Stefano Furlan e Stefano
Cucchi, troviamo le differenze
di Stefano Olivari
Oggi sono 35 anni dall’episodio
che costò la vita a Stefano
Furlan. 8 febbraio 1984. La
vicenda di questo ragazzo
triestino è sempre nella nostra
memoria, anche se non certo per
merito dei media, che nelle loro
rievocazioni dei cosiddetti
"morti di calcio" (l’ultimo
Daniele Belardinelli) si
dimenticano sempre rigorosamente
di Furlan, al quale è
attualmente intitolata la curva
Sud della Triestina, allo stadio
Rocco. Partiamo dalla fine:
Stefano Furlan è morto l’1 marzo
del 1984 in seguito alle ferite
dovute al pestaggio da parte di
un agente di polizia, l’8
febbraio precedente.
Contrariamente a quanto spesso
avviene in questi casi, il
ventenne Furlan non se l’era
cercata: dopo la fine di
Triestina-Udinese di Coppa
Italia, giocata al vecchio
Grezar, stava andando verso la
sua auto, quando alcuni
poliziotti, in particolare uno
(quello che poi sarebbe stato
condannato), vedendo la sua
sciarpa pensarono di trovarsi di
fronte a un ultras della
Triestina (e lui ultras lo era
davvero, le partite le vedeva in
curva) coinvolto in tafferugli
con quelli dell’Udinese.
Tafferugli di pochissimo conto,
fra l’altro, dopo una partita
tranquilla finita 0-0, niente in
rapporto a un’epoca in cui gli
stadi erano davvero pericolosi
(altro caso di anni Ottanta non
da rimpiangere), ma al di là di
questo il ragazzo non vi aveva
preso parte nemmeno come
spettatore. Furlan si trovava
soltanto nel posto sbagliato nel
momento sbagliatissimo. Il
risultato fu una manganellata
alla testa (come evidenziato
dalle fratture craniche),
seguita dall’interrogatorio in
Questura, dove (così raccontò
lui alla madre) avrebbe preso
altre botte. Il giorno dopo si
sentì male e dopo tre settimane
in coma morì. Nel frattempo si
era giocato il ritorno di
quell’ottavo di finale e Zico
con una doppietta aveva dato la
qualificazione all’Udinese… Ne
nacque un caso che stranamente
ebbe un’eco quasi solo locale:
il poliziotto che lo aveva
colpito fu condannato a un anno
e dopo rientrò in servizio,
addirittura sempre a Trieste.
Abbiamo scritto "stranamente",
ma di strano c’era poco: un
clamoroso errore da parte della
polizia, con il "se l’era un po’
cercata" impossibile da
applicare anche per i media più
velinari. Da ricordare sempre
che le notizie arrivano nel 99%
da magistrati e forze
dell’ordine, senza contare che
molti italiani (noi fra questi)
hanno fiducia a prescindere
nella Polizia e quindi tendono a
minimizzare eventuali suoi
abusi. Non è che volessimo
rivangare una vecchia storia,
sia pure con il pretesto di una
data, ma sottolineare la
incredibile differenza di
trattamento giudiziario e
mediatico con il caso di Stefano
Cucchi: come dire che un tifoso
di calcio, per non dire un
ultras, è meno degno di tutela
rispetto a uno arrestato per
spaccio di droga. Differente
anche il comportamento dello
Stato: nel caso di Furlan, in
cui la polizia era indifendibile
sotto ogni profilo e tutto era
chiaro fin dall’inizio grazie a
testimoni, si cercò (con
successo) di indirizzare le
responsabilità di una persona,
che poi comunque ne uscì senza
troppi danni, mentre nel caso
Cucchi, pieno di zone d’ombra,
la Polizia ha cercato di
difendersi, in maniera legale e
meno legale. In ogni caso con
Cucchi il giornalista collettivo
ha indirizzato l’opinione
pubblica in una direzione
colpevolista fin da subito,
generando anche la solita
letteratura da linciaggio.
Quindi ? Ci sono morti
mediaticamente di serie B e
Stefano Furlan è purtroppo uno
di questi.
