Rogo del Ballarin -
Paolo Beni: "Impossibile
dimenticare"
38 anni fa la tragedia
che costò la vita a Maria Teresa
Napoleoni e Claudia Bisirri.
La storica bandiera rossoblu
ricorda quella tremenda giornata
di 38 anni fa: "Non mi resi
conto immediatamente della
portata della tragedia, quando
tornai a casa mia moglie mi
disse che aveva sentito alla
radio del disastro, subito dopo
ebbi la terribile notizia delle
vittime, è impossibile
dimenticare. Vedere oggi il
vecchio stadio in quelle
condizioni fa male, io ci ho
passato una vita. Il turismo
sambenedettese deve molto alla
Sambenedettese e al Ballarin.
Per me è un pezzo di vita. Lì
non ho vinto campionati ma se
penso all’immagine più bella
posso dire che è quella legata
all’ingresso nella vecchia fossa
dei leoni, bastava entrare al
Ballarin per avvertire quella
magia". Sono trascorsi 38 lunghi
anni ma la data del 7 giugno del
1981 rimarrà per sempre impressa
nella mente e nei cuori di tutti
i sambenedettesi. Il rogo del
Ballarin, la più grave tragedia
mai avvenuta in un campo di
calcio italiano. È un caldo e
festoso pomeriggio, la Samb si
prepara al ritorno in serie B
giocando contro il già
retrocesso Matera. Quasi 7
quintali di striscioline di
carta di giornale vengono
portati la stessa mattina
all’interno della gremitissima
Curva Sud che arriva a contare
circa 4mila persone. Ma poco
prima del fischio di inizio
accade qualcosa, forse un
mozzico di sigaretta, forse un
fumogeno e in un attimo le
fiamme che avvolgono i tifosi.
Le forze dell’ordine
suggeriscono a Paolo Tibertini
di Bologna di fischiare comunque
l’avvio del match ma in poco
tempo si scatena il panico. Il
bilancio è tremendo: 64 gli
ustionati, 11 gravi, ad avere la
peggio sono Maria Teresa
Napoleoni e Carla Bisirri
rispettivamente di 23 e 21 anni.
Le ragazze vengono
immediatamente trasferite al
Sant’Eugenio di Roma ma per loro
non c’è nulla da fare. Maria
Teresa si è arresa il 13 giugno
Carla 4 giorni dopo.
7 giugno 2019
Fonte: Veratv.it
(Testo e Video)
Trentasette anni dal rogo del
Ballarin
Gigi Cagni: "Ho ancora quella
tragedia davanti agli occhi"
di Nazzareno Perotti
Abbiamo intervistato il capitano
della Samb di quel 7 giugno
1981. "Ricordo ancora quando
portammo a spalla le bare delle
due povere ragazze". Il vecchio
stadio adesso è abbandonato: "Me
lo hanno detto ma non ci
tornerei mai a vederlo, mi
farebbe troppo male".
SAN BENEDETTO DEL TRONTO -
Trentasette anni. Tanto è
passato da quel 7 giugno 1981,
da quel Samb-Matera che valse la
Serie B ai rossoblu di Nedo
Sonetti ma che viene ricordato
per una delle più grandi
tragedie mai avvenute in uno
stadio italiano. Oggi corre il
trentasettesimo anniversario di
quel maledetto rogo che costò la
vita a Carla Bisirri e a Maria
Teresa Napoleoni e serie ustioni
a decine di persone, molte delle
quali giovani. In vista della
triste ricorrenza, e per tenerne
vivi i ricordi, nel pomeriggio
del 6 giugno abbiamo
intervistato il capitano di
quella Samb. Gigi Cagni, che fra
pochi giorni compirà 68 anni,
era in campo quel giorno e dice
di ricordare tutto come se fosse
oggi, ricorda anche quando,
insieme ai compagni, portò in
spalla le bare delle due ragazze
e dice che oggi a rivedere lo
stadio non ci andrebbe: "Mi
verrebbe il magone". Con lui
abbiamo parlato anche del
Riviera, che qualche anno dopo
diventerà la nuova casa dei
rossoblu, e delle ultime
vicissitudini della Samb. Ecco
la nostra chiacchierata.
Buonasera mister. Domani, 7
giugno, cade il trentasettesimo
anniversario della tragedia del
Ballarin. Che ricordi hai ?
"Basta che mi dicano la data e
rivedo tutto davanti agli occhi,
come se lo stessi vivendo in
questo momento perché è stata
una cosa troppo forte. Noi non
ci siamo accorti di quello che
stava succedendo dal campo,
abbiamo rivisto tutto in
televisione la sera ed è stata
una cosa terribile. È stato
terribile vedere le persone che
si buttavano dalla curva e poi
sapere delle due ragazze morte".
