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STADIO BALLARIN 1981
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Rogo Stadio "Fratelli Ballarin" 7.6.1981 Testimonianze
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Rogo del Ballarin - Paolo Beni: "Impossibile dimenticare"

38 anni fa la tragedia che costò la vita a Maria Teresa Napoleoni e Claudia Bisirri.

La storica bandiera rossoblu ricorda quella tremenda giornata di 38 anni fa: "Non mi resi conto immediatamente della portata della tragedia, quando tornai a casa mia moglie mi disse che aveva sentito alla radio del disastro, subito dopo ebbi la terribile notizia delle vittime, è impossibile dimenticare. Vedere oggi il vecchio stadio in quelle condizioni fa male, io ci ho passato una vita. Il turismo sambenedettese deve molto alla Sambenedettese e al Ballarin. Per me è un pezzo di vita. Lì non ho vinto campionati ma se penso all’immagine più bella posso dire che è quella legata all’ingresso nella vecchia fossa dei leoni, bastava entrare al Ballarin per avvertire quella magia". Sono trascorsi 38 lunghi anni ma la data del 7 giugno del 1981 rimarrà per sempre impressa nella mente e nei cuori di tutti i sambenedettesi. Il rogo del Ballarin, la più grave tragedia mai avvenuta in un campo di calcio italiano. È un caldo e festoso pomeriggio, la Samb si prepara al ritorno in serie B giocando contro il già retrocesso Matera. Quasi 7 quintali di striscioline di carta di giornale vengono portati la stessa mattina all’interno della gremitissima Curva Sud che arriva a contare circa 4mila persone. Ma poco prima del fischio di inizio accade qualcosa, forse un mozzico di sigaretta, forse un fumogeno e in un attimo le fiamme che avvolgono i tifosi. Le forze dell’ordine suggeriscono a Paolo Tibertini di Bologna di fischiare comunque l’avvio del match ma in poco tempo si scatena il panico. Il bilancio è tremendo: 64 gli ustionati, 11 gravi, ad avere la peggio sono Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri rispettivamente di 23 e 21 anni. Le ragazze vengono immediatamente trasferite al Sant’Eugenio di Roma ma per loro non c’è nulla da fare. Maria Teresa si è arresa il 13 giugno Carla 4 giorni dopo.

7 giugno 2019

Fonte: Veratv.it (Testo e Video)

Trentasette anni dal rogo del Ballarin

Gigi Cagni: "Ho ancora quella tragedia davanti agli occhi"

di Nazzareno Perotti

Abbiamo intervistato il capitano della Samb di quel 7 giugno 1981. "Ricordo ancora quando portammo a spalla le bare delle due povere ragazze". Il vecchio stadio adesso è abbandonato: "Me lo hanno detto ma non ci tornerei mai a vederlo, mi farebbe troppo male".

SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Trentasette anni. Tanto è passato da quel 7 giugno 1981, da quel Samb-Matera che valse la Serie B ai rossoblu di Nedo Sonetti ma che viene ricordato per una delle più grandi tragedie mai avvenute in uno stadio italiano. Oggi corre il trentasettesimo anniversario di quel maledetto rogo che costò la vita a Carla Bisirri e a Maria Teresa Napoleoni e serie ustioni a decine di persone, molte delle quali giovani. In vista della triste ricorrenza, e per tenerne vivi i ricordi, nel pomeriggio del 6 giugno abbiamo intervistato il capitano di quella Samb. Gigi Cagni, che fra pochi giorni compirà 68 anni, era in campo quel giorno e dice di ricordare tutto come se fosse oggi, ricorda anche quando, insieme ai compagni, portò in spalla le bare delle due ragazze e dice che oggi a rivedere lo stadio non ci andrebbe: "Mi verrebbe il magone". Con lui abbiamo parlato anche del Riviera, che qualche anno dopo diventerà la nuova casa dei rossoblu, e delle ultime vicissitudini della Samb. Ecco la nostra chiacchierata.

Buonasera mister. Domani, 7 giugno, cade il trentasettesimo anniversario della tragedia del Ballarin. Che ricordi hai ?

