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Settore
Z
Stadio
"Heysel"
Bruxelles 7.03.1990 |
Quarti di Finale della Coppa dei
Campioni
Malines - Milan |
Omaggio Floreale in Memoria
delle 39 Vittime |
Commemorazione a Cura dell'Associazione
Calcio Milan |
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Dead Flowers:
quando il Diavolo ha sfiorato l’inferno
dell’Heysel
di Andrea
Saronni
Nuovo
appuntamento con Sympathy for the Devil: Milan,
storie e rock and roll: uno spazio a cavallo tra
passato, presente e futuro al ritmo di un brano
che evoca più di una suggestione sull’argomento
proposto.
C’è stata una volta in
quei favolosi anni ’80 che andare a San Siro, di
sera, nel tepore di giugno, non fu esattamente
dolce. Milan-Juventus, quarti di finale andata
Coppa Italia. Fino a due settimane prima, roba
buonissima per noi, giovani rossoneri affamati;
dopo, un piatto avariato, avvelenato,
completamente rovinato dalla stricnina
dell’Heysel. Ventinove maggio
millenovecentoottantacinque, lo sanno tutti,
impossibile dimenticare, ingiusto,
irresponsabile dimenticare. Esattamente due
settimane dopo, 12 giugno, l’appuntamento di
Milano. Per la prima volta da quella orribile
notte di Bruxelles, la Signora si rimetteva in
maglietta e pantaloncini, tornava in campo per
fare il suo mestiere, giocare a calcio. Sugli
spalti, dagli spalti nemmeno uno striscione
bianco e nero, forse qualche bandierina. Gli
juventini, pochi e mesmerizzati in un pubblico a
sua volta tutto meno che sansiresco. Il cielo
coperto, da pesante cappa estiva milanese,
rendeva perfettamente l’atmosfera di piombo di
quella sera. Era strano, particolare per tutti -
non solo per chi era un supporter di Madama -
ripresentarsi in uno stadio, fosse anche la casa
San Siro, con quelle immagini ancora fresche
negli occhi. La carica, il muretto, le urla, le
cataste di corpi, le robe oscene che avevamo
visto soprattutto nel dopo, nei telegiornali,
negli speciali televisivi terminati, di fatto,
solo pochi giorni prima. Federazione, Lega, la
stessa Juventus optarono per un cerimoniale
sobrio, quasi impalpabile, il minimo sindacale.
La lettura di un breve comunicato, il lutto al
braccio, il minuto di silenzio. Le squadre
entrarono in campo, qualche applauso, dai
popolari e dai distinti un paio di tazebao con
parole di cordoglio: l’aria pesava un quintale
in quel minuto di silenzio rotto solo da un
isolato urlo proveniente dalla zona
Brigate-Fossa. "Ladri di merda". Seguito in
tempo reale da un urlo adiacente, e ancora più
forte: "Stai zitto, (bestemmione atomico)".
Prima di sciogliersi in un doveroso, sentito
applauso dedicato alle vittime, qualcuno riuscì
persino a sorridere o ridere di quell’improvvido
sketch. Forse persino concordato, chissà, per
eludere in qualche modo la consegna del rispetto
del raccoglimento che la curva si era
autoimposta, gesto minimo e comunque cancellato
da un paio di "Liverpool, Liverpool" che
partirono durante la partita.
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Soli quattordici
giorni dopo, e buonanotte alla presa di
coscienza, al senso di civiltà e rispetto a cui
ci appelliamo ancora oggi di fronte ai soliti
cori, ai soliti striscioni e magliette da
decerebrati. Non poteva che finire 0-0, senza
gol e senza gioia, senza l’adrenalina prodotta
da qualsiasi Milan-Juventus che porti in dote
dei punti, degli obiettivi. Un Diavolo molliccio
e stoppato anche dai pali (tre) contro una Juve
spuntata, scesa sul prato senza tutto l’attacco
titolare, senza Platini, estenuato dal dolore e
dalle polemiche. Centravanti gobbo era il
leggendario Giovanni Koetting, ala destra un
ragazzo di 19 anni, Scola, sparito in tempo zero
da qualsiasi almanacco. Il Milan si prese poi la
qualificazione a Torino, pochi giorni dopo, un
lampo di Virdis bastò in uno stadio ancora più
grigio, triste, bagnato da una pioggerella quasi
autunnale, quasi più folta la rappresentanza
rossonera rispetto a quella degli juventini,
cuori sepolti insieme ai loro fratelli di tifo
sotto le macerie dell’Heysel. Heysel che non era
per nulla cambiato cinque anni dopo, quando il
Diavolo - suo malgrado - si è trovato ancora con
la faccia davanti all’incubo, ai fantasmi. Il
Milan di Sacchi e degli olandesi contro i
piccoli grandi rognosi belgi del Malines nei
quarti di Coppa Campioni. Che chiese e ottenne
dall’Uefa di potere disputare il match interno a
Bruxelles: sapete, l’incasso. E chi li rivede
più in una volta sola Gullit, e Van Basten, e
Maldini, tutti i nomi che sappiamo. Giunse il
"sì", e giunse sulla testa dell’Associazione,
prima squadra a recarsi all’Heysel dopo quella
orrenda notte del 29 maggio.
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Volarono critiche ad
altezza uomo, specialmente da parte
dell’Associazione dei familiari delle Vittime.
