DARIO MANGIACASALE
GRAZIE
Ciao
Domenico, mi sento di darti del "tu" nonostante non ci
conosciamo. Sono Dario, tifoso della Juventus dalla nascita.
Sono nato nel 1984, un anno prima dell'immane tragedia che,
nonostante non è stata vissuta da nessun mio familiare in prima
persona, ha segnato il muovere i miei primi passi verso il tifo
per una squadra di calcio. Questo perché mio padre, tifoso
juventino anche lui, era davanti alla tv quel 29 maggio 1985, ad
assistere a quella che doveva essere la partita della definitiva
consacrazione della Juventus in campo europeo e che, invece, fu
l'inizio di un incubo. Essendo calabrese, non avevo la fortuna
di poter assistere alle partite dal vivo della Juventus, anche
perché mio padre, nonostante non fosse presente allo stadio
Heysel, ogni qualvolta gli chiedevo di portarmi allo stadio mi
diceva: "No, è troppo pericoloso !". Me lo ripete ancora adesso,
quando gli dico che seguirò la Juventus in qualche trasferta.
Non ti dico il terrore che ebbe quando portò me e mio fratello
per la prima volta allo stadio, nel 1991, al Nicola Ceravolo di
Catanzaro, per assistere al Memorial Nicola Ceravolo, partita
Catanzaro-Juventus. Noi eravamo in tribuna ed eravamo tra i
pochi a sfoggiare la bandiera bianconera in un ambiente a dir
poco ostile ai tifosi juventini. Al gol di Angelo Alessio (la
partita finì 0-1), noi esultammo e dalla curva incominciò a
piovere di tutto: lattine, bastoni, ecc.
Ecco, questo è stato il mio
primo approccio a una partita dal vivo in uno stadio di calcio.
Ricordo il terrore negli occhi di mio padre che ci prese e ci
portò via, nonostante la partita non fosse ancora terminata. Lo
vedevo in difficoltà alle domande che io e mio fratello, da
bambini vispi e curiosi, gli rivolgevamo: perché fanno questo,
siamo solo dei bambini ? Perché quando la Juventus gioca in
Europa non hai gli occhi felici, ma malinconici ? Perché
arriviamo in finale di Champions dopo 11 anni dalla tragedia
dell'Heysel e, ancor prima di sapere il risultato, mi definisci
quella Coppa come "maledetta" ?
Credo non sia un caso che la
Juventus non abbia mai imposto, durante una finale europea
secca, il proprio predominio dimostrato nelle fasi eliminatorie
(escluse logicamente quelle perse con Ajax e Amburgo). C'è
qualcosa che "blocca" i nostri giocatori quando scendono in
campo per una finale di Coppa dei Campioni, e credo che a
distanza di anni il peso di quella notte ce lo portiamo ancora
addosso. Forse questo accade perché non si è mai dato il giusto
risalto a quella storia, perché si è sempre cercato di
nasconderla, di dimenticarla. Invece, a ogni vigilia di una
finale, si sarebbe dovuto dire che si giocava per la memoria,
cosicché anziché la paura ci sarebbe stato un senso di
appartenenza e quella carica in più per portare a casa la
vittoria. Di tanto in tanto mi fermo a pensare a ciò che
successe quella tragica notte a Bruxelles. In questi giorni mi è
capitato di ritornare spesso sul NOSTRO sito (mi piace chiamarla
così la splendida bacheca della memoria che ci hai messo a
disposizione), perché ciò che accadde quella notte appartiene a
tutti noi, è un insegnamento prezioso. Rivedendo quelle immagini
che ho avuto, per ragione di età, la fortuna di non vivere in
diretta, mi ritornano in mente i racconti di mio padre,
annacquati dal fatto che non poteva dirci per filo e per segno
ciò che accadde veramente, data la crudeltà degli eventi e data
la nostra tenera età. A distanza di anni, però, capisco tutto.
