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Un Tifoso Varesino
Curva Settore
M-N-O
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Michele Valsecchi
Curva Settore Z
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Pasquale Vignola
Curva Settore Z
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Heysel, la notte prima
del massacro
Il ricordo di un varesino che il 29 maggio 1985
si trovava a Bruxelles per assistere alla partita tra
Juve e Liverpool. I segnali di ciò che sarebbe accaduto
allo stadio non erano mancati. Ecco il suo racconto.
"Il
29 maggio 1985 ero a Bruxelles, all’Heysel. Sono uno dei
tanti che è tornato a casa sano e salvo, anche se ancora
non riesco ad accettare che si possa non tornare a casa
dopo essere andati a vedere una partita di calcio. Quel
giorno ha fatto come da spartiacque, c’è un pre e un
post Heysel. Ricordo le discussioni da bar accese e
sanguigne, le "liti" con amici che avevano altri colori
nel cuore. Dopo quel mercoledì non sono più riuscito ad
arrabbiarmi per un evidente rigore negato, per un gol in
netto fuorigioco. Certo, di sicuro non servivano 39
vittime per capire, ma finché discuti e vedi le cose in
televisione, tutto sembra irreale, finto. Poi ti trovi
in mezzo al dramma, e la prospettiva cambia. Sono
arrivato a Bruxelles martedì mattina. La città era
quieta e paciosa, come noi ci immaginiamo siano le città
belghe, chissà perché. Mi sembrava strano che quelle
persone non sentissero la tensione, non si rendessero
conto che il giorno dopo la Juve avrebbe alzato la sua
prima coppa dei Campioni. Perché era ovvio che sarebbe
andata così, come lo era stato anche tutte le altre
volte che poi avevano vinto gli altri. Ma questa era la
volta buona, i campioni del mondo più Platini e Boniek
ci avrebbero fatto finalmente gioire. E poi io ero lì,
finalmente. Dopo tante finali di coppa di basket, per la
prima volta vedevo la mia Juve giocarsi la coppa che ci
mancava tanto. Tutti noi Italiani avevamo lo stesso
sguardo febbrile, tutti volevano la stessa cosa, tutti
avevano lo stesso sogno. Nel primo pomeriggio, in centro
è cominciato un po’ di movimento: gruppi di Juventini,
al solito caciaroni e invadenti, giravano per le strade
sotto l’occhio perplesso e un po’ scocciato dei Belgi,
ai quali continuava a non interessare nulla della
partita. I primi tifosi inglesi facevano sorridere.
Gruppi di persone che cantavano a squarciagola. I
sacchetti del supermercato traboccanti di lattine di
birra facevano folklore. Erano questi i terribili
hooligans ? La battuta più ricorrente era "Se li ha
messi in riga la polizia italiana l’anno scorso a Roma,
figurati qui !" A conforto e supporto di questa idea gli
articoli dei giornali che, quasi disinteressandosi
dell’evento sportivo, mettevano in risalto l’accurato
servizio di sicurezza predisposto dai Belgi. Che le cose
non stessero così ce ne siamo accorti già la sera. Mi
trovavo nella Grand Place, il centro storico della
città, ero seduto a un tavolino in mezzo ad altri
Italiani. Dall’altra parte della piazza un gruppo di
Inglesi, seduti e sdraiati per terra continuava a fare
quello che stava facendo dal mattino: beveva e cantava.
Voci e birre sembravano inesauribili e a noi tutto
questo continuava a far sorridere. Il gruppo degli
Inglesi si infoltiva, il rumore cresceva ma tra noi e
loro c’era tutto un mondo di distanza. Come ad un
segnale, però, ai canti si sostituirono cori contro di
noi, i "fucking italians". Qualcuno cominciò ad uscire
dal gruppo per gridarci qualcosa di suo, di personale. I
primi di noi cominciarono ad allarmarsi e a cercare di
allontanarsi ma, come nutriti dalla nostra paura, gli
Inglesi si lanciarono in un vero e proprio assalto, con
lancio di lattine piene ad altezza d’uomo. Mi sono
riparato dietro una colonna e ho visto l’inseguimento da
lì dietro. Qualcuno degli Inglesi mi ha visto, ma
evidentemente era più divertente correre in gruppo
rincorrendo gli altri Italiani terrorizzati.