Secondo te fu un errore far
giocare quella partita,
Samb-Matera ?
"Non so che dire. Per certe cose
sarebbe meglio sentire le forze
dell’ordine. Se non sei dentro a
certe dinamiche e non hai
esperienza di certe cose e di
certe emergenze è meglio non
dire niente. Posso dire che se
avessimo saputo tutto noi non
avremmo giocato, ma non ci siamo
resi conto perché l’arbitro
fischiò subito l’inizio della
partita, neanche lui se ne era
accorto come nessuno in campo".
Ricordo che neppure noi
giornalisti, dalla tribuna, ci
siamo accorti della gravità di
quello che stava succedendo. I
giorni dopo sono stati i più
tragici.
"Lo ricordo bene. Io, come
capitano, e insieme ai miei
compagni, non festeggiammo la
promozione di quell’anno e ci
ritrovammo a portare a spalla le
bare ai funerali delle due
povere ragazze. Poi andammo
anche a trovare gli ustionati
all’ospedale e fu qualcosa di
forte, soprattutto vedere tanti
giovani in quelle condizioni".
(Omissis…)
6 giugno 2018
Fonte: Rivieraoggi.it
A 35 anni dalla tragedia del
Ballarin, il ricordo di chi
c’era
di Simone Meloni
Maria Teresa Napoleoni e Carla
Bisirri. Sono le giovani vittime
di una delle giornate più tristi
e avvilenti del calcio italiano.
Sono le vittime del "rogo dello
stadio Ballarin", il triste
epitaffio della morte prematura,
consumatosi a San Benedetto del
Tronto il 7 giugno 1981, in
occasione di
Sambenedettese-Matera, gara che
consentì ai marchigiani di
conquistare l’accesso in Serie
B. Esattamente 35 anni fa. Una
festa tramutata in tragedia, un
popolo allegro che in una
frazione di tempo si è trovato
con le mani tra i capelli e i
volti sconvolti dalle lacrime e
dalla paura. Fiamme. Alimentate
dal vento. Giovani vite
infrante, e le bandiere rossoblu
che si ammainano. Titti è uno
storico tifoso presente in
quella triste giornata:
"Venivamo da un periodo molto
pesante a livello politico, per
la città, che negli anni
settanta era stata fortemente
segnata dalle lotte di classe,
come dal terrorismo - esordisce
- tutti noi ragazzi eravamo
figli di quella rabbia. La festa
per la Samb era un modo di
identificarci come piccoli
guerrieri, che avevano superato
con successo tutte queste
vicissitudini. Già un mese prima
della partita col Matera -
spiega - avevamo cominciato a
preparare i festeggiamenti.
Ricordo che quel giorno c’erano
un centinaio di sacchi
dell’immondizia, contenenti le
striscioline di carta per la
coreografia, messi in ogni
angolo della curva. La giornata
era caldissima, c’era un forte
vento di scirocco (lu arrbì,
come lo chiamiamo noi). L’afa
avvolgeva la città già alle 11
di mattina, quando entrammo allo
stadio per preparare il tutto.
Volevamo fare una grande cosa,
basti pensare che la mole di
carta portata all’interno dello
stadio arrivava sino alle
ginocchia. Circa 7 quintali".
L’ingresso delle squadre e la
tragedia. "Ci apprestavamo a
festeggiare la squadra con la
carta e i fumogeni, nessuno
pensava alle scintille. Vedevamo
delle piccole fiammette qua e là
(forse procurate da una
sigaretta, forse da un
fumogeno), ma prendemmo la cosa
sottogamba - racconta - cercando
semplicemente di spegnerle con i
piedi. Invece, anche a causa di
alcune folate di scirocco, in
quindici secondi l’allegria si è
tramutata in caos. Sì è creata
una sorta di piccola tromba
d’aria, con le carte infiammate
che spingevano verso l’alto. La
gente ha cominciato ad
ammassarsi, al centro e nella
parte inferiore. È là che le due
ragazze sono rimaste
intrappolate, senza via di fuga.
