Lima, 24 maggio 1964. Il
giorno peggiore della storia del
calcio
di Giuseppe Ottomano
Per
l’inaugurazione di un torneo di
calcio studentesco, il 18
febbraio allo Stadio Monumental
di Lima, di proprietà del Club
Universitario de Deportes, è
stata realizzata una tribuna di
metallo, alta 15 metri e larga
50. La tribuna avrebbe dovuto
ospitare qualche migliaio di
persone, soprattutto parenti e
amici dei giovani giocatori. La
struttura, messa in piedi nello
spazio di un mattino, non è
stata però dotata delle norme di
sicurezza, e per fretta, incuria
e una buona dose di faciloneria,
i dirigenti dell’Universitario
de Deportes hanno omesso di
avvisare, come avrebbe disposto
la normativa locale, le autorità
municipali di Lima. A causa del
peso degli spettatori, la
tribuna fai da te si è
afflosciata improvvisamente, e
ha lasciato sotto di sé 117
feriti, la maggior parte lievi,
e una decina in condizioni
serie. Ma se non fosse stato per
l’inusitata efficienza dei
soccorsi dei vigili del fuoco e
delle ambulanze, il bilancio
sarebbe potuto diventare molto
più grave. Come immaginabile, i
media peruviani hanno dato un
grande spazio a questo
incidente, e le memorie più
fonde sono ritornate al
terribile pomeriggio del 24
maggio 1964, quando allo Stadio
Nacional di Lima, meglio noto
alla gente del posto come El
Coloso de José Díaz, si erano
affrontate le nazionali under 20
di Perù e Argentina. In palio
c’era la qualificazione alle
imminenti olimpiadi di Tokyo, e
l’Argentina aveva la classifica
dalla propria parte; mentre per
il Perù era quasi un imperativo
vincere, per poi giocarsi la
qualificazione nell’ultima
partita contro il Brasile. A
Lima si preannunciava una
domenica pomeriggio all’insegna
dello spettacolo sportivo, visto
che nel circuito centralissimo
di Campo de Marte, a meno di un
chilometro dallo stadio si stava
disputando Las Seis Horas
Peruanas, una gara
automobilistica che sarebbe
terminata alle tre del
pomeriggio: appena mezz’ora
prima dell’inizio della partita.
In quella mezz’ora i tifosi
erano transumati verso il
Nacional; e siccome gli
organizzatori avevano
incoscientemente abbondato sulla
stampa dei biglietti, erano
entrate quasi quindicimila
persone in più rispetto alle
47mila che poteva contenere
ufficialmente lo stadio. Il
primo tempo terminò a reti
inviolate, e il pubblico
cominciò a innervosirsi. Avrebbe
voluto festeggiare la
qualificazione per le strade di
Lima, ma con un pareggio la
strada verso le olimpiadi si
sarebbe fatta più accidentata. A
rendere l’impresa proibitiva,
avrebbe poi provveduto al 15’ il
gol dell’argentino Néstor
Manfredi. Per i sessantamila
presenti era stata come una
doccia gelata, e le speranze
olimpiche cominciavano a
sciogliersi sotto il sole di
quel pomeriggio di maggio. A
soli sei minuti dalla fine,
però, un tiro angolato
dell’attaccante peruviano Victor
Lobatón era riuscito a battere
il portiere argentino. La
torcida del pubblico di Lima si
era scatenata. Mancava poco alla
fine, era vero, però si poteva
ancora sperare. I giocatori in
maglia bianca si abbracciarono e
proprio mentre stavano per
dirigersi verso la propria metà
campo, l’arbitro uruguayano,
Ángel Eduardo Pazos, alzò il
braccio destro e sollevò una
gamba mimando un passo dell’oca:
gioco pericoloso. Il gol era
stato annullato, lasciando
sfumare le ultime speranze dei
peruviani. Il pubblico sugli
spalti scatenò il finimondo, e
un afro peruviano di un quintale
di peso e dalle generalità
incerte (a seconda delle fonti
viene indicato come: Víctor
Melasio Campos, Melecio Vásquez,
o anche Germán Cuenca Arroyo),
con il grottesco soprannome di
El Negro Bomba, riuscì a
scavalcare le recinzioni e ad
entrare nel terreno di gioco in
direzione dell’arbitro. Appena
scorsero la sua sagoma
appesantita, i poliziotti di
servizio nello stadio lo
rincorsero lanciandogli addosso
i cani; lo placcarono, lo
stesero a terra, estrassero i
manganelli, e come loro
abitudine, cominciarono a
picchiare selvaggiamente.
Contemporaneamente, entrò in
campo un secondo invasore, che
brandendo una bottiglia era
arrivato a pochi passi
dall’arbitro: un attimo prima di
venire acciuffato dalla polizia
per subire lo stesso trattamento
di El Negro Bomba.
Il pubblico,
già invelenito contro l’arbitro,
rivolse la propria attenzione
all’indirizzo delle forze
dell’ordine, e cominciò a
inveire, fischiare e bombardare
il campo di oggetti di ogni
tipo. L’uruguayano Ángel Eduardo
Pazos comprendendo che le cose
si stavano mettendo male, senza
perdere altro tempo, fischiò la
fine dell’incontro; ed insieme
ai giocatori delle due
nazionali, si involò verso gli
spogliatoi dalla parte della
curva meno turbolenta. Usciti di
scena i protagonisti della
partita, lo scontro si concentrò
tra il centinaio di poliziotti e
i sessantamila spettatori
inferociti. A quell’epoca la
polizia peruviana non conosceva
molte varianti alla logica della
brutalità. Era la polizia di una
nazione che viveva costantemente
sotto il tallone di una serie
devastante di dittature
militari, e che proprio in
quell’anno stava vivendo una
delle proprie brevissime
stagioni di democrazia.
L’ufficiale più alto in grado si
mise immediatamente in contatto
radio con la centrale, e
ricevette l’ordine di difendersi
con i gas lacrimogeni. Detto
fatto. I gas vennero lanciati in
forma di granate verso i settori
dello stadio più esagitati, e da
quel momento i tifosi furono
protagonisti di qualcosa di
molto simile a un girone
dell’inferno dantesco. Sotto la
pressione dei gas asfissianti,
cercarono vie di fuga, salendo
prima verso la parte più alta
delle gradinate. Ma neanche
lassù l’aria si era rivelata più
respirabile, e la massa in fuga
aveva imboccato la via
dell’uscita. Davanti a quelli
più rapidi era però in agguato
un’amara sorpresa: le porte
erano sbarrate. Le autorità ne
avevano deciso la chiusura, per
evitare che altre persone si
aggiungessero alla calca
infernale che loro stessi
avevano provocato, vendendo i
biglietti in soprannumero. I
primi arrivati avevano fatto
così marcia indietro, ma si
erano trovati di fronte la
seconda ondata che scappava
dalle tribune avvelenate dai gas
della polizia. La massa di
persone si era infranta, come un
blocco unico, contro i cancelli,
che sarebbero poi crollati sotto
la spinta di quella forza
d’urto. In una calca spaventosa
morirono in 318, e quasi mille
rimasero feriti, soprattutto per
asfissia da schiacciamento, in
una dinamica che si sarebbe
ripetuta, anche se in misura
dieci volte minore, nella
tragedia dell’Heysel. Ma negli
anni sessanta in America Latina,
il quadro sociale era
particolarmente disastroso, e le
bande di delinquenti si erano
avvicinate ai cadaveri per
rubare orologi, portafogli,
vestiti, e tutto quanto avesse
potuto valere più di pochi
soldi. I giornalisti in tribuna
non avevano compreso
immediatamente le dimensioni
della catastrofe, e le prime
notizie avevano accennato ad
alcuni feriti; ma la radio aveva
poi fornito aggiornamenti di
minuto in minuto, tanto che i
parenti delle persone allo
stadio, avevano girato
disperatamente gli ospedali di
Lima alla loro ricerca. Tanti
dei giovani che erano
sopravvissuti si erano
abbandonati alla guerriglia: tre
poliziotti, erano stati
catturati e linciati, centinaia
di vetture parcheggiate erano
state distrutte e la fabbrica
della Good Year era stata
saccheggiata, durante una serie
di disordini che erano durati
tutta la notte. Il mattino dopo
il governo, schiacciato dalla
pressione dei militari, veri
padri padroni del Perù di
quell’epoca, sarebbe stato
costretto a decretare lo stato
d’emergenza e la sospensione
delle libertà costituzionali per
trenta giorni.
14 maggio 2011
Fonte: Sportvintage.it
24 maggio 1964: la
tragedia dell’Estadio Nacional
de Lima
Ma
quale mostro abbiamo partorito ?
Quale male ? Questa creatura
ormai è assolutamente senza
controllo. Maledetti gli inglesi
che in quel di Sheffield
inventarono il calcio,
partorendo un qualcosa che ben
presto scapperà di mano a tutti
quanti noi, ormai completamente
incapaci di domarlo e dominarlo.
Maledetti gli argentini, un po’
perché gli argentini c’entrano
sempre, che lo vogliate o no, ed
un po’ perché mai si fanno gli
affari loro. Ma soprattutto
perché questo sport qua, loro,
lo hanno portato in Sudamerica.
E poco importa di chi sia stata
la colpa: se sia stato il Buenos
Aires F.C., il club più antico
del Sudamerica, ormai scomparso,
nel lontano 1867 (sì perché c’è
stato un periodo in cui tutta
Buenos Aires era racchiusa sotto
due soli colori, il blu ed il
bianco), oppure uno tra il
Gimnasia La Plata od il Quilmes,
in eterna lotta per decidere chi
sia il club esistente più
vecchio d’Argentina, visto che
risalgono al 1887 entrambe ed
entrambe rivendicano questo
primato che non prevede
medaglie. Questo adesso, in
questo inferno, però, proprio
non ha importanza. Maledetti i
brasiliani e la loro allegria,
quei maledetti danzatori di
samba che di questo sport ne
hanno fatto una religione
terrena, un’esperienza mistica.
Un rituale sacro. Maledetti.
Maledetti gli uruguaiani, i
primi a creare il mito in questo
continente ed a vincere un
mondiale, ed anche perché sono
coloro che oggi hanno mandato
questo incompetente ad
arbitrare, tale Angel Eduardo
Pazos. Maledetto tutto quanto il
Sudamerica, con la sua pazzia.
Il suo calore. Il suo carattere.
Maledetto il fùtbol, non più
sport ormai, ma solo e soltanto
un traboccante delirio pagano.
Dio abbia pietà, se proprio
deve, solo del Perù. Del mio
Perù. Sembra impossibile che
Chico, il ragazzo della storia,
appena un paio d’ore prima
felice e sorridente, libero e
spensierato per le vie del suo
barrio, anche se sarebbe più
giusto dire "Distrito", perché è
così che chiamano i quartieri a
Lima, "Distritos", di "San
Miguel", adesso, stia pensando
tutto questo. A dieci anni. In
mezzo all’inferno. In mezzo ad
una marea di persone deliranti,
urlanti, feroci, eppure, così
incredibilmente solo. 24 maggio
1964. Ore 12:30. Chico ha appena
finito di pranzare, si alza dal
tavolo di casa sua e come ogni
santissimo giorno, che cada una
pioggia torrenziale o che il
sole più rovente cuocia
letteralmente la terrena piena
di polvere, apre la porta di
casa sua, saluta il suo cane
Arajo e corre all’angolo di
"Calle 9" e "Calle 12", proprio
a ridosso del "Parque de la
Leyendas", il parco zoologico
che viene inaugurato proprio in
quei giorni, per far parte di
quei venti bambini che ogni
santissimo giorno si sfidano
all’ultimo sangue con quella
"pelota" di stracci. Chico è
felice di tutto questo.