La
voglia di Juve, della finale, della coppa, vinse
facilmente su quell’avvertimento serale per cui il
giorno dopo mi sono avviato allo stadio. L’Heysel era ed
è in periferia e per arrivarci si prendeva un treno. Nel
mio vagone c’erano molti Inglesi. La cosa stranissima è
che molti di loro erano travestiti, uno da frate, un
altro da gobbo. C’erano un pagliaccio e anche un
guerriero vikingo. La cosa che accumunava tutti era
l’odore. Non solo alcool o sudore, era una cosa molto
più pesante, più profonda, un odore che veniva da
lontano. Il gobbo, ironia della sorte visto che anche
noi Juventini lo siamo, pretendeva che bevessi dalla sua
lattina in segno di amicizia. Non so come sia riuscito a
non farlo, anche se per il resto del tragitto le battute
sull’Italiano che non beveva hanno accompagnato il
rumore del treno. E finalmente lo stadio ! Sono arrivato
molto presto, ho avuto tempo di vedere il cordone di
polizia a cavallo ordinato circondare le tribune, ma ben
presto con le urla dei tifosi, i cavalli si sono
innervositi e hanno iniziato ad impennarsi scalciando.
Questo ha creato panico tra le persone e io,
approfittando di un varco mi sono buttato verso
l’entrata senza che il mio biglietto venisse toccato da
qualcuno. Il minuscolo settore dei tifosi del Liverpool
si è ben presto riempito a dismisura. Gli Inglesi erano
separati dagli Juventini da una rete custodita da 5
agenti, uno ogni 5/6 file di gradoni. Una partita di
ragazzi ha acceso ancor più gli animi, visto che una
squadra aveva la maglietta rossa. Ad un certo punto,
come un vaso troppo pieno che trabocca, la rete
divisoria è sparita, i poliziotti anche e una marea
rossa ha invaso il resto della curva. Dalla nostra
parte, a 120 metri di distanza (ero in uno dei tre
settori riservati al tifo organizzato bianconero - nelle
immagini il mio biglietto), non ci siamo accorti di
quanto grave fosse la situazione, si pensava che gli
Italiani stessero uscendo da qualche porta laterale. Noi
volevamo la partita, speravamo che tutto finisse in
fretta, che gli hooligans tornassero al loro posto e le
squadre potessero scendere in campo. Vicino a me un
signore aveva una radiolina che ad un certo punto ha
iniziato a dare notizie sullo stadio. Davvero sulle
prime si faticava a credere che ci fosse veramente un
morto tra i nostri tifosi. Quando qualcuno delle prime
file è riuscito ad entrare in campo, in barba alla
sbandierata sicurezza, tornando con notizie tragiche,
tutti noi abbiamo pensato a come uscire vivi da quella
situazione ma la sicurezza aveva avuto ordine di tenere
la gente dentro lo stadio per poter predisporre vie
d’uscita sicure. Penso, anzi spero, che la partita sia
stata giocata solo per quello. Quel che è successo da lì
in poi lo ricordano tutti, anche solo per averlo visto
alla televisione. Quello che nessuno ha visto è stata la
conta dei presenti all’uscita dallo stadio. Due ragazzi
di Como su una Renault 4 mi hanno riportato in centro
ma, passando nel parcheggio pullman, sentivamo nomi
chiamati che non rispondevano e disperazione, terrore
nei volti di quanti, col foglio in mano non riuscivano a
trovare le persone che cercavano. A 25 anni di distanza
il ricordo è ancora ben vivo e con esso il rammarico che
tutte quelle vite sprecate non siano servite a nulla.
Luigi D.C.
Fonte:
Varesenews.it
© 28 maggio 2010
Fotografie: GETTY IMAGES
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© Simona Volta ©
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Audio: Rai (Bruno Pizzul)
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Anche io ricordo
quella notte
di Michele Valsecchi
Non
ancora diciottenne, seconda finale di Coppa Campioni
dopo Atene, che fu per me la prima vera partita di
calcio vissuta dalla tribuna, dal vivo, inutile dire
anche prima grande delusione da tifoso juventino, ma
come si usa dire quella è un'altra storia. Non ricordo
molto la partenza, ricordo solo che ero molto teso e che
era una bella giornata di sole, lo stesso a Bruxelles.