Travolte da una seconda folata
di fuoco. Come se gettassimo
dell’alcol in un camino. Le
fiamme superavano anche i dieci
metri. Sembrava che Dio avesse
preso a schiaffi il vento
per
indirizzarlo là. La gente
spingeva ovunque - continua -
non si trovavano le chiavi del
cancello per entrare in campo e,
inoltre, i manicotti per i
pompieri, posti a pochi metri
dalla curva, erano privi di
acqua. Ci sono stati dei veri e
propri eroi, che mettendo a
repentaglio la propria vita
hanno salvato vite umane,
scaraventando ragazzini inermi
da una parte all’altra della
rete, come fossero sacchi di
patate. È stato come un
attentato, nessuno si aspettava
una simile tragedia in quel
contesto. Eppure oggi c’è ancora
chi ne porta i segni. Ricordo
che il resto del pubblico, ma
anche i carabinieri, erano a dir
poco attoniti". Un evento che
creò, per qualche tempo, una
frattura tra il tifo organizzato
rossoblu e il resto dei
sostenitori. "I primi tempi
fummo messi sotto torchio dalle
autorità e dall’opinione
pubblica - afferma - ci
sentivamo disprezzati, la gente
ci incolpava dell’accaduto e non
è stato facile ricucire questa
ferita. È stato il senso di
appartenenza a far crescere
l’Onda d’Urto (storico gruppo
guida del tifo rossoblu) e
riportarla vicino alla gente.
Inoltre, in quegli anni, c’era
un grave problema di droga in
città, così noi giovani
cercavamo di rallegrarci con la
Samb, anche se nel primo periodo
che seguì il rogo tutto ciò che
riguardava il calcio a San
Benedetto era visto quasi in
modo lugubre, esattamente
l’opposto di quello che noi
provavamo per la squadra. Io
voglio credere - sottolinea -
che tragedie come questa o come
quelle successe in mare con
l’affondamento del Rodi e del
Pinguino, abbiamo unito ancor
più il popolo sambenedettese". E
il Ballarin di oggi ? "Sono
sorte diverse associazioni e il
nostro corteo nella partita
della promozione in Lega Pro
contro la Jesina parla chiaro:
la storia non si demolisce. Ci
sono persone - dice - pronte a
difendere quello stadio con le
unghie e con i denti,
soprattutto chi è nato con
quella tragedia. Vorremmo
venisse riqualificato,
soprattutto perché i ragazzi
capiscano cosa sono le radici
del popolo rossoblu. Lì c’erano
i nostri padri e i nostri
nonni". Eppure la partita si
giocò ugualmente. A quel tempo
Remo Croci, oggi giornalista
Mediaset ma anche vicepresidente
della Fondazione Fratelli
Ballarin, era cronista ufficiale
della Samb per Radio Ponte
Marconi: "Non si ebbe subito la
percezione di quanto stava
accadendo - racconta - anzi
ricordo che all’intervallo lo
speaker disse che non c’erano
stati feriti e addirittura a
fine partita ci furono dei
festeggiamenti. Durante la
partita sentivamo il viavai
delle ambulanze, ma non era
chiaro il quadro della
situazione. Poi la sera
arrivarono le tragiche notizie.
Ricordo, alla discesa della
squadra in campo, Walter Zenga
che costantemente guardava verso
la Curva Sud. Subito dopo anche
Cavazzini fece la stessa cosa e,
a quel punto, l’intera tribuna
che allora si chiamava "Prato".
In curva c’erano due spazi
liberi e la gente che si
ammassava dove non divampavano
focolai. Il giocatore Sansone
prese un estintore per domare le
fiamme, ma il getto d’acqua era
troppo debole. Di recente -
svela - ho parlato con
Tubertini, l’arbitro di quella
partita, e mi ha confermato che
nessuno pensava la situazione
fosse così drammatica. Una
piccola curiosità: quel giorno,
aggrappato alle grate, ricordo
Patrizio Peci, ex esponente
delle Brigate Rosse, il cui
fratello, Roberto, verrà rapito
esattamente tre giorni dopo (e
ucciso il 2 luglio successivo
n.d.r.)". Paolo, invece, altro
tifoso presente quel giorno,
ricorda: "Io ebbi la fortuna di
spostarmi verso destra - afferma
- fu fortuna, perché chi scese
verso il basso rimase ustionato.
Le persone si toglievano la
carta di dosso, gettandola in
basso e alimentando
involontariamente l’incendio.
Molti saltarono direttamente in
campo. Per quanto erano divenute
roventi le gradinate, mi si
fusero le scarpe da tennis e
sentivo i miei piedi bruciare.
