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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL |
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Le verità sull'Heysel
Cronaca di una strage
annunciata
di Francesco Caremani
Il
29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, prima
della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool,
muoiono 39 tifosi. Muoiono, soffocati dalla calca e
schiacciati dal muro che delimita il settore Z, sotto i
colpi degli hooligans inglesi instupiditi dall’alcool
con la connivenza decisiva delle autorità e della
polizia belghe, incapaci di prevedere e intervenire. Una
tragedia annunciata che si abbatte con disperante
drammaticità sul calcio come sport e sulle coscienze di
tutti noi come uomini prima ancora che come sportivi.
Una ferita aperta e mai rimarginata, perché non si può e
non si deve morire di calcio. Tutti hanno raccontato
quello che è successo prima di Juventus-Liverpool, molti
hanno raccontato il durante e il dopo, anche il proprio,
ma nessuno si è mai veramente addentrato nelle scomode
verità. Gli effetti personali rubati, l’arroganza
dell’autorità, la lunga, faticosa e snobbata battaglia
legale portata avanti dall’Associazione delle vittime,
da Otello Lorentini che in Belgio ha perso il figlio
Roberto. L’umanità calpestata di 39 famiglie tra
meschinità d’ogni genere. Questo libro è un atto dovuto
alla memoria e alla dignità di 39 persone che hanno
perso la vita per assistere a una partita, per ricordare
ciò che l’ambiente calcio ha cercato troppo spesso e
troppo in fretta di dimenticare. Prefazione di Roberto
Beccantini.
Fonte: Francesco Caremani
(Testo
©
Fotografie)
Icona: Itcleanpng.com ©
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Le verità nascoste sull'Heysel
di Luca Maugeri
I retroscena della strage di
vent'anni fa in un libro. Perché la voglia di
dimenticare è così forte ?
Stadio Heysel di Bruxelles, 29
maggio 1985. E' la finale di Coppa dei Campioni, a
contendersela ci sono Juventus e Liverpool. Prima del
fischio d'inizio si compie una delle più gravi stragi
che il calcio e lo sport abbiano mai conosciuto. La
furia ubriaca di un gruppo di hooligans inglese si
avventa sui tifosi juventini posizionati nel settore Z
dello stadio. Trentanove i morti, di questi trentadue
sono italiani. Dopo vent'anni, in testa restano solo
frammenti. L'uomo con la pancia enorme, sdraiato sulla
schiena, e il rianimatore che quasi si arrampicava su di
lui per pompargli il massaggio cardiaco, però scivolava,
non ci riusciva, tutto era fretta e impaccio e assurda
morte. Oppure i gendarmi a cavallo, assurdi, una giostra
comica nella tragedia, andavano avanti e indietro
roteando i manganelli nell'aria, gridando cose
fiamminghe. E i salvati, quelli che chiedevano ai
giornalisti di chiamare casa per loro, e porgevano
bigliettini con i numeri di telefono. E le sciarpe
bianconere a terra e sul prato, le bandiere strappate,
le scarpe, una piccola di bambino, i resti della vita
che fino ad un'ora prima c'era, era lì in curva e
cantava nel "settore Z", poi aveva ceduto in uno
schianto. Una rete da pollaio divideva gli italiani
dagli inglesi, c'era un tramonto rosso pazzesco, erano
rosse anche le maglie degli hooligans che tiravano sassi
e bastoni contro gli juventini. Gli italiani
indietreggiano, gli inglesi insistono, incoraggiati,
avanti. Dalla televisione si capiva e non si capiva,
c'era quest'onda umana, un movimento progressivo verso
sinistra. Si va avanti così già da qualche minuto:
carica dei "reds", breve ritirata, la polizia inerme.
Bianconeri in fuga. Quelli che cercano di scappare
addossati al muretto alla base del settore Z sono
troppi. Il muretto crolla e loro cadono per 15 metri,
altri continuano a fuggire e si calpestano l'un l'altro
prima che a passeggiare sulla testa dei caduti siano gli
hooligans. Molti si mettono in salvo e racconteranno.
