Sergio Ercolano, tifoso
azzurro
di Romeo Castiglione
Il 20
settembre 2003 non andai allo
Stadio Partenio. Eppure avrei
voluto vedere il Napoli.
Aspettavo il derby da sempre. Mi
bloccò una voce interna, un
rumore funesto. Adesso guardo il
calcio con un leggero distacco.
Non è giusto morire così. No.
Poi a vent’anni non è possibile.
C’è tutta una vita da scoprire;
tutto un mondo da vedere. Sergio
Ercolano non tornò più a San
Giorgio a Cremano: rimase lì,
sul cemento crudele. Ricordalo
oggi è doveroso. Sono passati
dodici anni. Troppe cose sono
cambiate. Penso che meriti
l’intitolazione della Curva
Nord. Quando percorro con
l’automobile via Zoccolari
guardo la Nord, le reti
metalliche, i cancelli.
Istintivamente penso a Sergio e
a quella nefasta sera di dodici
anni fa. Si affastella un corteo
tragico. Non scompare dalla
mente quell’ambulanza. Il
ragazzo sembrava un eroe
tragico. E il suo popolo non
l’ha più dimenticato. Salvatore
Mercogliano gli ha dedicato a
una bellissima poesia. "Ti
ricordo ancora, – scrive
Mercogliano – dannato /
venti settembre, quel maledetto
giorno non volle / più sentire
il mio respiro, non volle / più
ascoltare nemmeno un mio /
sussulto, un filo d’aria,
assaggiare una briciola /
d’emozione per la strepitante
maglia / azzurra che d’amore
sparpagliava il mio / cuore. /
Squarci di ricordi dominavano la
/ mia mente, squarci di incubi
sognavo / di notte - quando ero
ragazzo - un fanciullesco /
amore cullava le notti di piena
luna, oh luna che / splendevi !?
La tua smagliante luce brillava
su / reazionarie azioni di
sapienti usignoli. / Vedo e
rivedo quelle tragiche /
visioni, in quella curva
riappaiono / gli azzurri
serpenti che gettano /
sanguinanti veleni e a spegnersi
fu / Io ! Cariche, cariche,
cariche, / fuggi, fuggi, fuggi,
/ plexiglas, plexiglas,
plexiglas / morte, morte, morte
!".
È
davvero bella questa lirica. La
luce brillava sulle azioni
reazionarie dei sapienti
usignoli. Sembra che il ragazzo
racconti la propria storia al
mondo. Riappaiono, quindi, le
visioni. I serpenti sono il
simbolo della morte. I termini
"cariche", "fuggi", "plexiglas"
e "morte" annunciano il buio.
Avverto l’eco di Spoon River tra
le pieghe dei versi. Intravedo
con la mente un quadro
immaginario. Innumerevoli uomini
con la testa di cobra liberano
la loro potenza sulla Terra:
hanno risvegliato Kundalini.
Formano un unico cobra gigante
simile a quello che coprì
Buddha. È uno scenario
apocalittico, tremendo. I fatti
di Avellino - Napoli sono notti
a tutti. Credo che sia
impossibile dimenticarli. La
Curva Nord avrebbe potuto
ospitare 6000 persone; ciò
nonostante furono venduti a
Napoli soltanto 1800 tagliandi.
Molti tifosi partenopei non
acquistarono il biglietto per un
semplice motivo: per comprarlo
avrebbero dovuto esibire un
documento di riconoscimento. Per
il viaggio verso Avellino,
comunque, si mise in moto il
cuore del tifo azzurro. A un’ora
dal fischio d’inizio la Nord era
colma di napoletani; ben 5000
tifosi riempirono le gradinate.
Ma rimasero fuori circa 2000
partenopei sprovvisti di
biglietti; questi ultimi
tentarono di sfondare. In poco
tempo scoppiò la guerriglia: gli
scontri iniziarono intorno alle
ore 19.30 tra la Nord e la
Terminio. I reparti della
mobile, in tenuta antisommossa,
cerarono vanamente di arginare
l’onda d’urto degli ultras e
risposero alla sassaiola con le
cariche, le manganellate, i
lacrimogeni. Gli Ultras e i
regolari si accalcarono agli
ingressi. "Le cariche - riporta
il sito progettoultrà.it - si
intensificano e l’unico modo per
non restarne coinvolti è
riuscire ad entrare nello
stadio. Ressa, calca, spinte, ma
finalmente, dopo aver
oltrepassato il cancello, non ci
saranno più problemi. Il
biglietto è stato strappato
regolarmente e non resta che
cercarsi un posto sui gradoni,
ma proprio sulle scale le forze
dell’ordine caricano, colpiscono
la gente che sta salendo e per
evitare quelle scale l’unica via
di uscita è saltare giù, su di
una copertura in plexiglas.