Felicissimo. Quello poi è un
giorno particolare. Suo padre
Alberto, dopo enormi sacrifici,
sì perché un manovale, in Perù,
negli anni ’60, non è che
guadagnasse molto bene, e
neanche adesso per dire la
verità, è riuscito ad acquistare
due biglietti, uno per lui, uno
proprio per Chico, per andare a
vedere giocare il Perù. A dire
la verità Chico avrebbe
preferito assistere ad una
partita dell’"Alianza de Lima",
la squadra del suo cuore e
quella della sua famiglia,
quella fantastica formazione che
si veste di strisce bianche e
blu verticali tutto l’anno,
tranne che ad ottobre, quando,
in onore del "Senor de los
Milagros", il patrono della
squadra, l’Alianza si veste
completamente di viola. Solo in
Sudamerica. I prezzi per
esaudire questo desiderio sono
però eccessivi, ed il padre
Alberto nel caso sarebbe
costretto a portare con sé anche
gli altri quattro suoi figli,
tifosi sfegatati del colosso
peruviano ma non attratti
dall’idea di vedere la
nazionale. Sarebbe una spesa
troppo importante per la sua
famiglia. Il Perù, per fortuna,
interessa solo a Chico, contento
di entrare per la prima volta ad
uno stadio, anche se non si
tratta dell’Alianza. Della sua
Alianza. Ma non importa. Oggi,
per la prima volta, entrerà
dentro uno stadio vero, con un
campo verde vero, e non di
quelli solo visti in qualche
rara foto dal barbiere ogni qual
volta accompagna il nonno, o di
quelli solo immaginati in mezzo
a tutte quella polvere di "Calle
9". No signore. Oggi sarà tutto
fantasticamente reale. Chico non
sta nella pelle, tanto che
"obbliga" il padre a presentarsi
allo stadio quasi due ore prima
della partita.
Lo
stadio in questione è "L’Estadio
Nacional de Lima", più
comunemente chiamato in città
"El Coloso de Josè Diaz", lo
stadio che di lì a qualche ora
diventerà teatro della più
grande tragedia calcistica della
storia. La partita in programma
è Perù U21 contro Argentina U21,
match valevole per le
qualificazioni alle olimpiadi di
Tokyo che si terranno il mese
dopo proprio in Giappone.
L’Argentina parte favorita. Gli
argentini partono sempre
favoriti. È nel loro DNA. Che
poi non arrivino quasi mai al
traguardo, salvo un breve
periodo di tempo quando sul
campo, con la "camiseta
albiceleste", scorrazzava un
certo Diego Armando Maradona,
beh questa è un’altra storia.
All’ "albiceleste" quel giorno a
Lima bastava anche un punto per
qualificarsi. Al Perù serve
invece solo e soltanto la
vittoria. L’impresa. Il clima,
al "Coloso" è rovente già molto
prima dell’inizio del match, non
tanto per il calore che i
peruviani mettono nell’incitare
la loro squadra. No no. Il clima
è rovente anche perché quel
giorno, alla partita, in uno
stadio che può contenere sì o no
50.000 persone circa, in realtà
se ne presentano 68.000. Vi
potete immaginare l’ambiente.
Una polveriera a cielo aperto.
Basta una minima scintilla.
Chico e suo padre prendono posto
nel settore immediatamente alla
sinistra del campo, dietro la
porta che nel primo tempo
assisterà agli attacchi degli
argentini. Fanno fatica a farsi
spazio tra la folla. La calca è
disumana. Un’ora prima del
calcio di inizio, se un alieno
si fosse voluto divertire ed
avesse voluto far cadere uno
spillo su dal cielo verso lo
stadio "Nacional", questo non
avrebbe mai toccato terra, vista
la densità di persone
concentrate quel giorno,
specialmente in rapporto allo
spazio effettivo. È il
Sudamerica. Ed il Sudamerica,
specialmente in quegli anni lì,
è un mondo a sé. Mai vista una
cosa del genere prima di allora.
Anzi sì. Una volta sì a dire la
verità. C’è stato un giorno in
cui in uno stadio sono state
stivate molte più persone di
quelle che potevano entrare.
Quel giorno fu quattordici anni
prima ed è passato alla storia
come "Maracanazo". Una tragedia
anche quella. Sportiva e non
solo… No no, maledetti gli
inglesi e quel mostro che ormai
vive di vita propria. Il calcio.
Non è più controllabile nella
mente di ognuno di noi. Non lo
si può più affermare prima di
andare a letto e metterlo in un
cassetto. No. Lui, ormai, è
parte di noi. Il match, intanto
al "Nacional", inizia.
I
peruviani partono forte come da
copione, ma gli argentini,
nettamente superiori sia
tecnicamente sia tatticamente,
reggono senza troppi problemi.
Il primo tempo finisce a reti
bianche. Si va negli spogliatoi
sul risultato di 0-0. Lo stadio
freme. È una pentola che ha
perso la sua valvola di sfogo.
Vuole un gol. Chico ricorderà
anni dopo che ogni volta che il
Perù attaccava durante la prima
frazione di gioco, il boato del
pubblico era così forte da
comprimergli il petto come se si
trovasse sopra di un razzo.
Spaventoso. La partita riprende.
La cantilena però è praticamente
la stessa dei primi
quarantacinque minuti: il Perù
in attacco col cuore, Argentina
ordinata e tranquilla che parte
di rimessa. Quasi neanche si
accorge di quegli undici ragazzi
allo sbaraglio e senza logica
calcistica che non sanno bene
neanche loro cosa stanno
cercando. "Ma questi dove hanno
imparato a giocare ?"
L’Argentina controlla.
L’Argentina controlla sempre.
Anzi riesce addirittura a
trovare il vantaggio dopo un
quarto d’ora dal secondo tempo
con Nèstor Manfredi, giocatore
del Rosario Central che
francamente non avrà una superba
carriera calcistica, ma che quel
giorno, da azione di angolo, si
gira e lascia partire un bolide
di destro sotto la traversa
peruviana. 0-1. Chico racconterà
in seguito che per un minuto
abbondante al "Coloso" non si
sentì volare neanche una mosca.
Si potevano percepire soltanto i
respiri dei calciatori
dell’Argentina che tornavano a
centrocampo dopo la rete.
Contenti, ma neanche più di
tanto. La partita riprende e va
avanti ed il Perù tenta
l’impresa, ma coi piedi,
diciamocelo francamente, sono
quel che sono, fino a che, a
cinque minuti dalla fine,
l’attaccante peruviano Victor
Lobatôn, la mette. 1-1. Un gol
di una bruttezza inaudita:
brutto, di rapina, molto
fortunoso, che sembra quasi
uscito dalle tattiche del
peggior allenatore del mondo. Ma
questo ai peruviani proprio non
interessa. Adesso il Perù ci
crede, ci crede davvero, se non
che, l’arbitro, l’uruguaiano che
abbiamo citato prima, Angel
Eduardo Pazos, inspiegabilmente,
anche se in Sudamerica tutto
sembra inspiegabile ma realtà
tutto ha una sua logica ben
definita, fidatevi, annulla la
rete. Apriti cielo. È la fine
del mondo. La scintilla è
arrivata. La polveriera è
esplosa. Nel giro di pochi
secondi, la storia del calcio
sudamericano cambierà per
sempre. Un uomo di più di cento
chili, di cui non si è mai
conosciuta realmente l’identità,
ma che passerà alla storia con
l’appellativo di "El Negro
Bomba", scavalca le recinzioni,
entra in campo e tenta di
frantumare l’arbitro con le sue
mani. "Hijo de puta. Tu es un
hijo de puta", urla inveendo
contro di lui. Appena la polizia
si accorge della sua invasione,
lo placca, scioglie i cani ed
inizia a picchiarlo
selvaggiamente con i manganelli.
Sugli spalti succede
l’apocalisse. Nessuno gradisce
il trattamento riservato al
"Negro Bomba". Molti altri
tifosi invadono il campo, uno
addirittura con un collo di
bottiglia rotto e viene fermato
ad un paio di metri
dall’arbitro.
L’uruguaiano in completo nero
fischia la fine della partita e
scappa negli spogliatoi,
intuendo ciò che stava per
accadere, seguito dalle due
squadre. Dagli spalti vola di
tutto verso il campo. La polizia
risponde con i gas lacrimogeni.
Il pubblico, nel disperato
tentativo di sopravvivere, si
lancia verso l’alto per cercare
aria respirabile, ma ormai il
gas è arrivato anche qui. Le
scene a cui si assiste sono
allucinanti. Nel caos più
completo, con gli occhi
devastati dai lacrimogeni, le
vie respiratorie completamente
bloccate ed una visibilità pari
a zero, su quegli spalti succede
letteralmente di tutto. Le donne
vengono usate come scudo. I
bambini vengono calpestati come
neanche si fa con le bestie. Gli
amici denudati per usare i loro
vestiti come filtri antigas. Il
pubblico che prima era salito
fino agli ultimi posti del
Nacional, torna giù in massa
schiacciando coloro che
tentavano di salire. Chico
ricorda benissimo quei momenti
"Sono morto e poi risorto. Non
so perché sono qua, oggi, a
raccontarvi questa storia. Non
so perché Dio ha scelto me. So
che ci deve essere un prescelto.
C’è sempre un prescelto. Forse
non è stato il Signore a
scegliermi, ma in cambio ha
voluto il sacrificio di mio
padre. Mi prese, mi portò in un
angolo dello stadio e mi coprì
col suo corpo filtrando l’aria e
prendendosi i calci al posto
mio. Ogni figlio ringrazia il
padre per avergli dato la vita.
Io lo ringrazio per avermela
salvata. Non lo scorderò mai.
Sarà per sempre il mio eroe".
Quel giorno, quel 24 maggio
1964, all’Estadio Nacional de
Lima morirono più di 320
persone. Qualcuno parla di 318,
altri di 322. Neanche delle
guerre, a volte, hanno causato
così tante vittime. Come se non
bastasse, nell’immediato post
partita, e nei giorni seguenti,
parte una vera e propria caccia
all’uomo: molti agenti di
polizia vengono catturati e
linciati. Per trenta giorni il
governo del Perù sospende le
libertà costituzionali e attua
il coprifuoco. Fu la fine del
mondo. L’immenso filosofo
tedesco Friederich Nietzsche
diceva "Tutte le grandi cose
devono indossare maschere
mostruose e terrificanti per
potersi imprimere nel cuore
dell’umanità". Ecco, molti altri
mostri hanno invaso il calcio in
seguito, con nomi ben più
terribili e famosi:
Hillsborough, Heysel, Bradford,
Lenin, o Luzniki se preferite
(la tragedia russa del 1982 che
il governo russo ha sempre
cercato di insabbiare) solo per
citarne alcuni, ma nessuno, e
ripeto nessuno, prima di quel
giorno, a parte Ibrox nel 1902,
aveva deciso di manifestarsi nel
mondo del fùtbol così, e forse,
speriamo, non lo farà neanche
mai più. Quel giorno, squarciò
per sempre il mondo del calcio
latino, quel giorno Chico,
conosce contemporaneamente il
più grande sorriso ed il più
grande dolore della sua vita. Si
perché quel giorno, quel 24
maggio 1964 cambiò per sempre la
sua vita e quella di migliaia di
persone, oggi dimenticate. Mai
esiste nella mente degli amanti
del calcio. Sparite per sempre
come un pezzo di carta argentata
sospinta dal vento.
|
|
E Dio,
quasi come se si fosse in
seguito sentito in colpa per
quella tragedia senza
precedenti, come per scusarsi
per quel sangue innocente
versato assolutamente senza un
senso quel giorno, per colpa di
quella creatura ormai senza
controllo, decise di rimediare
il più possibile e di rivedere
la fama del 24 di maggio. In
parte sembra esserci riuscito.