Quelli rimasti a terra finiscono soffocati, schiacciati
o carne straziata dalla rete di recinzione in ferro. Tra
queste persone c'è anche un medico aretino di 31 anni,
sposato e con due piccoli figli. Il suo nome è Roberto
Lorentini. Ha affrontato la lunga trasferta in Belgio
con il padre Otello. Ma Roberto muore, mentre stava
tentando di soccorrere un ferito. Per questo motivo gli
verrà conferita la medaglia d'argento al Valor Civile
alla memoria dalla presidenza della Repubblica italiana.
Il signor Otello si fa in seguito promotore della
creazione dell'"Associazione delle vittime dell'Heysel".
Tutto il materiale conservato negli anni con cura
certosina dal padre di Roberto è stato trasformato in un
libro, "Le verità sull'Heysel", Libri di Sport editore,
grazie alle capaci e sensibili mani di Francesco
Caremani, giornalista aretino amico dello stesso Roberto
Lorentini. Immergendosi nella lettura di questo
"documento" si scoprono tutti i retroscena di quella
strage. Ma, come se non bastasse, si scopre tutto il
male che è stato commesso verso quelle 39 vittime negli
anni a seguire, attraverso una vergognosa e infamante
serie di processi e di scontri, che hanno portato solo
ad un responso: dimenticare, dimenticare tutto. Tutti
hanno voluto dimenticare la tragedia e i suoi morti:
l’UEFA, il Belgio, la Juventus, la città di Bruxelles, e
la polizia.
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Come se nulla fosse successo,
impedendo spesso la possibilità di commemorazioni. Hanno
addirittura cancellato lo stadio, ricostruendolo e
cambiandogli nome, nella speranza di eliminare anche il
ricordo di quella tragica sera. La realtà è che nessuno
ha mai voglia di parlarne. Come fosse un ricordo
ingombrante. Ma Francesco Caremani non ha avuto peli
sulla lingua. Ha messo nero su bianco tutta la verità,
nuda e cruda, a volte anche un po' forte, ma certamente
una verità onesta. Il libro è scritto con il cuore. E
come ha scritto Roberto Beccantini, l'autore della
prefazione, è stato scritto "senza astio, senza paura,
senza secondi o terzi fini. Pane al pane". Il libro si
apre con le testimonianze di chi c'era, quel giorno e in
quel luogo d'inferno. Sono testimonianze taglienti,
vere, assolutamente e incredibilmente autentiche.
Testimonianze che portano profonde riflessioni a chi
legge, che cercano di entrare nel racconto, di
incrociare i vari ricordi e provare a immaginarsi quelle
scene: l'insulso odio degli hooligans, i corpi
accatastati, l'avanzare degli inglesi che lanciano per
aria gli effetti personali dei tifosi esanimi. Uno
sfregio alla persona e alla sua dignità. E poi la
partita, iniziata alle 21,41 col sangue intorno al campo
e sulla pista di atletica e poliziotti a cavallo che
roteano i manganelli e una fila di agenti che separa le
due tifoserie nel settore Z, irriconoscibile come dopo
un attentato, e giocata sino in fondo nonostante tutti
sapessero e tutti conoscessero esattamente cosa era
successo. L'agonia della premiazione, mentre il sangue è
ancora fresco al suolo del settore Z, e poi solo la
voglia di sparire. Ma le immagini del giro d'onore con
la coppa in mano sono una scena da brivido, una scena da
cancellare dalla storia dello sport, se ancora di sport
si può definire. E in questo caso proprio non si può. La
coppa, come ha giustamente scritto qualcuno, doveva
essere lanciata verso la tribuna, verso i dirigenti
dell'Uefa che hanno voluto quello stadio e quella
vergognosa organizzazione. L'Associazione fondata da
Otello Lorentini ha anche condotto una battaglia legale.
Si è aperta un'inchiesta, c'è stato un processo, delle
inutili sanzioni, degli umilianti risarcimenti. Ma
soprattutto c'è stata l'indifferenza e la totale
mancanza di rispetto nei confronti di 39 vittime. Che
ancora oggi chiedono giustizia. Impossibile chiedere
perdono, sicuramente non con queste premesse e non con
questo sfondo. Tutte queste sensazioni, tutte queste
testimonianze sono il sale stesso del libro di Caremani.