"Basta che mi dicano la data e rivedo tutto davanti agli occhi, come se lo stessi vivendo in questo momento perché è stata una cosa troppo forte. Noi non ci siamo accorti di quello che stava succedendo dal campo, abbiamo rivisto tutto in televisione la sera ed è stata una cosa terribile. È stato terribile vedere le persone che si buttavano dalla curva e poi sapere delle due ragazze morte".

Secondo te fu un errore far giocare quella partita, Samb-Matera ?

"Non so che dire. Per certe cose sarebbe meglio sentire le forze dell’ordine. Se non sei dentro a certe dinamiche e non hai esperienza di certe cose e di certe emergenze è meglio non dire niente. Posso dire che se avessimo saputo tutto noi non avremmo giocato, ma non ci siamo resi conto perché l’arbitro fischiò subito l’inizio della partita, neanche lui se ne era accorto come nessuno in campo".

Ricordo che neppure noi giornalisti, dalla tribuna, ci siamo accorti della gravità di quello che stava succedendo. I giorni dopo sono stati i più tragici.

"Lo ricordo bene. Io, come capitano, e insieme ai miei compagni, non festeggiammo la promozione di quell’anno e ci ritrovammo a portare a spalla le bare ai funerali delle due povere ragazze. Poi andammo anche a trovare gli ustionati all’ospedale e fu qualcosa di forte, soprattutto vedere tanti giovani in quelle condizioni". (Omissis…)