In questo giorno, infatti, nel
2000, fu disputato uno dei più
bei "Superclasicos" di sempre,
con un 3-0 del Boca leggendario
nei quarti di finale di
Libertadores, impreziosito da un
"tunnel" di Juan Roman Riquelme
a Yepes da antologia del calcio
e da un gol di Palermo nel
recupero da brividi, tornato
dopo un lunghissimo stop, che
diede la qualificazione agli
"xeneizes". Sempre in questo
giorno, nel 2014, si disputerà
il primo derby storico, con due
squadre della stessa città, in
finale di Champions League tra
Atletico Madrid e Real Madrid.
Come se non bastasse, sempre il
24 maggio, del 1966, nascerà un
uomo di nome Eric Cantona. La
reincarnazione del "Dio
calcistico"’. Una leggenda. Uno
dei più forti e controversi
calciatori di sempre. Il cielo
ha cercato proprio un rimedio a
quella tragedia ormai passata.
Lo ha cercato fortemente, e
forse, un po’ c’è riuscito. Sì,
perché quel 24 maggio del 1966,
a due anni esatti dalla strage
dell’"Estadio Nacional de Lima",
cambiò anch’esso la storia del
football e la vita di molte
altre persone. Due su tutte:
quella dell’intero popolo del
Manchester United, visto come un
unico organismo, che conoscerà
colui che eleggeranno in seguito
"Calciatore del Secolo", e
quella di Matthew Simmons, fino
alle 9:00 pm ora inglese, del 25
gennaio 1995 un anonimo tifoso
del Crystal Palace, sud di
Londra. Ma questa, forse, è
un’altra storia…
24 maggio 2014
Fonte:
Diotifaboca.wordpress.com
1964-2014. A 50 anni
dalla Tragedia di Lima
di Andrea Ridolfi
Testori
Quanto
sono lunghi 50 anni in tempo
umano ? Non poco. E in tempo
calcistico ? Tantissimo. Nel
1964 il calcio era profondamente
diverso da com’è oggi. I palloni
erano duri come sassi, e a
colpirli di testa ci si
rimediava sempre qualche livido.
Gli scarpini erano spesso
consunti e sgangherati, anche ad
alti livelli, e in special modo
nel calcio sudamericano, in cui
i soldi non erano certo la
ragione principale per
cominciare a giocare a calcio.
Il 24 maggio 1964 a Lima
l’atmosfera è elettrica. Si
gioca la 16ª partita del Torneo
Preolimpico 1964, una
competizione che la CONMEBOL
aveva istituito per la
qualificazione ai Giochi
Olimpici estivi, e che proseguì
fino al 2004. L’Argentina è al
primo posto (8 punti), mentre il
Perù è secondo con 5 lunghezze,
a pari merito con il Brasile. I
peruviani, forti del sostegno
del pubblico di casa che riempie
l’Estadio Nacional (47.197
spettatori), mirano ad
avvicinarsi agli argentini. La
sensazione è che quella squadra,
ricca di giocatori che poi
vestiranno la maglia della
Nazionale maggiore, possa
riuscire a raggiungere i Giochi
di Tokyo. Tra gli elementi
spicca il giovanissimo Héctor
Chumpitaz, destinato a diventare
il "Capitán de América" simbolo
del Perù per moltissimi anni a
seguire; altri nomi di peso sono
quelli di Enrique Casaretto,
prolifico attaccante; Víctor
"Kilo" Lobatón, ala veloce e
tecnica; Javier Castillo, abile
terzino; Luis Zavala, capace
interno in grado di fornire
assist e gol. La partita è
vivace e combattuta fin dal
calcio d’inizio. Il primo tempo
scorre tra azioni pericolose da
entrambe le parti, ma senza
nervosismo in campo. Il Perù
gioca bene, ma gli argentini non
mollano e ci mettono tutta
l’intensità di cui sono capaci.
A guidarli, Roberto Perfumo, uno
dei giocatori più agguerriti
(spesso fino all’eccesso) della
storia del calcio argentino e
uomo simbolo del Racing di
Avellaneda. Al 15′ della
ripresa, Manfredi segna il gol
dell’1-0 argentino, mettendo
ancora più pressione sui
peruviani, che si riversano in
attacco. Al 38′ della ripresa
accade il fatto che spezza in
due il giorno 24 maggio 1964. La
palla arriva in area argentina.
Andrés Arturo Bertolotti, 20enne
difensore del Chacarita Juniors,
vuole allontanare il pericolo e
si prepara a effettuare un
rinvio: di fronte a lui c’è
Víctor Lobatón. Bertolotti
calcia la palla, Lobatón alza la
gamba e il pallone gli rimbalza
addosso, finendo nella rete di
Cejas. 1-1 Perù, Lobatón esulta,
il pubblico esulta. Lo stadio
trema; gli argentini, pensando
di aver subito il gol del
pareggio, abbassano quasi tutti
la testa. Quasi tutti, perché
Perfumo non ci sta. L’arbitro
Ángel Eduardo Pazos, che si
stava dirigendo verso il centro
del campo dopo aver convalidato
il gol, viene duramente ripreso
da Perfumo che protesta:
l’argentino sostiene che Lobatón
abbia commesso fallo, alzando
troppo la gamba. Gioco
pericoloso ? Fallo volontario ?
Non lo si capisce quel giorno, e
non lo sappiamo ancora adesso.
Quel che è certo è che Pazos,
forse intimorito dal deciso
reclamo di Perfumo, annulla il
gol. Da lì in avanti, la cronaca
calcistica si interrompe:
sparisce il fútbol, e inizia la
tragedia. Il pubblico s’infuria,
convinto d’aver assistito a
un’ingiustizia.
Soprattutto nella tribuna
Popular Sur serpeggia un
malcontento che si prepara a
diventare caos incontrollabile.
L’arbitro, vedendo che i fatti
stavano precipitando, fischia la
fine dell’incontro. Il giorno
dopo dichiara alla stampa
peruviana: "Ordinai che si
chiudesse l’incontro perché
continuare a giocare poteva
essere pericoloso". Se
continuare a giocare poteva
essere pericoloso, non giocare
si rivelò disastroso. Dal
pubblico esce un uomo, che si
mette a correre verso l’arbitro.
Víctor Melasio Campos (citato
anche come "Víctor Vásquez" o
anche "Matías Rojas" nei giorni
immediatamente successivi al
disastro), detto "El Negro
Bomba", 95 chili e un passato
burrascoso, è noto come rissoso
delinquente. La polizia lo
conosce, e per fermarlo deve
usare la forza. Molta forza.
Campos è reso inoffensivo. Ma un
secondo tifoso entra in campo: è
Edilberto Cuenca. Viene
aggredito dalla polizia, viene
circondato. Secondo Pazos,
Cuenca svenne quando si vide
accerchiato dagli agenti.
Secondo altri, furono gli agenti
a picchiarlo e a farlo svenire:
questa è la sensazione che hanno
i tifosi sulle tribune. Sta di
fatto che da lì in avanti la
situazione sfugge di mano. Il
comandante della polizia
presente allo stadio, Jorge de
Azambuja, prende una decisione
scellerata: disperdere la folla
inferocita usando i gas
lacrimogeni. Intervistato pochi
giorni dopo, dichiara di aver
ordinato di gettarli sul campo e
non sulle tribune, ma ovviamente
Mentre arbitro e giocatori sono
scortati fuori dal campo, verso
gli spogliatoi, gli agenti
iniziano a lanciare le bombe
lacrimogene sugli spalti,
causando il panico generale. I
tifosi fuggono precipitosamente
dal fumo dei gas, e corrono
verso le uscite. I cancelli di
ferro, però, erano stati chiusi
a chiave per impedire l’ingresso
dei tifosi rimasti fuori dallo
stadio, che era già pieno fino
al tutto esaurito. I primi
arrivati ai cancelli vengono
preso raggiunti da una massa
incredibile di persone che si
accalcano sempre di più,
premendo follemente contro le
uscite, dimentichi di tutto,
dominati dal panico e dal cieco
istinto di sopravvivenza che
ordina loro di scappare.
Moltissimi rimangono soffocati
dall’enorme folla di persone. I
padri perdono i figli, i figli
perdono i padri, i ragazzi
perdono gli amici, i fratelli, i
cugini. Chi cade viene
calpestato, altri soffocano per
la pressione degli altri, e i
lacrimogeni peggiorano
ulteriormente la situazione.
Fumo, lacrime, urla, dolore, è
il caos totale. I calciatori,
chiusi negli spogliatoi, non
possono far altro che ascoltare
i terribili rumori del disastro.
C’è chi prega, chi cerca di
vedere qualcosa dalle
finestrelle dei bagni, chi non
capisce cosa stia succedendo. Ma
la tragedia continua anche fuori
dallo stadio: chi riesce a
uscire aggredisce i poliziotti,
per vendetta. 4 agenti muoiono,
altri 15 sono feriti. Ci sono
saccheggi, risse, furti, viene
incendiata la fabbrica Goodyear
e anche altri edifici sono dati
alle fiamme. Solo nella notte la
polizia riesce a ristabilire una
parvenza d’ordine a Lima. I
calciatori lasciarono lo stadio
solo alle 20:30, ora in cui la
folla era passata a rivolgere la
sua furia distruttrice fuori
dallo stadio verso auto, negozi
e case. Il giorno seguente,
durante le ricerche si
continuano a trovare cadaveri su cadaveri. Si raggiunge e si
supera quota 100, 200, poi 300.
Si arriva ufficialmente a 312
morti, ma il conteggio
generalmente sale fino a 328,
più 4.000 feriti.
Il 25 maggio i
rappresentanti delle federazioni
nazionali si riuniscono e
decidono di interrompere il
torneo con 5 gare ancora da
disputare. L’Argentina viene
dichiarata campione e si
qualifica alle Olimpiadi di
Tokyo (anche se la AFA aveva
dato la disponibilità a
proseguire il torneo), mentre
Perù e Brasile, a pari punti,
devono effettuare uno spareggio.
La partita si tiene il 7 giugno
1964 a Rio de Janeiro, il
Brasile vince 4-0 contro un Perù
che non può concentrarsi sulla
partita, ma solo su quegli
attimi terribili di quel 24
maggio a Lima. Con quale animo i
calciatori peruviani potevano
affrontare un’altra partita ? A
che scopo qualificarsi per le
Olimpiadi dopo una tragedia così
terribile ? La sconfitta è
inevitabile e quasi indolore. Ci
sono cose più importanti di una
qualificazione olimpica.