Un libro che sarà sicuramente scomodo per qualcuno, ma
necessariamente vero e necessariamente dovuto. Già,
proprio dovuto, perché questo libro era, ed è, un
doveroso omaggio verso quelle 39 vittime. Non hanno
avuto giustizia in un’aula di tribunale, ma hanno
comunque il diritto di far sapere a tutti la loro
storia. Per avere una giustizia morale, perché la gente
sappia e perché le verità non rimangano nascoste, così
come molti hanno fatto e continuano a fare. Qualcuno, un
giorno, ha scritto che "nessuna persona è morta finché
vive nel cuore di chi resta". E se chi resta ha il cuore
di Otello Lorentini e la capacità di Francesco Caremani
di tradurre questi sentimenti in inchiostro, possiamo
stare tranquilli. Sono certo che Roberto, così come gli
altri 38 tifosi del settore Z, rimarranno vivi nel cuore
di chi leggerà le pagine di questo libro. Oggi, dopo
vent'anni, la memoria è qualcosa che brucia ancora e non
dà risposte, non dà spiegazioni, proprio come quella
sera all'Heysel.
Fonte:
llcannochiale.it © 13 aprile
2005
Fotografie: GETTY
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Video: SKY ©
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Heysel, la notte in cui morì lo
sport
di Roberto Carnero
Le verità sull'Heysel. Cronaca di
una strage annunciata Francesco Caremani Libri di Sport
Edizioni pagine 160, euro 13,00. Perdere la vita per
assistere a una partita. Questo assurdo paradosso si è
realizzato tante, troppe volte. E per cause diverse:
molto spesso quando la tifoseria dello stadio ha finito
con il trascendere, senza alcun senso della misura, i
propri limiti. Quella dell'Heysel - Bruxelles, 29 maggio
1985, quando, prima della finale di Coppa dei Campioni
Juventus -Liverpool, morirono 39 tifosi italiani
attaccati dagli hooligans inglesi - è una vicenda
esemplare ed emblematica. Una storia che però si è
cercato di dimenticare in fretta, forse anche perché
pesava come un macigno sulla coscienza di coloro che,
nonostante si sapesse quanto era accaduto, decisero di
giocare comunque la partita. Esultando, alla fine, per
la vittoria della Coppa da parte della squadra
bianconera e festeggiando il risultato con i cadaveri
dei tifosi ancora caldi. Per non parlare di quelli che,
anti-juventini nel midollo, gioirono per quei morti. Ma
davvero con queste cose lo sport non ha nulla a che
vedere. Utile a rinverdire la memoria, per fare i conti
con quanto è accaduto, giunge ora un libro firmato da
Francesco Caremani. Giornalista sportivo e storico dello
sport, Caremani ci offre una ricostruzione precisa di
quella giornata e di quanto ne seguì. Poi dalla
ricostruzione scaturisce, nitida, una riflessione su
tutta la vicenda. E in questa felice dialettica tra
scrupolo documentario e coinvolgimento emotivo risiede
il pregio principale del libro: l'autore era
adolescente, all'epoca dei fatti, e ricorda lo shock
della perdita, all'Heysel, di una persona che conosceva
bene, un amico di famiglia, Roberto Lorentini, il cui
padre, Otello, alcuni mesi dopo, sarebbe stato il
promotore dell'Associazione delle vittime. Proprio dal
rapporto con Otello Lorentini, che ha fornito a Caremani
materiali e documenti, è nata l'idea del volume. Un
libro-inchiesta, un libro-denuncia, scritto, come si
diceva, per ricordare e per far ricordare: "Per questo -
afferma Caremani - il libro ha un senso, perché solo la
memoria restituisce dignità al dolore, l'oblio lo
scolpisce e la rabbia l'inaridisce con tutto quello che
vi sta intorno. Capisco anche che per molti l'Heysel è
ormai una tragedia lontana dai cuori e dalle menti, ma
ci sono drammi che non dovrebbero essere mai
dimenticati, perché dietro a ogni dramma c'è una persona
e il rispetto per la sua vita, per il suo essere stato
in vita". Rispetto che, nel caso dell'Heysel, è parso
essere stato negato. Una delle questioni aperte e più
controverse è quella relativa all'opportunità di far
giocare la partita dopo quanto era successo. Sappiamo
che l'allora presidente del consiglio italiano, Bettino
Craxi, non voleva farla disputare, ma che il ministro
belga oppose motivi di ordine pubblico. Craxi, a sua
volta, opponeva le ragioni di ordine morale. Col senno
di poi, forse, la celebrazione, fino in fondo, del rito
sportivo, rappresentò il male minore: se i giocatori
avessero abbandonato lo stadio senza giocare, la
tragedia avrebbe potuto essere ancora più grande.