Ho un flash di quel giorno: una
ragazza con i capelli lunghi
legati che, nel tentativo di
scappare, finì in mezzo al
fuoco. I capelli le si sciolsero
letteralmente. Non ho mai saputo
se si trattasse di una delle due
vittime. Si svolse tutto
velocemente, 10-15 minuti di
inferno". Sulla panchina della
Samb sedeva Nedo Sonetti, ultimo
allenatore a condurre i
marchigiani in Serie B: "Quando
succedono questo genere di cose,
il ricordo resta incancellabile
- sostiene - ogni attimo di una
tragedia che si consuma in un
campo di calcio è indelebile.
Abbiamo visto le fiamme ma non
sapevamo l’entità del fatto. Un
dispiacere che però non macchia
il bellissimo ricordo che ho di
San Benedetto". Chi oggi allena,
ma allora calpestava il manto
verde nel ruolo di calciatore, è
Luigi Cagni, che racconta: "Se
ci fossimo accorti di quello che
stava accadendo, non avremmo
giocato. La sera - continua -
abbiamo visto le immagini da
brividi. Quando siamo entrati
c’era la classica nebbiolina dei
fumogeni, c’era musica, dei
bambini con noi e l’arbitro ha
fatto giocare regolarmente". Una
targa al nuovo Riviera delle
Palme ricorda Maria Teresa e
Carla. La vede chiunque vada
allo stadio. Ogni 7 giugno le
rovine del Ballarin riprendono
forma, per far sì che nessuno
dimentichi la tragedia. Il mare
è là, a pochi metri. Ed è
custode di una popolazione e di
una storia fatta di novelle che
si perdono in mare e tradizioni
tramandate anche attraverso il
calcio. Perché le fiamme non
hanno bruciato il senso
d’appartenenza dei
sambenedettesi. Né cancelleranno
il ricordo di quella tragica
domenica di 35 anni fa.
8 giugno 2016
Fonte: Tuttosamb.it
La tragedia del Ballarin, tra
ricordi e nuove proposte
di Michele Palmiero
I ricordi dei tifosi e il
progetto della Fondazione
Ballarin
SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Il 7
giugno sarà sempre un giorno
maledetto per i sambenedettesi.
Il ricordo e il dolore per la
più grave tragedia sportiva del
nostro Paese riguarda tutti: dai
tifosi ai cittadini, dai
presenti a chi quel giorno non
era allo stadio, o non era
ancora nato. Questi ricordi sono
dolorosi, ma allo stesso tempo
indispensabili perché
rappresentano il cemento della
nostra storia, della nostra
comunità. Come ogni anno,
dunque, ricordiamo Carla, Maria
Teresa e tutti coloro hanno
vissuto la tragedia del 7 giugno
1981. GIANNI SCHIUMA - "Il
ricordo più nitido che ho di
quella giornata è che non mi ero
assolutamente accorto di quanto
stava accadendo. Scendendo i
gradoni non mi resi conto del
pericolo, fino a quando non vidi
il fuoco. In un centesimo di
secondo capii che stavo
rischiando la vita. Mi tornano
in mente tante sensazioni del
momento in cui il fuoco mi
colpì: paura, sgomento, senso di
smarrimento. Mi sono ritrovato
all’ospedale, vicino alla stanza
delle due ragazze. Per
riprendermi da questo trauma c’è
voluto molto tempo. Non nego che
fu difficilissimo, per me,
tornare allo stadio: quel fuoco
lasciò cicatrici sul corpo e
sulla mente". LUIGI TOMMOLINI -
"Quel giorno mi ero sistemato
sul lato ovest della Curva Sud,
attaccato alla recinzione. Non
vidi le fiamme, perché in quei
momenti concitati la gente
scappava per evitare il fuoco,
schiacciandoci verso la
recinzione. Rischiammo davvero
di essere soffocati dalla ressa
di persone. Furono momenti
tragici, per circa un anno
andare allo stadio non fu la
stessa cosa. Con il passare
degli anni, però, la gente
sembrava quasi essersi
dimenticata di
quell’avvenimento, della morte
di due ragazze. Nel 2010, a 29
anni dal rogo, decisi di
realizzare un video che
pubblicai il 13 maggio: Carla e
Maria Teresa non dovevano essere
dimenticate. L’anno successivo
conobbi la madre di Maria
Teresa, con la quale sono
rimasto in contatto. Il giorno
in cui avrei dovuto incontrarla,
nel vederla camminare verso di
me, dissi le uniche due parole
che avevo in mente: "Maria
Teresa". La madre si commosse, e
mi abbracciò. In quell’abbraccio
vidi come un tentativo di
stringersi ancora alla sua amata
figlia. A pensarci oggi, ho
ancora la pelle d’oca. Di Carla
Bisirri, invece, ho un ricordo
ancora più lontano. Da bambino
accompagnavo spesso mia madre in
una parruccheria, dove Carla
lavorava come apprendista.