6 giugno 2018

Fonte: Rivieraoggi.it

A 35 anni dalla tragedia del Ballarin, il ricordo di chi c’era

di Simone Meloni

Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri. Sono le giovani vittime di una delle giornate più tristi e avvilenti del calcio italiano. Sono le vittime del "rogo dello stadio Ballarin", il triste epitaffio della morte prematura, consumatosi a San Benedetto del Tronto il 7 giugno 1981, in occasione di Sambenedettese-Matera, gara che consentì ai marchigiani di conquistare l’accesso in Serie B. Esattamente 35 anni fa. Una festa tramutata in tragedia, un popolo allegro che in una frazione di tempo si è trovato con le mani tra i capelli e i volti sconvolti dalle lacrime e dalla paura. Fiamme. Alimentate dal vento. Giovani vite infrante, e le bandiere rossoblu che si ammainano. Titti è uno storico tifoso presente in quella triste giornata: "Venivamo da un periodo molto pesante a livello politico, per la città, che negli anni settanta era stata fortemente segnata dalle lotte di classe, come dal terrorismo - esordisce - tutti noi ragazzi eravamo figli di quella rabbia. La festa per la Samb era un modo di identificarci come piccoli guerrieri, che avevano superato con successo tutte queste vicissitudini. Già un mese prima della partita col Matera - spiega - avevamo cominciato a preparare i festeggiamenti. Ricordo che quel giorno c’erano un centinaio di sacchi dell’immondizia, contenenti le striscioline di carta per la coreografia, messi in ogni angolo della curva. La giornata era caldissima, c’era un forte vento di scirocco (lu arrbì, come lo chiamiamo noi). L’afa avvolgeva la città già alle 11 di mattina, quando entrammo allo stadio per preparare il tutto. Volevamo fare una grande cosa, basti pensare che la mole di carta portata all’interno dello stadio arrivava sino alle ginocchia. Circa 7 quintali". L’ingresso delle squadre e la tragedia. "Ci apprestavamo a festeggiare la squadra con la carta e i fumogeni, nessuno pensava alle scintille. Vedevamo delle piccole fiammette qua e là (forse procurate da una sigaretta, forse da un fumogeno), ma prendemmo la cosa sottogamba - racconta - cercando semplicemente di spegnerle con i piedi. Invece, anche a causa di alcune folate di scirocco, in quindici secondi l’allegria si è tramutata in caos. Sì è creata una sorta di piccola tromba d’aria, con le carte infiammate che spingevano verso l’alto. La gente ha cominciato ad ammassarsi, al centro e nella parte inferiore. È là che le due ragazze sono rimaste intrappolate, senza via di fuga. Travolte da una seconda folata di fuoco. Come se gettassimo dell’alcol in un camino. Le fiamme superavano anche i dieci metri. Sembrava che Dio avesse preso a schiaffi il vento per indirizzarlo là. La gente spingeva ovunque - continua - non si trovavano le chiavi del cancello per entrare in campo e, inoltre, i manicotti per i pompieri, posti a pochi metri dalla curva, erano privi di acqua. Ci sono stati dei veri e propri eroi, che mettendo a repentaglio la propria vita hanno salvato vite umane, scaraventando ragazzini inermi da una parte all’altra della rete, come fossero sacchi di patate. È stato come un attentato, nessuno si aspettava una simile tragedia in quel contesto. Eppure oggi c’è ancora chi ne porta i segni. Ricordo che il resto del pubblico, ma anche i carabinieri, erano a dir poco attoniti". Un evento che creò, per qualche tempo, una frattura tra il tifo organizzato rossoblu e il resto dei sostenitori. "I primi tempi fummo messi sotto torchio dalle autorità e dall’opinione pubblica - afferma - ci sentivamo disprezzati, la gente ci incolpava dell’accaduto e non è stato facile ricucire questa ferita. È stato il senso di appartenenza a far crescere l’Onda d’Urto (storico gruppo guida del tifo rossoblu) e riportarla vicino alla gente. Inoltre, in quegli anni, c’era un grave problema di droga in città, così noi giovani cercavamo di rallegrarci con la Samb, anche se nel primo periodo che seguì il rogo tutto ciò che riguardava il calcio a San Benedetto era visto quasi in modo lugubre, esattamente l’opposto di quello che noi provavamo per la squadra. Io voglio credere - sottolinea - che tragedie come questa o come quelle successe in mare con l’affondamento del Rodi e del Pinguino, abbiamo unito ancor più il popolo sambenedettese". E il Ballarin di oggi ? "Sono sorte diverse associazioni e il nostro corteo nella partita della promozione in Lega Pro contro la Jesina parla chiaro: la storia non si demolisce. Ci sono persone - dice - pronte a difendere quello stadio con le unghie e con i denti, soprattutto chi è nato con quella tragedia. Vorremmo venisse riqualificato, soprattutto perché i ragazzi capiscano cosa sono le radici del popolo rossoblu. Lì c’erano i nostri padri e i nostri nonni". Eppure la partita si giocò ugualmente. A quel tempo Remo Croci, oggi giornalista Mediaset ma anche vicepresidente della Fondazione Fratelli Ballarin, era cronista ufficiale della Samb per Radio Ponte Marconi: "Non si ebbe subito la percezione di quanto stava accadendo - racconta - anzi ricordo che all’intervallo lo speaker disse che non c’erano stati feriti e addirittura a fine partita ci furono dei festeggiamenti. Durante la partita sentivamo il viavai delle ambulanze, ma non era chiaro il quadro della situazione. Poi la sera arrivarono le tragiche notizie. Ricordo, alla discesa della squadra in campo, Walter Zenga che costantemente guardava verso la Curva Sud. Subito dopo anche Cavazzini fece la stessa cosa e, a quel punto, l’intera tribuna che allora si chiamava "Prato". In curva c’erano due spazi liberi e la gente che si ammassava dove non divampavano focolai. Il giocatore Sansone prese un estintore per domare le fiamme, ma il getto d’acqua era troppo debole. Di recente - svela - ho parlato con Tubertini, l’arbitro di quella partita, e mi ha confermato che nessuno pensava la situazione fosse così drammatica. Una piccola curiosità: quel giorno, aggrappato alle grate, ricordo Patrizio Peci, ex esponente delle Brigate Rosse, il cui fratello, Roberto, verrà rapito esattamente tre giorni dopo (e ucciso il 2 luglio successivo n.d.r.)". Paolo, invece, altro tifoso presente quel giorno, ricorda: "Io ebbi la fortuna di spostarmi verso destra - afferma - fu fortuna, perché chi scese verso il basso rimase ustionato. Le persone si toglievano la carta di dosso, gettandola in basso e alimentando involontariamente l’incendio. Molti saltarono direttamente in campo. Per quanto erano divenute roventi le gradinate, mi si fusero le scarpe da tennis e sentivo i miei piedi bruciare. Ho un flash di quel giorno: una ragazza con i capelli lunghi legati che, nel tentativo di scappare, finì in mezzo al fuoco. I capelli le si sciolsero letteralmente. Non ho mai saputo se si trattasse di una delle due vittime. Si svolse tutto velocemente, 10-15 minuti di inferno". Sulla panchina della Samb sedeva Nedo Sonetti, ultimo allenatore a condurre i marchigiani in Serie B: "Quando succedono questo genere di cose, il ricordo resta incancellabile - sostiene - ogni attimo di una tragedia che si consuma in un campo di calcio è indelebile. Abbiamo visto le fiamme ma non sapevamo l’entità del fatto. Un dispiacere che però non macchia il bellissimo ricordo che ho di San Benedetto". Chi oggi allena, ma allora calpestava il manto verde nel ruolo di calciatore, è Luigi Cagni, che racconta: "Se ci fossimo accorti di quello che stava accadendo, non avremmo giocato. La sera - continua - abbiamo visto le immagini da brividi. Quando siamo entrati c’era la classica nebbiolina dei fumogeni, c’era musica, dei bambini con noi e l’arbitro ha fatto giocare regolarmente". Una targa al nuovo Riviera delle Palme ricorda Maria Teresa e Carla. La vede chiunque vada allo stadio. Ogni 7 giugno le rovine del Ballarin riprendono forma, per far sì che nessuno dimentichi la tragedia. Il mare è là, a pochi metri. Ed è custode di una popolazione e di una storia fatta di novelle che si perdono in mare e tradizioni tramandate anche attraverso il calcio. Perché le fiamme non hanno bruciato il senso d’appartenenza dei sambenedettesi. Né cancelleranno il ricordo di quella tragica domenica di 35 anni fa.