"Giochiamo per voi, giochiamo perché ci hanno chiesto di
farlo", disse rivolto ai tifosi Gaetano Scirea. E pare
che furono le autorità e il delegato UEFA a insistere
affinché i giocatori, al termine della partita, si
recassero sotto la curva dei loro tifosi per
"festeggiare". Insomma, una commedia portata avanti per
necessità, a denti stretti e con prova di professionismo
da parte degli atleti bianconeri. Eppure - nota Caremani
- davvero fu dissonante l'esultanza di questi ultimi
dopo la vittoria, come sembrarono fuori luogo le parole
di Bruno Pizzul il quale, al termine di una
faticosissima telecronaca, disse che il significato
sportivo della gara era riuscito, per qualche minuto, a
far dimenticare la tragedia. "Ma quale significato
sportivo ?", si chiede Caremani. E conclude, riassumendo
il senso del suo lavoro: "La mia vuole essere una
fotografia, come quelle in bianco e nero, quelle che
raccontano la storia delle persone comuni, proprio
quando il calcio, l'ambiente calcio, ha cercato di
cancellare ogni ricordo di quella notte, di quella sera
di maggio in cui, probabilmente, lo sport è morto per
sempre". Ma - aggiungiamo noi - un libro come questo,
scritto da uno juventino doc, eppure lucido e impietoso
perché onesto, può aiutarlo a rivivere.
Fonte:
L'Unità © 18 gennaio 2004
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Le verità sull'Heysel
La recensione al libro di Francesco
Caremani
di Andrea Parodi
Stadio Heysel di Bruxelles, 29
maggio 1985. E' la finale di Coppa dei Campioni, a
contendersela ci sono Juventus e Liverpool. Prima del
fischio d'inizio si compie una delle più gravi stragi
che il calcio e lo sport abbiano mai conosciuto. La
furia ubriaca di un gruppo di hooligans inglese si
avventa sui tifosi juventini posizionati nel settore Z
dello stadio. 39 i morti, di questi 32 sono italiani.
C'è anche un medico aretino di 31 anni, sposato e con
due piccoli figli. Il suo nome è Roberto Lorentini. Ha
affrontato la lunga trasferta in Belgio con il padre
Otello. Ma Roberto muore, mentre stava tentando di
soccorrere un ferito. Per questo motivo gli verrà
conferita la medaglia d'argento al Valor Civile alla
memoria dalla residenza della Repubblica italiana. Il
signor Otello si fa in seguito promotore della creazione
dell'"Associazione delle vittime dell'Heysel". Tutto il
materiale conservato negli anni con cura certosina dal
padre di Roberto è stato trasformato in un libro, grazie
alle capaci e sensibili mani di Francesco Caremani,
giornalista aretino amico dello stesso Roberto Lorentini,
che conduce il lettore alla ricerca delle verità su
quella strage. Leggendo il libro di Caremani non si sa
più se piangere o se prendere a pugni il libro... Tanta
è la rabbia ! Già, perché immergendosi nella lettura si
scoprono tutti i retroscena di quella strage. Ma, come
se non bastasse, si scopre tutto il male che è stato
commesso verso quelle 39 vittime negli anni a seguire,
attraverso una vergognosa e infamante serie di processi
e di scontri, che hanno portato solo ad un responso:
dimenticare, dimenticare tutto. Tutti hanno voluto
dimenticare la tragedia e i suoi morti: l’UEFA, il
Belgio, la JUVENTUS, e la città di Bruxelles, la
polizia. Come se nulla fosse successo, impedendo spesso
la possibilità di commemorazioni. Hanno addirittura
cancellato lo stadio, ricostruendolo e cambiandogli
nome, nella speranza di eliminare anche il ricordo di
quella tragica sera. La realtà è che nessuno ha mai
voglia di parlarne. Come fosse un ricordo ingombrante.