Lasciarsi scivolare di là dal
muretto, per superare il vuoto
di dodici metri e raggiungere un
posto sicuro, ma di sicuro al
Partenio non c’è nulla". Anche
Sergio Ercolano tentò la via di
fuga.
"Intorno alle 20, - scrive
Maurizio Martucci nel libro
Cuori Tifosi - dopo una mezz’ora
decisamente tormentata, Sergio
viene assalito dal panico, dal
timore degli incidenti e della
foga generale. Non è un ultras,
ma solo un tifoso del Napoli,
uno come tanti. Per non restare
imprigionato nella morsa degli
scontri (al processo verrà
prodotto il suo biglietto
d’ingresso acquistato dai
bagarini: era di curva Nord, con
sopra il timbro della tribuna
Terminio), Ercolano tenta
un’improvvisata via di fuga dai
corpo a corpo saltando sopra un
muretto e poi su una pensilina
di plexiglas, che fa da tettoia
alla palestra del Partenio. Una
mossa rivelatasi letale. Perché
la copertura in plastica, sulla
quale sono saliti in precedenza
anche altri ragazzi, non regge
il peso e si apre all’improvviso
come una botola. Scaraventando
di sotto il ragazzo da
un’altezza di meno di venti
metri. Un impatto terribile". Il
corpo rimase a terra, in una
pozza di sangue. L’ambulanza
entrò nello stadio venti minuti
dopo l’orribile episodio. Tale
ritardo scatenò l’ira degli
ultras partenopei. "Venti
minuti, - prosegue Martucci -
meno di mezz’ora per ricevere le
prime manovre di soccorso praticate poi all’ospedale San
Giuseppe Moscati di Avellino,
dove viene trasferito d’urgenza
nel reparto di anestesia e
rianimazione. […] Nella testa di
Sergio c’è un vasto ematoma, cioè sangue attorno alla
superficie del cervello, un
evento che solitamente precede
al vasospasmo, ovvero la
riduzione delle arterie che
limitano l’afflusso di sangue al
cervello". Sergio morì lunedì 22
settembre 2003 alle ore 15.45.
Maurizio Martucci è sicuro: la
vita di Ercolano è una "vita
archiviata". Arrivò nel 2005 la
richiesta di archiviazione
avanzata dal PM Marcello Rotondi
e successivamente accolta dalla
Procura della Repubblica di
Avellino. Arrivò, infine, nel
2009 un’altra archiviazione,
disposta dal giudice monocratico
Gaetano Gatto della XII sezione
civile del tribunale di Napoli.
Ercolano nacque nel 1984,
nell’anno dell’arrivo di Diego
Armando Maradona. Aveva soltanto
tre anni nel 1987 e sei nel
1990. Era un bambino. Il Napoli
vinceva gli scudetti e dominava
in Italia e in Europa. Anch’io
ero un bambino: quando venni al
mondo mio nonno regalò a me una
maglia azzurra con il numero
dieci. Era l’anno della vittoria
in casa contro la Juve di
Platini, del terzo posto. Era,
insomma, l’alba di un periodo
ricco di successi. Non ho visto
il Napoli di Diego. Ho visto
però la retrocessione in serie B
del 1998, il purgatorio,
l’inferno e la risalita. Ed ho
visto i trionfi recenti, la
Coppa Italia e la Supercoppa
italiana. Sergio Ercolano
avrebbe gioito più che mai per
le vittorie della sua squadra.
Non l’ho mai conosciuto. Avrei
voluto parlargli. Forse ci
incontreremo in cielo un domani.
11 ottobre 2015
Fonte:
Romeocastiglione.wordpress.com
(Testo e Foto di Sergio)
© Fotografie:
Ilmattino.it
Dodici anni fa la morte
di Sergio Ercolano
di Carlo Porcaro
Scoprii una guerra che
non voglio combattere: perciò
non vado più allo stadio.
L’atmosfera era tesa. Come si
misura il grado di tensione ?