L’Estadio Nacional viene chiuso
per effettuare le riparazioni,
ma anche per cercare di
ritrovare un senso in quelle ore
di follia. Impresa vana. Il
dolore e la rabbia riempiono
l’animo di chi ha assistito al
disastro, e chi ha perso i
propri amici e familiari è
inconsolabile. Vengono puniti
"El Negro Bomba" e il comandante
Azambuja, ma quasi per forza
d’inerzia, i responsabili sono
più di due. L’arbitro Pazos è
poi tornato sulle sue parole
dell’epoca, e ha ammesso che
annullare quel gol fu un errore.
Un’ammissione tardiva e comunque
di secondaria importanza
rispetto ai fatti
extracalcistici di quel giorno.
Le oltre 300 vittime
rappresentano il maggior numero
di morti durante un evento
calcistico. Dimenticare è
impossibile, ricordare è un
dovere. IL
TABELLINO: 24/05/1964 Lima,
Estadio Nacional
h. 15:30 Perù 0 -
Argentina 1. Perù: Juan
Barrantes; Javier Castillo,
Armando Lara, Ángel Guerrero;
Héctor Chumpitaz, Manuel
Sánchez; Enrique Rodríguez, Luis
Zavala, Enrique Casaretto,
Inocencio La Rosa, Víctor
Lobatón. CT: Marinho Rodrigues.
Argentina: Agustín Cejas; Andrés
Bertolotti, Raúl Pazos; Horacio
Morales, Miguel Ángel Mori,
Roberto Perfumo; Antonio
Cabrera, José Malleo, Juan
Carlos Domínguez, Néstor
Manfredi, Héctor Ochoa. CT:
Ernesto Duchini. Gol: 60’
Manfredi. Arbitro: Ángel Pazos
(URU). Spettatori: 47.197.
25 maggio 2014
Fonte:
Calciosudamericano.it
ALTRE FONTI :
ARKIVPERU
Lima 1964:
The world's worst stadium disaster (BBC)
|
|
|
Lima,
Estadio "Nacional de Perù",
24 maggio 1964 |
La più grande tragedia
sportiva di tutti i tempi
Per un goal annullato
400 morti allo stadio di Lima
Ottocento i feriti - La
tragedia è esplosa nei minuti
finali dell'incontro
Perù-Argentina - La decisione
arbitrale, che assicurava la
vittoria agli ospiti, ha
scatenato i tifosi peruviani -
Alcune centinaia di scalmanati
invadono il campo per aggredire
il direttore di gara - La
polizia perde la testa e
reagisce lanciando bombe
lacrimogene (e sparando anche
colpi d'arma da fuoco) -
Migliaia di persone che erano
rimaste sugli spalti si
precipitano verso i cancelli
d'uscita ancora chiusi,
sfondandoli; nella spaventosa
mischia centinaia di persone
sono travolte, calpestate,
uccise - Date alle fiamme le
attrezzature dello stadio - A
venti ore dalla strage la
popolazione dimostra contro la
polizia, il governo è costretto
a sospendere i diritti
costituzionali.
(Nostro servizio
particolare) Lima, lunedì sera.
Almeno quattrocento persone sono
morte e ottocento sono rimaste
ferite nell'assurda tragedia
avvenuta ieri pomeriggio nello
stadio di Lima per l'incontro di
calcio fra il Perù e
l'Argentina. L'annullamento di
un autogoal di un giocatore
argentino - la cui squadra stava
vincendo per uno a zero nei
minuti finali dell'incontro - ha
provocato l'invasione del campo
da parte di alcune decine di
tifosi particolarmente accesi e
un nutrito lancio di bottiglie
contro l'arbitro dagli spalti.
Per frenare l'irruenza dei più
scalmanati, che avrebbero voluto
raggiungere il direttore di
gara, la polizia è stata
costretta a lanciare un certo
numero di bombe lacrimogene: il
gesto ha scatenato il panico fra
il pubblico che era rimasto
sulle gradinate. Migliaia di
persone terrorizzate si sono
precipitate tutte assieme verso
i cancelli dello stadio ancora
chiusi e li hanno sfondati con
una pressione furibonda: nella
mischia paurosa che è nata nel
disperato tentativo di
raggiungere il più in fretta
possibile l'esterno dello
stadio, centinaia di persone,
soprattutto donne e bambini,
sono rimaste travolte,
calpestate, miseramente uccise.
A venti ore dalla prima notizia
dell'ecatombe, gran parte della
capitale è ancora immersa nel
caos. Le autorità politiche,
militari e sanitarie stanno
compiendo strenui sforzi per
placare la disperazione dei
familiari delle vittime e
l'esasperazione che ha travolto
non solo gli spettatori della
tragica partita, ma buona parte
della popolazione. Attorno agli
ospedali, al municipio e agli
edifici governativi, folle di
cittadini dimostrano contro la
polizia, ritenuta la principale
responsabile del disastro. Tutti
gli ospedali sono gremiti di
feriti, molti dei quali gravi.
Gli obitori non sono in grado di
accogliere le salme raccolte
nella serata di ieri, dentro e
fuori lo stadio. I testimoni
oculari della spaventosa
tragedia, molti dei quali sono
ancora in preda a collasso
psichico, sono concordi nel dire
di non aver mai immaginato di
dovere un giorno assistere ad un
così allucinante spettacolo di
follia collettiva. I disordini,
come abbiamo detto, hanno avuto
inizio mentre si stavano
disputando i minuti finali
dell'incontro fra le nazionali
del Perù e dell'Argentina,
valido come finale sudamericana
per la Qualificazione al torneo
olimpico. Gli argentini
conducevano per 1-0, quando il
loro difensore Morales ha
causato un autogoal. Urla
frenetiche dei tifosi peruviani
hanno accolto l'inatteso punto
del pareggio, ma l'arbitro
uruguayano, Angel Pazos, non si
sa bene perché, lo ha
immediatamente annullato. Lo
stadio, che per alcune
precedenti decisioni dello
stesso arbitro era già in
ebollizione, si è di colpo
trasformato in una bolgia. Dalle
gradinate gli spettatori più
scalmanati hanno cominciato a
lanciare bottiglie contro
l'arbitro, mentre parecchi
cercavano di scavalcare la rete
di protezione del campo. La
maggior parte degli invasori del
campo sono stati bloccati dai
poliziotti di servizio. Due
individui, tuttavia, sono
riusciti a sgusciare fra gli
agenti e ad avventarsi contro
l'arbitro per aggredirlo. A
Questo punto i poliziotti hanno
perso il controllo della
situazione: cinquanta di loro si
sono precipitati verso il
direttore di gara per sottrarlo
ad un probabile linciaggio e
hanno così lasciato aperto il
varco a decine d'invasori. Altri
spettatori, intanto, avevano
cominciato a demolire le
transenne e le altre strutture
in legno dello stadio,
accatastandole per appiccarvi il
fuoco. La confusione era enorme.
I poliziotti, non si sa se per
averne ricevuto l’ordine o per
il timore d'essere sopraffatti,
hanno cominciato a lanciare
bombe lacrimogene. Secondo
alcuni testimoni, sarebbero
stati esplosi dai poliziotti
anche dei colpi d'arma da fuoco.
Sopraffatti dal terrore, gran
parte dei H mila spettatori che
gremivano lo stadio, si sono
precipitati verso le uscite,
dando così inizio alla tragedia.
Già lungo le scale d'accesso
decine di persone, soprattutto
donne e bambini, erano travolte
e calpestate. Sul campo,
intanto, aumentava il numero dei
fanatici scatenati contro la
polizia. Interveniva la
gendarmeria a cavallo coadiuvata
da un reparto d'agenti con cani
poliziotti. Si susseguivano gli
assalti e i lanci di candelotti
fumogeni, mentre davanti ai
cancelli sprangati si compiva il
massacro: centinaia di persone
morivano sotto l'impressionante
urto della massa che con forza
crescente spingeva per trovare
un varco. È attorno a queste
porte che si sono raccolti quasi
tutti i cadaveri che hanno
funestato la partita. In preda
ad una folle esaltazione, gruppi
di individui, fra cui dovevano
esserci non pochi malviventi,
hanno iniziato una "marcia della
distruzione" muovendo verso il
centro. Decine d'automobili sono
state rovesciate e date alle
fiamme. Il ristorante "Cambo",
in prossimità dello stadio, è
stato completamente
saccheggiato. Altri negozi,
lungo le vie che portano al
centro, hanno subito la stessa
sorte. Una fabbrica di
pneumatici americana ha avuto
tutti i vetri infranti a
sassate. È stata rovesciata
anche un'automobile sulla quale
si trovavano quattro viaggiatori
ignari dell'accaduto. I
poveretti sono rimasti feriti.
Particolare rivoltante:
sciacalli in sembianze umane,
approfittando dell'oscurità che
stava sopraggiungendo, hanno
spogliato molti cadaveri di
tutti gli oggetti di valore.
Solo al cader della notte
rinforzi di polizia hanno potuto
stabilire una parvenza d'ordine
nella zona dello stadio e
coadiuvare infermieri e medici
nella prima opera di soccorso.
Nondimeno la confusione è
rimasta tale che solo dopo la
mezzanotte si è
cominciato ad
avere la sensazione della
tremenda gravità della tragedia.
Le prime notizie ufficiali
parlavano di venti morti. A
quell'ora, invece, un
giornalista aveva già contato 87
cadaveri allineati su un prato a
fianco dello stadio. Altri (?)
risultavano trasportati
all'obitorio comunale. Altri
ancora, ed erano i più, erano
stati portati nei cortili di
case vicine e persino nelle
chiese. La Federazione del
Calcio peruviana ha reso noto
che non ci sono stati feriti fra
i giocatori delle due squadre e
che l'arbitro uruguayano è rimasto illeso. Mentre in tutti
gli ospedali medici ed
infermiere si stanno prodigando
per assistere i feriti e non è
ancora possibile fare un
bilancio definitivo della
catastrofe, un interrogativo si
pone. Perché migliaia di
persone, dopo la tragedia, si
sono scatenate con tanta
violenza contro negozi,
fabbriche, uffici e ritrovi ? Si
può immaginare che la occasione
sia stata sfruttata da elementi
della malavita, pronti ad
intervenire dovunque ci siano
prospettive di bottino. Ma non
sempre i saccheggi sono stati
compiuti indiscriminatamente. La
devastazione del "Jockey Club",
poi dato alle fiamme, e
l'attacco contro la sede della
"Good Year" americana lasciano
pensare anche ad una rabbiosa
protesta contro i privilegi dei
ricchi e dei potenti. Non si
deve dimenticare che metà degli
abitanti di Lima sono indios,
negri e meticci: gente il cui
salario medio si aggira sulle
seimila lire al mese. Si tratta
di un sottoproletariato che, per
l'analfabetismo e la miseria, è
facilmente soggetto alla
dittatura, ma è altrettanta
facile alle esplosioni di
violenza fanatica. Questa è una
delle ragioni per cui la
sospensione delle garanzie
costituzionali è tanto frequente
in Perù. Oltre tutto, la
tragedia di ieri ha colpito
ancora una volta, in prevalenza,
gente di modestissime
condizioni. La maggior parte dei
morti si è avuta infatti ai
cancelli della curva sud dello
Stadio, dove si trovano i posti
a minor prezzo. n. s.
25 maggio 1964
Fonte: Stampa Sera
La polizia ammette
d'aver sparato in aria
LIMA, lunedì sera. Il
comando della polizia ha
diramato una dichiarazione in
cui afferma che gli agenti di
servizio allo stadio si sono
limitati a sparare in aria. I
giornalisti presenti agli
incidenti hanno tuttavia
riferito di aver scorto alcuni
poliziotti sparare contro la
folla. Il ministro dell'Interno
Juan Languasco ha disposto che
le salme delle vittime siano
trattenute in attesa di autopsia
mentre viene svolta un'inchiesta
ufficiale sulla tragedia.