Ma Francesco Caremani non ha avuto peli sulla lingua. Ha
messo nero su bianco tutta la verità, nuda e cruda, a
volte anche un po' forte, ma certamente una verità
onesta. Il libro è scritto con il cuore. Ed è questa la
cosa più importante. O, come ha scritto Roberto
Beccantini, l'autore della prefazione, è stato scritto
"senza astio, senza paura, senza secondi o terzi fini.
Pane al pane". Il libro si apre con le testimonianze di
chi c'era, quel giorno e in quel luogo d'inferno. sono
testimonianze taglienti, vere, assolutamente e
incredibilmente autentiche. Incredibilmente, sì, perché
tutto sembra così assurdo e impossibile.
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Testimonianze che portano profonde
riflessioni a chi legge, che cercano di entrare nel
racconto, di incrociare i vari ricordi e provare a
immaginarsi quelle scene: l'insulso odio degli hooligan,
i corpi accatastati, l'avanzare degli inglesi che
lanciano per aria gli effetti personali dei tifosi
esanimi. Uno sfregio alla persona e alla sua dignità. E
poi la partita, giocata ugualmente nonostante tutti
sapessero e tutti conoscessero esattamente cosa era
successo. Un rigore inesistente, l'agonia della
premiazione, mentre il sangue è ancora fresco al suolo
del settore Z, e poi solo la voglia di sparire. Ma le
immagini del giro d'onore con la coppa in mano sono una
scena da brivido, una scena da cancellare dalla storia
dello sport, se ancora di sport si può definire. E in
questo caso proprio non si può. La coppa, come ha
giustamente scritto qualcuno, doveva essere lanciata
verso la tribuna, verso i dirigenti dell'Uefa che hanno
voluto quello stadio e quella vergognosa organizzazione.
Le famiglie delle vittime ancora oggi chiedono una
simbolica rinuncia a quella coppa, in modo che risulti,
per sempre, "non assegnata". Dopo il danno, la beffa.
Che inizia a strage non ancora conclusa. Perché i corpi
vennero sezionati come maiali per l'autopsia e non
ricuciti ? Perché in Italia qualcuno pianse sulla bara
di un altro tifoso ? Perché gli oggetti personali furono
portati via dai cadaveri ? Una storia purtroppo di soli
18 anni fa. Non siamo mica nel medioevo. E neanche nella
Spagna della Controriforma. Siamo nel XX secolo, nella
democratica e civilissima nazione belga, cuore politico
della costituenda Unione Europea. Non nella struttura
sperduta di un paese del terzo mondo. L'Associazione
fondata da Otello Lorentini ha anche condotto una
battaglia legale, si è aperta un'inchiesta, c'è stato un
processo, delle inutili sanzioni, degli umilianti
risarcimenti. Ma soprattutto c'è stata l'indifferenza e
la totale mancanza di rispetto nei confronti di 39
vittime. Che ancora oggi chiedono giustizia. Impossibile
chiedere perdono, sicuramente non con queste premesse e
non con questo sfondo. Tutte queste sensazioni, tutte
queste testimonianze sono il sale stesso del libro di
Caremani. Un libro - verità che sarà sicuramente scomodo
per qualcuno, ma necessariamente vero e necessariamente
dovuto. Già, proprio dovuto, perché questo libro era, ed
è, un doveroso omaggio verso quelle 39 vittime. Che se
non hanno avuto giustizia in un’aula di tribunale, hanno
comunque il diritto di far sapere a tutti la loro
storia. Per avere una giustizia morale, perché la gente
sappia e perché le verità non rimangano nascoste, così
come molti hanno fatto e continuano a fare. Qualcuno, un
giorno, ha giustamente scritto che "nessuna persona è
morta finché vive nel cuore di chi resta". E se chi
resta ha il cuore di Otello Lorentini e la capacità di
Francesco Caremani di tradurre questi sentimenti in
inchiostro, possiamo stare tranquilli. Sono certo che
Roberto, così come gli altri 38 tifosi del settore Z,
rimarranno vivi nel cuore di chi leggerà le pagine del
libro di Francesco. E allora mi piace immaginarli sugli
spalti dell'Olimpico il 22 maggio 1996, come se nulla
fosse successo, a festeggiare la prima e unica Coppa dei
Campioni della storia bianconera. Così come dovrebbe
essere per una partita di calcio. Perché, come
giustamente ci trasmette Andrea Lorentini nella sua
bella e intensa presentazione, il calcio è vita. Non
dimentichiamolo, mai.
