Cagni: "Non ci accorgemmo di
nulla, sennò non avremmo mai
giocato". Sonetti: "Giornata
incredibile".
di Massimo Falcioni
SAN BENEDETTO DEL TRONTO -
Ricordi impossibili da
cancellare, anche dopo
trentasette anni. Il rogo del
Ballarin viene raccontato da
"Maracanà", programma
radiofonico in onda su Rmc Sport
che ha interpellato Nedo Sonetti
e Gigi Cagni, rispettivamente
allenatore e capitano della Samb
dell’epoca, il sindaco Piunti e
il giornalista Remo Croci. "Lì
per lì non ci rendemmo conto di
quello che stava succedendo", ha
dichiarato Sonetti, che quel
giorno, grazie al 2 a 2 (NDR:
0-0) col Matera, condusse i
rossoblù in B. "Si vide il
fuoco, un grande macello, ma non
sapevamo cosa stesse accadendo.
Un episodio che rimarrà nelle
nostre menti e coscienze, fu una
giornata incredibile. Si vide
che c’era una situazione
particolare, ma non sapevamo
nulla". Stessa opinione di
Cagni, che ha puntualizzato: "Se
avessimo saputo non avremmo mai
giocato nemmeno a breve tempo,
questo è sicuro. Non so se
avendolo saputo sarebbe stata la
stessa cosa. Le persone che
entrarono in campo non furono
tantissime, non ci fu la
percezione. L’arbitro disse che
avremmo iniziato. Non
festeggiammo, la sera vidi le
immagini alla tv di gente che si
buttava dalla gradinata. Come
fai ad essere felice". Croci ha
sottolineato la presenza del
vento caldo che, probabilmente
alimentò il fuoco: "Ero il
radiocronista ufficiale di Radio
Ponte Marconi. Ero nella tribuna
stampa e vidi la squadra che
prima aveva lanciato garofani
colorati al pubblico. La
formazione era schierata, nella
foto di gruppo si nota Zenga che
guarda verso la Sud. Nessuno
ebbe l’esatta sensazione. Vedevo
le fiamme, il calore, ma non si
distingueva bene". Allo stadio
c’era pure Piunti, all’epoca
ventinovenne: "Ricordo molto
bene quella giornata, ero in
tribuna coperta, direzione sud.
Non ci rendemmo conto subito
della gravità". Il sindaco ha
quindi ribadito che, una volta
riqualificato il Ballarin, non
mancherà assolutamente un
ricordo per Carla Bisirri e
Maria Teresa Napoleoni.
7 giugno 2018
Fonte: Lanuovavariviera.it
Alle ore 14.05 del 7.06.2018
Gigi Cagni, Remo Croci, Nedo Sonetti e
il sindaco di San Benedetto Del Tronto
Pasqualino Piunti (dalla sinistra in
ordine nelle foto) sono intervenuti per
ricordare la tragedia del Ballarin,
intervistati da Marco Piccari e Vincenzo
Marangio durante la trasmissione Maracanã in onda su Rmc Sport
Network.
"Lassù qualcuno ci ama"
(A cura di "Fondazione Libero Bizzarri" 14.07.2017)
Filmato realizzato a cura della "Fondazione
Libero Bizzarri"
assemblando il materiale multimediale e i testi sulla
tragedia di Luigi
Tommolini assieme
alle foto esposte nella Mostra condivisa
con il Museo del
Grande Torino e della Leggenda Granata.
E’ stato diffuso in anteprima venerdì 14.07.2017 presso
la "Palazzina Azzurra"
di San Benedetto del Tronto in occasione di una serata
in ricordo del "Rogo Ballarin" e delle sue giovani vittime
all’interno della manifestazione culturale cittadina
"Il cinema, il calcio
e i sogni di libertà".
"Il fuoco
dimenticato"di Emidio Lattanzi (La Nuova Riviera - Giugno 2016)
VIDEO - 35 anni fa il rogo del
Ballarin
(Lo speciale
sull’anniversario)
SAN BENEDETTO
DEL TRONTO - Si chiama "Il Fuoco
Dimenticato" lo speciale de La
Nuova Riviera sul rogo dello
stadio fratelli Ballarin,
avvenuto il 7 giugno 1981,
esattamente 35 anni fa. Nello
speciale, del giornalista Emidio
Lattanzi, vengono ricordati quei
tragici momenti con la voce dei
protagonisti attraverso una
ricostruzione di quanto accaduto
pochi minuti prima dell’incontro
tra Sambenedettese e Matera, il
match che avrebbe sancito il
ritorno in serie B della Samb.