Ogni volta, per farmi
sentire a mio agio, si
avvicinava a me e mi accarezzava
i capelli. Già a 15 anni
mostrava una maturità insolita
per una ragazza. Porterò sempre
nel cuore le sue carezze".
EMIDIO MANGIOLA - "Dopo tutti
questi anni i miei ricordi di
quel giorno si soffermano sempre
su un particolare: la velocità
con cui tutto è accaduto. Era
una giornata di festa, allo
stadio c’era euforia per il
grande risultato raggiunto.
Tutto accadde da un momento
all’altro: all’inizio sembrava
una sciocchezza, poi una
maledetta folata di vento ha
provocato la tragedia. Ancora
oggi quei pochi secondi con cui
passammo dalla festa alla paura
mi fanno venire i brividi". A
conclusione di questo doloroso
viaggio, la parola va a Remo
Croci, fautore della Fondazione
Ballarin: "Vogliamo che le
persone che hanno fatto la
storia del Ballarin possano
essere ricordate in maniera
istituzionale. In questo senso,
abbiamo in mente un progetto di
ampio respiro: ricordare "per
tappe" tutte le persone che
hanno fatto la storia, in
positivo e purtroppo in
negativo, dello stadio Ballarin.
La targa commemorativa non
basta, occorre un segno
tangibile. Quando ci sarà la
nuova giunta comunale noi
formuleremo le nostre proposte:
il nostro desiderio è ricordare
tutti, da Gigi Traini, primo
giocatore sambenedettese a
giocare in Serie A, a Rinaldo
Olivieri passando, ovviamente,
per Carla e Maria Teresa".
7 giugno 2016
Fonte: Noisamb.it
Sambenedettese, la curva della
morte: la tragedia dei tifosi
tra le fiamme
di Francesco Ceniti
La più grande disgrazia in uno
stadio italiano: 2 ragazze
uccise, 64 ustionati. Il ricordo
di Zenga: "Dimenticare è
impossibile".
"Come faccio a dimenticare...
Non c’è giorno che passi senza
un pensiero rivolto a quel
giorno, a quelle povere ragazze.
Una aveva la mia età. Ho quella
foto, la tengo nel cassetto. La
guardo spesso, come spesso
guardo il video su internet. E
non riesco a darmi pace. È
accaduto tutto così in fretta,
noi in campo pronti ad
affrontare il Matera: ci bastava
un punto per la promozione. Poi
qualcosa gira male: vedo fiamme
e fumo. Poco alla volta tutti
andiamo verso la curva: la gente
urla e si lancia sul prato,
ferendosi sul filo spinato. Come
faccio a dimenticare... Semmai
mi chiedo perché nessuno parli
di quella tragedia, come se
fosse di serie C. Una vergogna".
Walter Zenga fa Walter Zenga: va
dritto al problema senza giri di
parole. È stato testimone di una
tragedia e soffre per la memoria
perduta in un Paese pronto a
indignarsi per qualunque cosa.
"Basta fare un post su Facebook,
un tweet. Scrivere "Je suis
Paris"... Tutto bello per
carità. A me, però, sa
d’ipocrita. Mentre parlo con lei
il mio preparatore chiede
sottovoce "Ma cosa è accaduto a
San Benedetto ?". Questo è il
problema, non si può
sbianchettare una giornata così.
Fa male a chi c’era e fa male a
chi cresce senza avere coscienza
di quello che è stato. E allora,
parliamo del Ballarin...". IL
ROGO - Parliamone. La Samb sta
per ritornare in B dopo una
stagione. In città si discute
solo di questo. Anche Carla
Bisirri, parrucchiera di 21
anni, e Maria Teresa Napoleoni,
segretaria di 23, si fanno
coinvolgere. C’è chi sussurra
che quella del 7 giugno è stata
la loro prima volta allo stadio.
Forse è così, forse no. Non
cambia nulla. Di sicuro comprano
il biglietto e con gli amici
varcano i cancelli 2 ore prima
della gara. Fa caldo, ma alle 15
i 3500 posti della curva sud
sono già occupati. E la gente
continua a entrare. "Faranno una
coreografia speciale", è il
passaparola. Anche per questa
ragione le forze dell’ordine
decidono di sbarrare i cancelli:
ingressi e uscite chiuse a
chiave. Scelta fatale. Ore 16 e
57: squadre in campo. Si alzano
migliaia di cartoncini colorati.
Poi i fumogeni rossi e blu
nascondono la Sud.