Fonte:
Lastampa.it © 14 dicembre
2003
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© Salvatore Giglio
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Seconda recensione sul libro
di Stefano Olivari
Non ci sono parole per spiegare a
un ragazzo dai vent'anni in giù che cosa sia accaduto il
29 maggio 1985 a Bruxelles, prima della finale di Coppa
Campioni fra la Juventus di Platini e dei campioni del
Mondo e il Liverpool di Dalglish e Rush. Non a caso
tutti gli articoli commemorativi sono basati più sulle
reazioni a quei fatti che sui fatti in senso stretto,
come se una tragedia avesse valore solo quando ci tocca
da vicino. Non ci sono parole, ma c'è un libro, "La
verità sull'Heysel', di Francesco Caremani, che abbiamo
letto pur avendo la presunzione di sapere ormai tutto,
su quei 39 morti e su quelle centinaia di feriti, dopo
aver letto e ascoltato centinaia di testimonianze e di
polemiche. E a leggerlo abbiamo fatto bene, perché i
fatti hanno una forza che anni e anni di ipocriti "quel
giorno è morta anche una parte di me stesso" pronunciati
da chi quella coppa l'aveva festeggiata non hanno per
nulla sminuito. Va detto che quella di Caremani è una
ricostruzione dei fatti che non ha come stella polare
l'originalità, essendo stato scritto sull'argomento
tutto e il suo contrario, ma che proprio per questo il
libro sconvolge. La sensibilità dello scrittore, ma
anche del conoscitore di calcio internazionale,
impedisce lo schematismo inglesi hooligans animali e
italiani simpatici escursionisti pacifici (i giornali
dell'epoca ce li ricordiamo, tre quarti degli articoli
erano di questo tenore), ma nel caso specifico le
biografie di vittime (32 italiani su 39 morti) e
carnefici parlano da sole. Non a caso in quel settore Z
non era prevista nessuna presenza di tifo italiano
organizzato, ma una sorta di zona cuscinetto. Per vari
canali, da bagarini a rivendite belghe fino ad agenzie
viaggio che si erano procurate quei biglietti fiutando
l'affare, però in quel settore c'erano principalmente
italiani, nemmeno tutti juventini e quasi nessuno ultrà.
Tante storie che messe insieme valgono più della somma
delle singole storie. Le testimonianze di chi c'era, per
capire l'inadeguatezza dell'Heysel ad ospitare l'evento.
Il cantiere vicino allo stadio, per i più pericolosi
tifosi del Liverpool vera miniera di armi. L’ottusità
nei controlli, con gli hooligans che entravano a gruppi
e gli italiani del settore Z (ripetiamo: che tutto erano
tranne che ultras) perquisiti in maniera tignosa.
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La
faciloneria dell'Uefa, dopo il buon andamento, sul piano
dell'ordine pubblico, di Roma-Liverpool dell'anno prima
(merito dell'organizzazione italiana, una volta tanto).
