticata. Più venduto,
però, non vuol dire automaticamente più successo, per
tutto ciò che ci siamo detti fino ad ora affermerei che
così aumentano i miei estimatori ma anche i miei
detrattori (permettimi la battuta)".
Benedetto Croce:
I responsabili
dell’accaduto hanno pagato tutti o c’è chi l’ha fatta
franca ?
"In primo grado furono tutti
assolti, ma alla fine possiamo dire che c’è stata una
giustizia. Era, però, impossibile pensare che il Belgio
riuscisse a condannare le proprie istituzioni, che
l’hanno fatta letteralmente franca, così ha pagato il
capitano della polizia, Mahieu, per tutti. In compenso
la condanna dell’Uefa è stata storica e ha fatto
giurisprudenza, cosa anche questa mal raccontata e
buttata troppo presto nella soffitta dei ricordi; grazie
al coraggio di Otello Lorentini e dell’avvocato
italo-belga Daniel Vedovatto che l’hanno citata in
giudizio. Anche gli hooligans l’hanno fatta franca, in
relazione a quello che era accaduto, ma la condanna
dell’Uefa andrebbe studiata ancora oggi (soprattutto da
Platini e soci), in questo senso l’appendice
dell’avvocato Vedovatto è illuminante".
Benedetto Croce:
Hai avuto problemi
che so di querele, minacce, o quant’altro, da qualcuno
che magari non ha gradito come hai riportato i fatti ?
Se puoi dirmi anche chi se è possibile, mi piacerebbe.
"C’è stata una querela ma solo per
colpa del vecchio editore e dei suoi collaboratori,
subito ritirata nei miei confronti quando è stato chiaro
l’errore. Per il resto non avevo nulla da temere con due
certificazioni di qualità come quelle di Otello
Lorentini e Daniel Vedovatto. Questo non toglie che il
libro abbia dato fastidio a molti, ma una cosa mi ha
letteralmente scioccato. Ero insieme ad altri colleghi a
una trasmissione televisiva dedicata all’Heysel e in un
momento di pausa uno si avvicina e mi fa: "Ma tu sei
matto ?". "Perché ?", rispondo io. "Dare contro alla
Juventus" chiosa. Non so come devo averlo guardato. Una
cosa è chiara, il libro non fa sconti a nessuno e ognuno
sa come si è comportato, chi ha fatto e detto cosa, ci
sono immagini e foto che raccontano più di ogni libro,
ci sono famiglie che aspettano ancora le scuse, dopo 28
anni. Mi dispiace ma io non faccio sconti a nessuno,
troppo dolore e poca memoria. Poi ci sarebbe una mail…
Che ho promesso di non rivelare a chi me l’ha girata,
sono un uomo di parola e non tradisco".
Benedetto Croce:
La Juventus del
Presidente Andrea Agnelli che rapporto ha con questa
tragedia è cambiato qualcosa rispetto al passato ? Trovi
che la Juventus come giocatori e come squadra dovrebbe
ricordare ogni anno questa ricorrenza magari anche con
dei fiori allo stadio o qualcos’altro ?
"Andrea Agnelli ha il merito,
enorme, di aver riaperto il libro dell’Heysel dopo 25
anni in casa Juventus, un atto di coraggio con la messa
e con una parte del museo dedicata alla tragedia di
Bruxelles (spero che abbiano corretto un cognome di una
delle vittime, inizialmente sbagliato). Mi piacerebbe
che continuasse, non so se hai visto come a Liverpool
(già, proprio loro) ricordano Hillsborough ogni anno,
l’Heysel è la Superga della Juventus, dovrebbero
ricordarla con identico onore e rispetto".
Benedetto Croce:
I giocatori della
Juventus attuale non mi sembrano granché coinvolti nella
cosa è giusto cosi o andrebbero maggiormente informati ?
In fondo anche i più anziani come Buffon e Pirlo
all’epoca dei fatti erano piccolissimi, figuriamoci gli
altri.
"Loro non c’erano, ma Pioli c’era e
pare essersene completamente dimenticato, come Prandelli
d’altronde, peccato li stimo molto come tecnici. A
questi giocatori, a questa nuova Juventus possiamo
chiedere solo il rispetto della memoria, quello che una
grande società deve a una tragedia del genere, basta
imparare da chi ha saputo fare meglio in tutti questi
anni. Il post più emozionante lo ha scritto Del Piero
quando era ancora a Torino, un ricordo di quella notte
da bambino, uno dei suoi "gol" più belli in maglia
bianconera".