Capisco quando non mi portò con sé alla semifinale di U.E.F.A
contro il Barcellona, capisco perché non mi volle con sé alla
finale di ritorno di U.E.F.A. contro il Borussia Dortmund e
capisco il perché ha sempre cercato (a distanza di anni, invano)
di tenermi lontano da quel mondo, da quella zona franca quale
reputo essere il campo di calcio, dove tutti dimenticano di
essere esseri umani ancor prima che tifosi. Quest'anno dovevo,
per la prima volta, affrontare la trasferta di Firenze, avevo
già il biglietto, ma essendo solo e dovendo affrontare,
all'uscita dello stadio, un pezzo a piedi, ho rinunciato. La
cosa più tragica è proprio questa, e cioè che a distanza di
quasi 30 anni si è ancora nella situazione di temere una
trasferta, di pensarci non una, ma 1000 volte ad andare in città
dove, se scoprono che sei di una squadra diversa dalla loro, ti
va bene se te la cavi con calci e pugni.
Scusami se mi sono dilungato
troppo con le parole, ma è deviazione professionale essendo io
un cantautore nonché collaboratore per il sito www.tuttojuve.com
e realizzatore di una rubrica su www.obiettivojuve.it. In realtà
ti invio questo messaggio per due motivi. Il primo è per
dimostrarti tutta la mia solidarietà e disponibilità per
qualsiasi necessità, di ogni genere. Il secondo è che, essendo
io un utente di twitter, ho notato che su questo importante
social network non esiste una pagina dedicata ai 39 angeli
dell'Heysel. Mi era venuta voglia di farne una, ma poiché tu sei
il baluardo di tale memoria, c'ho pensato bene e credo che tu
sia la persona più adatta a farlo, quindi il mio non è
nient'altro che un monito a te di realizzarne una e dare il
giusto risalto a una tragedia che va ricordata, non dimenticata.
Come ho scritto sul mio blog, la Juventus ancor prima di
fregiarsi dei trofei vinti, dovrebbe attingere dal ricordo di
chi ha fatto la sua storia donandole la vita. Mi riferisco ai 39
angeli dell'Heysel, a Gaetano Scirea, ad Andrea Fortunato, ad
Alessandro Ferramosca e a Riccardo Neri. Io non ho avuto ancora
la fortuna di entrare nel nuovo museo della Juventus e volevo
chiederti come è stata trattata questa storia all'interno
dell'edificio che celebra la storia della società. Quella Coppa
merita un ricordo particolare, quella Coppa è la più importante;
è la più triste, ma anche la più bella: perché è intrisa
d'amore, amore che dà persino la vita. GRAZIE.
Dario Mangiacasale
26 giugno 2012
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
A-Z |
MARCO
1970
Ricordo solo che a fine partita
piangevo...
Sono
passati 22 anni e il peso opprimente di quella notte irreale
ancora è vivido nella mia memoria... Avevo 15 anni e frequentavo
il primo superiore, l'anno scolastico volgeva al termine e di
studiare quel giorno proprio non se ne parlava affatto.
Attendevo la partita con la stessa ansia con cui un innamorato
aspetta la propria donna e in cuor mio ripensavo alla finale di
Supercoppa di quattro mesi prima con il Liverpool, schiacciato e
azzerato dalla doppietta di Boniek a Torino. Vivo l'attesa
spasmodica e penso che non ci sarà un'altra Atene, quel gol di
Magath me lo sono sognato per due anni, ma oggi ritengo che si
potrà festeggiare qui a Roma la vittoria della coppa,
ricordandomi che la Roma l'anno prima aveva perso la finale
proprio con i Reds, qui all'olimpico... Forse ai romanisti non
dispiacerebbe se qualcuno li vendicasse. E' ora !! Accendo la tv
e mi accorgo dello strano collegamento con lo stadio... Non
riesco a capire cosa sia successo, poi Pizzul spiega per sommi
capi quanto accaduto, ma il senso e le dimensioni della tragedia
ancora non sono definite, nei numeri, nelle coscienze... Si
vedono solo scene convulse nell'irreale luce calda del tramonto
che penetra le tribune, una parte dello stadio è crollata, si
vede bene, c'è un mucchio di macerie, transenne, polvere,
stracci… Polizia a cavallo che bivacca attorno alla ressa di
gente che si agita, corre ovunque alla ricerca di spazi aperti,
alla ricerca di qualcuno che non trova. Io lì, impotente dietro
ad uno schermo con il vecchio logo Rai che gioca ai quattro
cantoni. Man mano che passa il tempo e la partita non inizia
penso ad una beffa, ad un tragico scherzo del destino, questa
coppa non è la nostra coppa, quando potremo mai godere di vera
gioia nell'attesa, nell'evento e nel post partita ?? Poi vedo i
capitani che arrivano in tribuna stampa... Gaetano legge il
comunicato, giochiamo per voi... Per un momento mi sfiora l'idea
che in fondo gli incidenti siano stati sopravvalutati, che non
sia morto nessuno, perché altrimenti che senso avrebbe giocare ?