8 giugno 2016

Fonte: Tuttosamb.it

La tragedia del Ballarin, tra ricordi e nuove proposte

di Michele Palmiero

I ricordi dei tifosi e il progetto della Fondazione Ballarin

SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Il 7 giugno sarà sempre un giorno maledetto per i sambenedettesi. Il ricordo e il dolore per la più grave tragedia sportiva del nostro Paese riguarda tutti: dai tifosi ai cittadini, dai presenti a chi quel giorno non era allo stadio, o non era ancora nato. Questi ricordi sono dolorosi, ma allo stesso tempo indispensabili perché rappresentano il cemento della nostra storia, della nostra comunità. Come ogni anno, dunque, ricordiamo Carla, Maria Teresa e tutti coloro hanno vissuto la tragedia del 7 giugno 1981. GIANNI SCHIUMA - "Il ricordo più nitido che ho di quella giornata è che non mi ero assolutamente accorto di quanto stava accadendo. Scendendo i gradoni non mi resi conto del pericolo, fino a quando non vidi il fuoco. In un centesimo di secondo capii che stavo rischiando la vita. Mi tornano in mente tante sensazioni del momento in cui il fuoco mi colpì: paura, sgomento, senso di smarrimento. Mi sono ritrovato all’ospedale, vicino alla stanza delle due ragazze. Per riprendermi da questo trauma c’è voluto molto tempo. Non nego che fu difficilissimo, per me, tornare allo stadio: quel fuoco lasciò cicatrici sul corpo e sulla mente". LUIGI TOMMOLINI - "Quel giorno mi ero sistemato sul lato ovest della Curva Sud, attaccato alla recinzione. Non vidi le fiamme, perché in quei momenti concitati la gente scappava per evitare il fuoco, schiacciandoci verso la recinzione. Rischiammo davvero di essere soffocati dalla ressa di persone. Furono momenti tragici, per circa un anno andare allo stadio non fu la stessa cosa. Con il passare degli anni, però, la gente sembrava quasi essersi dimenticata di quell’avvenimento, della morte di due ragazze. Nel 2010, a 29 anni dal rogo, decisi di realizzare un video che pubblicai il 13 maggio: Carla e Maria Teresa non dovevano essere dimenticate. L’anno successivo conobbi la madre di Maria Teresa, con la quale sono rimasto in contatto. Il giorno in cui avrei dovuto incontrarla, nel vederla camminare verso di me, dissi le uniche due parole che avevo in mente: "Maria Teresa". La madre si commosse, e mi abbracciò. In quell’abbraccio vidi come un tentativo di stringersi ancora alla sua amata figlia. A pensarci oggi, ho ancora la pelle d’oca. Di Carla Bisirri, invece, ho un ricordo ancora più lontano. Da bambino accompagnavo spesso mia madre in una parruccheria, dove Carla lavorava come apprendista.  Ogni volta, per farmi sentire a mio agio, si avvicinava a me e mi accarezzava i capelli. Già a 15 anni mostrava una maturità insolita per una ragazza. Porterò sempre nel cuore le sue carezze". EMIDIO MANGIOLA - "Dopo tutti questi anni i miei ricordi di quel giorno si soffermano sempre su un particolare: la velocità con cui tutto è accaduto. Era una giornata di festa, allo stadio c’era euforia per il grande risultato raggiunto. Tutto accadde da un momento all’altro: all’inizio sembrava una sciocchezza, poi una maledetta folata di vento ha provocato la tragedia. Ancora oggi quei pochi secondi con cui passammo dalla festa alla paura mi fanno venire i brividi". A conclusione di questo doloroso viaggio, la parola va a Remo Croci, fautore della Fondazione Ballarin: "Vogliamo che le persone che hanno fatto la storia del Ballarin possano essere ricordate in maniera istituzionale. In questo senso, abbiamo in mente un progetto di ampio respiro: ricordare "per tappe" tutte le persone che hanno fatto la storia, in positivo e purtroppo in negativo, dello stadio Ballarin. La targa commemorativa non basta, occorre un segno tangibile. Quando ci sarà la nuova giunta comunale noi formuleremo le nostre proposte: il nostro desiderio è ricordare tutti, da Gigi Traini, primo giocatore sambenedettese a giocare in Serie A, a Rinaldo Olivieri passando, ovviamente, per Carla e Maria Teresa".