Con il termometro
dell’esperienza personale ma
anche col filtro delle proprie
emozioni e sensazioni. Ebbene,
quel sabato sera del 20
settembre 2003, cioè 12 anni fa,
l’atmosfera che precedeva il
derby di serie B Avellino-Napoli
era tesa eccome. Lo era perché i
tifosi irpini attendevano quella
partita da anni: la provincia
contro il capoluogo di regione
avverte la gara sportiva come
occasione di riscatto, ipocrita
negarlo. Lo era perché per me
era la prima trasferta
giornalistica: l’allora capo
dello sport del "Roma" Raffaele
Auriemma mi aveva chiesto di
dare una mano a seguire la
partita dal vivo. Lo spirito
orgoglioso degli avellinesi si
fondeva insomma con la mia
adrenalina da "prima volta"
lontano dallo stadio San Paolo,
seppur per pochi chilometri.
Neanche il tempo di salire sulla
tribuna (a forma di veranda) del
Partenio e dare uno sguardo alla
distinta dei calciatori,
compresi che ogni possibile
emozione doveva essere
accantonata in un secondo.
Professionalmente per me, si
trattava della prova del fuoco
al circo o dell’acqua per un
bambino che non sa ancora
nuotare. In quei minuti non si
capì nulla. Alcuni giornalisti
napoletani cominciarono a
sentirsi minacciati dai tifosi
irpini. Furono lanciati
fumogeni, si udirono cori contro
Napoli. Poi la scena drammatica:
un folto gruppo di tifosi
azzurri che rincorrevano i
carabinieri presenti sul campo
brandendo mazze e cinture
costringendoli alla fuga negli
spogliatoi. Un’immagine
scioccante per chi come me,
classe 1976, è cresciuto dinanzi
alla tv a guardare sgomento la
tragedia dell’Heysel raccontato
da un attonito Bruno Pizzul. Noi
giornalisti scendemmo
direttamente negli spogliatoi
per provare a comprendere che
cosa fosse accaduto, che cosa
avesse scatenato l’ira degli
ultras del Napoli. Una volta nel
ventre del Partenio, dove poi
trascorsi praticamente tutta la
serata, appresi la notizia di
"due morti" tra i tifosi
azzurri. Addirittura due. Per la
carica della polizia all’esterno
dello stadio e i soccorsi in
ritardo, erano le accuse. Da qui
la reazione violenta,
violentissima, contro le forze
dell’ordine. I morti dopo
un’oretta si ridussero a uno. La
tragedia restava tale. Enorme.
Un morto per una partita di
calcio: un’assurdità a cui non
ci si abitua mai. Le notizie
erano frammentarie e imprecise.
I cellulari dopo pochi minuti
andarono in tilt: non c’era più
linea. Giocatori e arbitri
vagavano per il corridoio ancora
in pantaloncini come se, di lì a
poco, si sarebbe potuto tornare
in campo. Oggi, con i social
network, le informazioni
sarebbero state senz’altro di
più. Confuse, sovrapposte,
cariche di odio e retorica, ma
almeno qualcuno presente in loco
avrebbe potuto testimoniare in
tempo reale sull’accaduto.
Invece, brancolammo nel buio
fino all’amara certezza della
morte del giovane Sergio
Ercolano. Precipitato da una
tettoia in plexiglass. Aveva il
biglietto ? Non lo aveva e
voleva scavalcare ? Dubbi
rimasti irrisolti sul piano
giudiziario. L’avvocato della
famiglia ha sempre sostenuto che
avesse il biglietto e che stesse
fuggendo da una carica dei
celerini per respingere tifosi
senza ticket che facevano
pressioni per far aprire i
cancelli: nella concitazione non
si sarebbe reso conto di essere
in una zona prossima ad una
copertura di plexiglass che poi
cedette. Nel processo, il Comune
di Avellino è stato prosciolto
da ogni accusa. "Il caso è stato
archiviato come fosse una
pratica. Ma lui era un ragazzo
con in tasca i soldi e il
biglietto, che non sono stati
trovati, e stava fuggendo perché
voleva tirarsi fuori dai disordini. Non ho mai chiesto
vendetta, solo giustizia. Ho
trovato conforto nella fede,
forza negli altri miei due
figli, ma è brutto riconoscere
che per gente come noi non c’è
giustizia. Ed è brutto
riconoscere che i morti non sono
tutti uguali", ha detto la mamma
di Sergio l’anno scorso ai
quotidiani. Come dire: un morto
in più, si va avanti lo stesso.