Quindi si gioca !! Se si "gioca" si vince e se si vince si
gioisce... Le squadre scendono in campo e da qui in poi il
ricordo è cancellato, come un' audiocassetta non mi permette di
ricordare null'altro che il rigore inesistente fischiatoci a
favore, l'esultanza di "le Roy" e una grande parata di Tacconi
sul finale che salva il risultato e Ian Rush che non sbuccia un
pallone annullato da Brio per novanta minuti. Null'altro !!
Ricordo solo che a fine partita piangevo... Piangevo come un
bambino, ma non era un pianto di gioia... Prevaleva la rabbia di
non aver potuto godere di una vittoria normale. Oggi penso di
essere stato cinico, spietato, senza anima, in cuor mio volevo
che la partita si giocasse, giustificai l'errore arbitrale del
rigore inesistente con la lontananza dell'arbitro rispetto alla
zona dove fu commesso il fallo su Boniek, volevo assolutamente
vedere i miei giocatori alzare quella coppa e sentirla mia e mi
accorgo, invece, che quella coppa non è di nessuno. Credo che la
Juventus stia pagando una sorta di maledizione per questa coppa.
Sono convinto che Boniperti avrebbe dovuto opporsi a giocare la
finale, fregandosene altamente dei dirigenti UEFA, di eventuali
sanzioni, ecc... Forse per questo siamo la squadra che ha perso
più finali, forse per questo non riusciremmo a vincerla neanche
se giocassimo in quaranta contro 11, forse per questo abbiamo
perso finali dominate. Questo mio memoriale, vuole essere una
postuma richiesta di perdono a quelle 39 anime che hanno perso
la vita nella notte di sport più assurda della storia.
29 maggio 2008
Fonte: Vecchiasignora.com
A-Z |
Onorare la memoria
Avevo
29 anni all'epoca ed ero, come lo sono adesso, tifoso della
Vecchia Signora. Ero stato a vedere la finale della Supercoppa
Europea a Torino, proprio contro i Reds del Liverpool, nel
gennaio dello stesso anno, il 1985 dove, dopo un viaggio
allucinante in mezzo a bufere di neve, vincemmo la coppa con due
goals segnati da Boniek con un insolito pallone rosso. Attendevo
dunque la finale dell'allora Coppa dei Campioni con
un'impazienza che mi faceva contare i giorni. In quei tempi
gestivo un negozio-edicola assieme ai miei indimenticati
genitori, anche loro tifosi bianconeri ed in negozio erano
frequenti le discussioni calcistiche con juventini e non.
Ricordo che programmammo la trasferta assieme a due amici,
Moreno e Adriano e quest'ultimo si incaricò di trovare i
tagliandi per andare a Bruxelles. Dopo alcuni giorni, dopo
esserci fissati un appuntamento, ovviamente nel mio
negozio-ritrovo, Adriano arrivò trionfale dicendoci di aver
trovato i biglietti per l'agognata partita ma, alla domanda su
quale fosse il settore destinatoci, la delusione fu grande
quando ci rispose: la curva opposta al tifo organizzato
bianconero. Ci dette garanzie sul fatto che quel settore avrebbe
ospitato i cosiddetti tifosi neutrali, i belgi e qualche tifoso
occasionale italiano, come appunto lo saremmo stati noi, ma a me
e Moreno la cosa non piacque per nulla. Cavolo, andiamo a vedere
la finale e dobbiamo stare in un settore così, senza il calore
del nostro tifo vicino ? Personalmente dissi che avrei preferito
vederla a casa assieme ai miei genitori che non in un settore
come quello. Anche Moreno storse la bocca e disse che non
sarebbe andato. Adriano ci rassicurò dicendo che aveva trovato
altre persone disposte ad acquistare i sospirati tagliandi
(difficilissimi da trovare in quei giorni) e che non dovevamo
preoccuparci, visto che lui sarebbe andato comunque assieme a
queste persone. Ripensai molto a quel rifiuto e mi chiesi se non
avessi così perso un'occasione unica, quella cioè di aver visto
la mia Juve vincere finalmente la sospirata Coppa. Mio padre,
che aveva seguito la Juventus in ogni dove, era stato persino a
