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Piazzale
Stadio
"Roi
Baudouin"
Bruxelles 9.07.2013 |
28° Anniversario Strage
Stadio Heysel Bruxelles |
Omaggio Floreale alla Lapide
in Memoria delle 39 Vittime |
Commemorazione Privata a Cura di
Lorenzo Benocci |
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Il mio viaggio
all'Heysel
Per non dimenticarli
di Lorenzo
Benocci
Ci sono quei pochi
scalini da salire, una volta arrivati alla
penultima fermata della linea 6, quella di
colore azzurro. E poi, giunti in cima, lo
sguardo va, in modo naturale, dove deve andare.
Con un groppo in gola. Con gli occhi che
diventano lucidi. Sono all’uscita della
metropolitana di Bruxelles, fermata Heysel. A
sinistra c’è lo stadio oggi intitolato a Re
Baldovino. Sono passati 28 anni e poco più di un
mese da quel 29 maggio del 1985. Quella sera la
mia Juventus giocava un’altra finale di Coppa
dei Campioni dopo soli due anni da quella
sfortunata di Atene, dove il più debole e
sottovalutato Amburgo ci beffò con il diabolico
Magath. Ma ora abbiamo la possibilità di rifarci
contro quel Liverpool che l’anno prima aveva
trafitto ai rigori la Roma, direttamente a
domicilio. Ricordo perfettamente quella serata.
Con l’ansia di un bambino torno a casa con mio
babbo, dopo essere stato come tutti i mercoledì
a scuola di musica. In auto parliamo della
partita, e di cos’altro potevamo parlare ?
L’ansia pre-partita stava crescendo. Ma dalla
radio apprendiamo che qualcosa non è andato come
doveva andare e che anche lo svolgimento della
partita sarebbe stato in dubbio. Poco dopo,
siamo davanti alla tv, a vedere quelle immagini
terribili, di guerra più che di sport, senza
capire fino in fondo cosa stava accadendo. In
quei momenti un altro bambino di quasi undici
anni, esattamente della mia età, si trovava allo
stadio proprio nel settore maledetto con suo
padre. Insomma, un sogno, per lui, poter vedere
la Juve che gioca una finale. Ma quel bambino la
partita non l’ha mai vista, ed a casa non c’è
più tornato. Così come suo babbo ed altri 37
spettatori, di cui 32 tifosi della Juve. I 39
angeli dell’Heysel. Sono passati 28 anni, ma
sembra un giorno. Una tragedia che nessuno potrà
dimenticare, troppo intensa, troppo assurda,
anche perché sarebbe potuta accadere a chiunque.
Inutile ricordare i fatti e le responsabilità,
le sappiamo. In cuor mio da sempre mi sarebbe
piaciuto fare una visita allo stadio maledetto;
senza un motivo apparente, solo per toccare quei
muri dove si è compiuta una delle più crudeli
brutalità della storia recente, non solo dello
sport. Solo per riflettere. 39 persone che sono
morte mentre aspettavano l’inizio di una partita
di calcio. Assurdo. Finalmente sono potuto
andare a Bruxelles (per altri motivi), e così il
mio viaggio all’Heysel si è compiuto.
