1 VARESINO
Heysel, la notte prima del massacro
di Luigi D. C.
Il ricordo di un varesino che il 29 maggio 1985 si
trovava a Bruxelles per assistere alla partita tra Juve e
Liverpool. I segnali di ciò che sarebbe accaduto allo stadio non
erano mancati. Ecco il suo racconto.
"Il
29 maggio 1985 ero a Bruxelles, all’Heysel. Sono uno dei tanti
che è tornato a casa sano e salvo, anche se ancora non riesco ad
accettare che si possa non tornare a casa dopo essere andati a
vedere una partita di calcio. Quel giorno ha fatto come da
spartiacque, c’è un pre e un post Heysel. Ricordo le discussioni
da bar accese e sanguigne, le "liti" con amici che avevano altri
colori nel cuore. Dopo quel mercoledì non sono più riuscito ad
arrabbiarmi per un evidente rigore negato, per un gol in netto
fuorigioco. Certo, di sicuro non servivano 39 vittime per
capire, ma finché discuti e vedi le cose in televisione, tutto
sembra irreale, finto. Poi ti trovi in mezzo al dramma, e la
prospettiva cambia. Sono arrivato a Bruxelles martedì mattina.
La città era quieta e paciosa, come noi ci immaginiamo siano le
città belghe, chissà perché. Mi sembrava strano che quelle
persone non sentissero la tensione, non si rendessero conto che
il giorno dopo la Juve avrebbe alzato la sua prima coppa dei
Campioni. Perché era ovvio che sarebbe andata così, come lo era
stato anche tutte le altre volte che poi avevano vinto gli
altri. Ma questa era la volta buona, i campioni del mondo più
Platini e Boniek ci avrebbero fatto finalmente gioire. E poi io
ero lì, finalmente. Dopo tante finali di coppa di basket, per la
prima volta vedevo la mia Juve giocarsi la coppa che ci mancava
tanto. Tutti noi Italiani avevamo lo stesso sguardo febbrile,
tutti volevano la stessa cosa, tutti avevano lo stesso sogno.
Nel primo pomeriggio, in centro è cominciato un po’ di
movimento: gruppi di Juventini, al solito caciaroni e invadenti,
giravano per le strade sotto l’occhio perplesso e un po’
scocciato dei Belgi, ai quali continuava a non interessare nulla
della partita. I primi tifosi inglesi facevano sorridere. Gruppi
di persone che cantavano a squarciagola. I sacchetti del
supermercato traboccanti di lattine di birra facevano folklore.
Erano questi i terribili hooligans ? La battuta più ricorrente
era "Se li ha messi in riga la polizia italiana l’anno scorso a
Roma, figurati qui !" A conforto e supporto di questa idea gli
articoli dei giornali che, quasi disinteressandosi dell’evento
sportivo, mettevano in risalto l’accurato servizio di sicurezza
predisposto dai Belgi. Che le cose non stessero così ce ne siamo
accorti già la sera. Mi trovavo nella Grand Place, il centro
storico della città, ero seduto a un tavolino in
mezzo ad altri Italiani. Dall’altra parte della piazza un
gruppo di Inglesi, seduti e sdraiati per terra continuava a fare
quello che stava facendo dal mattino: beveva e cantava. Voci e
birre sembravano inesauribili e a noi tutto questo continuava a
far sorridere. Il gruppo degli Inglesi si infoltiva, il rumore
cresceva ma tra noi e loro c’era tutto un mondo di distanza.
Come ad un segnale, però, ai canti si sostituirono cori contro
di noi, i "fucking italians". Qualcuno cominciò ad uscire dal
gruppo per gridarci qualcosa di suo, di personale. I primi di
noi cominciarono ad allarmarsi e a cercare di allontanarsi ma,
come nutriti dalla nostra paura, gli Inglesi si lanciarono in un
vero e proprio assalto, con lancio di lattine piene ad altezza
d’uomo. Mi sono riparato dietro una colonna e ho visto
l’inseguimento da lì dietro. Qualcuno degli Inglesi mi ha visto,
ma evidentemente era più divertente correre in gruppo
rincorrendo gli altri Italiani terrorizzati. La voglia di Juve,
della finale, della coppa, vinse facilmente su
quell’avvertimento serale per cui il giorno dopo mi sono avviato
allo stadio. L’Heysel era ed è in periferia e per arrivarci si
prendeva un treno. Nel mio vagone c’erano molti Inglesi. La cosa
stranissima è che molti di loro erano travestiti, uno da frate,
un altro da gobbo. C’erano un pagliaccio e anche un guerriero
vikingo.