25 maggio 1964
Fonte: Stampa Sera
Un comunicato del governo
peruviano
LIMA, lunedì sera. Il
governo peruviano ha emesso il
seguente comunicato: "L'incontro
di calcio che ha avuto luogo
ieri fra le squadre
dell'Argentina e del Perù ha
avuto una conclusione tragica
per l'esaltazione di alcuni
spettatori che hanno invaso il
campo quando l'arbitro ha
annullato un goal della squadra
peruviana; questo atto ha
provocato violente proteste e,
nonostante gli sforzi della
polizia per ristabilire la
calma, la folla ha continuato a
protestare contro l'arbitro
uruguayano che aveva annullato
un goal che avrebbe permesso ai
peruviani di pareggiare. "La
polizia ha allora fatto uso
delle bombe lacrimogene allo
scopo di tentare,
sfortunatamente senza successo,
di evitare più gravi disordini.
In effetti, dopo che la partita
è stata sospesa, alcune tribune
sono state incendiate e nella
confusione che è seguita,
numerosi spettatori ed alcuni
poliziotti sono rimasti contusi.
Il governo deplora ugualmente la
morte di numerose persone, delle
quali si cerca di stabilire il
numero, ferite nella calca. La
polizia - continua il comunicato
- non ha utilizzato le armi di
cui dispone e le morti
constatate hanno per unica causa
la calca verificatasi
soprattutto alle porte dello
stadio. "Il governo,
dolorosamente colpito da questi
tragici avvenimenti, provocati
da un fatto banale, chiede alla
popolazione di mantenere la
calma e di collaborare con la
forza pubblica affinché questo
triste incidente sportivo non
venga sfruttato da agitatori e
non sia la causa di danni ancora
più grandi di quelli che,
disgraziatamente, sono stati già
fatti. Per queste ragioni, le
garanzie costituzionali sono
state sospese per una durata di
30 giorni in tutto il paese.
Tutti gli ospedali della
nazione, civili e militari,
collaborano strettamente per
curare i feriti, il governo ha
chiesto a tutti i medici di
collaborare a questo compito".
25 maggio 1964
Fonte: Stampa Sera
Non si conosce ancora il
numero dei morti nello stadio
Furore a Lima dopo la
tragedia saccheggi e tumulti
antigovernativi
Nuovi incidenti ieri
sera - Devastate le sedi di
alcune organizzazioni sportive -
Violento comizio nel quartiere
universitario - Scontri fra
dimostranti e polizia, che ha
fatto uso di candelotti fumogeni
- Paralizzati i più elementari
servizi di sicurezza: trentuno
carcerati sono evasi nel giro di
poche ore e si sono aggiunti
alla malavita locale in piena
effervescenza - Sembra che
l'esplosione di collera per il
goal annullato sia stata
provocata da un fanatico
supertifoso, detto "Bomba", noto
per le sue turbolenze a ogni
partita - I cadaveri già
identificati sarebbero 260, ma
il bilancio totale della
sciagura dovrebbe raggiungere i
500 morti - Assassinati sugli
spalti due poliziotti ? -
L'arbitro del tragico incontro
dice: "Avevo fischiato prima che
il pallone entrasse in rete" -
Allo studio del governo una
pensione per i familiari delle
vittime.
Lima, martedì sera. Lo
sgomento e il furore per la
spaventosa tragedia dello Stadio
non si sono ancora placati. Le
autorità governativo non
riescono a nascondere la loro
inquietudine e, praticamente,
non si avvalgono degli ampi
poteri loro concessi dal
virtuale stato d'assedio. La
polizia, che ha la chiara
sensazione d'essere diventata il
capro espiatorio della
situazione, manovra con cautela
e pensa soprattutto a
difendersi. Nuovi incidenti sono
accaduti ieri sera in varie
parti della città. L'episodio
più grave è stato quello
dell'invasione dello Stadio da
parte di un migliaio di
scalmanati i quali sono
penetrati in locali adibiti ad
ufficio da associazioni sportive
e li hanno devastati, rubando
numerosi trofei sportivi. Nel
quartiere universitario si è
svolto un comizio organizzato
dalla Federazione studentesca,
controllata da elementi
d'estrema sinistra. Roventi
accuse e feroci invettive sono
state lanciate contro le
autorità. Gruppi di agenti
intervenuti per sciogliere la
manifestazione sono stati
aggrediti ed hanno dovuto far
uso di candelotti lacrimogeni.
L'orgasmo che domina le autorità
è rivelato anche dal fatto che
ordini e contrordini stanno
pregiudicando anche le più
elementari misure di sicurezza.
Basti dire che ieri mattina 25
pericolosi criminali hanno
potuto evadere dal carcere del
Palazzo di Giustizia e altri sei
sono evasi ieri sera. Si tratta
di delinquenti della peggior
specie i quali non mancheranno
certo d'approfittare del
difficile momento per compiere
losche imprese. Per quanto
riguarda il bilancio dell'immane
tragedia, l'atteggiamento delle
autorità appare inspiegabile. A
trentasei ore dalla catastrofe
non si sa ancora, neppure con
una certa approssimazione, quale
sia stato il numero dei morti.
L'ultimo comunicato governativo
dice che essi sono 276. Negli
ambienti della polizia si dà
invece il numero di 328.
Privatamente, un alto
funzionario della Pubblica
Sicurezza ha ammesso che sono
più di 350. Le stazioni radio
locali fanno salire il numero
dei morti a circa 500.
All'obitorio centrale, i
cadaveri allineati in lunghe
file sul nudo pavimento sono
290, una trentina dei quali non
ancora identificati. Tra le
vittime di cui è stato possibile
accertare l'identità si trovano
cinque persone della stessa
famiglia. Una visione
agghiacciante è quella di due
cadaveri strettamente avvinti:
un uomo e il suo figlioletto di
quattro o cinque anni. Il
governo ha annunciato che entro
oggi le spoglie delle vittime
identificate saranno restituite
alle famiglie. I funerali
avranno luogo a spese dello
Stato. Nulla è stato deciso per
ora riguardo alle esequie. Si
teme fortemente che la
commozione e l'esasperazione
generale possano dar luogo a
nuovi e gravi incidenti. Secondo
moltissime testimonianze la
tragedia è stata originata dal
fanatismo di un tifoso assai
conosciuto negli stadi di Lima:
un mulatto soprannominato
"Bomba" per le sue frequenti
intemperanze nei confronti degli
arbitri. Mentre gli agenti si
avventavano sullo scalmanato,
che urlava invettive, e stavano
trascinandolo fuori del campo,
purtroppo altri spettatori lo
hanno imitato scavalcando le
transenne e correndo verso
l'arbitro. Questi, temendo il
peggio, è fuggito verso gli
spogliatoi, seguito dai
giocatori. A questo punto i
poliziotti hanno cominciato a
lanciare candelotti lacrimogeni
ed hanno avuto inizio le risse
fra tifosi ed agenti. Quando la
nube di gas irritanti ha
raggiunto le gradinate, la folla
ha cominciato a precipitarsi
verso le uscite, in cerca d'aria
pura. Davanti ai cancelli chiusi
hanno avuto così inizio le scene
selvagge che dovevano
concludersi con l'ecatombe. Il
comandante delle forze di
polizia di servizio sul campo ha dichiarato: "Avevo la
responsabilità di proteggere la
vita dell'arbitro e dei
giocatori. Ho fatto tutto il
possibile per contenere la
valanga di scalmanati che si
avventavano contro gli agenti.
Ad un certo
momento ho dovuto
ordinare il lancio dei
candelotti lacrimogeni, per
disperdere gli invasori del
campo. Alla direzione della
Pubblica sicurezza si afferma
che i due poliziotti trovati
morti sugli spalti non erano in
servizio e non sono periti
perché calpestati, ma
assassinati. Uno degli infelici
sarebbe stato strangolato e il
secondo lapidato. L'arbitro
della funesta partita, Eduardo
Pazos, giunto ieri a Buenos
Aires, ha dichiarato ai
giornalisti: "La folla non si è
scatenata per l'autogoal
argentino annullato. Tutti
avevano sentito il mio fischio
prima che il pallone entrasse in
rete. Sono state le baruffe fra
gli invasori del campo e i
poliziotti a dare inizio al
caos. Io decretai la fine della
partita perché continuare il
gioco in quelle condizioni
sarebbe stato pericoloso". In
tutto il Perù si stanno
raccogliendo fondi a favore
delle famiglie delle vittime.
Versamenti assai cospicui sono
stati fatti da persone facoltose
di Lima e di altre città. Il
governo ha annunciato che è allo
studio una legge per la
concessione di una pensione a
favore dei familiari delle
vittime della tragedia.
26 maggio 1964
Fonte: Stampa Sera
Si è dimesso il capo
della polizia di Lima
LIMA, martedì sera. Il
ministro dell'Interno peruviano,
Juan Languasco, ha annunciato al
Congresso che il capo della
polizia di Lima, Ernesto Gomez
Cornejo, si è dimesso dalla sua
carica e che quaranta poliziotti
che erano in servizio domenica
allo stadio di Lima sono stati
sospesi.
26 maggio 1964
Fonte: Stampa Sera
Un'immane tragedia per
fanatismo sportivo
Forse 500 i morti allo
stadio di Lima per un goal
annullato in Argentina-Perù
Già identificati 315
cadaveri; il governo ammette che
il bilancio è provvisorio - I
feriti sono più di mille -
Alcuni scalmanati invadono il
campo dopo la decisione
dell'arbitro, quando il Perù
perdeva 1-0 - Per trattenerli la
polizia spara e lancia bombe
lacrimogene sulle gradinate -
Pazza di terrore la folla si
accalca per fuggire contro i
cancelli chiusi: centinaia di
persone (fra cui donne e
bambini) muoiono calpestate o
soffocate - Gruppi di facinorosi
si abbandonano in città a gravi
violenze: auto e uffici in
fiamme, negozi saccheggiati,
cadaveri spogliati di ogni
oggetto - Il governo impone lo
stato d'assedio per un mese.
(Nostro servizio
particolare) Lima, 25 maggio. Le
garanzie costituzionali sono
state sospese per trenta giorni
in Perù, domani sarà giornata di
lutto in tutto il paese, Lima
(la capitale) è in stato
d'assedio per i sanguinosi
tumulti scoppiati ieri allo
stadio durante l'incontro di
calcio fra le nazionali
peruviana ed argentina, e
proseguiti poi in città fino a
tarda sera. Quanti siano i morti
dell'assurda tragedia scatenata
da un goal annullato alla
squadra peruviana, non è
possibile dire con precisione.
Un bilancio definitivo delle
vittime non è stato ancora
fatto. Ma fonti ufficiali
parlano di 350-400 morti (altri
dicono 500) e più di mille
feriti. È la più grande tragedia
della passione sportiva in tutti
i tempi. Mai nella storia del
calcio si era assistito ad uno
spettacolo di follia collettiva
più allucinante e doloroso.