Ricordo il trasferimento verso lo stadio con il pullman
privato, visto che il viaggio era organizzato tramite
agenzia. Attraversammo il centro, la Grand Place piena
di tifosi italiani e inglesi, mescolati tra loro, non
c'erano tensioni, sembravano tranquilli. Poi l'arrivo
allo stadio, ma era presto, non erano neppure le 14.00 e
la fame si faceva sentire. Intorno allo stadio il nulla,
a vista d'occhio non si vedeva nulla. Ad un certo punto
decidiamo di andare in cerca di un ristorante o un bar
dove poter mangiare. In lontananza scorgiamo un
paesino/centro abitato, molto lontano. Da buoni
Veneziani ci incamminiamo, siamo circa in 7 tra cui mio
padre e alcuni amici. Finalmente arriviamo e c'è un
ristorante, ricordo ancora il nome "La Pergola", un
ristorante/Bistrot tipo francese, carino, anche elegante
con i tavoli tutti vicini. Ci sediamo e ad un certo
punto uno della nostra compagnia rivolge la parola ai
commensali vicino a noi, praticamente gomito a gomito:
"Ma lei è Ferlaino ? Rimango impietrito, risposta pacata
e tranquilla... "Sì, sono io !" Vicino a lui il nostro
Direttore Moggi e il calciatore Nico Penzo (se non
ricordo male) con rispettive consorti. Ci dissero che
erano ospiti della Juventus e che venivano da Parigi per
vedere la finale. Non ricordo di aver ingoiato il cibo,
tanta era la fame, e dopo un bel po' visto che era
presto tornammo verso lo stadio. Mescolati con gli
inglesi, ubriachi, ma abbastanza socievoli, ci ho
parlato in attesa che le porte si aprissero, erano
tranquilli, almeno così sembrava. In mano tengo stretto
il biglietto, che conservo ancora integro, con quella Z
sopra. Finalmente si entra, forse sono circa le 19.00, e
poco dopo scoppia l'inferno, tralascio i dettagli...
Persone
ferite gravemente, la paura, l'angoscia, il trauma, e
non trovo più mio padre, mi perdo nella folla accalcata
verso la recinzione, come pecore ammassate in cerca di
una fuga. Ricordo la pressione della gente dietro che
urlava e premeva, ad un certo punto mi fermo, un ferro
nello stomaco, quei tubi che c'erano una volta, nei
vecchi impianti, che servivano ad appoggiarsi durante la
partita. Un dolore tremendo, la gente mi comprime verso
di esso, è come una trappola, non riesco ad uscirne.
Accanto a me c'è un ragazzino come me, il padre subito
dietro che ci urla: "Abbassatevi, passate sotto !". Ma
la paura di rimanere decapitati ci fa desistere, ad un
certo punto il ferro comincia a cedere, sento il cemento
che si muove, penso che è finita... Crolla in avanti, il
padre del ragazzo in un gesto estremo e probabilmente
istintivo ci spinge oltre. Balzo oltre, cado, con il
capo rivolto verso le tribune. Il padre non lo ho più
visto, era sotto tutti, il figlio aveva la testa tra
gradino e tubo in ferro. Lui non era balzato oltre. Era
impossibile aiutare, troppa gente ammassata sopra. Mi
giro e vedo l'uscita, la rete di recinzione, passo sopra
a delle persone (cadaveri) e salto in campo. Sono
completamente sotto choc. Vedo la tribuna centrale,
riesco ad entrare, mi siedo tremante, sono senza scarpe,
senza il maglione, ricoperto di sangue non mio. Due
sedie sopra di me, Edoardo Agnelli con le mani nei
capelli che piange. Ad un certo punto vedo mio padre che
vaga in campo, nella pista d'atletica, lo chiamo, ma non
mi sente, gli vado incontro, scendo, lo trovo, ma in
tribuna non possiamo più rientrare. Allora ci dirigiamo
verso l'altra curva, entriamo e aspettiamo. Prima
dell'inizio della partita rientro nel terreno di gioco,
ci sono i nostri beniamini che tentano di
tranquillizzarci e il caos. Ci sarebbero molti dettagli
da raccontare, ma mi divulgherei troppo. Non ho visto la
partita, sono stato tutto il tempo seduto nella
gradinata. Finita la partita siamo tornati all'aeroporto
ma l'aereo non c'era. Notte insonne su una maledetta
sedia di plastica in attesa di partire la mattina.
Dedicato a quel padre e figlio che mi hanno salvato la
vita.