La cosa che accumunava tutti era l’odore. Non solo
alcool o sudore, era una cosa molto più pesante, più profonda,
un odore che veniva da lontano. Il gobbo, ironia della sorte
visto che anche noi Juventini lo siamo, pretendeva che bevessi
dalla sua lattina in segno di amicizia. Non so come sia riuscito
a non farlo, anche se per il resto del tragitto le battute
sull’Italiano che non beveva hanno accompagnato il rumore del
treno. E finalmente lo stadio ! Sono arrivato molto presto, ho
avuto tempo di vedere il cordone di polizia a cavallo ordinato
circondare le tribune, ma ben presto con le urla dei tifosi, i
cavalli si sono innervositi e hanno iniziato ad impennarsi
scalciando. Questo ha creato panico tra le persone e io,
approfittando di un varco mi sono buttato verso l’entrata senza
che il mio biglietto venisse toccato da qualcuno. Il minuscolo
settore dei tifosi del Liverpool si è ben presto riempito a
dismisura. Gli Inglesi erano separati dagli Juventini da una
rete custodita da 5 agenti, uno ogni 5/6 file di gradoni. Una
partita di ragazzi ha acceso ancor più gli animi, visto che una
squadra aveva la maglietta rossa. Ad un certo punto, come un
vaso troppo pieno che trabocca, la rete divisoria è sparita, i
poliziotti anche e una marea rossa ha invaso il resto della
curva. Dalla nostra parte, a 120 metri di distanza (ero in uno
dei tre settori riservati al tifo organizzato bianconero - nelle
immagini il mio biglietto), non ci siamo accorti di quanto grave
fosse la situazione, si pensava che gli Italiani stessero
uscendo da qualche porta laterale. Noi volevamo la partita,
speravamo che tutto finisse in fretta, che gli hooligans
tornassero al loro posto e le squadre potessero scendere in
campo. Vicino a me un signore aveva una radiolina che ad un
certo punto ha iniziato a dare notizie sullo stadio. Davvero
sulle prime si faticava a credere che ci fosse veramente un
morto tra i nostri tifosi. Quando qualcuno delle prime file è
riuscito ad entrare in campo, in barba alla sbandierata
sicurezza, tornando con notizie tragiche, tutti noi abbiamo
pensato a come uscire vivi da quella situazione ma la sicurezza
aveva avuto ordine di tenere la gente dentro lo stadio per poter
predisporre vie d’uscita sicure. Penso, anzi spero, che la
partita sia stata giocata solo per quello. Quel che è successo
da lì in poi lo ricordano tutti, anche solo per averlo visto
alla televisione. Quello che nessuno ha visto è stata la conta
dei presenti all’uscita dallo stadio. Due ragazzi di Como su una
Renault 4 mi hanno riportato in centro ma, passando nel
parcheggio pullman, sentivamo nomi chiamati che non rispondevano
e disperazione, terrore nei volti di quanti, col foglio in mano
non riuscivano a trovare le persone che cercavano. A 25 anni di
distanza il ricordo è ancora ben vivo e con esso il rammarico
che tutte quelle vite sprecate non siano servite a nulla.