7 giugno 2016

Fonte: Noisamb.it

Sambenedettese, la curva della morte: la tragedia dei tifosi tra le fiamme

di Francesco Ceniti

La più grande disgrazia in uno stadio italiano: 2 ragazze uccise, 64 ustionati. Il ricordo di Zenga: "Dimenticare è impossibile".

"Come faccio a dimenticare... Non c’è giorno che passi senza un pensiero rivolto a quel giorno, a quelle povere ragazze. Una aveva la mia età. Ho quella foto, la tengo nel cassetto. La guardo spesso, come spesso guardo il video su internet. E non riesco a darmi pace. È accaduto tutto così in fretta, noi in campo pronti ad affrontare il Matera: ci bastava un punto per la promozione. Poi qualcosa gira male: vedo fiamme e fumo. Poco alla volta tutti andiamo verso la curva: la gente urla e si lancia sul prato, ferendosi sul filo spinato. Come faccio a dimenticare... Semmai mi chiedo perché nessuno parli di quella tragedia, come se fosse di serie C. Una vergogna". Walter Zenga fa Walter Zenga: va dritto al problema senza giri di parole. È stato testimone di una tragedia e soffre per la memoria perduta in un Paese pronto a indignarsi per qualunque cosa. "Basta fare un post su Facebook, un tweet. Scrivere "Je suis Paris"... Tutto bello per carità. A me, però, sa d’ipocrita. Mentre parlo con lei il mio preparatore chiede sottovoce "Ma cosa è accaduto a San Benedetto ?". Questo è il problema, non si può sbianchettare una giornata così. Fa male a chi c’era e fa male a chi cresce senza avere coscienza di quello che è stato. E allora, parliamo del Ballarin...". IL ROGO - Parliamone. La Samb sta per ritornare in B dopo una stagione. In città si discute solo di questo. Anche Carla Bisirri, parrucchiera di 21 anni, e Maria Teresa Napoleoni, segretaria di 23, si fanno coinvolgere. C’è chi sussurra che quella del 7 giugno è stata la loro prima volta allo stadio. Forse è così, forse no. Non cambia nulla. Di sicuro comprano il biglietto e con gli amici varcano i cancelli 2 ore prima della gara. Fa caldo, ma alle 15 i 3500 posti della curva sud sono già occupati. E la gente continua a entrare. "Faranno una coreografia speciale", è il passaparola. Anche per questa ragione le forze dell’ordine decidono di sbarrare i cancelli: ingressi e uscite chiuse a chiave. Scelta fatale. Ore 16 e 57: squadre in campo. Si alzano migliaia di cartoncini colorati. Poi i fumogeni rossi e blu nascondono la Sud.