Bilbao nella finale del 1977, dove avevamo conquistato la prima
Coppa internazionale, quella meravigliosa Coppa Uefa, mi disse
che avevo fatto la scelta giusta, avremmo visto e tifato la
finale assieme. Ricordo che il pomeriggio della partita girai
tutto il giorno con la mia motocicletta per la città, con un
foulard della Juve, in una città generalmente ostile alla mia
squadra, come a voler ostentare una sicurezza in una vittoria
che stavolta non poteva sfuggirci. Non attesi nemmeno la
chiusura del negozio, incombenza che lasciai ai miei, e corsi a
casa per accendere il televisore, imprecando mentalmente ed
invidiando in quel momento il mio amico Adriano che se la
sarebbe goduta in diretta. Purtroppo le immagini che apparirono
non erano le solite della vigilia di una grande finale, bensì un
De Laurentis parecchio sbigottito, raccontava di scontri
avvenuti dentro lo stadio e le immagini, con persone
insanguinate e ferite che passavano davanti alle telecamere,
confermava che tutto ciò era realmente avvenuto ed in maniera
anche parecchio grave. Al ritorno dei miei assistemmo tutti e
tre assieme a quella che, nel tempo, è poi diventata una delle
serate, delle telecronache, di un qualcosa che andava oltre ogni
immaginazione. Non starò a
fare la descrizione di quello che oramai sappiamo tragicamente
tutti. Al goal di Platini nessuno di noi esultò (e mio Padre,
ripeto, era un tifoso davvero viscerale forse, anzi sicuramente,
superiore a me). Al termine della partita ci avviammo a letto,
quasi senza nemmeno riuscire a commentare l'orrore a cui avevamo
assistito. Fortunatamente il giorno successivo, in negozio, non
ci fu assolutamente nessuno che fece alcun commento inopportuno,
anzi, negli occhi di tutti ricordo che notai un malcelato
disagio, quasi come l'aver timore di dire anche solo una parola
fuori luogo in quella terribile occasione. L'unica nota stonata
nel paese fu una vergognosa scritta vergata nella notte, proprio
sul muro della palestra che allora frequentavo anch'io. Ricordo
che mi informai e riuscii, tramite amici comuni, a sapere chi
era stato l'artefice di quel gesto infame. Dissi alle persone
che lo conoscevano che sarebbe stato bene che quella scritta
fosse fatta sparire immediatamente da quel muro e che sarebbero
dovuti essere proprio gli autori del gesto a doverla cancellare.
Così fu. La notte successiva, fu cancellata. Il mio amico
Adriano tornò, ferito, dopo tre giorni ed andammo, io e Moreno,
a trovarlo a casa sua. Era a letto ed in evidente stato di
shock; i suoi pantaloni insanguinati erano sulla poltrona
accanto al letto; era sangue non suo e lui, in lacrime, ci disse
che per salvarsi aveva dovuto calpestare delle altre persone
riuscendo, magro com'era, a sgattaiolare nella parte alta della
maledetta curva, per lasciarsi cadere nel vuoto all'esterno.
Negli anni ho sempre provato una sensazione strana dentro di me
riguardo a quella maledetta notte; come se inconsciamente mi
incolpassi per non essere andato, come se avessi "lasciato da
solo" il mio amico e "idealmente" anche le persone rimaste
vittime e ferite. Con il carattere protettivo che avevo e che
ancora ho, sarei sicuramente rimasto a picchiarmi con gli
inglesi, non immagino con quali conseguenze, però forse avrei
potuto fare qualcosa per qualcuno di loro. Se penso però agli
occhi dei miei amati Genitori, che non ci sono più, se penso al
dolore ed alla paura che avrei generato nei loro cuori,
ringrazio il Signore per aver fatto quella scelta. L'unica cosa
che posso e che possiamo tutti fare, è quella di mantenere viva
la memoria nei confronti delle persone che non ci sono più,
onorandole e pregando per loro e di adoperarci tutti per far sì
che cose come questa non debbano mai più accadere.