28 maggio 2010
Fonte: Varesenews.it
A-Z |
MICHELE VALSECCHI
Anche io ricordo quella notte
Non
ancora diciottenne, seconda finale di Coppa Campioni dopo
Atene, che fu per me la prima vera partita di calcio vissuta
dalla tribuna, dal vivo, inutile dire anche prima grande
delusione da tifoso juventino, ma come si usa dire quella è
un'altra storia. Non ricordo molto la partenza, ricordo solo
che ero molto teso e che era una bella giornata di sole, lo
stesso a Bruxelles. Ricordo il trasferimento verso lo stadio
con il pullman privato, visto che il viaggio era organizzato
tramite agenzia. Attraversammo il centro, la Grand Place
piena di tifosi italiani e inglesi, mescolati tra loro, non
c'erano tensioni, sembravano tranquilli. Poi l'arrivo allo
stadio, ma era presto, non erano neppure le 14.00 e la fame
si faceva sentire. Intorno allo stadio il nulla, a vista
d'occhio non si vedeva nulla. Ad un certo punto decidiamo di
andare in cerca di un ristorante o un bar dove poter
mangiare. In lontananza scorgiamo un paesino/centro abitato,
molto lontano. Da buoni Veneziani ci incamminiamo, siamo
circa in 7 tra cui mio padre e alcuni amici. Finalmente
arriviamo e c'è un ristorante, ricordo ancora il nome "La
Pergola", un ristorante/Bistrot tipo francese, carino, anche
elegante con i tavoli tutti vicini. Ci sediamo e ad un certo
punto uno della nostra compagnia rivolge la parola ai
commensali vicino a noi, praticamente gomito a gomito: "Ma
lei è Ferlaino ? Rimango impietrito, risposta pacata e
tranquilla... "Sì, sono io !" Vicino a lui il nostro
Direttore Moggi e il calciatore Nico Penzo (se non ricordo
male) con rispettive consorti. Ci dissero che erano ospiti
della Juventus e che venivano da Parigi per vedere la
finale. Non ricordo di aver ingoiato il cibo, tanta era la
fame, e dopo un bel po' visto che era presto tornammo verso
lo stadio. Mescolati con gli inglesi, ubriachi, ma
abbastanza socievoli, ci ho parlato in attesa che le porte
si aprissero, erano tranquilli, almeno così sembrava. In
mano tengo stretto il biglietto, che conservo ancora
integro, con quella Z sopra. Finalmente si entra, forse sono
circa le 19.00, e poco dopo scoppia l'inferno, tralascio i
dettagli... Persone ferite gravemente, la paura, l'angoscia,
il trauma, e non trovo più mio padre, mi perdo nella folla
accalcata verso la recinzione, come pecore ammassate in
cerca di una fuga. Ricordo la pressione della gente dietro
che urlava e premeva, ad un certo punto mi fermo, un ferro
nello stomaco, quei tubi che c'erano una volta, nei vecchi
impianti, che servivano ad appoggiarsi durante la partita. Un dolore tremendo, la gente mi
comprime verso di esso, è come una trappola, non riesco ad
uscirne. Accanto a me c'è un ragazzino come me, il padre subito
dietro che ci urla: "Abbassatevi, passate sotto !". Ma la
paura di rimanere decapitati ci fa desistere, ad un certo punto
il ferro comincia a cedere, sento il cemento che si muove, penso
che è finita... Crolla in avanti, il padre del ragazzo in un
gesto estremo e probabilmente istintivo ci spinge oltre. Balzo
oltre, cado, con il capo rivolto verso le tribune. Il padre non
lo ho più visto, era sotto tutti, il figlio aveva la testa tra
gradino e tubo in ferro. Lui non era balzato oltre. Era
impossibile aiutare, troppa gente ammassata sopra. Mi giro e
vedo l'uscita, la rete di recinzione, passo sopra a delle
persone (cadaveri) e salto in campo. Sono completamente sotto
choc. Vedo la tribuna centrale, riesco ad entrare, mi siedo
tremante, sono senza scarpe, senza il maglione, ricoperto di
sangue non mio. Due sedie sopra di me, Edoardo Agnelli con le
mani nei capelli che piange. Ad un certo punto vedo mio padre
che vaga in campo, nella pista d'atletica, lo chiamo, ma non mi
sente, gli vado incontro, scendo, lo trovo, ma in tribuna non
possiamo più rientrare. Allora ci dirigiamo verso l'altra curva,
entriamo e aspettiamo. Prima dell'inizio della partita rientro
nel terreno di gioco, ci sono i nostri beniamini che tentano di
tranquillizzarci e il caos. Ci sarebbero molti dettagli da
raccontare, ma mi divulgherei troppo. Non ho visto la partita,
sono stato tutto il tempo seduto nella gradinata. Finita la
partita siamo tornati all'aeroporto ma l'aereo non c'era. Notte
insonne su una maledetta sedia di plastica in attesa di partire
la mattina. Dedicato a quel padre e figlio che mi hanno salvato
la vita.