Stasera non c'è più posto per i
morti negli obitori, gli
ospedali difettano di letti per
i feriti, mancano plasma e
sangue per le trasfusioni. La
mischia si è accesa sul campo
negli ultimi minuti della
partita, valevole come finale
sudamericana per la
qualificazione al Torneo
olimpico. L'Argentina conduceva
per una rete a zero, e difendeva
il vantaggio con caparbia
tenacia. La folla rumoreggiava:
fischiava di continuo l'arbitro
- l'uruguayano Angel Pazos -
accusandolo di tollerare il
gioco duro degli ospiti e di
favorirli con decisioni errate.
Mancavano dieci minuti al
termine quando il difensore
argentino Morales, premuto da un
avversario, passava malamente la
palla al proprio portiere che
non riusciva ad intercettarla.
Il pallone si adagiava lemme
lemme in fondo alla rete. Era il
pareggio inatteso ed insperato
per i tifosi peruviani. Lo
stadio esplodeva in un urlo di
gioia. Ma l'arbitro annullava il
punto, per un fallo compiuto in
precedenza da un giocatore del
Perù. Sugli spalti si scatena il
finimondo. Gli spettatori più
scalmanati tentano di scavalcare
la rete di protezione, altri
prendono di mira l'arbitro
bersagliandolo con bottiglie di
birra, altri ancora cominciano a
demolire le transenne in legno
accatastandole per appiccarvi il
fuoco. C'erano sul recinto di
gioco (a detta della polizia)
poche decine di agenti con
qualche cane-poliziotto. La
temuta invasione di campo in un
primo momento pare scongiurata.
Gli agenti reggono bene all'urto
della folla. I tifosi sono
ricacciati indietro. La partita
sta per riprendere quando due
energumeni sgusciano fra gli
agenti e si avventano
sull'arbitro. L'episodio in sé
non avrebbe probabilmente avuto
conseguenze serie per il
direttore di gara. Gli stessi
giocatori peruviani intervengono
in difesa del signor Pazos. Ma i
poliziotti perdono la testa e
abbandonando il controllo della
folla inferocita accorrono in
massa al centro del campo per
proteggere l'arbitro. Dalle reti
attorno al rettangolo di gioco
si rovescia una valanga di
tifosi urlanti, dieci, venti,
cento persone. La tragedia
precipita. Arbitro e giocatori
fuggono negli spogliatoi per
sottrarsi al linciaggio. Entrano
sul campo gendarmi a cavallo e
cani-poliziotti. Ma la marea
degli scalmanati preme sempre
più minacciosa. Per ricacciarla
indietro gli agenti sparano in
aria e lanciano sulle gradinate
candelotti lacrimogeni. Il gas
apre larghi vuoti sugli spalti.
Ora la folla preme verso i
cancelli, tenta di aprirsi un
varco; ma non può, i cancelli
sono ancora chiusi perché la
partita non è ufficialmente
finita. Lo stadio di Lima, uno
dei più moderni dell'America
Latina, può contenere 45 mila
persone e ieri non c'era un
posto libero. Le sue numerose
cancellate consentono agli
spettatori di sfollare in meno
di dieci minuti. Presi nella
trappola mortale, 45 mila
uomini, donne e bambini
impazziti dal terrore cercano di
raggiungere le uscite bloccate,
si accalcano, si schiacciano.
Qualcuno si getta dall'alto
delle tribune sfracellandosi
sulla spianata di cemento. Due
donne in stato interessante
abortiscono in mezzo alla folla.
Quando finalmente i cancelli si
aprono, centinaia di corpi senza
vita si ammucchiano sulle
gradinate e lungo i passaggi che
portano alle uscite. I cancelli
sono insanguinati. In un angolo
un uomo tenta di rianimare,
soffiandogli in bocca, il figlio
di 10 anni. Mentre tutte le
ambulanze disponibili fanno la
spola tra lo stadio e gli
ospedali per trasportare
cadaveri e feriti (sul petto di
molti i medici riscontrano,
stampate a morte, le impronte
delle sbarre di ferro dei
cancelli), una folla di esaltati
- guidati da un esponente della
malavita locale, Matias Rojas -
inizia una "marcia della
distruzione" verso il centro
della città. Decine di auto sono
date alle fiamme, il ristorante
"Combo" è saccheggiato, parecchi
negozi sono distrutti a sassate.
Gli atti di vandalismo si
ripetono per tre ore senza che
la polizia (in una città che ha
oltre un milione di abitanti)
riesca a controllare la
situazione. Incendi divampano in
parecchi quartieri: bruciano la
sede del "Jockey Club" e la
fabbrica americana "Goodyear",
che hanno riportato gravi danni.
Viene rovesciata persino un'auto
con quattro turisti a bordo, che
sono rimasti feriti.
Qualche cadavere nelle
vicinanze dello stadio è
depredato di tutti gli oggetti
di valore. Gruppi di teppisti
hanno persino assediato gli
ospedali la sede della polizia e
la residenza del capo dello
Stato, Belaunde Terry, gridando
"Vendetta". Una delegazione di
tifosi pretendeva di essere
ricevuta dal presidente della
Repubblica. Più di una volta i
poliziotti hanno dovuto
ricorrere alle armi per
disperdere i facinorosi. A sera
la calma non era ancora
ristabilita. Il governo decideva
drastiche misure. Il comunicato
ufficiale, dopo aver deplorato i
sanguinosi incidenti, annuncia
lo stato di assedio:
"Dolorosamente colpito dai
tragici avvedimenti - dice il
comunicato - il governo chiede
alla popolazione di mantenere la
calma e di collaborare con la
forza pubblica affinché questo
triste episodio sportivo non sia
sfruttato da agitatori e non
provochi danni ancora più gravi
di quelli che già sono stati
fatti. Le garanzie
costituzionali sono sospese per
la durata di 30 giorni in tutto
il paese". Gli incidenti (ma in
misura più limitata) si sono
ripetuti nella notte e stamane.
Non è escluso che agitatori
politici si siano infiltrati fra
i teppisti per creare difficoltà
al governo. Duemila facinorosi
(in maggioranza giovanissimi)
sono entrati con la forza nello
stadio nazionale ed hanno
saccheggiato i depositi di
bevande. In quel momento il
governo era riunito d'urgenza in
sessione straordinaria. Il
ministro degli Esteri Schwalb ha
chiesto che l'arbitro uruguayano
Angel Pazos sia fatto partire al
più presto, il ministro degli
Interni Languasco ha proposto
l'interruzione del torneo
preolimpico. Ma altri problemi
più gravi premono, l'opposizione
è decisa a dar battaglia in
Parlamento ed a chiedere le
dimissioni del ministero.
Stasera è stato annunciato un
"bilancio provvisorio" delle
vittime allo stadio: i morti
accertati sono finora 315 e 798
i feriti. a. p.
26 maggio 1964
Fonte: La Stampa
La cieca strage nel
campo sportivo di Lima
C'entrano politica ed
economia se il calcio
in America Latina può
diventare tragedia
di Francesco Rosso
Milioni di sudamericani
seguono gli incontri,
soprattutto internazionali, con
una passionalità accesa e
grottesca; il risultato è molto
più importante che l'esito delle
elezioni - Questo stato d'animo
non dipende soltanto dal
temperamento, ed ancor meno dal
clima - Per le masse analfabete,
abbrutite dalla fame, tenute ai
margini della vita nazionale, il
calcio è una droga necessaria -
Le classi dirigenti incoraggiano
questo sfogo, alimentano il
furore nazionalistico - Qualche
volta scoppia il dramma; in
altri casi, la partita offre il
pretesto per manifestare rancori
politici o idee proibite.
(Dal nostro inviato
speciale) Lima, 25 maggio. Il
massacro nello stadio di Lima
riflette le condizioni di vita
dei latino-americani, il loro
temperamento enfatico, la
passionalità con cui seguono le
manifestazioni più superficiali
dell'esistenza, come il gioco
del calcio, essendo esclusi dai
problemi più impegnativi. Il
sanguinoso episodio è accaduto
in Perù, ma poteva avvenire in
qualunque paese dell'America
Latina, perché le condizioni
sono pressoché identiche
ovunque. Già nei primi giorni di
questo sciagurato torneo
eliminatorio per le olimpiadi di
Tokio, si erano verificati casi
d'intolleranza cieca, benché la
nazionale peruviana non fosse
ancora direttamente impegnata
nella contesa; e lo sport fu
soltanto il pretesto per
seppellire sotto fiumi di
contumelie la squadra brasiliana
opposta a quella venezuelana,
perché era ancora vivo il
ricordo del recentissimo colpo
di Stato militare in Brasile, o
per minacciare gli atleti
cileni, esponenti di un paese
considerato nemico dopo le
mutilazioni di frontiera subite.
Il gioco del calcio assume in
America Latina valori che a noi
possono sembrare paradossali e
grotteschi, ma giunge il momento
in cui una gara si trasforma in
tragedia, come appunto quella di
Lima fra le nazionali di
Argentina e Perù, e noi crediamo
di dover esprimere un giudizio
severo su quel pubblico
sanguinario senza tener conto
delle cause che rendono
possibili simili eccessi.
Ricordo gli episodi dei
campionati mondiali a Santiago
del Cile, l'ostilità con cui
furono accolti i giocatori
italiani soltanto perché un
nostro collega, alcuni giorni
prima, aveva espresso giudizi,
forse inopportuni in quel
momento, ma esattissimi, sulla
società cilena. Anche allora il
linciaggio pareva certo; fu
evitato perché, in un incontro
rimasto memorabile per le
violenze fisiche e morali,
l'Italia fu sconfitta dalla
nazionale cilena. Alcuni giorni
dopo assistetti al trionfale
ritorno a Rio de Janeiro dei
brasiliani vincitori per la
seconda volta consecutiva della
Coppa del mondo. Non
dimenticherò le scene di
isterismo, i baccanali, le
agitate manifestazioni di
piazza, più simili a selvaggi
assalti che a gioiosa esultanza,
cui si abbandonarono i
brasiliani in quella notte
tropicale. Anziani, corpacciuti
messeri quasi ignudi ballavano
il samba al ritmo di indemoniati
tamburi percossi da giovani
negri lucenti di sudore ed
invasi dal delirio per una
vittoria che a Londra, Parigi e
Roma avrebbe richiamato, al
massimo, alcune centinaia di
sfaticati maniaci del calcio.
Non mi meravigliò che De Gaulle
e Kennedy, poi tutti i governi
del mondo, telegrafassero a Joao
Goulart, allora presidente del
Brasile, frasi di enfatiche
congratulazioni; nell'America
Latina il gioco del calcio è una
cosa tremendamente seria, più
importante delle elezioni,
perché le classi dirigenti di
quei paesi hanno voluto che così
sia. In quel mondo travagliato
dai contrasti sociali, il calcio
ha sostituito altri valori e, in
un certo senso, è diventato una
droga che fa dimenticare molte
cose. La domenica successiva
alla rivoluzione brasiliana,
esattamente il 5 aprile scorso,
fu una giornata inquieta a Rio
de Janeiro non perché
guizzassero ancora focolai
rivoluzionari; i carioca erano
in effervescenza per la presenza
delle truppe giunte da Minas
Gerais, che si erano accampate
nello stadio di Maracanà (il più
grande del mondo, 200 mila posti
a sedere, 250 mila in piedi)
impedendo l'incontro fra
Botafogo e Santos. Privi della
settimanale dose di droga
calcistica, gli abitanti di Rio
de Janeiro avrebbero potuto
abbandonarsi a qualsiasi
intemperanza, compresa la
rivoluzione sociale. Ci si può
domandare perché simili eccessi
avvengano soltanto in America
Latina; il clima non è
sufficiente giustificazione di
uno stato d'animo comune ai
paesi afflitti dai calori
tropicali ed a quelli con clima
temperato. L'estate di Lima è di
poco più calda della nostra, ed
il massacro è avvenuto in pieno
inverno. Le cause non vanno
cercate nel clima e nella
latitudine, ma nelle condizioni
di vita di quei popoli, il cui
livello culturale e morale è tra
i più bassi del mondo.