Titoloni sulle prime nazionali,
inchieste della magistratura,
annunci di norme speciali e poi
tutto come prima. Gli ultras
trattati come ghetto, bestie in
gabbia. State lì, che conviene a
tutti: è il messaggio dello
Stato. E troppo spesso gli
stessi ultras sembrano
crogiolarsi di ciò. La politica
è "corrotta", i giornalisti
"infami". Fino a quando non ne
muore un altro e d’improvviso il
calcio ci appare solo una
cattiva "scusa", una tragica
"occasione", un "non-luogo" dove
le regole non esistono. E la
morte di Ciro Esposito, maturata
con la negligenza colpevole
delle forze dell’ordine che
avrebbero dovuto e potuto
prevenire, lo ha confermato. Gli
ultras contestano il "calcio
moderno", ma questo gioco
divenuto un business non è più
compatibile con la "fede", le
emozioni, il semplice
divertimento. Non può essere
amato a tutti i costi. Se lo
spettacolo non è di grande
livello e il teatro in cui si
recita è sporco e disagevole,
perdonatemi: resto a casa. Non è
la stessa cosa, lo so bene. Non
si sentono gli odori del campo,
non si ascoltano le imprecazioni
del vicino, non si colgono le
finezze calcistiche. Non si
viene avvolti dall’atmosfera,
quella che precede una partita
tesa e non una guerra che -
almeno io - non voglio
combattere.
8 settembre 2015
Fonte: Ilnapolista.com
© Fotografie:
I.ytimg - Ultra-style.weebly.it
A dieci anni dalla morte
La mamma di Sergio non
si dà pace
Ma ringrazia l’Avellino
che non dimentica
di Luigi Salvati
Carmela Ercolano: "Non
saprò mai come è morto mio
figlio. Non voglio vendetta ma
solo giustizia".
"Non me
l’aspettavo che dopo 10 anni la
città di Avellino si ricordasse
di mio figlio Sergio. Grazie di
cuore". Voce ferma e fiera. Si
interrompe e trema in alcuni
frangenti, solo quando i ricordi
di quella maledetta sera
riaffiorano in tutta la loro
tragicità. A parlare è la
signora Carmela, la mamma di
Sergio Ercolano, il giovane
ventenne precipitato in un
fossato profondo venti metri
nella Curva Nord dello Stadio
Partenio di Avellino. Morì due
giorni dopo all’ospedale Moscati
a causa delle gravi lesioni
riportate in seguito alla
caduta. Da quel giorno Sergio è
diventato un simbolo. Non lo
hanno dimenticato i parenti e
gli amici. Non lo hanno
dimenticato i tifosi del Napoli
che mercoledì sera, nel corso
della partita di Champions
contro il Borussia, hanno
riproposto lo striscione "Il
nostro cammino nel tuo ricordo…
Solo per Sergio". Non lo ha
dimenticato Avellino che reagì
con compostezza ed incredulità a
quanto era avvenuto e si strinse
nel dolore della famiglia e
dell’intera comunità di San
Giorgio a Cremano. Ricordare
Sergio era un obbligo morale a
cui la città non si è sottratta.
Ci ha pensato il sindaco di
Avellino, Paolo Foti, che ha
scritto di proprio pugno una
lettera ai genitori di Sergio,
il cui contenuto sarà reso
pubblico lunedì. Una sorpresa
per mamma Carmela e papà
Maurizio che si apprestano a
celebrare il decennale presso la
Chiesa madre di San Giorgio a
Cremano. Non è stato facile
contattare la famiglia Ercolano.
Dopo la tragedia che li ha
colpiti hanno cambiato casa e
numero di telefono. Si sono
trincerati in un dolore che solo
chi perde prematuramente un
figlio può comprendere. Una
volta contattata, però, la
signora Carmela non si è
sottratta alla chiacchierata e
con grande gentilezza ha
risposto alle nostre domande.
Che effetto vi ha fatto
sapere che il sindaco di
Avellino ha scritto una lettera
per ricordare la memoria di suo
figlio ?
"Tra le
tante telefonate che stiamo
ricevendo in questi giorni è
stata, forse, quella più
inaspettata. Da un lato, tutte
le telefonate sono laceranti.