Benedetto Croce:
Ti vedremo a Reggio
Emilia quest’anno ?
"Sono un freelance in balia della
professione, quindi non posso fare promesse: se il
lavoro me lo permette ci sarò".
BEnedetto Croce:
Grazie a Francesco
Caremani.
Fonte:
Ilblogdialessandromagno.it
© 22 maggio 2013
Fotografie:
Francesco Caremani © GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
© Salvatore Giglio
© Juventus.com
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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ESCLUSIVA
SALADELLAMEMORIAHEYSEL.IT
"Le verità sull'Heysel"
Intervista esclusiva di Domenico
Laudadio a Francesco Caremani.
DOMENICO LAUDADIO: Carissimo
Francesco, innanzi tutto, grazie per avermi concesso in
esclusiva per il museo virtuale multimediale "39 Angeli
all’Heysel" questo prezioso estratto dei tuoi
sentimenti. La casa degli Angeli è anche casa tua. Hai
intitolato il tuo libro "Le verità sull’Heysel": allora
io, un po’ maliziosamente, proprio come Pilato fece con
Gesù, ti domando: "Che cos’è la verità ?".
"Un titolo è un titolo, necessità
di sintesi e di forza contemporaneamente e questo n’è
stato il risultato. Personalmente rifuggo le categorie
assolute, giusto-sbagliato, vero-falso, ma ho enorme
rispetto per il dolore altrui, rispetto come uomo, che
può tradursi anche nel silenzio, rispetto come
giornalista, che può tradursi, si è tradotto, in un
libro scritto in punta di dita e con la supervisione di
Otello Lorentini, il presidente dell’Associazione tra le
famiglie delle vittime di Bruxelles (che da ogni parte
si è cercato di mettere a tacere per quasi vent’anni),
colui che, da solo, ha sconfitto l’UEFA in tribunale,
facendo giurisprudenza e rendendola responsabile degli
eventi che organizza, colui, l’unico, che ha seguito
ogni udienza del processo e che quel 29 maggio 1985 era
nella curva Z e ha perso Roberto, l’unico figlio,
medaglia d’argento al valor civile per essere morto
mentre tentava di salvare un connazionale, d’argento e
non d’oro per evitargli la diaria, tristezze tutte
italiche…".
DOMENICO LAUDADIO: Se c’è una
verità chi invece ci ha raccontato tante bugie
sull’Heysel ?
"Su tutti le istituzioni belghe e
gli inglesi, le prime per rifuggire le evidenti
responsabilità organizzative prima e legali poi, i
secondi per evitare, così com’è successo, di andare in
galera. L’UEFA sull’agibilità di uno stadio che oggi non
sarebbe omologato nemmeno per una gara di Terza
categoria. In parte i giocatori della Juventus, con una
premessa che rende il loro ostracismo, per me che nasco
tifoso bianconero, per me che li vedevo come degli eroi
moderni, ancora più grave. L’ovvia premessa è che i
giocatori e la società non hanno mai avuto alcuna
responsabilità per ciò che è accaduto, allora perché
raccontare solo in parte quello che era successo nei
momenti precedenti la partita ? Perché raccontare che
non sapevano dei morti, quando i feriti si erano fatti
curare dal medico sociale ? Perché continuare a stare in
silenzio per tutti questi anni ? Per non parlare poi del
premio partita, ancora non è dato sapere, dei 100
milioni che la Juventus consegnò alla Fondazione Umberto
Agnelli, chi li ha dati e in quale percentuale, alla
luce anche della promessa di Boniek di donarlo in
toto…".
DOMENICO LAUDADIO: Francesco, tu
hai sempre paragonato al diavolo in persona l’Heysel, in
che senso ?
"Non mi riconosco in questa
definizione, ma dopo averne parlato per anni non nego
che possa anche averlo detto. Di certo, se
Juventus-Liverpool, sportivamente parlando, era la
partita del secolo, per i valori in campo allora, quello
che è accaduto è stata la tragedia del secolo, non solo
per il numero dei morti (altri stadi, purtroppo, ne
hanno contati molti di più) ma soprattutto per le
modalità…".
DOMENICO LAUDADIO: Si poteva non
giocare quella partita ?