8 Febbraio 2019
Fonte: Indiscreto.info
Mostra e fiaccolata per
Stefano Furlan
Appuntamento al Rocco e
fuori dal Grezar per ricordare
il tifoso della Triestina
tragicamente scomparso.
TRIESTE
- Incastonata fra i vari eventi
previsti per celebrare in questo
2018 il centenario della
Triestina, questa data di
febbraio assume sicuramente un
significato tutto particolare.
Per un mese non è tempo di
feste, kermesse e iniziative
varie, bensì di un sentito
ricordo di un fatto tragico e
doloroso, e soprattutto della
memoria per un giovane tifoso
che 34 anni fa ha perso la vita
inseguendo un sogno alabardato.
E che da quel giorno è sempre
rimasto nei cuori della
tifoseria dell’Unione. Non
poteva insomma non esserci, in
questo lungo evento del
centenario, una data specifica
tutta dedicata a Stefano Furlan.
E non poteva essere che tenersi
l'8 febbraio, perché esattamente
34 anni fa si svolse
quell'incontro di Coppa Italia
Triestina-Udinese, e soprattutto
si svolsero quei tragici fatti
che si verificarono a fine
partita, che poi portarono,
qualche settimana dopo, alla
morte del giovane tifoso
triestino. Adesso più che mai,
in mezzo al ricordo di una
storia lunga un secolo, c’è la
voglia di ricordare questa data
dolorosa e dimostrare ancora una
volta che Stefano Furlan vive
ancora nei cuori di tutti gli
appassionati triestini, nella
sua città e nella sua curva.
Perché se gli anni passano,
l’affetto della tifoseria e
della società alabardata per
Stefano si rafforza. Giovedì
dunque i ragazzi della Curva
Furlan, con la collaborazione
del Comune di Trieste e il
Comitato Unione, organizzano
l'iniziativa "Trieste, la curva,
non l'ha dimenticato", che si
divide in tre precisi
appuntamenti. Il primo è
previsto per le 18, quando ci
sarà l'inaugurazione della
mostra fotografica dedicata a
Stefano Furlan con il titolo
"Impronte nella memoria". La
mostra sarà allestita nella sala
hospitality situata all'interno
della Tribuna Pasinati, con
ingresso da via Valmaura e dal
piazzale Atleti Azzurri
d'Italia. Poi, alle 19, ci sarà
un incontro sotto la targa
dedicata a Stefano posta in via
Valmaura, da lì si svolgerà un
corteo che proseguirà a piedi
verso lo stadio, fino ad
arrivare all'interno della curva
denominata proprio col suo nome,
dove verrà inaugurata una targa
in suo onore. Proprio per
favorire l’afflusso dei tifosi
per i tre appuntamenti, dalle 17
fino alle 24 sarà allestito nel
bar della Tribuna Pasinati un
punto di ristoro e di
aggregazione… (Omissis)
a.r.
GALLERIA
FOTOGRAFICA EVENTO
7 febbraio 2018
Fonte:
Ilpiccolo.gelocal.it
A Trieste un murales in
memoria di Stefano Furlan
Inaugurata in via
Valmaura, nell'ambito del
progetto Chromopolis, l'opera
dedicata al giovane tifoso
scomparso 33 anni fa.
TRIESTE
- Terza, toccante inaugurazione
per "Chromopolis. La città del
futuro", progetto di arte urbana
giovanile curato dal Comune di
Trieste in collaborazione con
l'Associazione Macross: dopo il
Pedocin e Nereo Rocco stavolta
il murales in via Valmaura è
dedicato alla memoria di Stefano
Furlan, il giovane tifoso
scomparso 33 anni fa. A volere
fortemente quest'opera è stato
il Comune di Trieste con
l'assessore ai Giovani Giorgio
Rossi e i compagni della
tifoseria della Curva Furlan,
sempre vicini al ragazzo e alla
sua famiglia, oltre agli altri
appassionati dell'Unione
Sportiva Triestina 1918. L'opera
ricorda Stefano con un ritratto
molto fedele e la data della sua
scomparsa, connotati da una
scelta cromatica particolarmente
accesa che rimanda un messaggio
di vicinanza partecipe, di
continuità e di passione. Dopo
il muro dello stabilimento
balneare La Lanterna e il
murales dedicato al Paron allo
stadio comunale Nereo Rocco, è
stata quindi l'opera della
coppia di artisti pugliesi
Caktus&Maria (associazione
Kaleidos, a proseguire la
trasformazione della città
attraverso la disseminazione di
spazi di colore.