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Chiedo ad un giovane
operaio che stava lavorando all’ingresso dello
stadio dove fossero la lapide alla memoria e la
meridiana che proprio nei giorni scorsi la
municipalità di Bruxelles ha deciso di salvare
dall’abbattimento dello stadio (e la costruzione
di un nuovo impianto nello stesso punto), grazie
ad una petizione organizzata da alcuni
fantastici tifosi della Juve. L’operaio mi
risponde che non lo sapeva. Anche altri due
ragazzi che facevano jogging nel perimetro
esterno dello stadio non avevano mai saputo che
ci fosse la lapide. Mi rendo conto che il Belgio
ha voluto dimenticare in fretta questa pagina di
vergogna, il nome dello stadio - oggi Re
Baldovino - me lo conferma. Arrivo finalmente
nel lato dell’ingresso principale e sullo sfondo
noto la meridiana. Qualche passante mi guarda
stranito, pensa a che cosa ci possa fare con il
mazzo di fiori gialli che tengo in mano. Mi
dirigo dritto verso la meridiana, ci sono le 39
luci - ovviamente di giorno sono spente - ma
nemmeno una targhetta a spiegare che cosa
significhi questo anonimo monumento. Qualche
metro davanti nel muro dello stadio la famosa
lapide, con i nomi dei 39 angeli caduti quel 29
maggio, inaugurata nel ventennale della tragedia
dal borgomastro della capitale belga. C’è anche
il nome di quel bambino, Andrea Casula, a cui
tante volte ho pensato in questi anni. E ci sono
tutti gli altri. Mi metto a riflettere, a
ripensare alle immagini di quel giorno viste
tante volte, ai giornali che ho conservato ed
ogni tanto rispolverato. Mi chiedo perché è
potuta succedere una cosa del genere. Perché le
forze dell’ordine, l’organizzazione della finale
e chiunque potesse evitare questa tragedia non
ha fatto niente per evitarla. Mi chiedo se fosse
stato utile e giusto giocare quella partita. E
se i giocatori bianconeri avessero dovuto alzare
quella Coppa al cielo. Mi chiedo perché la
Juventus, intesa come società, non ha fatto
abbastanza per ricordare i fratelli bianconeri
morti all’Heysel. Mi chiedo perché persone
"normali", per bene e all’apparenza pacifiche,
quando vanno allo stadio e quando parlano di
Juve debbano avere questo odio inspiegabile che
va oltre lo sport fino a profanare persino la
memoria di vittime innocenti.
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E perché lo sport non
debba rimanere tale invece di valicare il
confine dell’inciviltà e dell’odio, come nemmeno
nelle guerre fatte per motivi più importanti ciò
accade ? Indossare una maglia del Liverpool con
la scritta "meno" e il numero "39" è una
vergogna bella e buona; così come i cori che
dopo 28 anni risuonano ancora in alcuni (molti
purtroppo) stadi italiani. Ci vuole rispetto
qualunque sia il colore calcistico di ognuno.
Riesco poi ad entrare dentro lo stadio, e mi
orizzonto fino ad arrivare a quello che fu il
settore Z. L’emozione è ancora maggiore. Mentre
appoggio il mio mazzo di fiori in quella
gradinata mi siedo e penso ancora a quelle
immagini di sangue e di morte. Guardo il punto
dove Zibì Boniek subì il fallo da rigore, la
porta dove Michel Platini segnò il gol decisivo
dal dischetto. La cabina - anche se oggi
trasformata dopo la ristrutturazione dello
stadio - dove Scirea lesse la comunicazione che
la partita si sarebbe giocata per motivi di
sicurezza. Esco e torno davanti alla lapide ed
un giovane padre di famiglia, mi passa vicino,
gli chiedo se può farmi una foto e parliamo del
mio mazzo di fiori. Si ricorda - mi dice - della
tragedia dell’Heysel anche se le sue
informazioni sono molto incerte e frammentarie.
Gli dico che non ho parenti o amici fra quei 39
morti, ma che sono qui "solo" per ricordare quei
tanti fratelli bianconeri, che erano ognuno di
noi. Insieme ai fiori anche il biglietto che ho
portato a nome di tutti gli amici dello Juventus
Club Doc Valdorcia-Valdichiana "Beppe Furino":
"In memoriam - 39 angeli sempre nei nostri
cuori". Depongo il mazzo di fiori, è l’ora di
ripartire. Dopo qualche passo mi giro indietro,
un gruppetto di cinque - sei persone si avvicina
a leggere la lapide e il biglietto nei fiori.
Ciao Andrea, ciao angeli dell’Heysel, nessuno di
noi vi dimenticherà mai. Un ultimo pensiero è
per le loro famiglie, ma anche per Andrea
Agnelli e per la società: caro presidente, si
può fare di più per ricordare l’Heysel,
basterebbe davvero poco e con costi irrisori. Un
monumento all’esterno dello Stadium, una sezione
nel sito ufficiale, o qualunque altra cosa. La
Juventus è tornata a vincere, è un modello
sportivo e manageriale, lo deve essere anche di
umanità. Non dimentichiamoli, mai.
Fonte:
Agenziaimpress.it
©
11 luglio 2013
Fotografie:
Lorenzo Benocci
©
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