29 maggio 2012
Fonte: Giulemanidallajuve.com
A-Z |
PASQUALE VIGNOLA
Tragedia Heysel, la
testimonianza del nostro lettore
Buongiorno,
oggi è un giorno triste, ricorre l’anniversario della morte di
ben 39 persone, di cui 32 italiani, tifosi della Juve. Lo
ricordo bene ero lì, in quella maledetta curva, sbarbato
ventiduenne che con i sudati risparmi dei primi stipendi aveva
prenotato, in agenzia viaggio, un pacchetto con tappa prima in
Olanda e poi a Bruxelles per la finale. Allorché mi diedero il
biglietto notai il settore, "curva Z", ed ebbi una specie di
premonizione cattiva, associando la lettera Z ad un ordine
cronologico decrescente rispetto alla visibilità. Ma tant’è, il
biglietto non si poteva cambiare ed allora confermai il viaggio.
All’arrivo, ore 17,30 circa di quella maledetta giornata,
purtroppo constatai che tutto lo stadio era decadente, nei
piazzali antistanti ricordo cataste di bottiglie di birre vuote,
consumate dai tifosi inglesi già letteralmente ubriachi dal
pomeriggio. All’apparenza non erano ostili e si limitavano a
cantarci contro i loro inni, al passaggio di noi italiani.
Entrammo nella famigerata curva Z, le gradinate erano di terra
(!!!) ed i gradoni composti da pietre/mattoni che si
distaccavano dalla stessa terra con facilità estrema. La curva
era divisa a metà da una rete metallica "tipo pollaio" e da una
parte vi eravamo noi italiani, l’altra metà era destinata agli
inglesi. Noi italiani però non facevamo parte di gruppi di
tifoserie organizzate, bensì eravamo tutti coloro che avevano
acquistato il biglietto con pacchetti delle Agenzie, quindi la
maggior parte di noi erano tranquilli turisti, padri di famiglia
con mogli, figli e ragazzi al seguito. La curva inoltre
"terminava letteralmente con un muro" senza alcuna uscita e/o
cancello, non continuando con le tribune che erano distanti e
divise da un fossato… L’altra curva, opposta alla nostra, era
interamente occupata dai tifosi della Juve, ultras e gruppi
organizzati. Una volta entrati i tifosi inglesi, notammo che
questi non erano tranquilli turisti, bensì trattavisi dei famosi
hooligans, letteralmente ubriachi ed in breve divelsero la "rete
pollaio" dirigendosi verso noi italiani in cerca dello scontro
fisico, lanciandoci contro pezzi di massicciata, bottiglie vuote
e quant’altro. La decina di poliziotti che presidiavano la rete
in un batter d’occhio scomparvero e allora fu la fine.
Terrorizzati la gran parte di noi italiani cercavano scampo
fuggendo verso l’estremità della curva, che però presentava il
muro descritto, la calca iniziò a fare le prime vittime finché
il muro cedette e la gente cadde da altezze considerevoli nello
spazio antistante la tribuna. Mi salvai perché invece di
indietreggiare verso il muro (avendo al mio arrivo notato la
struttura fatiscente ed i pericoli connessi) accettai lo scontro
con questi vigliacchi, che correvano con armi proprie ed
improprie dietro a inermi genitori e/o ragazzi impauriti, finché
raggiunsi dopo vari contatti fisici la parte inferiore della
curva, dove alcuni poliziotti dalla parte del terreno di gioco -
pista di atletica, avevano divelto l’ulteriore "rete pollaio"
facendoci entrare in uno spazio per così dire protetto. Ricordo
lo sconforto di quanti non riuscivano a ricongiungersi con
parenti, conoscenti, con i quali erano arrivati nello stadio,
con l’incubo di scoprire che fossero tra coloro che, privi di
vita, venivano "affilati e coperti alla meglio" dalla
gendarmeria e dai primi soccorritori autorizzati, in quel
maledetto spazio tra la curva e la tribuna. Ero letteralmente
sconvolto, gli scontri erano stati duri ma ero vivo, a
differenza di altre 39 povere vittime di questi squallidi
individui e di una assassina macchina organizzativa. Affinché
non succedesse nulla bastava concedere le due curve per intero
alle tifoserie più accese, o quanto meno evitare che la
tifoseria più debole venisse messa a contatto con queste belve
ubriache. Purtroppo dopo ho sentito e letto di tutto e di più su
questa immane tragedia, posso però giurare che le cose sono
andate esattamente così come descritto, essendo stato realmente
presente nella famigerata CURVA Z, la curva della morte e non
davanti la TV o nelle altre Tribune dello stadio, dove la
percezione dei fatti realmente accaduti è stata completamente
diversa rispetto alla realtà. Ancora oggi quando sento sfottò e
denigrazioni da parte delle altre tifoserie riguardo
all’avvenimento, provo un senso di rabbia e di tristezza,
pensando ad una immane tragedia ed a 39 povere vittime della
idiozia umana, denigrate ed offese nel loro ricordo e nella loro
memoria. Un grazie a chi ha avuto la costanza di leggere tutto.