Tutto è pronto per la partita. E
la festa. All’improvviso un fumo
nero attira l’attenzione. Non è
previsto. La curva si divide
come il mar Rosso. Ma non c’è
acqua, c’è il fuoco. I
cartoncini iniziano a bruciare,
le fiamme avanzano in un baleno
trovando nuova linfa gradino
dopo gradino. Le persone cercano
riparo, ma le uscite sono
lucchettate. Allora risalgono
verso l’alto, si ammassano. E
qui il Ballarin compie un mezzo
miracolo: a differenza
dell’Heysel, le mura non cedono
e resistono alla forza d’urto.
Sarebbe stata una mattanza, con
voli nel vuoto di oltre 15
metri. Chi sta in basso è
circondato come un topo, l’unica
fuga è il campo: c’è da
scavalcare la rete, affrontare
il filo spinato. Non tutti ci
riescono. Nella calca, chi perde
l’equilibrio finisce dritto nel
rogo. Accade a 3 donne e un
bambino. Nel video disponibile
sul web si vedono gli istanti
più tragici: Carla e Maria
Teresa come torce umane, mentre
un’anziana cerca riparo nei
bagni. E c’è il bimbo di 10
anni, circondato dal fuoco. La
sua vita sembra segnata, poi
arriva un angelo. Non dal cielo,
ma dalla curva. Un finanziere in
borghese si lancia nelle fiamme,
solleva il ragazzino e lo
riporta tra i vivi. L’inferno
dura meno di 10’, il bilancio è
drammatico: 3 persone in
condizioni gravissime, poi ci
sono 64 ustionati e una
quarantina di altri feriti. La
curva si svuota: metà della
gente torna a casa da
sopravvissuta, l’altra resta a
vedere il match. Tra loro c’è
pure Roberto Peci, ex calciatore
e fratello del pentito Patrizio.
Tre giorni dopo sarà rapito
dalle brigate rosse, in una
città ancora sotto choc, e il 3
agosto ucciso per vendetta. Ma
questa è un’altra storia.
PROPOSTE - "Abbiamo giocato. Non
pensavano fosse accaduto
qualcosa di irreparabile. Alla
fine lo 0-0 ci bastò per andare
in B, ma nessuno festeggiò. Poi
morirono le ragazze...". Zenga
abbassa la voce, non va avanti.
Carla e Maria Teresa arrivano in
ospedale coscienti, ma con
ustioni devastanti per i vestiti
sintetici squagliati sulla
pelle. La prima a cedere è Maria
Teresa: smette di respirare il
13 giugno. Quattro giorni dopo
stesso destino per Carla.
Resiste e si salva la terza
donna. Sono passati 35 anni, il
Ballarin è stato abbandonato nel
1985: ora il Comune lo vuole
abbattere e riqualificare
l’area. Zenga ritrova la voce.
"Non entro in questioni
politiche. Certo, mi aspetterei
un minimo d’attenzione. Demolire
il vecchio stadio ? Fate pure,
ma vogliamo lasciare un’area per
ricordare le ragazze morte ? Che
so, una stele o una targa.
Sarebbe il minimo, dovrebbe
essere un impegno morale. Altro
che post su Facebook". Anche
Gigi Cagni la pensa così. A San
Benedetto lo chiamano ancora
"capitano". Quel 7 giugno
indossava la fascia, come ha
fatto per diverse stagioni. "Non
si può spiegare con le parole
quello che abbiamo vissuto.
Ognuno ha i suoi ricordi e un
sentimento amaro che non va più
via. Mi disturba parecchio la
cosa del Ballarin, pensare che
si possa fare della speculazione
con nuovi edifici non riesco a
capirlo. Perché non si
costruiscono dei campi per i
ragazzi e si lascia qualcosa a
ricordo della tragedia ?
Altrimenti davvero è tutto senza
senso". SUPERSTITE - Il finale
lo affidiamo alle parole di
Luigi Tommolini. Il 7 giugno
1981 aveva 12 anni: con la sua
bandiera se ne stava nella parte
alta della curva. Per preservare
la memoria di quella tragedia ha
caricato sul web il video
(quello di cui parla Zenga) del
rogo. Quasi 10’ da guardare in
apnea. "Quando le persone hanno
iniziato a spingere dalla mia
parte - racconta - ho creduto di
morire. Vedevo il vuoto sotto di
me. Per fortuna il muro ha
retto. Il fuoco non lo vedevo,
ma neppure chi era vicino si
rendeva conto di quello che
accadeva. Le fiamme avanzavano
controsole, quasi invisibili.