Fonte:
Giulemanidallajuve.com © 29 maggio 2012
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com
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Tragedia Heysel, la
testimonianza del nostro lettore
Buongiorno,
oggi è un giorno triste, ricorre l’anniversario della
morte di ben 39 persone, di cui 32 italiani, tifosi
della Juve. Lo ricordo bene ero lì, in quella maledetta
curva, sbarbato ventiduenne che con i sudati risparmi
dei primi stipendi aveva prenotato, in agenzia viaggio,
un pacchetto con tappa prima in Olanda e poi a Bruxelles
per la finale. Allorché mi diedero il biglietto notai il
settore, "curva Z", ed ebbi una specie di premonizione
cattiva, associando la lettera Z ad un ordine
cronologico decrescente rispetto alla visibilità. Ma
tant’è, il biglietto non si poteva cambiare ed allora
confermai il viaggio. All’arrivo, ore 17,30 circa di
quella maledetta giornata, purtroppo constatai che tutto
lo stadio era decadente, nei piazzali antistanti ricordo
cataste di bottiglie di birre vuote, consumate dai
tifosi inglesi già letteralmente ubriachi dal
pomeriggio. All’apparenza non erano ostili e si
limitavano a cantarci contro i loro inni, al passaggio
di noi italiani. Entrammo nella famigerata curva Z, le
gradinate erano di terra (!!!) ed i gradoni composti da
pietre/mattoni che si distaccavano dalla stessa terra
con facilità estrema. La curva era divisa a metà da una
rete metallica "tipo pollaio" e da una parte vi eravamo
noi italiani, l’altra metà era destinata agli inglesi.
Noi italiani però non facevamo parte di gruppi di
tifoserie organizzate, bensì eravamo tutti coloro che
avevano acquistato il biglietto con pacchetti delle
Agenzie, quindi la maggior parte di noi erano tranquilli
turisti, padri di
famiglia con mogli, figli e ragazzi al
seguito. La curva inoltre "terminava letteralmente con
un muro" senza alcuna uscita e/o cancello, non
continuando con le tribune che erano distanti e divise
da un fossato… L’altra curva, opposta alla nostra, era
interamente occupata dai tifosi della Juve, ultras e
gruppi organizzati. Una volta entrati i tifosi inglesi,
notammo che questi non erano tranquilli turisti, bensì
trattavisi dei famosi hooligans, letteralmente ubriachi
ed in breve divelsero la "rete pollaio" dirigendosi
verso noi italiani in cerca dello scontro fisico,
lanciandoci contro pezzi di massicciata, bottiglie vuote
e quant’altro. La decina di poliziotti che presidiavano
la rete in un batter d’occhio scomparvero e allora fu la
fine. Terrorizzati la gran parte di noi italiani
cercavano scampo fuggendo verso l’estremità della curva,
che però presentava il muro descritto, la calca iniziò a
fare le prime vittime finché il muro cedette e la gente
cadde da altezze considerevoli nello spazio antistante
la tribuna. Mi salvai perché invece di indietreggiare
verso il muro (avendo al mio arrivo notato la struttura
fatiscente ed i pericoli connessi) accettai lo scontro
con questi vigliacchi, che correvano con armi proprie ed
improprie dietro a inermi genitori e/o ragazzi
impauriti, finché raggiunsi dopo vari contatti fisici la
parte inferiore della curva, dove alcuni poliziotti
dalla parte del terreno di gioco - pista di atletica,
avevano divelto l’ulteriore "rete pollaio" facendoci
entrare in uno spazio per così dire protetto. Ricordo lo
sconforto di quanti non riuscivano a ricongiungersi con
parenti, conoscenti, con i quali erano arrivati nello
stadio, con l’incubo di scoprire che fossero tra coloro
che, privi di vita, venivano "affilati e coperti alla
meglio" dalla gendarmeria e dai primi soccorritori
autorizzati, in quel maledetto spazio tra la curva e la
tribuna. Ero letteralmente sconvolto, gli scontri erano
stati duri ma ero vivo, a differenza di altre 39 povere
vittime di questi squallidi individui e di una assassina
macchina organizzativa. Affinché non succedesse nulla
bastava concedere le due curve per intero alle tifoserie
più accese, o quanto meno evitare che la tifoseria più
debole venisse messa a contatto con queste belve
ubriache. Purtroppo dopo ho sentito e letto di tutto e
di più su questa immane tragedia, posso però giurare che
le cose sono andate esattamente così come descritto,
essendo stato realmente presente nella famigerata CURVA
Z, la curva della morte e non davanti la TV o nelle
altre Tribune dello stadio, dove la percezione dei fatti
realmente accaduti è stata completamente diversa
rispetto alla realtà. Ancora oggi quando sento sfottò e
denigrazioni da parte delle altre tifoserie riguardo
all’avvenimento, provo un senso di rabbia e di
tristezza, pensando ad una immane tragedia ed a 39
povere vittime della idiozia umana, denigrate ed offese
nel loro ricordo e nella loro memoria. Un grazie a chi
ha avuto la costanza di leggere tutto.