(Fotogalleria
dell'evento)
23 dicembre 2017
Fonte:
Ilpiccolo.gelocal.it
8 febbraio 1984, Stefano
Furlan e quella carica
di botte dopo la partita
Triestina-Udinese
Quel
giorno c’era in programma la
partita di coppa Italia
Triestina-Udinese. Era l’8
febbraio 1984 e tra i tifosi
della prima squadra allo stadio
dedicato alla memoria di
Giuseppe Grezar, centrocampista
morto nella sciagura di Superga
avvenuta nel 1949, ci andò anche
Stefano Furlan, vent’anni
compiuti il 23 dicembre
precedente. Ma lì intorno, il
giorno del derby del Friuli
Venezia Giulia, la situazione
non era tranquilla tanto che a
un certo punto esplose. Dunque
vennero schierati i cordoni dei
reparti mobili delle forze
dell’ordine per fronteggiare
buona parte dei seimila
sportivi, tanti ne poteva
contenere l’impianto di Trieste.
Alla fine dell’incontro, verso
le 16.30, Stefano Furlan stava
incrociando via Macelli. Doveva
recuperare la sua auto, una Fiat
128 che aveva lasciato da quelle
parti, e fare ritorno a casa dei
genitori. Non era un esagitato,
Stefano. Fresco del diploma da
geometra, aspettava di trovare
un lavoro nel settore in cui
aveva studiato e intanto un po’
aiutava un fiorista e un altro
po’ occupava metà della sua
giornata prestando assistenza a
disabili seguito da una
struttura religiosa. Tutto
questo, però, non lo sapevano i
tre agenti che lo avvistarono
alla fine della partita e gli
furono addosso, a mani nude e
con i manganelli. Infine quasi
lo sollevarono di peso per
portarlo in questura, dove
rimase qualche ora per essere
alla fine rilasciato. Renata, la
madre, disse al Corriere dello
Sport-Stadio, quando il figlio
rincasò: L’ho rivisto alle nove.
Quando ha aperto la porta era
stralunato, pallido. La giacca e
il piumotto erano a pezzi. Aveva
le lacrime agli occhi. "Mamma,
sono stato picchiato. Un
poliziotto mi ha dato una
manganellata sulla testa, poi in
questura schiaffi, pugni,
calci". Conosco Stefano, non è
un violento, gli ho subito
creduto. Non si sentiva bene.
Alle nove e mezza era già a
letto. Avrebbe continuato a
sentirsi male il giorno dopo,
Stefano. Tanto che nel
pomeriggio venne portato
d’urgenza in ospedale, dove
entrò in coma e finì in sala
operatoria. Ma le fratture
craniche e le relative
conseguenze uccisero quel
giovane dopo venti giorni di
agonia da cui non si svegliò
mai. Era il 1 marzo 1984. E come
raccontato successivamente: Il
poliziotto che lo aveva colpito,
venne riconosciuto da tre
testimoni e sospeso dal corpo.
Nel novembre 1985 venne
condannato a un anno di
reclusione con i benefici della
legge. Ma successivamente fu
riabilitato e rientrò in
servizio presso la questura di
Trieste.
8 febbraio 2014
Fonte: Isiciliani.it
"...La Curva non l'ha
Dimenticato..."
Trent'anni dalla morte
di Stefano Furlan
di Sandro Iurissevich
Commemorato oggi Stefano Furlan
a trent'anni dalla tragedia.
Affollatissima la cerimonia con
Ultras presenti da tutta Italia.
