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Calciatore
F.C. Juventus
(In
campo allo Stadio Heysel il
29.05.1985) |
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L’ex juventino Zibì Boniek
"Quella notte giocai contro
me stesso"
di Paolo Ziliani
LA STRAGE DELL’HEYSEL:
Sapevamo dei morti e nessuno voleva scendere in
campo. Ci dissero: "Se non lo fate sarà guerra".
Cosa potevamo fare ? Stare fermi sul prato ?
"Quando mi dicono che
giocare quella partita contro il Liverpool fu un
errore gravissimo, io faccio fatica a
rispondere: perché anche adesso che sono passati
30 anni, ricordo che quella partita non la
giocai contro gli inglesi, la giocai contro me
stesso". Cinquantanove anni, da 3 stagioni
presidente della Federcalcio polacca ("Vogliamo
qualificarci per gli Europei e qui in Polonia,
dopo il 2-0 alla Germania campione del mondo,
prima volta di sempre, c'è un entusiasmo che
nemmeno a Napoli ai tempi di Maradona"), Boniek,
il "bello di notte" della Juventus dell'Avvocato
Agnelli, la parlantina sciolta di sempre, la
notte dell'Heysel non l'ha certo dimenticata.
Perché quella partita venne
giocata ?
"Perché anche se noi non
volevamo, ci dissero che non giocare avrebbe
provocato, là fuori, la guerra civile. E allora
come fai in un minuto, in un clima di delirio, a
decidere che quello che ti viene detto è giusto
oppure è sbagliato ? Criticare i comportamenti a
cose compiute è facile: ma esserci dentro è
maledettamente difficile".
Una partita giocata contro
se stesso, diceva.
"Sì. Dopo pochi minuti la
palla va in fallo laterale, oltrepasso la linea
e mi paralizzo perché ci sono dieci poliziotti
con dieci rottweiler che mi ringhiano contro.
Torno in campo, mi rimetto a correre e mentre
corro ci sono tre pensieri fissi, stampati nel
cervello, che mi martellano. Li ho ancora
incollati nella mente, non se ne sono mai
andati. Pensiero numero 1: ma a che ora sto
giocando questa partita ? Pensiero numero 2: ma
perché la sto giocando ? Pensiero numero 3:
proprio qui, a pochi passi da me, qualcuno è
appena morto perché voleva vedermi giocare. E
contro questi pensieri ugualmente gioco. Tre
volte incazzato con me stesso. Perché mi hanno
detto che è giusto farlo".
La cosa meno comprensibile
fu forse l'esultanza di molti di voi dopo il
rigore trasformato da Platini, l'esultanza alla
consegna della Coppa.
"Allora. Noi siamo
calciatori di professione, siamo della Juventus
e due anni prima abbiamo perso la Coppa dei
Campioni in finale contro l'Amburgo. Negli
spogliatoi, quella sera, abbiamo giurato:
vinciamo subito il campionato e l'anno dopo
conquistiamo la Coppa. Ce la facciamo, torniamo
a giocarci una finale. Ma capita che
un'organizzazione criminale scelga per la finale
uno stadio schifoso e sistemi gli hooligans
accanto agli juventini. E succede la tragedia.
Noi ci rendiamo conto di tutto, sappiamo che ci
sono dei morti e nessuno vorrebbe giocare: ma ti
dicono che devi farlo e allora che fai ? Scendi
in campo e rimani fermo ? Rivendico di aver
scelto di giocare quella partita con tutto il
mio impegno e tutte le mie forze. Potevamo
evitare di esultare ? Forse, ma dirlo è facile,
più complicato è trovarsi a giocare nella
disperazione più assoluta con il sangue che
pulsa, i battiti che sono a 180 e il dovere e
l'istinto che ti dicono di fare fino in fondo il
tuo dovere. No, lo scandalo fu quel che successe
prima: non quello che successe dopo".
Del lungo e tormentato pre-partita che ricordi ha ?
"Ricordi brutti. Eravamo
tristi e anche molto preoccupati: "Io ho fatto
venire tutti i miei parenti", diceva uno; "Io ho
regalato dieci biglietti a una compagnia di
amici", diceva un altro. Ripeto: sapevamo che
c'erano stati dei morti. E come andò il
dopo-partita ? Vuole saperlo ? Io dei 39 morti e
della misura, enorme, della tragedia seppi solo
la mattina dopo. Finita la partita lasciai lo
stadio e raggiunsi l'aeroporto da solo perché
l'indomani avrei dovuto giocare con la Polonia
una partita in Albania. Era stata programmata
giovedì alle 2 del pomeriggio proprio in
previsione del mio impegno nella finale di Coppa
dei Campioni. C'era un volo charter che mi
aspettava con due dirigenti: partimmo, arrivammo
a Tirana alle 5 del mattino e non ci fecero
atterrare perché l'aeroporto apriva alle 7. Ci
dirottarono su Bari, arrivammo, andai a fare
colazione, presi i giornali e lessi: "39 morti".