Pasquale Vignola
Fonte:
Tuttojuve.com
© 29 maggio 2014
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Heysel: "Sul mio
biglietto c’era scritto settore Z"
Trent’anni fa. Sono già
passati trent’anni eppure i ricordi di quel giorno sono
incisi nella memoria, come se appartenessero a ieri. Ero
partita da Milano, con un pullman di tifosi della
Juventus, per andare ad assistere alla finale di quella
che all’epoca era la Coppa dei Campioni. Un viaggio
interminabile, conclusosi il mercoledì mattina a
Bruxelles. Sciarpa al collo, l’idea era di dare uno
sguardo alla capitale belga prima di andare allo stadio.
Ma i "progetti" cambiano subito. La città sembra
impazzita. Tifosi ovunque. Della Juventus e del
Liverpool. Quel che mi impressiona è il "tasso
alcolemico" degli inglesi. Sono solo le dieci del
mattino, ma molti di loro sono già ubriachi, mezzi nudi,
sotto un sole cocente, inusuale da quelle parti. Mi dico
che è meglio restare in gruppo e andare allo stadio il
prima possibile. Per trovare un posto come si deve. Sul
mio biglietto c‘è scritto "settore Z", ma poche ore dopo
lo scambio con un ragazzo. Tutti i miei amici insistono
perché vada con loro nella curva destinata ai supporter
della Juventus e io mi lascio convincere. Dall’esterno
l’Heysel fa paura. Fino a quel momento non avevo mai
visto uno stadio simile. All’esterno è circondato da due
recinzioni in fil di ferro che in un secondo vengono
divelte. Il muro di cinta è fatiscente. La struttura
quasi non si vede, sembra scavata nel sottosuolo. Io
entro senza che nessuno riesca a controllare il mio
biglietto. Quel tagliando verde lo conservo ancora
intatto in un cassetto. All’interno è un disastro. Le
gradinate è come se fossero in terra battuta. I cordoli,
se ci appoggi un piede, saltano via. Mi chiedo subito
quanta gente riuscirà a entrare in modo abusivo. Tanta.
Troppa. Il settore Y, quello in cui sono relegati i
tifosi dei Reds, è pieno all’inverosimile. Gli inglesi
non ci stanno più e letteralmente "trasbordano".
Scoppiano i primi tafferugli. Io penso subito a chi è a
casa. So che la gara è in diretta, spero non si
preoccupino troppo. Ma non c‘è modo di far sapere loro
che va tutto bene. Trent’anni fa era un’altra epoca.
Senza cellulari, senza internet. Chiamare non si poteva.
Il crollo del muro della curva Z, da dove mi trovo
(esattamente in diagonale), non si vede. Vediamo solo
persone che scappano sul campo. Le voci si rincorrono.
Qualcuno parla di morti, ma facciamo tutti fatica a
crederci. Non capisco, non capiamo, la gravità di quello
che sta succedendo. Vedo entrare i poliziotti a cavallo.
In testa ho ancora la voce di Gaetano Scirea che chiede
in italiano di "restare calmi". Della gara non ricordo
nulla. Forse solo il rigore inesistente calciato da
Platini. Ricordo bene invece il dopo-partita. Quando ci
tengono per un tempo interminabile dentro l’Heysel.
L’idea della polizia belga è di evacuare prima gli
inglesi per evitare scontri all’esterno dello stadio.
Poi il tentativo di chiamare casa. Da una cabina del
telefono. Prendere la linea era praticamente
impossibile. Ci riesce una ragazza che aveva fatto il
viaggio sul mio stesso pullman. A lei diamo l’elenco con
nomi e numeri di telefono perché sua mamma avvisi i
nostri genitori. Solo di ritorno a Milano scopro che 39
persone hanno perso la vita. Il ragazzo a cui ho dato il
mio biglietto di curva Z non si è fatto nulla. Io, allo
stadio, non ho più voglia di andarci.
Fonte:
It.euronews.com
© 28 maggio 2015
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for Commercial Use)
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