"Non credo, così come ho scritto
nel libro e come, a freddo, ha anche pienamente
affermato Otello Lorentini. Ogni uomo che possa
chiamarsi tale può solo immaginare cosa può aver provato
chi aveva un figlio, un genitore, un amico o un parente
morto, accatastato in un angolo dello stadio, veder
iniziare la partita. Con il senno di poi, ma solo con il
senno di poi, possiamo dire che fu l’unica scelta
decente di quella maledetta notte di follia per evitare
ulteriori scontri e, forse, morti. Ma dopo aver saputo
tutto quello che era successo, mi chiedo come si potesse
esultare e partecipare ai caroselli per strada. Ognuno è
libero di pensarla come vuole, ma è da queste cose, per
me, che s’inizia a discriminare l’uomo dalla bestia.
Esultare sui corpi ancora caldi di 39 tifosi della
Juventus, è bene ricordarlo per gli smemorati, falsi e
ipocriti, rappresenta, secondo il mio umile parere, un
punto di non ritorno".
DOMENICO LAUDADIO: Secondo te,
comunque, la partita fu una partita vera o l’arbitro,
per volontà della UEFA, ne pilotò l’esito dell’incontro,
così da risarcire con la vittoria sportiva la Juventus
che non avrebbe voluto giocarla ?
"Troppa dietrologia alla fine
stanca. Il distinguo è sempre la premessa: è possibile
considerare una partita di calcio quello che accadde
dopo la strage ? Secondo me no. Se, invece, si afferma
che quella era, comunque, una partita di calcio allora
dobbiamo ammettere che fu vera, con grandi parate di
Tacconi e, purtroppo per la Juventus, con una vittoria
arrivata con un rigore che non c’era, il che ha reso il
racconto "sportivo", per chi aveva/ha ancora orecchie e
voglia di ascoltarlo, ancora più triste, volgare e pieno
di inutili dietrologie. D’altra parte, in anni più
recenti, l’UEFA ha fatto giocare un turno di Champions
lo stesso giorno dell’attacco alle Twin Towers, di cosa
meravigliarsi quindi, il punto di non ritorno, anche in
questo caso, ha sempre la stessa data: 29 maggio 1985".
DOMENICO LAUDADIO: Hai mai parlato
con qualcuno dei calciatori della Juventus di quella
finale ? Cosa ti hanno detto ?
"Con Paolo Rossi allo "Sciagurato
Egidio" su Sky Sport, con Marco Tardelli ad Arezzo
quando ha allenato la squadra locale e io stavo
preparando un dvd commemorativo. Paolo Rossi, incalzato
da Porrà (ho ancora la registrazione) ammise che i
giocatori sapevano dei morti prima di scendere in campo,
anche se poi in successive uscite pubbliche ha detto il
contrario. Marco Tardelli è stato ermetico e ha detto
che certe cose nel calcio non dovrebbero accadere… Ogni
commento è ovviamente superfluo e non sto parlando di
due giocatori della Primavera o di due panchinari, ma di
due campioni del mondo, di due colonne portanti di
quella squadra, quindi ognuno può tirare le proprie
somme".
DOMENICO LAUDADIO: Secondo te cosa
sarà mai scattato nella mente di Platini quando,
ricevuta informalmente in una scatola di legno la Coppa
negli spogliatoi, dopo che già si era consumato l’iter
concordato dei festeggiamenti della squadra, è ritornato
in campo con due o tre compagni a mostrarla ai tifosi ?
"Be’, penso che oggi Platini è
presidente dell’Uefa e che per diventarlo ha certamente
messo l’Heysel nel dimenticatoio. Per il resto non sono
così presuntuoso, come quasi sempre chi mi attacca lo è
con me, di sapere chi è Michel Platini come uomo e di
sapere cosa poteva scattare nella sua testa in quel
momento. Ma la tesi dei due-tre compagni è una falso
storico e a dimostrare il contrario ci sono le foto, mi
dispiace, ma nel mio libro ce n’è una con Marco
Tardelli, Antonio Cabrini, Paolo Rossi e un quarto
accanto, credo Sergio Brio, ma non ne sono sicuro, che
esultano circondati dai tifosi. E siamo già a quattro,
ma ci sono altre immagini video dove i giocatori della
Juventus sono molti di più, questi sono documenti, poi
siamo in Italia e ognuno la storia se la racconta come
vuole".