Nel rogo persero la vita Maria
Teresa Napoleoni e Carla
Bisirri, due giovani
rispettivamente di 23 e 21 anni.
Gli ustionati furono 64, undici
dei quali sarebbero rimasti
segnati per la vita. In tutto
rimasero ferite circa cento
persone. In questi 35 anni la
città di San Benedetto non ha
mai fatto nulla per ricordare le
vittime, i feriti e quella
tragedia.
6 giugno 2016
Fonte: Lanuovariviera.it
Rogo del Ballarin, una ferita
aperta
I testimoni raccontano quel 7
giugno di 35 anni fa quando la
festa si trasformò in tragedia.
di Emidio Lattanzi
Trentacinque anni fa, il 7
giugno 1981, due ragazze
morirono nel rogo dello stadio
Ballarin. Un episodio avvenuto
nella giornata che sarebbe
dovuta essere di festa e che,
invece, si è trasformata nella
peggiore tragedia avvenuta in
Italia legata al mondo del
calcio. Sessantaquattro persone
riportarono ustioni durante
l'incidente, di queste 11 in
maniera permanente. Altre 40
persone furono costrette a
ricorrere alle cure dei medici
per le ferite riportate durante
i concitati momenti della fuga
tra le fiamme quando, a causa di
un cancello chiuso del quale non
si trovavano le chiavi,
centinaia di persone si
accalcarono verso la rete di
recinzione. Il racconto. Fu
un'autentica tragedia. Due
giovani donne, la ventitreenne
Maria Teresa Napoleoni e la
ventunenne Carla Bisirri
sarebbero morte pochi giorni
dopo, a Roma, nel centro Grandi
Ustioni dell'ospedale
Sant'Eugenio. La Sambenedettese,
quel giorno, andò in serie B ma
fu il sangue a macchiare la
festa per l'importante
promozione. Durante l'ingresso
in campo delle squadre, prima
del fischio di inizio, un
fumogeno acceso è caduto in
terra dove c'erano quintali di
carta portata lì per la
coreografia dei tifosi. Si
scatenò l'inferno. Sono in
tanti, ancora oggi, a portare
sia nella mente che fuori, i
segni di quello che accadde in
quei pochi minuti di paura. Tra
loro c'è il vocalist Gianni
Schiuma che oggi ripercorre quei
drammatici momenti: "Per molto
tempo ho cercato di rimuovere
questa vicenda. Ricordo che
nessuno si rendeva conto di
quello che in realtà stava
accadendo. C'era vento, era
molto caldo e tutta quella
carta. Ho provato a scendere la
gradinata, invece di salire,
convinto che sarei riuscito a
raggiungere un'uscita. Ma sotto
mi trovai in mezzo ad una folla
di gente nel panico più totale e
mi sono ritrovato schiacciato
contro la rete allora mi sono
buttato verso la barriera di
fuoco che ostruiva l'unica via
d'uscita". Quel giorno a
raccontare quella partita c'era
anche il giornalista Remo Croci,
testimone oculare dell’accaduto:
"Mi sono accorto che qualcosa
non andava quando durante la
foto di rito vidi i giocatori
che guardavano verso la curva,
mi girai e mi trovai ad
osservare il fuoco. Fu
terribile". In curva, quel
giorno, c'erano quasi 4mila
persone. Ben oltre la capienza
massima di quel settore. "Quello
che notai subito - ricorda oggi
l'arbitro di quella partita,
Paolo Tubertini di Bologna - è
che c'erano davvero troppe
persone. Non ho mai visto, in
tutta la mia vita, un
affollamento simile in un campo
da calcio. Dopo l'incendio la
decisione di far giocare la gara
la presi perché il dirigente di
pubblica sicurezza mi spiegò che
se avessi annullato il match
migliaia di persone si sarebbero
riversate in strada intralciando
i soccorsi". Il capitano della
Samb, all'epoca, era Gigi Cagni,
roccioso ed esperto difensore
che sarebbe poi diventato uno
dei più affermati allenatori di
serie A: "Non mi resi subito
conto dell'accaduto - ricorda -
soltanto la sera, quando vidi le
immagini in televisione, capii
l'atrocità che si era consumata
quel pomeriggio. Fu terribile e
subito mi scordai della
promozione. Fu una vera
tragedia". Due ragazze morirono
e sono ancora tanti coloro che
portano sul proprio corpo i
segni delle fiamme.