Riaprono una ferita mai
rimarginata. Dall’altro fa
piacere sapere che anche la
città di Avellino non ha
dimenticato cosa è capitato a
mio figlio. Sergio era venuto ad
Avellino per vedere una partita,
non per prendere parte ad un
combattimento. Purtroppo nessuno
ce lo restituirà ma gli
attestati di stima ci danno
coraggio".
Si dice che un genitore
non dovrebbe mai assistere al
funerale del proprio figlio.
Quando accade come si reagisce ?
"La
forza te la danno gli altri
figli. Abbiamo un maschio che
all’epoca dei fatti aveva tre
anni ed una femmina che allora
ne aveva 21. Sono loro che ci
hanno dato la forza di guardare
avanti. Poi c’è la fede nel
Signore. Solo così si può
riprovare a vivere una vita che
non sarà mai più quella di
prima. Sergio non c’è più
fisicamente ma spiritualmente è
sempre con noi".
Cosa ricorda di quella
sera. Chi vi diede la notizia ?
"Conoscevamo nostro figlio e non
eravamo per niente preoccupati,
tant’è che eravamo al compleanno
di un nostro amico. Ricevemmo la
telefonata di nostra figlia la
quale ci disse che Sergio aveva
avuto un incidente e si trovava
all’ospedale di Avellino".
Cosa faceste ?
"Corremmo immediatamente ad
Avellino. Nel tragitto ti
passano in mente mille pensieri
ma mai avremmo immaginato di
trovarci di fronte a quello che
è successo. Ma quello che fa più
rabbia, da genitore, è non
sapere ancora, a distanza di
dieci anni, cosa è successo,
come è successo e perché è
successo".
Sergio non ha mai avuto
giustizia ?
"Mai.
Sei anni dopo, prima in sede
penale, poi in quella civile è
morto un’altra volta. Il suo
caso non è stato nemmeno
esaminato. È stato direttamente
archiviato come se fosse una
pratica. Forse perché era solo
un povero ventenne morto in una
situazione come quella. Ma
Sergio aveva sia il biglietto
che i soldi in tasca. E nemmeno
quelli sono stati trovati. Stava
provando a tirarsi fuori da
quella situazione. Da genitori
non abbiamo mai chiesto vendetta
ma solo giustizia".
Sono trascorsi dieci
anni ma la memoria di suo figlio
è ancora viva…
"Questo
ti fa capire che persona bella
era mio figlio. Era un ragazzo
con sani principi e valori. Era
amico di tutti e sono felice che
sia diventato un simbolo.
Ringrazio chi lo ricorda e chi
ci sta vicino".
20 settembre 2013
Fonte: Orticalab.it
© Fotografie:
Sportavellino.it -
Avellino-calcio.it
L’intervista
Avellino non dimentica,
Foti: scriverò alla famiglia
Ercolano
di Luigi Salvati
Il sindaco: "Nulla lo
riporterà in vita, ma non
possiamo dimenticare quanto
accaduto quella sera".
Il 22
settembre di dieci anni fa
moriva Sergio Ercolano, il
giovane tifoso del Napoli
precipitato, due giorni prima,
da un’altezza di 20 metri nel
settore Curva Nord dell’allora
Stadio Partenio, oggi
Partenio-Lombardi. Gli eventi
tragici di quella notte li
conosce l’Italia intera. Li
abbiamo anche sintetizzati in un
altro articolo. Nella tragica
sera del 20 settembre 2003 al
Partenio di Avellino si scrisse
una delle pagine più nere del
calcio italiano. Sergio, morto
per seguire la sua squadra del
cuore in un sabato di fine
estate, non è stato mai
dimenticato. I tifosi
biancoazzurri ne ricordano
costantemente la memoria in giro
per lo Stivale, i tifosi
biancoverdi hanno fatto
altrettanto nel corso dei derby
giocati con il Napoli negli anni
a venire e, di certo, non hanno
dimenticato nessun particolare
di quella notte. La Sud piena
fin dalle prime ore del
pomeriggio. Quell’adrenalina che
non si provava da tempo. Poi il
fumo proveniente da via
Annarumma. La consapevolezza che
lì stesse succedendo qualcosa di
importante. I movimenti strani
dei tifosi del Napoli già
entrati allo stadio. Quel
cancello aperto all’apparenza
senza alcun motivo. La rimozione
degli striscioni. Gli attimi
convulsi del trasporto di Sergio
in ambulanza. Quel cancello
ancora aperto. La rabbia dei
tifosi partenopei sfociata in
un’invasione folle. Lo sconcerto
nel volto dei tifosi
biancoverdi. Le notizie alla
radio. Il passaparola via
telefono. L’incredulo ritorno a
casa in quella che doveva essere
una giornata storica per
l’Avellino di Zeman. Brividi al
solo pensiero, rabbia mai
sopita, consapevolezza che, da
quell’episodio in poi, il calcio
sarebbe cambiato. Sono passati
10 lunghi anni. Venerdì sarà
l’anniversario di quella partita
che non si giocò mai, domenica
quello del decesso del giovane
Ercolano presso l’ospedale
Moscati di Avellino che divenne
meta di pellegrinaggio dei
tifosi napoletani. Non vorremmo
far passare in silenzio una data
così importante e così abbiamo
pensato di invitare sindaco di
Avellino e presidente
dell’attuale squadra di calcio a
contattare la famiglia Ercolano
per un abbraccio, un gesto
simbolico per far capire loro
che Avellino non ha dimenticato.