DOMENICO LAUDADIO: Cosa pensi
quando vedi due coppe dei campioni nella sala dei trofei
della Juventus ?
"Che la finale di Roma con l’Ajax è
stata stupenda e quella squadra meritava di vincere 3-1,
dopo una magistrale lezione di calcio agli olandesi,
peccato per tutti gli errori di Gianluca Vialli sotto
rete. La mia memoria sportiva si ferma qui…".
DOMENICO LAUDADIO: Esiste ancora
uno stile Juventus, o mai è esistito prima e dopo
l’Heysel ?
"Credo di no, così come non esiste
uno stile Milan, Inter, Fiorentina, Roma, Lazio, ecc.
Basterebbe citare i cori sui 39 morti juventini per
capire la bassezza di certi frequentatori di stadi. Ogni
società farebbe e fa di tutto pur di riempire la propria
bacheca, evidentemente questo è il tipo di dirigente e
di calcio che piace, visto che in molti hanno continuato
e continuano a seguirlo nel peggiore dei modi".
|
DOMENICO LAUDADIO: Tu eri un
grandissimo tifoso della Juventus da bambino. Cosa pensi
quando vedi una maglia della Juventus oggi ?
"Penso che è bella, ma io sono uno
sportivo vero, non partecipo all’italico sport del
tifare contro o dei club anti qualcosa o qualcuno, se
vedo un errore dell’arbitro a favore dei bianconeri e
quando mi rendo conto che non meritiamo la vittoria non
ci provo gusto. Se poi c’è un disegno naturale per
alimentare le trasmissioni degli urlatori post moderni e
dei movioloni non m’importa, quello non è giornalismo,
così come parlare di arbitri non è parlare di calcio".
DOMENICO LAUDADIO: Ian Rush era in
borghese, durante la ricognizione del campo, insieme a
altri due o tre giocatori del Liverpool ad aizzare la
folla ruggente mentre già inveiva violentemente con
lanci di oggetti e cori aggressivi contro gli inermi
tifosi juventini del settore Z. Lo sapevano, secondo te,
i dirigenti della Juventus quando lo acquistarono tre
anni dopo dal Liverpool ?
"Spero di no, inoltre le stagioni
alla Juventus dell’attaccante gallese sono state
assolutamente indecorose. La cosa peggiore, però, è che
quell’acquisto l’abbiano digerito i tifosi e gli ultrà,
ma tant’è…".
DOMENICO LAUDADIO: Sempre Ian Rush,
ventitré anni dopo ad Anfield Road, nel giro di campo
insieme a Platini, invocava "l’amicizia". Si può
perdonare ? Chi ? Come ?
"Perdonare ? Questo lo possono fare
solo i parenti delle vittime, i feriti gravi e chi
ancora ha gli incubi per quanto accadde quel 29 maggio
del 1985. Non spetta a noi perdonare. D’altra parte
quello che è accaduto nel 2005 è il risultato di tutti
gli equivoci e i silenzi durati vent’anni e nati subito
dopo la tragedia, per mettere a tacere i parenti delle
vittime ed evitare, addirittura, che potessero chiedere
giustizia".
DOMENICO LAUDADIO: Nel libro parli
del tuo rimorso, di un ragazzino che giocava a pallone,
nonostante sapesse della morte del collega amico di tuo
padre, Roberto Lorentini. Pensi che proprio il calcio
possa rimarginare certe ferite ed eventualmente in che
modo ?
"Una volta ci credevo, o forse ci
volevo credere, oggi sono sicuro di no".
DOMENICO LAUDADIO: Quando sei stato
a Bruxelles la prima volta sul luogo della tragedia ?
Puoi cercare di trovare qualche parola che rievochi le
tue emozioni e i tuoi ricordi ?
"E' stata un’emozione fortissima,
mi sono seduto nel punto in cui una volta finiva la
curva Z e c’era la rete che separava i tifosi della
Juventus da quelli del Liverpool, mi guardavo intorno,
cercavo d’immaginare, cercavo di capire, sentivo il
dolore dentro di me e mi sono perso negli occhi di
Otello e Andrea Lorentini, primogenito di Roberto".
DOMENICO LAUDADIO: Con tutto il suo
fardello di dolore, misto a rabbia e impotenza, per una
giustizia invocata, ma lenta, frammentaria e non
imparziale, a tratti beffarda, secondo te da uno a dieci
quanta giustizia è stata fatta agli angeli dell’Heysel ?