Solo allora capii l'enormità della tragedia in
cui ero stato precipitato. Con quel boccone
nello stomaco, risalii su un aereo, sbarcai a
Tirana e alle 2 del pomeriggio giocai
Albania-Polonia. Grande dolore ma non senso di
colpa, quindi. Sa cosa penso ? Che non fu
nemmeno colpa degli hooligans. Il delitto lo
commisero gli organizzatori che li sistemarono
accanto agli italiani, lo commise l'Uefa che
scelse uno stadio vecchio e cadente con i muri
che si sbriciolavano e le ringhiere che
cedevano. Prendersela con Platini che esultò
dopo il gol è una cattiveria. Tutti noi portiamo
il ricordo di quella notte con la morte nel
cuore. Io feci quello che mi fu possibile: e
destinai il premio partita, che era un premio
altissimo, di 100 milioni di lire, alle vittime
della strage. Poi hanno cominciato a passare gli
anni, e oggi sono 30 e ogni volta vorresti che
il ricordo non ci fosse più, vorresti aver
vissuto solo un brutto sogno. Invece no. Sono
qui, a Varsavia, e la sua telefonata mi ricorda
che 39 persone morirono un giorno per essere
venuti a vedermi giocare. Una partita di
pallone".
27 maggio 2015
Fonte: Il Fatto Quotidiano
© Fotografia:
Cdn.forzaitalianfootball.com
Il fuoriclasse polacco
conquistò il rigore che decise la sfida
Boniek: giocammo solo per
evitare una guerra civile
di Roberto Beccantini
"Noi sapevamo tutto e non
volevamo scendere in campo. Ce lo ordinò l'UEFA.
Ci disse: molti sugli spalti non hanno idea di
quanto è successo, se vi rifiutate lo capiranno
e sarà peggio. Poi fu una gara triste ma vera".
Zibì Boniek, prima o poi
doveva succedere. Cosa ricorda ?
"Ricordo che, col
Liverpool, ho giocato due volte. A Torino, nella
neve, per la Supercoppa d'Europa: e fu un
trionfo, 2-0, doppietta del sottoscritto.
All'Heysel, in finale, e fu una tragedia".
Il 29 maggio saranno
vent'anni.
"Per rispetto delle
vittime, mi sforzo di non pensarci più. Io,
quella coppa, non l'ho mai sollevata".
Boniperti avrebbe dovuto
restituirla...
"Restituirla a chi ? Forse
all'UEFA, dopo tutto quello che, sul piano
organizzativo, aveva combinato ? Non
scherziamo".
Non mi dirai che la partita
è stata vera ?
"E' stata una partita di
cui nessuno può e deve vantarsi".
Eravate al corrente ?
"Non dar retta a chi finge
che, in quel casino, orientarsi fosse difficile,
e conoscere l'esatta entità del dramma ancora di
più. Al 99,9 per cento sapevamo tutto: dei
morti, della dinamica, della cappa esplosiva che
gravava sullo stadio. Ripeto: tutto".
Era proprio indispensabile
giocare ?
"Noi non volevamo. E il
Liverpool neppure. Ce lo ordinarono. Ci dissero
che, se non fossimo scesi in campo, sarebbe
stato peggio. I telefonini non esistevano, e
molti degli juventini sugli spalti, loro sì, non
avevano idea di quante fossero le persone morte
ammazzate nel settore Z. Uno dell'Uefa mi fece:
se vi rifiutate, lo impareranno".
Con che spirito hai giocato
?
"Per vincere. Se uno ti
dice: se non giochi, è peggio, tu, che sei un
uomo, giochi. E una volta dentro, ti dai da
fare. Quelli del Liverpool si comportarono
esattamente come noi. Non a caso, il migliore fu
Tacconi".
Fallo di Gillespie su di
te: due metri buoni fuori area, eppure Daina
diede il rigore.
"Un abbaglio clamoroso, lo
so. L'arbitro avrebbe dovuto fischiare la
punizione dal limite. Con uno come Michel,
sarebbe stato comunque un mezzo rigore".
Al suo posto avresti
esultato ?
"E' facile suggerire,
adesso, quello che avremmo dovuto fare, allora.
Siamo uomini, ognuno reagì come gli dettavano i
suoi sentimenti. Osceno e tragico fu il
''prima'', non il ''dopo".
Mettiti per un attimo dalla
parte dei parenti delle vittime: per loro, non
si doveva giocare e il trofeo andava
riconsegnato.
"Nel mio piccolo, rinunciai
al premio partita e lo girai proprio ai parenti.
Non sono un santo, e tanto meno lo fui
all'Heysel, però rivendico le attenuanti che si
devono a colui e a coloro che, precettati per
contendersi ''semplicemente'' una coppa, non
importa se dei Campioni, si ritrovano,
all'improvviso, al centro di una guerra".
Che si poteva evitare.
"Molto di più: si doveva.
Ecco, a questo sì che penso spesso, al fatto che
scatenò l'apocalisse. Mica ultras contro ultras,
o scontri omicidi nei paraggi dello stadio. Mai,
una carneficina così devastante ebbe origine da
cause così banali e così facilmente aggirabili,
gli hooligans finiti nella curva sbagliata, le
strutture vecchie e fatiscenti dello stadio, gli
juventini che, spaventati, scappano e trovano
muri di cemento, la polizia belga del tutto
inadeguata a gestire e sbrogliare una simile
emergenza".
Quella sera, morì anche il
calcio.
"Quella sera, sono morte
trentanove persone. Il calcio no, non poteva
morire e, anzi, rinacque proprio da lì, da quel
sangue. Hai presente Anfield o Old Trafford ?
Sono gioielli, e chi sgarra, finisce dentro.
L'Heysel era una schifezza, ma in tutto il mondo
avrebbero evitato, comunque, la tragedia. In
tutto il mondo, tranne che a Bruxelles".
19 marzo 2005
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