Molto sentita anche quest'anno
la cerimonia per ricordare il
giovane tifoso Stefano Furlan,
che perse la vita l'otto
febbraio del 1984, colpito
violentemente alla testa da un
poliziotto nel dopo gara di
Coppa Italia Triestina -
Udinese. Il giovane che si era
trovato suo malgrado in mezzo ai
tafferugli, mentre stava
recandosi tranquillamente a
prendere la propria autovettura,
morì dopo venti giorni di agonia
all'ospedale triestino. Per
onorare il trentennale la Curva
Furlan, con il patrocinio del
Comune di Trieste, ha voluto
dedicare due giorni a Stefano
Furlan. Ieri pomeriggio è stata
inaugurata la mostra
fotografica, dedicata a Stefano,
"Impronte nella Memoria" sotto
la tribuna Pasinati dello Stadio
Rocco, mentre oggi prima della
commemorazione si è tenuto il
convegno "Parlando di Stefano e
di un futuro diverso".
8 febbraio 2014
Fonte: Triesteprima.it
La ricorrenza: una
manganellata 30 anni fa spense
la vita di Stefano
di Pierpaolo Pitich
Finito per caso fuori
del Grezar alla fine di un
Triestina-Udinese di Coppa
Italia in mezzo agli scontri tra
tifosi e polizia, Furlan morì a
soli 20 anni dopo una lunga
agonia. Gli amici: "Era un
ragazzo tranquillo, mai fatta
giustizia".
Sono
passati trent'anni ma il ricordo
è più vivo che mai, al pari
della memoria collettiva. Ma con
il ricordo riaffiora anche una
ferita che sanguina ancora e che
è destinata a non rimarginarsi
mai. Era l'8 febbraio del 1984,
quando un ragazzo di vent'anni,
Stefano Furlan, al termine di un
derby di Coppa Italia tra
Triestina ed Udinese disputato
allo stadio Grezar, ha la
sfortuna di trovarsi nel posto
sbagliato al momento sbagliato.
Il post partita è agitato, ma
non vengono segnalati scontri
particolari tra le due
tifoserie, in quanto i
supporters friulani sono giunti
in città in numero esiguo. Il
tifoso rimane vittima di una
carica delle forze di Polizia,
in particolare della mano
pesante usata da un giovane
agente, (Omissis), un
ragazzo che ha solo tre anni più
di lui. Stefano morirà in un
letto di ospedale il primo
marzo, dopo venti giorni di
agonia, senza più riprendere
conoscenza. Ma in realtà la sua
vita si spegne in quel maledetto
pomeriggio fuori dallo stadio,
in un giorno di ordinaria
follia. "Il ricordo di quella
giornata è impresso in modo
indelebile nella mia memoria e
non potrebbe essere altrimenti -
racconta Cristiano, storico
appartenente al gruppo Ultras
Trieste. Stefano era un ragazzo
timido e tranquillo e non certo
un facinoroso: veniva
abitualmente in curva ma non
frequentava attivamente il
nostro gruppo. La sua è stata
una morte assurda. Non c'erano
scontri particolari tra
tifoserie e dunque non erano
necessarie tutte quelle azioni
repressive: la situazione a mio
avviso non è stata gestita in
modo appropriato dalle forze
dell'ordine. C'è stata troppa
improvvisazione dovuta
probabilmente ad una certa
inesperienza da parte di
qualcuno. E poi tutta la
questione è stata archiviata in
modo troppo veloce ed alquanto
scandaloso: per Stefano non c'è
stata e non c'è tuttora nessuna
giustizia". Quello che rimane il
fatto di sangue più grave a
Trieste legato al mondo del
calcio scuote le coscienze e
l'intera città: la curva da quel
momento decide di rimanere in
silenzio in una sorta di
sciopero del tifo, almeno fino a
quando "sarà emersa tutta la
verità e verrà fatta giustizia".
Allo stadio compare
immediatamente lo striscione
"Stefano presente" che da quel
momento accompagnerà le gesta
dell'Unione in tutte le gare,
sia interne che esterne, mentre,
8 anni più tardi, quando viene
inaugurato il nuovo impianto, il
"Nereo Rocco", la curva degli
Ultras sarà dedicata proprio
alla memoria di Stefano Furlan.