Non si trovavano le chiavi delle
porte e gli idranti erano senza
acqua... Ero piccolo, non ho
capito subito la gravità dei
fatti, ma rammento un
particolare: dopo la gara scesi
in campo, non c’erano
festeggiamenti. Ma scesi lo
stesso, forse per esorcizzare la
paura. Quando mi girai verso la
curva, vidi al centro una
chiazza nera, Restai muto, col
cuore in gola. Credo sia giusto
ricordare sempre le vittime e i
feriti. Si parla di abbattere lo
stadio, ma dico: è così
difficile dedicare una via o una
piazza a Carla e a Maria Teresa
?". Già, è davvero così
difficile ?
5 marzo 2016
Fonte: Gazzetta.it
TVP Italy 7.07.2015
Vita Vera: "Stadio Ballarin, il
rogo del 1981"
In studio: Antonella Roncarolo
(Insegnante e giornalista) -
Luigi Tommolini (Reduce Ballarin
7.06.1981)
|
Rogo Ballarin 30 anni fa: salvo
per miracolo
di Marco Olivieri
Guardatemi a 13 anni:
pantaloncini corti blu,
maglietta blu a righe
orizzontali bianche, nella prima
foto a sinistra in caduta libera
dal recinto della curva sud del
"Ballarin" (che botta alla
schiena !)… Sentivo già le
fiamme avvicinarsi e di fronte
al muro della folla impazzita
l’unica via di salvezza per un
adolescente era scavalcare ! In
realtà il poliziotto sembra
aprire le braccia per prendermi:
mi butto ma lui rimane a braccia
aperte come un idiota… Subito mi
alzo (seconda foto) e guardo uno
spettacolo da brividi… Ancora
oggi… (Omissis)
18 giugno 2011
Fonte: Marcolivieri.it
Stadio Ballarin: 7 giugno 1981,
per non dimenticare
di Benedetto Marinangeli
SAN BENEDETTO - La spiaggia era
già gremita di turisti. I
"pappagalli" erano già in cerca
delle prime prede estive, le
prime tedesche, due gemelle di
Bergamo, le francesine. Ma la
Samb è la Samb. "Bella di babbo,
ci vediamo dopo cena. Forse. La
Samba torna in serie B. Non ci
sono per nessuno !". Inizia così
la domenica del 7 giugno 1981
per un gruppo di ragazzi
sambenedettesi. È il grande
happening di tutti coloro che
hanno nel cuore i colori
rossoblu. Già dalla mattina il
lungomare e le vie cittadine si
riempiono di auto, camion, ed
anche trattori con a bordo gente
esultante. Il mitico "Frangì di
Barabba" ha tirato fuori la
tromba d’ordinanza, quella dei
tempi migliori. Classico
appuntamento al Chicco d’Oro e
poi corteo rossoblu verso il
Ballarin. Passa un camion con
alcune persone. "Suvete, ieme
!". Lasciamo il gruppo e si
sale. È tutto un coro: "Samba,
Samba". Giro lungo, si passa
sotto la curva sud, ecco i
distinti, con le persone sporte
dal parapetto ad applaudirci, la
curva nord, la tribuna. Ed alla
fine si torna al "Tempio del
Tifo": la Sud del Ballarin, la
Fossa dei Leoni. Zenga, Tedoldi,
Cavazzini, Schiavi, Bogoni,
Cagni, Caccia, Ranieri,
Perrotta, Colasanto, Speggiorin.
È la Samb di Nedo Sonetti che
torna in serie B dopo solo un
anno di inferno in C1. La terza
promozione della storia. Si
entra al Ballarin. L’avversario
di turno è il Matera, già
retrocesso, con "Baffone"
Casiraghi (eloquente la figurina
Panini) tra i pali. Una
passeggiata di salute, i giochi
sono fatti. Classico posto, in
alto rispetto ai tamburi già
belli e allineati. È tutto
pronto per la serie B. Fumogeni,
carta, tanta, troppa, sui
gradoni. Che la festa abbia
inizio. Il mitico Sciarretta (lo
speaker del Ballarin) ha già
lanciato il classico spot:
"Bulova Acutron, l’orologio
dell’era spaziale, Gioielleria
Fenocchi vi offre le formazioni
che tra poco scenderanno in
campo". Cielo sereno,
temperatura estiva, classica
brezza di mare. Il massimo per
una festa. Ed invece ecco,
all’improvviso un caldo
"strano", troppo. Il fuoco si
alza in piena curva. Che sta
accadendo ? È un fuggi fuggi
generale. Il caos totale. Perdo
la maglia e resto con solo le
bermuda. È un attimo. Il
cancelletto della curva sud è
chiuso, non si trovano le
chiavi. C’è chi si arrampica
sulla rete di recinzione, chi va
controvento saltando le fiamme.