Il sindaco di Avellino, Paolo
Foti, è il primo che abbiamo
contattato.
Sindaco, ricorda cosa
successe quella sera ?
"Chi
non lo ricorda. Non ero allo
Stadio ma ricordo, come se fosse
oggi, l’ansia di un padre che
non riesce a contattare il
proprio figlio".
Suo figlio era lì ?
"Sì era
lì e quella sera non si riusciva
a prendere la linea. Era
impossibile telefonare ed io
vedevo in tv la furia dei tifosi
del Napoli verso le forze
dell’ordine. Conoscevo
personalmente il dirigente della
Mobile che fu aggredito a calci.
Scene allucinanti che
addirittura non sembravano
vere".
Eppure pochi minuti
prima si era consumata una
tragedia che non era
prevedibile…
"Impensabile. Qualcosa di
veramente tragico che
indirettamente nei giorni
successivi mi coinvolse in prima
persona".
In che senso ?
"Ero il
presidente della squadra di
volley che si allenava e giocava
nella Palestra Comunale
costruita sotto la Curva Nord.
Sergio precipitò in un corridoio
che portava verso altri ambienti
che percorrevamo regolarmente.
Per diversi giorni tutta l’area
fu sequestrata per le indagini.
Ti posso garantire che vengono
ancora i brividi se penso al
volo di quel povero ragazzo".
Ricorderà bene anche le
polemiche su quelle chiavi che
tardarono ad aprire quei locali
?
"Come
no. L’ansia a volte può giocare
brutti scherzi. Le chiavi erano
sicuramente in possesso dei
dipendenti comunali che aprivano
e chiudevano la palestra e del
custode dello stadio. Si poteva
accedere sia dall’ingresso della
palestra che, come poi si è
fatto, dalla pista d’atletica.
Non sta a me esprimere un
giudizio sulla tempistica".
Il calcio è cambiato,
forse proprio da quella sera,
non pensa ?
"Grazie
a Dio, situazioni del genere non
se ne vedono più, anche se non
si può dire che la violenza sia
stata debellata. Chi frequenta
gli stadi deve capire che il
calcio è uno spettacolo e deve
essere uno strumento per
aggregare e far divertire tutti.
Sono un uomo di sport e sono
convinto di quello che dico".
Sei anni dopo quel
tragico evento, sia in sede
civile che penale, la famiglia
Ercolano ha visto archiviarsi il
caso. È come se glielo avessero
ammazzato un’altra volta...
"Cominciamo col dire che nessun
atto sostanziale o risarcitorio
può compensare la perdita di un
figlio. Nessuna condanna o somma
di denaro avrebbe mai riportato
in vita Sergio. Non posso
entrare nel merito delle
decisioni dei giudici ma posso
dire, come sindaco di Avellino,
di essere vicino al dolore
incancellabile della famiglia.
Parlo da sindaco ma sento di
interpretare il sentimento di
tutta la città di Avellino".
Sono trascorsi dieci
anni. Sarebbe bello che lei e il
presidente dell’A.S. Avellino
incontraste la famiglia Ercolano
per un abbraccio simbolico ?
"Penso
che le dimostrazioni pubbliche
lascino il tempo che trovino.
Ritengo, dunque, che una lettera
privata, scritta a nome della
città di Avellino, abbia più
valore. È qualcosa che rimane
nel tempo".
16 settembre 2013
Fonte: Orticalab.it
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