Dal
punto di vista giudiziario
invece, la vicenda si conclude
con la condanna a un anno di
reclusione con i benefici di
legge per (Omissis) per il reato
di "eccesso colposo nell'uso
legittimo delle armi". Un
epilogo che lascia l'amaro in
bocca alla famiglia di Stefano e
a tutto il popolo della Curva.
"È stata una cosa vergognosa -
esclama Paolo, altro storico
appartenente agli Ultras
Trieste, a sua volta presente
quel giorno allo stadio, poco
più che tredicenne. Si è cercato
fino all'ultimo di insabbiare le
indagini e di manipolare la
verità: sbagliare è umano, però
è giusto che chi commette un
errore ne paghi le conseguenze.
In questo modo invece si è
voluto solo stravolgere la
realtà e negare a Stefano non
solo la giustizia ma la stessa
dignità". Da quel giorno
tragico, ogni anno, nella data
dell'8 febbraio, gli Ultras
alabardati ricordano la memoria
di Stefano Furlan davanti alla
lapide commemorativa posizionata
all'esterno dello stadio e sarà
così anche domani, in occasione
del trentennale dalla scomparsa.
"Noi portiamo il nome di Stefano
Furlan in tutta Italia, in virtù
di un senso di orgoglio e
appartenenza - precisa Lollo,
attuale portavoce del gruppo che
oggi si chiama "Curva Furlan". E
la sua memoria è presente in
tutte le curve della penisola,
anche in quelle delle tifoserie
storicamente rivali. Il nostro
spirito incarna quello delle
passate generazioni anche se
oggi è molto più difficile
essere ultras e tifare allo
stadio a causa di controlli
sempre più severi e di una
burocrazia esasperata: noi
comunque continuiamo a portare
avanti la nostra battaglia nel
nome di Stefano e le curve di
tutta Italia si sono unite nel
suo nome, nel segno di un
tributo e di una giustizia che
lui purtroppo non ha avuto in
altre sedi".
7 febbraio 2014
Fonte:
Ilpiccolo.gelocal.it
Le partite drammatiche
della storia del calcio:
Triestina - Udinese
di Deni Pasini
8 febbraio 1984, ottavi
di Coppa Italia, Triestina
Udinese. Per molti appassionati,
potrebbe sembrare una partita di
calcio come tante, di cui magari
a nessuno interessa il risultato
finale. Per i tifosi di calcio
del Nord Est italiano invece,
l’8 febbraio 1984 è una data
indelebile, di quelle che si
ricordano sempre negli anni a
venire. Ed è un boccone a
tutt’oggi molto difficile da
digerire.
Antefatto - Il
campanilismo, ovverosia il
tipico prodotto nazionalpopolare
esportabile in qualsiasi realtà
del Bel Paese. La rivalità tra
friulani e triestini va ben
oltre questo malsana abitudine
nell’odiare l’erba del vicino.
Da una parte, Trieste: città
adagiata dolcemente sul mare,
dove inettitudine e pigrizia
convivono con un’illusoria e
allegra nostalgia dei bei tempi
andati. Dall’altra, Udine:
tipica realtà produttiva del
Triveneto che funziona, dove
sacrificio e dedizione al lavoro
portano allo sviluppo del
territorio. In sintesi, Trieste
ama vivere nel passato, Udine
nel futuro. Trieste è caciarona
e spensierata verso l’abisso di
una città sempre più anziana e
senza prospettive, Udine è seria
e laboriosa, forse un pizzico
noiosa. Il friulano è quadrato,
il triestino adora correre al
mare al primo sole. Da qui, da
questo veloce paragone, in
realtà non esaustivo e forse un
po’ semplicistico, nasce la
totale incomprensione tra le due
razze, costrette a convivere a
pochi chilometri di distanza.
Mettiamoci gli anni 80, gli
stadi pieni senza calcio alla
TV; aggiungiamo un tifo
all’epoca calorosissimo,
popolare e iperpoliticizzato.
Poco importa che gli ultras
friulani e triestini abbiano la
stessa provenienza politica:
entrambe le tifoserie si
dichiarano di estrema destra ma
non comunicheranno mai, anzi si
odieranno sempre, di un odio
sordo e duraturo. Tuttora,
seppure assai annacquato da una
passione calcistica sempre meno
sentita come fenomeno di massa,
il reciproco fastidio e una
certa incomprensione sotto sotto
rimangono inalterate.