7 Giugno 2016
Fonte: Corriere Adriatico
IL
VIDEOdi Luigi
Tommolini (Youtube - 13 Maggio 2010)
"CIAO CAPITAN
GIGI, questo è il video realizzato da me
tre settimane fa e che penso abbia
svegliato chi dopo 29 anni aveva
l’obbligo di svegliarsi…Sì, oggi e per sempre Città, Samb
Calcio e tifosi ricorderanno per sempre
il sacrificio umano di persone innocenti
nella TRAGEDIA PIU’ GRANDE E PIU’ GRAVE
ACCADUTA IN UNO STADIO ITALIANO: 2 morte
(23 e 21 anni) decine di ustionati gravi
e decine di decine di feriti; io quel
giorno c’ero e ho rischiato di
precipitare nel vuoto da 10 metri: ci
salvò la rete di recinzione, quello che
all’Heysel non accadde al fragile
muretto che crollando aumentò le vittime
innocenti della barbara e delinquente
orda inglese… Capitano, portasti sulle
spalle il peso delle membra innocenti
morte delle ragazze, ma da allora
l’ingiusto silenzio… Ora ricomincia il
doveroso e imperituro omaggio a chi deve
essere ricordato, a chi ricorda e
ricorderà per sempre quella maledetta
domenica di morte !Ciao Capitano".Luigi Tommolini (10.06.2010 - Fonte: Gigicagni.it)
NDR: Il
video è stato realizzato da Luigi
Tommolini che ha tratto le immagini
dalle opere "La videostoria della
Sambenedettese calcio" di Remo Croci e
da "L'infame e suo fratello" di Luigi
Maria Perotti (con sottotitoli in lingua
inglese), dall’archivio Stampa dei
giornali "Il Messaggero" e "Il Resto del
Carlino" mentre la colonna sonora è
tratta dall’album "7 note in nero"
(Bixio, Frizzi, Tempera 1977)
Un
Heysel minore
di Francesco Vannutelli
Il 7 giugno del 1981 faceva
caldo, a San Benedetto del
Tronto. Il sole picchiava forte
in un anticipo d'estate che
sapeva già di mare e vacanze, di
tempo perso in spiaggia a fare
il filo alle turiste tedesche,
di piste di biglie infinite, di
gelati sul lungomare. Quel
giorno, però, le spiagge di San
Benedetto del Tronto erano
deserte. La città aspettava
palpitante l'evento, la grande
festa che dalle cinque del
pomeriggio avrebbe scosso ogni
palazzo, riempito ogni strada di
gioia e confusione. La
Sambenedettese, la squadra della
città, tornava in serie B dopo
un anno di purgatorio in C1. La
promozione era una semplice
formalità: si trattava di
pareggiare in casa contro il
Matera già matematicamente
retrocesso, e poi via verso la
festa con la squadra. I
preparativi erano enormi, tutta
la città era pronta a
partecipare. I gruppi di tifosi
si radunavano bardati di rosso e
di blu davanti al bar "Chicco
d'oro" e si muovevano in corteo
verso lo stadio Fratelli
Ballarin. Gli striscioni
dicevano "Avanti a ritmo di
SamBa!", con la scritta tutta
blu tranne la grande B rossa. Lo
stadio era già pieno ore prima
dell'inizio della partita.
Undicimila persone.
Tremilacinquecento solo in Curva
Sud, cuore pulsante del tifo
sambenedettese. C'erano famiglie
intere allo stadio. Sarà stato
per la festa, sarà stato per
rendere omaggio alla squadra o
per vedere da vicino quel
giovane portiere in prestito
dall'Inter, quel Walter Zenga di
cui tutti dicevano un gran bene,
o più semplicemente perché era
una bella giornata ed era bella
l'idea di stare tutti insieme.
Marco aveva dieci anni nell'81.
Era la prima volta che andava
allo stadio. Suo papà ci andava
tutte le domeniche con suo
fratello Nicola che aveva tre
anni più di lui e che tutti allo
stadio chiamavano Nicolino e
trattavano come una mascotte.