"Da un punto di vista processuale
direi 6, per tutta la fatica fatta in un paese straniero
ostile, in quanto messo sotto processo, e con un diritto
diverso dal nostro. Da un punto di vista umano 0, per
tutte le umiliazioni che i parenti delle vittime hanno
dovuto subire e per la mancata memoria che dura ancora
oggi, al di là del libro di Nereo Ferlat, "L’ultima
curva", del mio e di quello di Jean-Philippe Leclaire".
DOMENICO LAUDADIO: Si può ancora
fare qualcosa legalmente per onorarne la memoria ?
"Non so cosa tu intenda per
legalmente, basterebbe farlo umanamente. Comunque una
giornata bianconera della memoria non guasterebbe, ogni
29 maggio, una giornata al Lingotto di Torino in cui
parlare di violenza negli stadi, fair play e cultura
dello sport, parlando soprattutto di calcio come
difficilmente accade in questo paese con istruttori e
personaggi qualificati, pagata dalla Juventus e
organizzata dal tuo sito in collaborazione con tutte
quelle intelligenze e sensibilità che vogliono
partecipare".
DOMENICO LAUDADIO: C’è ancora
tempo, e in che modo, di riparare moralmente all’oblio
di questi ventiquattro anni di silenzio da parte della
società F.C. Juventus per quei 39 caduti, ricoperti
dalle sue stesse bandiere ?
"Forse in molti non si rendono
conto che quando una persona perde un proprio caro in
modo così cruento e ingiusto, quando alla fine nessuno,
o quasi, paga con la galera per 39 morti, quando le
autorità cercano di dimenticare è come se quei morti,
nei cuori di chi li ha amati veramente, morissero una
seconda volta. Riparare, oramai, è impossibile, troppi
silenzi, troppi errori, troppe offese. Più che riparare
direi che bisognerebbe ripartire da zero, anche se dopo
ventiquattro anni molti gesti non avrebbero più il senso
che potevano avere allora, si sono perse e sprecate
tante occasioni".
DOMENICO LAUDADIO: Il Liverpool ha
una pagina commemorativa con i 39 nomi e cognomi delle
vittime nel suo sito ufficiale, la Juventus no.
Inserendo la parola Heysel nel motore di ricerca non si
trova nulla. Ti sembra mai possibile ?
"E' uno dei motivi per cui ho
scritto il libro, trovo e trovavo assurdo che una
tragedia così grande potesse essere dimenticata,
cancellata dalla memoria sportiva italiana. Anche se non
dobbiamo dimenticare che in Inghilterra continuano a
raccontarsi le bugie sui perché di quella tragedia".
DOMENICO LAUDADIO: Due grandi
lampade accese nel simbolo del Liverpool, dopo la
tragedia di Hillsborough. Quale sarebbe, invece, il
segno più efficace e tangibile per le vecchie e le nuove
generazioni nel logo della Juventus per legarlo alla
memoria perenne dell’Heysel ?
"Non saprei, non ci ho mai pensato
e nemmeno sperato…".
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DOMENICO LAUDADIO: Sei favorevole a
un museo della memoria nel nuovo stadio in costruzione ?
"Sì, ma credo che nessuno avrà mai
la forza e il coraggio per farlo".
DOMENICO LAUDADIO: Potrebbe avere
senso spostare quella Coppa dei Campioni dalla bacheca
in una sala alla memoria con una sciarpa appesa a una
delle grandi orecchie accerchiata dalle foto dei 39
caduti ?
"Non credo, di fronte a 39 morti,
dimenticati e mai commemorati come meritavano e meritano
servono gesti, per chi ci crede, più netti".
DOMENICO LAUDADIO: Ho conosciuto in
un forum di tifosi juventini un ferito scampato alla
morte nel settore Z, pur apprezzando la mia iniziativa,
avrebbe preferito rispettassi il dolore di quel giorno
con il silenzio... Cosa rispondergli ?
"Rispetto il suo dolore, come ho
rispettato la voglia di Otello Lorentini, che all’Heysel
ha perso l’unico figlio, di ricordare, raccontare, non
far dimenticare, accompagnandolo in questo cammino".
DOMENICO LAUDADIO: Secondo te c’è
qualcosa che ancora non è stato scritto e detto che
riguardi la mattanza dell’Heysel ?