Il derby
- Triestina e Udinese hanno
sempre avuto poche occasioni
d’incontrarsi. Solo 14 partite
in serie A: se fino agli anni
’60 è il capoluogo giuliano a
vantare la supremazia calcistica
regionale, poi spetterà ai
friulani. Ma nel 1984 il destino
ci mette lo zampino. Coppa
Italia: la Triestina, tornata da
poco in serie B trascinata dal
suo bomber Franco De Falco,
vince il suo girone superando la
Cremonese per migliore
differenza reti. L’Udinese fa
altrettanto, regolando in volata
il Varese. L’incrocio è da
brividi. Triestina Udinese agli
ottavi, con andata a Trieste. La
Triestina dicevamo poc’anzi
veleggia in serie B, mentre
l’Udinese è quella di Zico, per
intenderci. Non ci dovrebbe
essere storia, ma ovviamente
l’incontro principale si
giocherà fuori dal rettangolo
verde.
La
partita - Già in
mattinata, i tifosi friulani
arrivano in massa a Trieste in
treno, in pullman e in auto. La
polizia non è del tutto
preparata a un evento simile:
nel centro cittadino gli udinesi
più scalmanati riescono a
scendere dai pullman,
fracassando alcune auto targate
Trieste, e risalgono, per lo più
impuniti. Il centro città lascia
fare, ma lo stadio è in
periferia: Valmaura e Servola
sono quartieri tosti. Al
passaggio dei pullman dalle
finestre dei palazzi pioverà di
tutto, bicchieri, piatti e chi
più ne ha più ne metta.
Successivamente, nell’immediato
prepartita, i focolai di
violenza si propagano fuori
dallo stadio e nelle strade
adiacenti. La partita è carica
di tensione, il glorioso stadio
Grezar è una bolgia e in pratica
non si gioca a calcio. 0 a 0,
pochi tiri in porta e pochissime
emozioni. Alcune volte la
polizia deve intervenire per
lanci di petardi tra le due
tifoserie, ma tutto sommato va
meglio del previsto.
Post
partita - La
partita vera, come dicevamo, si
gioca tutta al di fuori dal
manto erboso. I tifosi triestini
aspettano i rivali all’esterno,
circondando la curva degli
ospiti. La polizia cerca invano
di non far venire a contatto le
due tifoserie. Ne nasce un
pomeriggio di guerra civile,
sassaiole e sprangate: i
celerini rispondono con un fitto
lancio di lacrimogeni e
distribuiscono manganellate a
destra e a manca. Con la forza e
solo dopo parecchie cariche, i
friulani più esagitati vengono
fatti risalire sugli autobus e
spediti verso Udine. Sembrerebbe
tutto finito ma ci sono ancora
quelli in auto; le macchine in
transito vengono prese d’assalto
da piccoli gruppi di ultras
alabardati, alcune vengono
fermate e rovesciate nel bel
mezzo della strada. E proprio
quella strada attraverserà un
tifoso giuliano. Stefano Furlan
è un ragazzo di 20 anni,
tifosissimo della Triestina; ha
seguito gli scontri da vicino,
come ogni ragazzo guarda curioso
il carnevale della violenza
davanti ai suoi occhi. Ma non
interviene attivamente, perché
Stefano si è sempre apertamente
professato come ragazzo
pacifico. Anzi, a un certo punto
si stufa e avverte gli amici che
va a trovare la madre, che sa
preoccupata e in ansia per la
partita. Attraversa la strada e
si dirige verso Via dei Macelli,
per recuperare la vettura: passa
vicino agli scontri e quella
sarà l’ultima volta che gli
amici lo vedranno. Ed è da
questa ultima immagine, da un
ragazzo che sciarpa al collo si
dirige verso casa che (come
spesso accade in questi casi)
partiranno le varie versioni di
quanto
accaduto. Noi non
vogliamo seguire scie retoriche,
né pensiamo che un articolo di
storia calcistica debba
sottintendere pareri dei singoli
o congetture; ci atteniamo ai
fatti nudi e crudi per come sono
stati ricostruiti dalle
indagini. Stefano viene fermato
da alcuni poliziotti e secondo
alcuni testimoni oculari diventa
oggetto di un’aggressione
selvaggia da parte di tre
celerini; due lo tengono e uno
lo manganella ripetutamente.