29 maggio 2014
Fonte: Tuttojuve.com
A-Z |
SIMONA
VOLTA
Heysel: "Sul mio biglietto
c’era scritto settore Z"
Trent’anni
fa. Sono già passati trent’anni eppure i ricordi di quel giorno
sono incisi nella memoria, come se appartenessero a ieri. Ero
partita da Milano, con un pullman di tifosi della Juventus, per
andare ad assistere alla finale di quella che all’epoca era la
Coppa dei Campioni. Un viaggio interminabile, conclusosi il
mercoledì mattina a Bruxelles. Sciarpa al collo, l’idea era di
dare uno sguardo alla capitale belga prima di andare allo
stadio. Ma i "progetti" cambiano subito. La città sembra
impazzita. Tifosi ovunque. Della Juventus e del Liverpool. Quel
che mi impressiona è il "tasso alcolemico" degli inglesi. Sono
solo le dieci del mattino, ma molti di loro sono già ubriachi,
mezzi nudi, sotto un sole cocente, inusuale da quelle parti. Mi
dico che è meglio restare in gruppo e andare allo stadio il
prima possibile. Per trovare un posto come si deve. Sul mio
biglietto c‘è scritto "settore Z", ma poche ore dopo lo scambio
con un ragazzo. Tutti i miei amici insistono perché vada con
loro nella curva destinata ai supporter della Juventus e io mi
lascio convincere. Dall’esterno l’Heysel fa paura. Fino a quel
momento non avevo mai visto uno stadio simile. All’esterno è
circondato da due recinzioni in fil di ferro che in un secondo
vengono divelte. Il muro di cinta è fatiscente. La struttura
quasi non si vede, sembra scavata nel sottosuolo. Io entro senza
che nessuno riesca a controllare il mio biglietto. Quel
tagliando verde lo conservo ancora intatto in un cassetto.
All’interno è un disastro. Le gradinate è come se fossero in
terra battuta. I cordoli, se ci appoggi un piede, saltano via.
Mi chiedo subito quanta gente riuscirà a entrare in modo
abusivo. Tanta. Troppa. Il settore Y, quello in cui sono
relegati i tifosi dei Reds, è pieno all’inverosimile. Gli
inglesi non ci stanno più e letteralmente "trasbordano".
Scoppiano i primi tafferugli. Io penso subito a chi è a casa. So
che la gara è in diretta, spero non si preoccupino troppo. Ma
non c‘è modo di far sapere loro che va tutto bene. Trent’anni fa
era un’altra epoca. Senza cellulari, senza internet. Chiamare
non si poteva. Il crollo del muro della curva Z, da dove mi
trovo (esattamente in diagonale), non si vede. Vediamo solo
persone che scappano sul campo. Le voci si rincorrono. Qualcuno
parla di morti, ma facciamo tutti fatica a crederci. Non
capisco, non capiamo, la gravità di quello che sta succedendo.
Vedo entrare i poliziotti a cavallo. In testa ho ancora la voce
di Gaetano Scirea che chiede in italiano di "restare calmi".
Della gara non ricordo nulla. Forse solo il rigore inesistente
calciato da Platini. Ricordo bene invece il dopo-partita. Quando
ci tengono per un tempo interminabile dentro l’Heysel. L’idea
della polizia belga è di evacuare prima gli inglesi per evitare
scontri all’esterno dello stadio. Poi il tentativo di chiamare
casa. Da una cabina del telefono. Prendere la linea era
praticamente impossibile. Ci riesce una ragazza che aveva fatto
il viaggio sul mio stesso pullman. A lei diamo l’elenco con nomi
e numeri di telefono perché sua mamma avvisi i nostri genitori.
Solo di ritorno a Milano scopro che 39 persone hanno perso la
vita. Il ragazzo a cui ho dato il mio biglietto di curva Z non
si è fatto nulla. Io, allo stadio, non ho più voglia di andarci.
28 maggio 2015
Fonte: It.euronews.com
© Fotografia: Linkedin.com
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