Marco avrebbe voluto tanto
andare allo stadio con suo padre
e il fratello, tutte le
domeniche, ma la mamma non
voleva. Diceva che era troppo
piccolo, che il padre se lo
sarebbe perso per seguire la
partita, o chissà che altra
tragedia. Per quella partita,
però, il papà di Marco aveva
detto: "Questa domenica andiamo
tutti insieme, dobbiamo
festeggiare !", e la mamma aveva
ceduto, dopo aver ripetuto più
volte che non le sembrava il
caso, che faceva caldo e poi i
bambini prendevano
un'insolazione. Quando, infine,
aveva detto "sì" Nicola e Marco
si erano messi a gridare
contenti. La tifoseria aveva
organizzato una gran coreografia
finale per salutare la squadra.
Nei giorni precedenti erano
stati preparati coriandoli e
striscioline di carta da
lanciare in campo alla fine
dell'incontro. Centinaia di
fogli e giornali erano stati
sminuzzati e strappati. Alla
fine erano stati preparati circa
settecento chili di carta che
erano stati sistemati tra le
gradinate della curva Sud, in
attesa di essere lanciati dalla
tribuna. I giocatori della Samb
entrarono in campo prima
dell'inizio della partita.
Fecero un giro sotto gli spalti
a prendersi gli applausi e i
saluti, a porgere un fiore, a
stringere una mano. Il Matera
entrò più tardi. Era poco più di
una comparsa nella grande festa
rossoblu. Nonostante fossero le
cinque del pomeriggio il caldo
non era diminuito. Sugli spalti
gremiti si respirava a fatica.
Ogni tanto si sentiva arrivare
la brezza dal mare ed era come
una benedizione. Il piccolo
Marco si era arrampicato sulle
spalle del padre per vedere il
campo, incurante delle
raccomandazioni della madre. Da
lì in alto vedeva solo mani che
applaudivano e un mare rosso e
blu di gioia. All'avvio
dell'incontro mancava
pochissimo. Lo speaker aveva già
fatto partire il solito annuncio
pubblicitario: "Bulova Acutron,
l’orologio dell’era spaziale !
La Gioielleria Fenocchi vi offre
le formazioni che tra poco
scenderanno in campo". Dalla Sud
venne liberato un grappolo di
palloncini gonfiati ad elio che
portò con sé in cielo un enorme
"B" di cartapesta. Non si sa
bene cosa fu a scatenare tutto.
Forse uno dei molti bengala che
i tifosi lanciavano in campo,
forse un fumogeno o lo scoppio
di un petardo. Forse fu solo una
banalissima sigaretta, o un
fiammifero lasciato cadere
troppo frettolosamente.
All'inizio nessuno se ne rese
conto, in Curva sud. Sembrava
solo che il caldo stesse
aumentando. Poi i piedi
iniziarono a bruciare e la gente
capì: i sette quintali di
striscioline di carta, di fogli
di giornale, di coriandoli,
stavano lentamente prendendo
fuoco. In un istante la festa
divenne panico. La Curva sud si
trasformò in un inferno di
fiamme. Una folla di mani iniziò
a spingere via i vicini,
cercando una fuga lontano dal
fuoco. Le gradinate erano braci
ardenti, l'aria bruciava. "I
cancelli ! Aprite i cancelli !"
gridava qualcuno davanti, vicino
alle recinzioni che separavano
gli spalti dal campo. Solo che i
cancelli non potevano essere
aperti, perché non si sapeva
dove fossero le chiavi e il
custode dello stadio non sapeva
dove cercare. Come mossi da un
unico comando, i tifosi si
divisero in due blocchi,
muovendosi verso la cima delle
gradinate, dove le fiamme
faticavano ad arrivare,
pressandosi e schiacciandosi
l'un l'altro contro l'esile
recinzione che separava la
tribuna da un vuoto di dieci
metri, dalla fine dello stadio.
Alcuni, terrorizzati,
preferirono il baratro alle
fiamme e si lanciarono di sotto,
verso gli ingressi delle
tribune. Il rumore delle ossa
rotte sul cemento sovrastò le
grida di terrore. L'altro gruppo
si muoveva verso il rettangolo
di gioco, vicino al cancello
bloccato, cercando di rompere il
lucchetto, di aprirsi un varco
tra le maglie di ferro. Poi la
gente iniziò a scavalcare la
rete di guardia, strappandosi i
vestiti sul ferro arrugginito,
ferendosi la carne, cercando la
salvezza sull'erba del campo. Il
piccolo Marco era caduto dalle
spalle del padre quando la folla
terrorizzata aveva iniziato a
muoversi. Gridava: "Mamma !