Ho dinanzi agli occhi
alcune cifre ricavate da
statistiche eseguite dall'Onu;
in Perù il 68 per cento della
popolazione superiore ai 15 anni
è analfabeta, in Brasile il 51
per cento, ad Haiti l’89 per
cento, in Venezuela il 48, in
Guatemala il 71, in Colombia il
38, in Messico il 43 per cento.
L'ignoranza in cui sono tenute
le masse popolari avrebbe
potuto, come sta accadendo,
provocare sconvolgimenti sociali
profondi; le classi dirigenti
hanno saputo canalizzare la
passionalità delle folle verso
lo sfogo domenicale delle gare
di calcio, uno spettacolo cui
nessun sudamericano con quattro
soldi in tasca saprebbe
rinunciare. Nei momenti più
opportuni, quando il fermento
popolare sembra incontenibile,
il gioco del calcio diventa
anche efficace strumento del
nazionalismo esasperato,
addirittura furioso, che
contraddistingue i paesi
dell'America Latina. Il giorno
in cui il presidente della
Colombia, in pieno Parlamento,
disse che il pareggio imposto
dalla squadra, colombiana alla
nazionale sovietica dimostrava
largamente la superiorità del
sistema democratico su quello
comunista, nessuno rise, né in
Colombia, né fuori; il
nazionalismo ha i suoi diritti,
anche di essere grottesco. Non
saprei dire quanto abbia
influito il nazionalismo dei
peruviani sul massacro avvenuto
nello stadio di Lima, dove la
passione sportiva si è
trasformata in una selvaggia
carica di sanguinari
inarrestabili; ma deve aver
avuto parte considerevole, a
giudicare dagli atteggiamenti
che già si notavano nei
precedenti incontri. Non credo
che sia stata esclusivamente la
passione sportiva, l'ira
generata dal negato punto del
pareggio a scatenare la ferocia
dei peruviani, fino a indurli ad
incendiare le tribune di legno,
un gesto che denuncia la
premeditazione perché un falò di
quelle proporzioni non si
improvvisa. Il nazionalismo ha
avuto la sua parte, forse la più
cospicua, nella sanguinosa
tragedia, ed è fuori di dubbio
che gli agitatori di professione
hanno fatto il resto. Il
provvedimento preso dal
presidente Belaunde Terry, il
quale ha sospeso per un mese le
garanzie costituzionali mettendo
praticamente il Perù in stato
d'assedio, esponendo la
popolazione all'arbitrio della
legge marziale, lascia
comprendere che l'incontro fra
Argentina e Perù è stato un
pretesto per scatenare una
sommossa popolare in cui lo
sport ha un'incidenza minima.
Ero presente agli incontri dei
campionati mondiali femminili di
pallacanestro svoltisi a Lima
pochi giorni prima che
incominciassero le gare di
selezione preolimpica di calcio,
e la sera in cui le cestiste
russe vinsero il campionato.
Lima sembrò avvampare per
l'entusiasmo. Mentre la bandiera
rossa dell'Unione Sovietica
saliva sul pennone più alto e la
banda eseguiva l'inno nazionale
russo, lo stadio ammutolì, il
silenzio era così profondo da
sembrare intollerabile; poi
avvenne l'esplosione, gli urli
deliranti d'entusiasmo
riempirono di fragore gli spazi,
dilagarono oltre lo stadio,
contagiarono l'intera capitale
che esultò fino all'alba per la
vittoria delle atlete
sovietiche. La presenza degli
attivisti era evidente, la
vittoria russa era considerata
anche una vittoria del comunismo
peruviano. L'incontro di calcio
con l'Argentina è stata un'altra
occasione per creare disordini e
difficoltà al governo di
Belaunde Terry, impegnato in un
difficile equilibrio fra la
spinta interna delle masse
popolari miserabili, e la
necessità di mantenere buoni
rapporti con gli Stati Uniti. Ad
un certo momento, il
nazionalismo predicato dalle
classi dirigenti per deviare
l'attenzione del proletariato
dai gravi problemi interni, è
diventato uno strumento
formidabile nelle mani
dell'opposizione politica.
Sfruttando la congenita
passionalità delle masse
sportive, gli agitatori hanno
portato al calor bianco
l'entusiasmo dei peruviani per
la loro squadra, e la presunta
ingiustizia dell'arbitro che ha
annullato il punto del pareggio
ha provocato la tragedia. È
difficile comprendere lo stato
d'animo di queste masse popolari
mentre assistono ad una gara di
calcio; abbrutiti dalla coca che
masticano in perpetuo per
addormentare gli spasimi della
fame, ubriachi di chicha,
l'acquavite estratta dal
granoturco fermentato, sembrano
incapaci di ogni reazione,
avviliti, supinamente rassegnati
al loro destino infelice. Ma
dietro l'apparente passività,
c'è l'insondabile anima
dell'indio, il cui fatalismo
esplode improvvisamente in
ferocia disumana. Le gare di
calcio sono anch'esse una droga,
il sudamericano smaltisce con la
passione sportiva la carica del
suo temperamento esuberante:
finché non eccede, com'è
accaduto a Lima - e potrebbe
accadere in ogni paese
dell'America Latina - e la
passione sportiva si tramuta in
violenza sanguinaria. L'indio
peruviano, cioè la grande
maggioranza della popolazione, è
apparentemente pacifico,
mansueto se preso singolarmente;
muta radicalmente quando forma
massa, si sente forte e
spalleggiato dal vicino; allora
la sua primordiale violenza si
scatena irresistibile,
soprattutto se crede di aver
ragioni da far valere. È
sanguinario nella lotta politica
- la storia peruviana lo insegna
- e lo diventa anche per
difendere i colori della squadra
di calcio per la quale
parteggia. Anche l'esasperazione
sportiva, gli eccessi cui si
abbandonano le masse popolari
durante una gara (i morti per
sincope non si contano) devono
essere tenuti in considerazione
quando si esprimono giudizi
sull'America Latina.
26 maggio 1964
Fonte: La Stampa
I morti sono 350: i
funerali a spese dello Stato
Scontri a Lima fra
polizia e studenti che
protestano per l'eccidio allo
stadio
Gli agenti usano i gas
inasprendo i dimostranti - Per
due volte la folla tenta di
assalire l'abitazione del capo
delle guardie (subito sospeso
dal servizio): respinta
dall'esercito - Acceso dibattito
alla Camera - Il governo afferma
che i torbidi in città furono
sobillati da agitatori politici.
(Nostro servizio
particolare) Lima, 26 maggio. In
un'atmosfera di sbigottita
tensione, sono cominciati oggi a
Lima - a spese dello Stato - i
funerali delle vittime dei
tumulti scoppiati domenica allo
stadio al termine dell'incontro
di calcio Perù-Argentina. La
polizia ha comunicato che i
morti sono in tutto 350, ma c'è
chi dice che l'elenco è
destinato ad allungarsi ancora.
Decine di cadaveri giacerebbero
negli obitori in attesa
dell'identificazione; negli
ospedali numerosi feriti sono in
condizioni disperate, e non si
sa se sopravvivranno. Oggi la
giornata non registra incidenti.
Ma stanotte, malgrado lo stato
d'assedio, gruppi di dimostranti
(sobillati probabilmente da
agitatori politici) si sono
riuniti nel parco
dell'Università per ascoltare
gli infiammati discorsi contro
il governo dei dirigenti
studenteschi, e la polizia è
intervenuta due volte per
disperderli con gli idranti e le
bombe lacrimogene. L'uso dei gas
- autentici responsabili
dell'eccidio allo stadio - ha
inasprito la folla e ne è nato
qualche scontro, senza gravi
conseguenze. Ma il nervosismo
serpeggia in ogni quartiere.
Gendarmi e guardie a cavallo
sorvegliano piazze e strade.
Stasera i negozi hanno abbassato
le saracinesche assai prima che
scendessero le tenebre. S'era
sparsa la voce, finora
incontrollabile, che una
trentina di pericolosi detenuti
erano evasi dal carcere del
Palazzo di Giustizia. Sotto la
pressione dell'opinione pubblica
(che accusa la polizia di aver
provocato l'eccidio nello stadio
con il lancio sconsiderato dei
lacrimogeni), il governo ha
dovuto prendere immediati
provvedimenti: il prefetto di
Lima, colonnello Gomez Cornejo,
è stato costretto a dimettersi,
il capo della polizia civile
Jorge de Asumbuja e dodici
agenti di servizio al campo sono
stati sospesi e messi agli
arresti In caserma. De Asumbuja
ha dichiarato: "Avevo la
responsabilità della vita
dell'arbitro e dei giocatori
argentini. Se uno di essi fosse
morto per l'aggressione dei
fanatici, sarebbe potuto
nascerne un conflitto
internazionale". Ed ha aggiunto:
"Ho fatto il possibile per
contenere la valanga. I miei
uomini ed i cani non hanno
potuto resistere. Non c'era
altro mezzo che lanciare le
bombe lacrimogene". Ha concluso
affermando che due poliziotti in
uniforme i quali si erano recati
allo stadio come spettatori sono
stati uccisi dalla folla
inferocita: uno è stato
lapidato, l'altro strangolato
con la sua stessa cravatta.
Quando è esplosa la tragedia, si
trovavano attorno al terreno di
gioco 134 poliziotti, 20
gendarmi a cavallo, 9 guardie
nazionali con cani ed un
idrante: una
forza sufficiente
(lo ha ammesso alla Camera il
ministro degli Interni
Languasco) per soffocare sul
nascere, se ben manovrato,
qualsiasi tentativo di invasione
del campo. Languasco ha spiegato
che quattro dei sette cancelli
della sezione nord dello stadio
erano chiusi per impedire
l'accesso dall'esterno dei
"portoghesi". La sezione nord è
il punto in cui si sono raccolti
più cadaveri. Pare che gli
addetti ai cancelli fossero
lontani dal loro posto di lavoro
perché volevano assistere alla
partita. Un'inchiesta è in
corso: se il particolare sarà
accertato, i custodi saranno
denunciati per omicidio colposo.
Il ministro ha detto che la
polizia non ha fatto uso delle
armi all'interno dello stadio;
ha ammesso però che gli agenti
sono stati costretti a sparare
fuori del recinto sui
dimostranti, uccidendone uno e
ferendone sei. Languasco ha
aggiunto di "avere le prove" che
agitatori politici sobillarono
la folla durante i torbidi che
infiammarono la città subito
dopo l'incontro di calcio. È
probabile invece che gli atti di
vandalismo attorno allo stadio
siano soltanto l'esplosione di
una protesta violenta contro la
forza pubblica. La polizia è
dovuta intervenire ieri due
volte contro la folla che voleva
assalire l'abitazione del
comandante de Asumbuja. In
entrambi i casi il governo, che
ha sospeso per trenta giorni le
garanzie costituzionali, ha
temuto che la reazione per i
tragici fatti allo stadio
potesse trasformarsi in una
sommossa politica. Centinaia di
feriti continuano ad affollare
le corsie degli ospedali di
Lima. Il presidente Belaunde
Terry ha detto che le spese per
la degenza saranno sostenute per
intero dal governo. Lo stadio è
stato chiuso per sessanta
giorni, quanto durerà il lutto
ufficiale degli sportivi
peruviani per la carneficina di
domenica. a. p.