Nessuno si accorge della
tragedia che si sta consumando.
Il tempo scorre inesorabile,
sembra eterno. Ed invece, tutto
dura un attimo. Nessuno si rende
conto di ciò che è realmente
accaduto. Anzi, la partita
inizia e si torna a fare tifo:
"Samba, Samb. Torneremo in serie
B". Ma Sciarretta inizia una
impressionante litania: "Il
signor X è desiderato all’uscita
della tribuna, la ragazza Y è
attesa dai genitori fuori dai
distinti, il bambino Z (che poi
tanto bimbo non è perché al
secondo anno di Liceo Classico,
il quarto conteggiando i due di
ginnasio - ndr) è atteso dalla
mamma fuori dagli spogliatoi". È
un continuo. Da dentro la curva
sud non si percepisce la
tragedia. Finisce 0-0. La Samb
torna tra i cadetti. Esco
esultante dal Ballarin e la
prima persona che incontro è mia
sorella, la più grande, con mio
fratello, il più piccolo. "Siamo
in serie B" gli urlo esultante.
La vedo bianca in volto. Era ai
distinti, aveva visto tutto. Non
mi risponde. Mi guarda con le
lacrime agli occhi. Allora,
soltanto allora, forse, mi rendo
conto di ciò che era accaduto.
La tragedia ! Nell’incendio del
Ballarin sono morte due ragazze:
Maria Teresa Napoleoni e Carla
Bisirri, decine di tifosi
ustionati, di tutte le età. E
sono passati 29 anni, quasi
un’eternità, ma il ricordo è
sempre vivo e non mi
abbandonerà. Mai.
7 giugno 2010
Fonte: Gigicagni.it
7.06.2011: E nemmeno noi avremmo
giocato. Non riesco a
dimenticarmi quel giorno e
quelli seguenti sia per il
funerale che per la visita alle
persone ustionate".
Luigi Cagni
(Capitano Sambenedettese
1980-1981)
28.02.2011: "Anche io quel
giorno ero lì. Mi ritengo molto
fortunato perché in quel giorno,
ed avevo 16 anni, stavo
lavorando in un ristorante e
quindi allo stadio arrivai poco
prima che iniziasse la partita.
La curva era gremitissima e
quindi rimasi in basso vicino la
recinzione, non potendo occupare
la mia posizione solita. Ricordo
che vidi una folla oceanica
iniziare a correre e saltare
verso l’uscita, altri a cercare
di sfondare e saltare la
recinzione, altri ad imprecare
contro i carabinieri presenti
per far aprire quella porticina
che dava sul campo. Io per
alcuni momenti rimasi immobile,
non riuscivo a capire cosa stava
succedendo anche perché erano
accesi molti fumogeni colorati.
Man mano che la folla usciva mi
resi conto che c’era del fuoco
ed anch’ io riuscii ad uscire.
Dopo diverso tempo la partita
iniziò ricordo che fu una
partita strana sicuramente
condizionata anche da ciò che
era successo. Sinceramente io e
molti altri presenti abbiamo
capito solo molto dopo ciò che
era veramente successo
altrimenti forse non sarei
rientrato a vedere la partita.
Marco (Tifoso Sambenedettese)
1 marzo 2011: "La più brutta
esperienza mai vissuta in un
campo da calcio". Cercavamo di
prendere al volo le persone che
si lanciavano dalla rete,
giocammo quella partita senza
sapere delle vittime. Fu davvero
una tragedia e anche l’inizio di
un calvario per un grande
presidente come Ferruccio
Zoboletti".
Antonio Pigino
(Secondo Portiere Sambenedettese
1980-1981)
9 giugno 2010: "Avevo 10 anni,
quel giorno, ed ero in Curva con
mio padre. Per pura fortuna in
quel momento ci trovavamo in
basso, attaccati alla rete,
proprio in corrispondenza
dell’ingresso esterno, forse
eravamo appena arrivati. Ricordo
il volto preoccupato di mio
padre che guardava verso il lato
est della curva (io non riuscivo
a vedere niente). Poi una
ragazza corre verso di noi con
le scarpe in fiamme e un signore
che spegne il fuoco con un
giubbetto. Usciamo in fretta
fuori, per poi rientrare poco
dopo, ma nella curva opposta.
Grazie per aver ricordato questo
triste capitolo di storia della
Samb nel Suo Blog".
Nerone
(Tifoso Sambenedettese)
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