30 Maggio 2014
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
A-Z |
SILVIO
MIA
Trent’anni fa l’Heysel
Il
29 maggio 1985 rimarrà una data ben scolpita nella mente di
tutti, juventini e non, perché la tragedia che si è
materializzata quella sera è stata veramente un dramma che va
oltre ogni immaginazione. Mi ricordo che nell’Azienda in cui
lavoravo c’era molta attesa per questo incontro. Per una volta
non vedevo aggirarsi gufi o fantasmi anti-juventini e mi
sembravano tutti sinceri e convinti nell’affermare che questa
per la Juventus sarebbe stata la volta buona. D’altra parte a
Gennaio, in una gelida ed innevata notte torinese, i bianconeri
avevano fatto le prove generali battendo al Comunale i reds di
Liverpool per 2 a 0 con un doppietta di Zibì Boniek, il "bello
di notte", copyright Avvocato Agnelli. Il risultato aveva
permesso di mettere in bacheca la Supercoppa Europea, disputata
in qualità di detentori della Coppa dei Campioni da parte del
Liverpool e della Coppa delle Coppe da parte della Juventus.
Nella stagione precedente, gli inglesi avevano battuto a Roma in
finale i giallorossi padroni di casa dopo i calci di rigore,
mentre la Juventus aveva superato a Basilea 2 a 1 il Porto con
le reti di Vignola e Boniek. A conferma su quanto pensavo della
sincerità dei miei colleghi, venne fatta una mega colletta cui
parteciparono tutti, compresi anche quelli che non si
interessavano di calcio. La colletta serviva per pagare un
pasticcere che in caso di vittoria della Juventus avrebbe dovuto
costruire un torta raffigurante un campo di calcio, con una
Coppa di cioccolato nel mezzo. Arrivato il fatidico giorno già
dal mattino la tensione e l’adrenalina stavano superando i
livelli di guardia. Con mio fratello, tifoso granata, avevo
programmato la visione dell’incontro a casa di amici juventini,
dove alla faccia della scaramanzia in frigorifero riposavano in
attesa della vittoria una bottiglia di Champagne ed una torta.
Arrivati con qualche minuto di anticipo, ci siamo sistemati
nelle posizioni strategiche, quelle che portano bene, vestiti di
maglie juventine, con le immancabili sciarpe bianconere al
collo, eravamo in attesa del collegamento. Appena la Rai si è
collegata con lo stadio teatro della sfida, sentendo la voce del
telecronista Bruno Pizzul che parlava in tono molto sommesso di
incidenti che erano avvenuti e che stavano continuando, abbiamo
capito che qualcosa di grave era successo, anche se non nelle
proporzioni con cui poi si è materializzato. Si pensava ai
soliti scontri tra tifoserie ed a qualche contuso, ma alla
notizia data da Pizzul che sul prato giacevano dei morti, nei
nostri pensieri tutto si poteva pensare meno che alla disputa
della partita. Si pensava ai tifosi partiti per assistere ad una
festa di sport ed alle loro famiglie sconvolte dalle notizie che
stavano arrivando. Quello che irritava era vedere la Polizia
belga che invece di intervenire, osservava lo scempio che gli
Hooligans stavano continuando a fare, provocando la fuga dei
tifosi italiani, che erano tutti ammassati dato che per la
pressione della spinta delle persone era crollato un muro.
Immagini impressionanti di gente che chiedeva aiuto schiacciata
sotto altre persone, gente priva di vita adagiata sulle
transenne che fungevano da barella e gente ferita, piangente e
spaventata alla ricerca di soccorsi. La situazione era fuori
controllo, il servizio d’ordine quasi inesistente e dall’altra
curva, vedendo, ma fortunatamente non rendendosi conto
dell’effettiva gravità di quello che era successo, stavano
comunque entrando in campo i tifosi juventini per cercare una
vendetta che se portata a termine, avrebbe provocato una
carneficina. L’ingresso in campo dei giocatori per cercare di
calmare le acque è riuscito in parte ad evitare un tutti contro
tutti veramente pericoloso. Dalla cabina radio i due capitani,
leggevano un avviso dicendo che la partita si sarebbe disputata,
per permettere lo sgombero dello Stadio senza altri incidenti.