27 maggio 1964
Fonte: La Stampa
La calma sembra tornata
nella capitale peruviana
Censurate le notizie
sulla strage per "pacificare gli
animi" a Lima
Il nuovo prefetto di
polizia ha fatto sapere che sono
stati arrestati alcuni
"agitatori" - Essi avrebbero
approfittato della tragedia per
dare il via alle sommosse e ai
saccheggi - Agli arresti il
responsabile del servizio
d'ordine allo stadio e il
fanatico supertifoso che per
primo irruppe sul campo.
(Nostro servizio
particolare) Lima, mercoledì
sera. Le misure prese ieri dal
governo sono servite a riportare
almeno apparentemente la calma
nella capitale, dopo la tragedia
di domenica allo "Stadio
Nacional" e i torbidi che ne
sono seguiti. Il governo non ha
avuto la mano pesante nel
valersi della sospensione delle
garanzie costituzionali;
tuttavia, per ogni evenienza, ha
fatto affluire a Lima trentamila
uomini dell'esercito e della
guardia civile, per prevenire
altri disordini. Al "Cementerio
de San Angelo" si sono
susseguiti ieri, fino al
tramonto, i funerali delle
vittime già identificate: circa
300. La decisione delle autorità
di evitare un rito collettivo ha
contribuito ad evitare un nuovo
aggravamento della tensione.
Alla Camera il ministro
dell'Interno, Juan Langasco, ha
fatto brevi dichiarazioni sulla
"domenica di sangue",
annunciando che il procuratore
generale della Repubblica ha già
aperto un'inchiesta per
l’accertamento delle
responsabilità. Il ministro ha
poi confermato che, nell'attesa
dei risultati delle indagini
dell'autorità giudiziaria, sono
stati sospesi dalle loro
funzioni il prefetto di polizia,
colonnello Ernesto Cornea
Cornejo, il responsabile del
mantenimento dell'ordine allo
stadio, Jorge de Asambuja, e
altri dodici ufficiali di
polizia. Egli ha ammesso che
alcuni agenti hanno fatto uso
delle armi, ma ha dichiarato
che, per ora, deve attenersi
alla versione fornitagli dal
prefetto di polizia secondo la
quale le sparatorie hanno avuto
luogo fuori delio stadio, quando
gruppi di forsennati hanno
cominciato ad incendiare le auto
parcheggiate e a saccheggiare
bar e negozi. La censura
particolarmente rigorosa sui
giornali e sui dispacci stampa
non consente la diffusione di
altri particolari sulla strage.
Negli ambienti governativi si
sottolinea che altri resoconti e
polemiche sull'eccidio non
servirebbero ad altro che ad
inasprire gli animi e a turbare
il corso della Giustizia. La
magistratura non dovrebbe
incontrare serie difficoltà
nella ricerca dei responsabili,
poiché dell'invasione del campo
e dei tumulti che sono seguiti
si ha un'ampia documentazione
fotografica e cinematografica.
Sono già stati fermati il
mulatto soprannominato "Bomba"
che per primo si avventò
sull'arbitro, e il capo dei
custodi dello stadio,
responsabile della chiusura dei
cancelli contro i quali si
avventò la folla impazzita. Le
dichiarazioni fatte dall'arbitro
uruguayano secondo cui la
generale invasione del campo
ebbe inizio solo quando
cominciarono le baruffe tra i
tifosi più scalmanati e gli
agenti, sembra avvalorare la
tesi di coloro i quali affermano
che i poliziotti, ad un certo
momento, hanno perduto la testa.
Che questa tesi sia presa in
seria considerazione dalle
autorità lo proverebbe il fatto,
certo anche se non, comunicato
ufficialmente, che il comandante
Asambuja, responsabile del
servizio d'ordine allo Stadio, è
agli arresti in caserma.
Ovviamente, la polizia si
difende dalle accuse e il nuovo
prefetto, colonnello
Sanguinetti, sostiene d'aver
accertato tra la folla degli
sportivi la presenza di
agitatori che hanno spinto la
massa alla sommossa e alle
distruzioni perpetrate per ore
nei dintorni dello stadio e
anche nel centro della capitale.
A sostegno di questa versione,
un comunicato del governo
informa che "un certo numero di
agitatori, compresi elementi
trotzkisti, sono stati tratti in
arresto, in relazione coi
disordini". Si ha però
l'impressione che queste misure
si riferiscano più ai disordini
accaduti dopo la strage, che
alle circostanze. Il governo
intanto, seguendo le direttive
del presidente della Repubblica,
Belaunde Terry, ha lanciato un
appello a tutte le
organizzazioni politiche e
sindacali perché venga stabilita
una tregua per la pacificazione
degli animi. A quanto sembra, la
maggior parte dei partiti e dei
sindacati hanno dato la loro
adesione all'iniziativa. Vi si
sono dichiarate contrarie
solamente talune organizzazioni
operaie e studentesche d'estrema
sinistra. Stamane sono
proseguite le inumazioni delle
salme al camposanto. Ma tuttora
non si conosce il numero esatto
dei morti. La polizia,
interrogata dai giornalisti, ha
dichiarato che, nella confusione
del momento, è possibile che
alcuni corpi siano stati rimossi
privatamente, da imprese di
pompe funebri, come non è da
escludere che ci siano stati
errori. La cifra, tuttavia,
sarebbe notevolmente superiore
alla realtà, almeno
nell'opinione dei dirigenti
della polizia. Pare che il
bilancio finale debba fermarsi
alla cifra di 550. n. s.
27 maggio 1964
Fonte: Stampa Sera
Pazos è ritornato nella
sua casa di Montevideo
Piangendo l'arbitro di
Lima racconta la tragica partita
"Non riesco a
dimenticare i 350 morti causati
dalla mia decisione. Resterò
qualche giorno in casa, poi
desidero vedere un prete. Voglio
sentirmi dire che la mia
coscienza è a posto" - Il goal
annullato non poteva essere
convalidato: l'arbitro aveva
fischiato prima del tocco
finale.
(Nostro servizio
particolare) Montevideo, 27
maggio. Angel Eduardo Pazos,
l'arbitro della tragica partita
di Lima, è rientrato nella sua
abitazione di Montevideo in
Uruguay, ma appare ancora
sconvolto per le drammatiche
vicende vissute. Egli ha
ricevuto oggi alcuni
giornalisti, più che altro per
difendersi dalle accuse di
incompetenza piovute contro di
lui. Prima però di parlare del
fatto calcistico ha esclamato
commosso: "E' incredibile quello
che è accaduto ! Non riesco a
pensarci. Rimarrò ancora in casa
per almeno una settimana, poi
voglio vedere un prete. Desidero
sentirmi dire da lui che la mia
coscienza è a posto". Pazos è un
operaio metallurgico, abita con
la moglie e le due figlie in una
modesta ma ordinata casetta alla
periferia di Montevideo. In
passato il suo nome non era
apparso di frequente nelle
cronache sportive
internazionali. Aveva diretto
qualche confronto di rilievo, in
patria, ma mai nessun incontro
di primissimo piano.
L'eliminatoria del torneo
olimpico tra Perù e Argentina
gli era apparsa come l'occasione
sognata per una definitiva
affermazione. Egli ha dichiarato
di voler continuare ad
arbitrare, ma prima dovrà
dimenticare di essere stato
involontario protagonista della
più grave tragedia mai
registratasi in un campo di
calcio. "Non ho alcuna colpa dei
350 morti verificatisi allo
Stadio Nacional - ha detto
piangendo - ma non è certo causa
mia se la folla è impazzita dal
terrore". L'arbitro ha precisato
che fino al 41° minuto della
ripresa l'incontro era stato
vivace ma non più duro di tanti
altri da lui diretti. "Non è
affatto vero - ha spiegato Pazos
- che io abbia annullato
l'autorete del difensore
argentino, autorete che avrebbe
dato il pareggio ai peruviani:
io avevo già fischiato una
irregolarità prima che la palla
entrasse in porta.
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I giocatori del Perù,
infatti, neppure hanno
protestato; il clamore ha invece
impedito al pubblico di
percepire il mio fischio, ed
hanno pensato all'annullamento
del goal. In quanto ad aver
sospeso l'incontro prima del
termine, non ho fatto che
applicare i regolamenti
internazionali: non si poteva
continuare a giocare in quelle
condizioni". "Quello che più mi
addolora - ha continuato
l'arbitro uruguayano - è che i
giornali peruviani hanno fatto
di me la causa unica della
tragedia, quando io non ho fatto
altro che il mio dovere di
arbitro di calcio. Non merito di
certo una accusa del genere, mi
sento innocente anche se non
riuscirò più a dimenticare i 350
morti di Lima, quel tremendo
pomeriggio". Angel Pazos ha poi
cercato di ricostruire le fasi
della tragedia. "Un quarto d'ora
prima della fine - ha dichiarato
- mi è parso di vedere che i
cancelli esterni dello stadio
fossero aperti; quando ho chiuso
la gara, a cinque minuti dal
termine, la folla che ha cercato
di uscire dallo stadio ha
trovato sbarrate le sette porte
della gradinata nord. Non so
cosa sia accaduto, ma è contro
quelle porte che molti tifosi
hanno perso la vita". L'arbitro
ha raccontato che l'inizio dei
subbugli è stato dato da un
tifoso isolato, entrato in campo
con una bottiglia rotta in mano,
che si diresse verso di lui,
minacciandolo. Un agente! - ha
proseguito Pazos - ha gettato a
terra l’energumeno con un pugno
ed uno sgambetto, poi è iniziato
il lancio dei candelotti
lacrimogeni verso il pubblico
che premeva contro la rete di
protezione. A questo punto, io
ed i ventidue atleti siamo
rientrati negli spogliatoi
protetti dalla polizia.
Dall'interno si sentivano
clamori, urla, boati e latrati
dei cani degli agenti: avevamo
paura, ma non immaginavamo di
certo quello che stava realmente
accadendo. Neppure uscendo dallo
stadio, due ore dopo, ci
capacitammo della misura della
tragedia. Io l'ho saputo dai
poliziotti, sotto la cui
protezione sono rimasto sino al
momento di lasciare Lima. Ora
sono qua, ma non so quanto mi ci
vorrà per ritrovare, se la
troverò, la serenità di prima".
Da Lima si apprende intanto che
la notizia del linciaggio dei
tre agenti, durante i tumulti, è
stata confermata. Secondo il
quotidiano El Correo il sergente
della polizia Asencio Vasquez fu
strangolato con la sua stessa
cravatta, mentre Manuel Alvarez,
accorso in aiuto del collega,
venne gettato giù dalle
gradinate. Il terzo agente
ucciso dai tifosi inferociti,
sempre secondo El Correo, è un
certo Alberto Gallardo, cugino
di quel Gallardo, centravanti,
che la squadra italiana del
Milan ha assunto in vista della
prossima stagione. Sarebbero
stati arrestati sia il capo
degli agenti in servizio allo
stadio che gli addetti ai
cancelli, i quali avevano
abbandonato i loro posti per
assistere alla gara, invece di
restare presso le uscite. r.b.
28 maggio 1964
Fonte: La Stampa
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