Tutto è pronto per la partita. E la festa. All’improvviso un fumo nero attira l’attenzione. Non è previsto. La curva si divide come il mar Rosso. Ma non c’è acqua, c’è il fuoco. I cartoncini iniziano a bruciare, le fiamme avanzano in un baleno trovando nuova linfa gradino dopo gradino. Le persone cercano riparo, ma le uscite sono lucchettate. Allora risalgono verso l’alto, si ammassano. E qui il Ballarin compie un mezzo miracolo: a differenza dell’Heysel, le mura non cedono e resistono alla forza d’urto. Sarebbe stata una mattanza, con voli nel vuoto di oltre 15 metri. Chi sta in basso è circondato come un topo, l’unica fuga è il campo: c’è da scavalcare la rete, affrontare il filo spinato. Non tutti ci riescono. Nella calca, chi perde l’equilibrio finisce dritto nel rogo. Accade a 3 donne e un bambino. Nel video disponibile sul web si vedono gli istanti più tragici: Carla e Maria Teresa come torce umane, mentre un’anziana cerca riparo nei bagni. E c’è il bimbo di 10 anni, circondato dal fuoco. La sua vita sembra segnata, poi arriva un angelo. Non dal cielo, ma dalla curva. Un finanziere in borghese si lancia nelle fiamme, solleva il ragazzino e lo riporta tra i vivi. L’inferno dura meno di 10’, il bilancio è drammatico: 3 persone in condizioni gravissime, poi ci sono 64 ustionati e una quarantina di altri feriti. La curva si svuota: metà della gente torna a casa da sopravvissuta, l’altra resta a vedere il match. Tra loro c’è pure Roberto Peci, ex calciatore e fratello del pentito Patrizio. Tre giorni dopo sarà rapito dalle brigate rosse, in una città ancora sotto choc, e il 3 agosto ucciso per vendetta. Ma questa è un’altra storia. PROPOSTE - "Abbiamo giocato. Non pensavano fosse accaduto qualcosa di irreparabile. Alla fine lo 0-0 ci bastò per andare in B, ma nessuno festeggiò. Poi morirono le ragazze...". Zenga abbassa la voce, non va avanti. Carla e Maria Teresa arrivano in ospedale coscienti, ma con ustioni devastanti per i vestiti sintetici squagliati sulla pelle. La prima a cedere è Maria Teresa: smette di respirare il 13 giugno. Quattro giorni dopo stesso destino per Carla. Resiste e si salva la terza donna. Sono passati 35 anni, il Ballarin è stato abbandonato nel 1985: ora il Comune lo vuole abbattere e riqualificare l’area. Zenga ritrova la voce. "Non entro in questioni politiche. Certo, mi aspetterei un minimo d’attenzione. Demolire il vecchio stadio ? Fate pure, ma vogliamo lasciare un’area per ricordare le ragazze morte ? Che so, una stele o una targa. Sarebbe il minimo, dovrebbe essere un impegno morale. Altro che post su Facebook". Anche Gigi Cagni la pensa così. A San Benedetto lo chiamano ancora "capitano". Quel 7 giugno indossava la fascia, come ha fatto per diverse stagioni. "Non si può spiegare con le parole quello che abbiamo vissuto. Ognuno ha i suoi ricordi e un sentimento amaro che non va più via. Mi disturba parecchio la cosa del Ballarin, pensare che si possa fare della speculazione con nuovi edifici non riesco a capirlo. Perché non si costruiscono dei campi per i ragazzi e si lascia qualcosa a ricordo della tragedia ? Altrimenti davvero è tutto senza senso". SUPERSTITE - Il finale lo affidiamo alle parole di Luigi Tommolini. Il 7 giugno 1981 aveva 12 anni: con la sua bandiera se ne stava nella parte alta della curva. Per preservare la memoria di quella tragedia ha caricato sul web il video (quello di cui parla Zenga) del rogo. Quasi 10’ da guardare in apnea. "Quando le persone hanno iniziato a spingere dalla mia parte - racconta - ho creduto di morire. Vedevo il vuoto sotto di me. Per fortuna il muro ha retto. Il fuoco non lo vedevo, ma neppure chi era vicino si rendeva conto di quello che accadeva. Le fiamme avanzavano controsole, quasi invisibili. Non si trovavano le chiavi delle porte e gli idranti erano senza acqua... Ero piccolo, non ho capito subito la gravità dei fatti, ma rammento un particolare: dopo la gara scesi in campo, non c’erano festeggiamenti. Ma scesi lo stesso, forse per esorcizzare la paura. Quando mi girai verso la curva, vidi al centro una chiazza nera, Restai muto, col cuore in gola. Credo sia giusto ricordare sempre le vittime e i feriti. Si parla di abbattere lo stadio, ma dico: è così difficile dedicare una via o una piazza a Carla e a Maria Teresa ?". Già, è davvero così difficile ?