Stefano non oppone alcuna
resistenza: tre ragazze
affermano con certezza di aver
visto uno dei tre agenti
sbattere la testa del ragazzo
più volte contro un muretto.
Successivamente, Furlan viene
portato in questura e rilasciato
in serata. Il 9 febbraio Stefano
accusa forti dolori alla testa.
La madre lo porta di corsa
all’ospedale: frattura dell’osso
temporale e operazione
d’urgenza. Muore giovedì 1 marzo
1984 dopo 19 giorni di coma. La
magistratura italiana condanna
nel 1985 l’agente protagonista
del pestaggio a 1 anno di
reclusione per eccesso colposo
nell’uso legittimo delle armi.
La curva dei tifosi triestini
del nuovo stadio Nereo Rocco
inaugurato nel 1992 porterà il
suo nome. La madre Renata
Furlan, con una sensibilità che
probabilmente può appartenere
solo a una madre, in
un’intervista del 1990
dichiarerà: "Lo so che allo
stadio c’è sempre un lungo
striscione con il nome del mio
Stefano. Se però i suoi amici
vogliono ricordarlo veramente
vadano allo stadio solo per
divertirsi e non per compiere
atti di violenza. Io dico solo
una cosa, che non si può morire
di sport".
31 gennaio 2014
Fonte: Calcioparziale.it
8 Febbraio 1984: Stefano
Furlan, 28 anni senza giustizia
!
L'8 Febbraio 1984,
moriva a Trieste Stefano Furlan,
ucciso da un agente di polizia
dopo la partita di coppa Italia
Triestina Udinese. Riportiamo il
ricordo di Stefano del sito "La
Padova Bene".
Oggi si
celebra il ventottesimo
anniversario dalla morte di
Stefano Furlan. Col passare del
tempo la memoria umana tende a
dimenticare, la giustizia si
sforza di far dimenticare al più
presto; ed allora è giusto
rinfrescarla questa memoria.
Anche per dare una chiave di
lettura più completa ad altri
episodi similari, e ad abusi che
stanno colpendo altri ragazzi di
stadio in queste ore. Continuare
a dire che "chi dimentica è
complice" è un esercizio
scontato e ripetitivo: penso sia
più giusto dire che "chi ci
crede ancora è stupido", dove
gli stupidi sono quelli che
credono ancora alla giustizia ed
allo stato italiano, ad ogni
singola parola di qualsiasi
rappresentante di questo stato…
Stefano era un ragazzo di
vent’anni, tifoso della
Triestina. Mercoledì 8 febbraio
1984 si era giocato il derby di
Coppa Italia contro l’Udinese,
ed i dintorni dello stadio
"Grezar", il vecchio stadio di
Trieste, erano diventati teatro
di guerriglia urbana. Poi tutto
era finito ed i tifosi
provenienti da Udine avevano
potuto tornare ai pullman. In
quel momento Stefano era in
strada, e si stava recando a
casa della madre. Non ho
elementi per stabilire se fosse
stato o meno protagonista degli
scontri, so solo quello che
hanno sempre detto di lui tutti
coloro che lo conoscevano, anche
gente che con lo stadio e le
tifoserie organizzate non
centrano nulla: era un ragazzo
assolutamente pacifico e non
violento. Quando si verificavano
scontri allo stadio, in genere
non partecipava e se ne stava in
disparte a guardare. Così fece
quel giorno. Come già detto
Stefano si stava recando dalla
madre, ma non fece in tempo. Tre
celerini si staccarono dal
gruppo dei colleghi e lo
raggiunsero da dietro
colpendolo. La colpa di Stefano
? Trovarsi nel posto sbagliato
al momento sbagliato
sicuramente, e probabilmente
avere addosso la sciarpa
biancorossa della Triestina.