Allucinante quello che era successo e che con crudeltà
d’immagine stavamo vedendo attoniti ed impotenti davanti alla
televisione. Sapremo solo in seguito lo
spaventoso
tributo di sangue pagato per un incontro di calcio, 39 anime
innocenti erano state sacrificate alla follia ed alla violenza
umana. Erano morti padri di famiglia con i loro figli, gente
comune che nulla aveva da spartire con questi animali ubriachi
che con il loro assurdo comportamento avevano provocato questa
tragedia. Noi con le lacrime agli occhi, smesse le maglie e
tolte le sciarpe siamo tornati a casa, e mi ricordo che a parte
qualche idiota che strombazzava e festeggiava chissà cosa,
attraversando la città abbiamo potuto notare un rispettoso
silenzio verso chi era volato in maniera tanto assurda, in
cielo. L’Heysel non è successo per caso, per quanto ne so io, i
tifosi inglesi che erano stati a Roma l’anno precedente quando
avevano vinto la Coppa contro la Roma, avevano subito dei gravi
maltrattamenti da parte dei tifosi avversari, ed infuriati
avevano promesso vendetta allorché il Liverpool avesse giocato
contro una squadra italiana, cosa che non era potuta
avvenire a
gennaio a Torino per ovvie ragioni numeriche, ma che
puntualmente si è realizzata in Belgio. Violenza chiama
violenza. A margine, e mi scuso se questa volta mi sono
dilungato, ma l’argomento lo richiedeva, voglio ancora
aggiungere tre pensieri. Il primo è che mi fanno sorridere
quelli che dopo una simile tragedia, disquisiscono, ed è ancora
argomento dei giorni nostri, sul fallo che ha generato il calcio
di rigore decisivo per la Juventus, sull’ esultanza dei
giocatori provati e sconvolti dalle scene che avevano visto, ed
obbligati a giocare contro la loro volontà, sull’esultanza di
Platini, dopo aver calciato e segnato la massima punizione. Si
vede chiaramente che la sua espressione facciale è come uno
sberleffo all’aria di morte che aleggiava nello Stadio, sulla
consegna della Coppa e sull’ opportunità di tenerla o meno,
quando gli argomenti da affrontare sarebbero ben altri. La
seconda, ben più importante è che nessuno ha chiesto "la testa"
di chi ha assegnato una finale di Coppa dei Campioni ad un
impianto così fatiscente, in cui secondo il mio parere non si
sarebbe potuta giocare neppure una partita amichevole e vorrei
sapere se qualcuno responsabile delle Forze dell’Ordine, ha
pagato l’inefficienza di intervento, la disorganizzazione e i
ritardi dei soccorsi. Inoltre voglio pensare che se invece di
una corda, avessero messo due cordoni di poliziotti a dividere
le due tifoserie, chissà magari le cose non sarebbero andate in
quel modo. La terza riguarda la mega torta aziendale che avrebbe
dovuto essere consegnata la mattina seguente la partita.
Arrivati sul posto di lavoro, si commentavano con rabbia e
mestizia gli avvenimenti che tutti noi avevamo visto la sera
precedente in televisione. Tutti si pensava che il pasticcere,
visti i tragici accadimenti, avesse desistito dal preparare il
dolce, anche per un senso di rispetto verso chi aveva perso la
vita in quella maniera assurda. Evidentemente il buon senso non
era nelle corde di questo individuo, che per non perdere un
lauto guadagno, alle ore 11 circa del mattino seguente, come da
accordi in caso di vittoria bianconera, non tenendo conto di
nulla di ciò che era successo, ci ha fatto recapitare la mega
torta, di per sé bellissima, che noi invece che piena di crema,
vedevamo piena di sangue versato da innocenti. Ovviamente non è
stata fatta nessuna festa, si è tagliato il dolce per non
buttarlo nell’immondizia, ma la mia soddisfazione è stata che
alla fine della giornata, tranne poche persone, nessuno aveva
consumato quella torta insanguinata. Un gesto di rispetto verso
39 angeli… La partita. Sinceramente a parte il lancio in
profondità a Boniek che scattato in contropiede si invola verso
l’area avversaria provocando il fallo del difensore avversario,
giudicato dall’arbitro in area, ma che poi si vedrà avvenuto
fuori dalla stessa e dalla trasformazione della massima
punizione da parte di Platini, non ricordo un granché. A quel
punto, dopo quello che era successo, ciò che si sarebbe
materializzato sul rettangolo di gioco non interessava e non
contava più nulla… Juventus-Liverpool 1 a 0…
29 giugno 2015
Fonte:
Ilblogdialessandromagno.it
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