5 marzo 2016

Fonte: Gazzetta.it

TVP Italy 7.07.2015

Vita Vera: "Stadio Ballarin, il rogo del 1981"

In studio: Antonella Roncarolo (Insegnante e giornalista) - Luigi Tommolini (Reduce Ballarin 7.06.1981)

Rogo Ballarin 30 anni fa: salvo per miracolo

di Marco Olivieri

Guardatemi a 13 anni: pantaloncini corti blu, maglietta blu a righe orizzontali bianche, nella prima foto a sinistra in caduta libera dal recinto della curva sud del "Ballarin" (che botta alla schiena !)… Sentivo già le fiamme avvicinarsi e di fronte al muro della folla impazzita l’unica via di salvezza per un adolescente era scavalcare ! In realtà il poliziotto sembra aprire le braccia per prendermi: mi butto ma lui rimane a braccia aperte come un idiota… Subito mi alzo (seconda foto) e guardo uno spettacolo da brividi… Ancora oggi… (Omissis)

18 giugno 2011

Fonte: Marcolivieri.it

Stadio Ballarin: 7 giugno 1981, per non dimenticare

di Benedetto Marinangeli

SAN BENEDETTO - La spiaggia era già gremita di turisti. I "pappagalli" erano già in cerca delle prime prede estive, le prime tedesche, due gemelle di Bergamo, le francesine. Ma la Samb è la Samb. "Bella di babbo, ci vediamo dopo cena. Forse. La Samba torna in serie B. Non ci sono per nessuno !". Inizia così la domenica del 7 giugno 1981 per un gruppo di ragazzi sambenedettesi. È il grande happening di tutti coloro che hanno nel cuore i colori rossoblu. Già dalla mattina il lungomare e le vie cittadine si riempiono di auto, camion, ed anche trattori con a bordo gente esultante. Il mitico "Frangì di Barabba" ha tirato fuori la tromba d’ordinanza, quella dei tempi migliori. Classico appuntamento al Chicco d’Oro e poi corteo rossoblu verso il Ballarin. Passa un camion con alcune persone. "Suvete, ieme !". Lasciamo il gruppo e si sale. È tutto un coro: "Samba, Samba". Giro lungo, si passa sotto la curva sud, ecco i distinti, con le persone sporte dal parapetto ad applaudirci, la curva nord, la tribuna. Ed alla fine si torna al "Tempio del Tifo": la Sud del Ballarin, la Fossa dei Leoni. Zenga, Tedoldi, Cavazzini, Schiavi, Bogoni, Cagni, Caccia, Ranieri, Perrotta, Colasanto, Speggiorin. È la Samb di Nedo Sonetti che torna in serie B dopo solo un anno di inferno in C1. La terza promozione della storia. Si entra al Ballarin. L’avversario di turno è il Matera, già retrocesso, con "Baffone" Casiraghi (eloquente la figurina Panini) tra i pali. Una passeggiata di salute, i giochi sono fatti. Classico posto, in alto rispetto ai tamburi già belli e allineati. È tutto pronto per la serie B. Fumogeni, carta, tanta, troppa, sui gradoni. Che la festa abbia inizio. Il mitico Sciarretta (lo speaker del Ballarin) ha già lanciato il classico spot: "Bulova Acutron, l’orologio dell’era spaziale, Gioielleria Fenocchi vi offre le formazioni che tra poco scenderanno in campo". Cielo sereno, temperatura estiva, classica brezza di mare. Il massimo per una festa. Ed invece ecco, all’improvviso un caldo "strano", troppo. Il fuoco si alza in piena curva. Che sta accadendo ? È un fuggi fuggi generale. Il caos totale. Perdo la maglia e resto con solo le bermuda. È un attimo. Il cancelletto della curva sud è chiuso, non si trovano le chiavi. C’è chi si arrampica sulla rete di recinzione, chi va controvento saltando le fiamme. Nessuno si accorge della tragedia che si sta consumando. Il tempo scorre inesorabile, sembra eterno. Ed invece, tutto dura un attimo. Nessuno si rende conto di ciò che è realmente accaduto. Anzi, la partita inizia e si torna a fare tifo: "Samba, Samb. Torneremo in serie B". Ma Sciarretta inizia una impressionante litania: "Il signor X è desiderato all’uscita della tribuna, la ragazza Y è attesa dai genitori fuori dai distinti, il bambino Z (che poi tanto bimbo non è perché al secondo anno di Liceo Classico, il quarto conteggiando i due di ginnasio - ndr) è atteso dalla mamma fuori dagli spogliatoi". È un continuo. Da dentro la curva sud non si percepisce la tragedia. Finisce 0-0. La Samb torna tra i cadetti. Esco esultante dal Ballarin e la prima persona che incontro è mia sorella, la più grande, con mio fratello, il più piccolo. "Siamo in serie B" gli urlo esultante. La vedo bianca in volto. Era ai distinti, aveva visto tutto. Non mi risponde. Mi guarda con le lacrime agli occhi. Allora, soltanto allora, forse, mi rendo conto di ciò che era accaduto. La tragedia ! Nell’incendio del Ballarin sono morte due ragazze: Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri, decine di tifosi ustionati, di tutte le età. E sono passati 29 anni, quasi un’eternità, ma il ricordo è sempre vivo e non mi abbandonerà. Mai.