"Colpa" ancora più grave agli
occhi dei cani da guardia dello
stato… Lo raggiunsero e lo
fermarono, portandolo vicino a
un muro, dove uno dei tre lo
colpì prima con pugni e
manganellate sulla schiena e
dietro la testa, poi
afferrandolo per i capelli e
sbattendogli la testa contro il
muro. Il tutto mentre i due
colleghi trattenevano Stefano,
che peraltro non reagiva. Infine
lo caricarono sulla camionetta e
lo portarono in questura. Perché
gli sbirri agirono così ? Niente
di strano, è un po’ la "logica
del branco". Parlano tanto degli
ultras, ma almeno i celerini in
questo sono uguali. Come dice
John King parlando dei reparti
anti-sommossa di Scotland Yard:
gli sbirri sono una brigata come
tutte le altre, solo che per il
divertimento del sabato vengono
pagati, mentre noi sborsiamo per
avere il privilegio. E si
divertono, bastava vedere le
facce della celere a Vicenza lo
scorso novembre. Probabilmente
ridevano anche mentre
picchiavano Stefano, e lo
insultavano, sicuramente gli
avranno detto la tipica frase
loro: "Allora?!! Non fai più il
bello adesso che sei senza i
tuoi amici ?". Come se loro non
avessero bisogno degli amici per
sentirsi protetti, del "branco"
di celerini ringhianti, come se
non gli bastassero la divisa, il
casco ed il manganello… Ad ogni
modo Stefano venne rilasciato la
sera stessa, raccontò alla madre
di aver preso una manganellata
ed andò a letto. Il giorno dopo
non si sentiva bene, e non andò
a scuola. Nel pomeriggio stava
ancora peggio, e fu necessario
il ricovero presso l’Ospedale
Maggiore. Giunto all’ospedale
entrò in coma, e morì dopo 20
giorni di
agonia, il 1° marzo
1984. Il poliziotto che lo aveva
colpito, venne riconosciuto da
tre testimoni e sospeso dal
corpo.
Nel novembre 1985 venne
condannato ad un anno di
reclusione con i benefici della
legge. Ma successivamente, non
si sa per quale misterioso
cavillo della legge italiota,
venne però riabilitato e fino a
pochi anni fa svolgeva
regolarmente servizio presso la
Questura di Trieste. Adesso
probabilmente è in pensione,
quindi percepisce i suoi soldi
da noi senza nemmeno più fare un
cazzo (visti i risultati quando
fa qualcosa, forse è meglio così
!). Mi piace ricordare una frase
della madre di Stefano,
pronunciata in quei tristi
giorni del 1984: "Qualcuno mi ha
chiesto un messaggio per le
mamme che lasciano andare i
figli allo stadio, io invece un
messaggio lo invio alle
autorità: nei servizi di ordine
pubblico mandino gente che sa
quello che fa, non giovani alle
prime esperienze che possono
perdere la testa…". Con la
costruzione del nuovo stadio di
Trieste, la Curva occupata dagli
ultras triestini prese il suo
nome: Curva Stefano Furlan. Ogni
anno l’anniversario della morte
di Stefano viene ricordato con
cori e volantini, ed in
occasione del decennale (1994)
gli Ultras Trieste fecero un
corteo intorno allo stadio nel
silenzio assoluto, con uno
striscione nero "Stefano
Presente". La stessa cosa fecero
in occasione del ventennale, nel
2004. Per quanto mi riguarda la
sua vicenda non è molto diversa
da quella di Gabriele Sandri,
anche se venne percepita in
maniera meno forte dagli ultras
e dall’opinione pubblica. Nel
1984 la polizia era ancora una
presenza poco invadente, poco
più di un fastidio; nel 2007 i
ragazzi ne avevano le palle
piene dei loro abusi e la morte
di Gabriele fu il classico tappo
che fece esplodere la pentola a
pressione. A ventotto anni di
distanza, "La Padova Bene" vuole
ricordare Furlan, con le stesse
parole con cui lo ricorda la
curva alabardata: "La curva non
ha dimenticato, Stefano Furlan
ucciso dallo stato !". RIP
Stefano.
8 Febbraio 2012
Fonte: Lapadovabene.it
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