"E' stato detto e scritto molto,
forse tutto, ma sui biglietti della Curva Z arrivati in
Italia credo ci sarebbe ancora da dire e scrivere,
perché le responsabilità non furono mai del tutto
accertate".
DOMENICO LAUDADIO: C’è qualcosa
ancora che vorresti dire o scrivere tu ed a chi ?
Prenditi tutto lo spazio che vuoi.
"Credo di avere detto e scritto
molto anch’io sull’Heysel. La sorella di Andrea e figlia
di Giovanni Casula, due delle trentanove vittime, ha
definito il mio libro la sua personale Bibbia, molti
tifosi juventini invece non hanno apprezzato il mio
lavoro e la mia battaglia a fianco di Otello Lorentini.
Be’ con chi pensa che quella coppa sia vera, che sia
stato comunque giusto festeggiarla e fregiarsene non ho
assolutamente niente da spartire, né ora né mai".
DOMENICO LAUDADIO: Stilando un
bilancio conclusivo, dal punto di vista umano e
professionale, quanto t' ha arricchito e quanto invece
ti è costato l’Heysel ?
"Dal punto di vista umano
tantissimo, l’amicizia di Otello e Andrea Lorentini su
tutto insieme con la stima e il rispetto di tante
persone che non mi conoscevano come uomo e come
giornalista. Dal punto di vista professionale, invece,
mi è costato molto e preferisco non dilungarmi, diciamo
che ho pagato e sto pagando con gli interessi un atto di
civiltà".
DOMENICO LAUDADIO: Ad Arezzo è
sorta da anni un’associazione di volontariato contro la
violenza nello sport, intitolata a Roberto Lorentini e
Giuseppina Conti. Ce ne parli un po’ più
dettagliatamente ?
"Il "Comitato Lorentini-Conti
contro la violenza nello sport" si batte per veicolare
attraverso manifestazioni sportive e culturali i valori
più sani delle e nelle discipline sportive. Tra le altre
cose si è battuto perché, dopo vent’anni, ad Arezzo
fossero intitolati il piazzale davanti allo stadio a
Roberto Lorentini e quello davanti al palasport a
Giuseppina Conti".
DOMENICO LAUDADIO: Un tempo nelle
arene perivano innocenti sbranati dalle fiere per il
sollazzo di paganti. A Bruxelles sono morti paganti
innocenti fra gli spalti a causa del sollazzo delle
fiere. Dai martiri cristiani sappiamo bene cosa è nato,
quale fiore spunterà dal seme di sangue dei nostri
angeli all’Heysel ? O sono morti invano ?
"A ben guardare quello che è
accaduto negli stadi italiani negli ultimi ventiquattro
anni direi che sono morti invano. Io, però, continuo a
nutrire un barlume di speranza e a pensare che se
degnamente ricordati e commemorati ogni anno, quei 39
angeli possono ancora insegnarci molto, soprattutto ai
tifosi della Juventus, che sembrano i primi ad averli
dimenticati".
DOMENICO LAUDADIO: Francesco tu sei
credente come me. Pensi mai al momento in cui
riabbraccerai Roberto Lorentini magari nell’altra
dimensione oltre la vita ?
"Purtroppo non possiedo una visione
così ampia della mia vita terrena ed extra, però mi
piacerebbe sapere che ne pensa del lavoro che ho fatto
insieme con suo padre e suo figlio per recuperare una
memoria che in troppi hanno cercato di cancellare".
DOMENICO LAUDADIO: Ammesso tu ne
voglia fare menzione pubblica, hai mai ricevuto segnali
medianici occupandoti dell’Heysel ?
"No, mai".
DOMENICO LAUDADIO: Carissimo
Francesco, ti ringrazio ancora di cuore e ti abbraccio
per il privilegio di questa intervista. Ti prego di
portare un mio affettuoso saluto alla famiglia Lorentini.
Hai tutto lo spazio che vuoi per le tue conclusioni
finali.
"Il privilegio è stato mio e grazie
a te per quello che stai facendo, con la speranza che
nessuno possa ancora infangare il tuo lavoro e la
memoria dell’Heysel".
DOMENICO LAUDADIO: Grazie di cuore,
Francesco, da parte di tutti quelli che non hanno
dimenticato i caduti dell'Heysel.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 16 Maggio 2009
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