Mamma !", ma non vedeva nulla
davanti a sé e il fumo e la
paura lo facevano piangere,
mentre un cerchio di fuoco lo
circondava. Sentiva chiamare il
suo nome da qualche parte,
sentiva sua madre gridare
disperata, ma non si poteva
muovere. Strizzava gli occhi
cercando di vedere qualcosa
oltre il nero del fumo denso e
tossiva, si copriva il volto con
le braccia e continuava a
chiamare, sua madre, suo padre,
suo fratello. D'improvviso si
sentì sollevare da terra e
lanciare lontano, oltre il fuoco
e il fumo, verso le voci che lo
chiamavano. Le mani di suo padre
lo raccolsero e lo strinsero a
sé.
Vide le lacrime di sua madre e
il sorriso felice di Nicola. Poi
si voltò. Al centro del cerchio
di fuoco che lo aveva tenuto
prigioniero c'era adesso un uomo
chino sulle ginocchia. I suoi
vestiti andavano a fuoco e lui
si batteva il corpo con le mani
aperte cercando di spegnerli.
Altre persone si avvicinarono
per trarlo in salvo, lo
portarono lontano dal cerchio,
lo aiutarono a spegnere il suo
piccolo incendio. Si chiamava
Luciano Bovara e fu un eroe per
caso (Ndr Medaglia d'argento al
valor civile consegnatagli dal
Presidente della Repubblica
Italiana Francesco Cossiga a
Gaeta il 21 giugno 1988). I
giocatori dal campo guardavano
gli spalti con orrore, le mani
nei capelli, impotenti e
disperati. Insieme agli addetti
dello stadio aiutavano gli
uomini e le donne che si erano
lanciati sul terreno di gioco,
portavano bottiglie d'acqua,
chiamavano aiuto. Maria Teresa
aveva 23 anni e un lavoro come
segretaria. Il fuoco le mangiò i
vestiti, ma lei riuscì a
strapparli via, lottando contro
il dolore, fuggendo
precipitosamente verso le
gradinate basse. L'incendio la
prese una seconda volta,
divorandole la pelle e
lasciandola a terra. Carla aveva
21 anni e faceva la
parrucchiera. Aveva aperto da
poco il suo salone. Venne
investita da un'onda di calore
che la tenne prigioniera. Sono
morte entrambe, all'ospedale
Sant'Eugenio di Roma, dove erano
state trasportate con ustioni di
primo, secondo e terzo grado sul
70% del corpo. Roberto Peci
aveva venticinque anni e un
fratello, Patrizio, che aveva
fatto parte delle Brigate Rosse
finché non venne arrestato nel
1980. Divenne il primo
terrorista a collaborare con le
forze dell'ordine indicando la
posizione del covo brigatista di
via Fracchia, a Genova. Roberto
quel giorno era allo stadio, in
Curva sud. Si salvò dalle fiamme
fortunosamente come tante altre
persone. Tre giorni più tardi,
il 10 giugno del 1981, venne
sequestrato da un commando delle
Brigate Rosse, per una vendetta
trasversale ai danni del
fratello. Verrà ucciso
cinquantacinque giorni più
tardi, a Roma, con undici colpi
di pistola. Il rogo del Ballarin
durò in tutto quindici minuti.
L'acqua tardò ad arrivare. Il
bocchettone sotto la Curva sud
era difettoso, si dovette usare
l'innesto di centrocampo
cercando di creare una prolunga
con i tubi. Il cancello venne
finalmente aperto e la gente
intrappolata riuscì ad evacuare
mentre il fuoco veniva domato.
Alla fine si conteranno circa
cento feriti, sessanta ustionati
di cui tredici gravi,
trasportati in prognosi
riservata negli ospedali di
tutta Italia. Tra questi c'erano
anche Maria Teresa e Carla.
Forse fu perché non venne
compresa sin da subito la
gravità della situazione. Forse
fu per non aumentare la tensione
già elevatissima, ma l'arbitro
Tubertini decise di fischiare
l'inizio della partita. Si giocò
in un clima surreale, attendendo
solo la fine. I calciatori
giocavano mentre l'annunciatore
chiamava senza sosta i nomi
delle persone smarrite,
incalzato dai parenti che
continuavano a dirgli nomi, a
descrivere chi cercavano. La
partita si spense sullo 0-0. La
Samb tornava in serie B, ma
nessuno aveva voglia di
festeggiare. La gioia era volata
via con la cenere, sospinta
dalla brezza di mare.