Ma il Milan dovette subire la decisione, l’ok
della Uefa non ammise trattative, dubbi. E poi,
pensandoci, dopo 57 mesi e passa questa poteva
essere davvero l’occasione non solo per fare più
cassetta (anche l’Associazione, va ammesso), ma
per un ricordo, una partecipazione, un gesto. E
qui sì, la società provò a fare ben più di
qualcosa, scontrandosi con il muro di gomma
delle autorità della capitale e della stessa
Uefa, che dissero no a tutto: nessuna
commemorazione ufficiale, una messa celebrata
alle 8.30 della mattina della partita, niente
lutto al braccio, nessun minuto di silenzio. No
alla richiesta di potere deporre una corona di
fiori sulle gradinate di quel settore che tutti,
in Italia, ricordavano benissimo.
Dall’altoparlante, un breve comunicato seguito
da una musica sparata a tutto volume mentre
Franco Baresi, accompagnato dall’allora
direttore organizzativo Paolo Taveggia, si
recava a posare un mazzo di 39 rose rosse ai
piedi della Curva Z. Frettolosamente
ribattezzata come "settore Nord-Nord". Ma era
sempre lei, quel sinistro sudario di cemento
marcio, alle sue spalle ancora il cantiere
abbandonato del 1985 da cui gli hooligans
attinsero altri bastoni, pietre, altre armi per
condurre poi la loro folle e assassina presa del
territorio. Qualcuno nei pressi pensò bene di
tirare pure qualche oggetto verso il capitano e
Taveggia, niente di che: ma fu il timbro su una
certezza vigente da cinque anni a questa parte,
vale a dire che per loro, per i belgi, l’Heysel
e i suoi morti rappresentavano un fastidio, una
seccatura provocata anche (o soprattutto) degli
italiani. Gente venuta a turbare la loro quiete,
l’ordine, le regole, il lifestyle da bravi
ragionieri dell’esistenza, non troppo differente
o persino eguale agli altri, agli inglesi che
avevano invaso, spaccato, devastato, colpito,
ucciso.
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Guarda il caso, anche
in quest’altra partita in cui il Diavolo sfiorò
l’Inferno del calcio venne vissuta in grigio: un
altro 0-0, e grazie a Giovanni Galli, forse alla
sua migliore prestazione in assoluto in
rossonero. Da album dei ricordi preziosi,
invece, il ritorno, 2-0 ai supplementari, in 10
contro 11, Preud’homme che parò tutto tutto meno
l’ultima zampata felina di Marco Van Basten. Lì
si era già tornati agli standard normali, di
piedi e di testa, di cuore. La nube dell’Heysel
si era allontanata - forse fin troppo - dalla
testa dei milanisti e di tutti quanti, salvo
palesarsi poi in occasione degli anniversari,
degli incroci scomodi che il calcio, come la
vita, a volte provoca liberando tutti in un
colpo i cattivi ricordi. Che vanno tuttavia
trasformati in memoria, in coscienza. In
consapevolezza acquisita di come un
Milan-Juventus, un Malines-Milan, un
Milan-Chiunque possono azzerarsi nei
significati, svolgersi senza gioia, con la
zavorra di un’ombra, di un disagio. Baresi posò
quelle 39 rose, la domenica seguente -
Juventus-Milan, guarda te il destino - ebbe in
ritorno un applauso, uno striscione, una
manifestazione di gratitudine. I belgi le
sbatterono invece in un bidone, chissà, forse
immediatamente dopo la fine della partita. A
farle morire subito, un’altra volta. Chiudendo
gli occhi, non pensandoci nemmeno un secondo.
Sperando che qualcuno venisse a portarlo via
subito, quel bidone.
Fonte:
Spaziomilan.it
©
30 maggio 2015
Fotografia: Magliarossonera.it
© Colombo Labate
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Un mazzo di
fiori fra le urla dei Belgi
BRUXELLES -
Cinque anni dopo, nessuna memoria. Il pochissimo
che è stato fatto per ricordare il massacro
dell'Heysel, lo ha fatto il Milan. Ieri mattina,
alle 8.30, la messa celebrata in italiano dal
reverendo Veimer ha avuto il conforto di
venticinque presenze: undici rappresentanti del
Milan (fra cui l'amministratore delegato
Galliani, Sacchi e Donadoni), una decina di
cronisti, qualche amico del celebrante. Nessuna
traccia della municipalità belga, dei
rappresentanti del Malines, e soprattutto della
Juventus. Ercole Dalma, il giovane picchiato
martedì sera (i medici dell' ospedale cittadino
di Brugnam gli hanno riscontrato un ematoma alla
testa e una lussazione alla spalla) è stato
denunciato a piede libero per resistenza e
tentata aggressione a pubblico ufficiale. Il
tutto, condito dalla squallida sceneggiata delle
manette mentre il giovane (che è nato a Pescara
ma vive qui da vent'anni con la sorella e la
madre) si stava recando al lavoro. Il Milan gli
ha garantito copertura legale nel processo che
si svolgerà nei prossimi giorni attraverso
l'avvocato Cantamessa, a seguito della squadra.
Nel pomeriggio il numero dei fermati (tutti poi
rilasciati) è progressivamente salito. Prima
sette milanisti trovati in possesso di petardi,
poi cinque italiani residenti in Lussemburgo, a
cui sono stati trovati addosso dei bastoni.
Infine due bagarini (uno italiano e uno
spagnolo) a loro volta identificati poco prima
della gara. Poco prima delle 20, quando il Milan
ha fatto il suo ingresso in campo per il
riscaldamento, il direttore organizzativo Paolo
Taveggia, tenendo fra le mani un mazzo di
trentanove rose rosse, ha accompagnato Baresi
sotto la curva della tragedia. E' stata una
scena allucinante: la banda ha continuato a
suonare in allegria, mentre i tifosi belgi
scandivano il nome del Malines. Deposti i fiori,
i due milanisti sono tornati sui loro passi a
capo chino, solo un tiepido applauso alle
spalle.
Fonte: La
Repubblica © 8 marzo 1990
Fotografie: Magliarossonera.it
© Colombo Labate
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