7 giugno 2010

Fonte: Gigicagni.it

7.06.2011: E nemmeno noi avremmo giocato. Non riesco a dimenticarmi quel giorno e quelli seguenti sia per il funerale che per la visita alle persone ustionate". Luigi Cagni (Capitano Sambenedettese 1980-1981)

28.02.2011: "Anche io quel giorno ero lì. Mi ritengo molto fortunato perché in quel giorno, ed avevo 16 anni, stavo lavorando in un ristorante e quindi allo stadio arrivai poco prima che iniziasse la partita. La curva era gremitissima e quindi rimasi in basso vicino la recinzione, non potendo occupare la mia posizione solita. Ricordo che vidi una folla oceanica iniziare a correre e saltare verso l’uscita, altri a cercare di sfondare e saltare la recinzione, altri ad imprecare contro i carabinieri presenti per far aprire quella porticina che dava sul campo. Io per alcuni momenti rimasi immobile, non riuscivo a capire cosa stava succedendo anche perché erano accesi molti fumogeni colorati. Man mano che la folla usciva mi resi conto che c’era del fuoco ed anch’ io riuscii ad uscire. Dopo diverso tempo la partita iniziò ricordo che fu una partita strana sicuramente condizionata anche da ciò che era successo. Sinceramente io e molti altri presenti abbiamo capito solo molto dopo ciò che era veramente successo altrimenti forse non sarei rientrato a vedere la partita. Marco (Tifoso Sambenedettese)

1 marzo 2011: "La più brutta esperienza mai vissuta in un campo da calcio". Cercavamo di prendere al volo le persone che si lanciavano dalla rete, giocammo quella partita senza sapere delle vittime. Fu davvero una tragedia e anche l’inizio di un calvario per un grande presidente come Ferruccio Zoboletti". Antonio Pigino (Secondo Portiere Sambenedettese 1980-1981)

9 giugno 2010: "Avevo 10 anni, quel giorno, ed ero in Curva con mio padre. Per pura fortuna in quel momento ci trovavamo in basso, attaccati alla rete, proprio in corrispondenza dell’ingresso esterno, forse eravamo appena arrivati. Ricordo il volto preoccupato di mio padre che guardava verso il lato est della curva (io non riuscivo a vedere niente). Poi una ragazza corre verso di noi con le scarpe in fiamme e un signore che spegne il fuoco con un giubbetto. Usciamo in fretta fuori, per poi rientrare poco dopo, ma nella curva opposta. Grazie per aver ricordato questo triste capitolo di storia della Samb nel Suo Blog". Nerone (Tifoso Sambenedettese)

Fonte: Gigicagni.it


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