La arrogante inettitudine della polizia belga. Il muro
crollato, per alcuni causa di molte morti in più, per
altri apertura di una via di salvezza. Gesti generosi e
gesti di sciacallaggio, lo scempio dei cadaveri, con
autopsie fatte con supponenza e razzismo. Sì, autopsie
con razzismo. Senza tirare fuori Marcinelle, il Belgio
ne esce a pezzi. E poi il processo, che fa
giurisprudenza introducendo il principio della
corresponsabilità dell'Uefa (o di chiunque organizzi un
evento) nei fatti accaduti allo stadio, ma con la
condanna solo di pesci piccoli, qualche relitto della
società inglese, la censura dell'operato di qualche
poliziotto sull'orlo della pensione, e un po' di soldi
distribuiti fuori tempo massimo. Con la sentenza proprio
durante i Mondiali del '90, che cade nel vuoto
mediatico. Un libro scritto da un giornalista che è
stato un ragazzo juventino, ma che a diversi juventini
non è piaciuto e non piacerà, non fosse altro che per la
sottolineatura dell'indifferenza manifestata da
dirigenti e da atleti nel "dopo", volendo proprio
assolverli per le reazioni a caldo. Questa è una
recensione, non un processo, e in un altro spazio
affronteremo il tema dei giocatori che forse "sapevano"
e della partita "finta", con esultanza finale dei
giocatori che però era sembrata vera. Allo stadio ma
anche al ritorno in Italia, scendendo dalla scaletta
dell'aereo con la coppa in mano, e con tanti inviti non
espliciti, ma proprio per questo più odiosi, a
dimenticare. Forse nel nome dello spettacolo che deve
andare avanti. Da juventino Caremani avrebbe voluto la
restituzione della coppa, con un "Non assegnata"
nell'albo d'oro che avrebbe impedito l'oblio, ma nella
società bianconera questa tesi non ha mai trovato
terreno fertile. E crediamo nemmeno fra la maggioranza
dei tifosi juventini. Un libro giornalistico con tanti
punti di forza e uno solo, secondo noi, di debolezza:
quello di ritenere le morti di calcio o per il calcio
più assurde di altri tipi di morte, e quindi, in un
certo senso, più gravi. L'autore era amico personale di
uno dei morti dell'Heysel, Roberto Lorentini, medico
eroico (aggettivo per una volta non usato a proposito),
che nel fuggi fuggi generale avrebbe potuto salvarsi se
non si fosse fermato a praticare la respirazione bocca a
bocca a un altro tifoso sfortunato, un bambino. Pochi
secondi che hanno fatto la differenza fra la vita e la
morte: per il padre Otello, intervistato da Caremani, e
per le tante persone che gli volevano bene, rimangono
l'orgoglio e una medaglia d'argento al valor civile. Per
quella d'oro bisognava morire due volte, forse.
Fonte:
Indiscreto.it © 14 dicembre 2003
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Francesco Caremani
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"Le verità sull'Heysel"
Un libro ripercorre la storia della
strage, in cerca dei veri colpevoli.
Testimonianze inedite,
ricostruzioni minuziose e precise su quello che è
successo dopo: è stato presentato ieri ad Arezzo, nella
Sala dei Grandi della Provincia, il libro di Francesco
Caremani "Le verità sull'Heysel". Cronaca di una strage
annunciata (Libri di Sport Edizioni, 13 euro, 160
pagine, www.libridisport.it). "Un libro scomodo", lo ha
definito Roberto Beccantini nella bella prefazione. Un
libro che ripercorre la storia della strage più grave
mai avvenuta in un campo di calcio, quando il 29 maggio
1985, prima di Juventus-Liverpool, allo stadio Heysel di
Bruxelles morirono 39 persone, 32 delle quali italiane,
sotto la mano assassina degli hooligans inglesi e con la
connivente incapacità di prevedere e prevenire della
Gendarmeria, del ministero degli Interni e della
Federcalcio belgi da una parte, dell'Uefa dall'altra.
Questa è la tesi dalla quale muove Caremani, con
documenti e testimonianze anche inedite, come quella di
una sopravvissuta, Paola Maltoni, che ha raccontato per
la prima volta la propria fuga dalla "curva della
morte". Chi ha venduto i biglietti del settore Z agli
italiani ? Perché dentro lo stadio c'era poca polizia ?
Perché, terminata l'autopsia, i morti non sono stati
ricomposti ? Perché il Belgio ha sempre impedito di
onorare la memoria di quelle vittime ? Tutte domande che
nel libro trovano risposta. Ma non solo. L'opera
ripercorre la battaglia legale portata avanti
dall'Associazione fra le famiglie delle vittime di
Bruxelles, fondata ad Arezzo e presieduta da Otello
Lorentini, che all'Heysel perse l'unico figlio, Roberto,
di appena 31 anni. Una battaglia in cui i familiari sono
rimasti completamente soli, assordati dal silenzio delle
istituzioni calcistiche e politiche italiane.
L'Associazione è riuscita ad arrivare in Cassazione
facendo condannare l’UEFA alla corresponsabilità per
tutti gli eventi che organizza, creando un precedente
che ha fatto giurisprudenza.
Fonte:
Corriere della Sera (Firenze) © 14 dicembre 2003
Fotografie: GETTY
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